Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù Antifona d`ingresso Di

Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
Antifona d'ingresso
Di generazione in generazione
durano i pensieri del suo Cuore,
per salvare dalla morte i suoi figli
e nutrirli in tempo di fame. (Sal 33,11.19 )
Colletta
O Padre, che nel Cuore del tuo dilettissimo Figlio
ci dai la gioia di celebrare le grandi opere
del tuo amore per noi,
fa’ che da questa fonte inesauribile
attingiamo l’abbondanza dei tuoi doni.
Oppure:
O Dio, fonte di ogni bene,
che nel Cuore del tuo Figlio
ci hai aperto i tesori infiniti del tuo amore,
fa’ che rendendogli l’omaggio della nostra fede
adempiamo anche al dovere di una giusta riparazione.
Oppure:
O Dio, pastore buono,
che manifesti la tua onnipotenza
nel perdono e nella compassione,
raduna i popoli dispersi nella notte che avvolge il mondo,
e ristorali al torrente della grazia
che sgorga dal Cuore del tuo Figlio,
perché sia festa grande nell’assemblea dei santi
sulla terra e nel cielo.
PRIMA LETTURA (Ez 34,11-16)
Dal libro del profeta Ezechiele
Così dice il Signore Dio: "Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un
pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state
disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse
nei giorni nuvolosi e di caligine.
Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò
pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione. Le condurrò in
ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si adageranno su fertili pascoli e
pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le
farò riposare.
Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita,
fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con
giustizia".
SALMO (22/23)
Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
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non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia. Rit.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. Rit.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. Rit.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. Rit.
SECONDA LETTURA (Rm 5,5-11)
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato
dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento
qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona.
Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è
morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se
infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo,
molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo
pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la
riconciliazione.
Alleluia, alleluia. (Gv 10,14)
Io sono il buon pastore, dice il Signore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Alleluia, alleluia.
VANGELO (Lc 15,3-7)
Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: "Chi di voi, se ha cento pecore e
ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la
trova?
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e
dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
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Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove
giusti i quali non hanno bisogno di conversione".
Preghiera sulle offerte
Guarda, o Padre,
all’immensa carità del Cuore del tuo Figlio,
perché la nostra offerta sia a te gradita
e ci ottenga il perdono di tutti i peccati.
PREFAZIO
Il Cuore di Cristo fonte di salvezza.
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.
Innalzato sulla croce,
nel suo amore senza limiti donò la vita per noi,
e dalla ferita del suo fianco effuse sangue e acqua,
simbolo dei sacramenti della Chiesa,
perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore,
attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza.
Per questo mistero, uniti agli angeli e ai santi,
proclamiamo senza fine l’inno della tua gloria: Santo...
Antifona di comunione
“Rallegratevi con me,
perché la mia pecora perduta
è stata ritrovata”. (Lc 15,6)
Oppure:
Un soldato gli trafisse il costato con la lancia
e subito ne uscì sangue e acqua. (Gv 19,34)
Preghiera dopo la comunione
Questo sacramento del tuo amore, o Padre,
ci attiri verso il Cristo tuo Figlio,
perché, animati dalla stessa carità,
sappiamo riconoscerlo nei nostri fratelli.
Lectio sul Salmo Responsoriale 22/23
Il salmo 23 è un salmo di fiducia e può essere diviso in due parti secondo le immagini che il
salmo stesso presenta: vv. 1 - 4: l'immagine del pastore; vv. 5 - 6: l'immagine dell'ospite, cioè di
colui che apre la tenda per ospitare qualcuno.
La prima immagine è quella di Dio come pastore del suo popolo. E' un'immagine
tradizionale per indicare il modo con cui Dio conduce i suoi lungo i cammini della salvezza:
nell'esodo prima e nell'esilio poi.
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v. 1. "Il Signore è il mio pastore: nulla manca ad ogni attesa".
E' un'immagine di sicurezza perché quando il gregge è affidato a un pastore che lo ama, è il
pastore che si prende cura del suo gregge, e lui che pensa ai suoi bisogni, che difende la pecora
debole e cura quella ferita.
v. 2. "in verdissimi prati mi pasce".
