Prima di definire cosa sia la musica celtica, è necessario dare un’interpretazione del termine “Celta”. L’origine del termine risale alla parola keltoi usata dagli antichi greci per intendere alcune tribù barbariche. Secondo la termologia moderna, “celtico” viene utilizzato in riferimento a un certo ramo del gruppo linguistico indo-europeo.Alcune tribù keltoi parlavano le lingue celtiche ma comunque non è certo che i greci applicassero questo termine solamente a tali tribù (in generale gli antichi greci davano poca considerazione a tutte le lingue che non fossero greche). Durante il primo millennio a.C. i popoli di lingua celtica occupavano una larga parte dell’Europa centrale che includeva la Francia, la Svizzera, l’Austria ed altre. A parte ciò che deriva dall’ archeologia, non si conosce molto di questi antichi celti ma la maggior parte delle fonti scritte provengono dai greci e dai romani i quali, comunque, erano loro nemici. Forse intorno al 300 prima di Cristo, la lingua celtica si è divisa in due rami, P-Celtic e Q-Celtic (celtico P e Q), definizione assunta a causa della mutazione del suono Q in P. Un esempio è dato dall’ irlandese moderno ceann ( “testa”) che corrisponde al gallese pen. In ogni caso dopo 2000 e più anni di storia particolarmente turbolenta, si ritrovano popolazioni di lingua celtica solamente nelle Isole Britanniche e nella parte occidentale della Francia. Esistono sei lingue celtiche: il celtico Q, rappresentato dall’irlandese, lo scozzese gaelico e il Manx, parlato rispettivamente in Irlanda, Scozia e Isola di Man. Il celtico P, invece, è rappresentato dal gallese, dal dialetto della Cornovaglia e dal bretone, parlati rispettivamente in Galles, Cornovaglia e Bretagna. Il dialetto della Cornovaglia, si è praticamente estinto nel XIX secolo, mentre gli anni settanta hanno visto la morte del celtico parlato nell’isola di Man, anche se ancora qualcuno è in grado di parlare tali lingue pur non come primo idioma. Le altre quattro lingue sono tutt’ora usate anche se insidiate da continue importazioni. Notevole diffusione popolare hanno avuto in questi anni il folk e la musica generalmente identificata come “ celtica”. Fra tutte le popolazioni storicamente e culturalmente legate all’influenza celtica, è evidente che le cornamuse, le arpe e i violini di oggi hanno in qualche modo a che fare con la musica degli antichi certi. Scarse sono le vestigia archeologiche, ma sufficienti per documentare l’esistenza di strumenti a fiato, identificati in flauti dritti singoli o doppi a tre fori, di lire ad arco con quattro o sei corde e le caratteristiche carnyx, sorta di trombe in bronzo alte circa un metro e mezzo, con il terminale a padiglione ricurvo che portava l’effige dell’animale sacro ai celti: il cinghiale. Molte di queste testimonianze archeologiche sono state trovate tanto nella Pianura Padana come in Scozia, ma è dai testi antichi di Diodoro Siculo che sappiamo dell’esistenza, durante le cerimonie rituali, di cantori e poeti che, nel mondo druidico venivano indicati come bardi. Una tradizione quella bardica, che si perpetuò nel tempo, ove più forte continuò l’influenza celtica, attraverso un’elaborata metrica poetica, spesso molto complessa e raffinata che raccontava le genealogie dei principali clan, la storia e le gesta di un popolo attraverso i suoi eroi e i suoi miti. Canti considerati spesso pericolosi dai conquistatori anglo-sassoni e non solo, tanto da sopprimere come in Irlanda all’inizio del ‘500, le associazioni di questi poeti cantori. La brutale repressione non risparmiò gli strumenti e le mani di chi li usava, come testimonia il triste periodo di Cromwell. A cavallo fra il secolo XVII e XVIII, in Irlanda come in altri paesi celtici, si assiste alla lenta agonia dell’aristocrazia di antica origine celtica e allo scomparire della musica di corte e dei suoi interpreti. Pochi sfuggiranno alla diaspora silenziosa, che solo la tradizione popolare riuscirà a fermare nei secoli successivi, conservando gli antichi argomenti della poetica bardica, che cresce così insieme alle modalità e ai suoni della gente comune, giungendo fino ai giorni nostri. È logico dunque individuare nella metrica poetica dei bardi l’aspetto centrale del canto dei popoli e della loro musica, che riuniscono, per una decina di giorni, da oltre 25 anni nella cittadina bretone di Lorient, le genti delle otto nazioni celtiche per una grande kermesse di festa e spettacolo. In questa occasione, gruppi musicali, solisti, intellettuali e artisti di ogni sorta, provenienti dalla Scozia, Irlanda, Isola di Man, Bretagne, Galles, Cornovaglia, Galizia, Asturie, si ritrovano a migliaia, accomunati dal desiderio di ritrovare quell’antica identità dispersa in mille rivoli, ma ancora fortemente sentita. Gli strumenti musicali, che sono usati da Irlandesi, scozzesi, bretoni…, erano essenzialmente tre: l’arpa, le cornamuse e la lira ad arco. Sull’arpa celtica e la sua origine si sa poco . Una cosa è certa:il più antico modello risale al 1046 ed apparteneva al re irlandese Brian Boru. Le corde erano in metallo e l’arpa veniva suonata con le unghie lasciate crescere e appositamente rinforzate, mentre nei tempi recenti si è soliti usare corde in budello suonate con i polpastrelli delle dita. È cosa risaputa che una delle punizioni cui i bardi potevano andare incontro, nel caso di qualche risentimento dei loro “nobili” protettori, consistesse proprio