4 - L`Europa delle grandi potenze (1850

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Sabatucci, Vidotto – Storia Contemporanea
1 – Le rivoluzioni del 1848.
La crisi rivoluzionaria del 1848 interessò gran parte dell’Europa continentale, anche a causa di alcuni
elementi comuni presenti nei vari paesi; crisi economica del 1846-47, azione dei democratici, attesa di un
nuovo grande sommovimento rivoluzionario. Simili furono anche i contenuti delle varie insurrezioni:
richiesta di libertà politiche e di democrazia, e – in Italia, Germania e Impero asburgico – spinta verso
l’emancipazione nazionale. La novità delle rivoluzioni del 1848 risiedette nella massiccia partecipazione dei
ceti popolari urbani e nella presenza di obiettivi sociali accanto a quelli politici.
Il centro di irradiazione del moto rivoluzionario fu la Francia. L’insurrezione parigina del febbraio portò alla
proclamazione della repubblica, che ebbe all’inizio un indirizzo democratico-sociale. Le elezioni per
l’Assemblea costituente dell’aprile ’48 sancirono la vittoria dei repubblicani moderati. L’insurrezione di
giugno dei lavoratori di Parigi fu duramente repressa e segnò la svolta in senso conservatore della
Repubblica, concretizzatasi in dicembre con l’elezione a presidente di Luigi Napoleone Bonaparte.
In marzo il moto rivoluzionario si propagò all’Impero asburgico, agli Stati italiani e alla Confederazione
germanica. A Vienna, Metternich dovette lasciare il potere e venne concesso un Parlamento dell’Impero. In
Ungheria l’agitazione ebbe un accentuato carattere indipendentistico. Anche a Praga e negli altri territori
della monarchia asburgica si estesero, sia pure in forma meno accentuata, le rivendicazioni di autonomia.
La repressione militare della sollevazione di Praga (giugno 1848) segnò l’inizio della riscossa del potere
imperiale, che utilizzò abilmente le rivalità tra gli slavi e i magiari. Dopo la repressione di una nuova
insurrezione a Vienna (ottobre ’48), saliva al trono Francesco Giuseppe.
La rivoluzione di Berlino portò inizialmente ad alcune concessioni da parte del re Federico Guglielmo IV; il
movimento liberal-democratico conobbe però un rapido declino. In maggio, sulle spinta delle agitazioni e
sommosse scoppiate nei vari Stati tedeschi, si era riunita a Francoforte un’Assemblea costituente con
l’obiettivo di avviare un processo di unificazione nazionale tedesca. Il rifiuto da parte di Federico Guglielmo
IV della corona imperiale offertagli dall’Assemblea di Francoforte nell’aprile ’49 segnò in pratica la fine di
quest’ultima.
All’inizio del 1848, e prima della rivoluzione di febbraio in Francia, negli Stati italiani c’erano forti
aspettative di un’evoluzione interna dei vecchi regimi. La sollevazione di Palermo, in gennaio, induceva
Ferdinando II di Borbone a concedere una costituzione; il suo esempio era subito seguito da Carlo Alberto,
Leopoldo II di Toscana e Pio IX. Lo scoppio della rivoluzione in Francia dava nuova spinta all’iniziativa dei
democratici italiani e riportava in primo piano la questione nazionale. A Venezia si proclamava la
repubblica; a Milano, dopo “cinque giornate” di insurrezione contro le truppe di Radetzky, fu costituito un
governo provvisorio. Il 23 marzo ’48 Carlo Alberto dichiarava guerra all’Austria, ottenendo l’appoggio del re
delle due Sicilie, del granduca di Toscana e del papa, appoggio che sarebbe stato ritirato di lì a poco. I
piemontesi, anche per la scarsa risolutezza con cui condussero le operazioni militari, vennero sconfitti a
Custoza (luglio ’48) e costretti a firmare un armistizio.
A combattere contro l’Impero asburgico restavano i democratici italiani (oltre a quelli ungheresi). In Sicilia
resistevano i separatisti, a Venezia era proclamata di nuovo la repubblica, in Toscana si formava un
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triumvirato democratico, a Roma, dopo la fuga del papa (novembre ’48), si proclamava la repubblica. Nel
marzo ’49 il Piemonte riprendeva la guerra contro l’Austria. Subito sconfitto a Novara, Carlo Alberto
abdicava a favore del figlio Vittorio Emanuele II. I governi rivoluzionari venivano sconfitti in tutta Italia:
terminava la rivoluzione autonomistica siciliana, gli austriaci ponevano fine alla Repubblica toscana e
occupavano le Legazioni pontificie, i francesi intervenivano militarmente contro la Repubblica romana. Gli
ultimi focolai rivoluzionari a soccombere furono quelli ungheresi e veneto, in entrambi i casi per
l’intervento asburgico.
La causa fondamentale del generale fallimento delle rivoluzioni del ’48 va individuata nelle fratture
all’interno delle forze che di quelle rivoluzioni erano state protagoniste: nei contrasti, cioè, fra correnti
democratico-radicali e gruppi liberal-moderati. Aveva pesato inoltre, nel determinare la sconfitta delle
esperienze rivoluzionarie italiane, l’estraneità delle masse contadine, che costituivano la stragrande
maggioranza della popolazione.
In Francia si accentuava, nel 1849, l’evoluzione della situazione politica in senso conservatore. Nel dicembre
1851 Bonaparte effettuò un colpo di Stato e riformò la costituzione. L’anno successivo un plebiscito
sanzionava la restaurazione dell’Impero: Luigi Napoleone Bonaparte diventava imperatore con il nome di
Napoleone III.
2 – Società borghese e movimento operario.
Al conservatorismo politico che, dopo il fallimento delle rivoluzioni del ’48-49, caratterizzava la situazione
europea, faceva riscontro un processo di profondo mutamento sociale. Il ventennio successivo al ’48 vide la
crescita della borghesia: un ceto sociale attraversato da notevoli differenziazioni interne e tuttavia
portatore di una stile di vita e di un insieme di valori sostanzialmente unitari.
Centrale, tra questi valori, era la fede nel progresso generale dell’umanità, che poggiava sull’imponente
sviluppo economico e scientifico della seconda metà dell’’800. Sul piano culturale, il progresso scientifico
diede origine ad una nuova corrente filosofica, il positivismo, che diventò l’ideologia della borghesia in
ascesa e influenzò tutta la mentalità dell’epoca. Il rappresentante più noto del nuovo spirito “positivo” fu
Darwin, cui si deve la teoria dell’evoluzione e della selezione naturale.
Dalla fine degli anni ’40, l’economia europea conobbe una fase di forte sviluppo durata quasi un quarto di
secolo. Lo sviluppo interessò anzitutto l’industria, principalmente nei settori siderurgico e meccanico. Si
generalizzò in quest’epoca l’impiego delle macchine a vapore e del combustibile minerale. I fattori
principali del boom industriale degli anni ’50 e ’60 furono: la rimozione dei vincoli giuridici che ostacolavano
le attività economiche; l’affermarsi del libero scambio; la disponibilità di materie prime; la diminuzione dei
tassi di interesse e l’espansione del credito a favore degli impieghi industriali; lo sviluppo di nuovi mezzi di
trasporto (navi a vapore e, soprattutto, ferrovie) e di comunicazione (telegrafo).
Quest’ultimo fattore mutava per alcuni aspetti essenziali la vita dell’epoca e l’immagine stessa che la gente
aveva del mondo: esso appariva, ed era effettivamente, sempre più unito. Cambiava anche, in relazione alla
rivoluzione dei trasporti e alle nuove opportunità di lavoro, il volto delle città, che diventavano sempre più
grandi e più complesse, anche se la loro trasformazione non apportava a tutti i ceti sociali i medesimi
vantaggi (nascevano allora le grandi periferie operaie).
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Lo sviluppo economico successivo alla metà del secolo toccò in misura minore l’agricoltura europea, dove
era impiegato il grosso della popolazione attiva, e dove le condizioni economiche e le forme di proprietà
variavano sensibilmente da una zona all’altra del continente. In generale, però, restavano disagiate le
condizioni di vita dei contadini, che in numero sempre crescente erano spinti a scegliere la via
dell’emigrazione.
Si diffondeva, nello stesso periodo, la figura dell’operaio di fabbrica, le cui dure condizioni di vita e di lavoro
favorivano il formarsi di una coscienza di classe e delle prime associazioni operaie (specie in GB, Ger e Fr).
La teoria socialista assunse, con l’opera di Marx, il carattere di teoria “scientifica” contenente
un’indicazione di superamento del capitalismo. Progressivamente il marxismo si sarebbe affermato quale
dottrina ufficiale del movimento operaio.
Nel 1864 venne fondata la Prima Internazionale, la cui storia fu caratterizzata dai contrasti fra le varie
correnti – principalmente tra marxisti e anarchici – che avrebbero presto condotto alla sua dissoluzione. Il
maggior tecnico dell’anarchismo fu Bakunin, le cui teorie si distinguevano per alcuni aspetti sostanziali da
quelle di Marx. Bakunin, tra l’altro, riteneva che, una volta abbattuto il potere statale, il comunismo si
sarebbe instaurato spontaneamente, senza dunque la fase di “dittatura del proletariato” prevista da Marx.
Egli considerava, inoltre, le masse diseredate (e non il proletariato industriale) il soggetto della rivoluzione.
Per quest’ultimo motivo il bakuninismo si diffuse soprattutto nei paesi più arretrati.
Di fronte alla società borghese, il mondo cattolico da un lato assunse un atteggiamento di dura condanna
(Sillabo, 1864), dall’altro si fece promotore, con i movimenti cristiano-sociali, di un intervento dello Stato a
favore dei lavoratori e di un associazionismo cattolico.
3 – L’unità d’Italia.
In Italia, la “seconda restaurazione” – cioè il ritorno dei sovrani legittimi dopo il fallimento delle rivoluzioni
del 1848-49 – bloccò ogni esperimento riformatore e frenò pesantemente lo sviluppo economico dei vari
Stati, mentre veniva sancita l’egemonia austriaca nella penisola. Aumentava anche il fossato che separava i
sovrani dall’opinione pubblica borghese, fenomeno evidente soprattutto nei due Stati che più perseguirono
una politica repressiva e autoritaria: lo Stato pontificio e il Regno delle due Sicilie.
Solo in Piemonte la situazione era diversa. Qui fu conservato il regime costituzionale; inoltre, superata la
crisi legata alla ratifica del trattato di pace con l’Austria, venne intrapresa dal governo D’Azeglio un’opera di
modernizzazione dello Stato, soprattutto nel campo dei rapporti con la Chiesa (leggi Siccardi). Nel 1850
Cavour entrava nel governo (come ministro dell’Agricoltura e Commercio) e, due anni dopo, diveniva
presidente del Consiglio. Si affermava, così, un politico dai vasti orizzonti culturalil e dall’ampia conoscenza
dei problemi economici, animato dalla fede nelle virtù della libera concorrenza e da un liberalismo
pragmatico e moderno. Spostato a sinistra l’asse del governo (“connubio” con Rattazzi), Cavour pose mano
anzitutto alla modernizzazione economica del paese, attraverso l’adozione di una linea liberoscambista, il
sostegno dello Stato all’industria, la riorganizzazione delle attività creditizie, le opere pubbliche. La
conservazione delle libertà costituzionali, lo sviluppo economico, l’accoglienza data agli esuli provenienti
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dagli altri Stati italiani fecero del Piemonte cavouriano il punto di riferimento per l’opinione pubblica
liberale di tutta la penisola.
Proseguiva instancabile, dopo le sconfitte del ’48-49, l’attività di Mazzini, volta al raggiungimento
dell’indipendenza e dell’unità per via insurrezionale. I tragici insuccessi contro cui la sua strategia si scontrò
fecero crescere i dissensi entro il movimento democratico. Si affacciava, soprattutto con Pisacane,
un’ipotesi “socialista” di liberazione nazionale, che cioè facesse leva sulle masse diseredate del
Mezzogiorno. Il tragico esito della spedizione di Sapri (1857) – dovuto soprattutto all’ostilità delle
popolazioni locali – sollecitò l’iniziativa di quegli esponenti democratici che vedevano nell’alleanza con la
monarchia sabauda l’unica possibilità di successo (nel 1857 si costituì la Società nazionale).
Dopo aver ottenuto un successo diplomatico dalla partecipazione piemontese alla guerra di Crimea e alla
conferenza di Parigi (1855-56), Cavour si convinse che era indispensabile l’appoggio di Napoleone III per
scacciare gli austriaci dalla penisola. Favorito dagli effetti che l’attentato di Orsini ebbe sull’imperatore,
strinse con questi a Plombières (1858) un’alleanza militare in vista della guerra contro l’Austria, che scoppiò
nell’aprile dell’anno successivo. Le sorti del conflitto volsero subito a favore dei franco-piemontesi (la
battaglia di Magenta aprì la via di Milano, ma gli austriaci furono respinti anche a Solferino e San Martino la seconda guerra d’indipendenza). Ma l’armistizio di Villafranca – improvvisamente stipulato da Napoleone
III – assegnava allo Stato sabaudo la sola Lombardia. Si dovè alla nuova situazione creata dalle insurrezioni
nell’Italia centro-settentrionale se il Piemonte potè annettere anche Emilia, Romagna e Toscana  pace di
Zurigo. 1860: Cavour cede alla Francia la Savoia e Nizza.
Rimanevano scontenti i democratici, che cominciarono a pensare a una prosecuzione della lotta attraverso
una spedizione nel Mezzogiorno. Nel maggio 1860 Garibaldi sbarcò in Sicilia con mille volontari e, sconfitte
le truppe borboniche a Calatafimi prima e a Milazzo poi, liberò Palermo e formò un governo provvisorio. Le
aspirazioni dei contadini – desiderosi anzitutto di una trasformazione dei rapporti di proprietà – causarono
presto la fine del clima di concordia che aveva salutato i “liberatori”. Spaventati dalle agitazioni agrarie, i
proprietari terrieri guardarono con favore all’annessione al Piemonte.
Dopo lo sbarco di Garibaldi in Calabria e il suo ingresso a Napoli, divenne urgente per il governo piemontese
un’iniziativa al Sud tale da evitare complicazioni internazionali e garantire alla monarchia sabauda il
controllo della situazione. Dopo l’annessione di Umbria e Marche dopo la battaglia di Castelfidardo, il
Piemonte iniziò la sua discesa verso il Sud. Con l’intervento dell’esercito piemontese e le annessioni, la
liberazione del Sud veniva così ricondotta entro i binari della politica cavouriana ( plebisciti). Vittorio
Emanuele II incontrava Garibaldi a Teano e il 17 marzo 1861 veniva proclamato re d’Italia.
4 - L’Europa delle grandi potenze (1850-1890).
4.1 La lotta per l’egemonia continentale. Dopo i moti del 1848 le potenze protagoniste della scena europea
erano le stesse del “concerto europeo”: Francia, UK, Austria, Prussia e Russia concorrevano per l’egemonia
continentale, fino a quando nel decennio 1850-1870 non si arrivò allo scontro aperto, con il Secondo
Impero francese che cercava il dominio sull’Europa sfruttando la debolezza asburgica, ritrovandosi poi a
fronteggiare il più pericoloso nazionalismo prussiano. La sconfitta di Napoleone III portò all’egemonia della
nuova Germania unita, che di tutto fece per isolare la Francia umiliata. Nonostante il fallimento delle rivolte
del ’48 la corsa verso la democrazia e la rappresentanza in Europa non si arrestò: la Francia divenne
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Repubblica e in ogni Stato europeo (eccetto la Russia zarista) gli organi elettivi e i diritti sociali acquisirono
importanza.
4.2 La Francia del Secondo Impero e la guerra in Crimea. Il Secondo Impero era diverso tanto dai sistemi
liberali quanto da quelli monarchici: inaugurò invece il bonapartismo, un ambiguo mix di consenso
popolare e centralismo autoritario, di riformismo sociale e di potere delle armi, di demagogia e
paternalismo; Napoleone III riuscì ad assicurarsi il consenso contadino e quello di borghesia, finanza e
sistema bancario, dando un impulso incredibile allo sviluppo della Francia, sorretto da aspirazioni
tecnocratiche spiccate. Ma era sempre bonapartismo, e gli auspici di pace presto si scontrarono con il
bellicismo che impregnava il governo dell’Impero ( politica estera aggressiva). Prima occasione:
questione di Oriente  la Russia interessata al Mar Nero e ai Balcani dichiarò guerra al debole Impero
Ottomano. Londra e Francia risposero con un esercito di 400.000 uomini che sbarcò in Crimea nel 1854 e
iniziò l’assedio a Sebastopoli. La guerra di Crimea non fece molte vittime, uccisero più persone le epidemie.
Sebastopoli cadde nel 1855, e successivamente un congresso a Parigi sancì l’integrità dell’Impero Ottomano
e la neutralizzazione del Mar Nero. Francia guadagnò prestigio. Napoleone tramava contro l’ordine
viennese  1858: alleanza con il Piemonte, 1859: guerra contro l’Austria che pur vinta indebolì la Francia,
nelle cui brame c’era il controllo dell’Italia.
4.3 Il declino dell’Impero asburgico e l’ascesa della Prussia. Negli anni ’50 l’Austria cercò di riorganizzarsi
secondo il vecchio modello assolutistico e centralista, che finì per esasperare le minoranze eterogenee che
componevano l’Impero (da sempre problema principale), e dividere persino l’aristocrazia, indebolita
dall’abolizione della servitù della gleba. Appoggiandosi a Chiesa cattolica e ai contadini, la monarchia
scontentò la borghesia produttiva  l’Austria perse lo sviluppo economico degli anni ’50 e ’60, e con esso il
ruolo fondamentale che deteneva in Europa. Ne approfittò naturalmente la Prussia che voleva diventare la
vera Nazione tedesca leader dell’Europa centrale, forte di una economia robusta e di uno sviluppo notevole
in virtù della Lega doganale con altre nazioni dell’area. L’Ovest vide lo sviluppo di una forte borghesia
urbana, l’Est restò prevalentemente agricolo. Gli Junker erano potentissimi aristocratici-latifondisti molto
legati alla tradizione e presenti ai più alti vertici dell’apparato statale. Questo, insieme alle già favorevoli
condizioni economiche prussiane, però favorì la nascita di quella “via prussiana” allo sviluppo alternativa a
quella britannica. Tradizionalismo degli Junker + nazionalismo borghese = convergenza nella politica di
potenza prussiana  sviluppo di una adeguata forza militare. Quando Guglielmo I non ottenne dal
Parlamento lo sperato appoggio per la riforma dell’esercito decise di sfidare la camera con la nomina di
Bismarck alla carica di cancelliere. In pochi anni l’uso spregiudicato della forza e una grande abilità
diplomatica permisero alla Prussia di diventare egemone in Europa e di realizzare l’unificazione tedesca.
Primo ostacolo era stato l’Austria: sfruttando una diatriba con Vienna sulla Danimarca come casus belli e
alleandosi con l’Italia ( Veneto), Bismarck inflisse a Sadowa una terribile sconfitta all’Austria  Pace di
Praga: l’Austria rinunciò alla sua egemonia sull’Europa centrale. Spostò i suoi interessi sull’area balcanica e
risolse il problema delle nazionalità diventando Impero austro-ungarico, una sorta di Stato bicefalo  slavi
scontenti. La Prussia vide la borghesia liberale in una posizione subalterna nel processo di unificazione
rispetto alla Corona e all’aristocrazia, diversamente da quanto accaduto in precedenza in Francia e UK.
4.4 La guerra franco-prussiana e l’unificazione tedesca. Sconfitta l’Austria, la Prussia potè impegnarsi a
unificare gli Stati tedeschi in un Reich regnato dagli Hohenzollern; l’ultimo ostacolo era la Francia, che da
oltre 200 anni era abituata a convivere con una Germania frazionata e pressoché innocua. La questione del
trono spagnolo infiammò gli animi: gli spagnoli lo avevano offerto ad un Hohenzollern, che declinò l’offerta.
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Ma Bismarck seppe provocare l’Impero francese (telegramma di Ems). Luglio 1870: Francia dichiara guerra
alla Prussia. Nonostante l’entusiasmo l’esercito di Napoleone III era nettamente inferiore a quello prussiano
 disfatta francese a Sedan. Prussiani a Parigi, caduta dell’Impero. Trattato di Francoforte: Francia
costretta a cedere Alsazia e Lorena alla Prussia, che nel frattempo completa il processo di unificazione del
nuovo Stato tedesco. La Francia era una nazione umiliata  revanscismo.
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4.5 La Comune di Parigi. Dopo Sedan la Francia si trovò in una crisi interna terribile; a Parigi si era istituita la
Guardia Nazionale  nuova esperienza rivoluzionaria, che aveva destituito l’Imperatore. Ma l’elezione per
la nuova Assemblea era stata vinta dai conservatori e dai moderatori  Thiers giunse velocemente alla
pace con Bismarck, ma dopo il trattato di Francoforte le masse parigine, tradite e furiose, insorsero e
fondarono il Consiglio della Comune: la città era così nelle mani della sinistra più accesa, salutata con gioia
dai rivoluzionari di tutta Europa. Non era però una vera e propria realtà socialista, poichè il Paese era in una
situazione anomala (occupato da truppe straniere) e la Comune era frammentata: avrebbe avuto qualche
speranza solo se fosse riuscita ad ampliare la sua influenza anche sul resto della Francia, ma così non fu.
Due mesi dopo, Thiers e le truppe governative riconquistarono Parigi. Nel maggio 1871, la “settimana di
sangue” vide i comunardi decimati dalla spietate truppe governative.
4.6 La svolta del 1870 e l’equilibrio bismarckiano. L’unificazione tedesca dimostrò come in Europa
sembravano ormai tramontati quei principi liberal-democratici ottocenteschi a favore di una Machtpolitik,
politica di potenza basata su ideologia della forza. Economicamente prevaleva il protezionismo. Eppure dal
1871 al 1914 non una sola guerra fu combattuta su suolo europeo, altri erano i teatri, come le colonie. Era
l’equilibrio europeo che Bismarck, una volta ottenuta la vittoria sulla Francia e unificata la Germania, si
impegnò profondamente a mantenere, un equilibrio sotto l’egemonia indiscussa del nuovo potentissimo
Reich. Bismarck ci riuscì tenendo la Francia isolata dalle altre potenze, grazie ad una intricata e complessa
rete di alleanze e patti (con un Inghilterra come sempre poco interessata ai fatti del Continente). 1873:
patto dei tre imperatori, che sanciva solidarietà dinastica tra sovrani di Germania, Austria e Russia. Nel 1877
la Russia intervenne nei Balcani contro i Turchi e a favore dei rivoltosi, sconfisse le truppe ottomane e col
trattato di Santo Stefano sancì la sua egemonia sulla penisola balcanica  reazione immediata di Austria e
Inghilterra. Il cancelliere riuscì a calmare le cose con il Congresso di Berlino del 1878 e una serie di maneggi
territoriali che accontentarono tutti. Scongiurato il pericolo tentò di ricreare l’alleanza con Vienna e San
Pietroburgo (i cui rapporti erano da sempre stati anello debole della catena), e la ottenne dividendo i
Balcani in zone di influenza. 1882: Triplice Alleanza con Austria-Ungheria e Italia, che però avevano una
atavica rivalità. 1885-86: nuove rivolte balcaniche misero in crisi definitivamente i rapporti tra Austria e
Russia  accordi bilaterali: mantenne alleanza con gli austriaci, ma a loro insaputa stipulò con lo zar di
Russia il trattato di contro-assicurazione. Tre anni dopo il cancelliere e il suo sistema diplomatico sarebbero
caduti.
4.7 La Germania imperiale. Istituzionalmente parlando, il Reich era complesso: apparenti autonomie (i 25
Stati avevano solo poteri amministrativi), in realtà potere centralizzato al nucleo prussiano. Scelte più
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importanti nelle mani del cancelliere che rende conto di fronte all’imperatore e non al Parlamento.
Legislativo esercitato dal Reichstag e dal Bundesrat, poco influenti sull’esecutivo. Il cancelliere godeva
dell’appoggio di banche, mondo industriale, aristocrazia (saldato dalle politiche protezionistiche
bismarckiane). Nonostante la prevalenza dei conservatori, la dialettica era vivace e nacquero persino
movimenti politici di massa e nuove formazioni politiche, come il Centro (di ispirazione cattolica, con molti
iscritti in Baviera) e lo Spd, partito socialdemocratico tedesco. La Kulturkampf di Bismarck contro il Centro
cattolico fu pesante fino a quando Windthorst non fece guadagnare immensi consensi al partito. La
socialdemocrazia inoltre iniziava a minacciare l’equilibrio  leggi eccezionali di Bismarck la ridussero alla
semiclandestinità. Bismarck varò una legislazione sociale molto avanzata, ispirata da un riformismo
conservatore sorretto da molti accademici (socialismo della cattedra)  in realtà era un modo di rendere
subalterne le classi lavoratrici (azione più simile a bonapartismo napoleonico che a liberismo britannico).
Questa politica fallì  movimento sindacale. Crescita elettorale della socialdemocrazia che ebbe un ruolo
fondamentale nella caduta bismarckiana.
4.8 La Terza Repubblica in Francia. La ripresa francese non tardò ad arrivare. Grazie allo sforzo di contadini,
piccola borghesia e risparmiatori fu pagato l’indennizzo alla Germania e l’economia francese tornò a
crescere, anche grazie all’avventurismo coloniale. Stabilità politica decisamente più in discussione: la stessa
forma repubblicana fu per molto in forse, viste le spinte monarchiche di parte dell’Assemblea. Ma i
monarchici erano divisi in orleanisti e legittimisti  costituzione repubblicana, Terza Repubblica, la cui
stabilità era in parte garantita dalla figura del presidente della Repubblica. I repubblicani in una serie di
elezioni guadagnarono sempre più consensi: particolare forza avevano gli opportunisti che si appoggiavano
alla classe media (rispetto ai radicali di Clemenceau). La democrazia fu consolidata, la laicità dello Stato
sancita (nonostante opposizioni), ma la Repubblica era ancora molto instabile e corrotta.
4.9 L’Inghilterra vittoriana. Dopo il 1848 UK era la nazione più progredita d’Europa, caratterizzata da
stabilità politica, tranquillità sociale, potenza economica imbattibile (fabbriche, ferrovie, commerci), domini
coloniali molto redditizi: era il centro del mondo. Un ventennio di liberali al governo consolidò il sistema
parlamentare, con una Corona simbolo dell’identità nazionale  regina Vittoria (governò dal 1837 al 1901).
Ma la Camera dei Lords aveva ancora troppo potere: iniziò una dura battaglia per l’ampliamento del
suffragio; progetto di legge di Gladstone, fallito, causò il ritorno dei conservatori al governo  Disraeli
riconobbe il peso dei lavoratori e ampliò il suffraggio. 1868: Gladstone tornò al governo  grandi riforme
(scuola, pubblica amministrazione, voto palese). 1874: di nuovo Disraeli, conservatore ma che proseguì la
via delle riforme, ad esempio della politica estera, adattata al nuovo ordine bismarckiano europeo 
concentrazione sulle colonie. Disraeli tentò un conservatorismo popolare con riforme a favore dei lavoratori
e delle Trade Unions, per poi essere sconfitto alle consultazioni elettorali del 1880. Nuovamente al potere,
Gladstone mantenne l’indirizzo imperialistico della politica estera, allargò il corpo elettorale ulteriormente
e tentò di trovare una soluzione alla questione irlandese (prima con la riforma agraria del Land Act del 1881,
poi con la Home Rule, che se approvata avrebbe concesso ampia autonomia all’isola); proprio su questo il
Primo Ministro si scontrò con gli unionisti (tra cui Chamberlain), che lo abbandonarono causando la caduta
del governo.
4.10 La Russia di Alessandro II. La Russia era invece lo Stato più arretrato: un terzo della sua intera
popolazione era costituito da servi della gleba, il cui lavoro era organizzato secondo il sistema dei mir ed era
dominato da una aristocrazia terriera da Ancien Regime. L’Impero zarista era del tutto privo di istituzioni
rappresentative ed era un gigantesco apparato burocratico-poliziesco. In compenso la vita intellettuale era
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a dir poco vivace (Dostojevskij, Tolstoj, Gogol) e in base ai suoi rapporti con la cultura europea si divideva in
due gruppi, occidentalisti e slavofili. Qualche speranza iniziò a filtrare alla morte di Nicola I cui successe
Alessandro II, che stabilì una serie di riforme, la più importante delle quali era certamente l’abolizione della
servitù della gleba, che tuttavia, per quanto importante per il progresso civile, finì per scontentare tanto la
borghesia quanto i contadini (che dovettero rinunciare, pur da liberi cittadini, all’acquisto delle terre,
troppo care per le loro tasche e più piccole di quelle che erano abituati a lavorare)  delusione presto si
trasformò in rivolte. Fine dell’apertura di Alessandro II, che riprese con censura, controlli polizieschi,
repressione degli oppositori (come i rivoltosi polacchi, russificati forzatamente). Da tutto ciò scaturì specie
tra i giovani un rifiuto totale per l’ordine costituito, che sfociava o nel pessimismo radicale e anarchico dei
nichilisti o nel variegato e anti-paternalista populismo, che facendo leva su un socialismo agrario si
accostava con sforzo sincero ai problemi dei più poveri. Alessandro II fu assassinato da un anarchico nel
1881.
5 - I nuovi mondi: Stati Uniti e Giappone.
5.1 Sviluppo economico e fratture sociali negli Stati Uniti. A metà dell’ ‘800 gli Stati Uniti erano un Paese in
piena espansione: popolazione in aumento, territorio in espansione verso Ovest, agricoltura progredita (su
base capitalista nel Midwest), sviluppo industria nel Nord-Est; tuttavia fratture sociali  tre diverse
società: Stati del Nord-Est, nucleo originario dell’Unione, zona più ricca e progredita (New York,
Philadelphia, Boston), centro dei commerci con Europa, sorretto da un capitalismo imprenditoriale; Stati
del Sud, prevalentemente agricoli, concentrati sulla produzione di cotone gestita da grandi proprietari
(simili all’aristocrazia) sulle spalle della manodopera di schiavi neri; Stati dell’Ovest, liberi agricoltori e
allevatori, società e mercato in espansione, ma impregnati dello spirito della frontiera, individualista e
egualitario. Il cotone fu fondamentale per l’economia del Nord, finchè l’industrializzazione non accrebbe le
possibilità produttive verso altri settori  si allentò così il legame Nord-Sud e il rapporto di mutua
necessità cessò di essere  si aprì così la disputa sulla schiavitù, con un Sud schiavista che voleva
estendere all’Ovest lo sfruttamento di schiavi neri per nuove piantagioni e un Nord abolizionista contrario.
Conseguenze anche politiche: il Partito democratico (Jefferson) sosteneva i grandi proprietari del Sud e il
liberismo economico, il Partito whig si riallacciava invece al federalismo di Hamilton ed era sostenuta dalla
borghesia nordista. Il primo a metà secolo perse consensi, il secondo si dissolse  dalle sue ceneri nacque
il Partito repubblicano antischiavista, portatori degli ideali degli industriali del Nord e dei coloni dell’Ovest
 Abraham Lincoln.
5.2 La guerra di secessione e le sue conseguenze. La vittoria di Lincoln fu interpretata come l’inizio della
riscossa degli interessi del Nord industriali, della centralizzazione del potere e dell’emarginazione del Sud
schiavista  tra 1860 e 1861 undici Stati del Sud si staccarono dall’Unione e crearono una Confederazione
con capitale Richmond, Virginia  reazione del potere federale, che portò alla guerra civile quando le
truppe confederate attaccarono l’unionista Fort Sumter in South Carolina. I confederati di Robert Lee erano
più preparati e confidavano nell’appoggio britannico, il Nord era più numeroso e ricco. Quando Londra non
si fece avanti però, le iniziali vittorie sudiste vennero via via più rare e i nordisti iniziarono a riguadagnare
terreno, specie dal ’63 in avanti, quando le truppe federali guidate da Grant sconfissero i confederati a
Gettysburg. L’anno dopo una offensiva nordista attraverso Tennessee e Georgia sbaragliò i sudisti 
nell’aprile 1865 il Sud si arrese e pochi giorni dopo Lincoln fu assassinato. Prima guerra totale dei nostri
tempi, portata avanti con l’apporto dei nuovi mezzi di comunicazione e le nuove invenzioni tecnologiche, le
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popolazione alla fine coinvolte; nel corso del conflitto Lincoln fu costretto a spingersi oltre i programmi e
nel 1862 liberò tutti gli schiavi del Sud, la cui condizione certo non migliorò.  vittoria nordista non
cancellò le disuguaglianze sociali né i pregiudizi razziali nei confronti dei neri. Il Sud era praticamente
occupato e guidato da radicali repubblicani  reazione di rigetto, prima lotta clandestina (Ku Klux Klan),
poi riscossa del Partito democratico. Una vera segregazione al Sud, ma gli USA uscirono più forti di prima
dalla guerra.
5.3 Nascita di una grande potenza. Negli ultimi decenni dell’Ottocento gli Stati Uniti conobbero uno
sviluppo straordinario in ogni senso; la colonizzazione dell’Ovest, facilitata dallo sviluppo delle ferrovie
(1869: completamente prima transcontinentale), riprese a pieno regime e si potè dire conclusa nei primi
anni ’90, a discapito dei pellirosse, decimati e confinati nelle riserve (nonostante avessero vinto qualche
battaglia). Lo sviluppo capitalistico sembrava inarrestabile, per la grande disponibilità di risorse e di
manodopera, proveniente da ogni angolo del mondo, quando nel 1882 il governo aprì le frontiere USA a
tutti ( melting pot). Per quanto fossero in un paese ancora prevalentemente agricolo, le metropoli
americane crescevano a dismisura con le loro industrie e i loro centri finanziari, ma contemporaneamente
si acuivano i contrasti sociali e aumentavano le sacche di povertà. In politica estera gli Stati Uniti non erano
molto attivi, pensavano più che altro alla loro crescita interna e alla frontiera dell’Ovest: la stessa dottrina
Monroe del 1823 aveva fino ad allora avuto un mero carattere difensivo; sia politicamente che
commercialmente gli USA avevano poco a che fare con il Sudamerica  avevano tante questioni interne da
risolvere. Un unico sussulto si ebbe con il tentativo di Napoleone III di stabilire un Impero in Messico: i
repubblicani di Benito Juarez in quell’occasione ricevettero molti aiuti da Washington.
5.4 La Cina, il Giappone e la penetrazione occidentale. A metà del secolo Cina e Giappone dovettero
fronteggiare i tentativi occidentali di garantirsi una presenza commerciale in Estremo Oriente, che aprirono
ferite profonde in queste società. La Cina era già allora lo Stato più popoloso del mondo, caratterizzato da
un forte potere centralizzato, nelle mani dell’imperatore e dei suoi rappresentanti, i mandarini, che
controllavano persino l’agricoltura. L’Impero cinese non intratteneva relazioni commerciali o diplomatiche
con altri paesi, questo mostrava solo la profonda debolezza di una società da secoli chiusa, irrigidita,
impossibilitata a progredire, che entrò in crisi irreversibile al primo contatto con l’Occidente. 1839, scoppia
la prima guerra dell’oppio, contro la Gran Bretagna che stravinse e impose alla Cina il trattato di Nanchino
(Hong Kong andava a UK, e quattro porti cinesi venivano aperti ai commercianti stranieri). L’Impero ora
vulnerabile fu sconvolto da una violenta crisi interna, culminata con la rivolta dei Taiping, e da una nuovo
conflitto, la seconda guerra dell’oppio (1856-60), che aprì definitivamente la strada al commercio
occidentale. Inizialmente accadde la stessa cosa al Giappone, organizzato secondo un rigidissimo schema
feudale che vedeva al vertice il potere simbolico dell’imperatore (mikado) e quello concreto e forte degli
shogun Tokugawa (dinastia di feudatari che da 200 anni guidavano l’Impero come sovrani assoluti); sotto di
loro i daimyo, pochissimi grandi feudatari con enorme poteri; ancora sotto i samurai, piccola nobiltà in
decadenza. Pochissime industrie, l’attività produttiva di maggior rilievo in Giappone era l’agricoltura (specie
il riso). Cina e Giappone avevano retto per secoli nonostante i loro sistemi statici e arcaici, grazie al totale
isolamento dal resto del mondo. 1854, gli Stati Uniti riuscirono a convincere lo shogun a firmare una serie
di trattati commerciali che rompendo l’isolamento, aprirono ai mercanti occidentali anche i porti nipponici.
5.5 La “restaurazione Meiji” e la nascita del Giappone moderno. Se la Cina, dopo i primi contatti con
l’Occidente entrò in crisi, il Giappone reagì in maniera diversa: 1858, dopo la firma dei trattati ineguali i
feudatari e i samurai guidarono una rivolta contro lo shogun, che fu destituito, e spostarono la capitale a
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Tokyo basando il nuovo ordine sul potere dell’imperatore  restaurazione Meiji, ma intellettuali, militari e
funzionari compresero il legame tra l’inferiorità politica e militare del Giappone e l’arretratezza delle sue
strutture economico-sociali; decisero di colmare questa lacuna, lo fecero con rapidità e risolutezza. Il
Giappone passò da sistema feudale a Stato moderno, abolendo feudalesimo, istituendo uguaglianza,
istruzione elementare obbligatoria, esercito nazionale e sistema fiscale. La modernizzazione fu anche
economica, in agricoltura e soprattutto in industria, grazie a elevati investimenti statali e acquisizioni di
tecnologia straniera; le infrastrutture si svilupparono. Dal 1868 in avanti quindi il Giappone fu interessato
da un fenomeno unico nella storia, una rivoluzione dall’alto, che in nessun modo coinvolse le classi inferiori
nè portò allo sviluppo di istituzioni democratiche e liberali  l’oligarchia feudale divenne oligarchia
industriale. Contemporaneamente vennero mantenute tutte le antiche tradizioni. A fine ‘800 il Giappone
era già una potenza mondiale.
6 – La seconda rivoluzione industriale.
6.1 Il capitalismo a una svolta: concentrazioni, protezionismo, imperialismo. L’ultimo trentennio
dell’Ottocento vide delle enormi trasformazioni dell’economia capitalistica, che diedero vita alla seconda
rivoluzione industriale. Nel 1873 scoppiò una improvvisa crisi di sovrapproduzione (non recessione, solo
rallentamento), risultato delle mutazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche, che permisero di
abbassare i costi di produzione. Vi fu un rallentamento globale dei ritmi produttivi, che assunse forme e
durate diverse. Il commercio continuò regolare e il livello di vita in media crebbe, essendo aumentato il
potere di acquisto. Gli imprenditori, di fronte alle nuove dinamiche presentate dal mercato e alla
concorrenza sempre più accanita, cercarono soluzioni al di fuori dei canoni liberisti  grandi consociazioni
(holdings), consorzi (cartelli o pools), concentrazioni tra imprese indipendenti (trusts): queste ultime
potevano essere orizzontali (se associavano aziende operanti nel medesimo settore) o verticali (diverse fasi
di lavorazione del prodotto), e spesso sfociavano in regimi di monopolio (la Standard Oil di John
Rockefeller). Naturalmente le banche giocarono un ruolo fondamentale, essendo le uniche in grado di
garantire costanti flussi di capitale di investimento  compenetrazione tra banche e imprese (capitalismo
finanziario secondo i marxisti) fu il motore del sistema economico. Vi fu una maggiore ingerenza statale
nell’economia, che sfociò in misure protezionistiche molto severe (dazi doganali), che dovevano favorire la
produzione interna limitando IMP. Unica eccezione: GB, che fu doppiamente danneggiata, vedendo da un
lato ridursi gli sbocchi di mercato per le sue merci, dall’altro la crescita delle imprese straniere  industrie
tedesche e statunitensi (specializzate nelle nuove branche dell’industria) superarono quelle inglesi. Londra
reagì intensificando scambi con colonie: la corsa ai nuovi mercati di sbocco e alle materie prime non fu
prerogativa inglese  età dell’imperialismo.
6.2 La crisi agraria e le sue conseguenze. Il settore più colpito dalla crisi di fine Ottocento fu quello agricolo;
l’agricoltura europea restava frenata da squilibri impressionanti: se infatti in gran parte dell’Europa
occidentale le innovazioni agricole (fertilizzanti chimici, rotazione, nuove colture, meccanizzazione) davano
già i loro frutti, nella fascia mediterranea del continente il latifondo e l’arretratezza delle attrezzature
inchiodavano la produzione su livelli bassissimi. Quando i prodotti della nuova agricoltura americana (ogni
contadino del Midwest poteva arrischiarsi ad investire) raggiunsero i mercati europei, i prezzi crollarono
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bruscamente, mandando in rovina numerose aziende agricole  disoccupazione, fame, miseria  tensioni
sociali e movimenti migratori, soprattutto verso gli Stati Uniti (con il passare degli anni emigravano per lo
più latini e slavi, non più tedeschi, inglesi e irlandesi). La crisi agraria spinse i governi ad imboccare la via del
protezionismo, che pur tamponando parzialmente gli effetti del tracollo ebbe costi sociali altissimi:
danneggiò i consumatori e procrastinò ulteriormente l’ammodernamento delle tecniche  il generale
declino del settore agricolo era ormai inarrestabile.
6.3 Scienza e tecnologia. La seconda rivoluzione industriale fu diversa dalla prima, in quanto fece sentire i
suoi effetti su un’area più vasta ed ebbe una diffusione più capillare, facendo un uso continuo della scienza
e dei suoi grandi personaggi (Hertz, Marconi, Edison…..), le cui scoperte mutarono le abitudini e i
comportamenti futuri di milioni di persone (ascensore, telefono, lampadina, grammofono, pneumatici,
bicicletta, tram elettrico, automobile, macchina da scrivere…). Era il trionfo della scienza, e un legame
inscindibile nasceva tra essa e la tecnologia e tra la tecnologia e la produzione  quindi tra scienza e
economia.
6.4 Le nuove industrie. I rinnovamenti tecnologici più interessanti si concentrarono in industrie “giovani”,
come la chimica e la produzione dell’acciaio, insieme al settore elettrico. L’acciaio iniziò ad essere utilizzato
su larghissima scala, quando grazie a nuove tecniche fu possibile produrne in grandi quantità a prezzi
inferiori  fu utilizzato nei campi più disparati, dalle rotaie dei treni alle corazze delle navi da guerra; se ne
servì molto l’ingegneria civile (1889: Tower Building di NYC e la Tour Eiffel parigina). Anche la chimica fece
passi da gigante, legandosi agli altri settori con un rapporto causa-effetto  alluminio, coloranti artificiali,
fibre tessili nuove, pneumatici, dinamite di Nobel. Grande utilità ebbe nella produzione dei prodotti
“intermedi” (acido solforico, soda) e nello sviluppo dei settori farmaceutico e alimentare: per la prima volta
nella storia fu possibile conservare cibi deperibili e trasportarli a grande distanza dai luoghi di produzione.
6.5 Motori a scoppio ed elettricità. Macchina a vapore e carbone stanno alla prima rivoluzione industriale
come motore a scoppio ed elettricità stanno alla seconda. Il motore a scoppio fu studiato dagli anni ’50 in
avanti, e le prime automobili arrivarono nel 1885, ma fu solo nel periodo della IGM che la produzione in
serie prese piede  estrazione del petrolio, molto costoso, anche se utile  il carbone restava
combustibile più usato. Altra grande protagonista del periodo fu l’elettricità: dalla pila di Volta alle dinamo
ai motori elettrici, questa forma di distribuzione della energia si fece largo nel mondo, culminando nel 1879
con l’invenzione della lampadina da parte di Edison. Nacquero così centrali termiche, che permisero per la
prima volta l’illuminazione pubblica elettrica, e non a gas. Presto si cominciò a fare ricorso alla potenza
dell’acqua e vennero costruite numerose centrali idroelettriche. Il settore elettrico svolse un ruolo di primo
piano nella modernizzazione ed ebbe effetti incredibili sull’interà società (illuminazione e trasporti, ad
esempio, ma anche telefono, grammofono e cinematografo).
6.6 Le nuove frontiere della medicina. Rimasta immobile per secoli, in questo periodo anche la medicina
subì delle evoluzioni profonde, poggianti su quattro cardini fondamentali: 1) la diffusione delle pratiche
igieniste  strategie di prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche attraverso un azione
sull’ambiente, non l’individuo; 2) lo sviluppo della microscopia ottica (Koch e Pasteur) e la successiva
scoperta dei microrganismi responsabili di alcune malattie infettive; 3) i progressi della chimica e della
farmacologia  nuovi farmaci (pratica della anestesia chirurgica, scoperta dell’aspirina e del Ddt); 4) nuova
ingegneria sanitaria  osservazione sistematica del malato, seguito ora in grandi policlinici organizzati.
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6.7 Il boom demografico. La rivoluzione tecnologica non migliorò solo la qualità della vita, ne aumentò
anche la durata media: i progressi di medicina e igiene, gli sviluppi dell’industria alimentare, la quasi totale
eliminazione delle epidemie e delle carestie portò la vita dell’uomo europeo a durare in media circa 50
anni, dai 40 della metà dell’Ottocento. La popolazione europea crebbe del 60% in cinquant’anni, quella
americana quadruplicò. Ma alla caduta della mortalità si accompagnava anche una diminuzione della
natalità, tendenza spesso riscontrata nei paesi più sviluppati economicante, sintomo di un atteggiamento
nuovo che mira a programmare razionalmente la famiglia e il suo futuro. Europa: 425 milioni di abitanti.
Nord America: 80 milioni di abitanti.
7 - Imperialismo e colonialismo.
7.1 La febbre coloniale. Le potenze europee sul finire dell’Ottocento e in un brevissimo lasso di tempo
costituirono degli immensi imperi coloniali, ampliando i loro possedimenti d’oltremare: ma non era la
colonizzazione tradizionale, erano invece a sfruttamento economico e ad assoggettamento politico che le
colonie e i protettorati erano esposti. Non solo GB e Francia, ma furono colti dalla febbre coloniale anche
Germania, Belgio, Italia, e poi Giappone e USA. Ben presto gran parte dell’opinione pubblica e della classe
dirigente si faceva fautrice del colonialismo, che divenne preoccupazione primaria dei governi, mentre nei
decenni precedenti era stata prerogativa privata. Motivazioni economiche: materie prime a basso costo,
sbocchi commerciali, investimenti ad alto profitto; ma accanto a queste (comunque relative, visto che in
realtà pochissimo si investiva nelle colonie e la maggioranza dei commerci avveniva tra paesi
industrializzati) vi erano motivazioni politico-ideologiche, che avevano le loro radici nella cultura positivista,
nel nazionalismo, nel razzismo, persino nello spirito missionario. In particolare la GB aveva l’idea del
“fardello dell’uomo bianco”, che in quanto superiore deve redimere i popoli selvaggi. Era un paternalismo
non privo di una componente positivista e umanitaria, ispirato e stimolato dalle avventure dei grandi
esploratori, da Livingstone a Burton e Speke che scoprirono le sorgenti del Nilo. Alla fine del processo di
espansione, il mondo era totalmente spartito in imperi e zone di influenza.
7.2 Colonizzatori e colonizzati. L’Europa esportò spesso nelle colonie la sua parte peggiore: la violenza era
sistematica contro i locali, vittime di crudeltà inaudite e massacri indicibili; dal punto di vista economico vi
furono molte migliorie apportate dai colonizzatori (come nuovi appezzamenti coltivati, nuove tecniche
agricole, nuove attività produttive), ma questo processo di sviluppo era in funzione dell’interesse degli
europei, che in pratica non facevano che mettere in opera uno sfruttamento coloniale, che modificò i
sistemi economici locali basati su autoconsumo e commerci interni e fece passare le popolazioni ingidene
dalla povertà al sottosviluppo. La cultura, per quanto i modelli coloniali fossero molto diversi gli uni dagli
altri (gli inglesi erano rispettosi dei locali, i francesi per niente), fu brutalmente alterata o distrutta
dall’arrivo dei colonizzatori, soprattutto dove vi erano sistemi sociali meno organizzati (Africa nera, mentre
Asia e Africa settentrionale si difesero meglio). Per contro, sul piano politico gli europei portarono al
risveglio dei nazionalismi locali.