L'immagine si completa con quella dei pascoli verdeggianti e ci guida verso acque placide,
non tortuose e torrenziali ma a delle acque che consentono di riposare. E' un'immagine che mostra
la sovrabbondanza di possibilità di vita. Quando Dio conduce il suo popolo, e come un pastore che
sa condurre il suo gregge verso luoghi inimmaginabili al gregge stesso. Il gregge non sa dove
trovare il pascolo e l'acqua, ma quando c'è un pastore non manca di nulla ed è sicuro che sarà
portato dove potrà trovare pascolo e dove potrà finalmente riposare.
v. 3. "E’ il ristoro dell’anima mia".
In diritti sentieri mi guida. E' la possibilità di camminare per sentieri giusti. Questa non è
una notazione di tipo morale. Il sentiero giusto è il sentiero adatto, cioè quello che serve, quello che
ci vuole perché il gregge possa giungere ai pascoli e alle acque. Dio è un pastore che porta per
cammini che servono a noi, anche quando sembrano incomprensibili. Per quanto tortuose possano
sembrare le strade che percorre, il pastore non fa mai il cammino che serve a lui, ma trova sempre i
cammini che sono adeguati al suo gregge. L'orante che dice: "Il Signore mi guida per il giusto
cammino", è l'uomo che interpreta la propria vita in questo modo e per quanto abbia girovagato, fa
la sua professione di fede: tutta la strada percorsa fino ad ora, era proprio quella che ci voleva per
me, e qualunque tipo di buio io mi trovi ad attraversare, quello è il cammino adatto al mio passo.
v. 4. "Pur se andassi per valle oscura, non avrò a temere alcun male alcun male, perché sempre mi
sei vicino. Mi sostieni col tuo vincastro".
Quando si ha questa certezza viene meno ogni paura. Se è il pastore a condurre il suo gregge
e se il pastore è Dio. Allora si può anche attraversare il buio della morte senza temere alcun male. Il
termine ebraico "salmawet" tradotto con "valle oscura", è una parola composta in cui la prima parte
"sal" significa "ombra" e la seconda "mawet" "morte". Andare per valle oscura richiama l'esperienza
della morte, perché il buio fa paura e mette in una situazione di essere indifesi, come di fronte alla
morte. Quindi si può dire: "anche se dovessi attraversare l'esperienza della morte, non temerci alcun
male, perché con me c'è il pastore". Il pastore è presentato con il bastone e con il vincastro.
Probabilmente per bastone si intende una mazza corta e adatta a difendere il gregge dai lupi; il
vincastro, invece, è quello che oggi è il pastorale del vescovo, un bastone lungo e ricurvo su cui il
pastore si appoggia e serve anche per appendervi il sacco o per tastare il terreno, per tenere lontano
animali pericolosi. Il salmo dà l'immagine di un gregge che cammina di sera - e non è infrequente
che questo avvenga, perché di giorno fa molto caldo - mentre diventa sempre più buio, mentre la
paura cresce perché cresce l'esperienza della morte, il gregge va con il pastore che ormai non vede
più perché si è fatto buio, ma lo sente perché il bastone fa rumore e segnala la presenza e anche
perché il pastore con il bastone tocca il fianco delle pecore per dare loro la direzione. Le pecore
possono attraversare una situazione di massimo pericolo con il segnale della presenza del pastore
che esse percepiscono in quel suono che echeggia e in quel tocco sul fianco. L'immagine è quella di
un attraversamento della morte dove i segni della presenza di Dio ci fanno da punto di riferimento
per poter anche camminare attraverso l'angoscia della distruzione, sicuri della salvezza che il
pastore dona.
