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Anifa libro marchi/ III bozza
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IL MARCHIO DI AUTOMEDICAZIONE.
UNA GARANZIA PER IL CONSUMATORE, UN VALORE PER L’IMPRESA.
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Atti del Seminario di Studio
Il marchio di automedicazione.
Una garanzia per il consumatore,
un valore per l’impresa.
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© 2003 Federchimica Anifa
via Giovanni da Procida 11
20149 Milano
per informazioni: [email protected]
tel 02 345 65251 fax 02 345 65350
Prima edizione: dicembre 2003
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INDICE
Prefazione
Introduzione
1.
VIII
X
Il marchio di automedicazione: un sistema
di valori per il consumatore
pag 14
di Beniamino Stumpo – Università Cattolica di Milano
1.1
Metodologia e campione
pag 14
1.2
Criteri di scelta dei farmaci
pag 16
1.3
Il profilo del marchio di automedicazione
pag 21
1.4
La comunicazione
pag 24
1.5
Analisi del modello Perseval
pag 27
1.6
Considerazioni conclusive
pag 37
2.
Brand Management e creazione di valore
per il consumatore
pag 42
di Salvatore Vicari- Università L. Bocconi di Milano
2.1
Il farmaco di automedicazione: le fonti informative
pag 42
2.2
Notorietà e immagine nella brand equity
pag 50
2.3
Il brand a ombrello
pag 54
2.4
Gli investimenti nel brand: il valore per l’impresa
e il valore per il cliente
pag 55
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3.
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Pagina VI
Valore economico del marchio e competizione
nel settore dell’automedicazione
pag 60
di Andrea Bonaccorsi- Scuola Superiore S. Anna di Pisa.
3.1
Un punto di vista di economia industriale
pag 60
3.2
Comportamento di acquisto e brand loyalty
pag 62
3.3
Struttura dei costi e natura della competizione
pag 65
3.4
Alcune conclusioni
pag 68
4.
Marchio di automedicazione e tutela giuridico normativa
pag 72
di Andrea Astolfi - Università di Pavia
4.1
Disciplina giuridica dei marchi
pag 72
4.2
Tutela del marchio di automedicazione
pag 75
4.3
Disciplina giuridica del marchio di automedicazione
pag 81
Considerazioni conclusive
pag 96
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Pagina VII
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PREFAZIONE
Guardo con molto piacere ed interesse a questo volume, che rappresenta indubbiamente una novità nel panorama degli studi e ricerche
in campo farmaceutico, e che affronta in modo sistematico e
approfondito un tema di grande rilievo.
Infatti, per la prima volta viene affrontata in maniera articolata la
questione del marchio nel comparto dei farmaci di automedicazione.
Il farmaco di automedicazione, come noto, in quanto esente dall’obbligo della ricetta medica, e non rimborsato dallo Stato, si pone a
cavallo tra le logiche proprie del farmaco da prescrizione e quelle
più vicine ai prodotti di libera vendita. E se, da un lato, non è possibile assimilare i farmaci di automedicazione ai comuni beni di consumo, dall’altro, deve essere comunque possibile esprimere al meglio
ed in modo efficace caratteristiche e funzioni di questi medicinali.
Come per tutti i prodotti, anche per i farmaci di automedicazione il
marchio costituisce l’esito di un lungo processo, volto ad assicurare al
cittadino la possibilità di orientarsi in sicurezza, nella individuazione
e scelta del prodotto più adatto al proprio specifico bisogno. Sotto un
altro aspetto, il marchio rappresenta il patrimonio principale dell’im-
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presa, in grado di consentire il raggiungimento dei migliori risultati.
Usare bene il marchio – anche nelle sue potenzialità di sviluppo – è
dunque un fattore critico per l’impresa, e i contributi scientifici raccolti in questo volume tracciano un percorso che permette di seguire le varie fasi che conducono alla individuazione di un marchio,
ponendone in luce gli obiettivi. le caratteristiche e le prospettive.
La complessità dei sistemi economici ed istituzionali, richiede sempre di
più la concorrenza di tutti gli attori, in una logica di “partnership” e non
di meri rapporti burocratici. In un’economia avanzata non è possibile
disconoscere il valore del marchio, anche come istituto idoneo a garantire sviluppo e crescita al sistema delle imprese e, più in generale, al Paese.
E’ quindi estremamente positivo che sia ora disponibile questo volume, che mi auguro possa venire usato come strumento di lavoro e
consultazione degli operatori - imprese e amministrazione – che
quotidianamente si trovano ad affrontare, in diverse forme, questa
delicata e importante problematica.
Buon lavoro.
On. Bruno Tabacci
Presidente Commissione Attività Produttive
Camera dei Deputati
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INTRODUZIONE
Questo volume raccoglie quanto emerso nel Seminario di Studio “Il
marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un
valore per l’impresa”, tenutosi a Roma nell’aprile 2003.
