migrazioni e disagio dei migranti - Dipartimento di Sociologia e

CORSO DI DEMOGRAFIA – Storia & Scenari
Giuseppe A. Micheli
LEZIONE 4
Movimenti globali del secondo
millennio: migrazioni e disagio
dei migranti
Demos - Storia e scenari - Lezione 4
1
Argomenti di questa lezione
Correggiamo quattro luoghi comuni sul migrare e i migranti:
LC1. La mobilità a lungo raggio
dopo l’evo antico delle invasioni
riemerge solo con l’evoluzione
delle tecnologie dei trasporti.
LC2. Il fenomeno migratorio
odierno è essenzialmente un
flusso dal Sud al Nord del mondo
LC3. La mobilità forzata caratterizza il Terzo Mondo. Le popolazioni Europee del XX secolo sono
contrassegnate da mobilità volontaria e crescente stanzialità.
LC2. Il fenomeno migratorio nasce
da un disagio del migrante e
produce disagio nell’ospitante
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Corrige: nella storia di lungo periodo
tutto il II millennio è segnato
con continuità da grandi
spostamenti di popoli (3-6)
Corrige: La mobilità nel mondo
globalizzato è in primis un flusso
tra diverse regioni del Sud (7-12)
Corrige: Le popolazioni europee del
‘900 sono segnate da episodi imponenti di mobilità forzata (13-16)
Corrige: Il fenomeno migratorio produce disagio nei migranti (17-20)
2
Uno sguardo al secondo millennio
Il continente europeo è un’appendice dell’Eurasia
“L’abbondanza di terra fercon due caratteri rilevanti: il miglior clima, e un
tile, da ottenersi per poco
gradiente termico est-ovest simile al gradiente
o nulla, è fattore talmente
nord-sud, dovuto all’effetto moderatore della mas- potente di popolamento da
superare ogni altro ostasa d’acqua atlantica che via via si affievolisce. Il
colo” (Malthus)
gradiente climatico è strategico per l’agricoltura.
Fino al ‘700 le tecniche agricole tradizionali (rotazione colture, lungo riposo della terra) non consentivano rese elevate. L’aumento di produzione
per alimentare masse crescenti era affidato all’incremento di superficie
coltivata. All’esigenza vitale di nuove terre si aggiunge la penetrabilità e
accessibilità dello spazio europeo e l’esistenza di un continuum ininterrotto
di grandi pianure. Tutto fa sì che il rimescolamento demico in Europa non
termini con la sedentarizzazione dei nomadi provenienti dalla steppa nella
Ungheria del IX secolo, ma continui nei primi secoli dopo il Mille lungo due
direttrici principali (oltre ad altre minori, verso Scandinavia e Russia):
Una grande migrazione insediativa verso
oriente di riconquista, da parte di popolazioni germaniche, dei territori occupati
da etnie slave nel precedente millennio.
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Una seconda direttrice da nord
a sud, al seguito della “reconquista” cristiana della penisola Iberica dalla occupazione islamica.
3
Fino alla grande peste (1350):
il Drang nach Osten
Il grande movimento verso oriente, Drang
nach Osten, inizia in dimensioni massicce
nel secolo XI, e termina la sua spinta fondatrice con la crisi del XIV secolo. Si articola lungo tre direttrici:
Circa 300mila persone, nel solo XII secolo, evita a Nord territori paludosi e foreste impraticabili di Germania e corre lungo la costa baltica andando a fondare le
città anseatiche (Rostock. Konigsberg).
Altri 300mila, al centro, dai Paesi Bassi si
dirige verso Turingia, Sassonia, Slesia.
Una direttrice Sud segue la via naturale
del Danubio, verso le pianure di Ungheria.
La penetrazione negli attuali territori della Germania Est si sviluppa nel XII
secolo e raggiunge il suo apice nel Trecento. E non sono numeri piccoli,
coinvolgendo per due secoli circa il 10% dell’intera popolazione.