L'immagine del pericolo incombente e del rifugio, lega le due parti del salmo: il gregge è
messo al sicuro dal pastore, il fuggiasco è messo al sicuro dall'ospite sotto la tenda. In ambedue i
casi c'è l'idea della sovrabbondanza: il gregge è portato a pascoli erbosi e ad acque che ristorano, il
fuggiasco è accolto nella tenda, cosparso di olio profumato e gli viene offerto un calice che
trabocca. Il dono di Dio non è mai solo per la sopravvivenza. ma è sempre sovrabbondante. Non si
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tratta di trovare tre fili d'erba tanto per non morire di fame, ma di arrivare a pascoli erbosi: al tempo
stesso si è accolti nella tenda non per rosicchiare un tozzo di pane, ma per avere il capo unto di olio,
che è il gesto di onore, e il calice che trabocca. Ma soprattutto ciò che accomuna le due immagini è
la situazione di deserto: quella dell'ospite è una tenda nel deserto, ma anche per i pastori l'ambiente
naturale in cui si muovono è il deserto. La terra della Palestina è arida, incolta, con poche sterpaglie,
ma quando piove si copre d'erba. L'immagine allora non è quella dei pascoli della Svizzera o
dell'altopiano di Asiago. ma pascoli erbosi del deserto, quel deserto che improvvisamente fiorisce
dopo una pioggia e che poche ore dopo muore bruciato dal sole. Dentro questa esperienza di deserto
il salmista che sa che il pastore è il suo Signore, può dire: "qui nel deserto dove non c'è niente, non
mi manca nulla". - Ciò che si richiama con questo salmo è l'esperienza dell'esodo. Durante l'esodo il
popolo ha vagato per 40 anni e "il suo mantello non si è mai logorato e il suo piede non si è mai
gonfiato".
v. 5 "Bontà e grazie mi sono compagne quanto dura il mio cammino: io starò nella casa di Dio
lungo tutto il migrare dei giorni".
Nel salmo prima c'è l'immagine del pastore, poi della tenda che mette al sicuro e poi
improvvisamente questa tenda si trasforma nella casa di Dio: il tempio di Gerusalemme. Tutto il
cammino di Israele si conclude con l'abitare a Gerusalemme dove Dio pone la sua dimora in mezzo
al suo popolo per poter essere il "Dio con noi". L'esodo fu scuola di fede e di dipendenza radicale,
perché il popolo imparò a contare su Dio e non sulle proprie risorse.
Trasposizione cristiana
In Ez 34. 1-31 c'è la requisitoria di Dio contro i pastori di Israele: "Io stesso cercherò le mie
pecore e ne avrò cura" (Ez 34. 11). Nel vangelo Gesù dice: "Io sono il buon pastore" (Gv 10. 11).
Ma nel deserto c'è anche il problema acqua. E non è Gesù forse la vera acqua che "disseta per la vita
eterna?" (Gv 4, 14); "Chi ha sete, venga a me e beva" (Gv 7, 37). Nel deserto c'è anche il problema
del pane: è Gesù "Il vero pane disceso da! cielo" (Gv 6. 51). Ma c'è anche il problema del buio, la
paura della notte. Gesù ha detto: "Io sono la luce del mondo" (Gv 8, 12). Ancora, il salmo ci
presenta la figura del fuggiasco divenuto ospite di Dio che entra con lui in un rapporto di amicizia.
Noi siamo spesso dei fuggiaschi: solo Gesù ci introduce nell'amicizia del Padre attraverso la sua
morte e risurrezione. Il banchetto eucaristico è un segno e un'anticipazione del banchetto
messianico definitivo. Entreremo nel tempio del Signore: in realtà è il Signore Gesù il nostro vero
tempio in cui vivremo definitivamente (Gv 2. 19).
Il salmo è una sintesi di tutta la nostra realtà di salvezza, di come essa si sia realizzata e
come sia stata portata a compimento dal Signore Gesù. Questo salmo nutre la nostra fede di oggi: in
esso noi troviamo la dimensione della nostra sicurezza. E' il salmo della nostra certezza presente,
una certezza che ci fa camminare sicuri sui sentieri preparati per noi dall'amore di Cristo, per cui
non abbiamo più paura di nulla, perché il Signore Gesù è il nostro pastore.