7.3 L’espansione in Asia. La presenza europea in Asia era già consolidata da tempo, ma nel 1869, con
l’apertura del canale di Suez (controllato da Parigi e Londra), questa corsa all’Oriente divenne ancora più
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febbrile; le direttrici rimasero le stesse: UK consolida il dominio sull’ India (la sua perla, anche se possiede
anche Ceylon, Hong Kong, Singapore…), la Francia prosegue la sua penetrazione in Indocina, l’Impero russo
spinge su Estremo Oriente e Asia centrale. Intanto ai portoghesi Macao e Goa. Agli spagnoli le Filippine. Agli
olandesi l’Indonesia. India: risorsa incommensurabile per Londra, grande mercato di sbocco; era una
enorme nazione gestita dalla Compagnia delle Indie orientali. Nonostante già un secolo di presenza inglese
la società indiana non era cambiata molto: agricoltura poverissima reggeva l’economia, sistema di caste,
industria cotoniera locale distrutta da concorrenza brit, potere centrale Moghul ridicolmente debole. I brits
tentarono occidentalizzazione e modernizzazione appoggiandosi al sistema sociale già esistente  però ci
sono reazioni: dopo la rivolta del Sepoys, la Compagnia delle Indie è abolita e la colonia è amministrata dal
viceré. Ristrutturazione del sistema, basata sulla collaborazione tra inglesi ed elementi indigeni fedeli alla
corona (indirect rule), le ferrovie permisero controllo militare più capillare. Vittoria proclamata imperatrice
d’India nel 1876. Come per emulare i brits, i francesi iniziano la penetrazione in Indocina, di religione
buddista e divisa in regni orbitanti attorno alla Cina: Annam, Siam e Cambogia. Inizialmente era solo una
presenza commerciale in alcune basi, poi col pretesto di difendere i missionari arriva l’intervento militare
 prima fase: 1862, occupazione Cocincina; 1863, protettorato sulla Cambogia. Seconda fase, anni ’80:
dopo tre anni di guerra con Cina annettono tutto Annam. La rispettiva paura spinse Francia e GB ad
occupare rispettivamente Laos e Birmania e a stabilire come stato-cuscinetto il Siam. A nord, invece, gli
inglesi erano minacciati dalla Russia, che si spingeva da un lato verso EO e il Pacifico attraverso la Siberia
(che in 50 anni vide raddoppiata popolazione e una crescita produttiva considerevole, ad opera dello stato):
alcune regioni furono cedute dalla Cina, 1860, anno di nascita di Vladivostok, sul Mar del Giappone. 1867:
Alaska ceduta a USA. 1891: avvio costruzione Transiberiana Mosca-Vladivostok. Entro l’’85, in Asia Centrale,
lo zar conquistò il Turchestan, zona fondamentale  guerra per procura con GB attraverso le tribù locali.
1885: accordo = Afghanistan indipendente, ma sotto influenza brit. Nel Pacifico si espandevano GB e
Germania, ma si affacciavano anche USA e Giappone. Quest’ultimo mosse guerra alla Cina nel 1894, la
sconfisse di brutto e si fece cedere Corea e Formosa. Indebolimento della Cina giovò agli europei. Il rischio
di disfatta imperiale spinse in Cina alla nascita di un movimento conservatore, nazionalista e xenofobo, i
boxers, che volevano ripristinare l’antico ordine cercando di scacciare gli stranieri, oggetto di continue
violenze  1900: USA e Giappone intervennero e Pechino fu occupata. Ma la Cina non si poteva spartire, a
causa del nazionalismo fortissimo, la cui sconfittà aprì la strada ad un movimento democratico e
occidentalizzante.
7.4 Le origini dell’imperialismo americano. USA non potevano attuare il colonialismo di stampo europeo
senza tradire i loro principi di nazione nata da una rivolta coloniale  colonialismo informale, ovvero
controllo economico attraverso EXP. Alcuni volevano l’esportazione dei principi americani. Dure direttrici:
Pacifico, continuazione della “corsa all’Ovest”, e America Latina, su cui secondo una aggiornata dottrina
Monroe si esercita un controllo economico e una tutela politica. 1895: intervento a Cuba, a supporto dei
locali contro la presenza spagnola. Una corazzata affondata è il casus belli  Spagna sconfitta deve cedere
Porto Rico e le Filippine. Nel Pacifico furono annesse le Hawaii, fondamentale punto di appoggio per le
rotte ocenaniche  in pochi mesi USA si erano affacciati sul mondo con forza.
7.5 La spartizione dell’Africa. Le antiche civiltà africane erano un ricordo all’arrivo degli europei, debellate
da guerre, decadenza commerciale e schiavitù, prima islamica poi europea: antichi regni del Ghana e del
Mali erano scomparsi, c’erano solo potentati locali e diverse tribù; elemento coesivo: Islam. Etiopia: impero
compattamente cristiano. Alcuna coesione invece nell’Africa centrale e meridionale: società tribali
disaggregate e funestaste da guerre intestine sanguinosissime (zulu). I primi atti dell’espansione sono nel
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1881 l’occupazione francese della Tunisia e nel 1882 quella inglese dell’Egitto, entrambe formalmente
ottomani. Paesi in cui modernizzazione era fallita: per evitare la bancarotta UK e Fr li occupano. Parigi entra
dall’Algeria e impone protettorato a Tunisi  reazione in Egitto, dove Arabi Pascià nazionalista inizia una
rivolta antieuropea, sedata poi dagli inglesi che occupano il Paese. Dall’Egitto si lanciano contro il Mahdi del
Sudan, integralista islamico fautore di una teocrazia  guerra santa, sedata da Londra solo nel 1898.
Azione unilaterale brit  Francia se la prende  rivalità ventennale e corsa alla conquista dell’Africa nera.
Contrasti nel bacino del Congo, dove Leopoldo II con scuse umanitarie crea una colonia personale in pratica
(minerali del Katanga). Lite con Portogallo per la foce del Congo  Conferenza di Berlino, 1884-85, stabilì i
principi della spartizione dell’Africa: effettiva occupazione, ma questa peggiorò le cose e accelerò la corsa.
Spartizione totale: Congo a Leopoldo, Togo e Camerun a Germania, Niger basso a GB mentre la Francia
dopo dieci anni di guerra con islamici riuscì a controllare immensi territori, per lo più desertici, che
andavano dall’Atlantico al Sudan e dal Congo al Mediterraneo. Londra si concentra sull’Africa orientale,
importante per l’Oceano Indiano; tra 1885 e 1895 partendo dal Capo risalgono fino allo Zambesi e al lago
Nassa, prendono Kenya e Uganda  volevano un collegamento nord-sud lungo l’asse nilotico dal Capo al
Cairo, impossibile per il Tanganika tedesco; in cambio hanno Zanzibar. Incidente di Fashoda, Sudan, tra GB
e Fr: niente guerra perché Parigi desiste. Inizio Novecento: Africa tutta spartita, con confini arbitrari e
sballati, che saranno gli stessi delle indipendenze. Allora restavano liberi e autonomi Liberia, Etiopia,
Marocco e Libia.
7.6 Il Sud Africa e la guerra angle-boera. Caso particolare di conflitto tra una potenza coloniale europea e
un nazionalismo locale europeo. Boeri, discendenti dei contadini olandesi del Seicento stanziatisi al Capo di
Buona Speranza, era caduti sotto il dominio inglese quando Londra ottenne la colonia del Capo.
Inizialmente fuggirono verso l’Orange e il Transvaal, finchè non vi furono scoperti i diamanti. GB di nuovo
interessata: politica aggressiva di Cecil Rhodes, fautore del grande ordine inglese in Africa e dell’asse CapoCairo, che finì per circondare le due repubbliche boere piazzandosi anche nello Zambesi (poi Rhodesia).
Attorno al 1885 molti inglesi si trasferiscono dai boeri quando sono scoperti giacimenti di oro  nuove
tensioni, anche perché tra inglesi e boeri c’erano visioni opposte della società, specie indigene. 1899:
Kruger, presidente del Transvaal, dichiarò guerra alla GB  conflitto lungo e violento. Vittoria inglese dopo
parecchi anni, ma i boeri ottengono statuti autonomi e di fatto collaborarono con Londra nella gestione e lo
sfruttamento delle enormi risorse metallifere e minerarie dell’Unione Sudafricana.
8 - Stato e società nell’Italia unita.
8.1 L’Italia nel 1861. Dei 22 milioni di italiani pochissimi parlavano la lingua italiana, invece usavano il
dialetto; del resto il 78% di loro era analfabeta. L’Italia era uno dei paesi più urbanizzati d’Europa: il 20%
della popolazione viveva nelle città, dove però mancavano strutture produttive: il 70% della popolazione
attiva era impegnato nell’agricoltura, settore che occupava il 58% del PIL. Agricoltura povera tra l’altro, per
le condizioni naturali  produttività bassa. Nell’area padana esistevano alcune aziende capitalistiche
moderne che impiegavano manodopera salariata, mentre nel centro della penisola dominava ancora la
mezzadria, un tipo di contratto che se da un lato caricava di immensi oneri il contadino impedendo uno
sviluppo dell’agricoltura, dall’altro manteneva una certa pace sociale. Nel Mezzogiorno e nelle isole c’era
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invece il latifondo (immensi terreni, pochi borghi), ancora segnato dal sistema feudale da poco abolito
(contratti agrari arcaici). I contadini italiani erano poverissimi, avevano un bassissimo livello di vita, erano
malnutriti (pellagra), vivevano in condizioni disumane. La realtà agricola non era affatto conosciuta da
borghesia e opinione pubblica, perché mancavano dati e comunicazioni interne alla penisola; i politici si
disinteressarono sempre del Sud, considerandolo come un pezzo di Africa. Era un realtà mal conosciuta e
mal compresa.
8.2 La classe dirigente: Destra e Sinistra. I successori di Cavour continuarono la sua politica accentratrice,
laica e liberista, ma senza il suo genio politico. Nel primo quindicennio di unità il Paese fu governato da un
gruppo dirigente costituito soprattutto da lombardi, piemontesi, emiliani e toscani. Meno rappresentati
erano i meridionali. Tuttavia era un gruppo piuttosto omogeneo, di origine aristocratica e politicamente
moderata: era la cosiddetta “Destra storica”. La vera destra (clericali e nostalgici dei vecchi regimi) si era
autoesclusa, di fatto come la sinistra mazziniana più radicale e i repubblicani più intransigenti, lasciando
sedere ai banchi dell’opposizione in Parlamento la vecchia sinistra piemontese e i patrioti mazziniani e
garibaldini che si inserivano nelle istituzioni monarchiche (per cambiarle). La Sinistra aveva una base sociale
più ampia (piccolo e medio-borghesi urbani e operai e artigiani)  nei primi anni si concentrò sulle
rivendicazioni risorgimentali: suffragio universale, decentramento amministrativo, completamento
dell’unità. Destra e Sinistra erano espressione di un “paese legale”, poco rappresentativo del “paese reale”.
Il sistema piemontese era stato allargato a tutto il Regno, di fatto la vita politica aveva un carattere
oligarchico e personalistico. Mancavano partiti, la lotta politica era incentrata su singole personalità,
dominata da pochi notabili e condizionata dall’esecutivo. Incapacità politica di capire i fermenti della
società italiana  isolamento della classe dirigente.
8.3 Lo Stato accentrato, il Mezzogiorno, il brigantaggio. Sebbene in teoria i leaders della Destra fossero
favorevoli al decentramento, le necessità incombenti del primo periodo unitario li spinsero a prediligere un
modello più napoleonico, gerarchico e accentrato. Tra il 1859 e il 1860 il ministro La Marmora, sfruttando il
potere straordinario derivatogli dalla stato di guerra, emanò una serie di leggi sui settori-chiave del paese: a
volte estendeva a tutto il territorio le leggi piemontesi, altre volte ne creava di nuove, come quelle Casati
sull’istruzione o quella Rattazzi sui comuni. Leggi unificatrici, prima provvisoriamente, poi definitivamente
col secondo governo Ricasoli. Altro motivo per cui fu preferito l’accentramento era la situazione precaria
del Sud: il malessere del meridione si univa alla diffidenza verso un governo lontano geograficamente,
socialmente ed emotivamente  disordini, rivolte (sovvenzionati dalla corte borbonica in esilio a Roma),
brigantaggio: queste bande mettevano a ferro e fuoco i piccoli comuni  nel 1863 la metà dell’esercito
italiano era stanziato al Sud per reprimere il fenomeno. Nelle province interessate vigeva una sorta di
regime di guerra. Nel giro di pochi anni il grande brigantaggio fu sconfitto. Ma i motivi che lo avevano
scatenato restarono tutti, in primo luogo il problema della terra: i contadini volevano la proprietà della
terra, la divisione dei terreni demaniali proseguiva invece lentissima; nemmeno la vendita dei beni
ecclesiastici sortì gli effetti desiderati, perché gli appezzamenti furono acquistati dai grandi proprietari
terrieri. La questione meridionale nasce qui, quando l’inadempienza politica della Destra accrebbe il divario
tra Nord e Mezzogiorno.
8.4 La politica economica: i costi dell’unificazione. Restava il problema dell’unificazione economica, cioè da
un lato uniformare sistemi monetari e fiscali diversi e di abbattere le barriere doganali, dall’altro costruire
una efficiente rete di comunicazioni stradali e ferroviarie. I principi liberisti del Regno sardo vennero estesi
a tutta l’Italia, mentre le vie di comunicazione crescevano a ritmi vertiginosi: in dieci anni triplicarono i
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chilometri di binari, furono collegate le principali città  esportazioni possibili  agricoltura si sviluppa.
Castigato invece dalla concorrenza internazionale fu il settore industriale, in particolare nel Mezzogiorno. La
classe dirigente non seppe dare impulso ai settori più importanti ai fini della crescita, non vedendo altro
schema se non quello liberista, che di fatto ebbe alcuni effetti positivi, come la rapida integrazione
dell’Italia nel contesto economico europeo e la crescita del settore agricolo, con conseguente accumulo di
capitali destinati alla costruzione delle infrastrutture. Restava un Paese poco sviluppato, nonostante grandi
progressi, che raramente andavano a beneficio del popolo tutto. Tenore di vita rimane basso, schiacciato
da una durissima politica fiscale, necessaria a coprire i costi dell’unificazione. Essa inizialmente era
equilibrata, e divisa in imposte dirette e indirette. Con la guerra contro l’Austria l’onere fiscale crebbe sulle
spalle degli italiani, furono introdotti il corso forzoso e la famosa tassa sul macinato, in pratica sul pane 
prime agitazioni sociali nel 1869, le più preoccupanti nella pianura Padana, represse duramente. Se non
altro nel 1875 fu raggiunto l’obiettivo del pareggio del bilancio, ma il malcontento era diffuso a tutti i livelli,
e avrebbe contribuito alla caduta della Destra.
8.5 Il completamento dell’unità. Mancavano ancora il Veneto, il Trentino, Roma e il Lazio, tutti erano
d’accordo su questo. Roma sarebbe stata capitale, già a detta di Cavour. La divergenza era sulla strategia da
seguire: la Destra preferiva la via diplomatica, la Sinistra la guerra popolare di liberazione. La presenza del
Papa a Roma era il vero problema, in quanto egli era protetto da Parigi, e la Francia era il primo partner
commerciale dell’Italia. Il clero e il cattolicesimo erano radicatissimi sul territorio italiano  questione
spinosa. “Libera Chiesa in libero Stato”, diceva Cavour, che tentò la via diplomatica con Pio IX ma senza
successo, come Ricasoli. L’iniziativa democratica si rifece largo dunque, con il progetto di conquista di
Roma, per poi mettere le grandi potenze di fronte al fatto compiuto, ma l’intransigenza di Napoleone III
spinse Vittorio Emanuele II a sconfessare l’impresa garibaldina  stato d’assedio in Sicilia e nel
Mezzogiorno  scontro dell’Aspromonte. Dopo vi fu la Convenzione di settembre con la Francia: capitale
da Torino a Firenze, e ritiro francese dal Lazio in cambio del rispetto dei confini pontifici da parte dell’Italia.
Intanto giunse la possibilità di liberare il Veneto: l’alleanza dell’Italia con la Prussia permise a Bismarck di
sconfiggere gli austriaci a Sadowa, nonostante le disfatte del nostro esercito incapace a Custoza e Lissa;
dalla pace di Vienna del 1866 l’Italia ottenne il Veneto. Le sconfitte però gettarono il Regno nello sconforto
e gli strascichi furono pesanti sul piano finanziario  un’altra volte i democratici approfittano della
situazione di crisi e sconforto: Mazzini intensificò la propaganda e Garibaldi progettò un nuovo attacco a
Roma, cercando stavolta di sfruttare l’appoggio dei patrioti romani che avrebbero dovuto insorgere per
permettere ai corpi volontari di entrare nell’Urbe  fu un altro fallimento, a cui si aggiunse la sconfitta di
Mentana ad opera dei francesi, il che chiuse l’epoca delle imprese risorgimentali. Infatti, nel 1870 fu la
caduta del Secondo Impero in conseguenza alla disfatta di Sedan a permettere all’Italia di avviare trattative
col Papa, e una volta fallite queste di conquistare Roma (breccia di Porta Pia)  annessione di Roma e del
Lazio. La successiva legge delle guarentigie assicurò al Papa la possibilità di svolgere il suo magistero
spirituale e prerogative simili ad un capo di Stato: la Chiesa era libera in uno Stato libero, Pio IX rifiutò la
dotazione annua per il mantenimento della corte papale offerta dal governo. Sciolta dal potere temporale
la Chiesa divenne più snella ed influente, ma non per questo meno intransigente con il governo italiano 
il non expedit divenne una sorta di regola per i cittadini, un divieto di partecipare alla vita pubblica 
ulteriore frattura nella società.
8.6 La Sinistra al potere. Con la Destra ormai frammentata, e gli avvenimenti della Comune parigina, la
Sinistra parlamentare si fece più moderata, e accanto alla Sinistra piemontese di Depretis e a quella storica
di Crispi e Cairoli, se ne fece avanti una giovane attenta ai propri interessi. Sulla questione della
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statalizzazione delle ferrovie la Destra si trovò in difficoltà e cadde con le dimissioni del governo Minghetti
 Depretis formò un nuovo governo, e alla elezioni del 1876 la Sinistra stravinse  al potere giunge una
classe dirigente nuova e inesperta, un’età finiva con le morti di Mazzini e Garibaldi. I tentativi si spinsero
verso una democratizzazione della vita politica e verso un allargamento delle basi dello Stato: la Sinistra
rispose bene alle necessità della borghesia, che la Destra non aveva mai considerato. Il protagonista era il
grande Agostino Depretis, esperto parlamentare piemontese che seppe mediare abilmente tra spinte
progressiste e tendenze conservatrici, governando per un decennio. Il programma della Sinistra:
allargamento suffragio universale, istruzione obbligatoria e gratuita, sgravi fiscali, decentramento
(proposito presto abbandonato). Legge Coppino sull’istruzione elementare  problema economico.
Riforma elettorale del 1882: corpo elettorale triplicato, anche se in realtà era appena il 7% della
popolazione a causa dell’ancora alto analfabetismo. Più che altro era un corpo elettorale più vario,
maggiormente rappresentativo del Paese intero. Tant’è vero che alle elezioni di quell’anno divenne
deputato il socialista Andrea Costa. Le preoccupazioni per il rafforzamento dell’estrema sinistra spinsero
Depretis a stipulare un accordo elettorale con Minghetti  trasformismo  ad un modello bipartitico di
stampo brit subentrò un sistema in cui un grande centro ingloba le opposizioni moderate ed esclude le ali
estreme. La maggioranza non era definita in base ad un programma, ma si creava giorno dopo giorno 
processo politico rallentato. Principale opposizione alle maggioranze trasformiste erano i radicali.
8.7 Crisi agraria e sviluppo industriale. La Destra era caduta anche per la sua pessima politica economica,
cui la Sinistra tentò di rimediare conciliando gli interessi della borghesia produttiva con quelli popolari.
1884: abolizione tassa sul macinato. Venne aumentata la spesa pubblica, che ebbe due risultati: se da un
lato avviò l’industrializzazione, dall’altro fece ricomparire il deficit nel bilancio statale, senza risolvere le
difficoltà economiche. Miglioramenti in agricoltura solo nelle zone più progredite, la pianura lombarda e il
Mezzogiorno delle colture “specializzate”. Bonifiche nella Bassa Padana. 1877: Inchiesta agraria di Jacini
mostrò che nulla era cambiato in venti anni al tenore di vita contadino  quadro drammatico
dell’agricoltura italiana. Servivano investimenti sostanziosi, ma mancava capitale (bonifiche, irrigazioni,
razionale avvicendamento delle colture)  crisi agraria a partire dal 1881. Per primi calarono i prezzi (a
parte quelli che non subivano la concorrenza d’oltreoceano), poi la produzione  conflittualità nelle
campagne, urbanizzazione, emigrazione (1881-1901: oltre due milioni di italiani emigrano). La crisi fece
aprire gli occhi a quanti si aspettavano una crescita basata sulla sola agricoltura, e diede una bella spinta al
decollo industriale, anche se dapprima lo ritardò. Dal 1878 c’è un primo cambio di rotta dal liberismo
all’introduzione di alcuni dazi doganali a protezione del tessile. Con la fondazione poi delle Acciaierie di
Terni fu chiaro che anche la siderurgica aveva bisogno di essere tutelata, come tutta l’industria e
l’agricoltura italiane  1887: grande svolta protezionistica con l’introduzione di pesanti dazi d’entrata e
nuove tariffe. Inizialmente ebbe effetti negativi: innanzitutto era sproporzionata la tutela data ai diversi
settori (la meccanica e la seta erano del tutto snobbate ed entrarono in crisi), il prezzo dei cereali crebbe
quando scese quello del grano, ma a pagare le conseguenze più pesanti fu ovviamente il Mezzogiorno, che
basava la sua economia sull’export, che la rottura commerciale, poi la guerra doganale con la Francia, suo
primo partner, debellò.
8.8 La politica estera: la Triplice alleanza e l’espansione coloniale. Per uscire da un odioso isolamento
diplomatico, che a Berlino aveva mostrato quanto poco l’Italia fosse considerata all’estero (immagine
ancora più chiara con l’occupazione francese della Tunisia da tempo nelle mire italiane), anche in
disaccordo con l’opinione pubblica, Depretis stipulò con Germania e Austria-Ungheria la Triplice alleanza
(1882)  trattato difensivo, che spinse l’Italia nel sistema di sicurezza bismarckiano, costringendola ad un
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impegno concreto in cambio della rinuncia alla rivendicazione delle terre irredente e alla protezione contro
un improbabilissimo attacco francese. L’irredentismo era ancora fortissimo (impiccagione del triestino
Oberdan). 1887: rinnovo della Triplice fu più propizio all’Italia, con due nuove clausole: la promessa di
eventuali ed eque spartizioni balcaniche con Vienna; e l’impegno tedesco ad intervenire a fianco dell’Italia
in caso di iniziativa francese in Marocco o Tripolitania (le aspirazioni coloniali si facevano largo).
Contemporaneamente inizia l’avventura coloniale africana: 1882, acquisto baia di Assab, occupazione di
Massaia. Si era al confine con l’Impero etiopico, l’unico Stato africano organizzato, fortissimo. Era un Paese
povero, retto dal negus, che all’Italia non sarebbe servito a nulla economicamente: era tutto fatto di
prestigio. Dopo tentativi pacifici ci fu un tentativo militare, che sfociò con il massacro di 500 italiani a Dogali
 proteste in Italia, ma il Governo manda rinforzi nel Corno d’Africa.
8.9 Movimento operaio e organizzazioni cattoliche. La composizione della classe operaia in Italia era tale
per cui la maggior parte fossero artigiani, lavoratori stagionali o a domicilio  tarda ad organizzarsi un
movimento operaio. L’unico era la società di mutuo soccorso, più uno strumento di educazione che un
organismo di lotta, che iniziò a perdere terreno mano a mano che lo scontro sociale si faceva più acceso, a
favore del movimento internazionalista (socialista) che si rifaceva però più all’anarchico Bakunin che a
Marx. Il fallimento dei tentativi di insurrezione sociale spinsero Andrea Costa a cambiare rotta, sentendo la
necessità di un programma più concreto, e a fondare il Partito socialista rivoluzionario di Romagna, che
rimase però sempre formazione regionale scollegata dal proletariato industriale in via di formazione. A
rivendicare i lavoratori vi erano molte leghe operaie che nell’’82 si costituirono nel Partito operaio italiano,
che però era classista e di partito aveva poco. Tuttavia scoppiarono scioperi agricoli nella Bassa Padana; tra
l’87 e il ’93 poi vi fu la nascita di federazioni di mestiere e Camere del lavoro  necessità di organizzarsi
politicamente come una forza unitaria per coordinare gli sforzi a livello nazionale. Era difficile, per scarsa
conoscenza delle teorie socialiste (a parte Labriola) e per frammentazione ideologica. Fu il milanese Turati il
vero artefice della nascita del Partito socialista (basato su principi come separazione netta tra proletariato e
borghesia, lotta economica unita a quella politica, rifiuto dell’anarchia, successiva socializzazione dei mezzi
di produzione), a Genova nel 1892 (il nome è però nel 1895). Se i socialisti spaventavano il fronte cattolico
non era da meno: fedele al papa, rifiutava lo Stato uscito dal Risorgimento. Erano più pericolosi perché più
radicati nella società italiana. 1874: nasce a Venezia l’Opera dei congressi, organo che doveva collegare tra
loro le associazioni cattoliche, coordinando i loro sforzi nella lorra al liberalismo laico, al socialismo e alla
democrazia. 1878: con Leone XIII il clero si spostò su istanze sociali. Difficoltà di dialogo Stato-Chiesa.
8.10 La democrazia autoritaria di Francesco Crispi. 1887: Crispi succede a Depretis: da ex-mazziniano e
garibaldino era apprezzato dalla sinistra, ma anche la destra lo vedeva bene per la sua promessa di governo
autoritario ed efficiente di impronta bismarckiana  larghissima maggioranza su cui si appoggiò per
riorganizzare e razionalizzare lo Stato, nonostante le spinte repressive. Attuò una riforma amministrativa
(comuni e sindaci) ed è del suo governo un nuovo codice penale, il codice Zanardelli, che aboliva la pena di
morte e implicitamente legittimava la sciopero. Paradossalmente però fu varata la nuova legge di pubblica
sicurezza che attribuiva ampia discrezionalità alla polizia  politica repressiva nei confronti delle
associazioni operaie, cattoliche e irredentiste repubblicane (questo allontanò Crispi dall’estrema sinistra). In
politica estera era molto ambizioso: voleva fare dell’Italia una grande potenza anche coloniale  rafforzò
la Triplice alleanza (insprimento rapporti con Parigi  guerra doganale). Penetrazione coloniale nel Corno
d’Africa (Colonia Eritrea). Politica coloniale ostacolata  una votazione alla Camera persa spinge Crispi alle
dimissioni  governo di Rudinì, conservatore anti-colonialista, poi Giolitti, sempre nel 1892.
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8.11 Giolitti, i Fasci siciliani e la Banca romana. Giolitti non aveva partecipato al Risorgimento, era giovane,
si era fatto oppositore della politica economica della Sinistra. Il programma giolittiano: più equa ripartizione
del carico fiscale a favore delle classi meno agiate, astensione da misure preventive-repressive nei confronti
del movimento operaio. Non abbandona questa linea nemmeno quando in Sicilia tra il ’92 e il ’93 si forma
l’organizzazione dei Fasci dei lavoratori, portavoce del malessere contadino e urbano rispetto alle tasse
troppo alte e alla distribuzione delle terre. Ma non era un movimento rivoluzionario, né socialista. La non
risposta di Giolitti fu largamente criticata dai conservatori, e accelerò la caduta del suo governo, che
tuttavia fu dovuta soprattutto allo scandalo finanziario della Banca romana, che in risposta alla febbre
speculativa edilizia della capitale aveva investito tantissimo, ma che si era mancata di gravissime
irregolarità per rientrare del denaro perduto dalle imprese debitrici in seguito alla crisi economica. Intreccio
tra politica e finanza, e corruzione soprattutto, crearono questo scandalo  1893, caduta di Giolitti, certo
colpevole ma usato come capro espiatorio. Si voleva il ritorno dell’uomo forte che fermasse il movimento
operaio: Crispi tornò al governo, nonostante avesse responsabilità più pesanti di Giolitti nello scandalo.
8.12 Il ritorno di Crispi e la sconfitta di Adua. Crispi rispose alla crisi economica latente inasprendo le tasse;
alla crisi bancaria riformando il sistema e fondando la Banca d’Italia; alle agitazioni in Sicilia con la
proclamazione dello stato d’assedio, misura eccezionale che si estese alla Lunigiana  repressione militare,
che presto si trasformò in una operazione di polizia contro enti facenti capo al Partito socialista di tutta
Italia. Furono varate poi delle leggi dette “antianarchiche” che però erano in realtà rivolte contro il Partito
socialista e andavano a limitare libertà di stampa, riunione e associazione. Tuttavia queste leggi non
ottennero l’effetto sperato: anzi, spinsero molti intellettuali (come Pascoli o De Amicis) verso il Partito
socialista e questo a riallacciare a sua volta i rapporti con la borghesia radicale e repubblicana. L’alleanza
con i democratici permise al partito di far eleggere 12 candidati alle elezioni del 1895. La “questione
morale” intanto travolgeva Crispi, e le sue responsabilità nello scandalo Banca romana venivano sempre più
a galla. A questo si aggiungevano le critiche apportategli riguardo alle eccessive spese militari e alla sua
politica coloniale. Già nel 1889 trattatto di Uccialli con il negus Menelik: ambiguità per la non
corrispondenza tra le due lingue: l’Italia non aveva il protettorato sull’Etiopia come pensava. Quando
l’equivoco si scoprì i rapporti peggiorarono di botto e si arrivò ben presto ad uno scontro, presso l’Amba
Alagi, che si risolse in uno sconfitta per l’Italia, nulla in confronto alla disfatta di Adua (1896)  caduta di
Crispi dopo manifestazioni.
9. Verso la società di massa.
9.1 Che cos’è la società di massa. Si era già iniziato a parlare di massa dopo la Rivoluzione francese, intesa
come moltitudine indifferenziata al suo interno in cui l’individuo finisce per scomparire, ma la società di
massa nasce alla fine dell’Ottocento, con industrializzazione e urbanizzazione. Società prettamente urbana,
che stringe rapporti più di frequente, ma rapporti anonimi e impersonali. Le relazioni interpersonali
avvengono tramite i grandi istituti nazionali, come i partiti, che finiscono anche per influenzare le scelte
individuali. E’ l’arrivo dell’economia di mercato. Comportamenti e mentalità si uniformano. Le reazioni
sono molteplici, la società di massa è vista a volte con tratti ottimistici (democratizzazione e benessere), a
volte con tratti pessimistici (appiattimento generale e minaccia alla libertà individuale). Fenomeno epocale.
9.2 Sviluppo industriale e razionalizzazione produttiva. Grande espansione economica e crescita per tutti i
settori e tutti i Paesi, comprese Italia e Russia ad esempio. In vent’anni raddoppiano commerci e
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produttività. I prezzi aumentano, ma insieme ai salati e al reddito pro capite  allargamento del mercato.
Produzione in serie, perché la domanda è di massa. Si moltiplicano i negozi, i grandi magazzini; la vendita a
domicilio e i pagamenti rateali si diffondono. Fu necessaria meccanizzazione e razionalizzazione produttiva
 1913, Detroit: la Ford introduce la catena di montaggio, ultimo dei numerosi tentativi per aumentare la
produttività  diminuiscono i tempi di lavoro, che però diventa ripetitivo e spersonalizzato. Altro impulso
fu dato dalle tecniche del taylorismo, sistematizzazione e razionalizzazione del lavoro per eliminare sprechi
e tempi morti. Fordismo fu poi il primo a dirigersi verso i consumi di massa, i prezzi competitivi, gli alti salari
e la produzione in serie. Tuttavia questo crea il malcontento tra i lavoratori, alienati.
9.3 Le nuove stratificazioni sociali. Da una parte uniformità dei comportamenti, dall’altra più complessa
stratificazione sociale. Nella classe operaria si accentuava la divisione tra manodopera generica e lavoratori
qualificati, cioè il grosso del proletariato e l’”aristocrazia operaia”, più favorita dal capitalismo. Espansione
terziario e burocratica  aumento ceto medio, grazie sia ai lavoratori autonomi (sempre più numerosi a
causa della scomparsa di alcuni mestieri e alla nascita di nuovi) che ai dipendenti pubblici (che
aumentavano all’aumentare delle competenze statali). Ma sempre più numerosi erano anche gli addetti al
settore privato, i “colletti bianchi” che non svolgevano mansioni manuali. Erano già alla vigilia della guerra
una realtà concreta. Come reddito, erano pagati poco più degli operai più privilegiati. I ceti medi non
volevano essere paragonati alle masse lavoratrici, non si inquadravano nei sindacati, avevano una visione
meritocratica. La borghesia impiegatizia faceva propri i valori storici borghesi: proprietà privata, gerarchia,
patriottismo, risparmio. La piccola borghesia, in crescita, era destinata a diventare un ceto fondamentale.
9.4 Istruzione e informazione. La scuola contribuì al nuovo ordine sociale. Si diffuse l’idea che l’istruzione
fosse un diritto di tutti, un servizio alla collettività di cui si doveva occupare lo Stato. Certo istruire le masse
poteva essere pericoloso, ma i Governi lo vedevano come un modo di nazionalizzarle più che altro, istruirle
ai valori dello Stato e al suo rispetto. Mezzo di controllo sulle masse. Dagli anni ’70 l’istruzione elementare
fu resa obbligatoria e gratuita in tutta Europa  laicizzazione e statizzazione del sistema scolastico ebbero
tempi diversi: più limitata in UK, più rapida in Germania e Francia dove già c’erano basi, più lenta
nell’Europa mediterranea. Calo dell’analfabetismo diffuso e rapido. Legato all’istruzione, vi fu un
incremento della stampa quotidiana e periodica. In vent’anni il numero delle testate europee raddoppiò 
si allargò l’area di quelli che avrebbe formato l’opinione pubblica.
9.5 Gli eserciti di massa. L’impressione suscitata dalla sconfitta francese a Sedan vi furono riforme degli
ordinamenti militari in tutta Europa, eccetto GB  servizio militare obbligatorio  eserciti a ferma più o
meno breve, fatti di cittadini in armi. Ma c’erano ostacoli; uno economico: non c’erano abbastanza risorse
per pagare tre anni di addestramento per tutti; uno politico: la truppa era di estrazione contadina per lo
più, perché la borghesia era riluttante a partecipare alla guerra  perché una massa potenzialmente
rivoluzionaria veniva addestrata? E quanto sarebbe passato prima che essa avesse chiesto il diritto di voto?
Eppure grandi eserciti erano necessari, come deterrente anche in tempo di pace. In più ferrovie
permettevano veloci spostamenti delle truppe e la produzione in serie garantiva enormi quantità di armi 
fu in questi anni che nacquero i moderni eserciti di massa.
9.6 Suffragio universale, partiti di massa, sindacati. A fine secolo il cammino verso la società di massa
portava anche alla democrazia, ad una maggiore partecipazione alla vita politica. Segno più evidente:
estensione del diritto di voto. 1890: suffragio universale maschile solo in tre Paesi europei. Nei 25 anni
successivi praticamente tutti (Italia nel 1912, GB dopo la guerra). Cambia forma e organizzazione della lotta
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politica. I partiti cambiavano, non erano ancora i partiti di massa protagonisti futuri di così tanta parte della
storia, ma erano partiti che inquadravano grandi strati della popolazione tramite una struttura permanente,
articolata in strutture locali (partito socialista e anche i cattolici). La politica non era più prerogativa di
pochi. Inoltre crebbero le organizzazione sindacali. Nel 1890 il sindacalismo operaio era una realtà solida
solo in GB (le Trade Unions), ma entro dieci anni si diffuse parecchio anche nel resto d’Europa, in USA,
Australia e AmLat. E alla faccia degli imprenditori e della dottrina liberista, riuscì a farsi valere. Su esempio
inglese, i sindacati si federarono in grandi organismi; i più importanti, di ispirazione socialista, erano quelli
tedesco, la francese Cgt e la italiana Cgl (Confederazione Generale del Lavoro, 1906). Diffusi anche quelli
cattolici. Alla vigilia della guerra, contavano milioni di iscritti. Maggiore fenomeno di associazionismo
popolare della storia.
9.7 La questione femminile. La posizione subalterna delle donne non sembrava interessare il pensiero
liberal-democratico di fine secolo. Non potevano votare, studiare all’università o lavorare, e se lavoravano
avevano stipendi più bassi degli uomini. Ma il loro inserimento nel lavoro, per quanto fosse una costrizione
che non le liberava, permise alle donne di prendere coscienza dei loro diritti e in futuro di emanciparsi. Ma i
movimenti di emancipazione femminili erano limitatissimi, tranne che in GB, dove c’erano le suffragette
guidate da Emmeline Pankhurst, quantomai determinate e agguerrite; ma i ceti operai non erano sensibili
alla causa femminile (ottennero il voto solo nel 1918). Anche i socialisti le guardavano con sospetto,
vedendole come potenziali voti per i partiti di ispirazione cristiana. Le donne restarono escluse dal diritto di
voto e discriminate sul lavoro ancora per diversi anni.
9.8 Riforme e legislazione sociale. Per quanto non vi furono sterzate decise nella classe dirigente, i Governi
furono sempre più costretti a tener conto delle classi subalterne con l’estensione del voto. Legislazione
sociale a cavallo tra i due secoli: assicurazione contro gli infortuni, previdenza per la vecchiaia e a volte
sussidi ai disoccupati. Battaglie contro scarsa igiene nelle fabbriche e lavoro minorile, anche se poco
efficaci. Limitazione orari (mai sotto le 10 ore) e diritto al riposo settimanale. Fecero qualcosa anche le
amministrazioni locali, specie nei grandi centri urbani  estensioni servizi pubblici (gas, acqua, trasporti),
ma anche interventi nell’istruzione, nell’assistenza (ospedali, ospizi, asili) e nell’edilizia popolare. Per pagare
tutto questo nuove pressioni fiscali  aumento imposte dirette (patrimonio e reddito) e principio di
progressività nell’imposizione. Stato si occupava sempre più dell’equa distribuzione della ricchezza.
9.9 I partiti socialisti e la Seconda Internazionale. Fu in questo periodo che i partiti socialisti si affacciarono
alle masse abbandonando la loro abitudine di proselitismo rivoluzionario  azione legale, partecipazione ai
governi  partiti di massa. Il primo fu il Partito socialdemocratico tedesco (Spd, 1875), che con la sua
solida base marxista e i successi conseguiti (anche grazie alla guida di August Bebel) fece da esempio per
tutti gli altri partiti. Il Parti ouvrier français del 1882 non fu così fortunato e si scisse molto presto per poi
rinascere con altro nome (Sfio) sotto gli auspici dell’Internazionale operaia. In GB il marxismo non attecchì,
invece fu la Società fabiana ad ispirare di più (personaggi illustri come George Bernard Shaw). Ma nel 1906
furono i dirigenti delle Trade Unions a fondare un partito espressione della classe operaia, il Partito
laburista, non precisamente orientato ideologicamente. Al di là delle differenze tutti questi partiti avevano
una base comune: ideali internazionalisti e pacifisti, sconfitta del capitalismo, gestione sociale
dell’economia, base di massa; tutti poi facevano capo alla Seconda Internazionale, che nasce nel 1889 a
Parigi con l’idea di ottenere concretamente qualcosa, come la giornata lavorativa di otto ore  giornata
mondiale di lotta per questo il primo maggio. A Bruxelles nel 1891 poi essa escluse dalle sue fila gli
anarchici e chi rifiutasse la partecipazione al governo. La SI fu una mera federazione di partiti nazionali, ma
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svolse un ruolo fondamentale di coordinamento e di luogo di incontro, confronto e discussione sui temi più
importanti. La dottrina ufficiale di questi partiti era il marxismo di Engels e di Kautsky, che non metteva in
discussione il Capitale ma si concentrava saggiamente sulla parte intermedia del processo rivoluzionario. Se
prima tutti la fanno propria, da Adler a Turati, più tardi alcuni si spinsero verso la rivoluzione, altri verso le
riforme. Quest’ultima tendenza vide la sua massima espressione nel revisionismo di Bernstein, fortemente
ostacolato dal marxismo più ortodosso. La sua idea era che molti assunti di Marx si erano rivelati falsi (il
proletariato non si impoveriva, e il capitalismo non autoimplodeva)  il socialismo non sarebbe giunta da
una rottura rivoluzionaria, ma gradualmente attraverso un costante sforzo del proletariato (“tutto è nel
movimento, niente è nel fine”). Una frangia di estrema sinistra, rivoluzionaria, si formò in quegli anni:
Liebknecht e Rosa Luxemburg in Germania. Dissidenza particolare in Russia, con protagonista un giovane
Lenin, che opponendosi alla socialdemocrazia tedesca predicava la lotta armata in Russia, dove però il suo
partito era in pratica clandestino. Riunitosi a Londra nel 1903 esso si scisse in due correnti: quella bolscevica
guidata da Lenin e quella menscevica di Martov. Scissione che nessunò considerò, a differenza del
sindacalismo rivoluzionario francese: una rivoluzione nel giorno del grande sciopero generale rivoluzionario
avrebbe soverchiato il governo borghese. I sindacati in Francia seguivano questa linea, con maggior
esponente Sorel. Queste frange estremiste non avevano grande seguito nei partiti socialisti, ma nelle
masse.
9.10 I cattolici e la “Rerum novarum”. Accanto alla condanna della nuova società industriale, la Chiesa
cattolica tentò di adeguarvisi e rilanciare il suo ruolo al suo interno. Nuove forme di religiosità individuale si
fecero spazio, al posto delle vecchie di origine rurale. Se socialmente non ebbe gran seguito, va detto che la
Chiesa fu l’unica capillare abbastanza da continuare ad essere per la gente un punto di riferimento, anche
nello piazzamento dovuto al trasferimento nelle città (es. parrocchie)  ciò permise ai cattolici di
organizzare movimenti di massa opposti a quelli socialisti. Questo impegno ci fu soprattutto con Leone XIII,
che cercò di riqualificare la Chiesa in ambito sociale e riallacciò i rapporti con gli Stati con cui c’era attrito
(es. Germania, ma non Italia)  enciclica Rerum novarum del 1891, sui problemi della condizione operaia.
Predicava armonia tra classi e rispetto reciproco, ma soprattutto istituiva sindacati cattolici, che anche se
non nelle intenzioni leonine finirono per adottare strumenti di lotta simili ai sindacati socialisti, fino a
portare ad una nuova tendenza politica, la democrazia cristiana che ebbe un enorme successo. Molto forte
fu anche la spinta del modernismo, almeno fino alla scomunica nel 1907 ad opera del nuovo pontefice Pio
X, tradizionalista.
9.11 Il nuovo nazionalismo. L’idea di nazione in Europa stava cambiando radicalmente. Fino al 1870 il
nazionalismo era lotta di liberazione contro l’ordine costitutivo, con Bismarck e l’imperialismo divenne
prestigio a danno di altri popoli; l’avvento del socialismo risvegliò i sentimenti patriottici della borghesia. Il
nazionalismo divenne allora lotta contro il socialismo e si spostò a destra (dalle idee illuministe a quelle
romantiche), collegandosi alle idee razziste che cercavano di creare una gerarchia di razze. Il razzismo si
basava su credenze pseudoscientifiche, ma in realtà su irrazionali e atavici pregiudizi della psicologia
collettiva. In GB c’era una sorta di imperialismo popolare, appoggiato dalla classe dirigente e popolare tra le
masse. In Francia il nazionalismo unì nella lotta diversi gruppi scontenti della classe dirigente repubblicana,
considerata mediocre e corrotta, ma non si rivolgeva tanto all’esterno quanto ai nemici interni, primi tra
tutti gli ebrei. Ma se qui l’antisemitismo aveva base cattolico-reazionaria, in Germania esso assunse tinte
razziste. E’ qui che le teoria della razza raggiungeva il suo massimo apogeo, legandosi al nazionalismo. Il
mito della “razza ariana” si sviluppa insieme a quello del Volk, il “popolo”, quello teutonico, della comunità
di sangue e del legame mistico con la terra (non c’era uno Stato cui appoggiarsi)  movimenti
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pangermanisti di ispirazione romantica (Wagner) ebbero sempre più influenza sulla classe dirigente.
Contrapposto ma affine fu il panslavismo, nato in Russia e sviluppatosi in tutta l’Europa orientale, che
sarebbe stato il futuro strumento della politica imperiale zarista. Anch’esso impregnato di antisemitismo
(ebrei lì erano radicati ma totalmente non integrati). Gli ebrei erano spesso usati come capro espiatorio e
su di loro veniva riversato il malcontento popolare. I pogrom (spedizioni punitive contro gli ebrei) sono
tristemente famose fino all’inizio del Novecento in Russia. Reazione all’antisemitismo e risultato del
risveglio nazionalistico  sionismo, fondato nel 1896 da Herzl, che voleva ridare dignità e uno Stato alle
popolazioni israelite (in Palestina). Stentò ad affermarsi perché gli ebrei tendevano ad integrarsi, ove
possibile. Ben presto però trovò appoggio nelle classi dirigenti.
9.12 La crisi del positivismo. Il positivismo sul finire del secolo entrò in crisi come visione del mondo, come
modello, perché non più in grado di spiegare le via via più complicate dinamiche delle nuova società. Piano
filosofico: nascono nuove correnti vitalistiche e irrazionalistiche, che si occupavano della realtà psicologica.
La crisi del positivismo fu letta soprattutto da Nietzche, con la sua visione ciclica del tempo, l’”eterno
ritorno”, e il suo mito del “superuomo”. Ma fu caso isolato in Germania, dove alla crisi del positivismo si
rispose con un ritorno a Kant e all’idealismo  Dilthey, Meinecke, Sombart, Weber. L’idealismo italiano
invece vide tra i principali esponenti Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Il primo risolverà tutta la realtà
nella storia, il secondo all’atto pensante del soggetto. In Francia fu Bergson il protagonista vero, mentre nei
Paesi anglosassoni, USA per primi, si diffuse il pragmatismo (James e Dewey)  reciproca verifica tra teoria
e pratica e tra individuo e natura (rivalutazione di molte discipline). L’approccio alle scienze esatte era di
fatto più complesso, non più spinto da quell’ottimismo illuminista forse un po’ ingenuo. La scienza moderna
stava infatti erodendo tutto le precedenti intuizioni. Sono di quel periodo le scoperte di Rutherford e
Thomson che diedero vita alla fisica atomica, la teoria quantistica di Planck, quella della relatività di
Einstein. Quest’ultima minava alla base non solo le scoperte precedenti, ma l’intera conoscenza e tradizione
scientifica, con l’idea della relatività del tempo. In quegli anni la cultura ebbe i contributi autorevoli di
Pareto e di Sigmund Freud. Altro problema era l’influenza della soggettività sull’osservazione dei fenomeni
 Max Weber e il metodo da applicare nelle scienze sociali. Tutto l’agire politico fu analizzato e rivisitato;
le facciate ideologiche non convincevano più nessuno (la teoria della classe politica di Gaetano Mosca ebbe
infatti grande successo). Mosca, Pareto, Michels attuarono approfonditi studi politici, Weber studiò la
burocratizzazione delle società. Tutto questo portò ad una diffusa sfiducia nella democrazia, proprio all’atto
di nascita della società di massa e della partecipazione politica della stessa.
10. L’Europa tra due secoli.
10.1 Le nuove alleanze. L’equilibrio stabilito da Bismarck non sopravvisse alla sua morte: in Europa si stabilì
così un assetto bipolare. Vecchio sistema entrò in crisi per due principali motivi: la politica aggressiva e
dinamica di Guglielmo II e le continue tensioni tra i due alleati della Germania, l’Austria-ungheria e la
Russia, in perenne tensione per i Balcani. I successori di Bismarck optarono per l’Austria, e non rinnovarono
nel 1890 il trattato di controassicurazione con la Russia, pensando che mai essa si sarebbe alleata con la
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Francia repubblicana. Cosa che invece successe: nel 1891 ci fu un accordo trasformatosi poi in alleanza
militare nel 1894, mentre Parigi faceva ingenti prestiti a Mosca che tentava di avviare l’industrializzazione
 Duplice franco-russa, la Francia non era più isolata come voleva Bismarck e la Germania temeva una
guerra su due fronti. Il governo tedesco decise poi di costruire una flotta militare che potesse sfidare quella
brit nel Mare del Nord  crisi con Londra. Volevano solo incutere timore a Londra in vista di un accordo,
invece gli inglesi corsero agli armamenti navali e si riavvicinarono alla Francia, superando le vecchie
vertenze coloniali  Intesa cordiale, 1904, faceva della Francia un nuovo perno di alleanze. 1907: Russia e
Inghilterra risolvono le loro divergenze coloniali in Asia  Triplice intesa. Restava in piedi la Triplice
alleanza, con un’Italia sempre più autonoma però. Sistema bismarckiano sconvolto totalmente. Germania:
complesso di accerchiamento  aggressività, riarmo, inclinazione alla guerra preventiva  tensione
internazionale.