Nella giornata, alcuni tra i più autorevoli esperti in materia hanno illustrato - ciascuno dal suo specifico punto di vista - i vari aspetti che
entrano in gioco al momento della definizione di un marchio per un
medicinale di automedicazione. Si è partiti dal consumatore, cercando
di comprendere quali valori attribuisca al marchio. Sono state quindi
affrontate le specifiche del mercato farmaceutico dell’automedicazione,
per giungere ad illustrare le implicazioni industriali dei marchi anche
in termini di asset d’impresa, e la relazione conclusiva ha infine definito in modo esaustivo il quadro normativo di riferimento.
Gli atti del Seminario costituiscono quindi un compendio unitario e
sistematico - in grado di fornire al lettore una fotografia d’insieme
della materia - attraverso cui orientarsi nel difficile e delicato percorso che porta alla valutazione di un marchio.
Tutte le relazioni hanno posto in primo piano la necessità che attraverso il marchio giunga al consumatore un messaggio preciso, veritie-
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ro e facilmente comprensibile. E la cosa appare ancor più importante
se si pensa allo specifico del settore farmaceutico; dove i consumatori
non si aspettano promesse generiche ed emotive - come è nel caso dei
prodotti di largo consumo - bensì garanzia di cura e sicurezza.
E’ di primario interesse per un’azienda che investa in un nuovo
marchio - o che si prefigga l’obiettivo della cosiddetta line-extension
- porre in essere tutte le attenzioni affinché il marchio non perda
nessuna delle sue caratteristiche identificative e di significato. In
altre parole, un marchio forte è prima di tutto un marchio che significa qualcosa con precisione, come un cartello stradale che richiama
l’attenzione e trasferisce un’informazione importante. Di conseguenza è basilare per un’impresa che anche attraverso il marchio dei propri medicinali il cittadino sia messo nelle condizioni migliori di
rivolgersi a un farmaco adatto al proprio bisogno di cura.
In secondo luogo, il marchio costituisce un importante asset industriale, frutto di ingenti investimenti, e rappresenta in qualche modo
la firma di un prodotto, il nome dell’azienda e dunque di chi ne è in
ultima analisi il garante. Attraverso il marchio l’azienda si presenta
all’esterno, e quindi più un marchio è noto più l’azienda curerà che
i prodotti che lo portano siano in grado di assolvere alla loro funzione. Come detto, nello specifico del campo farmaceutico la sicurezza ed efficacia del trattamento del disturbo rappresentano i fattori chiave su cui si appunta l’attenzione del consumatore, ed è per
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questo che dato il binomio sicurezza/efficacia-marchio, quest’ultimo
costituisce un evidente elemento di garanzia per il consumatore.
Il marchio è quindi prima di tutto un investimento aziendale per il
consumatore, ma è anche uno strumento operativo per l’impresa che
va visto nei suoi contenuti di positivo sviluppo, che permette a un’azienda di stare sul mercato, di competere, di generare risorse e quindi maggiore ricchezza e complessivo benessere.
Il quadro normativo di riferimento, infine, fornisce una chiara indicazione di quello che può essere definito “l’ambito operativo sostenibile” per l’uso dei marchi nel comparto farmaceutico dell’automedicazione. In questo senso, il vaglio amministrativo sui marchi - che
ne determina la finale accettabilità - rappresenta un elemento critico nella ricerca del giusto equilibrio tra legittime istanze aziendali e
l’altrettanto importante dovere dell’autorità sanitaria di tutela della
salute pubblica. E per la prima volta si è andati nel profondo delle
norme e dei principi, con l’obiettivo di porre l’attenzione sui capisaldi in base ai quali è possibile giudicare la legittimità e dunque utilizzabilità di un marchio per i farmaci OTC.
Quello che il volume degli atti non contiene è la discussione stimolata dal Seminario, e il senso di essere riusciti ad affrontare una così
delicata materia in modo franco, costruttivo e di aperto dibattito.
Forse è questo il principale obiettivo raggiunto.
I marchi per i medicinali di automedicazione sono una cosa impor-
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tante, e gestiti in modo opportuno garantiscono sicurezza per i cittadini e sviluppo per le imprese. Condividere questo principio è il
primo passo, indispensabile, per affrontare in modo serio l’argomento, e su questa base gli atti raccolti nel volume possono davvero
diventare la “cassetta degli attrezzi” per tutti gli operatori e un
punto di riferimento per il conseguimento di soluzioni condivise.
Angelo Zanibelli
Presidente ANIFA
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
1. Il marchio di automedicazione:
un sistema di valori per il consumatore
di Beniamino Stumpo - Professore di Psicologia della Pubblicità
Università Cattolica di Milano.