Alcune considerazioni sul Sacro Cuore di Gesù
La devozione al Sacro Cuore non è indirizzata, ovviamente, ad un organo, ad un cuore di
carne, ma esprime l'amore per la Persona di Gesù, per l'Uomo-Dio, riconoscendone l'amore senza
confini per noi. Ora, il cuore di carne è preso universalmente a simbolo dell'amore, perché esso
accompagna, coi suoi battiti accelerati, le emozioni, così il Cuore di Gesù è simbolo del suo amore.
Ma, volendo approfondire, si deve considerare che il nostro essere è una realtà unitaria, formata di
anima spirituale e di corpo, così il cuore di carne, che fa parte del corpo, è in unità con il centro
spirituale del nostro essere. Il cuore di carne di Gesù rimanda al centro profondo, spirituale,
dell'umanità di Cristo, vero Dio e vero uomo. Non sto sbagliando dicendo questo poiché Gesù,
riferendosi a sé stesso, disse (Mt 11,29): “Fate come me che sono mite e umile di cuore”. La parola
cuore, poi nella Bibbia, significa il centro spirituale del nostro essere, ma con un riferimento al
cuore di carne.
La parola cuore è una parola primordiale. Essa deriva da un'immediata comprensione che
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l'uomo ha del suo intimo, del punto profondo dove matura le sue scelte, ponendolo in unità con il
cuore di carne, dove le emozioni dell'animo determinano l'accelerazione dei battiti. Tanti i passi
biblici a questo proposito (2Sam 18,14): “Davide si sentì battere il cuore” ;(Lc 24,32): “Non ci
ardeva forse il cuore nel petto?”.
Proprio per porre argine al gelo del filosofismo, che introducendosi in campo teologico
acquistò il nome di razionalismo, Gesù presentò a santa Margherita Alacoque, traendolo dal petto, il
suo Cuore, circondato di spine, sormontato da una piccola croce, aperto dallo squarcio della lancia,
divampante fiamme d'amore e raggiante di luce gloriosa. Il razionalismo col suo gelo mortale si è
compiaciuto di ridurre il cuore al puro fatto anatomico, mentre ha celebrato la mente, il cervello; ne
è risultata una perdita del centro, e anzi dell'unità dell'uomo, costituita di anima e corpo. Gesù ci
presentò il suo Cuore perché non ci ritrovassimo mai fuori dal nostro centro, dal nostro cuore, e
diventassimo così dei senza cuore, pur avendolo.
Quel Cuore vuole rendere vero il nostro. Tanti sono i cuori che sono apparenza di cuori.
Cuori che sembrano caldi mentre invece sono freddi, di ghiaccio. Cuori che sono doppi. Sembrano
caldi, amici, ma in realtà sono gelidi. La Bibbia denuncia i cuori doppi, non sinceri (Sal 11,3):
“Labbra adulatrici parlano con cuore doppio”; (Sal 77,36): “Lo lusingavano con la loro bocca, ma
gli mentivano con la lingua”. (Sal 27,3): “Parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel
cuore”.
Quel Cuore, mostrato a santa Margherita e a tutti noi, continua ad amarci oltre le nostre
brutture, a superare il ribrezzo per le nostre colpe. Noi, con i nostri peccati, colpiamo quel Cuore,
ma quel Cuore ha risposto sulla croce e continuamente risponde con un amore infinito per noi.
Quel Cuore è stato raggiunto da tutti i colpi: dai colpi fisici della flagellazione e della
crocifissione, dai colpi di vedere i discepoli fuggire, Israele rifiutarlo, gli uomini tradirlo, dal colpo
del silenzio del Padre, che trattava il Figlio da peccato affinché gli uomini, nel Figlio, diventassero
suoi figli adottivi. Questi colpi si abbatterono su quel Cuore. Sulla croce il battito di quel Cuore
diventò parossistico per la febbre, per l'arsura, per il dissanguamento, per il dolore morale e
spirituale (dico morale per gli insulti, spirituale per il silenzio del Padre). Poi aritmie e infine quel
Cuore cessò di battere, e poco dopo subì il colpo della lancia del centurione.