10.2 La “belle époque” e le sue contraddizioni. Oltre alla spese militari, in Europa aumentava anche la
spesa sociale. Non era una grande piazza d’armi, c’era anche il pacifismo molto diffuso. A correnti
militaristiche si contrapponevano correnti democratiche. Ottimismo borghese  società in crescita e
trasformazione  belle époque prima della guerra. Periodo sì di crescita economica, ma anche di grandi
contrasti politici e sociali  miglioramenti di vita dei ceti popolari e le spinte alla democratizzazione
arrivarono dopo aspre battaglie contro i conservatori. Quasi ovunque queste battaglie furono vinte, con
eccezione della Russia e degli Imperi centrali.
10.3 La Francia tra democrazia e reazione. Le istituzioni repubblicane democratiche francesi erano non
poco ostacolate e contestate, dai bonapartisti o dal clero, dal tradizionalismo monarchico o dagli antisemiti.
Forze che si coagularono a fine secolo, in occasione del clamoroso caso Dreyfus, e misero a repentaglio la
sopravvivenza della Terza Repubblica. Alfred Dreyfus, ufficiale ebreo condannato ai lavori forzati per
spionaggio. Stampa contro di lui partì con una accesa campagna antisemita. Anche di fronte alla realtà, i
vertici cercarono di coprire il tutto e colpevolizzare ancora Dreyfus, falsificando documenti e prove  Emile
Zola riuscì ad alzare il polverone  Francia spaccata in due, la destra voleva l’ebreo colpevole. In realtà lo
scontro travalicò il caso Dreyfus e divenne uno scontro sulle istituzioni stesse della repubblica. Alla fine
Dreyfus, ricondannato, ricevette la grazia dal Presidente della Repubblica. Sul piano politico, però, i suoi
sostenitori la vinsero  elezioni 1899: vittoria progressista, ma governo di coalizione anche con i socialisti
(Millerand)  vittoria dei democratici francesi, cui seguì un’aspra battaglia anticlericale e la rottura con la
Chiesa cattolica. Da questo scenario uscirono rafforzati i gruppi radicali, che con i loro governi (Clemenceau
e Briand) fecero numerose riforme sociali, pur senza riuscire a modificare il sistema di tassazione, andando
incontro alle ire del proletariato. Vi fu uno spostamento dei sindacati e della Sfio a sinistra, con successiva
rottura tra i radicali e i socialisti. Ciò favorì la ripresa dei moderati che riuscirono a portare alla presidenza
della Repubblica Poincarè, mentre il grosso del dibattiro politico si spostava sulle spese militari. Era il 1914.
10.4 Imperialismo e riforme in Gran Bretagna. 1901: morte della regina Vittoria. Si susseguirono governi di
coalizione tra conservatori e liberali “unionisti”, con Chamberlain ininterrottamente Ministro delle colonie
 la loro politica era rivolta all’imperialismo e alle riforme sociali, ma mai sfavorendo le classi più agiate. La
proposta dei conservatori di una svolta protezionistica (contraria di per sè alla tradizione britannica), sotto
forma della tassa imperiale, fu bocciata e gettò il partito in una crisi, che finì per favorire i liberali alle
elezioni del 1906 (che videro anche l’elezione di trenta candidati laburisti). I successivi governi liberali erano
meno impegnati nelle colonie e più nel sociale  le spese per le costose riforme e la corsa agli armamenti
navali (in risposta a quella tedesca) furono coperte da una politica fiscale progressiva, che sfavoriva i grandi
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patrimoni ed era dunque mal vista dai Lords; essi per tradizione non entravano negli affari economici:
quando respinsero dunque il bilancio preventivo di Llyod gorge, scoppiò un conflitto costituzionale tra le
camere, cioè tra liberali e conservatori. Dopo due anni di braccio di ferro, nel 1911, i Lords accettarono il
Parliamentary Bill, che impediva loro di respingere i bilanci e più in generale di rifiutare per più di due volte
una proposta di legge (che dopo sarebbe comunque stata promulgata)  vittoria dei progressisti. Tuttavia
le classi lavorative restavano scontente e in subbuglio. Ad un rafforzamento dei laburisti si aggiunsero le
proteste e la contestazione dei sindacati (scioperi), delle suffragette e dei nazionalisti irlandesi. Questione
irlandese: nel 1911 il governo Asquith presentò come progetto la Home Rule, che sanciva la nascita di una
Irlanda autonoma ma comunque legata a Londra: soluzione che scontentava tanto i nazionalisti irlandesi,
che volevano una indipendenza totale, che la minoranza protestante dell’Ulster.
10.5 La Germania guglielmina. Con la morte di Bismarck cambiò notevolmente la stessa politica interna
tedesca (causa stessa della caduta del “cancelliere di ferro”); in particolare la svolta si ebbe con l’avvento di
Guglielmo II e la sua idea di Neue Kurs (nuovo corso), che però non prevedeva alcuna evoluzione in senso
liberale  anzi, il suo fu un periodo di duro autoritarismo. L’equilibrio dei poteri restò in sostanza invariato,
l’unica differenza fu che dopo Bismarck nessun cancelliere fu in grado di imporsi sull’Imperatore. Il
cancelliere rendeva conto all’Imperatore e allo stato maggiore, non al Parlamento. Nel settore esteri, la
aggressività della Weltpolitik risaldò i legami tra la casta degli Junker e l’industria che in quel momento
stava vivendo una espansione straordinaria, anche in vista del riarmo navale voluto dai vertici imperiali. La
consapevolezza tedesca della propria potenza economica ed industriale risvegliò idee nazionaliste ed
imperialiste. Povera di materie prime, la Germania decise ben presto di voler entrare a far parte della
partita coloniale come tutti gli altri Stati europei, con i quali lo scontro sarebbe quindi stato inevitabile.
Tutti erano schierati con le mire dello stato maggiore, esclusa la socialdemocrazia, che restò isolata per
praticamente tutta l’età Guglielmina, ma che nel frattempo riuscì a strutturarsi meglio: iscritti ed elettori
aumentarono vertiginosamente, il controllo sulle organizzazione collaterali, come sindacati e cooperative,
era assicurato. Tuttavia, la batosta elettorale del 1907 spinse la socialdemocrazia ad uscire dall’isolamento
schierandosi con le ideologie nazional-imperialistiche. L’Spd visse in Germania un’integrazione negativa nel
sistema politico: scarsa partecipazione della classe operaia allo sviluppo, legislazione sociale avanzata, ma
nessun prezzo politico da pagare per la classe dirigente.
10.6 I conflitti di nazionalità in Austria-Ungheria. Dal 1848 in avanti l’Impero asburgico entrò in crisi,
soprattutto a causa dei suoi contrasti con le minoranze nazionali ed etniche, anche se molti erano i
problemi dello Stato (ad esempio prevalenza del settore agricolo, 56%, o immobilismo politico e persistenza
delle strutture tradizionali in particolare nelle zone di lingua tedesca; solo Vienna, Praga e Trieste erano poli
industriali e culturalmente all’avanguardia). Il primo tentativo di frenare questa crisi fu nel 1867 con la
scelta “dualistica”: un compromesso con i magiari, che nel sud-est dell’Impero ottennero così larga
autonomia. Per decenni Vienna era riuscita a tenere sotto controllo la situazione, con l’appoggio
soprattutto delle aristocrazie locali. Ma a fine secolo ci fu un risveglio dei nazionalismi, separati negli intenti
ma uniti nell’ostilità contro il centralismo imperiale. Le vittime del compromesso con i magiari erano
indubbiamente stati gli slavi, che a fine secolo infatti furono i primi a ribellarsi: il movimento dei giovani
cechi ad esempio fu tra i primi ad opporsi alla germanizzazione. Ma i veri problemi ce li avevano gli slavi del
Sud, serbi e croati, sotto il ben più duro dominio degli ungheresi. Gli stessi magiari iniziavano a reclamare
indipendenza totale da Vienna. Le misere concessioni non bastavano  ci fu un progetto “trialistico” di
creazione di un terzo polo, slavo, che tuttavia incontrò pesante opposizione da parte di ungheresi e
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nazionalisti serbi (che non escludeva l’uso della forza e la perpetrazione di attentati terroristici), appoggiati
dalla Serbia (a sua volta sostenuta dalla Russia). Da questa realtà balcanica sarebbe scaturito il casus belli.
10.7 La Russia tra industrializzazione e autocrazia. L’unico sistema autocratico in Europa (non temperato
da un seppur limitato costituzionalismo, come la Germania) restava la Russia. Sia sotto Alessandro III che
sotto Nicola II, ogni spinta alla occidentalizzazione era stata messa da parte, in favore di una politica di
controllo sull’istruzione, e sui timidi liberali, di russificazione delle minoranze etniche e nazionali e di
vessazione contro gli ebrei. Il decollo industriale avvenne anche grazie allo splendido operato di Sergej Vitte
 protezionismo, investimenti statali e afflusso di capitali dall’estero (specie dalla Francia)  tutto ciò
garantiva alti profitti, anche perché nel frattempo i salari restavano bassi. Lo sviluppo economico russo fu
del tutto particolare: le politiche di Vitte aprirono il Paese all’imperialismo finanziario straniero; inoltre la
crescita economica giaceva nelle mani dello Stato, e non dei borghesi: era come calata dall’alto; la
fabbriche erano concentrate tanto in dimensioni quanto geograficamente (con distretti a Petroburgo,
Mosca, Baku e negli Urali); gli operai erano appena 2 milioni (su 100 milioni di abitanti, il 70% dei quali
lavorava in agricoltura), ed erano socialmente isolati e non rappresentati. Nel complesso quella russa era
una società estremamente arretrata (eccesso di manodopera nelle campagne, mortalità infantile e
analfabetismo alle stelle). L’opposizione allo zar, semi-clandestina, era composta dai socialdemocratici (a
loro volta divisi in menscevichi e bolscevichi) e dai socialrivoluzionari (operai e contadini).
10.8 La rivoluzione russa del 1905. La variegata protesta contro lo zar si coagulò in un moto rivoluzionario;
la molla è scattata durante la guerra contro il Giappone, che procurò un repentino aumento dei prezzi e
dunque tensioni sociali. Un corteo diretto al Palazzo d’Inverno di Pietroburgo per presentare una petizione
allo zar fu accolto a fucilate  “domenica di sangue”, che causò sempre più dure reazioni e agitazioni che
iniziarono a degenerare in sommosse e ammutinamenti nell’esercito. La Russia trascorse mesi di semianarchia. Con il grosso dell’esercito impegnato in Estremo Oriente, nacquero spontanei nei luoghi di lavoro
i soviet, rappresentanze popolari (democrazia diretta) elette dagli operai. Il più importante di tutto, quello
di Pietroburgo, gestiva il movimento rivoluzionario in tutta la Russia. Ad ottobre, lo zar inizia a cedere, ma
segretamente crea dei reparti di polizia, le Centurie nere, responsabili di atroci spedizioni punitive contro i
rivoluzionari. Finita la guerra col Giappone e tornato l’esercito, la rivoluzione fu presto bloccata. L’unico
impegno preso dallo zar era la convocazione di una Duma, assemblea voluta anche dai menscevichi ma
sciolta poche settimane dopo (1906) perché di effettivo intralcio all’esecutivo. Stesso destino toccò ad una
seconda Duma l’anno successivo, quando una riforma elettorale smaccatamente a favore dei proprietari
terrieri e degli aristocratici rigettò la Russia nell’assolutismo zarista. Il Primo Ministro Stolypin seguì una
politica molto dura, ma ricercò anche il consenso popolare attuando la tanto sperata riforma agraria, che
abolì il sistema dei mir, nel tentativo di creare una piccola borghesia rurale, raggiunto solo in parte  molti
contadini arricchiti ingrossarono infatti le fila dei kulaki, mentre per tutti gli altri fu il disastro  esodo dalle
campagne. I contrasti sociali si radicalizzarono ovviamente.
10.9 Verso la prima guerra mondiale. Alla vigilia della grande guerra si mescolavano insieme vecchi
problemi (il revanchismo francese e il contrasto austro-russo nei Balcani) e nuovi problemi (aggressività
tedesca e la sua rivalità con GB)  clima inquieto ed instabile. I punti di frizione erano due: i Balcani e il
Marocco, da tempo al centro delle mire francesi ma da poco anche di quelle tedesche. 1905 e 1911: due
crisi marocchine, che rischierano di degenerare in guerra. Ma alla fine Parigi ottenne il protettorato sul
Marocco, mentre al Reich diplomaticamente isolato andò solo una striscia di Congo francese. La crisi nei
Balcani era invece dovuta ai nazionalismi e alla crisi dell’Impero Ottomano. Rivoluzione dei giovani turchi
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(volevano una monarchia costituzionale) costrinse il sultano a concedere una carta: tentativo
modernizzatore fallito anche perché il nuovo regime invece che lasciare spazio ai vari nazionalisti in rivolta,
li esasperò accentuando il centralismo. Vienna ne approfittò occupando Bosnia ed Erzegovina, irritando
Serbia e dunque Russia. Fu l’intervento diplomatico tedesco a fare accettare il fatto compiuto  ira dei
sud-slavi e allontanamento dalla Triplice dell’Italia (delusa dai mancati compensi). 1911: l’occupazione
italiana della Tripolitania degenerò presto in guerra, persa dai turchi, mentre nel 1912 scoppiava la prima
guerra balcanica: Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria si coalizzarono, mossero guerra al sultano e lo
sconfissero, facendogli perdere tutti i possedimenti in Europa (esclusa la Tracia). Nacque così l’Albania, che
impedì lo sbocco sul mare alla Serbia. Al momento della spartizione delle terre conquistate nel 1913, però,
la coalizione si ruppe e la Bulgaria attaccò Grecia e Serbia (seconda guerra balcanica), che però la
sconfissero alleandosi con la Romania e la stessa Turchia. I principali alleati di Germania e Austria-Ungheria,
Bulgaria e Turchia, erano pertanto fuori dal gioco, mentre la Serbia era cresciuta di dimensioni ed
importanza, provocando i nervi di Vienna. Il mondo era sull’orlo della prima guerra mondiale.
11. Imperialismo e rivoluzione nei continenti extraeuropei.
11.1 Il ridimensionamento dell’Europa. Rispetto al resto del mondo l’Europa si stava notevolmente
ridimensionando, processo questo già in atto da mezzo secolo con l’ascesa non tanto degli USA
(sottovalutati e considerati appendice dell’Europa), quanto di Cina e Giappone. La popolazione stava
crescendo anche in Europa, ma non ai tassi asiatici, dove il calo della mortalità non era stato seguito da uno
della natalità come nei Paesi industrializzati. Il “pericolo giallo” spaventava ed era visto come incombente.
11.2 La guerra russo-giapponese. Il contrasto iniziò sulla spartizione dell’agonizzante Impero cinese, in
particolare della Manciuria. Se Londra sosteneva il Giappone per tener occupati i russi in EO e tenerli
lontani dall’Asia centrale, lo zar fece l’errore di sottovalutare i nipponici, rifiutando un accordo per la
spartizione. 1904: la flotta giapponese attaccò quella russa nel Mar Giallo, e assediò Port Arthur che cadrà
solo nel 1901. In marzo ci fu un’altra sconfitta russa, a Mukden, mentre il resto della flotta zarista in arrivo
dal Mar Baltico fu debellato a Tsushima  trattato di Portsmouth  Manciuria meridionale al Giappone,
insieme al riconoscimento del suo protettorato sulla Corea. Gli echi della sconfitta furono notevoli: in
Russia sfociarono nella rivoluzione del 1905, mentre il resto dell’Europa prendeva conscienza della propria
fallibilità. Era la prima vittoria di una potenza asiatica su un paese occidentale, e “bianco”.
11.3 La Repubblica in Cina. La sconfitta russa diede anche impulso alla lotta anticoloniale in Asia (Indocina,
Indonesia, Filippine): lo stesso Congresso Nazionale Indiano vide nascere al suo interno una feroce corrente
nazionalista anti-britannica. La Cina intanto vedeva il Giappone come un pericolo, ma anche come un
esempio da seguire sul piano economico. Screditati i Manciù e fallita la rivolta dei boxers, si aprì la strada a
movimenti democratici e occidentalizzanti. 1905: Sun Yat-sen fondò il Tung Meng Hui, che seguiva i tre
principi del popolo: indipendenza, democrazia e benessere sociale. Vi si schierarono insieme intellettuali,
ufficiali dell’esercito, proletari e quei borghesi non legati all’Occidente  scontro sulla cessione delle
ferrovie ad imprese occidentali portò alla rivoluzione del 1911  l’anno successivo i Manciù furono
destituiti e Sun Yat-sen divenne Presidente della Repubblica. Il generale Yuan Shi-kai doveva ristabilire
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l’ordine, invece si alleò con i repubblicani ottenendo in cambio il posto di Sun Yat-sen. Fragile compromesso
tra Kuomintang e i conservatori di Shi-kai si ruppe pochi mesi dopo, quando quest’ultimo proclamò illegale
il primo nel 1913, esiliando contemporaneamente Sun Yat-sen. Da allora fino alla vittoria comunista del
1949 la Cina sarebbe stata sconvolta da una sanguinosa guerra civile.
11.4 Imperalismo e riforme negli Stati Uniti. Continente americano vedeva l’egemonia USA, grazie ad uno
straordinario sviluppo, specie nell’industria siderurgica, meccanica, elettronica e petrolifera, dominate da
corporations come General Electric, American Telephone Company, Standard Oil, US Steel. 1890: Sherman
Antitrust Act vietò accordi sui prezzi tra imprese delle stesso settore, ma in realtà ottenne l’opposto, la loro
fusione. A fine secolo gli USA erano un grande Paese esportatore. L’agricoltura avanzatissima del Midwest
ne stava già facendo il “granaio del mondo”; ma i contadini erano scontenti per lo strapotere delle
corporations  notevole ma effimero successo ebbe per un po’ il Partito populista. Grande sviluppo delle
organizzazioni operaie, American Federation of Labor, 1886. I sindacati però non sposarono mai il modello
socialista europeo; ma gli scontri non mancarono, anzi furono asprissimi. Dopo l’assassinio di McKinley salì
al potere il repubblicano Theodore Roosvelt  pressione economica attraverso la “diplomazia del dollaro”
e minacce di interventi armati attraverso la politica del “grosso bastone”, il tutto per garantire gli interessi
americani  esempio, la questione del canale di Panama. 1901: Washington ottenne un contratto
centenario di gestione del canale per poter tagliare l’istmo. Quando nel 1903 la Colombia fece un passo
indietro, gli USA appoggiarono una rivolta locale a Panama, che molto presto divenne una Repubblica
indipendente, come Cuba. Il canale aprì nel 1914. Quello americano era imperialismo. All’interno furono
portate avanti riforme sociali (assicurazioni, orari…): pur restando legato ai principi capitalistici, Roosvelt
limitò il potere dei trusts e fece la lotta ai monopoli  la sua impronta progressista fu popolarissima. Dopo
di lui però, nel 1908, ci fu una spaccatura del Partito repubblicano. Gli successe il conservatore Taft, ma già
nel 1912 vinse il democratico Woodrow Wilson, contrario alla limitazione di poteri per i singoli stati. Mentre
Roosvelt aveva mantenuto il protezionismo, egli abbassò già nel 1913 le barriere doganali. In politica estera
fu prudente e rispettoso: attento a economia e democrazia, non alle armi  eppure nel 1917 USA in
guerra.
11.5 L’America Latina e la rivoluzione messicana. Grazie alle esportazioni, l’America Latina vedeva una
notevole crescita economica. Flussi migratori verso grandi città (Rio, Buenos Aires, Città del Messico). Il
continente era però economicamente legato a Europa e USA e a loro subalterno, a causa anche della
pratica della monocoltura, volta alle esportazioni. L’agricoltura non si modernizzava, e restava il latifondo,
l’oligarchia terriera e la mancanza di industrie. Istituzionalmente, almeno di facciata, erano tutti regimi
parlamentari e repubblicani (l’ultima monarchia cade nel 1889 in Brasile). In realtà però c’erano corruzione
ed esclusione delle masse (a volte dittature personali mascherate)  comunque fu assicurata per un bel
periodo una certa stabilità politica, interrotta solo dai rivolgimenti politici in Argentina e Messico.
Argentina: avvento del suffragio universale porta al governo i radicali, pacificamente. Messico: la via
democratizzazione fu la rivoluzione. Madero, unito a Zapata e a Pancho Villa, aizzarono la rivolta e
destituirono il presidente Porfirio Diaz. Ben presto però sorse un conflitto tra borghesi e contadini: i primi
volevano soltanto la liberalizzazione delle istituzioni, i secondi la riforma agraria (in Messico le terre erano
nelle mani di un migliaio di latifondisti; i peones erano semplici braccianti senza terra). 1913: un golpe portò
al potere Huerta, che stabilì un regime reazionario  una guerra civile interessò il Paese fino agli anni ’20
quando salì al potere Obregòn. Restarono i problemi sociali, ma almeno il Paese potè vantare una
democrazia solidissima.
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12. L’Italia giolittiana.
12.1 La crisi di fine secolo. Come nella Francia del caso Dreyfus e nella GB dello scontro tra le camere,
anche l’Italia fu attraversata da una crisi istituzionale, con in ballo l’evoluzione del regime liberale. Anche
qui vinsero i progressisti  evoluzione su modello dell’Europa occidentale, non degli Imperi centrali. Dopo
Crispi e di Rudinì si creò un fronte conservatore contro i nemici delle istituzioni, socialisti clericali e
repubblicani. Era ispirato alla volontà di limitare il potere parlamentare, rileggendo lo Statuto in maniera
più restrittiva, e ai metodi crespini per mantenere l’ordine pubblico. 1898: aumento prezzi del pane fece
scattare dei moti in tutta la penisola  invece che abbassare il dazio sul grano, di Rudinì rispose come ad
una rivoluzione, con la polizia e lo stato d’assedio. Fu la repressione militare: a Milano Bava Beccaris usò
l’artiglieria sulla folla. Capi socialisti, radicali e repubblicani vennero arrestati. Ristabilito l’ordine, lo scontrò
si spostò in Parlamento  Rudinì si dimise nel 1898 per dissensi con il re e con i propri alleati, Pelloux
propose dei provvedimenti che avrebbero gravemente limitato sciopero, libertà di stampa e associazione
 l’estrema sinistra rispose con l’ostruzionismo, bloccando così l’operatività delle camere, che Pelloux
sciolse indicendo nuove elezioni. 1900: batosta per la compagine governativa. Vittoria dell’opposizione
quando Pelloux rinunciò nonostante l’esigua maggioranza  Umberto I nominò Saracco, prima di cadere
vittima di un attentato il 29 luglio, ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci.
12.2 La svolta liberale. Con il governo Saracco iniziò una fase di distensione per la politica italiana, favorita
anche dall’economia in crescita, dal calare delle tensioni sociali e dalla disponibilità del nuovo re Vittorio
Emanuele III verso i progressisti. Alla dimissioni di Saracco, il re chiamò al governo Zanardelli, che fece
ministro degli Interni Giovanni Giolitti, lo stesso che aveva detto di permettere gli scioperi perché era
nell’interesse di tutti permettere ai lavoratori di organizzarsi ed esprimersi. Riforme Zanardelli: legislazione
sociale più avanzata, nascita del Consiglio superiore del lavoro, municipalizzazione di alcuni servizi pubblici.
La linea seguita dal governo era di neutralità nei conflitti di lavoro  crescita a macchia d’olio delle
organizzazioni sindacali e del lavoro, come la Federterra delle leghe rosse padane  impennata degli
scioperi, oltre mille nel solo 1902  rialzo generalizzato dei salari, che nel primo quindicennio del secolo
crebbero in media del 35%.
12.3 Decollo industriale e progresso civile. A fine secolo ci fu il primo vero decollo industriale italiano, che
come precondizioni ebbe i trent’anni di vita unitaria con tutti gli interventi utilissimi attuati dai vari governi:
ferrovie, settore siderurgico sviluppato grazie alla svolta protezionistica del 1887 e riforma del sistema
bancaria dopo scandalo Banca romana  1894: nacquero la Banca commerciale e il Credito italiano 
afflusso di risparmio privato verso gli investimenti industriali  nuovi impianti di lavorazione del ferro
(Savona, Piombino, Bagnoli). Poche società siderurgiche, e commesse statali. Tessile: industria cotoniera.
Sviluppi interessanti nei settori non favoriti o sfavoriti dalle tariffe dell’’87: chimico (gomma alla Pirelli
milanese) e meccanico, specie il settore automobilistico. Fiat, fondata nel 1899 da Giovanni Agnelli. In
vent’anni l’industria elettrica era cresciuta in modo incredibile. 1896-1907: crescita italiana superò del 7%
quella di qualsiasi altro Paese europeo. Aumentò il reddito pro capite  gente può comprare altri beni
oltre al cibo, come utensili domestici o anche biciclette, etc… Cambiava la qualità di vita. Metropoli italiane
più piccole ma sempre più simili alle altre europee (servizi pubblici). Precarie condizioni abitative, ma acqua
corrente per tutti e miglioramento delle reti fognarie  calo mortalità da malattie infettive (colera o tifo),
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come quella infantile. Ma il divario con le potenze europee restava larghissimo: analfabetismo alle stelle,
eccesso di manodopera impiegata in agricoltura (55% in Italia, 8% in UK!!!)  emigrazioni: otto milioni tra
1900 e 1914, soprattutto dal Sud. I meridionali andavano in Nord America permanentemente. Effetti
positivi emigrazione: calo pressione demografica e arrivo delle rimesse, ma era pur sempre una perdita.
12.4 La questione meridionale. Lo sviluppo si concentrò nel Nord del triangolo industriale (GE-TO-MI),
accrescendo il divario di questo con il Sud, dove le grandi imprese non erano presenti. Nemmeno
l’agricoltura riuscì a crescere nel Meridione: per lo più lo sviluppo avvenne nella Pianura Padana. Da tutto
questo scaturirono i mali storici del Sud: analfabetismo, disgregazione sociale, assenza classe dirigente
moderna, subordinazione borghese ai proprietari terrieri, lotta politica clientelare e personalistica 
meridionalizzazione della pubblica amministrazione italiana. Al Sud la società era molto molto arretrata.
12.5 I governi Giolitti e le riforme. Giolitti salì al governo nel 1903 e subitò ampliò la base dell’esperimento
liberal-progressista offrendo al socialista Turati un posto al governo, che però questi rifiutò. Governo di
centro dunque, con influenze conservatrici  limiti del riformismo giolittiano, che sacrificò importanti
progetti se incompatibili con la maggioranza. Leggi speciali per il Mezzogiorno, 1904: stanziamenti statali e
agevolazioni fiscali per Napoli e Basilicata prima, per la Calabria e le isole poi. Esse non curarono le cause
dei mali però, anche se effettivamente erano molto veloci da applicare e permisero ad esempio l’apertura
degli stabilimenti siderurgici di Bagnoli. Volle statizzare le ferrovie, ma incontrò dura opposizione. Si dimise
lasciando il governo a Fortis. Lo faceva spesso nei momenti difficili, per poi tornare sicuro dell’appoggio
della maggioranza parlamentare. Dopo le brevissime parentesi Fortis (che fece statizzare le ferrovie) e
Sonnino, nel 1906 Giolitti tornò al governo. Il “lungo ministero Giolitti” iniziò con la conversione della
rendita, riduzione del tasso di interesse ai possessori di titoli di debito pubblico  riduzione oneri gravanti
sul bilancio statale. Pochi chiesero il rimborso immediato: fiducia dei risparmiatori era evidente. La crisi del
1907 fu arginata dalla Banca d’Italia, la crescita riprese ma si inasprirono gli scontri sociali  1910: nasce la
Confindustria. Altra “ritirata strategica” a fine 1909, parentesi Sonnino e Luzzatti, ritorno nel 1911: Giolitti
era ora spostato a sinistra. Nel 1912 fece approvare le leggi sull’ampliamento del suffragio e sul monopolio
statale delle assicurazioni: apogeo del riformismo giolittiano. Ma la guerra in Libia iniziava già a mettere in
crisi Giolitti.
12.6 Il giolittismo e i suoi critici. Quella di Giolitti fu una sorta di “dittatura parlamentare”, caratterizzata
però da punti forti, come: il sostegno alle forze più moderne dello stato, tentativo di coinvolgere nel gioco
politico forze considerate nemiche delle istituzioni, tendenza ad allargare intervento pubblico per
correggere gli squilibri sociali. La capacità di Giolitti di controllare il Parlamento gli permise di governare a
lungo senza l’assillo di crisi ricorrenti, ma in cambio favoriva il trasformismo e le ingerenze elettorali
dell’esecutivo, specie nel Sud. Ciò finiva per contraddire le positivissime premesse del giolittismo. I critici di
tale sistema erano i socialisti rivoluzionati e i cattolici democratici, liberal-conservatori come Sonnino ( il cui
programma era buono, specie per il Sud, ma non frutto di un compromesso – era calato dall’alto) e
Albertini (direttore Corriere), meridionalisti come Salvemini (che chiamò Giolitti il “ministro della
malavita”), che accusarono il Governo di favorire economicamente il Nord. Tutte queste critiche, per
quanto eccessive, mostrarono la crescente impopolarità di Giolitti, la debolezza interna del suo sistema e il
suo distacco dalla massa.
12.7 La politica estera, il nazionalismo, la guerra di Libia. Dopo Crispi la politica estera italiana subì un
cambio di rotta  fu attenuata la linea filotedesca, fu conclusa la guerra doganale con la Francia e con essa
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fu decisa la spartizione del Nord Africa. All’Italia la Libia, a Parigi il Marocco. Ciò non piacque alla Germania,
mentre saliva la tensione con Vienna, quando essa occupò unilateralmente la Bosnia-Erzegovina nel 1908.
Italia era alleato debole della Triplice  riscossa nazionale: sentimenti irredentisti rispuntarono, insieme
alla volontà coloniale. L’Italia non voleva essere una potenza di secondo rango. Idee di Corradini sulla
“nazione proletaria” vs. quella capitalista  movimento nazionalista in Italia, che nel 1910 si raccolse
nell’Associazione nazionalista italiana. Un suo gruppo iniziò una campagna martellante a favore della
conquista della Libia, appoggiato dai cattolico-moderati e dal Banco di Roma, parlando delle ricchezze
libiche poi mai trovate, fino a spingere il Paese sull’orlo dell’intervento. Ma la spinta decisiva arrivò dopo la
seconda crisi marocchina e quando fu chiaro il controllo francese sul Marocco  invio di un contingente in
Libia nel 1911  guerra contro la Turchia (guerriglia delle popolazioni arabe), per la quale l’Italia dovette
occupare anche Rodi e il Dodecanneso. 1912: pace di Losanna, Turchia rinunciò alla sovranità politica sulla
Libia. Resistenza però continuò ed economicamente la Libia fu un pessimo affare: scarsissime risorse (non si
sapeva del petrolio). Opposizione e consenso alla guerra: la prima dai repubblicani, dai radicali, dai
socialisti, il secondo dall’opinione pubblica borghese. Tale confronto radicalizzò il confronto politico e
rafforzò le ali estreme: le correnti riformiste e collaborazionisti (quindi Giolitti) persero terreno.
12.8 Riformisti e rivoluzionari. Il Psi si mostrò vicino alla politica riformista giolittiana, vedendo le riforme
come l’unico modo di consolidare i risultati già ottenuti. Le correnti più di sinistra ed intransigenti, contrarie
allo stato borghese e monarchico e a Giolitti, si opposero ben presto a Turati e alla sua idea di collaborare
con il governo; particolarmente agguerriti erano i sindacalisti rivoluzionari. Al congresso di Bologna i
rivoluzionari tolsero ai riformisti la guida del partito  1904, primo sciopero generale nazionale della storia
italiana. Opinione pubblica e borghesia scosse, ma Giolitti non intervenne aspettando che lo sciopero di
esaurisse da solo; esso mostrò al movimento operaio quanto disorganizzato fosse, rese chiara la necessità
di un migliore coordinamento nazionale  i riformisti riuscirono a creare la Confederazione generale del
lavoro (Cgl) nel 1906, sotto la guida di Rigola  i sindacalisti rivoluzionari iniziarono ad essere emarginati
fino ad essere allontanati dallo stesso Psi nel 1907. Ma tra i riformisti si creò una corrente revisionista
(Bissolati e Bonomi), che voleva trasformare il Psi in un partito del lavoro non ideologicamente schierato 
situazione si scalda con la guerra libica, cui Bonomi e Bissolati non sono del tutto contrari. Essi furono
espulsi nel 1912 insieme agli altri riformisti  scissione del partito ebbe gravi conseguenze sul futuro del
socialismo italiano. La guida del Psi tornava agli intransigenti, tra cui si iniziava a distinguere Benito
Mussolini, che divenne presto direttore dell’”Avanti!”.
12.9 Democratici cristiani e clerico-moderati. In età giolittiana si sviluppò, in campo cattolico, il movimento
democratico-cristiano di Murri, condannato dal nuovo papa Pio X. Ebbero un grande sviluppo,
contemporaneamente, le organizzazione sindacali “bianche” (in Sicilia Luigi Sturzo guidò il movimento
cattolico contadino). Sul piano politico le forze clerico-moderate stabilirono alleanze elettorali, in funzione
conservatrice e anti-sinistra, con i liberali: questa linea politica avrebbe avuto piena consacrazione, nelle
elezioni del 1913, col “patto Gentiloni”; con esso i cattolici si assicuravano una capacità di pressione
notevole sulla classe dirigente, ma contemporaneamente allontanavano il momento in cui sarebbe nato un
loro movimento autonome.
12.10 La crisi del sistema giolittiano. Le prime elezioni a suffragio universale non cambiarono gli equilibri
parlamentari: i liberali avevano confermate le loro poltrone, ma facevano ingresso nuovi gruppi, che
rendevano la maggioranza più eterogenea e difficile da controllare da Giolitti, che si dimise nel 1914
indicando al re di nominare Salandra, con l’obiettivo di riprendere il suo posto entro poco. Ma la guerra di
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Libia e una nuova crisi economica nel 1913 avevano radicalizzate ed estremizzato lo scontro politico: destra
conservatrice vs. correnti rivoluzionarie di sinistra. Giugno 1914: “settimana rossa”, manifestazioni in realtà
di carattere insurrezionale in Marche e Romagna contro l’uccisione di tre manifestanti antimilitaristi ad
Ancona. Il tutto si esaurì in pochi giorni, rafforzando i conservatori nelle loro posizioni. La grande guerra
avrebbe reso irreversibile la crisi del giolittismo, mettendo in discussione i modelli, non adatti alla società di
massa.
13. La prima guerra mondiale.
13.1 Dall’attentato di Sarajevo alla guerra europea. 28 giugno 1914: un irredentista serbo uccise con due
colpi di pistola Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria. Vienna volle dare una lezione alla Serbia 
era un caso internazionale, e il casus belli. Il grande conflitto era già nell’aria da tempo. 23 luglio: Vienna
inviò un durissimo ultimatum alla Serbia, che però aveva il sostegno della Russia e lo accettò solo in parte
 dichiarazione di guerra, il 28 luglio. Il giorno dopo il governo russo mobilitò le forze armate verso ovest.
La Germania interpretò come preparativi per ostilità, mandò un ultimatum, che non ricevette risposta, e il
giorno dopo dichiarò guerra alla Russia zarista, in aiuto della quale intervenne naturalmente la Francia. Fu
la Germania a far crollare la situazione, a causa del complesso di accerchiamento che viveva e del piano
Schlieffen, che prevedeva l’annientamento della Francia in poche settimane per poi concentrare
l’attenzione sulle truppe zariste, più lente a muoversi. Il 4 agosto, truppe tedesche invasero il Belgio
neutrale, per attaccare la Francia dal punto più debole  a GB non va bene affatto, e il 5 agosto dichiara
guerra alla Germania (ecco il suo primo grave scacco). La guerra fu sottovalutata un po’ da tutti, i governi
pensavano che la guerra avrebbe rafforzato la loro posizione: in effetti successe questo almeno all’inizio. Ci
fu una notevole mobilitazione patriottica a sostegno della guerra in gran parte d’Europa.
Contemporaneamente entravano in crisi il pacifismo e l’internazionalismo socialista: l’opposizione socialista
alla guerra si conservò solo in Russia e Serbia.
13.2 Dalla guerra di movimento alla guerra di usura. Lo spiegamento delle forze dimostrò quanto fossero
cambiati gli eserciti, che erano imponenti rispetto a quelli ottocenteschi (Germania aveva un milione e
mezzo di soldati al fronte, Francia un milioni, GB due milioni di volontari). C’erano nuovi armamenti, come i
fucili a ripetizione e le potentissimi mitragliatrici automatiche, ma le strategie erano vecchie, ancora quelle
delle guerra di movimento, rapida e fatta di pochi scontri campali. L’attacco alla Francia vide una serie di
clamorosi successi iniziali: nonostante resistenza belga e intervento inglese, i tedeschi in due settimane
dilagarono in Francia fino ad attestarsi a poche decine di chilometri da Parigi, che venne abbandonata dal
governo e dai civili. Intanto sul fronte orientale il generale Hindenburg bloccava i russi che tentavano di
entrare in Prussica, durante le battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri. Ma l’avanzata russa preoccupava
molto austriaci e tedeschi, che concentrarono forze sul fronte orientale  controffensiva francese: con la
battaglia della Marna il piano tedesco si potè dire sostanzialmente fallito. A fine novembre gli eserciti erano
attestati in trincee improvvisate lungo una linea di 750 km, che andava dal Mare del Nord alla Svizzera. 4
mesi di guerra: 400.000 morti sul solo fronte occidentale. Guerra di movimento era in realtà una situazione
di stallo  era una nuova guerra, detta di logoramento: eserciti immobili, scontri sterili e sanguinosissimi,
stasi. Importante era invece il ruolo inglese, e quello russo, ma anche quello di quante potenze erano
restate fino ad allora fuori dal conflitto  allargamento della guerra. Giappone intervenne a sostegno di
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Londra, lo stesso fecero Italia, Portogallo, Grecia e infine Stati Uniti, mentre con gli Imperi centrali si
schierarono Bulgaria e Turchia. La guerra era mondiale.
13.3 L’Italia dalla neutralità all’intervento. Appena scoppiata la guerra, Salandra annunciò la neutralità
italiana, visto che la Triplice era un trattato difensivo e l’opinione pubblica detestava l’Austria  presto
però iniziò a diffondersi l’idea di una guerra contro Vienna, per completare l’unificazione e dare un
sostegno alla democrazia europea in pericolo. La sinistra democratica fu portavoce della linea interventista:
repubblicani, radicali e socialriformiti di Bissolati e frange estremiste del movimento operaio; ad esso
presto si aggiunsero i nazionaliti, ideologicamente lontanissimi dalla sinistra, ma altrettanto desiderosi di
vedere l’Italia intervenire nel conflitto per affermare la sua vocazione imperialista. L’interventismo
conservatore fu più prudente e cauto, invece; Salandra e Sonnino sapevano che una vittoria avrebbe
rafforzato le istituzioni. Aderivano invece al neutralismo Giolitti e i liberali, il mondo cattolico guidato dal
nuovo papa, Benedetto XV, e i socialisti, in controtendenza rispetto ai colleghi europei (l’unica defezione fu
quella di Mussolini). Il fronte neutralista era in maggioranza numerica, ma male organizzato e incapace di
unirsi per evitare il conflitto; gli interventisti invece avevano come volontà comuna la guerra contro
l’Austria e, tra l’altro, la fine del giolittismo e la nascita di una nuova poitica italiana. Naturalmente erano a
favore dell’intervento soprattutto i giovani e gli intellettuali (vedi D’Annunzio), le parti cioè dinamiche della
società. Chi contava erano il re, Salandra e Sonnino, che tennero il piede in due scarpe per mesi, ma si
volsero all’Intesa non appena videro la sconfitta tedesca in Francia. 26 aprile 1915: Patto di Londra: in caso
di vittoria l’Italia avrebbe avuto cessioni territoriali necessarie a completare l’unificazione. L’ultimo ostacolo
era il neutralismo parlamentare: Salandra si dimise quando Giolitti gli oppose trecento deputati, ma il re
rifiutò le dimissioni mostrando di approvare il suo operato. In più le “radiose giornate” del maggio 1915
dimostrarono chiaramente che l’opinione pubblica era per l’intervento. La Camera si vide costretta, per non
sconfessare il sovrano, ad approvare il Patto. 23 maggio 1915: Italia dichiarò guerra all’Austria. “Né aderire
né sabotare” dei socialisti.
13.4 La grande strage (1915-16). Si pensava naturalmente ad un conflitto veloce. Non fu così.
Immediatamente gli austriaci ripiegarono di qualche chilometri fino ad attestarsi sull’Isonzo e sulle alture
del Carso, le posizioni difensive più favorevoli. Le battaglie guidate dal generale Cadorna costarono 250.000
uomini e non fecero avanzare di un solo metro l’esercito italiano. Ma per tutto il 1915 gli schieramenti
restarono fermi anche sul fronte francese; gli unici successi furono quelli tedeschi contro la Russia sul
fronte orientale, prima con l’avanzata in Polonia, poi il debellamento della Serbia. Febbraio 1916: i tedeschi
ripresero l’offensiva contro la Francia  Verdun, battaglia durata quattro mesi e troppo costosa per tutti;
intervento inglese sulla Somme, che si risolse in un’altra estenuante battaglia di logoramento 
carneficina: 1.600.000 caduti tra le due battaglie. Gli austriaci tentarono nel giugno 1916 la Strafexpedition
per spaccare in due lo schieramento italiano nella pianura veneta; l’eserciti resistette all’attacco ad Asiago,
ma il contraccolpo morale fu pesantissimo: cadde il governo Salandra, sostituito da Boselli. Ancora stasi
sull’Isonzo. Sul fronte orientale la Russia riuscì a riprendersi quanto perso l’anno prima e ad indurre la
Romania ad entrare nel conflitto a fianco dell’Intesa  disastro, Romania debellata, risorse agricole ed
energetiche a disposizione degli Imperi centrali. Tuttavia essi erano sotto l’Intesa, economicamente, anche
per il rigidissimo blocco navale attuato da Londra  battaglia navale dello Jutland. Fallimento tedesco.
13.5 La guerra nelle trincee. Sul piano tecnico, la trincea fu la vera protagonista del conflitto, per quanto
semplice: la vita monotona ma pesante che vi si svolgeva era interrotta solo, di quando in quando, da
grandi e sanguinose offensive, prive di risultati decisivi (gli assalti, anticipati dal “fuoco di preparazione”,
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che non faceva che rovinare ogni effetto sorpresa sul nemico). Da ciò, soprattutto nei soldati semplici, uno
stato d’animo di rassegnazione e apatia che spesso sfociava in forme di insubordinazione (non si tornava
dalla licenza, fino alla peggiore, l’automutilazione). Solo alcuni reparti speciali mantennero sempre
l’entusiasmo, ma loro non erano tappati nelle trincee per settimane: le Sturmtruppen tedesche e gli arditi
italiani; per gli altri, soprattutto di estrazione contadina, la guerra era un flagello naturale da sopportare.
13.6 La nuova tecnologia militare. Tecnologia applicata alle esigenze belliche. Grande novità subdola
furono le armi chimiche, i gas tossici. Le telecomunicazioni vennero perfezionate, così come i mezzi
motorizzati, il che rese più veloci ed efficienti gli spostamenti. L’aviazione però, ad esempio, non ebbe un
peso decisivo nella IGM, non essenso ancora sufficientemente sicura e affidabile. Stentati esordi anche per
i carriarmati: le autoblindo. Le potenzialità non furono capite, e gli inglesi iniziarono a servirsene
regolarmente solo nel 1917, dopo aver sostituito le ruote con i cingoli. Il sottomarino invece influì molto sul
corso della guerra: la guerra sotto il mare era molto utile, i primi ad accorgersene furono i tedeschi. Guerra
sottomarina fu sospesa per le pressioni americane sulla Germania dopo l’affondamento del Lusitania, 1915.
13.7 La mobilitazione totale e il “fronte interno”. Tutti i civili, vicini o lontani al fronte che fossero, furono
vittime dirette del conflitto, ne sentirono gli sconvolgimenti. Ad esempio gli armeni, vittime di un genocidio
nel Caucaso. Rivolgimento maggiore fu senz’altro la mobilitazione industriale per sostenere le continue
consegne del cliente Stato, che doveva alimentare in continuazione la macchina militare nazionale senza
badare a spese. L’intervento statale in economia si faceva molto forte  in Germania si arrivò a parlare di
“socialismo di guerra”. Si rafforzarono anche gli apparati statali, però  aumento della burocrazia. Si
assistette ad una “militarizzazione” della società, tanto in Germania quanto in GB e Francia: lo stato
maggiore aveva un potere ampissimo nella società del primo conflitto mondiale, e si preoccupava di
debellare i nemici interni. Mobilitazione avveniva attraverso la propaganda, che però era ancora
rudimentale. Contemporaneamente alle conferenze di Zimmerwald e Kienthal i socialisti europei contrari
alla guerra di riunirono per urlare il loro “no”. Col protarsi del conflitto, ovviamente, l’opposizione socialita
vedeva sempre più persone coinvolte; c’erano tensioni interne tra le sinistre riformiste e il “disfattismo
rivoluzionario”, spartachisti e bolscevichi.
13.8 La svolta del 1917. Nei primi mesi dell’anno accaddero due cose che cambiarono le sorti del conflitto e
del mondo: la rivoluzione in Russia con la destituzione dello zar e l’intervento americano nella guerra
contro la Germania. Il peso americano iniziò a farsi sentire in capo a pochi mesi. L’esercito russo intanto si
dissolveva, e i tedeschi penetrarono in Russia con facilità. Il malessere delle truppe in battaglia si fece
sempre più forte: erano stanche della guerra e di ricevere un trattamento disumano, tanto tra gli eserciti
dell’Intesa quanto tra quelli degli Imperi centrali. In Austria-Ungheria l’andamento non brillante della
guerra provocò il risveglio delle “nazionalità oppresse”, e presto Carlo I tentò di portare avanti dei negoziati
per una pace separata, respinti dall’Intesa. Benedetto XV fece appello perché si ponesse fine alla “inutile
strage”.
13.9 L’Italia e il disastro di Caporetto. Anche per l’Italia il 1917 fu l’anno più difficile della guerra; le truppe
stanche continuavano i tentativi di sfondare le linee austriache sull’Isonzo, invano. Lo popolazione civile era
sempre più scontenta e rabbiosa, perché iniziavano a mancare beni e cibo; a Torino la carenza di pane
sfociò in moti con forte partecipazione operaia; situazione complessa e delicata  Austria ne approfittò, e
con l’aiuto delle truppe tedesche, sfondò le linee italiane a Caporetto e tentò per la prima volta la tattica
dell’infiltrazione, così efficace da prendere gli avversari di sorpresa. L’esercito italiano si riuscì ad attestare
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su una linea difensiva solo in corrispondenza del Piave, dopo una tragica ritirata. Cadorna fu sostituito da
Diaz. La sconfitta era stata causata dalla demoralizzazione delle truppe, ma soprattutto dall’incapacità dei
comandi di rispondere alla tattica tedesca. Intanto però la guerra per l’Italia era diventata difensiva e aveva
riacceso gli animi: intorno al governo Orlando si strinsero tutte le forze politiche. Diaz si mostrò più
sensibile alle necessità delle truppe, e cercò di sollevare loro il morale e le loro condizioni di vita;
contemporaneamente iniziava a diffondersi con il Servizio P la propaganda al fronte  si iniziò a parlare di
“guerra democratica”, lotta per un più giusto ordine interno e internazionale.
13.10 Rivoluzione o guerra democratica? La rivoluzione d’ottobre portò al governo Lenin e i bolscevichi,
che volevano gettarsi alle spalle la guerra e decisero di firmare un trattato di pace separata con gli imperi
centrali  3 marzo 1918, pace di Brest-Litovsk, dalle condizioni durissime per la Russia. Eppure Lenin aveva
salvato il nuovo stato socialista. Per rispondere alla sfida lanciata da Lenin, si accentuò il tono ideologico del
conflitto, come lotta contro l’autoritarismo  ad opera del presidente americano Wilson soprattutto. Sono
del gennaio 1918 i quattordici punti di Wilson: non solo prevedeva diminuzione degli armamenti o
l’abolizione della diplomazia segreta, ma anche precise delineazioni dei nuovi confini europei una volta
sconfitta la Germania, nonché la fondazione della Società delle Nazioni. Da molti il wilsonismo du vissuto
come una rivoluzione diplomatica, ma la realtà era che molti governi europei non lo condividevano affatto,
ma finsero di farlo perché avevano troppo bisogno dell’aiuto americano e perché si opponeva alla
rivoluzione che contemporaneamente stava avendo luogo in Russia, ben più pericolosa ai loro occhi.