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4
Fino alla grande peste (1350):
la Reconquista
All’inizio del X secolo le nazioni cristiane nella penisola iberica mantenevano
il possesso delle sole terre a Nord solcate dalle catene montuose della Cordigliera cantabrica e dei Pirenei [quelle segnate, secoli dopo, da un modello
di famiglia ceppo, forte identità delle piccole patrie, identificazione culturale
tra casa e patria]. La “Reconquista” risospinge il popolamento cristiano nelle aree via via sottratte al dominio arabo, per concludersi con la resa di Siviglia nel 1248, muovendo da Nord a Sud in due fasi distinte di espansione:
Tra X e XII secolo è rioccupato
l’altopiano centrale della Castiglia, riconquistando i bastioni di
Saragozza,Toledo, Lisbona
Tra 1210 e 1250 sono riprese le
regioni meridionali della penisola
(Cordoba, Valencia, Siviglia) (ma
l’ultimo lembo attorno a Granata,
capitolerà solo nel 1492)
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L’Europa tra Cinque e Ottocento
Dopo la crisi del Tre-Quattrocento il movimento verso Est riprende. La colonizzazione dei territori delle etnie slave diventa parte integrante della
politica estera di Prussia e Austria.
Lungo il ‘700 altre 430mila persone accentuano la germanizzazione dei territori prussiani.
Altri 350mila raggiungono l’Ungheria.
Un nuovo flusso di emigrazione ‘da lavoro’, favorito dall’imperatrice Caterina, si dirige verso le regioni del Volga. Nel triennio 1762-64
arrivano 27mila coloni di etnia tedesca: a fine
‘800 sono una comunità di 400mila persone.
Una terza direttrice di insediamento si muove
nel ‘700 entro l’impero Russo in direzione della
frontiera Sud del Mar Nero. Qui la popolazione russa, grazie a questa immigrazione, passa
da 1,5 a 15 milioni tra 1700 e 1850.
Con la fine del 700 la conquista dello spazio del continente è conclusa. Non
esistono più spazi aperti e spopolati se non all’estremo nord. La geografia
umana europea si stabilizza. Salvo grandi sconvolgimenti politico-militari.
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Oggi i grandi crocevia sono a Sud
Si può stimare che gli individui al di fuori del proprio paese siano
oltre 100 milioni. Un fenomeno importante anche dal punto di
vista economico: il valore delle rimesse internazionali è secondo
solo al commercio del petrolio greggio come voce della bilancia
commerciale mondiale. Ma di questi 100 milioni:
35 milioni (1/3) si muovono
nell’Africa a sud del Sahara
15 milioni in Medio Oriente
e nel Sud e Sud-Est asiatico
Meno
del
15 milioni hanno per
teatro il Nord America 30%!
13 milioni si spostano
nel continente Europeo
Altri 20 si muovono su altri teatri..
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Dispersione e regionalizzazione
dei teatri d’azione
In alcuni paesi le concentrazioni sono particolarmente accentuate: e non sempre si tratta di paesi occidentali:
Negli anni Novanta, prima
della guerra del Golfo, erano
presenti nei paesi del Golfo 6-7
milioni di migranti; di questi
4,5 venivano dall’Arabia Saudita.
Dei 7 milioni di rifugiati presenti
in Asia meridionale negli stessi
anni, 6 milioni e mezzo (il 90%) erano concentrati in Pakistan e Iran
Inoltre molti flussi transcontinentali, pur indicativi di globalizzazione della migrazione, visti più da vicino sono altamente regionalizzati
in termini sia di provenienza che di
destinazione. Particolari paesi di
provenienza ‘monopolizzano’ i flussi
verso particolari paesi di arrivo:
• dall’Egitto all’Arabia Saudita,
• da Algeria e Marocco a Francia,
•flussi indiani dallo stato del Kerala
La perifericità del mondo occidentale emerge anche scomponendo
i flussi nelle tre componenti fondamentali: a) flussi di forza lavoro
documentata, b) migrazione irregolare, c) rifugiati e Asilanten.
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Migrazioni di forza lavoro
documentata
Negli anni Novanta i cinque principali paesi di destinazione per i
flussi migratori internazionali (cioè i paesi con più alti tassi di immigrazione netta documentata) sono stati Usa, Australia, Arabia
Saudita, Canada, Costa d’Avorio. Dunque il Nord industrializzato
è un polo di attrazione molto importante, ma non l’unico!