nel taglio delle unghie. Diversa la storia delle cornamuse, che, almeno per quanto riguarda quelle scozzesi delle Highlands, si affermarono tra il XVI e il XVII secolo, sostituendo quelle più arcaiche e primitive. È bene ricordare che anche i suonatori di cornamusa ebbero vita difficile. Sia in Irlanda che in Scozia, nel 1775, fu vietato di suonare questo strumento perché individuato come simbolo della riscossa indipendentista scozzese. Per quanto riguarda la danza, risulta facile trovare somiglianze ritmiche e melodiche in numerose esecuzioni, se non addirittura una totale compenetrazione dei repertori tra le musiche da ballo tradizionali di molti paesi europei. Esiste infatti, un’abbondante corpus di danze di origine rinascimentale che ritroviamo nelle reel irlandesi, le hornpipe scozzesi, nelle mugneire galiziane, come nella jota asturiana ed infine nelle giga, presente non solo in Irlanda ed in Inghilterra ma anche sul nostro appennino lombardo-emiliano-piemontese . In alcune aree della cultura celtica si affermò nel tempo la tradizione del ballo comunitario collettivo, intendendo con questo le danze in cerchio o a spirale di antica memoria, non solo indoeuropea, ma riscontrabile in moltissime culture e popoli del mondo. Le percussioni sono praticamente assenti nella tradizione celtica più antica; ma è comparso il bodran, un tamburo di forma rotonda, larga e piatta, che si suona tenendolo con una mano e percotendolo con un piccolo bastoncino di legno nell’altra. In Asturie e Galizia troviamo il pandero e la pandereta. Il primo ha una forma quadrangolare piatta e viene suonato appoggiandolo sulla pancia del suonatore e percotendolo con ambedue le mani, mentre il secondo è il classico tamburello tondo e piccolo di mediterranea memoria. Strumenti bretoni per eccellenza, sono il biniou-koz e il bombard, vale a dire la cornamusa e il piffero bretone. Il primo è una zampogna di piccole dimensioni e suono molo scuto, altrettanto dicasi per la sonorità bombarda, che fa parte della famiglia degli oboi popolari ad ancia doppia, la cui origine e non è turca è di sicura provenienza del sud-est asiatico. Al di là del repertorio eseguito da questa coppia strumentale, che ricalca la sonorità del canto e del ballo bretone, è curioso constatare che rappresentano la massima espansione verso il nord di un modo di suonare e di usare lo strumento musicale di culture che, se anche non sono di origine “marcatamente” celtica, hanno una profonda caratterizzazione nella cultura pastorale. In tal senso ecco che troviamo altre coppie cugine dei bretoni come la zampogna e la ciaramella nel sud della penisola italica e nell’Appennino a cavallo delle province di Pavia ,Piacenza,Alessandria e Genova, la coppia piffero e musa; questa strumentazione ebbe un’evoluzione a partire dal secondo dopoguerra, quando in Bretagna fu importata la cornamusa scozzese. Da questo connubio e ad imitazione delle pipes band scozzesi, vennero create delle bande musicali formate da highlands-pipes, tamburi e bombarde che presero il nome di bagad. Il successo di questa formula musicale fu di tali dimensioni che oggi in Bretagna possiamo attestare l’esistenza di circa 400 bagadù che ogni anno si ritrovano, dopo le competizioni regionali, alle finali al festival interceltico di Lorient. Nei giorni compresi fra il 7 e il 16 agosto scorsi si è tenuta a Lorient la ventottesima edizione del Festival Interceltico. Per dieci giorni la città bretone è stata pacificamente invasa da una folla festante di suonatori, artigiani, giocolieri e spettatori; le sue strade centrali si sono riempite di banchetti sui quali è stato esposto il più variopinto campionario di cose da vedere, da leggere, da mangiare, da indossare, da sentire o da bere.In una gigantesca e pittoresca confusione di grande fiera paesana e di mercato medievale si sono incontrate molte decine di migliaia di persone provenienti dai paesi di origine celtica.Il Festival era stato originariamente inventato per mettere assieme le culture musicali dei paesi di lingua celtica e cioè Irlanda, Scozia, Galles, Isola di Man, Cornovaglia e Bretagna. Una decina di anni fa si sono aggregate due comunità della penisola iberica: le Asturie e la Galizia. Questo allargamento è stato reso possibile perché le due nazioni hanno dimostrato di avere forti legami storici e culturali col mondo celtico (parlano lingue celto-romanze), di conservare una ricca dotazione di immagini e di monumenti celtici e - soprattutto - di avere mantenuto essenziali connotazioni celtiche nelle espressioni della musica popolare. Nella stessa occasione era stato proposto, assieme alle due Piccole Patrie iberiche, di accettare nel novero delle nazioni partecipanti al Festival anche il Piemonte ma un povero pistola marxista (di cui tralasciamo il nome per carità di patria) che rappresentava allora la musica popolare subalpina rifiutò la preziosa opportunità per evitare - a suo dire - speculazioni politiche. Il festival di Lorient non è l’ unico festival che riproduce le musiche celtiche, infatti in Galizia e più precisamente nella cittadina di Ortigueira, ogni anno nel mese di Luglio si celebra un festival in onore della musica celtica che ospita più di 100000 persone. Si vorrebbe promuovere l’evento anche a livello internazionale: il giornale regionale la voz de Galicia auspica che l’interesse per questa musica tradizionale coinvolga tutta l’area europea celtizzata.