13.11 L’ultimo anno di guerra. Le posizioni degli schieramenti erano ancora le stesse. Le truppe tedesche
riuscirono a sfondare a Arras e Saint Quentin e arrivarono sulla Marna di nuovo, mentre gli austriaci
attaccarono in forze il Piave  ma gli anglo-francesi riuscirono anche con l’appoggio americano a
respingerli, come gli italiani del resto. Tra l’8 e l’11 agosto i tedeschi furono sconfitti ad Amiens: al governo
di coalizione nazionale spettò l’ingrato compito di aprire le trattative di pace, anche se i responsabili di
tutto erano stati i comandi militari. Ma era tardi: i suoi alleati crollavano uno dopo l’altro, prima la Bulgaria,
poi la Turchia, infine l’Austria, travolta dai moti indipendentisti e anche dall’offensiva italiana sul Piave 
battaglia di Vittorio Veneto  armistizio Austria-Italia, 3 novembre. La Germania intanto era scossa da una
rivoluzione su modello russo, con ammutinamento dei marinai a Kiel e la formazione di consigli
rivoluzionari. Ebert fu messo a capo del governo, il Kaiser trovò rifugio in Olanda. L’armistizio fu firmato a
Rethondes l’11 novembre, e impose alla Germania delle condizioni molto molto dure: consegna della flotta,
ritiro oltre il Reno, cessione unilaterale dei prigionieri, annullamento dei trattati con Russia e Romania.
Germania perdeva una guerra senza che un solo lembo del suo territorio fosse stato occupato da un
esercito straniero: la perse per fame e stanchezza. 8,5 milioni di vittime e una generazione decimata fu
l’esito della guerra.
13.12 I trattati di pace e la nuova carta d’Europa. Il compito dei vincitori a Versailles era quello di
ricostruire un ordine europeo dopo la guerra e la caduta di quattro imperi (tedesco, austro-ungarico, turco
e russo). Si pensava che i lavori si sarebbero basati sui quattordici punti di Wilson, ma si scoprì in fretta che
la loro messa in pratica non era così semplice, perché in realtà l’Europa era un intreccio molto complesso di
etnie e popoli, ed era difficile stabilire confini secondo l’autodeterminazione senza creare nuovi
irredentismi. Erano presenti: Wilson, Clemenceau, Llyod George e Orlando. Pace democratica o pace
punitiva per la Germania? A Parigi non bastavano Alsazia e Lorena, voleva invece il confine sul Reno, ma
dovette rinunciarvi. Il trattato di Versailles con la Germania fu una imposizione vera e propria: cessioni
territoriali, come il corridoio polacco con Danzica che andarono alla Polonia, l’Alsazia e Lorena e le colonie.
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Clausole economiche e militari: riparazioni altissime che avrebbero bloccato lo sviluppo economico
tedesco, abolizione del servizio di leva, Ruhr smilitarizzata  umiliazione della Germania, che la Francia
temeva tornare ad essere la potenza egemone europea. Altro problema furono i riconoscimenti delle realtà
nazionali post-Impero austro-ungarico. La Repubblica d’Austria fu ridotta ad uno Stato piccolo, senza
sbocco sul mare, impossibilitato a riunirsi con la Germania, mentre l’Ungheria si vide tolte molti territori
magiari. Molte etnie godettero della caduta dell’Impero austro-ungarico: nacquero la Cecoslovacchia (stato
federale con una minoranza di tre milioni di tedeschi sudeti) e la Jugoslavia, mentre l’Italia acquisiva
territori e l’Impero ottomano si riduceva alla sola penisola anatolica. La Bulgaria fu ridimensionata. La
Repubblica socialista russa non fu riconosciuta a Versailles, anzi fu circondata da un cordone sanitario di
stato cuscinetto che impedissero un eventuale dilagare della rivoluzione in Europa occidentale (Finlandia,
Estonia, Lettonia, Lituania). Nel 1921 si aggiungeva al numero di Stati neonati anche l’Irlanda. Wilson voleva
che a garanzia del nuovo equilibrio si ponesse la Società delle Nazioni, un organismo internazionale che non
aveva precedenti nella storia; ma era già minata all’inizio, perché non comprendeva gli sconfitti e la Russia.
Ma il colpo le fu dato dagli States stessi, quando il Senato votò contro l’adesione alla Società delle Nazioni a
favore dell’inizio di un periodo di isolazionismo reclamato dall’opinione pubblica. Organizzazione inutile!!
14. La rivoluzione russa.
14.1 Da febbraio a ottobre. In Russia dopo la IGM ci fu una svolta storica: la più grande rivoluzione dopo
quella francese. Fine dell’assolutismo zarista. Nel febbraio 1917 ci fu quindi un governo provvisorio liberale,
che voleva continuare la guerra e occidentalizzare la Russia. Con loro stavano cadetti, menscevichi e
socialisti rivoluzionari. I bolscevichi invece rifiutarono qualsiasi partecipazione. Ma la coalizione antizarista
non bastava a tenere su il governo: infatti, spuntarono ovunque come nel 1905 i soviet, che vennero a
formare una sorta di parlamento proletario che emanava disposizioni diverse da quelle del governo. Lenin
tornò in Russia nel 1917 e iniziò a far circolare le cosiddette “tesi di aprile”, che rovesciando il pensiero
marxista chiamavano i proletari alla rivolta per la presa del potere (nonostante secondo Marx la rivoluzione
sarebbe prima scoppiata nei paesi più sviluppati). Lenin voleva conquistare il controllo su più soviet
possibile, e di fatto le sue idee e la sua opposizione alla guerra valsero ai bolscevichi numerosissimi
consensi tra contadini e operai. Intanto l’opposizione socialista contraria al governo e alla guerra sfociò in
un’insurrezione, presto sedata dalle truppe fedeli a L’vov, che però presto si dimise lasciando il governo a
Kerenskij, che tentò una politica personale. Ma era totalmente screditato. Il comandante dell’esercito,
Kornilov, tentò il colpo di stato, ma fallì perché il governo ebbe l’appoggio bolscevico, anche se Lenin ormai
stava preparandosi a insorgere contro il governo provvisorio.
14.2 La rivoluzione d’ottobre. Dopo un’accesa riunione del partito, in cui molti si opposero alle sue
proposte, Lenin (appoggiato da Trotzkij, mente militare dell’insurrezione) riuscì a far scattare la rivolta, che
Kerenskij non riuscì a stroncare perché l’esercito non gli obbedì. Il 7 novembre (25 ottobre del calendario
russo) le truppe rivoluzionarie presero i punti chiave della città e circondarono il Palazzo d’Inverno, per poi
prenderlo la sera stessa. Si riunì immediatamente il Congresso panrusso dei soviet  decreti sulla pace
giusta e senza indennizzi, e sulla terra, che diede ai contadini ciò che volevano. Venne creato un governo
rivoluzionario con Lenin presidente. La poca resistenza puntò tutto sulle successive elezioni, amara
delusione per i bolscevichi. I vincitori furono i socialrivoluzionari  la successiva Costituente fu però
immediatamente sciolta dai bolscevichi  premesse per una dittatura di partito. Lenin era convinto però
che solo il proletariato avesse il potere di guidare la rivoluzione.
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14.3 Dittatura e guerra civile. La Russia aveva ereditato problemi immensi, primo tra tutti la guerra, e i
bolscevichi non godevano dell’appoggio di nessun’altra forza politica, né delle masse (emigrazione politica,
un vero e proprio esodo). Il governo volle costruire uno Stato proletario secondo il modello disegnato da
Lenin nel suo “Stato e rivoluzione”: autogoverno delle masse su esempio dei soviet. Niente Stato,
espressione del potere di una classe su un’altra. Ormai il governo doveva fare la pace, e il 3 marzo 1918
firmò il durissimo trattato di Brest-Litovsk, pace separata con la Germania. Bolscevichi totalmente isolati,
mentre a livello internazionale la pace fu interpretata come un tradimento mentre ancora l’Intesa
combatteva gli Imperi centrali  appoggio occidentale agli oppositori dei bolscevichi, nonché sbarchi di
truppe anglo-francesi, americane e giapponesi  guerra civile. Le armate bianche controrivoluzionarie
giunsero dalla Siberia al Volga con l’ammiraglio Kolciak (esecuzione dello zar e della famiglia a
Ekaterinenburg) e dal Nord della Russia si mossero verso sud (spostamento capitale a Mosca). Il governo
intanto accentuava i suoi caratteri autoritari: creazione della Ceka, polizia politica, e del Tribunale
rivoluzionario centrale  ogni contestazione venne placata, con arresti ed esecuzioni sommarie. Nel
febbraio 1918 venne ricostituito l’esercito, con il nome di Armata rossa. I commissari politici assicuravano
la fedeltà delle singole unità combattenti al governo. Le forze controrivoluzionarie erano mal coordinate,
finchè nel 1919 non persero anche l’appoggio occidentale. Entro pochi mesi la guerra civile finì. Ma vinti i
nemici interni, la Russia nell’aprile 1920 fu attaccato dalla Polonia, insoddisfatta dal trattato di pace di
Parigi. La risposta bolscevica fu travolgente, e l’Armata rossa giunse presto alle porte di Varsavia, fu
ricacciata indietro. 1921: trattato di pace  alla Polonia parti di Ucraina e Bielorussia, mentre la Russia di
stringeva attorno al governo rosso.
14.4 La Terza Internazionale. Nel 1919 i vertici russi consideravano ancora necessario l’appoggio del
proletariato europeo per poter sopravvivere e possibile la prospettiva di una rivoluzione europea. Lenin
volle un’Internazionale “comunista” , per coordinare gli sforzi rivoluzionari in tutto il mondo. Già nel 1918
era nato il Partito comunista (bolscevico) di Russia. Inizio di marzo 1919: Terza Internazionale, presso cui
nasce anche se poco rappresentativo, il Comintern. Lenin stabilì i “ventun punti” necessari a qualsiasi
partito per entrare a far parte dell’organizzazione, tra cui c’erano la rottura con gli oppositori, il cambio di
denominazione in Partito comunista, etc. Tra ’20 e ’21 comunque in moltissimi Paesi del mondo nascevano
partiti comunisti ispirati al modello sovietico, che appoggiavano la Russia bolscevica in una rete efficiente
ed organizzata: scopo raggiunto. Ma in Europa occidentale i partiti comunisti restavano minoritari rispetto a
quelli socialisti.
14.5 Dal comunismo di guerra alla Nep. L’economia russa era in totale dissesto economico, aggravato dalla
rivoluzione e dalla guerra civile. Agricoltura volta solo all’autocomsumo, industrie mal gestite, banche
nazionalizzate e debito con l’estero cancellato, ma il governo non era in grado di riscuotere tasse  ritorno
al baratto. Il governo nel 1918 decise una linea dura anche in economia: il comunismo di guerra. Primo
problema: approvvigionamenti alle città. Vennero creati dei comitati rurali che dovevano ammassare e
ridtribuire le derrate. Fu incoraggiata la nascita di kolchoz e sovchoz, fattorie collettive e fattorie sovietiche.
L’industria fu statizzata. Misura di emergenza questa, presa affiancando ai vecchi dirigenti delle imprese dei
funzionari di partito (reintroduzione del “cottimo”, del tutto contrario all’egualitarismo salariale). Il
comunismo di guerra fu però un fallimento economico: produzione industriale del 1920 era un settimo di
quella del 1913. Raccolti scarsi. Razionamenti e requisizioni  mercato nero e malcontento popolare,
sfociato spesso in sommosse. 1921: carestia che uccise tre milioni di persone. Duro colpo per l’immagine
del regime sovietico. Ma il dissenso era anche degli operai, che si erano visti togliere tutti compresi i
sindacati  si arrivò a sommosse anche qui, come nel marzo 1921 la rivolta di Kronstadt, repressa
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militarmente. Il X congresso del Partito comunista abolì ogni dialettica al suo interno e decretò la fine del
comunismo di guerra, in favore di una timida liberalizzazione  nuova politica economica (la Nep) aveva
come primo scopo lo stimolo dell’agricoltura e l’arrivo di cibo nelle città. I contadini iniziarono a vendere le
eventuali eccedenze. Liberalizzati anche commercio e piccola industria, mentre la grande e le banche
restarono sotto il controllo statale. Vi fu una notevole ripresa produttiva, che però fece riemergere dalle
ceneri il ceto dei benestanti kulaki. Col commercio aperto c’erano più beni di consumo, ma anche una
nuova categoria di trafficanti ricchissimi, i nepmen. L’industria di Stato però stentava a decollare  crescita
della disoccupazione. Salari degli operai bassissimi: la classe operaia fu la più sacrificata dalle scelte della
Nep.
14.6 L’Unione Sovietica: costituzione e società. Prima costituzione della Russia rivoluzionaria è del 1918 e
stabiliva che il potere doveva essere del popolo e dei suoi organi rappresentativi, i soviet, che lo Stato fosse
federale, lasciasse spazio alle minoranze e si preparasse ad unirsi alle altre repubbliche sovietiche. In realtà
il nuovo stato comprendeva Russia e le ex province zatiste (Azerbaigian, Armenia, Georgia, Bielorussia,
Ucraina)  fine 1922: nascita dell’URSS. La costituzione del 1924 dava il potere supremo al Congresso dei
soviet, anche se in realtà era nelle mani del Partito comunista. Era in pratica una dittatura di partito: esso
guidava il governo, controllava la polizia politica, proponeva i candidati per i soviet, attuava un rigido
centralismo. Ma i capi bolscevichi non volevano solo cambiare economia e istituzioni, volevano una nuova
società compatibile con il nuovo ordine comunista  educazione della gioventù e lotta alla Chiesa
ortodossa. Scristianizzazione in pratica riuscita, l’influenza del clero era quasi del tutto scomparsa, anche
perché la Chiesa ortodossa era già in crisi da tempo, perché legata all’antico regime zarista. Fu permesso
solo il matrimonio civile e semplificato il divorzio, fu legalizzato l’aborto nel 1920, proclamata l’assoluta
parità tra i sessi  in generale ci fu una liberalizzazione dei costumi. L’istruzione fu posta obbligatoria fino
a 15 anni; venne favorito l’insegnamento tecnico a quello umanistico; le giovani menti si forgiava
ideologicamente spingendone quante più possibile ad iscriversi alla Komsomol. Il regime di partito da un
lato spinse molti artisti ad emigrare, dall’altro favorì la nascita di vivaci avanguardie, almeno in un primo
periodo. Fioritura creativa, ma presto le necessità propagandistiche bolsceviche cancellarono la libertà
d’espressione.
14.7 Da Lenin a Stalin: il socialismo in un solo paese. Con la malattia di Lenin e l’ascesa di Stalin alla
segreteria gli scontri interni al partito si acuirono. Il primo problema fu la burocratizzazione del partito, e
quindi l’enorme potere che sarebbe finito nelle mani di Stalin. L’altro protagonista, che cercò di dare spazio
alla vera democrazia sovietica, fu Lev Trotzkij. Questi era molto autorevole, e forse per questo gli altri
membri del partiti fecero blocco attorno al segretario, Stalin, che non godeva nemmeno della fiducia di
Lenin. Secondo Trotzskij poi l’Unione Sovietica doveva cercare di favorire qualche rivoluzione comunista
all’estero (la celebre rivoluzione permanente) e cercarsi di industrializzarsi. Opposizione di Stalin, che
invece stabilì il principio del socialismo in un solo paese, una rottura rispetto alla tradizione bolscevica, ma
un assunto molto realistico. Le nazioni europee tra ’24 e ’25 si decisero a stabilire relazioni diplomatiche
con Mosca  Trotzkij sempre più isolato, infine sconfitto. Dopo di lui, nuovo scontro sull’economia:
Kamenev voleva sospendere Nep, Bucharin no; Stalin stette con lui, espulse Trotzkij. Inizio della sua
dittatura personale.
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15. L’eredità della grande guerra.
15.1 Le trasformazioni sociali. Fu la più grande, forse la prima, esperienza di massa dell’umanità, che
coinvolse 65 milioni di persone e si comportò come un acceleratore di processi; inoltre i combattanti
vivettero per anni in un’altra realtà e una volte tornati fu difficile reinserirli in una società dove intanto le
donne erano subentrate. La mancanza della figura paterna, al fronte a combattere, mutò la struttura della
famiglia e la mentalità dei più giovani. Grandi cambiamenti, nelle strutture come nell’abbigliamento, negli
uomini come nelle donne e nei giovani. Ricerca di nuove occasioni di divertimento, spesso trovate nel
cinema e nella musica americane. Tutti cercavano di rifarsi degli anni perduti. Sorsero molte associazioni
combattentistiche per sostenere i reduci e aiutarli a reinserirli nella società che non capivano più.
Fortissima mobilitazione sociale e fermento, anche aiutati da queste associazioni. L’organizzazione si era
dimostrata l’arma vincente e più conveniente per tutti  massificazione della politica. Perdevano
importanza ad esempio l’azione parlamentare, ne assumevano invece le manifestazioni pubbliche basate
sulla partecipazione diretta. Aspirazione ad un ordine nuovo, ispirato però da principi opposti: per alcuni
esso era quello che iniziava dad attuarsi in Russia, per altri consisteva in una società più equa e giusta,
secondo anche ideali wilsoniani.
15.2 Le conseguenze economiche. Grave dissesto economico per tutti, eccetto USA. Né aumento tasse, né
debito interno, né debito estero erano riusciti a coprire le spese di guerra. Venne stampata moneta 
inflazione. Era un fenomeno mai visto, che sconvolse la società intera. Se gli operai riuscivano a mantenere
il loro reddito reale, e se la guerra aveva arricchito industriali e speculatori, per gli altri, i proprietari terrieri
e il ceto medio, l’inflazione fu la piaga peggiore. Serviva una riconversione dell’economia. La supremazia
europea era intanto stata scalzata da USA e Giappone, dalla nascita di nuove potenze sempre meno
dipendente dall’Europa, e per alcuni paesi come la GB, dalla frammentazione di vecchi partner commerciali
continentali in tante realtà statuali diverse. Fu un periodo di nazionalismo economico e protezionismo
doganale. Si rafforzò la tendenza dei pubblici poteri ad intervenire su materie un tempo riservate alla libera
iniziativa  mantenimento di una enorme macchina burocratica per gestire tale intervento. Ad una prima
espansione “artificiale” seguì una nuova crisi. La vera ripresa, sebbene troppo legata alla galoppante
economia americana, si sarebbe avuta dalla metà degli anni ’20 in avanti.
15.3 Il biennio rosso. Dopo la guerra ci fu una prodigiosa avanzata del movimento operaio e dei socialisti,
che videro ovunque aumentare la loro base sociale  poderose agitazioni, che culminarono con
l’ottenimento della riduzione della giornata lavorativa ad otto ore a parità di salario. Era il biennio rosso:
1918-1920  “Fare come in Russia” era il motto un po’ ovunque, recitato dai radicali più convinti. In
Francia e GB le autorità riuscirono senza problemi a tenere a bada le spinte operaie. Germania, Austria e
Ungheria furono invece teatri di vere e proprie rivoluzioni tentate. L’ipotesi rivoluzionaria però fallì
miseramente: troppo diverse erano in Europa le condizioni rispetto a quelle russe. Fu allora che il
movimento operaio si divise nella corrente d’avanguandia e in quella più moderata un po’ dappertutto; fu
allora che nacquero i partiti di ispirazione bolscevica  volevano portare alla rivoluzione, invece avrebbe
aperto la strada ai conservatori.
15.4 Rivoluzione e controrivoluzione nell’Europa centrale. Rottura comunismo-socialdemocrazia si vedeva
anche per le vicende russe rispette a quelle tedesche della proclamazione della Repubblica. Dopo
l’armistizio l’esercito rientrò e si disgregò in migliaia di unità armate. Il governo legale era esercitato dal
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Consiglio dei commissari del popolo, ma in realtà a governare erano i consigli degli operai e dei soldati. A
Berlino c’erano continue manifestazioni. Situazione simile a quella russa del 1917, ma in realtà molto
diversa. La rivoluzione era ostacolata da: la presenza degli eserciti stranieri al confine, pronti a sedare una
rivoluzione; l’indifferenza rurale rispetto ai moti rivoluzionari urbani; la solidità della classe dirigente; i
particolari rapporti di forza interni al movimento operaio (diversi da quello russo). A differenza dei
menscevichi i socialdemocratici dopo la guerra erano l’unica forza organizzata del paese  non volevano
rivolta come in Russia, ma democratizzazione  compromesso con la vecchia classe dirigente, che vedeva
nella Spd una garanzia di appoggio popolare e quindi di stabilità, e con l’esercito, con cui ci fu un patto non
scritto. Ma tale linea moderata si scontrò ben presto con i più radicali, come la Lega di Spartaco, che
eppure non cercava uno scontro diretto, sapendo di essere minoritaria. Tuttavia le masse spinsero gli
spartachisti ad insorgere (1919), anche se al loro appello a rovesciare il governo quasi non risposero, cosa
che invece fece il governo che represse duramente il tentativo rivoluzionario attraverso i Freikorps, i corpi
franchi, e trucidò i suoi leaders, Liecknecht e Luxemburg. Il 19 gennaio si tennero le elezioni per la
Costituente, vinte dalla Spd che però non ebbe la maggioranza assoluta. Ci voleva una coalizione o con i
cattolici o con i liberali: tale accordo permise di governare, di eleggere a presidente Ebert e di stilare la
nuova super-democratica costituzione, detta di Weimar (assetto federale, suffragio universale maschile e
femminile, gov responsabile di fronte al parlamento, presidente eletto dal popolo). Tuttavia la pace sociale
non arrivò  nuovi tentativi rivoluzionari, specie in Baviera. Ma il vero pericolo era nell’estrema destra:
l’esercito era sempre meno fedele alla repubblica e faceva quello che voleva. Esso diffuse la leggenda della
pugnalata nella schiena: avrebbe vinto la guerra se non fosse stato tradito da una parte del Paese.
Nonostante non fosse affatto vero, la Spd nel 1920 fu sconfitta e dovette lasciare il governo ai cattolici.
Anche in Austria i socialdemocratici furono sconfitti quell’anno dal Partito cristiano-sociale. Tentativi
comunisti di insurrezione continuavano a fallire, mentre in Ungheria i comunisti riuscirono a tirare su un
governo di stampo sovietico, che durò quattro mesi appena, quando Bèla Kun fu destituito dall’ammiraglio
Horthy, che salì al potere scatenando un’ondata di “terrore bianco”. Il Paese cadeva nelle mani della Chiesa
e dei grandi proprietari terrieri.
15.5 La stabilizzazione moderata in Francia e in Gran Bretagna. La fine del biennio rosso e la recessione
economica segnarono la sconfitta operaia e la ripresa dei moderati, che sconfitto il pericolo rivoluzionario
cercarono di ristabilire l’ordine tradizionale socio-politico, di frenare l’inflazione e di dare stabilità
all’assetto internazionale. In Francia e GB l’obiettivo della stabilizzazione fu raggiunto: in Francia la destra
governò fino dal ’19 fino al ’24, con una politica molto conservatrice, fino a che il cartello delle sinistre non
riuscì a portare al governo Herriot, che però sarebbe durato molto poco. Nel 1926 la guida del Paese tornò
al leader moderato Poincarè, che restò tre anni riuscendo a stabilizzare la moneta e a risanare il bilancio
statale, sempre a spese del popolo. Boom economico per i francesi. In GB il processo fu più lento ed
incerto, anche a causa della stagnazione economica che proseguì per tutti gli anni ’20. Tra il 1918 e il 1929
governarono solo i conservatori, a parte una brevissima parentesi laburista nel 1924. La secca sconfitta
liberale di quel periodo rifece del sistema inglese un sistema bipartitico, con i laburisti primi antagonisti dei
conservatori. I governi conservatori  austerità finanziaria e tagli dei salari  scontri con i sindacati.
Grandi manifestazioni e malcontento popolare  scioperi  ma essi non portarono a nulla, dopo sette
mesi di scontro i lavoratori non ottennero nulla  crisi laburisti, che però si ripresero fino a vincere le
elezioni del 1929 (!!!).
15.6 La Repubblica di Weimar. Grandi anni per la Germania, la cui costituzione era un esempio di
liberalismo e democrazia per tutti. Rigoglio attività intellettuale e della cultura. Tuttavia la Repubblica era in
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crisi anche perché mancava una stabilità nelle maggioranze e nei governi, le forze politiche erano molto
frammentate. L’unica che poteva aspirare al ruolo di partito egemone era la Spd (cui nel ’22 si riunì la
Uspd). Fu molto saggia per un decennio, tanto al governo quanto all’opposizione, ma non riuscì mai ad
ampliare la sua base elettorale. Le classi medie, infatti, si raccoglievano attorno ai partiti borghesi (popolari,
democratici, etc) e a quello cattolico. La diffidenza verso il nuovo sistema dunque non coinvolgeva solo la
vecchia classe dirigente, ancora arroccata nella burocrazia e nell’esercito, e l’estrema destra, ma anche la
piccola e media borghesia, per la quale l’età guglielmina aveva significato tranquillità e grandezza
nazionale, mentre la Repubblica era sinonimo di sconfitta e riparazioni di guerra. 1921: gli alleati
dichiararono che le riparazioni ammontavano a 132 miliardi di marchi-oro da pagare in 42 rate annuali: per
50 anni cioè la Germania avrebbe dovuto dare via un quarto del suo PIL. Popolazione furiosa  proteste. Ci
fu un’offensiva da parte dell’estrema destra nazionalista (in cui si stavano facendo largo i nazionalsocialisti
guidati da Adolf Hitler) ai danni della Repubblica considerata traditrice. Tra 1918 e 1919 furono assassinati il
ministro delle Finanze Erzberger e quello degli Esteri Rathenau. I governi tra il 1921 e il 1923 cercarono di
non far pesare il problema delle riparazioni sulla popolazione, per evitare insurrezioni, quindi non alzò le
tasse, iniziando invece a stampare carta-moneta  processo inflazionistico e crollo del valore del marco. Il
governo sperava che ciò avrebbe fatto desistere le potenze vincitrici dal continuare ad imporre loro le
sanzioni economiche.
15.7 La crisi della Ruhr. 1923: Francia e Belgio occuparono il bacino della Ruhr usando come pretesto la
volontò di controllare che la Germania pagasse quelle riparazioni ancora non corrisposte. Il governo
tedesco non potè reagire militarmente ma incoraggiò la resistenza passiva: operai e imprenditori si
rifiutarono di collaborare con gli occupanti. Attentati contro i franco-belgi numerosissimi. Tutto ciò provocò
il definitvo tracollo finanziario per la Germania: il marco si svalutò sino a perdere praticamente ogni potere
d’acquisto (maggio ’21: 1 dollaro per 15 marchi; novembre ’23: 1 dollaro per 4000 miliardi di marchi).
Polverizzazione della moneta. Inflazione inarrestabile. Chi aveva beni reali o chi aveva contratto debiti era
avvantaggiato; mentre chi aveva risparmi da parte perse tutto. Gli industriali esportatori guadagnarono
molto perché percepivano valuta straniera  posero le basi per la successiva espansione, ad un prezzo
altissimo per la collettività però. La classe dirigente reagì: nell’agosto ’23 nacque un governo di grande
coalizione presieduto da Stresemann, convinto della necessità di un accordo con le potenze vincitrici.
Riallacciò il legami con Parigi e proclamò lo stato di emergenza, potendo così sciogliere i governi regionali di
Sassioni e Turingia, e sedare le rivolte comunista ad Amburgo e dell’estrema destra a Monaco.
Quest’ultima, l’8 e 9 novembre, era capeggiata da Hitler e da Ludendorff che si opposero così al governo
centrale, ma non ottennero l’appoggio sperato e vennero fermati. Hitler in galera: la sua carriera sembrava
conclusa. Nell’ottobre si tentò di risanare l’economia  emissione del Rentenmark, il marco di rendita, il
cui valore era garantito dal patrimonio agricolo ed industriale tedesco. Politica deflazionistica: ulteriori
sacrifici, ma ritorno alla normalità finanziaria. Il piano Dawes: secondo questo la Germania per pagare le
riparazioni doveva essere al max della sua forma economica  sovvenzioni USA e restituzione della Ruhr
 ripresa economica notevole. Ma i mali di Weimar erano allo scoperto: elezioni ’24 videre l’avanzata delle
ali estremiste (comunisti e tedesco-nazionali). Fu eletto von Hindenburg, vecchio maresciallo imperiale, a
Pres della Rep. Anni di stabilità comunque: Stresemann ministro Esteri  collaborazione con i vincitori.
Fino al ’28 governa il centro.
15.8 La ricerca della distensione in Europa. Dopo la guerra la Francia cercò di creare un suo sistema di
sicurezza e di alleanze (con i neo-stati dell’Est europeo), e fu molto rigida con la Germania. Con il piano
Dawes invece iniziò una fase di distensione internazionale, confermata dagli accordi di Locarno del 1925,
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che normalizzarono i rapporti franco-tedeschi (grazie anche all’operato dei ministri Stresemann e Briand). Il
piano Young diminuì ulteriormente le sanzioni alla Germania, che intanto fu inserita nella Società delle
Nazioni e vide gli ultimi reparti francesi lasciare la Renania nel 1930. Tale fase di distensione (culminata con
il Patto Briand-Kellog, di Parigi, che rifiutava la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie) si
interruppe alla fine del decennio in coincidenza con la grande crisi economica internazionale (nel 1930 la
Francia stava già costruendo quel cordone difensivo contro la Germania che era la linea Maginot).
16. Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo.
16.1 I problemi del dopoguerra. Alla crisi economica tipica del periodo postbellico, in Italia si aggiunsero
notevoli tensioni sociali: tutte le parti sociali erano in fermento. Gli operai volevano più potere nelle
fabbriche e manifestavano, anche sotto gli echi della rivoluzione russa. I contadini con una nuova
consapevolezza volevano garantiti i loro diritti. I ceti medi iniziarono ad organizzarsi e a mobilitardi per
sostenere i loro interessi. Ma rispetto a Francia e GB, in Italia l’economica e la democratizzazione erano
appena agli inizi, fragilissime. La classe dirigente liberale era entrata in una crisi impressionante.
16.2 Cattolici, socialisti e fascisti. 1919: nasce sotto la guida spirituale di Sturzo e legato alla Chiesa, il
Partito popolare italiano (Ppi). La Chiesa aveva un nuovo atteggiamento politico: voleva arginare il
socialismo. Inoltre ci fu una crescita incredibile del Partito socialista, al cui interno prevaleva la corrente
massimalista, mentre i riformisti erano forti in Parlamento. I massimalisti guidati da Giacinto Menotti erano
ammiratori della rivoluzione bolscevica e volevano lo stato socialista. Ma la rivoluzione la aspettavano e
basta. Dei gruppi di estrema sinistra nacquero attorno a personaggi quali Bordiga, Gramsci o Togliatti, tutti
desiderosi di una esperienza rivoluzionaria più coerente. Tutte illusioni, visto che questo atteggiamento non
fece che allontanare i proletari dalla vita politica: la borghesia era chiaramente spaventata da tali idee, e si
teneva lontana dai socialisti. Nacquero tanti gruppi difensori dei “valori della vittoria”: come ad esempio i
Fasci di combattimento, fondati il 23 marzo 1919 a Milano da Benito Mussolini. Politicamente erano a
sinistra e chiedevano riforme sociali audaci, ma in realtà odiavano i socialisti  uno scontro con loro finì
con l’assalto e l’incendio alla sede dell’”Avanti!”. Agli esordi i fascisti avevano poco seguito, ma seppero
presto farsi notare. L’andamento della conferenza di pace non faceva che rafforzare le loro idee
nazionaliste.
16.3 La “vittoria mutilata” e l’impresa fiumana. Italia uscì politicamente rinforzata dal conflitto: raggiunse i
confini naturali e vide dissolto il suo acerrimo nemico, l’Austria. La Dalmazia andava all’Italia, Fiume agli
austriaci nonostante fosse italiana, diceva il Patto di Londra. La conferenza di pace a Versailles andava male
però: Orlando e Sonnino cercarono di ottenere anche Fiume, ma incontrarono il rifiuto alleato, in
particolare del presidente USA Wilson.. Abbandonarono la conferenza per protesta, ma quando vi
tornarono non ottennero nulla. Il governo Orlando allora si dimise. Governo Nitti al potere, mentre nel
Paese si sviluppava il disappunto con le potenze ex alleate, che defraudavano l’Italia, e con il governo
incapace di assicurare gli interessi nazionali: Gabriele D’Annunzio, noto ormai come una sorta di vate
nazionale, parlò allora di “vittoria mutilata”. Nel settembre 1919 alcuni reparti ribelli guidati dal poeta
occuparono Fiume e ne proclamarono l’annessione all’Italia. L’impresa fiumana durò quindici mesi, durante
il quale si misero in atto alcuni espedienti e si fece esperienza di alcune realtà che sarebbero state utilizzate
durante il ventennio fascista.
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16.4 Le agitazioni sociali e le elezioni del ’19. Tra 1919 e 1920 l’Italia fu attraversata da aspre agitazioni
sociali: l’inflazione e il caro-viveri procurarono moti spontanei della popolazione e forti reazioni sindacali,
che culminarono nelle centinaia di scioperi che videro protagonista quasi ogni settore. Ci furono anche
agitazioni agrarie, portate avanti per gli stessi scopi ora dalle leghe rosse ora da quelle bianche. Nel Sud
invece iniziò a diffondersi l’occupazione di terre incolte e latifondi. Le lotte erano però tra loro separate e a
volte si opponevano: accentuate le divisioni del Paese. Novembre 1919: successo dei partiti di massa
(socialisti 32%, poi i popolari). Vecchi equilibri politici in crisi, nuovi difficili da creare, anche a causa del
proporzionale che difficilmente dava vita a coalizioni stabili; l’unica possibile, popolari e liberal-democratici,
governò per gli ultimi anni prima dell’avvento del regime.
16.5 Giolitti, l’occupazione delle fabbriche e la nascita del Pci. Dopo Nitti, Giolitti prese il governo con un
programma molto molto avanzato, anche dal punto di vista fiscale. La questione adriatica fu risolta da
Giolitti nel 1920 con il trattato di Rapallo con la Jugoslavia. All’Italia restò l’Istria, alla Jugoslavia la Dalmazia
eccetto Zara. Fiume, città libera, fu presto abbandonata da D’Annunzio. Avviando il risanamento del
bilancio, il governo Giolitti stabilì la liberalizzazione del prezzo del pane; i limiti veri del suo disegno però
erano che esso non era più applicabile: gli mancava la maggioranza dell’anteguerra e non poteva fare delle
piccole concessioni ai socialisti per tenerli buoni. Popolari forti, socialisti intransigenti, lotta politica non più
in Parlamento. Evento più importante: occupazione delle fabbriche da parte dei metalmeccanici
nell’autunno ’20. Era un pesantissimo scontro sindacale tra imprenditori e operai, che conobbe anche degli
accenni rivoluzionari (nacquero i consigli di fabbrica). Dalle attese rivoluzionarie si passò al compromesso
sindacale, favorito da Giolitti e dalla sua politica di neutralità  controllo sindacale sulle imprese.
Delusione operaia per la mancata rivoluzione si aggiunse ai proposita di rivincita dei borghesi, che non
avevano apprezzato l’intervento governativo a loro sfavore. I contrasti nel movimento operaio esplosero
però solo al II Congresso del Comintern, atto di nascita di molti partiti comunisti. Serrati si rifiutò di
espellere i quadri riformisti del Psi; al congresso di Livorno la minoranza di sinistra abbandonò e fondò il
Partito comunista d’Italia (Pci), dal programma leninista. Era tardi, perché l’ondata rivoluzionaria europea si
stava esaurendo. In più, il Psi era come bloccato dalle sue vicende interne, in cui i massimalisti tenevano
fermi i riformisti  nessun accordo con i borghesi e incapacità di ostacolare la tendenza antisocialista che
si stava diffondendo in Italia.
16.6 Il fascismo agrario e le elezioni del ’21. Con il riflusso delle lotte operaie vi fu a livello europeo un
aumento della disoccupazione e un calo della capacità contrattuale degli operai, mentre in Italia si iniziò a
diffondere il fascismo agrario. All’inizio il fascismo non aveva seguaci, ma poi subì una trasformazione: lotta
senza quartiere al socialismo, abbandono del programma radical-democratico e fondamento su strutture
paramilitari. Mussolini decise di cavalcare l’onda di riflusso antisocialista. Il sistema delle leghe socialiste
nella Valle Padana era estremamente efficace, perché controllava il mercato del lavoro e aveva ampio
potere contrattuale. Il fascismo portò a galla le fratture interne al sistema: quelle tra braccianti e mezzadri.
I fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna, nel 1920, diedero ai fascisti il pretesto per scatenare ritorsioni
antisocialiste in tutta la provincia. Qui nacque il fascismo agrario. I proprietari scoprirono nei fascisti degli
alleati preziosi per distruggere il potere delle leghe, e li inondarono di soldi  le loro fila intanto si
ampliavano  squadrismo in tutto il centro-nord. Solo il Sud per ora restava immune. Gli obiettivi
squadristi erano l’esclusione dalla vita politica ed economica del socialismo  spedizioni che andavano a
devastare e incendiare camere del lavoro, sedi delle leghe, case del popolo, e a menare i socialisti. Molte
giunte furono costrette alle dimissioni. Molto leghe chiusero i battenti. Ma il successo fascista non poteva
esserci senza la connivenza dei poteri pubblici e dello stesso Giolitti: i fascisti erano visti come naturali
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alleati nella lotta ai “rossi”. Maggio 1921: elezioni  i fascisti sono invitati ad entrare nei blocchi nazionali,
le coalizioni nate per fermare l’ascesa elettorale dei partiti di massa. I socialisti persero relativamente poco,
considerato le spedizioni contro di loro e la secessione comunista. La vera novità furono i 35 deputati
fascisti eletti, capeggiati da un Mussolini sempre più desideroso di potere.
16.7 L’agonia dello Stato liberale. A Giolitti successe Bonomi, che promosse ed ottenne una tregua tra
socialisti e fascisti  patto di pacificazione, con cui di fatto Mussolini entrò legalmente e definitivamente
nel gioco politico italiano. Ma al patto erano contrari i fascisti agrari più intransigenti, che si opposero a
Mussolini fino a che egli non sconfessò il patto stesso, non potendo fare a meno dello squadrismo.
Novembre 1921: congresso a Roma determina la nascita del Partito nazionale fascista (Pnf), con 200.000
iscritti. Nel febbraio ’22 il governo passò nelle mani di Facta  culmine dell’agonia dello Stato liberale. Lo
squadrismo dilagò incontrollato. Il fascismo era sempre più importante intanto: vevinano attuate
scorribande e occupati centri. Il fascismo giocava da un lato sulla violenza armata, dall’altro sull manovra
politica; il socialismo non rispose, immobile. Quando si decise era troppo tardi  lo sciopero generale
“legalitario” fu usato come pretesto dai fascisti per passare come garanti dell’ordine e per sferrare un
attacco alle ultime fortezze socialiste (Milano, Genova, Ancora, Parma…). Movimento operaio distrutto.
Ottobre 1922: Turati lasciò il Psi, e fondò il Psu.
16.8 La marcia su Roma. Mussolini e i fascisti ora volevano il potere: quindi fecero buon viso a cattivo gioco
e iniziarono a prepararsi ad un colpo di Stato, mentre intanto rassicuravano il re e cercavano accordi con i
moderati per formare un governo a cui i fascisti avrebbero partecipato. La mobilitazione fascista fece i primi
passi e presto si ebbe il progetto di una marcia su Roma, che non sarebbe mai giunta a buon fine se solo
avesse incontrato l’opposizione governativa e l’esercito spiegato. Mussolini stesso vedeva la marcia su
Roma come un mezzo di pressione politica. La mattina del 28 ottobre il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di
firmare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio  le camicie nere ebbero libero accesso a
Roma e Mussolini al potere. Il 30 ottobre Mussolini incontrò il re e ottenne il compito di formare il nuovo
governo, che la sera stessa fu già pronto. Il cambio di governo era in realtà di regime, ma nessuno ci arrivò.
16.9 Verso lo Stato autoritario. Mussolini continuava a seguire due linee, una dura e una morbida. I
fiancheggiatori (liberali e cattolici) erano idioti e non capirono cosa ci fosse sotto. La normalizzazione
moderata apparì presto sempre più lontana, quando il Partito assunse ruoli incompatibili con un governo
liberale. Nacque il Gran consiglio del fascismo alla fine del 1922, per delineare le linee guida del partito e il
suo rapporto con il governo; all’inizio del 1923 nacque la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che
aveva come vero scopo non gestire la rivoluzione, ma tenere sotto controllo gli squadristi agrari. La
repressione divenne anche “legale”: chiusura giornali e arresti preventivi, ad esempio. Comunismo
condannato fin da subito alla semiclandestinità. Crisi definitiva del movimento operaio; scomparvero
scioperi e sindacati, diminuirono i salari reali. La politica fascista in economia mirava a ridare libertà
d’azione all’iniziativa privata. Privatizzazioni e politica liberista: pareggio del bilancio entro il 1925, anche se
il merito era ancora degli ultimi governi liberali. L’appoggio della Chiesa fu incondizionato in realtà e
Mussolini se lo garantì anche con la riforma Gentile, che andava incontro ai desideri del clero in ambito
dell’istruzione. La rottura coi popolari seguì subito dopo. Per avere una maggioranza più forte, Mussolini
fece in modo di istituire il maggioritario. Molti liberali si unirono al fascismo, che si presentò in ogni lista
nazionale capeggiando quel blocco cui pochi anni prima aveva solo partecipato. Le forze antifasciste erano
troppo divise, ed erano di fatto già condannate alla sconfitta. Le elezioni del 6 aprile 1924 videro il trionfo
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del fascismo, che si era ormai sostituito alla classe dirigente liberal-moderata alla guida del blocco
conservatore.
16.10 Il delitto Matteotti e l’Aventino. Mussolini uscì rafforzatissimo dalle elezioni e ciò diede speranza ai
moderati. Lo scenario cambiò brutalmente con l’uccisione di Giacomo Matteotti il 10 giugno 1924. Proprio
egli pochi giorni prima aveva lanciato un’invettiva contro il fascismo denunciandone le violenze e i crimini.
Opinione pubblica scossa  fascismo isolato all’improvviso. Tutto l’edificio del regime parve per un attimo
sul punto di crollare. L’opposizione era debolissima, tutto quello che fece fu la cosiddetta secessione
dell’Aventino, si astennero cioè dai lavori parlamentari attendendo il ritorno della legalità democratica. Gli
aventiniani speravano in un intervento del re e in un indebolimento della coalizione facente capo a
Mussolini: ma niente. Mussolini se la cavò con poco, e mantenne il loro appoggio. L’ondata antifascista
rifluì in fretta. 3 gennaio 1925: svolta autoritaria, discorso di Mussolini alle Camere che eliminò ogni dubbio
sulle vere intenzioni fasciste. Il delitto Matteotti aveva indebolito paradossalmente i democratici e spianato
la strada all’avvento di una dittatura vera e propria. Opposizioni finite.
16.11 La dittatura a viso aperto. Se il “Manifesto degli intellettuali del fascismo” raccolse alcune menti tra
cui Giovanni Gentile, quello antifascista nacque per iniziativa di Benedetto Croce. L’occupazione fascista
dello Stato proseguiva; all’opposizione non restava alcuno spazio di libertà. Alla fascistizzazione della
stampa italiana seguì un colpo fatale ai sindacati, con il patto di Palazzo Vidoni, con cui la Confindustria si
impegnava a riconoscere la rappresentanza dei lavoratori ai soli sindacati fascisti. Non bastava aver
distrutto lo Stato di fatto  leggi “fascistissime”: rafforzamento del potere del capo del governo; legge
sindacale che proibiva lo sciopero; una raffica di provvedimenti repressivi seguì ai tentati attentati alla vita
di Mussolini. I partiti antifascisti furono sciolti, i deputati aventiniani furono dichiarati decaduti e fu
reintrodotta la pena di morte. Nacque il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, i cui guidici però erano
ufficiali dell’esercito e della Milizia. Legge elettorale 1928: sistema della lista unica e costituzionalizzazione
del Gran consiglio del fascismo, che divenne organo dello Stato. Il regime era completo (e diverso da quelli
del passato perché non solo voleva dominare le masse, ma anche inquadrarle nelle sue ideologie), lo Stato
liberale morto e sepolto.
17. La grande crisi: economia e società negli anni ’30.
17.1 Crisi e trasformazione. Anni ’20: ripresa pe tutta l’Europa, apparente stabilità e diffusa prosperità; ma
un taglio netto con tutto quello che era stato prima lo diede la “grande crisi” del 1929, evento di portata
storica; evento periodizzante che per tutti gli anni ’30 modificò i destini del mondo, catalizzò procedimenti
già in atto e accelerò la storia.
17.2 Gli anni dell’euforia: gli Stati Uniti prima della crisi. Durante la guerra, gli USA erano non solo primi
produttori mondiali, ma anche primi esportatori di capitali (prestiti), con una moneta fortissima e la borsa
di New York affiancata ormai a quella londinese. Dal 1921 per gli USA iniziò un grande periodo di
prosperità, anche grazie al boom industriale (PIL aumenta del 25%); la disoccupazione tecnologica
diminuiva costantemente gli impiegati nell’industria a favore del terziario, il settore dei servizi. Numerosi
mutamenti nella vita quotidiana della gente: 1 automobile ogni 5 abitanti (Europa 1 a 83), elettrodomestici
diffusissimi  modello di consumi sempre in espansione e in via di graduale standardizzazione. Per tutto il
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decennio ci fu l’egemonia repubblicana, e una rigida politica liberista, che favorì l’iniziativa privata, le grandi
corporations, ridusse le imposte dirette, senza preoccuparsi delle classi più povere. Enormi squilibri sociali:
specie gli operai comuni e quelli di colore erano svantaggiati rispetto agli altri. Ondata di conservatorismo
ideologico: legge limitative dell’immigrazione, razzismo e diffidenza (condanna a morte dei due anarchici
italiani, Sacco e Vanzetti)  discriminazione contro i neri, e nel Sud diffusione impressionante del Ku Klux
Klan. Proibizionismo era sulla scia di tutto ciò. Tuttavia aveva un ottimismo intramontabile, Wall Street
lavorava freneticamente, anche se appoggiandosi per lo più su attività speculative; in realtà l’espansione
americana era problematica: i beni di consumo durevoli saturavano il mercato, mentre il settore agricolo
attraversava una crisi durissima. Fu allora che si tentarono di penetrare con l’EXP i mercati europei: da
allora tra Europa e America vi fu un legame di interdipendenza economica, che si poteva però sfaldare da
un secondo all’altro. Quando meno investimenti giunsero da noi, ciò si ripercosse sull’industria USA  crisi
del 1929.
17.3 Il “grande collo” del 1929. Il crollo di Wall Street mise alla luce tutti gli squilibri dell’espansione. Tra il
24 e il 29 ottobre vi fu una grande corsa alla vendite, che fece precipitare il valore dei titoli, facendo
volatilizzare intere fortune (molti suicidi). Pur avendo colpito i ricchi e i benestanti, il crollo arrivò a toccare
tutta l’economia americana e da lì quella mondiale; il vero problema arrivò quando gli USA per difendersi
smisero di inviare capitali all’estero e inasprirono il protezionismo. Tra il 1929 e 1932 il commercio
mondiale calò del 60%. La recessione dilagò con la significativa eccezione dell’URSS. 14 milioni di
dissocupati in USA, 15 in Europa. Industrie e negozi chiudevano. Agricoltura non aveva mercato di sbocco.
Disastro economico che in alcuni paesi portò un senso di sfiducia che poi avrebbe attuato un mutamento
politico.
17.4 La crisi in Europa. In Europa tra l’altro entrò in crisi anche il sistema finanziario (le banche crollarono in
Germania e Austria), con una conseguente crisi monetaria. Molto capitale inglese era investito in quei paesi
 sfiducia nella sterlina  tutti le vogliono ritirare dalle banche o convertire in oro. Esaurite le riserve
aurifere, finì la convertibilità  svalutazione della sterlina. Molti paesi fecero lo stesso. Ma la crisi ebbe
effetti così negativi e duraturi anche perché i politici non sapevano come gestirla, e usavano i vecchi mezzi,
come il pareggio del bilancio. Politiche di austerità che però non fecero che ridurre ulteriormente la
domanda interna, aggravando il tutto. Dal 1933 qualche miglioramento, ma in realtà si uscì dalla crisi
economica solo col riarmo e la seconda guerra mondiale. La crisi in Germania fu particolarmente forte, a
causa del legame strettissimo della sua economia con quella americana: governo Spd in crisi. Nel 1930
arrivò al governo il Centro cattolico con Brüning  politica di sacrifici, anche per mostrare al mondo la
severità delle sanzioni  nel 1932 le riparazioni furono abbassate e il pagamento fermato per tre anni, ma
tali politiche avevano creato sei milioni di disoccupati  ne approfittarono i nazionalsocialisti. In Francia la
crisi arrivò tardi e durò di più, perché Parigi tentò a lungo di difendere il franco, invece che svalutarlo (fu
fatto solo nel 1937). Instabilità politica: diciassette governi tra il ’29 e il ’36. GB: ministero laburista Mac
Donald fronteggiò la crisi tagliando i sussidi ai disoccupati. Con l’opposizione delle Trade Unions, Mac
Donald le mollò e fece una coalizione con liberali e conservatori  svalutazioni e politiche che favorivano
gli scambi all’interno del Commonwealth  GB uscì dalla crisi prima degli altri Paesi.