Anzi: l’aumento progressivo del numero di persone che lavorano
fuori del paese di origine è dovuto principalmente alla crescente
importanza assunta dai flussi Sud-Sud. Per es., solo il 2-3% dei
migranti nativi dell’Africa subsahariana che vivono e/o lavorano
fuori del paese di origine risiedono nella Comunità Europea.
Attenzione. L’aumento relativo dei flussi Sud-Sud dipende in parte
dalle restrizioni all’entrata assunta dalle legislazioni occidentali, ma dipende soprattutto dalle crescenti disparità economiche e demografiche tra paesi più e meno ‘sviluppati’ entro il Sud del mondo.
Le dinamiche globali della circolazione di uomini del mondo prescindono anche in questo senso dal destino dell’Occidente.
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Le nuove disparità di risorse
entro il Sud del mondo
L’importanza della crescente disparità interna al Sud del mondo
(un fattore che non dipende – almeno direttamente – dalle scelte
occidentali) è esemplificato dall’espansione del mercato internazionale del lavoro migrante nel Golfo Persico dopo la crisi petrolifera del 1973 (e prima della prima guerra del Golfo)
Nel 1973 il prezzo del petrolio quadruplica, e provoca una crisi
economica nel Nord industrializzato e una crescita economica
senza precedenti negli stati produttori di petrolio. Già due anni
dopo la crisi iniziano a affluire lavoratori stranieri verso il Golfo.
• Inizialmente provengono da altri paesi arabi (Egitto, Yemen
del Sud, Giordania).
• Poi si aggiungono imponenti flussi dall’Asia (specie India e
Pakistan, ma anche Bangla Desh Filippine, Sri Lanka, Tailandia).
Tra 1975 e 1985 la popolazione degli stati arabi produttori di
petrolio raddoppia per l’immigrazione; nello stesso decennio la
proporzione di asiatici entro la forza lavoro straniera presente
nei paesi del Golfo sale dal 20% al 63%.
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Il ruolo giocato dalla distanza tra
origine e destinazione
I paesi fornitori di manodopera nei paesi del
Golfo non erano gli
stessi paesi storicamente fornitori di manodopera in Europa
occidentale: questi
ultimi erano ‘distanti’
dalla nuova destinazione, per geografia,
economia, lingua.
Il nodo della distanza (geografica, economica, culturale) conta anche per i
flussi che segnano oggi l’Europa. Apparentemente osserviamo flussi consistenti dall’Asia (Filippine = maggior
paese esportatore di forza lavoro nel
mondo), ma la piuparte dei migranti
asiatici si è diretta in questi 20 anni
verso altri poli, in primis quello petrolifero del Medio Oriente.
Quando a metà anni ‘80 il mercato del Golfo frena, i flussi dai paesi asiatici
continuano a crescere ma si spostano entro la stessa Asia Est e Sud-Est.
I principali centri di attenzione diventano il Giappone e i cd ‘dragoni asiatici’.
E anche in questi paesi (a partire dal Gippone) le politiche di accoglienza di
forza lavoro straniera muta rapidamente verso una maggiore restrittività..
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La catena causale della
migrazione irregolare
L’aumento delle disparità economiche Nord-Sud e Sud-Sud accentua la
pressione migratoria. La migrazione illegale è quella che più sensibilmente reagisce al variare degli scenari del marcato globale. A sua volta l’aumento di migrazione illegale rafforza la sensazione che la mobilità internazionale sia sempre più determinata dai fattori di spinta, e che i paesi di accoglienza abbiano perso il loro potere regolativo. L’allarme legato alla
sensazione di mancato controllo porta a risposte di chiusura all’immigrazione indesiderata, fino alle politiche drastiche di espulsione. E queste sono
più facili a realizzarsi nei paesi autoritari. Ecco alcuni esempi:
In tre mesi nel 1979 l’Arabia Saudita espelle
90mila residenti illegali, il Kuwait 18mila.