Lo sappiamo, il profilo psicologico di Cristo è unico e irripetibile, ma quel Cuore non è
estraneo al nostro; per la natura umana assunta dal Figlio di Dio, quel Cuore è umano, come il
nostro. L'invito è chiaro; quel Cuore ci invita a rimuovere il cuore di pietra, che è duro, che è
freddo, che è morto, che non ama l'amore. Quel Cuore attira a sé il nostro, per renderlo nuovo.
Contemplando quel Cuore sentiamo ardere misteriosamente il nostro. E' un contagio
dolcissimo, vivificante, che chiede corrispondenza d'amore. Un contagio dolcissimo, perché dolce e
mite è il Cuore di Gesù. A questa dolcezza e mansuetudine faceva appello san Paolo nell'esortare i
Corinzi al bene (2Cor 10,1): “Per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo”. Ma il Cuore di Gesù è
anche fonte di forza; san Paolo lottava con la forza che gli veniva da Gesù (Col 1,29): “Mi affatico e
lotto, con la forza che viene da lui”, cioè dal suo esempio e dal fuoco dello Spirito Santo. Nel Cuore
di Gesù c'è dolcezza, mitezza e forza. Gesù è (Ap 5,6) l'Agnello immolato, ma è anche (Ap 5,5) il
leone della tribù di Giuda.
A chi è unito a Cristo e rimane unito a Cristo pur nelle vicende sconvolgenti non viene mai
meno la mitezza e la forza. Mitezza unita a fortezza, davanti agli arroganti. Forza per superare
momenti di sgomento, che la Bibbia presenta bene (1Mac 9,7): “Giuda si sentì venir meno il cuore”;
(Sal 72,26): “Vengono meno la mia carne e il mio cuore”; (Is 35,4): “Dite agli smarriti di cuore”;
(Gv 14,1): “Non sia turbato il vostro cuore”.
Siamo peccatori, ma sappiamo che Gesù ci ama. La conversione è prendere consapevolezza
del proprio peccato ed è rivolgersi a Dio per obbedirgli. Prima i peccati sono visti come progresso,
come via all'affermazione di sé nel mondo; sono ritenuti pieni di promesse, e si pensa che non
tocchino la sostanza del cuore. Poi la luce, poi la coscienza di avere peccato, poi la visione della
bruttura del peccato. Il rischio è quello di avvilirsi, di pensare di non avere più tempo per essere
santi, di non poterlo più essere se non con grande mediocrità. Il rischio è anche quello di voler
fuggire il peccato con la sola propria forza di volontà, ricorrendo a dei no ciechi, senza luce, senza
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vedere il positivo che ci offre Dio, la bellezza della perla evangelica. Ma, ecco che il Cuore di Gesù
ci rassicura. Circondato di spine, sormontato dalla croce, con la ferita della lancia, ma traboccante
di fiamme d'amore e circondato della luce vittoriosa della gloria della risurrezione, quel Cuore ci
dice che ci ama. Quel Cuore vuole essere uno col nostro cuore per elevarlo, purificarlo, renderlo
splendente, gradito a Dio.
Diciamo dunque: “Cuore di Gesù noi confidiamo in te, e ti chiediamo di darci un cuore
nuovo modellato sul tuo, e ti chiediamo, per essere pienamente tuoi, di affidarci al Cuore
immacolato di Maria, vincolo di sicura appartenenza a te”. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
(a cura di P. Paolo Berti).