17.5 Roosevelt e il “New Deal”. Elezioni presidenziali 1932: Hoover sconfitto dal democratico F.D.
Roosevelt. Pur non avendo un programma ben definito Roosevelt era popolarissimo, perché ispirava fiducia
(“chiacchierate al caminetto” famosissime e amatissime). All’insediamento egli parlò di un New Deal che
voleva avviare nella politica economica e sociale: un nuovo stile di governo che avrebbe visto già nei primi
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“cento giorni” un intervento dello Stato nei processi economici e nelle riforme sociali. All’inizio furono
stabilite le terapie d’urto per bloccare il grosso dei danni: ristabilimento sistema creditizio, svalutazione
dollaro, aumento sussidi. Inoltre nuovi strumenti d’interventi: Aaa, Agricultural Adjustament Act, voleva
limitare la sovrapproduzione agricola; Nira, National Industrial Recovery Act, stabiliva codici
comportamentali per la concorrenza tra imprese e tutelava i lavoratori; istituzione del TVA, Tennessee
Valley Authority, per sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee, producendo energia a
buon mercato. Ma a parte la TVA gli altri progetti furono lenti a partire e diedero mediocri risultati 
maggiore intervento statale  aumento spropositato della spesa pubblica e vasti programmi di opere
pubbliche (per limitare disoccupazione). 1935: riforma fiscale, legge sulla sicurezza sociale, diritto alla
contrattazione collettiva e ad avere un sindacato. Roosevelt si garantì così l’appoggio sindacale, in un
periodo di grandi tensioni sociali. L’opposizione rooseveltiana era notevole (persino la Corte Suprema), ma
la sua vittoria schiacciante alle elezioni del 1936 la zittì. Il New Deal dimostrò che a volte l’intervento statale
è indispensabile, però non riuscì a ridare slancio all’iniziativa privata.
17.6 Il nuovo ruolo dello Stato. Prima della crisi l’intervento statale era visto come sporadico e limitato ad
alcune specifiche situazioni; dal 1929 in avanti allo Stato spettarono nuovi oneri, non solo controllo e
sostegno esterno  Stato divenne un soggetto attivo dell’espansione economica. La grande
trasformazione degli anni ’30 fu il passaggio al capitalismo diretto, che limitava in alcuni casi la libertà
individuale. Realtà analizzata nel 1936 da John Maynard Keynes, già critico sull’osservanza dogmatica del
liberismo. Stabilì una serie di correttivi all’instabilità capitalista, senza mai spostarsi su soluzioni socialiste.
Però da solo il capitalismo non era in grado di creare equilibrio. Secondo lui allo Stato spettava aumentare
la spesa pubblica per accrescere la domanda effettiva. Quindi andava abbandonato il mito del bilancio in
pareggio. Fu di grande ispirazione per le politiche economiche del New Deal rooseveltiano.
17.7 I nuovi consumi. Nuove abitudini di consumo e nuovi modelli di vita  urbanizzazione, anche con la
crisi del settore agricolo e nonostante le teorie ruralistiche. Quindi sviluppo del settore edilizio  case
sempre migliori e più vivibili, nelle periferie e nei centri  mezzi pubblici (tram elettrici e autobus). I salari
reali di chi aveva mantenuto il lavoro nonostante la crisi non scesero  il crollo dei prezzi agricoli
permetteva loro di consumare nuovi beni, quelli del cosiddetto consumo di massa, che si era affermato in
USA nei ’20 e in Europa arrivò dieci anni dopo in piena depressione. Apparivano anche in Europa le prime
vetture “popolari”, come la Volkswagen in Germania o la Topolino in Italia. Anche l’uso di elettrodomestici
andava via via estendendosi.
17.8 Le comunicazioni di massa. Grande successo ebbero la radio e il cinema, che divennero ben presto
elementi caratteristici della società di massa; la radio costava poco e non necessitava di manutenzione,
divenne popolare con la guerra, quando si trasformò in un mezzo per comunicare con un gran numero di
persone; boom degli apparecchi, specie in USA, a partire dal 1920, anno di inizio anche delle prime
trasmissioni (in UK ad esempio gestite o su modello della BBC). Tempo libero occupato dalla radio, nel
periodo in cui i quotidiani subirono un calo notevole (nacquero così le riviste illustrate, come “Life”). Anni di
affermazione della radio, è un mezzo utilissimo, un’invenzione epocale; anche il cinema si sviluppò in quegli
anni; verso la fine dei Venti arrivò il sonoro, e con esso anche il “divismo” di massa  erano nuovi modelli
di vita ad essere suggeriti. Radio e cinema erano mezzi di svago, di informazione ma anche di propaganda
(cinegiornali)  contribuirono ad accentuare il lato spettacolare della politica (nazismo se ne servì molto).
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17.9 La scienza e la guerra. Negli anni ’20 e ’30 vennero fatte alcune scoperte scientifiche destinate a
segnare la storia futura: anzitutto quella dell’energia nucleare (che avrebbe portato qualche anno più tardi
alla costruzione della bomba atomica). Sul piano delle applicazioni belliche della scienza, sono da ricordare i
grandi sviluppi dell’aeronautica. Arma aerea sempre più minacciosa. Prime imprese aeree, come le
trasvolate atlantiche  anche l’aviazione civile avanzò timidamente in quegli anni.
17.10 La cultura della crisi. Nella cultura europea si accentuarono allora i fenomeni di disgregazione e di
perdità dell’unità, tanto che nessuna delle correnti del periodo può essere assunta, da sola, come
particolarmente rappresentativa. I maggiori personaggi di allora, come Picasso ad esempio, non facevano
parte di nessuna avanguardia. Il romanzo borghese entrò in crisi. C’era una ricerca, a volte folle e delirante,
di nuovi modi di esprimersi. Furono anni, per gli intellettuali, di grandi contrapposizioni ideologiche
(liberalismo-comunismo, democrazia-fascismo) e di impegno politico (essi erano chiamati ad appoggiare
apertamente certe idee e affermazioni). L’emigrazione degli intellettuali tedeschi durante il nazismo, dopo
quelli russi sotto lo stalinismo, provocò un impoverimento culturale dell’Europa, a favore degli Stati Uniti.
18. L’età dei totalitarismi.
18.1 L’eclissi della democrazia. Anni ’30: periodo più buio per la democrazia, per la quale non si aveva più
alcuna fiducia. Si aspettava soltanto l’avvento di qualche dittatura, mano a mano che esse si facevano largo
in molti paesi, poveri o ricchi che fossero. Questi regimi fascisti si facevano portatori di una rivoluzione
all’inizio, e si proponevano di dare vita ad un nuovo ordine, fatto di accentramento del potere, gerarchia
rigida, inquadramento delle masse, controllo sulla cultura e l’informazione. Economicamente: ingerenza
sempre maggiore dello Stato. Non esisteva in realtà nessuna “terza via” tra capitalismo e comunismo, cosa
che intrigava molto i ceti medi, che diedero al fascismo un’ampia base sociale, riconoscendosi in esso.
Totalitarismo: volontà di dominare una società in modo “totale”  fascismo, nazismo e stalinismo avevano
capito profondamente la società di massa ed avevano imparato a servirsene per i loro scopi di propaganda.
18.2 La crisi della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo. Fino al ’29 il nazismo era a metà tra un
partito e un’organizzazione paramilitare, che usava la violenza per i suoi fini e si serviva delle SA, micidiali
“reparti d’assalto”. Dopo il tentato golpe di Monaco, sull’esempio di Mussolini, Hitler volle dare
un’immagine più rispettabile al partitino  programma nazista: denuncia trattato di Versailles, riunione di
tutti i tedeschi in una nuova “grande Germania”, discriminazione contro ebrei, fine del parlamentarismo. I
progetti a lungo termine erano contenuti nel “Mein Kampf”, testo sacro per i nazisti. Istanze antisemitiche
e razziste (grossolana teoria darwiniana di una razza ariana superiore). Per lui gli ariani erano i tedeschi, che
un giorno avrebbero dominato il mondo: gli ebrei erano un ostacolo, e simbolo della decadenza europea.
Bisognava prima sbarazzarsi di loro e degli altri nemici interni; e poi, una volta rifatta l’unità in uno Stato
nuovo, i tedeschi si sarebbero dovuti ribellare a Versailles ed espandersi ad est, a scapito degli slavi (spazio
vitale). Simili teorie non ebbero seguito fino all’avvento della grande crisi, che radicalizzò la lotta politica,
visto che la gente non credeva più nella repubblica. A sinistra, spostamento verso bolscevismo e speranza
di una rivoluzione; a destra, le forze conservatrici scontente dello status quo appoggiarono gli eversivi, tra
cui Hitler. L’adesione al nazismo conveniva a molti, dando protezione, supporto, capri espiatori, prospettive
esaltanti per la patria, senso di potenza. Nelle elezioni del 1930 i nazisti ebbero un’impennata incredibile,
mentre i partiti moderati e democratici (come la Spd, cattolici, etc…) venivano esclusi dal gioco politico.
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Forze antisistema trionfarono. Spd e Hindenburg appoggiarono per altri due anni Brüning, mentre
l’economia continuava a precipitare. 1932: crisi all’apice; produzione industriale si era dimezzata in 4 anni e
la metà dei tedeschi era disoccupata. Violenza politica ovunque: scontri tra nazisti e comunisti. Crisi di
governo e continua crescita del partito nazista. Hindenburg venne rieletto (anche perché i democratici non
volevano Hitler presidente), ma subito dopo cedette alle pressioni e congedò Brüning. Seguirono i
fallimentari governi Papen e Schleicher. Elezioni 1932: nazismo era il primo partito tedesco senza cui non
era possibile governare. 30 gennaio 1933: Hitler capo del governo, leader di un partito che rappresentava
1/3 del Paese.
18.3 Il consolidamento del potere di Hitler. In pochi mesi Hitler riuscì ad imporre un potere totalitario.
Prima stretta repressiva: contro i comunisti, dopo l’incendio del Reichstag di cui erano stati accusati. Partito
praticamente fuori legge, spedizioni punitive. Alle elezioni del marzo ’33 il nazismo non ottenne la
maggioranza assoluta (ebbe il 44%!!!), poteva avere un’ampia base parlamentare, ma Hitler già mirava ad
eliminare il Parlamento. Il Reichstag approvò una legge suicida che attribuiva a Hitler pieni poteri,
compreso il legislativo. Nel giugno venne abolita la Spd e di conseguenza cadde il sistema sindacale e
operaio tedesco. Il Partito nazionalsocialista era l’unico legale, già in luglio, mentre a novembre la
consultazione di tipo plebiscitario, a lista unica, fece registrare un 92% per i nazisti. Annientate le
opposizioni restavano due ostacoli: le SA, estremisti nazisti, e la destra conservatrice (ad esempio
Hindenburg). Iniziando a creare le “squadre di difesa”, SS, Hitler decise il colpo di mano contro le SA di
Röhm, le assassinò nella “notte dei lunghi coltelli”. In cambio le forze armate appoggiarono la sua
candidatura a capo dello Stato come successore di Hindenburg. Alla morte del maresciallo, nell’agosto ’34,
Hitler si trovò così a coprire la duplice carica di Cancelliere e di Presidente. Fine autonomia dal potere
politico per i generali tedeschi.
18.4 Il Terzo Reich. Nasceva così il Terzo Reich con a capo il Führer, leader carismatico e in carica pressoché
di ogni cosa, con un rapporto diretto con il popolo, eventualmente come unico tramite il partito unico 
organizzazioni di massa: Fronte del lavoro, Hitlerjugend. Si voleva fare dei cittadini una compatta e
disciplinata “comunità di popolo”, che ovviamente non comprendeva nemici ed ebrei. Gli ebrei tedeschi,
circa 500.000, si concentravano nelle città, e ricoprivano le zone medio-alte della scala sociale  furono
oggetto di una durissima propaganda, sancita nel settembre 1935 dalle leggi di Norimberga, che tolsero agli
ebrei la parità di diritti. Molti ebrei fuggirono, i pogrom contro di loro erano sempre più violenti ed
organizzati. Tra 8 e 9 novembre 1938 ci fu la “notte dei cristalli”, uno degli attacchi più violenti e sanguinosi
contro gli ebrei. Una volta iniziata la guerra, Hitler avrebbe deciso per quella raccapricciante “soluzione
finale”, deportazione e sterminio del popolo ebraico. La difesa della razza era fondamentale nel nazismo,
più importante dello Stato stesso: sterminio o castrazione per ad esempio gli infermi o i portatori di
malattie ereditarie.
18.5 Repressione e consenso nel regime nazista. L’opposizione al nazismo fu sempre debolissima, ed esso
sopravvisse benissimo fino alla sua distruzione in guerra. Persino i cattolici accettarono il nazismo, dopo il
suo accordo con la Chiesa cattolica, un concordato firmato del 1933. Marzo 1937: ultimo tentativo di Pio XI
di fermare le politiche razzista hitleriane. Le chiese luterane, in maggioranza nel Paese, per lo più si
conformarono alla nazificazione. Paradossalmente l’opposizione era proprio conservatrice. L’apparato
repressivo era crudelissimo, per cui non stupisce più di tanto il limitato dissenso: molte polizie (tra cui la
Gestapo), campi di concentramento per oppositori politici. Ma il consenso?! Sicuramente grazie ai successi
in politica estera (abbattimento delle disposizioni di Versailles) e alla ripresa produttiva, che in nel ’38 tornò
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ai livelli del ’29, senza più riparazioni da pagare, ma anche grazie ai lavori pubblici (autostrade) e al calo
della disoccupazione  piena occupazione nel ’39, alla vigilia della guerra. In qualche modo in stile
rooseveltiano, il nazismo tramite intervento pubblico cercò di rafforzare l’iniziativa privata  accordo con
grande industria e grandi proprietari terrieri. Dal punto di vista delle industrie, l’equilibrio fu sconvolto, i
lavoratori persero ogni diritto contrattuale guadagnango solo qualche concessione, mentre l’ambiente
veniva rigidamente “militarizzato” e gerarchizzato. Ma c’è anche da dire che il nazismo fu in grado di
toccare la gente nel profondo con miti e ideologia, sapendo anche sfruttare i nuovi mezzi di comunicazione
di massa. Utopia ruralista inculcata nel popolo; uomini forti, guerrieri-contadini lontani dalle malsane città;
controsenso, visto che poi il nazismo ha sempre sostenuto la grande industria. Tale mito attecchiva perché
si appoggiava agli antichi miti della terra e del sangue. Ma per questa crociata anti-moderna il regime si
servì di mezzi modernissimi  ministero per la Propaganda, affidato all’abile Goebbels. Gli intellettuali
vennero inquadrati nel regime o costretti lasciare il Paese. Tecniche di spettacolo  feste e cerimonie
pubbliche  erano studiate come rappresentazioni teatrali, dalle scenografie alle coreografia, tutto doveva
essere perfetto per questi sacri momenti magici. Esempio erano le “cattedrali di luce”.
18.6 Il contagio autoritario. Con la fine della IGM i regimi liberali europei entrarono in crisi; il virus
autoritario arrivò sì in Italia, ma si diffuse anche nel resto del continente, a partire dall’est; Ungheria:
l’ammiraglio Horthy impose un regime conservatore e abolì le libertà politiche. 1926: l’ex socialista Pilsudski
organizzò una marcia su Varsavia per instaurare un regime. Anche negli Stati balcanici continuarono a
nascere autoritarismi o ad entrare in crisi liberal-democrazie ancora un po’ grezze: Grecia, Bulgaria e
Jugoslavia, anche se quest’ultima aveva il grande problema delle rivalità tra le varie etnie. Non erano veri e
propri fascismi; regimi autoritari simili a quelli che si formarono nello stesso periodo nelle penisola iberica.
Primo de Rivera nel 1923 attuò un colpo di Stato in Spagna, fu costretto alle dimissioni di fronte alle masse
in rivolta nel 1930, mentre l’anno successivo la vittoria repubblicana alle elezioni spinse il re a lasciare il
paese. 1926: militari attuarono un golpe in Portogallo  Antònio Salazar, il cui regime clericale e
corporativo si sarebbe rivelato stabilissimo per mezzo secolo. A partire dalla vittoria hitleriana, tutta
l’Europa centro-orientale fu infestata da movimenti filonazisti e in molti casi da altri regimi autoritari
(Romania e Grecia). Persino in Austria nacque un regime clericale-autoritario simile al fascismo.
18.7 L’Unione Sovietica e l’industrializzazione forzata. Mentre l’Occidente conosceva il fascismo e la crisi
economica l’URSS era la patria dell’antifascismo, e non era minimamente toccata dalla recessione. Anzi
stava attuando un colossale sforzo di industrializzazione. Tra il ’27 e il ’28 Stalin decise di abbandonare la
Nep in favore di un piano massiccio di industrializzazione che avrebbe fatto dell’URSS una potenza militare
 lo Stato dovette quindi assumere il totale controllo dei processi economici. Primo ostacolo all’economia
collettivizzata e industrializzata erano i kulaki  sconfitta l’opposizione guidata da Bucharin Stalin diede il
via alla collettivizzazione forzata del settore agricolo, e alla dekulakizzazione. Tra il 1929 e il 1933 ci fu una
vera e propria rivoluzione dall’alto nelle campagne  i contadini furono costretti a trasferirsi nelle fattorie
collettive, mentre chiunque si opponesse veniva deportato in Siberia. Ma la resistenza contadina, sommata
all’inefficienza del programma, causarono una terribile carestia (1933). Solo nella seconda metà del
decennio la produzione agricola superò i livelli Nep. Ma il vero obiettivo era l’industrializzazione forzata 
risultati notevoli con il primo piano quinquennale, del ’28. 1932: 5 milioni di operai e una crescita
produttiva del 50%; col secondo piano quinquennale, 1933-37, la produzione crebbe del 120% e gli operai
divennero 10 milioni. Ritmi di crescita mai visti prima. Gli operai furono convinti a fare sacrifici dalle
convincenti ideologie staliniane, che premiavano l’impegno e si mescolavano anche ad un certo
patriottismo; aveva presa sulle masse lavoratrici. Nacque lo stacanovismo (da Aleksej Stachanov), celebrato
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anche da giornali e cinema. Nel mondo l’URSS era ammirata per questa impresa epica, ma i costi umani e
politici dei piani non si conoscevano affatto. Nelle campagna era una tragedia. Il potere assoluto di Stalin
cresceva.
18.8 Lo stalinismo. Stalin, alla stregua di Hitler, divenne il capo carismatico, prosecutore del lavoro di Lenin,
era diventato il padre e la guida infallibile del suo popolo. Depositario della dottrina marxista-leninista,
dettava anche le direttive della cultura  censura e propaganda, andava seguito il “realismo socialista”,
cioè la sola realtà sovietica. Stalinismo è di difficile interpretazione: per alcuni è un’anomalia di destra nella
rivoluzione, per altri una ovvia conseguenza del leninismo e del bolscevismo, per altri una forma nuova di
dispotismo industriale, per altri semplice e naturale eredità del centralismo zarista. Stalin portò agli eccessi
alcune teoria di Lenin, condendole con arbitrio e spietatezza. Sterminò i suoi rivali politici, e con loro
chiunque fosse sospettato di “deviazionismo”. Macchina del terrore  1934: iniziarono le “grandi purghe”
staliniane, era una gigantesca repressione poliziesca. ”Arcipelago Gulag”, l’insieme dei campi in cui furono
mandati i “dissidenti”. Processi arbitrari. Vennero uccisi anche i più vicini a Stalin, vittime di una macchina
da loro stessi creata. Trotzkij venne freddato da un sicario di Stalin in Messico, nel 1940. Secondo certe
stime, tra il ’28 e il ’39 le vittime dello stalinismo sarebbero 10-11 milioni. Gli echi in Occidente ci furono,
ma per svariati motivi non si fece nulla (l’URSS era importante per antifascismo).
18.9 La crisi della sicurezza collettiva e i fronti popolari. Le prime iniziative hitleriane in politica estera
furono il ritiro della Germania dalla conferenza internazionale di Ginevra e poi dalla Società delle Nazioni.
La politica aggressiva tedesca destava preoccupazione in Europa, anche nell’Italia affine e revisionista
(dell’assetto creato a Versailles). Quando fu assassinato il cancelliere austriaco Dollfuss da reparti infiltrati
nazisti, l’Italia schierò le sue truppe al confine e Hitler, ancora impreparato, dovette far marcia indietro. Alla
conferenza di Stresa del 1935 Italia, Francia e GB condannarono il riarmo tedesco (Hitler aveva intanto
reinserito la coscrizione obbligatoria), riaffermarono la validità di Locarno e il loro interesse
all’indipendenza dell’Austria. Nel 1935 Stalin dovette scendere in campo e rompere il silenzio, viste le non
troppo celate idee di Hitler riguardo la Russia: entrò nella Società delle Nazioni e stipulò un’alleanza militare
con la Francia. Dalle critiche al cosiddetto “socialfascismo” l’URSS passò al VII congresso del Cmintern
(1935) ad una linea dura contro il fascismo, visto ora come il vero pericolo. Era compito sovietico cercare di
creare ampi fronti popolari che raccogliessero tutti i governi e i popoli intenzionati a combattere la
minaccia fascista, anche quelli borghesi. L’Europa temeva il fascismo: in particolare la Francia, nel febbraio
1934, vide l’estrema destra organizzare una marcia sul Parlamento per protestare contro il governo
Daladier, fermata dalla polizia e osteggiata da manifestazioni con socialisti e comunisti insieme  patti di
unità d’azione tra socialisti e comunisti. Ciò diede l’illusione di una sinistra forte che potesse battere il
fascismo, ma no. Nonostante la politica di sicurezza collettiva l’Italia attaccò l’Etiopia e la Germania inviò
truppe nella Renania “smilitarizzata”. Se non altro le iniziative dei fronti popolari ridiedero unità e speranza
ai movimenti operai. Addirittura il Fronte popolare vinse le elezioni in Spagna e in Francia; qui fu la volta del
governo Blum, primo governo socialista della storia francese  gli operai festanti iniziarono proteste
durissime che finirono con la firma degli accordi di Palazzo Matignon, storici per il movimento dei lavoratori
(40 ore la settimana, e ferie). Ma ciò non fece bene all’ancora vacillante economia francese  inflazione. Il
Fronte ebbe vita breve.
18.10 La guerra civile in Spagna. Tra il 1936 e il 1939 la Spagna fu dilaniata dalla guerra civile. Aveva motivi
interni, che però finirono per peggiorare anche la situazione internazionale. Il Paese era stato traversato da
tensioni politiche e sociali notevoli, era molto arretrato e si trovava spaccato in due tra un ceto dominante
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reazionario e un proletariato vicino alle istanze anarco-sindacaliste. Aristocrazia ancora forte. 1936: vittoria
del Fronte popolare  tensione esplode in tutto il Paese: collera popolare contro proprietari terrieri,
mentre la classe dominante rispose con la repressione operata dalla Falange. Le truppe coloniali in Marocco
furono il fulcro della ribellione. Le truppe ribelli guidate da Francisco Franco presero in fretta la Spagna
occidentale, mentre quelle repubblicane riuscivano a mantenere il controllo su Madrid e il Nord-est. Però i
franchismi furono aiutati parecchio da Italia e Germania (questa vi mandò aerei, per testare la sua
aviazione)  aiuto fascista fu determinante. Mentre la Repubblica non ottenne alcun appoggio dalle
potenze democratiche, che avevano votato per un non intervento, molto meno pericoloso. L’unica ad
aiutare fu l’URSS che fece sì che si costituissero delle Brigate internazionali che raccogliessero chiunque
volesse combattere i fascisti (anche Hemingway c’era). Tuttavia esse non erano sufficienti a fermare
l’avanzata franchista. Mentre il caudillo Franco guadagnava consensi e attuava l’unità di tutte le destre
sotto un partito unico chiamato Falange nazionalista, il Fronte popolare perdeva terreno, anche a causa
delle tensioni interne tra anarchici e comunisti (scontro di Barcellona, 1937)  entusiasmo popolare si
esaurì. I franchismi attuarono per oltre un anno una lenta ma sistematica e crudele offensiva che finì per
spezzare in due il corridoio Madrid-Catalogna. Quando la Repubblica spagnola fu abbandonata da tutti,
all’inizio del 1939, Madrid cadde. 500.000 morti in tutto il Paese. Franco al potere. Guerra civile preludio del
conflitto mondiale.
18.11 L’Europa verso la catastrofe. La politica estera hitleriana accelerò il cammino verso la tragedia della
guerra. GB e Francia avevano un atteggiamento arrendevole; la Germania aveva ormai l’amicizia dell’Italia,
e Hitler si vide abbastanza forte da iniziare il suo programma: riunificate tutta la Germania ed espandersi ad
est a danno della Russia. Per il Führer lo scontro con Fr e GB non doveva essere automatico, sperava di
evitarlo: lo stesso Chamberlain, PM inglese, propose l’ “appeasement” nei confronti del Reich. Proponeva
cioè di dare a Hitler quello che voleva nei limiti del ragionevole come risarcimento per Versailles, di
ammansirlo. L’unico davvero contrario, insieme ad un altro po’ di conservatori, era Winston Churchill, che
voleva fermare la Germania a tutti i costi. La Francia in crisi viveva nell’ombra di Londra, non prendeva
posizione, avendo paura della Germania e domandandosi se valesse la pena di fare una guerra per
difendere i comunisti. Hitler aveva così campo libero  marzo 1938: “Anschluss”, annessione, dell’Austria.
Stavolta Mussolini non si oppose, e altrettanto fece Londra, che non si interessava di Vienna. Altra
questione: i tedeschi sudeti residenti in Cecoslovacchia. Questa terra fu sacrificata, per accontentare le
smanie espansionistiche di Hitler (accordi di Monaco, ‘38). L’URSS abbandonò la sua politica di alleanza con
democrazie, sentendosi esclusa. Pace di Monaco era falsa, il conflitto alle porte; Hitler si sentiva forte e
legittimato, perché Fr e GB non erano più credibili, con il loro comportamento permissivo e debole.
19. L’Italia fascista.
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19.1 Il totalitarismo imperfetto. L’Italia era già un totalitarismo nel ’20, quando ancora in Germania il
nazismo era una forza marginale. Due strutture e gerarchia: quella dello Stato (impalcatura monarchica) e
quella del partito, tra le quali faceva da tramite il Gran consiglio del fascismo. Mussolini era invece capo del
governo e duce del fascismo, potere supremo. Nel fascismo italiano, tuttavia, lo Stato continuò sempre a
prevalere sul partito (la Milizia non fu mai niente di simile alle SS). Tuttavia il Pnf continuò a dilatarsi e ad
inserirsi nella società civile  l’adesione al partito era una pratica di massa, quasi una formalità
burocratica. La fascistizzazione del paese fu anche appoggiata dalle organizzazioni laterali del partito:
l’Opera nazionale dopolavoro (tempo libero dei lavoratori), il Comitato olimpico nazionale (Coni) e le varie
organizzazioni giovanili (i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti, l’Opera nazionale Balilla). Tra i 12 e i
18 anni ricevevano indottrinamento ideologico, dei rudimenti di istruzione “preliminare”, venivano dividi in
balilla e avanguardisti. I Figli della lupa erano quelli sono i 12 anni. Il progetto totalitario c’era: il fascismo
voleva occupare la società e riplasmarla. Ma i risultati non sempre ci furono, anche a causa del peso della
Chiesa, che fu fin da subito un ostacolo  Mussolini cercava l’accordo  dialogo portato avanti
segretamente che sfociò nel febbraio 1929 nei Patti lateranensi, comprendenti un trattato internazionale
(Santa Sede riconosceva l’Italia con capitale Roma, mentre lo Stato italiano le riconosceva il Vaticano), una
convenzione finanziaria e un concordato, sui rapporti tra Stato e Chiesa (insegnamento religione,
matrimonio…)  notevole successo propagandistico. Prime elezioni plebiscitarie, marzo 1929: 98% di voti
favorevoli. La Chiesa fu favoritissima dai patti, perché in cambio di qualcosa che aveva già perso da decenni
ebbe molta libertà di azione (ad esempio le organizzazione giovanili, che se non concorrenza
rappresentavano un’alternativa a quelle fasciste). Oltre alla Chiesa Mussolini doveva fare i conti con la
monarchia, che non gli era affatto subordinata. Il re era la più alta carica, e a regime debole avrebbe avuto
le carte migliori.
19.2 Il regime e il paese. L’immagine dell’Italia del ventennio era quella di un paese molto fascistizzato.
Mussolini riprodotto ovunque, fascio littorio su ogni edificio, libro, etc, scritte guerriere sui muri, grandi
mobilitazioni, sfilate degli scolari in camicia nera… Ma era vera questa immagine? Il Paese reale com’era?
Statisticamente, si scopre che l’Italia continuò a crescere appena più lentamente degli altri Paesi europei;
dal ’21 al ’39 popolazione passò da 38 a 44 milioni, urbanizzazione, diminuzione impiegati agricoltura.
Nonostante ciò era però un paese arretrato. Reddito medio italiano era la metà di quello francese, un terzo
di quello inglese, un quarto di quello americano. Spendevano metà delle entrate per mangiare, sempre le
stesse cose. Anche i beni di consumo durevoli erano molto meno diffusi, dalle auto alle radio ai telefoni.
Tutto ciò in realtà ben si coniugava con il tradizionalismo fascista, con il ruralismo convinto propagandato
dal regime; credendo che la forza di un Paese risiede nel numero dei suoi abitanti, Mussolini incoraggiò la
crescita demografica  il regime era dunque contrario all’emancipazione femminile, anche se anche le
donne ebbero le loro organizzazioni facenti capo al fascismo (piccole italiane, giovani italiane, massaie
rurali); eppure la loro immagine restava quella di massaia, di angelo del focolare. Tuttavia il regime aveva
contemporaneamente al suo tradizionalismo un’utopia dell’”uomo nuovo”, di un regime moderno e
potente  un Paese arretrato era inaccettabile. Carta del lavoro non garantiva i lavoratori  calo salari. Il
consenso maggiore fu raccolto tra la piccola e media borghesia, classe più legata ai valori fascisti e più
favoriti dalle scelte del regime. Fascismo non cambiò il modo di vivere e pensare radicalmente, interessò
solo i ceti medi.
19.3 Cultura, scuola, comunicazioni di massa. Dopo la riforma Gentile il fascismo cercò di fascistizzare
ulteriormente la scuola: controllo sugli insegnanti, testi unici, etc. Rispetto a elementari e medie l’università
restò molto più autonoma: che aderissero o no al partito e alla sua ideologia, i professori non si
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preoccupavano a proseguire il loro cammino come se niente fosse. L’adesione dell’alta cultura vide molti
nomi illustri accanto al regime, da Marconi a Pirandello. Ma il controllo su di loro fu relativo;
controllatissima era la cultura di massa, e quindi i mezzi di comunicazione. Il controllo sulla stampa era
capillare, ma non era solo censura: veniva indicato cosa scrivere. Se ne occupava il duce in persona. La radio
divenne un mezzo di comunicazione di massa, in Italia, dal 1935 in avanti; prima era poco diffusa, poi il
regime la installò nelle scuole, ad esempio. Alle orecchie degli italiani arrivavano canzonette, cronache del
regime, notiziari politici, sceneggiati radiofonici, etc. Cinema, venivano censurati i film considerati
sconvenienti, ma non ne venivano prodotti di propagandistici: per questo c’erano già i cinegiornali
dell’Istituto Luce. Efficacissimi strumenti.
19.4 Il fascismo e l’economia. La “battaglia del grano” e “quota novanta”. Il fascismo ritenne di aver
trovato la “terza via” nel corporativismo, di ispirazione in parte medievale in parte rivoluzionaria. Sarebbe
stato un gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni
distinte per settori di attività (fatti di lavoratori e di imprenditori). Vennero istitute nel 1934, ma vennero
attuate solo in parte. Qualcosa in economia il fascismo riuscì a fare, ma mai con una politica continuativa e
coerente. 1922-25: linea liberista che però portò inflazione. Svolta del ’25 con l’avvento al ministero delle
Finanze di Volpi, che attuò una politica protezionistica, deflazionistica, di stabilizzazione monetaria.
Maggiore intervento statale  inasprimento dazi sui cereali, accompagnato da una rumorosa campagna
propagandistica, quella della “battaglia del grano”, il cui obiettivo era l’autosufficienza nel settore
cerealicolo. Obiettivo in parte raggiunto: fine 30s produzione raddoppiata. Vittime furono altri settori. La
seconda battaglia fu quella per la rivalutazione della lira  obiettivo di quota 90 (90 lire per una sterlina).
In un anno, anche grazie ai massicci prestiti delle banche americane, l’obiettivo fu raggiunto, ma a spese dei
lavoratori dipendenti ovviamente  mercato interno favorito, quello dell’export assolutamenteno. In più si
accentuò la concentrazione aziendale.
19.5 Il fascismo e la grande crisi: lo “Stato-imprenditore”. La crisi del 1929 si fece sentire parecchio in
Italia, anche se le scelte del 1925 avevano già iniziato a far crollare l’economia. Risposta del regime fu
duplice: sviluppo dei lavori pubblici (come Hitler e Roosevelt) e intervento dello Stato a sostegno dei settori
in difficoltà. Nuove strade e ferrovie, nuovi edifici pubblici, “risanamento” di Roma, bonifica dell’Agro
Pontino. In meno di tre anni furono bonificate le Paludi Pontine, altro successo propagandistico. Nacquero
nuovi poderi e centri urbani (Littoria e Sabaudia). Le banche stavano attraversando poi una fase di crisi
nera, erano molto esposte  per salvarle dal fallimento venne creato nel 1931 l’Imi, Istituto mobiliare
italiano, con il compito di svolgere il ruolo del banche nel sostegno di un’azienda, e nel 1933 l’Iri, Istituto
per la ricostruzione industriale, che divenne principale azionista delle banche e assunse così il possesso di
molte grandi aziende, come la Terni o l’Ansaldo, poi mai più riprivatizzate. Era uno Stato-imprenditore, che
aiutò molti gruppi a risollevarsi e fu di fatto accolto con gioia dalle aziende. L’economia non era
fascistizzata: per le consulenze e i progetti Mussolini si appoggiava a tecnici puri, non a membri del partito
 burocrazia parallela, importantissima nel dopo-regime. Uscita dalla crisi prima di altri, l’Italia non seppe
sfruttare questa sua posizione: Mussolini iniziò un’economia di guerra, senza che il riarmo facesse il bene
fatto in Germania.
19.6 L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica. Il nazionalismo non aveva sbocchi: l’Italia non aveva
rivendicazioni territoriali, perché era uscita vincitrice dalla guerra completando l’unificazione e aveva risolto
la questione adriatica. Inizialmente il fascismo si limitò ad appoggiare le velleità revisioniste di chi non
accettava l’assetto di Versailles. L’Italia “proletaria” si opponeva alle ideologie delle potenze “plutocratiche”
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che avevano dettato legge dopo il primo conflitto mondiale: nonostante le tensioni con la Francia,
Mussolini fu presente a Stresa con UK e Francia per denunciare il riarmo tedesco. Fu l’ultimo accordo con le
democrazie, perché il regime stava già preparando l’attacco all’Impero etiopico. Mussolini voleva l’impresa
imperialista per vendicare Adua e dimostrare di poter avere successo, ma in realtà per distogliere
l’attenzione interna dalla crisi economica. Parigi e Londra in teorie disposte a lasciar fare Mussolini, non
potevano permetterlo a causa della loro opinione pubblica. 1935: attacco senza dichiarazione di guerra
all’Etiopia  sanzioni economiche, ben poco significative, ma che accentuarono il contrasto Italia-potenze
democratiche. Mussolini riuscì a mobilitare le masse, facendo passare l’Italia per il paese bistrattato cui le
grandi potenze coloniali impedivano di ottenere un “posto al sole”  imperialismo popolaresco. Guerra
con tinte razziste, e apparentemente umanitarie (ahah). Il negus Selassié guidò per sette mesi gli etiopici,
ma nel 1936 Badoglio entrava ad Addis Abeba  Mussolini proclamò l’Impero. Se economicante l’impresa
fu folle, politicamente fu un successo clamoroso per il regime, in grado di imporsi al volere delle grandi
potenze e fare dell’Italia un Impero. Sanzioni ritirate, ma in realtà l’Italia non avrebbe vinto uno scontro con
una potenza. Dopo l’impresa in Etiopia l’Italia si riavvicinò alla Germania; fu firmato un patto di amicizia che
prese il nome di Asse Roma-Berlino, che, sommato al Patto anticomintern, subordinò l’Italia alla Germania,
quando Mussolini voleva solo ottenere più vantaggi coloniali facendo pressione su Londra e Parigi; invece
finì per essere condizionato Hitler, e nel 1939 firmò il “patto d’acciaio”, alleanza inscindibile con il nazismo.
19.7 L’Italia antifascista. In Italia la maggioranza degli antifascisti – soprattutto ex popolari e liberali –
restarono in una posizione di silenzione opposizione (Benedetto Croce era per loro un punto di
riferimento). I comunisti invece si impegnarono, benché con scarsi risultati, nell’agitazione clandestina;
sulla stessa linea si mosse il gruppo di “Giustizia e Libertà”, si indirizzo liberal-socialista. Gli altri gruppi in
esilio all’estero (socialisti, repubblicani, democratici, federati nel 1927 nella Concentrazione antifascista –
all’estero già da anni stavano personalità eminenti come Turati, Treves, Nenni e Saragat) svolsero
soprattutto un’opera di elaborazione politica in vista di una sconfitta del regime che l’antifascismo non era
in grado di provocare. I comunisti anche erano presenti all’estero, ma Togliatti, il loro leader, era un pezzo
grosso del Comintern, quindi seguiva chiaramente le direttive di Mosca: non inserì mai il Pci nella
concentrazione antifascista, nonostante molti fossero contrari. Gramsci lo era, nei suoi “Quaderni del
carcere”, che però non furono pubblicati che dopo la guerra. Le idee di chi la pensava diversamente
restarono sconosciute ai militanti. Nonostante queste debolezze, l’importanza dell’antifascismo risiedette
nella funzione di testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della futura Italia
democratica.
19.8 Apogeo e declino del regime fascista. L’apice del consenso al fascismo si ebbe con l’impresa etiopica,
dopo la quale iniziò ad incrinarsi la fiducia nei confronti del regime. La politica dell’”autarchia” – finalizzata
all’obiettivo dell’autosufficienza economica in caso di guerra – ottenne solo parziali successi e provocando
un aumento dei prezzi suscitò un diffuso malcontento. Inoltre molte risorse erano impiegate in Africa e
nella guerra civile spagnola. La politica estera di Mussolini e Ciano era un altro problema: era impopolare
l’amicizia con la Germania nazista, per cui c’era una componente di ammirazione e una di dissenso. Il duce
prevedeva un futuro di guerre e conquiste per l’Italia, che doveva diventare un paese di guerrieri 
totalizzazione: istituzione Camera dei fasci e delle corporazioni, e altri cambiamenti (passo romano, etc). La
politica discriminatorai nei confronti degli ebrei (cosa non italiana) suscitò timori e dissensi nella
maggioranza della popolazione. Solo tra i giovani il disegno totalizzante mussoliniano ebbe successo.
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20. Il tramonto del colonialismo. L’Asia e l’America Latina.
20.1 Il declino degli imperi coloniali. Tra le due guerre l’egemonia europea iniziò a traballare; GB e Francia
si illusero a lungo di poter continuare ad essere grandi potenze mondiali, in virtù dei loro immensi imperi
coloniali, dove nel frattempo si iniziavano a fare spazio movimento indipendenti, tanto in Asia quanto in
Africa. Le colonie erano state ciecamente sfruttate durante il conflitto per avere materie prime e soldati
sempre a disposizione  i popoli dei paesi coalizzati assumono una consapevolezza nuova e iniziano a
reclamare i loro diritti, sotto anche le spinte delle rivoluzioni russa e kemalista. I bolscevichi in particolare si
dichiaravano apertamente a sostegno dei movimenti di liberazione dall’imperialismo. Da un altro lato
l’influenza dell’ideologia wilsoniana diede una notevole spinta, con il discorso dell’autodeterminazione, ma
contemporaneamente la costituzione dei mandati.
20.2 Il nodo del Medio Oriente. Durante il conflitto i movimenti indipendentisti erano stati strumentalizzati
da una o l’altra potenza per fini bellici o strategici, specie ad opera degli inglesi in Nord Africa. Londra sin
dall’inizio sostenne il nazionalismo arabo  1915-16: accordi ManMahon-Hussein, con quali si decise la
nascita di una grande regno arabo indipendente (Siria, Mesopotamia e Arabia)  Hussein lanciò la guerra
santa contro i turchi (le truppe erano sostenute e guidate dal celebre Lawrence d’Arabia). Altro problema
nella regione: gli interessi e gli appetiti coloniali francesi. 1916: spartizione Medio Oriente tra Fr e GB 
dopo la IGM la spartizione sarebbe stata ufficializzata con i mandati: a Parigi Siria e Libano, a Londra
Mesopotamia e Palestina. Gli inglesi in cambio del mancato regno arabo crearono Transgiordania e Iraq,
mentre in Palestina, con la dichiarazione Balfour, aprivano la strada all’immigrazione ebraica, sotto la spinta
del movimento sionista  inizio questione palestinese.
20.3 Rivoluzione e modernizzazione in Turchia. Il risveglio nazionale arabo fu insieme causa ed effetto del
crollo dell’Impero ottomano, cui dopo il conflitto toccò la sorte peggiore. Occupazione greca di Smirne;
Turchia era anche al centro delle mire anglo-francesi. La reazione fu guidata dal generale Kemal, che con i
“giovani turchi” aveva combattuto gli inglesi. Quando le potenze trattavano con il sultano-fantoccio,
un’Assemblea nazionale riunita ad Ankara gli diede il compito di liberare il Paese  dopo neanche due anni
inglesi e francesi se ne andarono e la Grecia fu lasciata da sola, e sconfitta ripetutamente  tragedia
nazionale greca il ritorno in patria di oltre un milioni di profughi  riannessione dell’Anatolia e della Tracia
orientale. Trasformazione della Turchia in uno Stato nazionale, laico e repubblicano  Kemal fu nominato
presidente, con il soprannome di Atatürk, e si impegnò a fondo in occidentalizzazione e laicizzazione
statale.
20.4 L’Impero britannico e l’India. La GB fu l’unica a capire cosa andava fatto, e ad allentare il legame con
le colonie per renderle più autonome  creazione di Transgiordania e Iraq, poi dell’Arabia Saudita; non
solo, Egitto indipendente nel 1936 (anche se con il controllo brit di Suez). Londra 1926, conferenza
imperiale  nascita del Commonwealth (i dominions furono riconosciuti autonomi). Il problema era che
l’India era la più importante delle colonie britanniche, ma anche quella con il più forte movimento
nazionale; durante la guerra il governo inglese promise l’autogoverno per l’India in cambio della sua fedeltà
nei tempi bui del conflitto  ma i nazionalisti continuano la loro azione  massacro di Amritsar. 1920:
nasce il Partito del Congresso. Intanti la predicazione di Gandhi della non-violenza, della resistenza passiva
e della non-collaborazione con la potenza coloniale diventava un fenomeno di massa in tutta l’India. I
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provvedimenti a favore dell’allentamento dei vincoli tra GB e India non servirono a molto, essendo tardivi:
India indip dopo IIGM.
20.5 Nazionalisti e comunisti in Cina. Tra le due guerre la Cina fu lacerata dalla guerra civile. Il regime
autoritario di Yuan Shi-kai non riuscì a stabilire pace e unità  semianarchia, invece. Il governo non era
abbastanza forte né per controllare i signori della guerra che imperversavano nelle province, né per
fermare le velleità imperialistiche giapponesi. La partecipazione alla guerra a fianco dell’Intesa non servì a
niente, perché a Parigi la Cina non ottenne niente  l’umiliazione fece scattare i nazionalisti nel maggio
1919, in concomitanza con il ritorno di Sun Yat-sen, che fondò un suo governo a Canton. La sua opposizione
al governo centrale si vide sostenuta anche dal Partito comunista, che quindi si alleò con il Kuomintang,
anche sotto le spinte sovietiche. Ma l’alleanza tra nazionalisti e comunisti non sopravvisse alla morte di Sun
Yat-sen nel 1925. Il suo successore era Chang Kai-shek, che non amava i comunisti e iniziò immediatamente
una campagna contro il governo di Pechino, ma anche contro i movimenti operai, come quello di Shangai. Il
Partito comunista fu dichiarato fuori legge. Chang Kai-shek cercò di rimodellare la Repubblica secondo
schemi occidentali, ma i problemi delle basi rosse e dei signori della guerra restavano tutti lì; nel 1931, poi, i
giapponesi invasero la Manciuria e vi crearono uno Stato-fantoccio, il Manchu-kuo. L’inerzia di Chang Kaishek diede una spinta ai comunisti, che iniziarono a muoversi secondo la strategia contadina di Mao Tsetung. Poco ortodossa, ma corretta: erano le masse rurali le vere protagoniste della rivoluzione. Chang Kaishek si trovò a combattere su due fronti, ma si concentrò sulla lotta ai comunisti  tra il ‘31e il ’34 lanciò
contro di loro una serie di fortissime offensive  lunga marcia di 100.000 comunisti dallo Hunan verso lo
Shanxi. Arrivarono decimati, ma i vertici c’erano ancora, la Repubblica comunista si stava ricostituendo
sotto la guida illuminata di Mao. Al successivo tentativo di Kai-shek però l’esercito chiese la costituzione di
un fronte unito contro la minaccia nipponica e la fine della guerra civile. 1937: Giappone attaccò in forze il
territorio cinese, e nonostante la resistenza accanitissima riuscì a garantire la sua egemonia sulle coste e le
principali città (governo collaborazionista a Nanchino).
20.6 Imperialismo e autoritarismo in Giappone. Il Giappone era ormai la principale potenza asiatica, la sua
economia era estremamente dinamica (specie quelle delle zaibatsu, grandi concentrazioni industrialifinanziarie). Impetuosa crescita demografica e struttura “prussiana” della classe dirigente  imperialismo
verso la Cina soprattutto. Primo decennio postbellico: dialettica politica garantita; poi però comparvero i
movimenti autoritari di destra, su modello fascista europeo e di cultura tradizionalista  crescente
autoritarismo. Tuttavia si arrivò al partito unico soltanto nel 1940; assunzione diretta del potere da parte
dei generali e degli esponenti degli zaibatsu, con la autorevole copertura di Hirohito, salito al trono
imperiale nel 1926. Queste le contingenze che portarono il Giappone verso la dittatura e la seconda guerra
mondiale.
20.7 Dittature militari e regimi populisti in America Latina. La crisi del 1929 non mancò di toccare
l’America Latina, dove alcuni Paesi la vissero passivamente, mentre altri le risposero avviando processi che
li avrebbero portati a sviluppare un settore manifatturiero, e approfittando degli alti prezzi delle loro
materie prime per sviluppare l’industria pesante. Politicamente fu una fase molto travagliata per il
continente; nei paesi concentrati sulla monocoltura governavano le oligarchie terriere, tra instabili regimi
liberali e spietate dittature (Batista a Cuba o Trujillo a Santo Domingo). Dove invece c’erano movimenti
operai le cose erano diverse, intrecciandosi con la generale crisi liberale di quegli anni  ovunque, ad
eccezione del Cile, si sperimentarono forme di autoritarismo. In particolare, in Argentina un colpo di stato
portò al governo il radicale Yrigoyen (governi conservatori per i successivi 10 anni), mentre in Brasile si
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impose il populismo autoritario di Vargas  rapporto diretto masse-leader, nazionalismo e intervento
statale in economia, legislazione sociale avanzatissima. Come quella del Messico di Càrdenas
(nazionalizzazione del settore petrolifero e riforma agraria). La visione più ambigua del populismo sarà
certamente il peronismo.