Nel biennio 1990-91 Arabia saudita, Irak e
Kuwait ne espellono più di 2 milioni.
Nei primi anni ’80 la Nigeria espelle 2 milioni
di irregolari provenienti da Ghana e limitrofi.
Negli anni seguenti il Ghana per ritorsione
espelle mezzo milione di Nigeriani..
E l’occidente? Di fronte al premere dell’immigrazione irregolare la
risposta ha sempre oscillato tra espulsioni e deportazioni su piccola
scala e periodiche legalizzazioni su larga scala.
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Anche l’Europa del ‘900 è
segnata da migrazioni di massa
Il periodo tra le due guerre è stato segnato da tre tipi di migrazioni di massa:
• Dislocazioni dovute alla nascita di nuove nazioni o cambi di con-fini dopo la prima
Guerra [a) greci espulsi da Istanbul e Turchia ovest, riportati in Grecia; b) etnie
turche e altre musulmane presenti nei Balcani costrette a lasciare Romania, Bulgaria
e Grecia e rimpatriate in Turchia; c) etnie ungheresi costrette ad abbandonare
Romania, Yugoslavia e Cecoslo-vacchia; d) etnie polacche che lasciano le loro case in
territori che diventano parte dell’Unione Sovietica; e) etnie tedesche ed ebree con
cittadinanza tedesca o austriaca che ritornano in Germania e Austria da stati
Baltici, Polonia e altri paesi dell’Europa centro-orientale]
• Migrazioni di rifugiati politici ed etno-religiosi [a) tra 1917 e 1922 un milione e
mezzo di Russi, Ucraini e Bielorussi lasciano le loro terre; b) 450-mila ebrei ed altri
rifugiati escono da Germania, Austria e Boemia-Moravia occupata nel 1938-39]
• Migrazioni legate al reclutamento di forza lavoro straniera [tra 1918 e 1936 si
sposta in Europa 1 milione 200mila migranti per lavoro e relative famiglie, principalmente sull’asse PoloniaÆFrancia. Nei primi anni ‘40 la Germania diviene punto di arrivo di un flusso di lavoro straniero, forzato e volontario, che nel ’44 è di 8 milioni ]
Ma anche la seconda metà ‘900 è segnata da 4 tipi di grandi flussi migratori:
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Le pulizie etniche postbelliche
Il primo tipo di movimenti di massa è dato dalle ‘pulizie etniche’.
Colla fine del Reich, 12 milioni di tedeschi etnici sono cacciati dai territori orientali
occupati (Polonia, paesi Baltici, Boemia-Moravia, Slovenia, Serbia, Ucraina), o dalle
nazioni alleate (Slovacchia, Croazia, Ungheria): 8 milioni tornano in Germania Ovest,
3,5 milioni in Germania Est, mezzo milione in Austria. Intanto 10,5 milioni di prigionieri di guerra, lavoratori forzati e sopravvissuti ai campi di concentramento tornano ai paesi di origine, inclusi i prigionieri in Russia.
Dopo la formazione delle due repubbliche tedesche, nel 1949, 4 milioni varcano il
confine tra est e ovest, che diviene gradualmente cortina di ferro. La costruzione
del muro di Berlino, nell’agosto 1961, riduce drasticamente il flusso.
Le etnie tedesche non sono le uniche colpite da espulsione, dopo il ridisegno dei confini nazionali tracciato a Yalta e a Postdam. Un milione e mezzo di Polacchi lasciano
l’ex Polonia orientale, ora Lituania, Bielorussia, Ucraina, e sono allocati in città ‘purgate’ dai precedenti abitanti tedeschi, mentre 600mila Ucraini, Bielorussi e Lituani
lasciano Polonia e Cecoslovacchia, per insediarsi in terre divenute parte dell’URSS.
Analogamente, 100mila Cechi e Slovacchi sono risistemati nella ex terra dei Sudeti
e nel Sud della Moravia, a loro volta liberate degli abitanti di lingua tedesca.
Più a Sud, tra 1945 e 1950, 100mila italiani lasciano Istria e Dalmazia, e 300mila
minoranze ungheresi in Slovacchia, Transilvania e Voyvodina tornano in Ungheria..