I Padri della Chiesa
Il pastore d’anime deve essere vicino a tutti per la comprensione, deve elevarsi al di sopra di
tutti nella contemplazione, tanto da accogliere in sé, per l’intimo amore, la debolezza altrui, e
trascendere se stesso, con l’altezza della contemplazione e il desiderio dei beni invisibili. Anelando
a tali altezze, non disprezzi la debolezza del prossimo o, viceversa, adattandosi a questa debolezza,
non cessi di anelare a tali altezze. È per questo che Paolo, pur rapito in paradiso, pur intravedendo i
segreti del terzo cielo, tutto assorto in quella contemplazione di realtà invisibili, riconduce la sua
mente al giaciglio degli uomini carnali, e li ammaestra come si debbano comportare nei loro
rapporti più intimi e nascosti, dicendo: Per evitare la fornicazione, però, ognuno abbia la sua moglie
e ogni donna il suo marito. Il marito poi renda alla moglie quel che le deve, e similmente la moglie
al marito (1Cor 7,2-3). E poco dopo: Non vi defraudate l’un l’altro, se non di comune accordo e per
poco tempo, per attendere alla preghiera; e poi di nuovo state insieme, affinché satana non vi tenti
(1Cor 7,5). Ecco: è già introdotto nei segreti celesti e tuttavia, per profondo altruismo, osserva il
letto degli uomini carnali, e con compassione dirige l’occhio del suo cuore, che ha elevato a realtà
invisibili, ai segreti dei poveri mortali. Trapassa il cielo nella sua contemplazione, eppure la sua
sollecitudine giunge fino al giaciglio degli uomini carnali, perché, unito dal legame dell’amore con i
sommi e gli infimi, viene rapito dalla forza dello Spirito alle possenti realtà superne, e per bontà
verso gli altri con loro è debole. È per questo infatti che dice: Chi è debole, che anch’io non lo sia?
Chi riceve scandalo, che io non ne frema? (2Cor 11,29).
Il comportamento dei pastori deve essere tale, che i loro soggetti non temano di svelare ad
essi i loro segreti; così quando i miseri vengono sbattuti dai flutti delle tentazioni ricorrono
all’animo del pastore come i bimbi al seno della madre e, con l’aiuto delle loro esortazioni, e con le
lacrime delle loro orazioni, possono venire lavati dalle macchie di colpa che si sentono addosso. Per
questo davanti alle porte del tempio vi era il mare bronzeo, cioè la vasca sorretta da dodici buoi, per
lavarsi le mani prima di entrare nell’edificio sacro... Ora, quelli che con la loro paziente
accondiscendenza si dispongono a cancellare le confessioni del prossimo, quasi portano una vasca
davanti alle porte del tempio: così chiunque cerca di entrare nella porta dell’eternità, sveli all’animo
del pastore le sue tentazioni e lavi, quasi in una vasca idonea, le mani dei suoi pensieri e delle sue
azioni. Succede per lo più che quando l’animo del pastore viene a conoscere, nelle intime
confidenze, le tentazioni altrui, anche egli ne è oppresso, perché certamente si sporca l’acqua con la
quale viene lavata la moltitudine del popolo. Infatti riceve in sé l’immondizia di chi si lava, e perde
lo splendore della sua purezza. Ma non tema ciò il pastore, perché Dio ha provveduto a tutto con
intelligenza e tanto più facilmente libererà dalle sue tentazioni colui che tanto più
misericordiosamente viene affranto dalle tentazioni altrui. (Gregorio Magno, Regola pastorale, 2,5)
Siamo nella Chiesa che, sebbene per grazia di Dio sia estesa per ogni dove e diffusa in tutto
il mondo, tuttavia è l’unico, grande corpo di un solo e grande capo, il quale è il Salvatore
medesimo, come dice l’Apostolo (cf. Ef 5,23; Col 1,18). Riferendosi all’esaltazione di questo capo,
che doveva avere luogo dopo la sua risurrezione, tanto tempo prima il Profeta predisse: Sii esaltato,
o Dio, al di sopra dei cieli (Sal 56,12). E poiché, dopo la sua esaltazione al di sopra dei cieli, la sua
Chiesa avrebbe riempito tutta la terra di abbondanti frutti, lo stesso Salmista soggiunse subito: E
sopra tutta la terra risplenda la tua gloria!
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Perciò, o miei dilettissimi, rimaniamo fedeli con fermezza di mente e di cuore sotto un capo
così eccelso, in un corpo tanto glorioso, nel quale siamo membra gli uni degli altri. Per conseguenza
anche se mi trovassi lontano, in regioni remotissime, saremmo insieme in colui dal cui corpo non
dovremmo allontanarci mai. Se infatti abitassimo in una sola casa, diremmo certo di stare insieme:
quanto più siamo insieme allorché siamo uniti in un solo corpo! D’altronde la Verità in persona
attesta che noi siamo nella medesima casa, poiché la sacra Scrittura, che chiama la Chiesa corpo di
Cristo, dice allo stesso modo che la Chiesa è casa di Dio (cf. 1Tm 3,15) .