21. La seconda guerra mondiale.
21.1 Le origini e le responsabilità. A Monaco era stata negoziata una “falsa pace”; il mondo si trovò ben
presto coinvolto in un nuovo conflitto, la cui responsabilità è della Germania nazista. Le democrazie
occidentali si erano illuse a Monaco che a Hitler bastassero i Sudeti, ma nel marzo ’39 il Führer occupò la
Boemia e la Moravia, attaccando la Cecoslovacchia. Fu la svolta; Gran Bretagna e Francia, abbandonato
l’appeasement, cercarono di stipulare più alleanze militari possibili: Grecia, Turchia, Romania, Belgio,
Olanda, ma soprattutto Polonia. Hitler stava rivendicando il corridoio e Danzica  garanzia anglo-francese
alla Polonia. Per l’Italia la libertà di manovra era limitata: Mussolini fece infuriare le democrazie occupando
il piccolo Regno di Albania, per poi legarsi alla Germania nazista con il “patto d’acciaio”. L’Italia sarebbe
dovuta scendere in campo in aiuto della Germania in qualsiasi guerra la coinvolgesse (anche d’aggressione):
ma l’Italia non era pronta, le fu assicurato da Hitler che il conflitto avrebbe aspettato tre anni. Invece no. Le
trattative tra le democrazie e l’URSS non portarono a nulla, perché c’erano troppi dubbi e troppe diffidenze
reciproci: Mosca si volse a Hitler  23 agosto 1939: patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop tra URSS
e Germania. Tale accordo destò indignazione e stupore: in realtà faceva comodo ad entrambe le parti, che
allontanavano il rischio di un attacco (URSS impreparata alla guerra, avrebbe ottenuto dei territori secondo
il protocollo segreto; Hitler scongiurava la guerra su due fronti). 1 settembre 1939: Germania attaccò la
Polonia. Dopo due giorni GB e Fr le dichiararono guerra. Italia: “non belligeranza”. La guerra non sarebbe
stata solo mondiale, ma totale. Scontro ideologico. Nuove armi e tecnologie.
21.2 La distruzione della Polonia e l’offensiva al Nord. Poche settimane di guerra furono sufficienti a
mostrare a tutti una perfetta macchina da guerra; la Polonia capitolò in pochissimo, il suo esercito
antiquato era niente rispetto a quello tedesco e alla sua guerra-lampo, che prevedeva l’uso congiunto di
aerei e mezzi corazzati  si era tornati alla guerra di movimento. A fine settembre Varsavia cadde, e in
pochissimo i sovietici occupare la parte est del Paese e stabilivano, esattamente come i tedeschi ad ovest,
uno spietato regime di occupazione. Per sette mesi ci fu quello che i francesi chiamarono “drôle de guerre”,
lo scontro si congelò demoralizzando le truppe alleate e dando a Hitler il tempo di rimettersi in forze. A fine
novembre l’URSS attaccò la Finlandia, che però resistette e nel marzo ’40 cedette alle richieste sovietiche
pur restando indipendente. Il 9 aprile Hitler attaccò Danimarca e Norvegia e le travolse. Era tempo di
attaccare ad ovest.
21.3 L’attacco a occidente e la caduta della Francia. Un altro successo notevole per Hitler. I francesi erano
superiori per numero e armamento, ma i comandi commisero degli errori, basandosi ancora su una vecchia
concezione della guerra e riponendo troppa fiducia nella linea Maginot che copriva solo la frontiera francotedesca  Hitler invase ed occupò Belgio, Olanda e Lussemburgo, valicò la impenetrabile foresta delle
Ardenne e sfondò a Sedan, puntando sul mare e chiudendo in una sacca l’intero contingente inglese, che
riuscì a reimbarcarsi a Dunkerque solo grazie ad un rallentamento tedesco. Hitler voleva uno spiraglio di
accordo con Londra, mentre la Francia capitolava e il 14 giugno i tedeschi entrarono a Parigi. De Grulle da
Londra cercò di incitare i francesi alla rivolta contro gli occupanti, ma Petàin firmò l’armistizio il 22 giugno a
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Rethondes dove i tedeschi si erano piegati al Diktat nel 1918. Il governo fu trasferito a Vichy, mentre il resto
della Francia restava occupato dai nazisti. Finiva la Terza Repubblica, mentre a Vichy l’Assemblea nazionale
si spogliava dei suoi poteri e dava il compito a Petàin di promulgare una nuova costituzione; era un
conservatore accanito, che fece del regime di Vichy uno stato-satellite della Germania hitleriana, un Paese
guidato da una tradizione alla ancien règime. Rapporti Fr-GB rotti.
21.4 L’intervento dell’Italia. Nell’estate 1939 l’Italia non era entrata in guerra, perché non era pronta:
dipendeva cronicamente dalle importazioni. Ma il crollo della Francia fece sparire le ultime esitazioni di
Mussolini e vinse le resistenze di quanti si opponevano all’intervento italiano, compresa l’opinione pubblica
che inizialmente odiava la Germania hitleriana. 10 giugno 1940: il duce annunciò l’entrata in guerra
dell’Italia contro “le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”. L’offensiva sulle Alpi contro
una Francia già sconfitta (il giorno prima della firma dell’armistizio) fu una prova di notevole incompetenza:
molti morti, limitata penetrazione in territorio francese, ma comunque armistizio il 24 giugno. Dalla GB
l’Italia ricevette due sconfitte navali vicino alla Calabria e vicino a Creta. Altri insuccessi contro brits in Africa
settentrionale: Mussolini voleva una “guerra parallela” per l’Italia, e rifiutò l’aiuto hitleriano. Ma l’Italia era
impreparata.
21.5 La battaglia d’Inghilterra. La GB era sola a combattere Hitler, ma non aveva intenzione di piegarsi alla
sua volontà e accettare un accordo che riconoscesse le sue conquiste. Forte del sostegno del
Commonwealth e della sua opinione pubblica, la classe dirigente inglese guidata da Winston Churchill
convinse gli inglesi a dover fare dei sacrifici per poter resistere e sconfiggere le velleità hitleriane. Il popolo
inglese reagì compatto e coraggioso all’operazione Leone marino, quella che Hitler aveva ideato per la
battaglia di Inghilterra: era necessario colpire dal cielo, per compensare la potenza navale inglese  prima
grande battaglia aerea della storia, estate ‘40: Luftwaffe vs. RAF, che era avvantaggiata per il radar. Londra
e altri centri furono ripetutamente bombardati, ma la resistenza brit fu accanita e Hitler non riuscì a piegare
la GB; l’invasione dell’Inghilterra fu rimandata  prima battuta d’arresto per la Germania nazista.
21.6 Il fallimento della guerra italiana: i Balcani e il Nord Africa. 28 ottobre 1940: l’esercito italiano attaccò
improvvisamente la Grecia, stato semi-fascista che si pensava di travolgere. Concorrenza con Hitler e
l’espansione tedesca  solo che la resistenza fu molto più organizzata del previsto e ricacciò gli italiani in
Albania su linee difensive. Grossa eco in Italia, ondata di sfiducia nei confronti del regime e del duce. Colpo
all’immagine del regime, anche perché contemporaneamente arrivava dall’Africa altre notizie di insuccessi.
Con un contrattacco gli inglesi conquistarono l’intera Cirenaica, e per non dover abbandonare la Libia
Mussolini dovette accettare l’aiuto di Hitler  iniziò una lunga controffensiva guidata dal brillante generale
Rommel, che nel 1941 riprese la Cirenaica, mentre l’Africa orientale italiana veniva presa dagli inglesi nella
primavera. Era la fine della guerra parallela italiana, e una sconfitta amarissima, sancita infine
dall’intervento tedesco nei Balcani, con la conquista di Grecia e Jugoslavia. Intervento inglese inutile e
tardivo: in Europa Hitler non aveva più rivali, l’unico fronte aperto era quello nordafricano: era il momento
di andare ad est.
21.7 L’attacco all’Unione Sovietica. Guerra entrò in una nuova fase con l’attacco all’URSS dell’estate 1941:
si aprì un nuovo fronte e l’ambigua alleanza russo-tedesca cadeva. Stalin sapeva che Hitler un giorno
avrebbe attaccato, ma pensava che prima avrebbe voluto la GB fuori gioco. Invece no: l’operazione
Barbarossa scattò il 22 giugno e colse i russi impreparati (anche per le purghe del ’37 che avevano decimato
i comandi dell’Armata Rossa). In due settimane le forze del Reich penetrarono per centinaia di chilometri in
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territorio russo (insieme ad un corpo di spedizione italiano), seguendo due direttrici: una dai Paesi baltici e
una dall’Ucraina che puntava sulle risorse energetiche caucasiche. Ma a Mosca i nazisti non arrivarono,
perché colti dall’inverno e dalla accanita resistenza sovietica, attiva anche in dicembre. Infinito serbatoio
umano russo permise a Stalin di far ripartire le industrie ad est del Volga, che permisero all’URSS di
rimettersi in gioco: dalla guerra-lampo si passava a quella d’usura, in cui la Germania non era
avvantaggiata.
21.8 L’aggressione giapponese e il coinvolgimento degli Stati Uniti. Alla terza elezione di Roosvelt a
presidente, gli USA ruppero il loro isolazionismo con l’approvazione delle legge “affitti e prestiti”, intesa per
sostenere la GB, ormai sola nella lotta contro il nazismo. In maggio Washington ruppe i rapporti diplomatici
con Italia e Germania, e in giugno la marina americana scortò un carico di aiuti per le potenze alleate fino
all’Islanda. Gli USA volevano diventare l’”arsenale delle democrazie” e la politica USA fu suggellata dalla
Carta atlantica, firmata da Churchill e Roosvelt su una nava da guerra al largo di Terranova nell’agosto 1941.
Stabiliva l’avversione ai fascismi e il nuovo ordine post-bellico. La guerra era ora anti-fascista. Gli USA
intervennero dopo l’aggressione improvvisa del Giappone, potenza asiatica legata all’Asse dal patto
tripartito. Dal 1937 il Giappone stava penetrando in Cina, ma la guerra in Europa gli permise di allargare le
sue mire all’intero Sudest asiatico; quando penetrò nell’Indocina francese, USA e UK bloccarono le
esportazioni verso l’Impero nipponico, che aveva disperato bisogno di materie prime: dovette scegliere tra
sottomissione al volere occidentale o guerra. Scelse la guerra  attacco a sorpresa a Pearl Harbor, 7
dicembre 1941, che vide distrutta buona parte della flotta americana nel Pacifico. Ora l’espansionismo
giapponese non aveva particolari ostacoli e si rivolse verso Malesia e Birmania, Filippine e Indonesia, fino a
minacciare Australia e India. Pochi giorni dopo Pearl Harbor, Germania e Italia dichiaravano guerra a USA.
21.9 Il “nuovo ordine”. Resistenza e collaborazionismo. Nell’estate ’42 le forze dell’Asse raggiunsero la
loro massima espansione; in Europa la Germania egemone governava indisturbata su 350 milioni di
persone, e aveva una serie di stati-satellite o alleati impressionante; all’interno di questa rete l’Italia non
contava nulla. Tanto Germania quanto Giappone tentarono nei territori sotto di loro di stabilire un ordine
nuovo basato sul dominio della nazione eletta, ma mentre Kyoto si appoggiò per questo ai movimenti
indipendentisti locali e all’antimperialismo, il nazismo non fece concessioni di sorta alle esigenze
autonomiste. Fu invece molto duro, specie con i popoli slavi, considerati inferiori di razza e trattati come
semi-schiavi: l’Europa orientale doveva diventare una colonia agricola del Reich. 8 milioni di civili sovietici e
polacchi morirono durante l’occupazione nazista. Naturalmente però la persecuzione più disumana fu
quella contro gli ebrei, nemico principale per Hitler, che iniziarono prima ad essere costretti nei ghetti
(come quello di Varsavia) e a portare una stella al braccio, quindi deportati in campi di prigionia, i lager
(Auschwitz, Dachau…), sfruttati fino alla consunzione fisica, usati come cavie per esperimenti, uccisi se
considerati inutili. La “soluzione finale” ideata nel 1941 e affidata alle SS prevedeva l’eliminazione fisica
degli ebrei: 6 milioni di ebrei sterminati. Gli effetti del dominio nazista furono molto positivi per i tedeschi
in un primo momento, che poterono mantenere un altissimo livello di vita, ma la grande presenza militare
in Europa e lo sfruttamento sistematico nazista misero i tedeschi al centro dell’odio di molti popoli. La
resistenza al nazismo si fece via via più organizzata e convinta, e se prima comprendeva piccoli gruppi che si
appoggiavano a Londra e ai governi in esilio, con l’attacco nazista all’URSS coinvolsero anche i comunisti.
All’interno però i fronti di resistenza erano divisi, perché nei confronti dei comunisti c’era grande diffidenza
(in Jugoslavia Tito guidò il fronte anti-nazista). Ma c’era anche il collaborazionismo con gli occupanti, in tutti
i Paesi, per convinzione o convenienza. I tedeschi trovavano ovunque sostenitori e i governi
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collaborazionisti spuntavano ovunque: il più eclatante fu certamente Vichy, che cessò di esistere alla fine
del 1942.
21.10 1942-43: la svolta della guerra e la “grande alleanza”. Grande svolta per il conflitto. Pacifico: i
giapponesi vennero sconfitti dagli americani nelle due battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway: aerei
decollavano dalle portaerei, le flotte non si vedevano. Con la presa americana di Guadalcanal, i giapponesi
rinunciarono ad espandersi ed iniziarono a difendere i territori. Atlantico: gli americani riuscirono con il
tempo a limitare i danni della guerra sottomarina tedesca, grazie alla tecnologia. Ma l’episodio più
importante di questo periodo fu in agosto l’inizio dell’assedio e della battaglia di Stalingrado, che dopo mesi
vide i tedeschi sconfitti dalla resistenza sovietica. Simbolo di riscossa. Ottobre 1942, Africa settentrionale:
Montgomery attaccò Rommel ad El Alamein e riuscì a cacciarlo verso la Tunisia, dove le truppe italotedesche furono presto intercettate da un contingente alleato sbarcato in Algeria e Marocco. Tra due
fuochi, le forze dell’Asse dovettero arrendersi. Ora gli alleati potevano occuparsi dell’Europa. Conferenza di
Washington: patto delle Nazioni Unite contro il fascismo e il nazismo, impegno a combattere queste
piaghe. I contrasti tra alleati, cioè tra URSS e USA-UK, riguardavano anzitutto l’apertura del fronte di
battaglia in Europa: Stalin lo voleva subito in Nord Europa, Churchill voleva prima chiudere in Africa e poi
sbarcare dal sud; la spuntò l’inglese. Conferenza di Casablanca: lo sbarco sarebbe avvenuto in Sicilia, per
motivo logistici e politici; e la guerra non sarebbe finita senza la resa incondizionata della Germania, senza
patteggiamenti di sorta.
21.11 La caduta del fascismo e l’8 settembre. Il 10 luglio 1943 i primi contingenti anglo-americani
sbarcarono in Sicilia e in poche settimane conquistarono l’isola: colpo di grazia per il regime fascista, che già
era messo in crisi dagli scioperi che in marzo avevano messo in subbuglio tutto il Nord, ad opera dei
comunisti in risposta al malcontento popolare. Ma a far cadere Mussolini fu la “congiura monarchica”,
ordita dalla corona e da esponenti del fascismo che volevano preservare lo status quo monarchico ma
uscire dalla guerra. 24-25 luglio 1943: riunione del Gran consiglio; su proposta di Dino Grandi il comando
delle forze aramte tornò al sovrano, che al pomeriggio convocò Mussolini e lo costrinse alle dimissioni, per
poi farlo arrestare. Capo del governo divenne Pietro Badoglio  esultanza popolare. Crollo repentino e
inglorioso del sistema fascista, debole all’interno e indebolito dal discredito. La gente voleva la fine della
guerra, per questo esultava, ma l’uscita dal conflitto fu più tragica del conflitto stesso: al nord si stavano
accumulando forze tedesche, pronte a punire la defezione e fermare l’avanzata alleata. Badoglio disse che
l’Italia non sarebbe venuta meno ai suoi impegni, ma in realtà allacciò contatti con le potenze alleate, con
cuì però firmo un’armistizio il 3 settembre, senza garanzie sul futuro. Fu reso noto solo l’8  caos totale: il
re e il governo abbandonarono Roma, mentre i tedeschi iniziarono ad occupare l’Italia del Nord. Mentre i
tedeschi avanzavano, un esercito stanco e abbandonato a se stesso non era in grado di opporre alcune
resistenza, di fronte alla decisa e crudele determinazione tedesca a punire e fronteggiare gli angloamericani (un’intera divisione italiana che non voleva arrendersi fu sterminata a Cefalonia, ad esempio). I
tedeschi riuscirono ad attestarsi sulla linea Gustav (da Gaeta a Pescara – Cassino) e a bloccare lì l’avanzata
alleata fino alla primavera ’44.
21.12 Resistenza e lotta politica in Italia. Italia spaccata in due: monarchia filo-alleata al Sud, tedeschi e
fascisti al nord. Il 12 settembre Mussolini fu liberato sul Gran Sasso e iniziò ad organizzare un nuovo stato
fascista, la Repubblica sociale italiana, detta di Salò; i repubblichini tentarono di mettersi in piedi, ma non
furono mai credibili in quanto totalmente dipendenti dai tedeschi. Oltre alla guerra tra stranieri nel Nord
Italia si sviluppava una guerra civile, tra repubblichini e partigiani della resistenza. Iniziava la vera
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resistenza: i partigiani e i soldati che aveva rifiutato la resa ai nazisti si unirono per combattere i tedeschi
con azioni di disturbo e rappresaglie, specie lontano dai centri abitati. I tedeschi furono del tutto
intransigenti con loro (Fosse Ardeatine, 1944). Dopodiché i partigiani si iniziarono ad organizzare in vere e
proprie formazioni: Brigate Garibaldi, fatte di comunisti, Giustizia e Libertà, antifascisti, Brigate Matteotti,
socialisti. Rinascita dei partiti antifascisti: Partito d’azione, Pda, Democrazia cristiana, Dc, Partito liberale e
Partito repubblicano, infine Partito socialista di unità proletaria. Rappresentanti di partiti si riunirono a
Roma subito dopo l’8 settembre e fondarono il Comitato di liberazione nazionale, il Cln. Il re e Badoglio non
erano ben visti, ma il Cln non era abbastanza compatto e organizzato per opporsi al governo di cui gli alleati
si fidavano; una svolta si ebbe con il ritorno di Palmiro Togliatti dall’esilio in URSS. Con la svolta di Salerno
Togliatti propose un governo di unità nazionale per combattere i tedeschi e il fascismo, e per legittimare
agli occhi moderati e liberali il comunismo italiano. Questo governo di unità nazionale ci fu, insieme ad una
tregua istituzionale: il re Vittorio Emanuele III promise di passare i poteri al figlio, per poi fare sì che a
guerra finita fosse il popolo a decidere se l’Italia dovesse essere ancora retta da una monarchia. Giugno
1944: Roma liberata, re Umberto divenne luogotenente generale del Regno, mentre al governo Badoglio
successe quello di Ivanoe Bonomi  maggiore legame tra governo e resistenza, che si rafforzò sempre più
e si organizzò efficacemente. L’azione partigiana divenne sempre più diffusa, i tedeschi rispondevano con
pugno di ferro (Marzabotto), mentre città, come Firenze, vennero liberate prima dell’arrivo alleato e nel
Nord nacquero addirittura delle repubbliche partigiane. La popolazione non voleva essere troppo coinvolta
però, era terrorizzata. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 lo scontro tra tedeschi e alleati si attestò sulla linea
gotica (Rimini-La Spezia). Gli inglesi non vedevano di buon occhio il Clnai, ma il governo alla fine lo
riconobbe come suo rappresentante nell’Italia occupata. Il movimento partigiano riuscì a sopravvivere,
mentre nella primavera ’45 ci fu il crollo tedesco.
21.13 Le vittorie sovietiche e lo sbarco in Normandia. I sovietici iniziarono a premere contro i tedeschi con
una lenta ma inesorabile avanzata verso Berlino. Prezzo altissimo in vite e risorse, ma almeno Stalin
ottenne un ruolo forte nella “grande alleanza” e alla conferenza di Teheran (nov-dic 1943, con Stalin,
Churchill e Roosvelt) l’impegno alleato ad attuare uno sbarco in forze sulle coste francesi nella primavera
’44. Con sforzo sovrumano e un’attentissima pianificazione gli anglo-americani, riuscendo a superare il vallo
atlantico, portarono a compimento l’operazione Overlord (generale Eisenhower), il 6 giugno 1944, facendo
sbarcare in un mese un milione e mezzo di uomini. In due mesi linee tedesche sfondate, il 25 agosto Parigi
venne liberata. Tedeschi scacciati quasi sul confine del ’39, dove hanno il temp di riorganizzarsi, ma x poco.
21.14 La fine del Terzo Reich. Mentre gli alleati della Germania si arrendevano uno dopo l’altro e il Paese
era vessato da pesantissimi bombardamenti (Amburgo e Dresda, ad esempio) volti a demoralizzare la
popolazione, Hitler sperava ancora in un rivolgimento del conflitto a suo favore, sperando nella rottura dei
rapporti tra URSS e anglo-americani; invece essi tennero fede agli impegni presi, e la grande alleanza tenne,
anche in virtù delle conferenze di Mosca e Yalta, durante le quali si pianificava una vera e propria
spartizione del mondo in sfere di influenza una volta conclusosi il conflitto. Intanto l’era del Terzo Reich
volgeva al termine: l’Armata Rossa tra aprile e maggio liberava Vienna e Praga, mentre più a nord
proseguiva verso Berlino, dove si ricongiunse con i reparti anglo-americani provenienti da ovest; l’esercito
nazista era sfaldato, e anche in Italia si ritirò il 25 aprile. Mussolini catturato e impiccato. 30 aprile: Hitler si
suicidò. Il 7 maggio la Germania firmò la resa incondizionata a Reims. Guerra europea finita.
21.15 La sconfitta del Giappone e la bomba atomica. Dal ’43 gli USA avevano iniziato a riguadagnare
terreno nel Pacifico; nonostante dal ’44 il territorio nipponico fosse bombardato e gli USA fossero sempre
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più forti, i giapponesi continuavano ostinati a resistere (kamikaze)  Truman decise di porre fine al tutto
con la bomba atomica (deterrente per l’URSS – atto di forza): due ordigni su Hiroshima e Nagasaki (160.000
vittime + conseguenze LP). Imperatore Hirohito firmò l’armistizio senza condizioni il 2 settembre 1945 nella
baia di Tokyo. Così finiva la seconda guerra mondiale.
22. Il mondo diviso.
22.1 Le conseguenze della seconda guerra mondiale. La IIGM era stata uno spartiacque storico, con
conseguenze incredibili sul mondo futuro. Vide la vittoria delle democrazie e ridisegnò la carta d’Europa,
accelerando la crisi delle potenze europee: Germania debellata, Francia e GB indebolite e incapaci di
mantenere colonie. Le uniche due che potevano aspirare ad essere potenze mondiali, o superpotenze,
erano USA e URSS, due entità continentali e multietniche, ricche di risorse, con interessi mondiali, portatrici
di due messaggi ben contrapposti: il messaggio americano, a sfondo individualistico, era fatto di pluralismo,
democrazia liberale, concorrenza economica e libertà. Il messaggio sovietico era quello dell’antiindividualismo, del sacrificio e della disciplina, del modello collettivistico e centralizzato.  mondo
bipolare, molto chiaro in Europa dove le sfere di influenza furono determinate da dove gli eserciti erano
arrivati. Il disastro della guerra aggiunto alle rivelazioni sull’Olocausto e alla bomba atomica (arma in grado
di distruggere l’intera umanità) segnarono molto il pensare comune. Ci furono tentativi di rifondare i
rapporti internazionali: gestione generosa della pace da parte americana, nuova fisionomia alle Nazioni
Unite, codificazione e aggiornamento del diritto internazionale, anche penale  processo di Norimberga
(1945-46). L’egemonia USA fece sì che gli States divennero per l’Europa un punto di riferimento: il “mito
americano” era quello di cui l’Europa atterrita e spaventata aveva bisogno: influenza culturale (musica,
balli, etc…).
22.2 Le Nazioni Unite e il nuovo ordine economico. ONU nasce a San Francisco nel 1945. Ispirato alla Carta
atlantica, seguiva due direttrici: l’utopia democratica wilsoniana e la roosveltiana necessità di un
“direttorio” tra le potenze  i due organi principali ne sono emanazione: Assemblea generale, universalità
e uguaglianza di tutti gli Stati, e Consiglio di Sicurezza (5 + 10), che può usare la forza; poi ci sono il Consiglio
economico e sociale (Unesco, Fao, etc…) e la Corte internazionale di giustizia. Spesso l’ONU non è servito a
niente, è stato inadempiente, paralizzato dai contrasti tra le potenze; è importante centro di dialogo. Anche
i rapporti economici internazionali però cambiarono: nel 1944 nacque a Bretton Woods il Fondo monetario
internazionale, con lo scopo di costruire riserve valutarie e assicurare la stabilità dei cambi, ancorando le
moneta non solo all’oro, ma anche al dollaro (con conseguente primato). Banca mondiale si occupa invece
di fare prestiti a lungo termine ai Paesi per la loro ricostruzione o sviluppo. E poi ci fu il Gatt, 1947, che
abbassò il livello dei dazi. Gli USA si servirono di questi mezzi per indirizzare la rinascita economia europea.
22.3 La fine della “grande alleanza”. Presto i contrasti tra le due superpotenze furono chiari: gli USA erano
in realtà stati toccati poco dalla guerra e ora puntavano a creare un nuovo ordine mondiale, mentre l’URSS,
uscita molto più acciaccata dal conflitto, non faceva che esigere il prezzo della vittoria (niente paesi ostili ai
confini, riconoscimento del suo ruolo nel mondo, riparazioni). Nel “grande disegno” di Roosvelt era previsto
un dialogo tra le due, l’URSS sarebbe stata una forza d’ordine importante in un’area turbolenta come
l’Europa orientale, dov’era la sua sfera di influenza, ma gli USA sarebbero restati egemoni. Con Roosvelt
morì anche tale progetto, e Truman fu sin dall’inizio più diffidente nei confronti dell’Unione sovietica.
L’irrigidimento c’era già alla conferenza di Postdam dell’estate ’45, quando vennero a galla i punti di
63
frizione: futuro della Germania e dell’Europa orientale, dove Mosca con il supporto dell’Armata Rossa
portava al potere i partiti comunisti, senza minimo riguardo alla volontà popolare. Si ruppe la “grande
alleanza”: una cortina di ferro separava l’Europa da Stettino a Trieste (come disse Churchill). Alla conferenza
di Parigi si raggiunse un accordo con gli alleati dei tedeschi nel conflitto (Italia, Bulgaria…..) e sui confini tra
URSS, Polonia e Germania: a spese di quest’ultima la Polonia si spostò a ovest, così come l’URSS annesse
una parte di Polonia. Ma il futuro tedesco? Quale sarebbe stato?
22.4 La “guerra fredda” e la divisione dell’Europa. La conferenza di pace fu l’ultima atto di cooperazione
tra URSS e USA; nell’agosto 1946 scoppiò una grave crisi tra URSS e Turchia per i Dardanelli  prima
applicazione della teoria del containment (“contenimento” dell’espansionismo sovietico): invio della flotta a
sostegno della Turchia, per paura che anche la Grecia entrasse nella sfera comunista. La dottrina Truman
era questo: intervenire anche con la forza per liberare i Paesi da governi loro imposti e dal rischio
comunista. Giugno ’47: lanciato l’European Recovery Program, il piano Marshall insomma, che l’URSS non
fece accettare ai satelliti. Tra 1948 e 1952 13 miliardi di dollari permisero non solo la ricostruzione in
Europa occidentale, ma anche un convinto avvio verso lo sviluppo  liberismo, moderazione politica, pochi
conflitti sociali, legame forte con Washington. Altra provocazione staliniana nel settembre 1947:
Cominform, una sorta di riedizione in tono minore della Terza Internazionale. Cessato il dialogo tra le
potenze, iniziò la cosiddetta “guerra fredda”  contrapposizione fortissima tra i due blocchi. Principale
terreno di scontro restava però il destino della Germania, divisa in quattro zone di occupazione, come
Berlino del resto. Quando i fondi ERP e l’iniziativa anglo-americana iniziò a fare delle loro zone tedesche un
forte stato, Stalin reagì con il blocco di Berlino  altissima tensione, ma situazione salva con un prodigioso
ponte aereo americano, che alla fine fece desistere i sovietici. Repubblica federale tedesca (con capitale
Bonn) vs. Repubblica democratica tedesca (con capitale Panlow, sobborgo berlinese). Europa divisa in due
 1949: firma del difensivo Patto atlantico  Nato. 1955: URSS rispose con il Patto di Varsavia. Guerra
fredda: compattezza dei blocchi, legame di politica estera fondamentale, militarismo e armamenti 
paradossi notevoli, comunque: USA in Occidente appoggiano regimi pur di sostenere il mondo libero.
22.5 L’Unione Sovietica e le “democrazie popolari”. Il dispotismo staliniano proseguì la sua opera, con
purghe e condizionamenti pesantissimi a vita intellettuale e artistica. La ricostruzione avvenne senza aiuti
esterni diretti, se non le riparazioni e i prelievi che Mosca faceva nei Paesi-satellite. Rinascita molto rapida,
con crescita industriale del 70%, ma dell’industria pesante e bellica, a sfavore del tenore di vita sovietico.
L’URSS era una grande potenza bellica, nel 1949 fece esplodere la sua prima bomba atomica. Politica
estera: trasformazione dei Paesi occupati dall’Armata Rossa in democrazie popolari, formula che cercava di
mascherare il loro assoggettamento e il loro ruolo di satelliti. Polonia: la sua difesa era questione di orgoglio
inglese, ma Stalin la voleva comunista perché era stata corridoio di passaggio per attacchi già due volte.
Stalin la spuntò e nel 1945 a Varsavia sedette il governo di Morawski, controllato dai comunisti e via via più
dispotico e in rotta con i borghesi. Stesse cose in Romania, Bulgaria, Ungheria (un po’ di resistenza da parte
del Partito dei contadini), Albania e Jugoslavia. Cecoslovacchia: paese democratico e sviluppato, favorevole
all’URSS e guidato dal comunista Gottwald e da una coalizione di sinistra, che si ruppe quando fu il
momento di decidere se accettare o no gli aiuti dell’ERP. All’inizio del 1948 i comunisti si imposero al
governo, dopo pressioni sul presidente Beneš. In Europa dell’Est, comunque, arrivò la modernizzazione e
l’industrializzazione iniziò a dare i primi frutti: collettivizzazioni, nazionalizzazioni e piani di sviluppo diedero
un impulso deciso alla crescita economica di questi Paesi, che però restavano subalterni ai legami
economici con l’URSS  Comecon, Consiglio di mutua assistenza economica, mezzo di rigido controllo
sull’economia. Modello di crescita sovietico priivilegiava industria pesante, limitando i consumi 
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malcontento popolare  necessario rigido controllo sui satelliti. In Jugoslavia, Tito attuò uno scisma da
Mosca, che aveva decretato il comunismo slavo “deviazionista”. Tito pose il paese in una posizione
equidistante dai due blocchi e iniziò a cercare un equilibrio possibile tra statalizzazione ed economia di
mercato  modello jugoslavo: autogestione delle imprese + libera concorrenza. Per paura di un diffondersi
delle deviazioni comuniste, vi furono epurazioni spaventose nei regimi comunisti, con purghe ed esecuzioni.
22.6 Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale negli anni della ricostruzione. USA non avevano il problema della
ricostruzione, ma della riconversione del sistema produttivo a scopi di pace. Il programma di Fair Deal di
Truman non fu neanche lontanamente paragonabile alla politica riformista roosveltiana. In più il costo della
vita stava aumentando  il Congresso contro il volere presidenziale adottò il Taft-Hartley Act, legge
conservatrice che limitava la libertà di sciopero. Nonostante le conquiste del New Deal si mantennero e
anzi la politica sociale venne accresciuta, la spinta progressista dell’età roosveltiana si esaurì. In particolare
dal 1949, si sviluppò una vera e propria caccia alle streghe contro i comunisti, il maccartismo  1950:
Internal Security Act. Finì nel 1955. In Europa invece c’era aria di trasformazione e riforme; a parte Spagna e
Portogallo, l’Europa occidentale era tutta democratica. GB: 1945, Churchill fu battuto dal laburista Attlee,
che promosse la nascita di un vero Welfare State di ispirazione svedese  Servizio sanitario nazionale e
nazionalizzazioni di imprese e banche. Ma era il momento sbagliato  ritorno conservatore nel 1951.
Francia: il governo provvisorio gaullista lasciò il posto a successive coalizioni tra i partiti di massa, comunisti,
Sfio e repubblicani popolari. Nel 1946 partì il piano Monnet, quadriennale progetto riformista e dirigistico,
e fu stilata la nuova costituzione, simile a quella prebellica. De Gaulle si oppose, avrebbe preferito un
sistema presidenziale con esecutivo forte, e fondò un movimento per cambiare la costituzione. La
coalizione con i comunisti si ruppe ed essi furono estromessi dal governo: iniziava la Quarta Repubblica, con
la sua instabilità cronica. Germania: ripresa più rapida di tutte. Il Paese era uscito devastato dalla guerra:
morte e distruzione ovunque, città ed infrastrutture rase al suolo, economia al collasso, 10 milioni di
profughi ad Ovest, in più ora era stata divisa in due, la Repubblica federale governata da Adenauer e la
Repubblica democratica guidata dal partito unico Sed. Eccezionale capacità di recupero: ma nell’Est l’URSS
prelevava molto e investiva poco, mentre ad Ovest gli USA garantirono l’accesso ai fondi Marshall e fecero
sì che nel ’51 il PIL fosse già al livello del 1938.
22.7 La ripresa del Giappone. Il Giappone era sotto la tutela del generale Mac Arthur e nel 1946 si vide
imporre una costituzione redatta dagli americani, che trasformava l’autocrazia imperiale in una monarchia
costituzionale (a queste condizioni Hirohito potè mantenere il trono) a regime parlamentare. Lo stesso
anno fu avviata una riforma agraria, anche se gli americani non volevano indebolire troppo i ceti
conservatori. In particolare con la guerra di Corea i grandi agglomerati industriali divennero fornitori per gli
USA, non vennero smantellati e l’economia potè decollare, anche grazie alla stabilità politica e agli
elevatissimi investimenti. Giappone aveva poche grandissime imprese, e una miriade di medio-piccole 
lancio sulla tecnologia. Già negli anni ’60 il Giappone era terza potenza economica mondiale dopo USA e
URSS. Miracolo nipponico.
22.8 La rivoluzione comunista in Cina e la guerra di Corea. Grande svolta nel 1949 con la vittoria comunista
in Cina: una grande potenza tornata indipendente del tutto e portatrice di un modello comunista distinto
da quello russo e destinato ad attrarre molti Stati ex coloniali. L’alleanza anti-giapponese del 1937 tra
nazionalisti e comunisti scomparve quando il Giappone si trovò occupato nel Pacifico contro gli USA e
Chang Kai-shek riprese la sua repressione contro i comunisti. Guidava un regime impopolare, corrotto e che
preferiva fare guerra ad altri cinesi piuttosto che agli occupanti. Al contrario i comunisti di Mao avevano
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guadagnato il consenso delle masse contadine (alternativa maoista) con riforme agrarie nell’interno della
Cina da loro controllato e facevano un’accanita guerriglia ai giapponesi. Finita la guerra, gli USA cercarono
di promuovere un accordo tra Mao e il Kuomintang, ma Chang Kai-shek decise di attaccare i comunisti in
grande stile, ma le sue forze erano ormai limitate e demotivate  dopo tre anni di vicende alterne, Mao
entrò a Pechino nel febbraio 1949 e nell’ottobre fondò la Repubblica popolare cinese, non riconosciuta da
Washington che continuava a considerare legittime il governo cinese di Kai-shek fuggito a Formosa. Ad
un’ampia socializzazione seguì un accordo di amicizia e di mutua assistenza tra Cina e URSS  fronte
comunista si ampliava. Primo campo aperto di scontro fu nel 1950 la Corea, che era stata divisa in due parti
dagli accordi interalleati, divise dal 38° parallelo. In Corea del Nord c’era un regime comunista guidato da
Kim Il Sung, mentre in Corea del Sud un governo nazionalista filo-americano. Entrambi rivendicavano
l’intera penisola coreana e una serie di incidenti di frontiera portò nel giugno 1950 all’attacco nordcoreano
al Sud. Gli americani, sotto la bandiera dell’ONU, agirono inviando delle truppe in Corea del Sud e riuscendo
a penetrare nel Nord comunista  intervento cinese a difesa dei comunisti ribaltò le sorti del conflitto. Nel
1951 Truman aprì i negoziati che, assieme alla guerra, durarono fino al 1953 e terminarono con il ritorno al
38°. La minaccia comunista era sentita come mai prima.
22.9 Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica. Nel giro di cinque mesi finì la presidenza Truman e morì
Stalin, il confronto tra i blocchi assunse nuove forme. In URSS la “direzione collegiale” mantenne la linea
dura, mentre in USA arrivò Eisenhower  1953-54, uno dei periodo di maggiore tensione. Eppure in quel
periodo si venne formando la reciproca accettazione e le premesse per la coesistenza pacifica si
palesarono, con la presa di coscienza della forza dell’avversario e della progressiva scomparsa del divario
tecnologico (bomba H). 1955: fine maccartismo e ascesa Kruscev in URSS  gesti di distensione  trattato
di Vienna e conferenza di Ginevra: lo status quo europeo andava mantenuto; gli americani accettavano
come dato di fatto la situazione in Est Europa.
22.10 Il 1956: la destalinizzazione e la crisi ungherese. L’ascesa di Kuscev culminò nel 1957 quando questi
raccolse in sé le cariche di primo ministro e di segretario del partito. Fu autore di alcune aperture e
personaggio estroverso e popolare  si riconciliò con gli jugoslavi, sciolse il Cominform, partecipò agli
incontri di Vienna e Ginevra, mentre in politica interna rilanciò l’agricoltura con maggiore attenzione alle
condizioni di vita dei cittadini. Demolì con sistematica determinazione la figura di Stalin, pur senza mettere
in discussione il sistema comunista sovietico: il rapporto Kruscev, durante il XX congresso del Pcus, fece luce
sulle atrocità compiute da Stalin negli anni del suo governo personale e lo denunciò. Effetto traumatizzante
della destalinizzazione si ebbe soprattutto in Polonia e Ungheria, anche se all’interno dell’URSS le parole di
Kuscev non mancarono di scuotere molti animi. Polonia: con l’appoggio della Chiesa cattolica gli operai
polacchi iniziarono rivendicazioni e manifestazioni, fino ad arrivare a proclamare scioperi. L’ottobre polacco,
moto di protesta a livello nazionale che voleva democratizzazione, spinse Mosca a favorire un cambio di
regime  Gomulka attuò una politica liberalizzatrice e di conciliazione con la Chiesa, senza uscire dalla
sfera comunista sovietica però. In Ungheria, invece, le proteste sfociarono in insurrezione che fece ritirare
le truppe sovietiche dal Paese e portarono al governo il comunista dell’ala “liberale”, Nagy, che il primo
novembre annunciò l’uscita ungherese dal Patto di Varsavia  segretario del PC Kàdàr fece pressione su
Mosca, che stroncando la resistenza entrò a Budapest e rioccupò il Paese. Indignazione dell’Occidente.
22.11 L’Europa occidentale e il Mercato comune. Se l’Europa dell’Est aveva “sovranità limitata”, quella
occidentale dipendeva in tutto e per tutto dagli States. GB: smobilitazione dell’Impero estremamente
tranquilla. Nonostante il Welfare fosse stato mantenuto, i governi conservatori non riuscirono a frenare un
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declino economico iniziato da mezzo secolo, che presto divenne stagnazione. La ripresa più spettacolare fu
quella tedesca, grazie alla sua economia sociale di mercato, un efficace esperimento. I fattori del miracolo
tedesco furono: ampia disponibilità di manodopera grazie ai profughi, la mobilitazione sindacale e la
stabilità politica. In coalizione con il Partito liberale, l’Unione cristiano-democratica restò al governo con
Adenauer fino al 1963, mentre l’opposizione costituzionale era nelle mani del Partito socialdemocratico. Di
fronte alla crisi europea e al fatto di essere tutte governate da sistemi simili, le Nazioni europee si
iniziarono a concentrare su quanto avevano in comune  spinta all’integrazione europea, che iniziò
concretamente nel 1951 con la nascita della Ceca. Trattato di Roma, 1957: CEE  scopo: Mercato unico
europeo. Sul piano economico l’integrazione diede grande impulso alle economie nazionali, mentre su
piano politico si bloccò sotto il peso dei tradizionalismi nazionali.
22.12 La Francia dalla Quarta Repubblica al regime gaullista. La Francia fu l’unica democrazia occidentale a
subire una crisi istituzionale nel dopoguerra: dopo la rottura tra i tre partiti di massa nel 1947 ci furono
dieci anni di instabilità. Difficoltà nel gestire una smobilitazione imperiale con l’opposizione della
popolazione: nel 1958 arrivò la minaccia di un colpo di Stato da parte delle truppe di stanza in Algeria. De
Gaulle venne richiamato e invitato a redigere una nuova costituzione, con la quale nacque la Quinta
Repubblica. Rafforzò l’esecutivo dando molti poteri al Presidente della Repubblica, carica che conquistò nel
dicembre 1958. Risolse con la forza l’affare algerino, e nonostante avesse deluso le aspettative della destra
colonialista, iniziò un processo di affrancamento della Francia dagli Stati Uniti, con il fine di creare
un’Europa esterna ai due blocchi, indipendente e sovrana, svincolata dall’egemonia del dollaro. In ogni caso
riuscì a dare una base più stabile su cui far poggiare il sistema francese.
23. La decolonizzazione e il Terzo Mondo.
23.1 I caratteri generali della decolonizzazione. La seconda guerra mondiale diede l’impulso definitivo ad
un processo già iniziato da tempo, quello dell’affrancamento delle colonie dal giogo coloniale. Tutti i gruppi
indipendentisti continuarono dopo la guerra la loro opera  decolonizzazione, nella quale ebbero un ruolo
fondamentale anche USA e URSS, che avevano un interesse notevole nel far sì che l’Europa perdesse anche
le colonie, completamento il suo subordinamento a una o l’altra potenza, e aprendo la via della conquista
ideologica capitalista o comunista per i Paesi neo-indipendenti. Aiutò molto il principio di
autodeterminazione dei popoli, perno di tutto il sistema dell’ONU, e il fatto che in realtà alle potenze
europee non conveniva nemmeno più mantenere le colonie. Varie forme di decolonizzazione, in base al
Paese europeo dominante nell’area: se gli inglesi operarono una graduale abdicazione, preparando i popoli
ad autogovernarsi e restando loro legata dal Commonwealth, la Francia procedette fino alla fine a testardi
tentativi di assimilazione e integrazione forzata. Ad ogni modo, il rapporto con l’Europa non potè che
sussistere: troppe erano state le influenze che dal Vecchio continente avevano raggiunto Asia e Africa. Ma
queste ex colonie non adottarono sempre il modello della democrazia parlamentare, considerato un
fallimento: la tendenza andò su regimi autoritari, a partito unico o dittature militari vere e proprie.
23.2 L’emancipazione dell’Asia. L’Asia si affrancò prima dell’Africa perché l’organizzazione politica e la
struttura sociale erano più avanzate: era un continente di culture e civiltà millenarie, che non ha mai perso
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la sua identità, e che anni di colonialismo europeo avevano fornito di elites locali preparate. India: Partito
del Congresso cerca indipendenza + influenza di Gandhi. 1941: Nehru ottiene da Londra la promessa di fare
dell’India un dominion. Finita la guerra aprirono i negoziati; Gandhi voleva uno stato unitario con indù e
musulmani, che però volevano indipendenza  conflitti  1947: nascono l’Unione Indiana e il Pakistan
(geograficamente diviso in due parti, una delle quali il Bangladesh). Ma gli scontri proseguivano con migliaia
di morti, anche per il Kashmir. Nel 1948 un estremista indù assassinò Gandhi. Nehru restò al governo fino
alla sua morte nel 1964: il Paese era colpito da gravi problemi, come la povertà cronica, il
sovrappopolamento, le tensioni etniche e divisioni sociali. Tentativi riformisti in 70s e 80s; nonostante
alcuni aspetti autoritari del potere di Nehru e della figlia Indira Gandhi, le istituzioni democratiche indiane
ressero, a differenza del Pakistan, a lungo e tutt’oggi governato da dittature militari. Nel Sud-Est asiatico
l’emancipazione fu condizionata dal confronto tra nazionalisti e comunisti. Birmania e Malesia,
indipendenti risp nel ’48 e nel ’57, prevalsero i nazionalisti e la guerriglia rossa fu sconfitta. In Indonesia il
nazionalista Sukarno riuscì a ottenere indipendenza nel 1949 e a non allinearsi, resistendo alle spinte della
destra e dei comunisti, ma nel 1965 un fallito tentativo di golpe di questi ultimi lo costrinse a cedere il
potere a Suharto. Thailandia, alternarsi di dittature e governi civili. Filippine: nonostante la guerriglia
comunista e musulmana, governi sempre più autoritari prosperarono (Marcos, dal ’65 all’’86). Indocina
francese vide invece una prevalenza dei comunisti: Vietnam, dove i comunisti di Ho Chi-minh guidavano il
Vietminh, movimento indipendentista che aveva combattuto giapponesi e francesi di Vichy durante la
guerra. Terminato il conflitto, essi proclamarono nel sud la Repubblica democratica del Vietnam, che i
francesi subito rioccuparono  guerra scoppia nel ’46 e, grazie anche alle tattiche di guerriglia, si concluse
a Dien Bien Phu nel ’54 con la sconfitta francese  accordi di Ginevra: ritiro francese dalla penisola, anche
Laos e Cambogia.
23.3 Il Medio Oriente e la nascita di Israele. Due correnti confluivano nel movimento indipendentistico:
quella tradizionalista dell’integralismo islamico, e quella laica e nazionalista, più attenta all’economia.
Prevalse quest’ultima; dopo la IIGM le potenze europee furono costrette a scendere a patti: nel 1946
indipendenza della Transgiordania e ritiro francese da Siria e Libano, Iraq indip già nel 1932, mentre Egitto +
Arabia Saudita + Yemen = Lega degli Stati arabi, 1945. Palestina, vero problema: durante la guerra le
pressioni sioniste si erano fatte più pressanti e l’immigrazione era cresciuta, anche a causa del terrore
nazista; pochi obiettarono poi quando si scoprirono le atrocità dell’Olocausto. USA alleati della causa
sionista, ma gli inglesi non volevano inimicarsi gli arabi. Guerriglia ebraica in Palestina contro gli inglesi e gli
arabi. Situazione incontrollabile: ritiro inglese nel maggio 1948 (situazione rimessa all’ONU) e subito dopo
nascita dello Stato d’Israele  Lega degli Stati araba attaccò subito, e fu sconfitta: prima guerra araboisraeliana. Israele fu fin dall’inizio uno Stato moderno, ben organizzato, ben guidato (Ben Gurion ad
esempio), con una economia mista tra capitalismo industriale e cooperativismo. Guerra 1948: Israele si
espanse, lo stesso fece la Giordania, dramma palestinese aveva inizio.
23.4 La rivoluzione nasseriana in Egitto e la crisi di Suez. Egitto era il centro del nazionalismo arabo.
Indipendente dal 1922 aveva ancora un legame molto stretto con la GB che ancora era presente
militarmente nella zona del canale di Suez. Governo corrotto e inefficiente  malcontento popolare e
opposizione dei Fratelli Musulmani  rivoluzione degli ufficiali liberi nel 1952 depose il monarca. Nasser
diventò presidente, iniziò l’industrializzazione e indirizzò le riforme in senso socialista. In politica estera si
fece sostenitore della liberazione dalle potenze ex coloniali, ottenne il ritiro delle truppe inglesi da Suez e si
avvicinò all’URSS  USA tagliarono i fondi per la diga di Assuan attraverso la WB  Nasser nazionalizzò la
Compagnia del canale, provocando un crisi internazionale. Ottobre 1956: mentre Israele attaccava l’Egitto e
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lo sconfiggeva penetrando in Sinai, francesi e inglesi occupavano la zona del canale. Alle due superpotenze
la cosa non piacque affatto, richiamava il colonialismo: senza l’appoggio americano e di fronte
all’ultimatum sovietico Francia e GB si ritirarono, e lo stesso fece Israele. Prestigio personale di Nasser era
alle stelle, era popolarissimo e si fece portatore del panarabismo in tutto il Medio Oriente, di cui l’Egitto era
diventato Paese guida. Fenomeno del nasserismo. 1958: Egitto e Siria si unirono nella Repubblica araba
unita, esperimento fallito dopo nemmeno tre anni. Sempre nel 1958 i nazionalisti rovesciarono la
monarchia in Iraq. Il sogno di uno stato arabo unito non si realizzò mai, ma il nasserismo ebbe un’eco
profonda. 1969: Gheddafi con un golpe prese il potere in Libia, iniziando un interessante tentativo di
“socialismo islamico”, in aperta contrapposizione all’Occidente in nome di un coraggioso avventurismo
politico.