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Dalla decolonizzazione ai
nuovi flussi post-coloniali
Flussi legati alle decolonizzazione. Durante il processo di decolonizzazione i coloni
europei tornano in massa alle madri-patrie, addensandosi in grandi ondate. Per es.,
nel 1963, dopo la pace di Evian con il FLN, 1 milione di francesi lascia l’Algeria. Flussi
consistenti si registrano verso l’Olanda (in anni Cinquanta dall’Indonesia, in anni ‘70
da Surinam e Antille). Altri flussi tornano negli anni ’50 dalle colonie d’oltre mare di
Belgio, Italia e Inghilterra, negli anni ‘70 dalle colonie africane del Portogallo, infine
alla fine anni Novanta, quando Hong Kong e Macao sono inglobate nella Cina.
Flussi post-coloniali. Sulla rotta dei vecchi padroni rimpatriati, gli excoloni iniziano
a defluire da Asia meridionale e sudorientale, Africa e Carabi, muovendo in un primo
momento verso Isole britanniche, Francia, Benelux, più tardi verso Italia, Spagna,
Portogallo. Il graduale deterioramento delle condizioni di vita nei paesi di origine, i
conflitti etnici e politici nei nuovi Stati, e anche la nuova domanda europea di forza
lavoro a buon mercato portano a ingrossare sempre più questi flussi. Flussi che si
muovono lungo corridoi privilegiati frutto dell’eredità coloniale: da Pakistan, India,
BanglaDesh e Caraibi anglofobi verso il Regno Unito, dalle terre arabe di Marocco,
Tunisia, Algeria e dal Centro africa verso la Francia, da Indonesia e Surinam verso
l’Olanda. Le aree metropolitane europee diventano melting pot multiculturali.
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Migrazioni da lavoro e asilanti
Migrazioni da lavoro. La domanda crescente di forza lavoro è coperta in alcuni paesi
europei con migranti provenienti dalle ex-colonie. Altrove il reclutamento si è rivolto
ai paesi Mediterranei, prima pescando nei paesi mediterranei europei (Italia,Spagna,
Grecia, Portogallo), poi nella sponda Sud (Marocco, Algeria, Tunisia) e Est (Turchia,
Yugoslavia) anche con accordi bilaterali tra paesi invianti e reclutanti (Italia-Belgio).
Rifugiati e asilanti. Un flusso ininterrotto dall’Europa orientale si riversa sull’occidente, in seguito a specifici eventi politici.
•Nel 1956 200mila ungheresi all’instaurazione del regime di Kadar. Nel 1968 160mila cechi e slovacchi dopo l’occupazione delle truppe del patto di Varsavia. Nel 1980
250mila polacchi fuggiti dalla legge marziale e la repressione politica (e l’atteggiamento di apertura incondizionata comincia a cambiare..).
• Nel 1989 300mila bulgari di ascendenza Turca fuggono dalla bulgarizzazione forzata, e rientrano in Turchia, che chiude le frontiere (120mila non possono che
tornare in Bulgaria). In quell’anno 50mila tedeschi est passano il confine via Ungheria e Austria, e tra novembre e dicembre in 350mila trasmigrano da est a ovest.
• Ma la più imponente ondata di rifugiati sul suolo Europeo inizia nel 1991, con l’implosione della Yugoslavia e le guerre in Croazia e Bosnia Erzegovina. Tra 1991 e 1995
le pulizie etniche spingono più di 5 milioni di cittadini ad abbandonare la loro casa e
patria; di questi un milione raggiunge l’Europa occidentale. Ma dal 1993 quasi tutti i
paesi europei chiudono i confini anche alle vittime delle pulizie etniche.
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Heimweh
“Il Sunneberg è morto di Heimwe..” scrive nel 1569 Ludwig Pfyffer, al
consiglio del cantone di Lucerna. Ne da notizia Johann Hofer, nella sua
Dissertatio medica, Basilea, 1688. Sunneber è un soldato, morto lontano
da casa. Un lanzo. Heimweh “è il dolore dei malati che si trovano
lontani dalla patria e che temono di non rivederla più”. Sentimento
che diventa malattia per una “forza distorta dell’immaginazione”.