Ma questa casa non è edificata in un solo angolo del mondo, bensì su tutta la terra. Perciò il
salmo, nel cui titolo si legge: Quando si edificava la casa dopo la cattività, comincia così: Cantate al
Signore un cantico nuovo, cantate al Signore tutta la terra! (Sal 95,1). [Agostino, Le Lettere, II,
142,1-2 (a Saturnino ed Eufrate)].
Poniamo il caso che venga da noi uno che vuol diventare cristiano. Una persona umile, non tuttavia
un contadino, ma un cittadino, come ti capiterà spesso a Cartagine. Interrogato se vuol farsi
cristiano per qualche vantaggio di questa vita presente o per la pace che speriamo ottenere dopo
questa vita, solo per la pace futura, risponde. Dovremmo allora istruirlo con un discorso simile a
questo:
Sia ringraziato il Signore, o fratello! Mi congratulo e godo per te, che tra tante tempeste
pericolose di questo mondo pensi a qualcosa di certo e sicuro. In questa vita infatti gli uomini
cercano con grandi fatiche il riposo e la sicurezza, che però non possono trovare per le loro brame
perverse. Vogliono riposare nei beni transitori e caduchi, ma col tempo vengono loro sottratti o
finiscono, ed essi vengono perciò travolti dal timore e dal dolore e non possono restare in pace. Se
l’uomo vorrà riposare nelle ricchezze, sarà più superbo che sicuro. Non vediamo quanti le hanno
perse all’improvviso, quanti anzi sono per esse periti, o cercando di conquistarle, o tolti di mezzo da
chi voleva i loro beni? Se pur gli restassero per sempre, se non abbandonassero mai chi le ama, sarà
poi lui che, alla morte, le abbandona. Quanto dura la vita dell’uomo, anche se raggiunge la
vecchiaia? E gli uomini che desiderano diventar vecchi, che altro desiderano se non una lunga
malattia? Così gli onori di questo mondo cosa sono mai, se non infatuazione, vanità, pericolo di
rovina? Così dice la Scrittura santa: Ogni carne è erba e lo splendore dell’uomo come fiore
dell’erba. Ma l’erba inaridisce e il fiore cade: ma la parola del Signore resta in eterno (Is 40,6-8).
Perciò chi desidera il vero riposo e la vera felicità deve togliere la sua speranza dai beni mortali e
caduchi e porla nella parola di Dio: unito a ciò che resta in eterno, anch’egli rimarrà con essa in
eterno.
Ma vi sono uomini che non desiderano arricchirsi o giungere alle vane pompe degli onori:
vogliono solo aver pace e godere, mangiando e facendo l’amore, nei teatri e tra i vani spettacoli
offerti gratis nelle grandi città... Ma per quanto durino e per quanto dilettino la gioia delle ricchezze,
la soddisfazione degli onori, la libertà delle bettole, le lotte nei teatri, gli allettamenti del sesso e il
prurito delle terme, basta un po’ di febbre per togliere tutto questo, per sottrarre all’uomo, ancora in
vita, tutta la sua falsa beatitudine e lasciargli solo una coscienza ferita, che sente ormai giudice quel
Dio che non volle avere per custode, che troverà come severo padrone colui che non si diede cura di
ricercare e amare come tenero padre.
Ma tu, che cerchi la pace promessa ai cristiani dopo questa vita, anche quaggiù, pur fra le
molestie e le amarezze, godrai una soave letizia, se ami i precetti di colui che te la promette. Ti
accorgerai ben presto che sono più dolci i frutti della giustizia che i frutti dell’iniquità, ed
esperimenterai che l’uomo gioisce maggiormente se fra le molestie ha buona coscienza, che se fra le
delizie ha coscienza cattiva: tu infatti non sei venuto per unirti alla Chiesa di Dio cercando in ciò un
qualche vantaggio terreno. (Agostino, Come catechizzare i principianti, 2,16).
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