23.5 L’indipendenza dei paesi del Maghreb. Marocco, Tunisia e Algeria vedevano i nazionalisti combattere
per ottenere l’indipendenza dalla Francia. In Marocco e in Tunisia i movimenti indipendentisti erano di
ispirazione occidentale, l’Istiqlal e il Neo-Destur rispettivamente. Nel 1956, dopo inutili tentativi di
repressione, Parigi fu costretta a concedere l’indipendenza. Ben più complessa era la situazione in Algeria,
dove risiedevano oltre un milione di coloni francesi, arroccati a difesa dei loro privilegi; con la rivoluzione
nasseriana in Egitto la situazione si radicalizzò e nacque il Fln, Fronte di Liberazione Nazionale, guidato da
Ben Bella. Iniziò uno scontro durissimo, che culminò nel 1957 con la battaglia di Algeri, che vide la
popolazione stringersi attorno al Fln per nove mesi, alla fine dei quali la ribellione fu repressa militarmente
con ingente sforzo. Maggio 1958: i coloni più oltranzisti temevano un cedimento di Parigi e costituirono un
Comitato di salute pubblica, preludio di un colpo di Stato militare in Francia  fine della Quarta Repubblica
e ritorno di Charles De Grulle, che capì che la causa algerina era perduta e iniziò i dialoghi con il Fln. Essi si
conclusero ad Evian nel 1962  referendum in Algeria  ovviamente indipendenza. Dopo Ben Bella nel
1979 arrivò Bumedien; il Paese fu sempre autoritario e centralizzato, con una posizione di punta.
23.6 L’emancipazione dell’Africa nera. L’ASS di affrancò più tardi, ma più velocemente e pacificamente,
con il processo di decolonizzazione favorito dalle potenze occidentali che ormai lo vedevano irreversibile
ma volevano mantenere i contatti con le ex colonie. 1960: “anno dell’Africa”, con 17 indipendenze. In alcuni
Paesi dove la presenza o gli interessi bianchi erano notevoli ci fu una resistenza accanita dei coloni al ritiro:
in Kenya ci fu una lotta sanguinosa tra la setta Mau-Mau e i brit, fino all’indipendenza del 1963, mentre in
Rhodesia del Sud si stabilì il governo razzista di Ian Smith che ruppe con Londra e fu sconfitto solo nel 1980
 indipendenza della Zimbabwe. Ultima roccaforte fu l’Unione Sudafricana, dove fu inasprito il regime
dell’apartheid ai danni dei neri. L’indignazione internazionale e le manifestazione (es. Soweto) non
servirono a nulla a scalfire la supremazia bianca: interessi in gioco altissimi (diamanti e uranio), faide tra la
maggioranza nera e boeri (che si consideravano a casa loro). Congo: fu lasciato arretratissimo dal Belgio.
Guerra civile e tentativo di secessione del Katanga: il capo del governo, Lumumba, fu ucciso dai
secessionisti e prese il potere Mobutu. Unità ristabilità con intervento ONU. Era solo uno dei sanguinosi
conflitti interni del dopo-indipendenza africana: contrasti ci furono, tra gli altri, anche in Nigeria (Biafra) e in
Etiopia  fragilità intrinseca degli Stati africani, tra i quali i confini erano rimasti disegnati a tavolino
secondo la spartizione degli europei: ma le alternative non esistevano; “negritudine”, “socialismo africano”
e “panafricanismo” erano concetti che si prestavano bene al processo di indipendenza, ma non alle
costruzioni istituzionali della nuova Africa. Certo la frammentazione sociali fu leggermente limitata dalle
istituzioni, ma restò il problema principale del continente. I modelli occidentali non tennero in Africa, non
attecchirono affatto: in pochi anni si costituirono regimi militari nella maggior parte dei casi. Instabilità
politica, a cui si aggiungeva la debolezza economica, che iniziava ad aprire la strada al neocolonialismo, una
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nuova dipendenza dalle potenze ex colonizzatrici, che fu evitata da molti Stati africani con la rottura con
l’Occidente e l’avvicinamento all’URSS e al socialismo. Es: Etiopia, e soprattutto, Angola e Mozambico nel
1975 lo sperimentarono, ma né socialismo né capitalismo potevano salvare l’Africa dalla situazione tragica.
23.7 Il Terzo Mondo, il “non allineamento” e il sottosviluppo. Il senso di una eredità comune, della
liberazione dal giogo colonialista, spinse i paesi di nuova indipendenza a garantirsi dalle velleità
egemoniche dei due blocchi, e a proclamare il loro non allineamento: il Terzo Mondo si affrancava anche
politicamente dalle grandi potenze sotto la guida dell’Egitto nasseriano, della Jugolavia di Tito e dell’India di
Nehru, e a Bandung, nel 1955, lo dichiarava al mondo. Terzomondismo; Bandung voleva erodere
l’egemonia dei due blocchi, in realtà molto presto si fecero largo i contrasti tra i non allineati e le finte
neutralità, con tentativi anche palesi dell’URSS di inglobare nella sua sfera di influenza tali Paesi. Accanto a
questo stavano però la povertà e il sottosviluppo, inteso come arretratezza e ritardo allucinanti rispetto al
resto del mondo. Agricoltura e industria indietro, analfabetismo, sovrappopolamento, malnutrizione…
Polemica contro Occid.
23.8 Dipendenza economica e instabilità politica in America Latina. Da tempo indipendenti politicamente,
i Paesi latinoamericani dipendevano ancora economicamente dagli USA, che avevano stabilito una sorta di
tutela su tutto il continente, in una politica “panamericana” che voleva anche evitare l’avvento rosso. Gli
anni della guerra furono anni di sviluppo per l’America centro-meridionale (USA export di meno), in cui si
sviluppò un ceto medio, che assunse una centralità indiscussa in tutto il continente, caratterizzato
dall’oscillazione tra liberalismo, populismo e autoritarismo. Argentina: dal 1946 al 1955 ci fu Peròn
(descamisados, riforme sociali, statizzazione, ma in realtà regime autoritario). Il Brasile del dopo-Vargas
(tornato dal 1950 al ’54) ci furono tentativi di modernizzazione (non uniformi in tutto il Paese) e nel 1964
l’avvento dei militari. Mantennero la democrazia nel continente solo Messico, Uruguay e Cile. Di gran
rilievo, per l’attrazione che esercitò in tutta l’America Latina (vedi la vita di Che Guevara, ad esempio), fu la
rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro (1959) che ruppe con gli USA (con la sua politica agraria colpì la
United Fruit Company) e diede al regime un orientamento comunista (l’unico nel continente americano).
24. L’Italia dopo il fascismo.
24.1 Un paese sconfitto. Difficile dopoguerra; situazione economica disastrosa: industrie poco devastate,
ma agricoltura e allevamento in ginocchio  problema approvvigionamenti alimentari. Inflazione alle
stelle. Infrastrutture e case in gran parte distrutte + disoccupazione  problemi di ordine pubblico,
inasprimento lotte sociali e problema dei partigiani riluttanti a ritirarsi. Nel Sud i contadini occupavano le
terre e i latifondi, ma la minaccia più grave era senza dubbio costituita dal contrabbando e dalla borsa nera,
e in Sicilia da un ritorno del fenomeno mafioso, anche a causa dell’atteggiamento americano di connivenza
e sostegno. Nell’isola si sviluppò un movimento indipendentista composto soprattutto dalla vecchia classe
dirigente prefascista condizionata dalla mafia, ma i suoi tentativi furono sempre stroncati  si trasformò in
banditismo. Il Paese era disgregato moralmente e la frattura Nord-Sud si faceva più profonda: essi avevano
vissuto dal ’43 in due realtà diverse, con la continuità monarchica e gli alleati nel Mezzogiorno e
l’occupazione tedesca, le lotte di liberazione e la guerra civile al Nord. La liberazione aveva poi lasciato una
voglia di rinnovamento in quanti avevano combattuto per ottenerla  ma il vento del Nord non soffiava in
tutto il Paese, ancora sconvolto dal ventennio e comunque uscito sconfitto dalla guerra.
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24.2 Le forze in campo. I partiti in campo erano in pratica gli stessi del prefascismo: cambiato era il
contesto. Si assistè ad una crescita della partecipazione politica, i partiti di massa erano preminenti
nell’Italia del primo dopoguerra. Il Partito socialista, nonostante la guida del popolarissimo Pietro Nenni,
era diviso tra all’interno e non si era distinto durante la Resistenza. Il Partito comunista, invece, aveva
guadagnato terreno grazie al contributo dato alla liberazione: era un “partito nuovo”, di massa e deciso a
prendere parte alle istituzioni. L’unico in grado di competere con loro era la Democrazia Cristiana, che
prese le mosse dal partito popolare di Sturzo e ne ereditò la base contadina e piccolo-borghese, con le sue
fila rimpinguate anche dai membri di Azione cattolica durante il ventennio. Con l’esplicito appoggio della
Chiesa, la Dc era perno dell’ala moderata, anche perché il Partito liberale vedeva ormai eroso il suo legame
con la base sociale, mentre il Partito d’azione, per quanto moderno, non aveva una base di massa. I
neofascisti si ricostituirono solo a fine ’46, ma le destre andarono a ingrossare ora i monarchici ora la Dc ora
il movimento del qualunquismo. “L’Uomo qualunque”, movimento che si prefiggeva di sostenere e
rappresentare il cittadino medio, senza alcuna caratterizzazione ideologica, che raccolse parecchi consensi
nel Sud ma che già nel 1947 iniziò a scomparire. Nel frattempo la Cgil (tre componenti, cattolica, comunista
e socialista) fece delle conquiste sindacali: commissioni interne, scala mobile, disciplina licenziamenti,
egualitarismo retributivo.
24.3 Dalla liberazione alla repubblica. A Bonomi successe il governo Parri, che cercò di normalizzare un
Paese ancora sconvolto dal regime e dalla guerra  epurazione. Inoltre affermò di voler alzare le tasse per
le grande imprese, per favorire la piccola e media  i moderati si opposero, e il governo cadde. La Dc fece
salire De Gasperi (cattolici forti ormai), che fece una svolta in senso moderato, bloccando le riforme
economiche e l’epurazione (troppo complessa). La sinistra restò delusa, ma ancora sperava nelle elezioni
del 2 giugno dell’Assemblea costituente. Lo stesso giorno si sarebbe votato per il referendum istituzionale,
per decidere se mantenere monarchia o instaurare la repubblica. Per la prima volta, avrebbero votato le
donne. Nonostante l’abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II, la repubblica si
affermò di netto, mentre per la Costituente trionfava la Dc con il 35% dei voti, seguita dal 20% socialista
con alle calcagna il 19% dei comunisti. Sinistra rinforzata ma non abbastanza da essere maggioritaria; la
nuova espressione dell’Italia moderata era la Dc. I partiti di massa stravinsero, e le vecchie dirigenze liberali
erano ormai retaggio del passato. Anche il voto fu spaccato in Italia: al Nord repubblica e sinistra, al Sud
contrario.
24.4 La crisi dell’unità antifascista. L’Italia nei due anni successivi definì il suo ordinamento istituzionale
con la Costituzione, la riorganizzazione economica secondo schemi capitalistici e un equilibrio politico
notevole; democristiani, comunisti e socialisti governavano insieme, riuscirono a scegliere De Nicola come
Presidente della Repubblica. Secondo governo De Gasperi: i contrasti sociali e la guerra fredda iniziarono ad
esasperare le differenze interne alla coalizione della Dc con le sinistre. A fare le spese di tale
radicalizzazione fu però il Partito socialista che nel 1947 a Roma vide la scissione di Palazzo Barberini, con
Giuseppe Saragat e i suoi che presero le distanze da Nenni e dalla sua alleanza con i comunisti. Crisi politica
 maggior libertà d’azione alla Dc, che finì per escludere le sinistre dal governo, ponendo alcuni membri
della vecchia classe liberale nei ministeri (Einaudi e Sforza).
24.5 La Costituzione repubblicana. Nonostante la crisi però, la Costituente proseguì i lavori e li ultimò il 22
dicembre 1947. La Costituzione si ispirava alle democrazie ottocentesche: sistema parlamentare, governo
responsabile di fronte al Parlamento (due camere elette a suffragio universale e titolari del legislativo),
Corte superiore della magistratura, Corte costituzionale, referendum abrogativo, istituto della regione.
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Molte norme restarono inattuate per anni, come molti dei contenuti sociali (che erano solo risultato
dell’incontro tra interessi Dc e interessi sinistre). L’impianto politico è stato criticato molto, perché favorisce
l’agibilità e la visibilità delle forze politiche, ma non la loro stabilità. I partiti divennero arbitri della politica
italiana, anche a causa del sistema proporzionale  immobilismo, sistema italiano bloccato anche dalla
guerra fredda. In realtà fu un compromesso equilibrato, tanto più in un periodo incerto e instabile come
quello. Momento di estrema asprezza: accordi Stato-Chiesa, alla fine Togliatti accetta l’articolo 7, con
sorpresa di tutti.
24.6 Le elezioni del ’48 e la sconfitta delle sinistre. I partiti iniziarono la corsa agli elettori; due
schieramenti opposti: l’opposizione comunista e la Dc. Quando i socialisti si unirono ai rossi sotto il Fronte
popolare, fu chiaro che l’alternativa era secca e lo scontro sarebbe stato campale. De Gasperi poteva
godere di due potentissimi alleati: la Chiesa cattolica da un lato, che fece grossolana ma efficace
propaganda a favore della Dc, e gli Stati Uniti, che sostennero il partito paventando una vittoria comunista
anche in Italia. Le sinistre fecero appello ai lavoratori e alle classe disagiate, ma il legame con l’URSS,
estremamente malvista, non giocò a loro favore, mentre la Dc aveva dalla sua le prospettive di sviluppo e
benessere. 18 aprile 1948: la Dc stravinse con il 48,5% dei voti, bruciante sconfitta per le sinistre i cui sogni
si infransero. Egemonia del partito cattolico si rafforzava intanto. A luglio uno studente di destra ferì con un
colpo di pistola Togliatti  proteste comuniste in tutto il Paese, che in molti casi si trasformarono in
insurrezioni violente che si esaurirono in pochi giorni, ma mostrarono a tutti quanto l’Italia fosse divise.
Persino nei sindacati si vide tale contrasto: lasciando la Cgil, la componente cattolica fondò la Cisl, mentre
quella socialdemocratica fondò la Uil.
24.7 La ricostruzione economica. Gli elettori italiani avevano anche scelto una certa impostazione
economica: già dalla fine della guerra le riforme mancarono e avvenne una sorta di “restaurazione
liberista”, che i governi postbellici mantennero. Non volevano utilizzati i mezzi economici usati dopo la
grande crisi, e tra l’altro non volevano assolutamente che lo Stato ingerisse troppo nell’economia,
prerogativa questa da regime. La sinistra non seppre creare alternative credibili, e quando fu esclusa dal
governo, De Gasperi fece Einaudi ministro del Bilancio. La sua linea prevedeva la lotta all’inflazione, la
stabilità monetaria e il pareggio. Li ottenne con inasprimenti fiscali, svalutazione della lira e restrizione del
credito, ma a costi sociali immensi  crebbe la disoccupazione. Le politiche keynesiane stentavano ad
attecchire in Italia: i milioni di dollari arrivati da noi con il piano Marshall furono mal gestiti, e non furono
usati per investire e crescere.
24.8 Il trattato di pace e le scelte internazionali. A Parigi nel 1947 l’Italia fu trattata esattamente come una
potenza sconfitta: dovette pagare riparazioni ai paesi attaccati e ridurre il suo esercito. Perse le colonie, ma
di questo non importò a nessuno. Mentre grande attenzione era data ai confini nazionali: ad ovest l’Italia
non perse praticamente nulla e a nord riuscì a mantenere il Trantino Alto-Adige grazie alla maggiore
debolezza austriaca, ma i problemi si presentarono a est, dove gli jugoslavi avevano occupato Trieste e gran
parte del Friuli. Sistemazione provvisoria alla fine del 1946, ma si aprì così la questione di Trieste, che
doveva essere un territorio libero divise in una zona A occupata dagli alleati e in una B dagli jugoslavi. Nel
1954 la città tornò all’Italia, ma la questione continuò a suscitare problemi. Il contrasto tra italiani e slavi si
era inasprito nella guerra dopo le vessazioni del regime ai nostri vicini, che però si rifecero alla fine della
guerra, vendicandosi degli italiani (strage delle foibe, ad esempio). Ma l’Italia non poteva incentrare la sua
politica estera sulla questione triestina; da paese sconfitto, doveva attuare una scelta di campo  USA
naturalmente: fu chiaro con l’esclusione delle sinistre e l’accettazione dei fondi Marshall. Ma questo
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schieramento non significava un’alleanza militare, che eppure arrivò nel 1949 nonostante le titubanze di
tutti, per scelta di De Gasperi e Sforza, quando l’Italia aderì al Patto atlantico.
24.9 Gli anni del centrismo. 1948-53: egemonia della Dc. A maggio essa riuscì a fare Einaudi presidente
della Repubblica. Era la formula del centrismo, consistente nell’avere la Dc in mezzo che escludeva le destre
e le sinistre e portava avanti un timido riformismo sociale, per tenersi buone le masse, specie contadine 
riforma agraria del 1950: espropriazione e distribuzione delle terre, per tenere buona la popolazione e a
lungo andare per rafforzare la piccola impresa agricola (da sempre fattore di stabilità sociale), che tuttavia
fu sempre piuttosto gracile e debole. Nonostante la riforma agraria iniziarono le grandi migrazioni verso le
città. Altro intervento fondamentale fu l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, un istituto che avrebbe
dovuto coordinare lo sforzo statale per lo sviluppo e il miglioramento del livello di vita nel Meridione.
Risultati deludenti però, quando si capì che la modernizzazione non partiva e la società era statica. Altre,
come la legge Fanfani (case popolari) e la riforma Vanoni (dichiarazione dei redditi) furono osteggiate dalla
destra, mentre sempre più accanita era l’opposizione delle sinistre, che protestavano per le condizioni dei
lavoratori che non erano mai migliorate. Nonostante la ripresa industriale la disoccupazione e i salari bassi
persistevano  scioperi e manifestazioni  politica repressiva (ministro degli Interni, Scelba). I comunisti e
i socialisti furono persino “schedati”. Appena prima delle elezioni del 1953 De Gasperi e la Dc riuscirono a
far passare la legge elettorale che introduceva un sistema maggioritario. Legge fatta a pennello per la Dc
(soprannominata “legge truffa” dall’opposizione), la cui coalizione centrista perse clamorosamente senza
accaparrarsi il premio di maggioranza. La Dc di De Gasperi subiva così la prima sconfitta.
24.10 Alla ricerca di nuovi equilibri. Si iniziarono a cercare nuovi equilibri politici, e l’esigenza era quella di
legarsi alle sinistre e di dare una spinta riformatrice al Paese e intergrarlo in Europa (Mercato unico nel
1957). I successivi governi democristiani comunque continuarono sulle orme degasperiane e mantennero la
maggioranza quadripartita. Alcune novità: piano Vanoni (programmazione economica), nascita del
ministero delle Partecipazioni Pubbliche (coordinare attività delle aziende di Stato), insediamento della
Corte costituzionale, fondamentale per adattare la vecchia legislazione alla Costituzione e distruggere
qualche ultimo ricordo del fascismo. Ma progressiva si iniziò a vedere un’emarginazione dei degasperiani e
l’emergere della nuova generazione democristiana, quella di Moro, Rumor e Fanfani insomma.
Quest’ultimo cercò di strutturare meglio il partito e di scioglierlo dal vincolo con Confindustria, legandolo
maggioramente alle imprese di Stato, come l’Eni  pericoloso legame tra partiti ed economia. La linea
centrista non mutò nemmeno con Fanfani (segretario dal 1954), ma con l’elezione presidenziale di Gronchi
il partito sentì forte l’instabilità della coalizione e la necessità di una apertura a sinistra, che ovviamente
non poteva che significare un dialogo con il Partito socialista, che nel 1956 con le denunce in URSS dello
stalinismo ruppe con il Pci e attuò una svolta autonomista portata avanti dallo stesso Nenni.
25. La società del benessere.
Negli anni ’50 e ’60 l’economia dei paesi industrializzati (trainata dagli USA) attraversò una fase di intenso
sviluppo, di boom, che ebbe tra le sue cause: crescita della popolazione (da cui un aumento della
domanda); innovazione tecnologica e razionalizzazione produttiva (diffusione delle multinazionali);
espansione del commercio mondiale (grazie a stabilità moneta ex Fmi, e ad accordi tra Nazioni); politiche
statali in sostegno della crescita.
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L’applicazione delle scoperte scientifiche alla produzione divenne velocissima. Nel campo della chimica si
svilupparono le materie plastiche e le fibre sintetiche. In medicina c’è da segnalare la produzione di nuovi
farmaci (antibiotici, ormoni, psicofarmaci, anticoncezionali, ecc) e i grandi progressi della chirurgia. Le
conseguenze dello sviluppo tecnologico si fecero sentire in modo decisivo nel campo dei trasporti
(motorizzazione privata, sviluppo dell’aviazione civile, dal Constellation al Boing  declino treno e nave),
contribuendo a modificare radicalmente le abitudini di vita. Nel 1957, col lancio del primo satellite
artificiale sovietico, lo Sputnik, iniziava la conquista dello spazio (del ’69 è il primo sbarco dell’uomo sulla
Luna), che avrebbe determinato una “ricaduta” di tecnologia in tutti i settori.
Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa (anzitutto della televisione) ha rappresentato, tra i
prodotti dello sviluppo tecnologico, quello che più di ogni altro ha condizionato la vita quotidiana e i
modelli di comportamento delle società industrializzate (e in parte anche di quelle meno sviluppate).
Una caratteristica dei decenni del dopoguerra è il forte aumento della popolazione, concentrato però
soprattutto nel Terzo Mondo, dove al calo della mortalità si è accompagnato un tasso di natalità
notevolmente elevato. Nei paesi industrializzati l’aumento demografico è stato invece molto contenuto
(solo il baby boom del primo decennio del dopoguerra) e in alcni di essi si è giunti ormai alla “crescita zero”
della popolazione. C’è una tendenza alla pianificazione familiare grazie ai contraccettivi; liberalizzazione dei
costumi sessuali è una delle conseguenze.
La notevole espansione dei consumi “superflui” (spot pubblicitari  standardizzazione) è ormai
caratteristica fondamentale delle società avanzate (il consumismo), ove ha suscitato fenomeni estesi di
rifiuto ideologico, nonché di critica da parte di alcune correnti intellettuali (anzitutto quella che si richiama
alla “Scuola di Francoforte”).
Alla fine degli anni ’60 si verificò un’esplosione della protesta giovanile contro la “società del benessere” (la
cultura alternativa degli hippies): protesta iniziata negli Stati Uniti, a Berkeley intrecciandosi con la protesta
contro la guerra del Vietnam (e con la rivolta del Black power nei ghetti americani, dopo gli anni pacifici di
Martin Luther King), e poi diffusasi nell’Europa occidentale e in Giappone. L’episodio più clamoros fu la
rivolta parigina del maggio ’68. La fase della ribellione giovanile lasciò un segno profondo nelle società
occidentali, soprattutto nel campo dei valori e dei modelli di comportamento.
Negli stessi anni si sviluppava un nuovo femminismo che – raggiunta ormai la parità tra i sessi sul piano dei
diritti politici – criticava la divisione dei ruoli tra uomo e donna nella famiglia e nel lavoro, e più in generale
rifiutava i valori “maschilisti” dominanti nelle società industrializzate.
Di fronte alla nuova realtà della società del benessere, la Chiesa cattolica – pur ribadendo la sua critica al
diffondersi di valori materialistici e di comportamenti contrari alle sue dottrine – tentò un proprio
rinnovamento interno e un’apertura ai problemi del mondo contemporaneo. Tale nuovo corso iniziò col
pontificato di Giovanni XIII (1958-63, scrisse le encicliche “Mater et magistra” e “Pacem in terris”) e
proseguì con il Concilio Vaticano II.
26. Distensione e confronto.
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26.1 Mito e realtà degli anni ’60. Si dibatte se gli anni ’60 siano davvero stati un decennio felice o se in
realtà siano stati travagliati e duri come gli altri. Lo sviluppo economico finì per acuire i contrasti sociali e il
mondo viveva in un equilibrio del terrore, dato dalla deterrenza nucleare. Tuttavia scontri anche sanguinosi.
26.2 Kennedy e Kruscev: la crisi dei missili e la distensione. 1960: diventa presidente JFK, primo cattolico
alla Casa Bianca. Molto amato, si rifece a Wilson e Roosvelt, aggiornandoli con il mito della “nuova
frontiera”. Il riformismo kennediano in politica interna si risolse in un incremento della spesa pubblica e nel
promuovere intergrazione razziale nel Sud. In politica estera fu ambiguo: accanto a dichiarazioni di volontà
di distensione, portava avanti una intransigente difesa degli interessi USA nel mondo. Primo incontro
Kennedy-Kruscev fu a Vienna nel 1961 sul problema di Berlino Ovest: fallimento. USA mantennero la difesa
della città, URSS eresse un muro per dividere i due settori: simbolo della divisione del mondo in due. Ma il
teatro di confronto tragico fu Cuba, dove Kennedy tentò di far crollare il regime castrista appoggiando una
insurrezione di esuli che sbarcarono alla Baia dei porci nel 1961  fallimento e scacco per Kennedy. L’URSS
rispose all’intrusione americana a Cuba offrendo a Castro aiuto economico e militare, ma fece anche
installare delle basi di lancio per missili nucleari sull’isola. Quando aerei spia nel 1962 le scoprì, il mondo fu
sull’orlo della guerra totale: crisi missilistica. Alla fine Kruscev cedette, Cuba fu lasciata in pace 
distensione. 1963: firma del trattata per la messa al bando degli esperimento nucleari nell’atmosfera; poco
dopo installazione della linea rossa dalla Casa Bianca al Cremlino per scongiurare una guerra per errore. Il
22 novembre 1963 Kennedy fu assassinato a Dallas (nel 1968 sarebbe toccato al fratello Robert, e a Martin
Luther King), gli successe Lyndon Johnson, capace uomo politico che però legò il suo nome al Vietnam.
Kruscev aveva iniziato a parlare di mera competizione economica tra le due potenze, in discorsi pacifici;
sfidò l’Occidente a dare alla sua popolazione il massimo benessere, ma nell’ottobre 1964 fu estromesso.
26.3 La Cina di Mao: il contrasto con l’URSS e la “rivoluzione culturale”. Si vedeva un crescente contrasto
tra URSS e Cina, dovuto a molti motivi, ma principalmente a differenze ideologiche; se Mosca voleva un
mondo bipolare, Mao tendeva a mettere in dubbio lo status quo, a favorire gli indipendentismi nel mondo
e a reclamare un ruolo di maggior rilievo per la Cina. Nel 1949 la situazione del Paese era tragica, molto
avevano fatto i comunisti, la nazionalizzazione delle industrie era completa e il settore industriale
prosperava; meno bene andava l’agricoltura: la riforma agraria raccolse la miriade di piccole imprese
agricole in cooperative. Ma non andava ancora: troppa gente da sfamare  “grande balzo in avanti”, 1958:
razionalizzazione produttiva e sacrificio del popolo  comuni popolari, grandi entità che raccoglievano le
cooperative e dovevano puntare ciascuna all’autosufficienze. In un’atmosfera da piani quinquennali si
consumò un assurdo fallimento. La situazione con Mosca crollò, dopo le critiche sovietiche alla politica
agricola cinese e il rifiuto dei russi di sostenere i piani nucleari di Pechino (che comunque nel 1964 aveva
l’atomica)  addirittura scontri lungo il fiume Ussuri  rottura definitiva. All’interno il fallimento del balzo
in avanti aprì la strada alle forze moderate, ma a Mao non stava bene  avviò la cosiddetta “rivoluzione
culturale”, mobilitazione dei giovani contro i più moderati che impedivano l’avvento del comunismo,
imprigionamento di molti di quelli che in realtà erano semplicemente gli oppositori di Mao Tse-tung. Il pm
Chou En-lai fu garante della continuità del potere istituzionale in tutti quegli anni, nonché arteficie della
clamorosa apertura cinese verso gli USA  Nixon a Pechino nel 1972, e conseguente ingresso della Cina
comunista nel CdS dell’ONU. Fase di transizione della Cina aveva così inizio.
26.4 La guerra del Vietnam. Gli accordi di Ginevra del 1954 avevano diviso il Vietnam in due: nel Nord i
comunisti di Ho Chi-minh, nel Sud un governo semiautoritario sostenuto dagli americani che volevano
prendere il posto dei francesi in Indocina, per impedirne un contagio comunista. Nel sud i buddisti vennero
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sostenuti dai comunisti del nord nel creare il Vietcong, movimento di guerriglia; il governo del Sud ricevette
aiuti da Washington che inviò 30.000 “consiglieri militari”. Con Johnson l’intervento divenne apertamente
bellico: per tutto il ’64 il contingente fu alimentato di uomini e risorse, nel ’65 iniziarono i bombardamenti
nel Nord Vietnam. Ma né i vietcong né le truppe di Ho Chi-minh cedettero. Crisi dell’esercito USA, che tra
l’altro vedeva in patria una mobilitazione pressoché generale contro la guerra, contro la quale muovevano
milioni di persone in imponenti manifestazioni di protesta. Nel mondo si sviluppava il senso di solidarietà ai
vietnamiti. Inizio ’68: i vietcong lanciarono l’offensiva del Tet, che non fece particolari danni ma mostrò
quanto potente fosse la guerriglia. A marzo Johnson fermò i bombardamenti del Nord e annunciò che non
si sarebbe ricandidato  Nixon ridusse la presenza americana in Vietnam, ma contemporaneamente
attaccò anche Laos e Cambogia per cercare di tagliare gli approvvigionamenti ai vietcong. Gennaio 1973:
armistizio di Parigi, ritiro americano. La guerra proseguì per altri due anni dopo l’armistizio, finchè il 30
aprile 1975 i vietcong e le truppe del Nord entrarono a Saigon. Poco prima Lon nol, in Cambogia, era stato
sconfitto dai comunisti, che anche in Laos prevalevano. Indocina comunista: più grande sconfitta
americana.
26.5 L’URSS e l’Europa orientale: la crisi cecoslovacca. A Kruscev successe Brežnev, che mantenne la
politica del predecessore mutandone lo stile, e rendendolo meno aperto e ottimista. Accentuò la
repressione di ogni dissenso e le riforme che promosse in economia non diedero grandi risultati; ripartì il
riarmo a spese del popolo, anche se non cambiarono né i rapporti con la Cina né quelli con l’Occidente. Se
tollerarono la dissidenza rumena e la successiva parziale autonomia della Romania, i sovietici furono
intransigenti con la Cecoslovacchia. Il riformista Dubček fece un mini-golpe e prese il potere, avviando un
esperimento di socialismo misto ad elementi di pluralismo economico e soprattutto politico  era la
primavera di Praga, una sembianza di socialismo dal volto umano. Il Paese restava comunista, ma Mosca
non potè tollerare!! Il 21 agosto 1968 Praga fu occupata e un governo filosovietico stabilito. La resistenza
passiva imbarazzò Mosca e la vide costretta a rimettere al loro posto gli artefici del nuovo corso, compreso
Dubček. Ma i sovietici iniziarono a lavorare per la “normalizzazione” del Paese e la cacciata dei dissidenti.
1969: Husàk al potere. L’intervento a Praga fu ciriticato da tutti i Pc, ma Mosca potè così stabilire il
controllo ferreo sull’Europa orientale senza rendere conto a USA, impegnati in Indocina. Disagio tra
governati e governanti anche in Polonia, con la crisi del 1970 e l’insurrezione degli operai di Danzica e
Stettino.
26.6 L’Europa occidentale negli anni del benessere. Periodo florido per l’Europa occidentale; progressi nel
tenore di vita della popolazione, quindi cambiarono i costumi. In Italia, Germania e GB con i socialisti, in
Francia invece tale contesto fu garantito dai gruppi di obbedienza gaullista, anche dopo le dimissioni di De
Grulle nel 1969, con le successive presidenze Pompidou e Giscard d’Estaing. Germania: nel 1966 si
interruppe il monopolio del potere dei cristiano-democratici, che dovettero creare una grande coalizione
con i socialdemocratici di Willy Brandt. Essi, passata la contestazione e la crisi economica, abbandonarono i
cristiano-democratici e si allearono con i liberali, con cui governarono per il quindicennio successivo, anni di
prosperità e crescita, ma anche di un diverso approccio in politica estera. Scheel tese alla normalizzazione
dei rapporti con il mondo comunista, e pur restando legato alla compagine atlantica iniziò a parlare con la
Germania dell’Est e a comunicare al mondo l’importanza della questione della riunificazione. Fu una politica
orientale, una Ostpolitik. GB: una congiuntura economica difficile costrinse il governo laburista Wilson a
imporre un periodo di austerità, proprio mentre in Ulster riesplodeva la questione irlandese che andava
anche a mischiarsi con la protesta sociale  rivendicazioni e violenze, terrorismo e guerriglia urbana. La
crisi economica e l’abbandono delle ultime colonia (es. Singapore) spinsero Londra ad abbandonare la sua
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genetica riluttanza nei confronti dell’adesione britannica alla CEE, che in effetti avvenne nel 1972 insieme a
Irlanda e Danimarca. Tuttavia ciò non fu sufficiente a risolvere i problemi economici del Regno Unito.
26.7 Il Medio Oriente e le guerre arabo-israeliane. Anche dopo la crisi di Suez del 1956 il Medio Oriente
restò un’area complessa e di potenziale scontro tra potenze; in particolare Israele era un protetto degli
USA, l’Egitto dell’URSS. 1967: Nasser chiese il ritiro dell’ONU dal Sinai, chiuse il golfo di Aqaba, vitale per
Israele, e strinse un patto con la Giordania. Israele lanciò un attacco preventivo contro Egitto, Giordania e
Siria e in sei giorni vide capitolare le forze arabe e lo stato ebraico annettere moltissimi territori (dal Sinai al
Golan alla riva occidentale del Giordano). La “guerra dei sei giorni” cambiò molte cose, tra cui lo stesso
atteggiamento dell’Olp di Yasser Arafat, che soprattutto dopo il settembre nero (re Hussein di Giordania
portò avanti un’offensiva contro i feddayn e i palestinesi profughi per non essere nel mirino di Tel Aviv)
rivolse la sua lotta terroristica al piano internazionale (attentato contro squadra israeliana alle Olimpiadi
Monaco ’72). 1970: morte di Nasser, cui succede Sadat, che voleva riprendere il Sinai e attaccò Israele il 6
ottobre 1973 il giorno dello Yom Kippur, da cui la guerra prese il nome. Fu respinto, ma riuscì a lavare l’onta
del 1967. La crisi assunse portata mondiale quando i Paesi arabo chiusero il canale di Suez e decretarono il
blocco petrolifero contro i Paesi occidentali amici di Israele.
26.8 La crisi petrolifera. Dopo venticinque anni di crescita incontrastata le società capitalistiche iniziarono a
mettere in dubbio i fondamenti stessi della loro esistenza; due eventi epocali provocarono questa crisi
economica diversa da tutte le precedenti; anzitutto, la decisione di Nixon nel 1971 di bloccare la
convertibilità del dollaro in oro, che aveva garantito la stabilità monetaria mondiale dal 1944, in secondo
luogo la decisione dei paesi arabi di quadruplicare il prezzo del petrolio  tale shock petrolifero colpì
maggiormente quei paesi che dipendevano totalmente dalle importazioni. La produzione calò, ma a
differenza del passato vi fu una concomitante crescita inflazionistica, che prese il nome di “stagflazione”,
dovuta alla cause esterne e alla rigidità dei salari  lavoratori tutelati. Il vero problema fu infatti la
disoccupazione.
27. Apogeo e crisi del bipolarismo.
27.1 Il tempo del “riflusso”. L’URSS era ancora in piedi, ma le ideologie di sinistra stavano entrando in crisi
una dopo l’altra, tanto quelle riformiste, quanto quelle rivoluzionarie: esse erano convinte dell’illimitata
capacità espansiva del sistema economico, quindi lo shock petrolifero le gettò in crisi. La classe operaia
perdeva importanza e gli avvenimenti dei Paesi comunisti non davano ottime impressioni. Era l’intero
modello sovietico ad essere entrato in crisi: insuccessi economici, denunce degli esuli sulla repressione
interna, intervento in Afghanistan. La delusione della sinistra giunse anche insieme alle notizie proveniente
da Vietnam, Cambogia, Cina. Ma anche il versante riformista era messo in discussione: gli elevati costi del
Welfare State facevano aumentare la pressione fiscale  condanna allo Stato assistenziale  neoliberismo
e monetarismo: Margaret Thatcher in GB (1979) e il repubblicano Reagan in USA (1980). “Grande riflusso”:
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ci si domandava se davvero i grandi sistemi ideologici fossero capaci di fornire risposte concrete alle
necessità della gente. Caduta della tensione politica  ali estreme tagliate fuori  terrorismo politico
(Brigate rosse, es…), ispirato ai movimenti indipendentistici tipo Eta o Ira e con una ideologia marxistaleninista estrema. Ma gli mancava la base popolare: fu sconfitto. Restò come fenomeno internazionale.
27.2 La difficile unità dell’Europa occidentale. Tutti i Paesi europei furono colpiti dall’aumento del prezzo
del petrolio (GB meno), dal declino di molti settori industriali, dall’acuirsi delle tensioni sociali, tutti
problemi che la nascita dello Sme nel 1979 non riuscì a risolvere. Perdendo terreno agli USA e al Giappone,
l’Europa era sempre più dipendente dall’alleato atlantico anche militarmente: tensione tra i blocchi alle
stelle (euromissili). La crisi degli anni ’70 mise in crisi soprattutto le socialdemocrazie nordeuropee. GB,
1979: Margaret Thatcher al governo  liberismo, attacco alle Trade Unions, in discussione i fondamenti
del Welfare, privatizzazioni. Anche sull’onda lunga patriottica delle Falkland, la Thatcher restò fino al 1990
quando fu costretta a lasciare il posto ad un altro conservatore, John Mayor. Germania federale: ritorno al
potere dei cristiano-democratici nel 1983 con Helmut Kohl. La sconfitta della Spd non dipese dai problemi
economici del periodo, ma dalla politica estera titubante circa gli euromissili. I partiti socialisti perdevano
terreno a Nord, ma ne guadagnavano a Sud. Francia: Unione delle sinistre vinse nel 1981  François
Mitterrand. Le condizioni economiche difficili però impedirono al governo di portare avanti tutte le riforme
che erano state previste  rottura con i comunisti, che non impedì per ai socialisti di stare al governo fino
al 1993. A metà degli anni ’70, i Paesi dell’Europa medionale furono interessati dalla caduta dei regimi che
ancora li attanagliavano. Portogallo: Salazar morì nel 1970. Il regime avrebbe retto poco, ma la
democratizzazione, spinta dall’impopolarissima guerra nelle colonie africane di Angola e Mozambico,
assunse forme inedite. Primavera ’74: i militari attuarono un colpo di Stato non violento, ma già l’anno
successivo il potere tornò nelle mani di un normale regime parlamentare e pluripartitico. Grecia: nel 1967 i
militari avevano effettuato un golpe. Ma nel 1974 l’esito disastroso di uno scontro con la Turchia a e per
Cipro pose fine alla dittatura dei colonnelli  partiti democratici: “Nuova democrazia” di Karamanlis vs.
socialisti di Papandreu. Fine monarchia con un referendum. Spagna: il re Juan Carlos fu invece
fondamentale qui. Chiamò Alfonso Suàrez alla guida di un paese che si stava sviluppando molto in fretta;
egli legalizzò i partiti e fece approvare una costituzione democratica. Democrazia spagnola si consolidò in
fretta, nonostante terrorismo basco. Cambio di potere nel 1982, quando vincono i socialisti di Gonzàlez. Tra
1981 e 1986 questi tre Paesi entrarono nella CEE, creando non poche difficoltà nel gestire le politiche.
27.3 Gli Stati Uniti da Nixon a Bush. Dopo la crisi petrolifera e la sconfitta in Vietnam, gli USA furono
sconvolti dal Watergate  dimissioni di Nixon e avvento di Jimmy Carter: egli cercò di sistemare i danni
della Realpolitik di Nixon e Kissinger con un approccio più wilsoniano, basato su autodeterminazione e
riconoscimento diritti umani  rapporti tesi con Mosca e troppo spazio lasciato a regimi ostili (es. Etiopia,
Iran o Nicaragua)  opinione pubblica frustrata non rielesse Carter, ma scelse Ronald Reagan. Questi
seppe risvegliare l’orgoglio nazionalistico americano e la voglia di rivincita: linea estera dura con URSS e
altri nemici. La sua presidenza ebbe successo e fu confermata nel 1984, anche perché l’economia aveva
ricominciato a crescere, anche se i problemi sociali dell’America non erano trascurabili (tensione sociale e
razziale). La politica degli armamenti da un lato sostenne l’economia americana, dall’altro voleva essere
espressione di forza nel mondo e con l’URSS  iniziativa di difesa strategica (Sdi), scudo stellare, osteggiato
da gran parte dell’establishment perché avrebbe provocato una nuova corsa al riarmo. A livello intl gli USA
sostennero i contras nicaraguesi, armarono i guerriglieri afgani impegnati contro l’Armata rossa e sfidarono
i regimi integralisti mediorientali, Libia di Gheddafi e Iran di Khomeini. Confronto con entrambe: 1986,
bombardamento quartier generale di Gheddafi; 1897, protezione rotte petrolifere minacciate da guerra
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Iraq-Iran. 1988: incontri con Gorbačëv e nuova distensione. Vittoria di George Bush nel 1988. Politico più
esperto e anche più moderato e prudente. Fu lui a far scattare gli interventi americani maggiori dopo il
Vietnam: Panama nel 1989 per deporre Noriega e Iraq nel 1990-91. Avrebbe assistito alla caduta sovietica.
27.4 L’URSS da Brežnev a Gorbačëv. L’URSS brezneviana riuscì a mascherare i problemi economici (specie
agricoli) interni con dinamismo in politica internazionale  allargò la sfera di influenza a diversi Paesi del
mondo, tra cui l’Afghanistan dal 1979, dove sarebbe rimasta per dieci anni a combattere furiosamente con
una resistenza accanita di gruppi guerriglieri sostenuti anche dagli USA. Repressione dissidenza interna,
specie degli intellettuali. 1975: URSS partecipò alla conferenza di Helsinki, importanto passo avanti per i
diritti dell’uomo e le libertà politiche, che però poi non avrebbe rispettato. 1982: morì Brežnev. 1985:
segreteria del partito fu assunta dal giovane Michail Gorbačëv, dinamico innovatore. Politica economica:
perestrojka, che prevedeva l’inserimento nel sistema comunistia di alcuni elementi di economia di mercato.
Nel 1988 si fece promotore di una costituzione che pur manetenendo il partito unico lasciava spazio a un
limitato pluralismo. 1990: Gorbačëv divenne presidente dell’URSS. In realtà le riforme portarono a galla le
contraddizioni del Paese; le riforme economiche arrivarono ad una popolazione non in grado di accoglierle
 malumori e tensioni. Problema dei movimenti separatisti: per prime le repubbliche baltiche, quindi
Armenia, Georgia e Azerbaigian e l’Asia centrale  scontri interetnici. 1990: repubblica russa elesse Boris
Eltsin alla presidenza. Internamento la glasnost permise un dibattito politico-culturale impensabile fino a
poco prima. Dialogo con Occidente rilanciato, anche perché Mosca non era in grado di raccogliere la sfida
americana. Reagan voleva finire in bellezza il mandato e acconsentì ad incontrare Gorbačëv prima a Ginevra
nel 1985, poi a Reykjavik nel 1986: rapporti più distesi. Washington, 1987: accordo sui riduzione armamenti
missilistici e ritiro sovietico da Afghanistan. 1990: alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in
Europa, Nato + Patto di Varsavia firmarono trattato di non aggressione e riduzione armi.
27.5 La crisi dell’Europa comunista, la caduta del muro di Berlino e la riunificazione tedesca. La crisi
sovietica si ripercosse naturalmente sugli Stati satellite. Polonia, che già aveva conosciuto notevoli
cambiamenti con la nascita del sindacato Solidarnosc di Walesa, vide un colpo di Stato da parte del
generale Jaruzelski che voleva evitare un intervento sovietico. Lui stesso però riaprì presto i dialoghi col
sindacato e con la Chiesa  accordi di Danzica, 1988. L’anno successivo ci sarebbero state le prime elezioni
libere in un paese del blocco comunista e la vittoria di Mazowiecki. La Polonia innescò una reazione a
catena  Ungheria: Kàdàr fu esautorato e i nuovi dirigenti comunisti legalizzarono i partiti indicendo
elezioni per l’anno dopo. Decisione importante: apertura cortina di ferro al confine con Austria  fughe da
Germania est  dimissioni di Honecker. Riforme interne e concessione dei visti  9 novembre 1989,
caduta del muro di Berlino, fine simbolica delle divisioni e atmosfera di festa e riconciliazione.
Cecoslovacchia: insurrezioni portarono alla caduta del governo uscito dalla “normalizzazione” e all’elezione
a presidenza della Repubblica dello scrittore Havel. Romania: passaggio di regime più traumatico per la
resistenza della dittatura personale di Ceausescu. Bulgaria e Albania avviate ormai alla liberalizzazione.
Questi processi finirono per travolgere le stesse forze che li avevano avviati. Il 1990 fu l’anno delle elezioni
in questi paesi. Jugoslavia: le elezioni del ’90 sottolinearono le spinte centrifughe interne allo Stato
federale. Slovenia e Croazia votarono per gli autonomisti, in Serbia salì al potere il nazionalista
neocomunista Slobodan Miloševid. In Germania est le elezioni razziarono comunisti e sinistra; vittoria
cristiano-democratico  accordo con l’Ovest che attraverso l’opera del governo Kohl riuscì ad organizzare
in pochi mesi l’annessione della Germania dell’est alla Repubblica federale occidentale. 3 ott 1990:
Germania riunificata.
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27.6 Dittature e democrazie in America Latina. Anche in AmLat molti cambiamenti; la crisi della
democrazia negli anni ’70 toccò anche gli Stati fino ad allora immuni. Uruguay e Cile prima di tutto; Cile,
1970: Allende alla presidenza, ma con l’opposizione americana e un’economia dissestata  golpe che
portò al potere il generale Pinochet. Argentina, 1972: il regime militare in difficoltà estrema richiamò Peròn,
che venne eletto alla presidenza della Repubblica nel 1973, ma fallì clamorosamente. Non portò ordine né
miglioramenti economici. Per due anni dopo la sua morte, fino al ’76, governò la moglie Isabelita, deposta
dai militari che repressero duramente le rivolte della sinistra e cercarono di distogliere l’attenzione della
gente dai problemi interni con l’occupazione delle isole Malvine, da sempre inglesi  guerra con GB e
sconfitta argentina. Libere elezioni, 1983: eletto il radicale Raùl Alfonsìn. Tra 1984 e 1985 libere elezioni in
Bolivia, Uruguay, Perù e Brasile. Cile: Pinochet cadde nel 1989 e venne eletto Aylwin. Numerosi fattori di
destabilizzazione nel continente appena tornato democratico; Argentina: l’esperimento di Alfonsìn fallì e
nell’89 vinse Menem. Brasile aveva presidente Collor de Mello corrotto. Perù: Sendero luminoso, gruppo
maoista violentissimo  golpe dello stesso presidente Fujimori. Colombia: minaccia più grave restavano e
restano i narcotrafficanti, che con i loro guadagni riescono a controllare il potere locale. America centrale:
la democrazia stentava ad attecchire, continuo rischio di scivolare in dittatura. Altro problema: sandinisti in
Nicaragua rovesciarono Somoza nel 1979  USA appoggiarono i contras antisandinisti. Cuba era sempre
più sola. Economia sudamericana al collasso: inflazione e debito con l’estero.