Per JJ Scheuchzer (1705), la malattia viene da una causa “che gli ufficiali svizzeri hanno notato nelle loro truppe. Quando le nuove reclute
provenienti dalla Svizzera intonano, attorniate dai soldati più anziani, la
cosiddetta Kuhe-Reihen che i contadini elvetici usano cantare e suonare
con lo zufolo tra le mandrie nei pascoli alpini, reagiscono i vecchi commilitoni evocando con inusitata veemenza il dolce pensiero della patria
immagine, tanto da cadere precipitosamente nella Heimweh e di seguito in una febrem ardentem, cosicché gli ufficiali debbono proibire il
canto e il suono di questa melodia”. [Ma Gaillardot, 1804, evidenziava
come “i negri durante il lavoro forzato sotto la frusta dei bianchi trovano nel canto un rimedio alla sofferenza”: doppia funzione del canto]
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La confusione tra nostalgia e
malattia
JJ Rousseau (Lettera al Maresciallo di Lussemburgo, 1763) sottolinea che l’Heimweh colpisce gli Svizzeri e non i Francesi, nati “nel
miglior paese del mondo”. C’è del vero dietro l’affermazione di
campanile (Risso). Soffrono infatti di nostalgia le persone costrette
per ragioni materiali, economiche, di sopravvivenza, ad abbandonare le loro case. Die Heimat ist arm ber warm (povero ma caldo).
L’emigrante inverte e ricompone la collocazione degli aggettivi: il
paese è caldo ma povero. Chi sta bene non si muove. O, se si
muove, lo fa liberamente, senza nostalgia di ciò che abbandona.
Hofer e Scheuchzer aggirano l’ambiguità tra sentimento di nostalgia e malattia che da questo può scaturire, o viceversa, tra malattia e sentimento di nostalgia che la può accompagnare. Col tempo
la scienza medica su un sentimento non facilmente definibile ha
costruito un sistema (una cattedrale) sintomatologico e clinico.
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Le radici ‘800 del dibattito su
emigrazione e disagio
A fine ‘800 la diagnosi di nostalgia perde rilevanza, sostituita da
quella di neurastenia. Ma tutto il Novecento è percorso dalla tendenza alla psichiatrizzazione della nostalgia, filtrata attraverso la diffusione di ricerche epidemiologiche che confrontano la
frequenza di malattie mentali tra emigrati (foreign-born) e nativi.
Il dibattito sulle cause del disagio psichico (e comportamentale)
dei migranti, che percorre tutto il XX secolo, è la prosecuzione di
una vexata quaestio nata nella prima metà dell’Ottocento, che
contrappone i fautori di spiegazioni costituzionaliste e ambientaliste nel formarsi di manifestazioni visibili (‘mostruose’) di
diversità.
Occorre allora fare un passo indietro alla prima metà dell’800.
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Heimweh, forme dello spazio e
delle relazioni primarie
Nel 1950 Bachet si pone una domanda che sorprende Risso (ma non noi): in quali
collettività si presenta la nostalgia. La risposta è straordinariamente articolata. Ne sono più afflitti i contadini dei cittadini, ma anche le persone provenienti
da un certo numero di paesi: bretoni, corsi, tirolesi, baschi, savoiardi, galiziani.
Ma questi sono (lo vedremo) i popoli insediati lungo la dorsale orografica Europea contrassegnata da un peculiare modello di relazioni antropologiche primarie, quello della famiglia ceppo. E anche Bachet ricollega i differenziali nella
nosografia psichiatrica ad alcune specificità: “l’abitudine a una vita di relazione
ristretta, l’uso del patois o del dialetto, il bisogno di relazioni intime”: i pilastri
della cultura della famiglia ‘forte’.
“Heimweh vuol dire, letteralmente, dolore della casa, della terra natale.
Heim in tedesco è più che la casa, è focolare, luogo popolato da persone
amate, dove ci si sente protetti, spazio-tempo a cui si appartiene, storiavissuto di cui si partecipa pienamente. Heimat è la patria” (Risso).
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