27.7 Israele e i paesi arabi. Tra il 1974 e il 1975 Sadat decise che era arrivato il momento di cercare una
soluzione al conflitto con Israele, e attuò una svolta verso gli USA, congelando i rapporti con l’URSS. In un
viaggio a Gerusalemme, propose al parlamento israeliano la pace, che fu raggiunta con gli accordi di Camp
David del 1978 tra Sadat e Begin. Evento storico, che sopravvisse anche a Sadat, assassinato da un
integralista nel 1981. Restava però aperto il problema palestinese: inizialmente l’Olp non accettò di
dialogare, mentre in un secondo momento fu Israele a non accettare le proposte provenienti dai paesi
arabi. Alla fine del 1989 i palestinesi diedero vita a un lunga rivolta, un “risveglio”, l’ intifada contro gli
israeliani occupanti, che reagirono con una dura repressione e videro la loro posizione compromessa dal
fatto che la base della rivolta palestinese fosse popolare. Olp in Libano, intanto: l’arrivo della guerriglia fece
saltare il precario equilibrio etnico  1975: guerra civile, aggravata ulteriormente dall’attacco israeliano
del 1982 per colpire l’Olp. Per qualche mese il paese fu amministrato da una forza multinazionale di pace,
ma la calma era lontana da venire. Lotte interne favorirono la penetrazione siriana. Damasco vi impose un
protettorato.
27.8 Il mondo islamico e la rivoluzione iraniana. Scontro, latente in Islam, tra laici e integralisti. I primi
avevano la loro roccaforte nella Turchia post-kemalista, proiettata verso l’Occidente e democratica. Gli
integralisti invece avevano come punto di riferimento l’Iran, da sempre baluardo americano in MO. Il
fallimento riformatore di Mossadeq del 1953 aveva portato al colpo di Stato dello scià Pahlavi, che aveva
iniziato a governare in maniera autoritaria. Modernizzazione accelerata, che però non diede nulla al popolo
 crescente opposizione. Quando fu anche abbandonato da Washington, lo scià fuggì e a Teheran si
instaurò una Repubblica islamica teocratica guidata dall’ayatollah Khomeini  contrasto con USA: tra ’79 e
’80 il personale dell’ambasciata americana a Teheran fu tenuto prigioniero con l’assenso dell’autorità.
1980: Iran attaccato da Iraq, guerra proseguì per otto anni senza che nessuno dei due contendenti
avanzasse. Nuovi spazi disponibili al governo con la morte di Khomeini nel 1989.
27.9 I conflitti nell’Asia comunista. Dopo la vittoria rossa Vietnam (1975) e la morte di Mao (1976), l’Asia
comunista visse molti conflitti. Vietnam: con la presa di Saigon, il Sud fu assorbito nel Nord e la vecchia
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classe dirigente fu emarginata. L’economia fu collettivizzata con durezza  espropriazione beni dei cinesi.
Cambogia: tra ’76 e ’78 i khmer rossi di Pol Pot misero in atto una delle più spietate rivoluzioni sociali per
cancellare tutto quello che era stato prima  milioni di morti, templi distrutti, denaro abolito. Dicembre
1978: 200.000 soldati vietnamiti attaccarono la Cambogia. Hanoi voleva controllare tutta l’Indocina, infatti.
Pechino continuò a sostenere i khmer, che comunque vennero sconfitti  spedizione punitiva cinese nel
Nord Vietnam, che comunque non riuscì a liberare la Cambogia. Solo nel 1988 le truppe vietnamite
iniziarono il ritiro. Nel 1991 tentativo ennesimo di pacificazione  Consiglio nazionale supremo  libere
elezioni. Ma comunque fallimento: il paese aveva un conflitto triangolare, con monarchici vs. filovietnamiti
vs. khmer rossi.
27.10 La Cina dopo Mao. La Cina vide una demaoizzazione portata avanti dal nuovo leader del paese, Deng
Xiaoping  profonde riforme economiche: differenze salariali, incentivi, efficienza, importazione di
tecnologia dall’estero, apertura del mercato all’economia mondiale  mutamenti nella struttura sociale e
nella mentalità. Elementi di riforma e mantenimento della vecchia struttura burocratica causarono un
fenomeno di protesta, portato avanti dagli studenti  manifestazioni di piazza, sedate violentemente
quando la leadership di Pechino le vide estendersi al resto della Cina. Tristemente nota a tutti la represione
di piazza Tienanmen. Così la Cina sopravvisse al ciclone che investì il mondo comunista. Boom economico
mai visto.
27.11 Il miracolo giapponese. Miracolo economico: paese piccolo e sovrappopolato, senza risorse, già negli
anni ’60 era la terza potenza mondiale. Negli anni ’80 il suo PIL superò quello sovietico. Cause del miracolo:
i fattori culturali giapponesi, precedente elevate livello di industrializzazione, stabilità politica eccezionale.
Prima grande caduta produttiva fu con la crisi petrolifera: negli anni ’80 però il Giappone cresceva ad un
tasso doppio rispetto a quello occidentale. Alcuni scandali legati alla corruzione travolsero il Partito liberaldemocratico, detentore del potere per quarant’anni, che nel 1992 perse la maggioranza. Forza economica e
debolezza militare dovuta ai trattati post-bellici. Ora la situazione sta cambiando.
28. L’Italia dal miracolo economico alla crisi della prima repubblica.
28.1 Il miracolo economico. Tra ’58 e ’63 si ebbe il “miracolo economico”, durante il quale l’Italia crebbe a
ritmi virtuosissimi. Il settore manifatturiero nel ’61 triplicò il suo livello di produzione rispetto a quello
prebellico  aumento export prodotti italiani (elettrodomestici persino). Solidità lira, stabilità prezzi,
diffusione prodotti italiani, successo Olimpiadi di Roma del 1960  ottimismo italiano. Molti fattori hanno
favorito il miracolo: la crescita intl, il libero scambio, CEE, le poche tasse, ma soprattutto bassi salati e alti
profitti. Manodopera a basso costo perché c’era molta disoccupazione e migrazioni dal Sud al Nord. In
questo periodo, di fronte ad un agricoltura ferma a livelli vecchi e che perdeva addetti, l’Italia divenne un
Paese industriale. Agricoltura ristagnava, mentre crescevano i consumi in conseguenza del calo della
disoccupazione e dell’aumento della capacità contrattuale dei lavoratori  salari più alti  battuta
d’arresto del miracolo tra ’63 e ’64. Sarebbe ripreso nel 1966.
28.2 Le trasformazioni sociali. Notevoli mutamenti, Italia nella civiltà dei consumi. Fenomeno più vistoso:
esodo da Sud a Nord e dalle campagne alle città: Torino ad esempio crebbe addirittura del 40%  spugne
di questa manodopera in arrivo erano i settori commerciale ed edilizio. Pesanti costi umani
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dell’urbanizzazione: disordine urbano e speculazione  impiantare i meridionali nelle città del Nord non
era procedimento indolore. Proprio in quegli anni si iniziò ad assistere ad una integrazione culturale tra
tutti gli italiani e a consumi di massa, supportate dalla diffusione della televisione principalmente, ma anche
dell’automobile. 1955: avvento televisione, programmazione Rai, ma boom arrivò con il miracolo 
attraverso essa passavano la lingua comune (che iniziò a diffondersi) e modelli culturali di massa.
Automobile: utilitarie 500 e 600 della Fiat. Diffusione favorita da una politica fiscale che favoriva le basse
cilindrate e dal progetto di costruzione di una grande rete autostradale.
28.3 Il centro-sinistra. Necessaria un’apertura a sinistra da parte del governo; non era facile, osteggiata da
molti della Dc, dalle destra economica, ma anche dal Vaticano e dagli USA. La svolta ci fu dopo una serie di
avvenimenti drammatici: 1960, il democristiano Tambroni si legò ai voti del Movimento sociale, l’unico con
cui al momento riusciva ad accordarsi, e instaurò un governo “monocolore”  proteste dei laici e della
sinistra Dc. Quando Tambroni permise all’Msi di svolgere il suo congresso nazionale a Genova, città
antifascista di tradizione, scoppiarono disordini, in tutta Italia, dove l’opinione pubblica di sinistra insorse
contro il governo che voleva allearsi con l’estrema destra  Tambroni sconfessato. Fu Fanfani, più tardi lo
stesso anno, ad aprire la stagione del “centro-sinistra”. Alleanza con i socialisti fu sancita nel 1962, grazie
soprattutto all’operato di Aldo Moro, finchè un secondo governo Fanfani non ottenne l’appoggio socialista
ai singoli progetti legislativi. Il programma del centro-sinistra era frutto di un compromesso con i socialisti,
che volevano la nazionalizzazione dell’industria elettrica e la nominatività dei titoli azionari; ebbero la prima
(Enel nacque nel 1962), ma non la seconda, che scomparve in fretta dopo un crollo della borsa e una fuga di
K. Era un esperimento di programmazione economica per ridurre disuguaglianze. Fu creata tra l’altro la
scuola media unica, mentre l’attuazione delle regioni fu rinviata. La programmazione non riuscì mai sul
serio, troppe divergenze tra socialisti e repubblicani, in più mancava una base politica e sindacale
sufficientemente ampia. Alle elezioni del 1963 i democristiani e i socialisti persero voti a favore di liberali e
comunisti  governo “organico”, con ministri anche socialisti insomma, nacque sotto la guida di Moro nel
dicembre 1963. Rallentamento economico + forze ostili al centro-sinistra (quadri militari e presidente della
Repubblica, Segni)  blocco delle riforme. Ma il contrasto all’innovazione era interno alla stessa Dc, in
realtà. Mai scelte radicali, anche nell’operato tendenzialmente negoziale di Moro. 1964: scissione socialista
e nascita del Psiup; nel Psi, comunque, restavano due linee diverse: una faceva capo a Lombardi (voleva
riforme di “struttura”), l’altra a Nenni (voleva unirsi al Psdi, unione che sarebbe durata appena un paio di
anni). 1964: morte di Togliatti  memoriale di Yalta: indipendenza da Mosca e proseguimento della
originale “via italiana al socialismo”; nonostante ampi consensi, il Pci era isolato politicamente, anche
quando contribuì all’elezione a presidente della Repubblica di Saragat. Centro-sinistra sarebbe durato per
un bel po’.
28.4 Il ’68 e l’autunno caldo. Fine anni ’60: radicalizzazione scontro sociale, iniziato con la contestazione
studentesca e l’occupazione di alcune università. Accanto agli elementi classici (es anti-imperialismo), la
contestazione studentesca italiana ebbe una forte componente marxista e rivoluzionaria, che quindi
sempre di più era ostile alla società borghese e sempre più si collegava per combattere le sue battaglie alla
classe operaia. Cambiarono i comportamenti, che si ripercossero sulla famiglia e sui rapporti tra sessi. Tra
’68 e ’70 nacquero numerosi movimenti extraparlamentari di ispirazione operista e maoista in alcuni casi
(es. Potere operaio, Lotta continua e Unione dei marxisti-leninisti). 1969: lotte dei lavoratori in vista dei
rinnovi contrattuali, culminate nell’autunno caldo; protagonista fu l’operaio massa (immigrato, poco
qualificato, a disagio nell’inserirsi), adozione dell’assemblea come momento decisionale  Cgil, Cisl e Uil
riuscirono a pilotare le lotte e ad ottenere ingenti aumenti salariali (18%). Si avvicinarono una all’altra,
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dando il via ad una stagione di nuovo peso dei sindacati nella politica italiana: trattative dirette con il
governo su molti temi anche non del lavoro, e invasione del campo d’azione dei partiti. La classe dirigente
fu incerta nel rispondere ai sommovimenti del ’68-’69, ma furono approvato ugualmente leggi molto
importanti: l’istituzione delle regioni e successivamente del divorzio.
28.5 La crisi del centro-sinistra. Crisi del paese nei primi anni ’70, instabilità politica e terrorismo. 12
dicembre 1969: strage di piazza Fontana  si seguiva una “pista anarchica”, ma la sinistra vedeva una
matrice estremista di destra nell’attentato. Si parlò di “strategia della tensione” portata avanti dalla destra
per incrinare le basi dello Stato democratico. Estate ’70: Reggio Calabria esasperata per non essere
diventata capoluogo insorse, in pratica guidata dall’Msi. Contrasti nella maggioranza: la Dc si appoggiava
sulla “maggioranza silenziosa” spaventata dalle agitazioni operaie e voleva spostarsi a destra; i socialisti
invece preferivano un graduale coinvolgimento comunista negli affari di governo. Elezioni anticipate, 1972:
né governo centrista di Giulio Andreotti (’72-’73), né quelli di centro-sinistra di Rumor (’73-’74) riuscirono a
fare scelte di ampio respiro e a superare la negativa congiuntura economica, che si tramutò in catastrofe
nel 1973 con la crisi petrolifera. In più, scandali politico-finanziari, di corruzione  frattura tra società
politica e società civile. Gli italiani traditi sul politico si trasferirono sui diritti civili  divorzio venne
mantenuto con il referendum abrogativo voluto dai cattolici. Mutamenti della società, donna come uomo
 equiparazione dei coniugi nel diritto di famiglia (1975). 1978: dopo aspro dibattito, aborto. Forze del
cambiamento parvero in crescita  il Pci di Enrico Berlinguer volle un compromesso storico, alleanza
duratura con socialisti e cattolici per allargare base sociale e facilitare il riformismo. Quindi stabilì contatti
con i comunisti spagnoli e francesi  eurocomunismo, diverso da quello sovietico. Carattere rassicurante
del Pci  successi elettorali a livello regionale e locale, molte giunte comuniste  dissensi tra Dc e Psi.
Ritiro socialista portò a elezioni anticipate nel 1976: crescita del Pci fino al 34,4%, rimonta Dc e sconfitta Psi
 ascesa autonomista Craxi.
28.6 Il terrorismo e la solidarietà nazionale. Unica soluzione? Coinvolgimento Pci nella maggioranza 
governo Andreotti delle astensioni dei partiti in Parlamento  era la risposta governativa alla crisi
economica e all’emergenza terroristica, tanto di destra quanto di sinistra. Terrorismo nero: attentati
dinamitardi indiscriminati, per creare il panico e favorire una svolta autoritaria  piazza della Loggia a
Brescia nel 1974 e attentato alla stazione di Bologna nel 1980. Il potere politico fu incapace di indirizzare
correttamente le indagini e scoprire come fermare il terrorismo nero. Stato debole, terrore di un colpo di
Stato, terrorismo di destra e corruzione politica  terrorismo rosso, di sinistra. Lotta armata e clandestinità
erano considerate eccezionali scelte di vita  mobilitazione operaia contro il capitalismo. Dopo qualche
attentato incendiario, le Brigate rosse iniziarono con i rapimenti e gli assassinii programmati. Sopraggiunse
anche la crisi economica nel 1975, con inflazione altissima e la piaga della disoccupazione giovanile 
ondata di protesta, anche armata, nel 1977, da parte degli studenti. Nessun esito  impennata del
terrorismo rosso. Centinaia di attentati tra 1978 e 1980. 1978: più ambizioso progetto delle Brigate rosse
 sequestro di Aldo Moro, presidente della Dc. 55 giorni di prigionia, quindi l’assassinio. Cadavere ritrovato
in una via del centro romano. Fu l’apogeo ma insieme l’inizio del declino del terrorismo rosso, che già nel
1980 incassò le prime sconfitte. Il governo di solidarietà nazionale, ideato da Moro, iniziò la politica
dell’austerità per migliorare le condizioni economiche del Paese: qualche miglioramento ci fu, ma
mancarono le riforme. L’equo canone (per calmierare gli affitti) e la riforma sanitaria furono dei fallimenti.
La solidarietà nazionale fu una amara delusione, anche con l’ingresso del Pci al governo: non riuscì in molto,
e continuò ad essere sconvolta da scandali, che arrivarono a toccare persino il Quirinale  dimissioni di
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Leone nel giugno 1978 ed elezione di Sandro Pertini, socialista. Psi insofferenti dei vincoli e puntato verso i
partiti del centro, mentre con l’uscita del Pci dalla coalizione la solidarietà nazionale finì miseramente.
28.7 Politica, economia e società negli anni ’80. Elezioni del 1979 e anticipate del 1983: il Pci perse terreno,
il Psi raccolse risultati deludenti (non sarebbe stato il perno della politica italiana) e la Dc subì una netta
sconfitta. Unica strada praticabile? Coalizione di centro-sinistra  pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi, Partito
liberale), ma la novità fu che la guida del governo andò nell’’81-’81 al segretario repubblicano Giovanni
Spadolini, dall’’83 al socialista Bettino Craxi  Italia più presente a livello intl e nuovo concordato con la
Chiesa, nel 1984. Ciriaco De Mita cercò di rinnovare internamente la Dc, ridandole credibilità. In generale,
tutti i partiti maggiori erano in crisi, anche il Pci che dopo il sorpasso della Dc alle elezioni europee del 1984
tornò sotto il 30% l’anno successivo. I sindacati furono sconfitti nella vertenza contro la Fiat, che riuscì a
portare avanti la sua razionalizzazione produttiva  ruolo politico dei sindacati ridimensionato. Craxi tagliò
alcuni punti della scala mobile, nell’ambito della sua lotta all’inflazione  scontri sul costo del lavoro.
Problema della spesa pubblica si inserì nel generale clima di sfiducia e abbandono del Welfare State, e la
denuncia dell’assistenzialismo statale. A partire dal 1984 l’economia italiana diede segni di ripresa anche
grazie al rinnovamento tecnologico di alcuni settori industriali, che comunque ebbe ripercussioni sulla
collettività (disoccupazione – cassa integrazione guadagni). Il sistema economico italiano era estremamente
vitale, a causa soprattutto della crescita dell’economia sommersa, quella miriade di piccole imprese con
bassi costi e alta adattabilità e produttività. Terziario in espansione, clima generale di ottimismo e risveglio,
subito rallentato da nuovi scandali politici, come quello della Loggia P2 (branca segreta della massoneria
che puntava ad una ristrutturazione autoritaria dello Stato e con molti legami con politici di quegli anni). La
malavita organizzata prosperava, e la mafia arrivò persino a perpetrare attentati terroristici inizialmente
attribuiti alla destra estrema (treno Firenze-Bologna, 1984). La lotta contro il terrorismo rosso invece fece
notevoli passi avanti, quando i cosiddetti pentiti decisero di denunciare i compagni e collaborare con lo
Stato  dal 1981 in avanti gli attentati cominciarono a diminuire e i gruppi clandestini cessarono di
esistere.
28.8 Le difficoltà del sistema politico. Le disfunzioni del sistema italiano richiedevano una riforma
istituzionale. Luglio 1985: Francesco Cossiga presidente. Difficoltà del pentapartito (in realtà contrasti PsiDc) portarono al crollo del lungo governo Craxi e alle elezioni anticipate del 1987  Psi e Dc crebbero, Pci
scese, ma la cosa importante è che apparvero nuovi gruppi, i Verdi e Leghe regionali (antimeridionalisti
xenofobi). Si riuscì a costituire una maggioranza a fatica  governi Goria e De Mita, non fecero
assolutamente nulla degno di noto, non risanarono le finanze e non riformarono le istituzioni  nuovo
segretario Dc, Forlani, e non più De Mita, che nel maggio 1989 fu anche costretto a lasciare il governo. Crisi
risolta in luglio con la ricostituzione del pentapartito e un governo Andreotti, che tuttavia dovette
affrontare una crisi di maggioranza, che vide l’uscita dei repubblicani dalla coalizione (1991). I limiti
strutturali del sistema politico italiano iniziarono a venire a galla, ma furono elementi esterni al sistema a
causare la crisi della prima repubblica.
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29. La società post-industriale.
29.1 I limiti dello sviluppo. Gli shock petroliferi dei primi anni ’70 fecero scattare nei Paesi industrializzati
degli interrogativi sui limiti dello sviluppo economico e sulla distruzione delle risorse da esso operata. Iniziò
il dibattito ecologico e la ricerca di fonti alternative (il nucleare sarebbe notevole, ma non è accettato
perché considerato pericoloso, specie dopo Chernobyl, 1986). Si diffusero i movimenti ambientalisti (o
verdi), si arrivò anche al risparmio energetico. Ma naturalmente una volta tornato ad abbassarsi il prezzo
del greggio, la crisi si è ridimensionata. Tuttavia si è iniziato a parlare di sviluppo sostenibile.
29.2 La rivoluzione elettronica. Ultimi anni del secolo sono stati interessati da notevoli trasformazioni
nell’economia, in particolare nell’ambito delle scienze elettroniche (grande impulso ebbero la robotica, la
cibernetica, la telematica e ovviamente l’informatica). I computer furono la parte più rivoluzionaria di
questa nuova espansione tecnologica: macchine in grado di riprodurre i meccanismo di funzionamento del
cervello umano e di compiere altre azioni mai viste prima (evoluzione affascinante: dal relais alla valvola al
transistor + circuito integrato). Gli effetti sono stati rilevanti anche sui consumi e sulla quotidianità della
gente: Internet.
29.3 Società post-industriale e globalizzazione. Tali sviluppi tecnologici hanno dato un impulso al passaggio
alla società “post-industriale”, caratterizzata dalla prevalenza del settore terziario sugli altri (non solo
settore dei servizi, ma anche impieghi precari e sottopagati, i macjobs), dalla fine della centralità della
fabbrica (si è parlato di postfordismo, per indicare i mutati metodi produttivi, ma anche il ritorno alla
differenziazione dei consumi), dal ruolo crescente dell’informazione. Nuovi tipi di contrasti sociali, ad
esempio quelli generazionali. Le comunicazioni in tempo reale e l’uso diffuso dell’inglese hanno spinto
verso l’integrazione economica e finanziaria a livello planetario  globalizzazione. Ad essa una grande
accelerazione l’ha data l’ingresso della Cina nel Wto nel 2001. Decentramento produttivo  forme di
sfruttamento. Occhio alla globalizzazione.
29.4 La geografia della povertà. Sebbene molti paesi del Terzo Mondo abbiano vissuto e stiano vivendo
una crescita notevole e importanti mutamenti (NIEs o i produttori di petrolio), il gap tra paesi ricchi e poveri
si continua ad allargare. La situazione peggiore e apparentamente senza speranza è quella dell’Africa, dove
in alcuni paesi si sono consumate delle vere e proprie tragedie della fame, e in alcuni ci si è messo anche
l’Aids. Urbanizzazione indiscriminata, esplosione demografica, fallimento dell’industrializzazione, crisi
agricola sono elementi comuni, ai quali si aggiunge il problema del debito estero, che non fa che peggiorare
ulteriormente la situazione di queste Nazioni. Alla fine degli anni Novanta si sono iniziati a diffondere dei
movimenti di opposizione alla globalizzazione, i “no global”, nati come “popolo di Seattle”.
29.5 Le tendenze demografiche. A fine secolo, la popolazione del mondo ha continuato a crescere, ma si
può vedere un certo rallentamento della crescita, anche nelle zone povere. In certi casi il rallentamento è
dovuto a certe politiche demografiche (Cina e India), ma più spesso la causa va cercata nei fattori
spontanei, come l’elevato livello di benessere. Europa occidentale abbiamo il problema pressante della
“crescita zero”, che aumentando il numero degli anziani crea problemi enormi al sistema pensionistico e al
Welfare.
29.6 Le migrazioni e la società multietnica. I divari economici tra Nord e Sud del mondo e la facilità delle
comunicazioni e dei trasporti  flussi migratori verso le zone ricche in aumento. Se da un lato questo sta
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provocando il formarsi di società multietniche, composta di tante culture che convivono, dall’altra ad
atteggiamenti di chiusura verso il “diverso”, di difesa delle tradizioni locali e nazionali. In crisi oggi è la
concezione ottocentesca di Stato nazionale, come entità sovrana e compatta al suo interno.
29.7 Religione e società contemporanea. La società è cambiata, ma le confessioni religiose sono ancora
presenti e anzi hanno un ruolo fortissimo, specialmente cristianesimo e Islam. Con il pontificato di Giovanni
Paolo II la Chiesa cattolica si è rilanciata mondialmente (attivismo e viaggi di Wojtyla). In Islam, e in altre
religioni, invece, si sono fatte largo minoranze integraliste, o fondamentaliste. I più pessimisti prevedono un
vero “scontro tra civiltà”.
29.8 Medicina e bioetica. I progressi della medicina ci sono stati (diagnostica, ad esempio, ma anche
ingegneria genetica), in compenso però sono nate nuove malattie  Aids. I passi avanti della medicina e
della genetica hanno aperto nuovi problemi nei rapporti tra scienza ed etica. Episodi come la “mucca
pazza” o addirittura la pecora Dolly nel 1997 danno da pensare. I limiti degli interventi sulla natura e sulla
vita sono gli oggetti di riflessione della bioetica.
30. Il mondo contemporaneo.
30.1 Nuovi equilibri e nuovi conflitti. 1989-1991: equilibri mondiali sconvolti. La caduta dell’Unione
sovietica lasciò un vuoto enorme, e nel nuovo assetto internazionale si inserì una ripresa dei movimenti
nazionalisti. Si apriva la possibilità di una miriade di conflitti locali, ma non solo; nuove enormi
contrapposizioni, come: Nord ricco vs. Sud povero; Occidente vs. Islam. USA non vogliono o possono far
carico di tutto il mondo  numerosi interventi ONU.
30.2 La fine dell’Unione Sovietica. Evento centrale di questa fase fu senza dubbio la crisi e poi il crollo
dell’URSS, più grande compagine multietnica della storia. La progressiva disgregazione partita con le
riforme di Gorbačëv accelerò in concomitanza con la crisi economica del 1990-91 e dopo un colpo di stato
fallito nel 1991, ad opera di alcuni rappresentanti del vecchio regime. Il presidente sovietico venne
sequestrato, ma la resistenza popolare guidata da Eltsin fece fallire il golpe e lo liberò  Eltsin si propose
quindi come vero detentore del potere, mentre le repubbliche proclamavano una dopo l’altra la loro
indipendenza da Mosca (Georgia, Moldavia, persino Ucraina). 21 dic 1991: ad Alma Alta i rappresentanti di
11 repubbliche diedero vita alla CSI, Comunità degli Stati indipendenti, preferita alla proposta di Gorbačëv
per mantenere URSS, che invece cessava di esistere. A Natale Gorbačëv diede le dimissioni.
30.3 La nuova Russia. La Federazione russa, sotto la guida di Eltsin, cercò di conservare il ruolo egemone
che era stato dell’URSS, appoggiata dalla comunità internazionale. Problema degli armamenti atomici. CSI
non riusciva a controllare situazioni troppo complesse di lotte interetniche e inter-religiose. La grave crisi
economica e l’instabilità politica rischiarono di gettare la Russia nella guerra civile: inflazione alle stelle e
tentativo di Eltsin di far passare in fretta la Russia all’economia di mercato. Ma era una transizione
difficilissima, che richiedeva parecchio tempo. Lo scontro tra Eltsin e il Parlamento era inevitabile, c’era
conflitto sull’attribuzione dei poteri: scontro aperto nel 1993  vinto da Eltsin che espugnò la Duma e fece
varare una costituzione fortemente presidenziale. Dicembre 1994: per non lasciar posto ai nazionalisti,
Eltsin attaccò la Cecenia, ma l’intervento si trasformò in un lungo e logorante conflitto con i separatisti che
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dimostrò quanto inefficiente fosse la macchina militare russa. Nonostante l’avanzata neocomunista, Eltsin
riuscì a farsi confermare alle elezioni del 1996. Nell’agosto fu raggiunto un accordo con i ceceni. Instabilità
politica e crisi economica terribile (malavita e niente al popolo, capitalismo speculativo) attanagliavano la
Russia, che nel 1999 riprese la guerra contro la Cecenia. Nuovo governo presieduto da uno sconosciuto,
Vladimir Putin, che con le elezioni del 2000 divenne presidente  parziale stabilizzazione. La sua politica
estera vide da un lato un fermo tentativo di egemonia sulle ex repubbliche sovietiche, dall’altro un
riavvicinamento all’Occidente e alla Nato, anche riguardo il comune problema del terrorismo. Terrorismo
ceceno: teatro a Mosca (2002) e strage di Beslan (2004).
30.4 L’Europa orientale e la crisi jugoslava. Negli anni ’90 l’Europa ex comunista attraversò momenti
difficili dal punto di vista economico e politico: passaggio all’economia di mercato non era facile per
nessuno. Quasi ovunque vi fu un ritorno dei comunisti al potere, anche se i programmi e i nomi erano
cambiati. La Cecoslovacchia nel 1992 si divise in due repubbliche: quella ceca (Boemia e Moravia, con
governo liberale) e quella slovacca (con governo ex comunista). La Jugoslavia si divise in diversi Stati
(Federazione jugoslava, comprendente Serbia e Montenegro, Croazia, Slovenia, Bosnia e Macedonia) e, dal
1991, fu teatro di una spietata guerra tra le nazionalità: particolarmente violento fu il conflitto etnico in
Bosnia, portati avanti dai serbi, che prostrò terribilmente la popolazione civile (soprattutto quella di
Sarajevo). Il conflitto si concluse solo nel 1995, dopo l’intervento militare della Nato  accordi di Dayton.
1998: scoppio della crisi del Kosovo, Uck vs. serbi  altro intervento Nato, finchè Miloševid non cedette e si
ritirò dalla regione nel 1999. Avrebbe retto ancora un annetto, quando le elezioni decretarono la vittoria di
Kostunica. Slobo tentò di contestare, ma una rivoluzione pacifica a Belgrado lo depose.
30.5 Guerra e pace in Medio Oriente. L’invasione del Kuwait da parte di Saddam provocò l’attacco all’Iraq
della coalizione internazionale che agì sotto l’egida dell’ONU e la guida USA. La sconfitta dell’Iraq rilanciò il
processo di pace in Medio Oriente, che portò nel 1993 ad un primo accordo tra Israele e l’Olp (siglato a
Washington tra Rabin, leader laburista supportato da Shimon Peres, e Arafat, sotto gli auspici di Clinton).
1995: assassinio di Rabin  acutizzarsi della crisi, avanzata dei nazionalisti e successiva vittoria diel Likud di
Benjamin Netanyahu. Inoltre aumentavano in continuazione attentati suicidid da parte palestinese
(Hamas). Altro accordo, il processo di pace continuò anche con Barak, laburista salito al potere nel 1999.
Per un pelo Clinton non riuscì a portare a compimento il processo di pace in MO, e la passeggiata di Ariel
Sharon sulla spianata delle Moschee di Gerusalemme infiammò gli animi palestinesi  seconda intifada 
attentati sempre più numerosi e cruenti causarono terrore tra gli israeliani, che reagirono eleggendo nel
2001 il leader della destra, Sharon appunto. Sarà arteficie del deprecato muro, ma anche del ritiro
unilaterale. Arafat muore nel 2004. Ora in Israele c’è Olmert.
30.6 Gli Stati Uniti e i problemi dell’egemonia mondiale. America a disagio per il nuovo ruolo egemone e
in crisi economica  sconfitta di George Bush nel 1992, nonostante i suoi successi in politica intl. Elezione
di Bill Clinton, che dopo le incertezze iniziali (politica estera “progressista” con scarsissimi risultati)
accumulò popolarità anche grazie all’economia in fortissima ripresa, rivincendo le elezioni nel 1996. Gli
scandali del suo secondo mandato (Lewinsky) in realtà non compromisero la sua popolarità interna. Elezioni
2000: vittoria di Bush jr. probabilmente finta. Tendenzialmente in politica estera egli avrebbe preferito
concentrarsi su difesa in un’ottica isolazionista, ma gli accadimenti dell’11 settembre non glielo impedirono
(sì, vabbeh!!).
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30.7 Verso l’unità europea. La storia dell’Europa occidentale negli anni ’90 fu in gran parte dominata dalla
scelta di accelerare il processo di unificazione. Il trattato di Maasticht del 1992, che dava vita all’Unione
europea, propose il traguardo della moneta unica per il 2001 e stabilì una serie di condizioni economiche
per accedervi (parametri). Il cammino verso l’Unione monetaria, inaugurata nel 1998, condizionò anche le
vicende politiche dei singoli Stati: a un’iniziale prevalenza della forze moderate (Kohl, Jacques Chirac e Josè
Marìa Aznar, nel 1996) fecero seguito i successi della sinistra in Italia, Inghilterra, Francia e Germania (Tony
Blair, Jospin nel 1997e Gerhard Schröder nel 1998). Realtà mossa e variegata, perché nel 2001 in Italia vinse
Berlusconi, mentre ad esempio in Spagna nel 2004 tornarono i socialisti, con Zapatero. I problemi degli stati
europei sono comunque ormai comuni (Welfare, economia, immigrazione… allargamento). Costituzione
ferma per Francia e Olanda. Difficile cammino quello dell’Unione Europea.
30.8 L’America Latina: stabilizzazione e crisi. Intergrazione anche fuori dall’Europa  NAFTA e Mercosur,
ad esempio. Essa era però frenata in AmLat dall’instabilità economica, che si cercò in molti casi di superare:
Argentina di Menem, Brasile di Cardoso, Messico (che vide uno sviluppo notevole accanto alle tensioni
sociali legate agli zapatisti del Chiapas). Ma le difficoltà finanziarie per i paesi sudamericani rimasero: in
Brasile la crisi fu attutita bene, e divenne presidente Inàcio Lula de Silva, mentre l’Argentina di Fernando de
La Rua entrò in una spaventosa bancarotta. Fine 2001: governo dichiarò insolvenza  proteste, de La Rua a
casa  elezioni 2003, Nestor Kirchner presidente. 1999: il populista Hugo Chavez vinse in Venezuela,
mentre in Perù furono i progressisti di Toledo a prendere il potere. Messico, 2000: fine dell’egemonia del
Partito rivoluzionario istituzionale, durata settant’anni  Vicente Fox.
30.9 Il dramma dell’Africa. I problemi della povertà e del sottosviluppo ebbero manifestazioni drammatiche
soprattutto in Africa, dove reano aggravati da una serie di guerre civili (Angola, Etiopia, Somalia, Liberia, ma
soprattutto Ruanda – hutu/tutsi - e Congo – dopo Mobutu, Kabila), dietro le quali naturalmente ci sono
interessi altri, ben diversi. In Sudafrica il PM de Klerk (1980) aprì negoziati con Nelson Mandela, leader
dell’African National Congress  fine del regime dell’apartheid. Neri pacificamente al potere; problemi non
risolti, ma Sudafrica è democratico e stabile ora.
30.10 Il ruolo dell’Asia. Quasi tutti i Paesi asiatici a fine ‘900 registrarono una crescita economica notevole,
in particolare quelli del Sudest asiatico (Malaysia, Singapore, Hong Kong…), che seguirono il modello del
Giappone, che eppure in quel periodo smise di crescere ed entrò in recessione, a causa dei problemi che
colpirono il trainante sistema bancario. Anche politicamente iniziò a venire meno la stabilità, che invece sta
tentando di garantire dal 2001 Junichiro Koizumi, dell’ala progressita e modernizzatrice. Cina crebbe a ritmi
spaventosi ed ebbe un grande sviluppo, pur nella permanenza del monopolio politico dei comunisti (dal
1997 due presidenti, Jiang Zemin e Hu Jintao)  annessione nel 1997 di Hong Kong e nel 1999 di Macao.
L’Occidente continua a chiudere un occhio su quanto fa la Cina (es. repressione in Tibet), non tanto per
interesse economico, quanto per paura che una repentina democratizzazione possa distruggere il sistema
economico cinese, così com’era successo a quello sovietico. In tutti i paesi del continente, comunque, con
l’eccezione dell’India, la democrazia stenta ad affermarsi (Myanmar, Pakistan, Indonesia e Filippine). Il
modello asiatico è stato messo in discussione dalla crisi del 1997-98, salvata dagli organi economici intl.
30.11 L’integralismo islamico. Le correnti integraliste si diffusero in tutto il mondo islamico e trovarono una
base in Afghanistan sotto il regime dei talebani, i guerriglieri che sostenuti dall’America aveva vinto
l’occupazione sovietica del Paese. Sono stati toccati dal fenomeno integralista anche paesi di tradizione
laica, come la Turchia (vittoria nel 1995 del Refah, e nel 2002 di “Giustizia e Sviluppo” di Erdogan) e Algeria
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(Fronte Islamico di Salvezza vinse le elezioni, ma fu contestato dai governanti nel 1992  rivolte che
nemmeno l’iniziativa del presidente Bouteflika riuscirono a sedare  massacri.
30.12 Terrorismo e crisi internazionale. 9/11: clamorosa attentato  l’intero Occidente ne fu sconvolto. La
reazione degli Stati Uniti e dei loro alleati si indirizzò contro l’Afghanistan, che ospitava il presunto capo
della rete terroristica di al-Qaeda, Osama bin Laden: l’oppressivo regime dei talebani fu spazzato via dai
bombardamenti americani e dall’offensiva delle forze d’opposizione (l’Alleanza del Nord)  nuovo governo
fu instaurato a Kabul alla fine del 2001, con a capo Hamid Karzai.
30.13 La guerra all’Iraq. Dopo i talebani, gli Stati Uniti rivolsero la loro attenzione all’Iraq di Saddam
Hussein, accusato di nascondere armi di distruzione di massa. Dopo un infruttuoso negoziato tra ONU e
Iraq, USA e UK cominciarono a preparare un’operazione militare. Su questa decisione la comunità
internazionale si divise: USA, UK e Spagna determinati all’uso della forza da una parte; Francia, Germania,
Russia, Cina e Stati arabi, favorevoli ad una soluzione diplomatica dall’altra. Il 20 marzo 2003 i primi missili
statunitensi colpirono Baghdad. Nei giorni successivi le truppe anglo-americane iniziarono ad avanzare in
Iraq. La resistenza dell’esercito iracheno fu debole: Saddam Hussein fuggì e il regime si sfaldò all’istante, ma
la pacificazione del paese continua ad essere lenta e difficile. Continua a colpire il terrorismo
internazionale, intanto: Madrid, 11 marzo 2004; Londra, 7 luglio 2005.
31. La seconda repubblica in Italia.
31.1 La crisi del sistema politico. Il periodo dal 1992-94 in avanti prende il nome di seconda repubblica; i
mutamenti internazionali si ripercossero anche sull’Italia, dove era presente un disagio latente, tanto nella
gente quanto nelle istituzioni. Un problema era sicuramente l’immigrazione clandestina, cui la classe
dirigente non seppe rispondere adeguatamente. La crescita produttiva si interruppe nel 1990: deficit e
inflazione alle stelle, calo nella competitività  Stato si indebitava emettendo titoli. Altro problema era la
violenta offensiva della criminalità organizzata in quegli anni, specie al Sud, dove la mafia deteneva un vero
e proprio controllo sul territorio. Mutamenti URSS  Achille Occhetto trasformò il Pci in Pds, Partito
democratico della sinistra, nel 1991. Esso vide anzitutto il distacco dell’ala più legata al vecchio Pci,
Rifondazione comunista, e non riuscì a raccogliere attorno a sé la sinistra italiana. Sul versante opposto, una
accesa polemica “nordista” generò la Lega lombarda. Questi movimenti esasperavano la frammentazione
parlamentare. Anche per questo molti parlarono di una riforma elettorale che desse più stabilità
all’esecutivo, ma non si trovò un accordo. Il dibattito restò acceso, però, anche in risposta allo schiacciante
successo di un referendum abrogativo, voluto da Mario Segni, che dimostrò la portata della protesta contro
il sistema. Lo stesso capo dello Stato, Cossiga, iniziò a fare polemiche accese con singole forze politiche, ma
anche con altri organi dello Stato. Dichiarò di voler contribuire a cambiare il sistema. Le elezioni del 5-6
aprile 1992 videro la sconfitta di Dc, Pds, Psi e le vere vincitrici in quelle forze nuove, di fatto antisistema,
come la Lega Nord, di Bossi, i Verdi e la Rete. Un Parlamento frazionatissimo si trovò dunque a dover
governare in un Paese che voleva cambiamento  si trovò un accordo sul presidente della Repubblica nella
persona di Oscar Luigi Scalfaro, uomo di alta levatura morale che rappresentasse il positivo di una classe
politica screditata dall’avvento di “Tangentopoli”. Scandalo di finanziamenti illegali ai partiti e
autofinanziamenti, tangenti e corruzione  fenomeno non nuovo, che dimostrava l’immobilismo dei
partiti. Come se non bastasse si aggiunse anche la recrudescenza dell’offensiva mafiosa contro lo Stato: 23
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maggio 1992, attentato e uccisione di Giovanni Falcone, e il 19 luglio di Paolo Borsellino, due magistrati in
prima fila nella lotta contro la mafia, che avrebbero guidato (prima uno poi l’altro) una superprocura
antimafia di recente istituzione. Il nuovo governo avrebbe avuto il suo da fare in un’Italia così a pezzi 
caduta la candidatura di Craxi, coinvolto negli scandali, il presidente scelse un altro socialista, Giuliano
Amato. Lira in crisi. Il governo tagliò le spese e alzò le tasse.
31.2 Una difficile transizione. Il Parlamento non riusciva a risolvere il problema delle riforme istituzionali:
numerose pressioni giungevano perché si modificasse la legge elettorale in senso maggioritario, sistema
che limita da sempre l’ingerenza partitica. Disaccordo  referendum abrogativo del 18 aprile 1993 
sistema uninominale maggioritario al Senato, insieme ad altri sette referendum  sconfitta dei partiti, che
persero quel giorno anche il finanziamento pubblico. Del resto molti leader e membri di partiti, soprattutto
maggioritari, erano in quel periodo stati raggiunti da avvisi di garanzia (da La Malfa a Craxi, da Altissimo a
Forlani e Andreotti); non c’era più fiducia. Dopo il referendum Amato si dimise  il governatore della
Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, venne chiamato a formare un governo. Ci riuscì dopo alcune difficoltà
iniziali. Conferma dei nuovi equilibri politici nelle elezioni comunali del giugno 1993, le prime ad elezione
diretta del sindaco  avanzata leghista al Nord (sindaco a Milano), del Pds al Centro e al Sud. Primi di
agosto: approvazione delle leggi elettorali per la Camera e il Senato  maggioritario uninominale + 25% di
seggi attribuiti con il proporzionale. Ciampi non aveva una maggioranza forte  le iniziative governative
trovarono le opposizioni di alcuni gruppi sociali, proprio quando riprendevano a colpire gravissimi atti di
terrorismo.
31.3 L’avvio del bipolarismo. Dall’estate ’93 molte forze politiche volevano elezioni, altre non le volevano,
perché in fase di trasformazione ed epurazione dopo la scandalo Tangentopoli. Opinione pubblica voleva
comunque andare alle urne. Molti dei partiti di maggioranza cercarono di rinovarsi: Psi con scarsi risultati,
la Dc tornò al vecchio nome di Partito popolare italiano (gennaio 1994), dal quale si staccò l’ala più di
destra, fondando il Ccd, Centro cristiano democratico. L’Msi si trasformò ad opera di Gianfranco Fini in
Alleanza nazionale (gennaio 1995). Maggiore novità: ingresso in politica dell’imprenditore televisivo Silvio
Berlusconi. Si poneva come arginatore delle sinistre e come leader in grado di tenere legato il centrodestra. Era molto popolare. Fondò un suo movimento, Forza Italia, e si alleò con la Lega e con Alleanza
nazionale. All’opposizione, nel cartello dei Progressisti, si coagulavano tutte le forze di sinistra. Nelle
elezioni del marzo 1994 il Polo delle libertà di Berlusconi vinceva e otteneva maggioranza alla Camera, ma
non al Senato. La Lega prese più del Berlusca però. Questi vinse grazie alle sue televisioni, ma anche per la
sua capacità comunicativa. Quelle elezioni sembrarono suggerire l’instaurazione di un sistema di
alternarnanza, detto bipolarismo. Senza contare il discorso sul conflitto di interessi, il governo Berlusconi si
trovò davanti una situazione molto complessa e una maggioranza estremamente instabile  dicembre
1994, dimissioni di Berlusconi  governo Dini, di tecnici, per superare il momento difficile (in realtà resto
oltre un anno, portando a compimento, tra l’altro, la riforma pensionistica). Già a febbraio 1995 attorno a
Romano Prodi si stava raccogliendo una formazione piuttosto ampia di centro-sinistra, l’Ulivo. Antagonista
di Silvio. Le elezioni regionali sembrarono favorire la sinistra, referendum sulle reti televisive possedibili da
un privato favorì Silvio. Si tentò di temporeggiare prima di arrivare alle elezioni per rafforzare le coalizioni
(Lega aveva abbandonato la destra per Dini, era sempre più antisistema). Inizio 1996, fine governo Dini. 21
aprile 1996: elezioni vinte dall’Ulivo, che aveva l’appoggio di Rifondazione comunista in cambio di sostegno
in alcuni collegi, la Lega aveva corso da sola. Pds di D’Alema > Forza Italia. Il successo leghista radicalizzò gli
atteggiamenti di Bossi. Governo Prodi, grossi problemi di stabilità e da risolvere nella guida del Paese.
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31.4 L’Italia nell’Unione europea. Maggio 1998, Italia riuscì ad entrare nell’Unione monetaria europea,
avendo portato il deficit/PIL sotto il 3%. Le revisione del “Welfare State”, con il problema della previdenza e
dele pensioni, non riuscì ad andare in porto, perché incontrò troppe resistenze di quanti sostenevano
questo o quel gruppo, e non volevano scontentarlo. Problemi della giustizia: inchieste di Tangentopoli era
tutt’altro che finite. Contrasti tra magistratura e politici, tra l’altra con il coinvolgimento di Silvio in alcune
inchieste. Commissione bicamerale, ideata da D’Alema e Berlusconi, per delineare un progetto di riforme
istituzionali. Nel corso del 1997 essa definì una serie di modifiche costituzionali volte ad instaurare un
sistema semi-presidenziale con elementi di federalismo  tutto bloccato per le tensioni tra destra e
sinistra. Quello italiano è un bipolarismo imperfetto; all’inizio del 1998 restavano aperti i problemi legati
all’importanza delle forze politiche interne ai due cartelli, estremamente compositi, in un momento in cui le
spinte verso la creazione di una forza di centro erano notevoli. Ottobre 1998: Rifondazione negò la fiducia a
Prodi che si dovette dimettere  governo di Massimo D’Alema, sostenuto dall’Ulivo e da un’ala
intransigente di Rifondazione, il Partito dei comunisti italiani di Cossutta. Pds  Ds. Le difficoltà del centrosinistra stavano, si sa, nella frammentazione interna che bloccava ogni procedimento politico. I referendum
sull’abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera non raggiunsero il quorum, né nel
1999 né nel 2000. I successi elettorali del centro-destra, a livello europeo e a livello comunale (con
l’elezione di Guazzaloca del polo a sindaco di Bologna!!!) indebolirono ulteriormente il centro-sinistra. Il
consenso tra i due schieramenti non portò alle sperate riforme, ma si manifestò nell’elezione di Ciampi a
presidente della Repubblica (maggio 1999) e nel sostegno alla missione in Kosovo. Vocazione europea
dell’Italia era chiara. Sotto il peso della sconfitta delle regionali del 2000 dimissioni di D’Alema e avvento di
Amato. Principale realizzazione fu senza dubbio la riforma federalista del 2001, che dava autonomia
maggiore agli enti locali. Italia spinta verso UE, ma i suoi problemi interni di esecutivo debole e governi
instabili rimanevano.
31.5 La società italiana alle soglie del nuovo secolo. Le trasformazioni in atto nel nostro Paese si possono
studiare attraverso i comportamenti demografici: spiccata denatalità e invecchiamento della popolazione.
Siamo tra i più vecchi del mondo. Famiglia subisce trasformazioni, con un numero sempre più alto di
singles. L’omologazione dei costumi non riesce a nascondere differenze sociali notevoli, basate soprattutto
sulla disuguaglianza dei redditi (conflittualità sociale: i ceti medi tutelano i loro privilegi) e dei livelli culturali
(inefficienza sistema formativo). L’Italia soffre di un deficit di etica pubblica (disprezzo delle regole).
31.6 Il centro-destra al governo. Berlusconi vs. Rutelli  Silvio riuscì a personalizzare le campagna
elettorale, facendo delle elezioni una sorta di referendum sulla sua persona. Casa delle libertà + AN +
minori + Lega vs. Ulivo + Margherita + Comunisti italiani + minori. Rifondazione fuori. 13 maggio 2001:
vittoria del centro-destra. Berlusconi ebbe gran successo al Sud; si presentò come colui che avrebbe
risollevato le sorti dell’Italia, che era stata sfasciata dalla sinistra. Dalle elezioni usciva un premier, che
veniva investito solo formalmente dal capo dello Stato. Subito grosse difficoltà con il G8 di Genova.
Conflitto di interessi e leggi ad personam. 9/11  appoggio italiano in Afghanistan, e in Iraq nel 2003.
Marco Biagi ucciso dalle Brigate rosse nel marzo 2003. “Girotondi” e immunità delle alte cariche dello Stato.
Problemi economici, difficoltà nel portare avanti quanto promesso. Ma tanto oggi se ne è andato a casa, e
questo è l’importante!!!!
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