1.1 Metodologia e campione
Questo studio è stato svolto con lo scopo di esplorare i valori del marchio di automedicazione partendo dal consumatore, cioè da chi questi farmaci li utilizza. Questa indagine è stata svolta con un metodo e
un modello rigorosamente scientifici di misurazione e valutazione
della relazione tra il consumatore e il marchio di un farmaco di automedicazione. Si è trattato di un’indagine quantitativa, condotta con
criteri psicologici e con uno strumento che consente una lettura qualitativa e psicologica del dato quantitativo, su un campione di 550
soggetti dai 18 anni in su, utilizzatori di farmaci di automedicazione
negli ultimi tre mesi (Figura 1), quindi con un’esperienza precisa e
reale, in relazione a tre aree principali (Figura 2):
2
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
•
Raffreddore/tosse/mal di gola o altri piccoli problemi
dell’apparato respiratorio
•
Piccoli disturbi digestivi/gastrici/epatici o intestinali
•
Mal di testa/Nevralgie/Mal di denti/Dolori muscolari
o articolari
CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE
Base: totale campione
Sesso
Età
18-24 anni
Maschi
8.4
25-34 anni
45,8
22.9
35-44 anni
26.0
17.8
45-54 anni
Femmine
54,2
55-64 anni
14.4
oltre 64 anni
Istruzione
Laurea
Professione
12.2
46.4
Media superiore
31.8
Media inferiore
Licenza elementare
Nessun titolo
8.2
0.2
9.3
Ceti superiori
Impiegati/
Insegnanti
8.2
35.5
12.7
Operai
Disoccupati
2.6
Pensionati
Studenti
Casalinghe
14.2
8.5
16.7
Figura 1
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
PROBLEMI CURATI - INTERVISTE
Base: totale interviste
Problemi curati negli ultimi tre mesi
Intervista riferita a ...
Apparato
digerente
12,4%
Dolori/
Nevralgie
58,4%
Apparato
respiratorio
Apparato
digerente
Dolori/
Nevralgie
72.4
16.5
65.3
Apparato
respiratorio
29,3
Figura 2
1.2 Criteri di scelta dei farmaci
Un primo ambito di indagine ha lo scopo di analizzare quali siano
gli atteggiamenti ed i processi mentali antecedenti all’acquisto di un
farmaco di automedicazione (Figura 3).
Il processo decisionale e di scelta si situa decisamente all’esterno del
punto vendita, ossia della farmacia. Ciò indica chiaramente come il
processo stesso non sia guidato dall’impulso del momento o da fattori
contingenti, al contrario di quanto spesso accade nei mercati del largo
consumo. Esso appare piuttosto ragionato e meditato, configurandosi
come il punto d’arrivo di procedure mentali di valutazione e analisi.
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
DECISIONE SUL FARMACO
Base: totale interviste
Quando è entrato in farmacia...
Esperienze precedenti con il farmaco
Usato anche in passato
92,9%
Già deciso
94,6%
Altro prodotto
0,9%
Prima volta 7,1%
Non aveva deciso
4,5%
Criteri di scelta
Base: hanno usato in passato
Esperienza Medico
48,6
30,7
Parenti
7,2
Amici
6,5
Pubblicità
5,9
Altro
1,1
Criteri di scelta
Base: hanno scelto in farmacia
Consiglio
del farmacista
93,3
Visto prodotto
in farmacia
6,7
Figura 3
Tra i fattori influenti sulla scelta, determinanti sono l’esperienza
pregressa con il farmaco, su cui più analiticamente avremo modo di
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
tornare, e il parere del medico (Figura 4).
E’ possibile asserire, in ultima analisi, che l’acquisto di un farmaco di automedicazione non costituisce un atto impulsivo o generato dall’emozionalità,
ma piuttosto un comportamento razionale e guidato dalla consapevolezza.
La Figura 4 pone in evidenza i parametri che guidano la scelta del farmaco di automedicazione in generale; illustra i driver che maggiormente
orientano la scelta finale dell’individuo che ha un problema ma non sa
come risolverlo, ossia non sa che farmaco scegliere (ad esempio, perché
CRITERI RILEVANTI NELLA SCELTA
Base: totale interviste
Il medico e in seconda battuta il farmacista sono gli influenti, seguiti
dall’ambito familiare. La comunicazione viene citata da poco meno
del 15% degli intervistati.
Medico Farmacista Amici
1,3
7,5
19,1
II posto
13,1
68,9
7,8
I posto
82,0
14,5
0,5
Indice di importanza 91,2
62,9
12,1
III posto
Parenti Pubblicità Marca
26,2
11,6
3,9
3,6
1,5
0,9
1,8
0,4
0,2
12,9
5,3
2,0
Prezzo
6,9
2,4
0,4
4,3
Figura 4
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
non ha esperienze precedenti, o perché al contrario non è stato soddisfatto dal farmaco utilizzato l’ultima volta che si è presentato il disturbo).
In questa prospettiva, è possibile asserire che:
- il ruolo chiave è svolto dagli operatori sanitari e in primis dal medico;
- il primo contatto con il farmaco OTC è nella grandissima maggioranza dei casi mediato dalla presenza rassicurante di un esperto a cui si delega con fiducia il problema dell’identificazione del rimedio più idoneo;
- la scelta, dunque, è assai poco autonoma e il marchio in sé non costituisce uno stimolatore primario in questo senso. Esso diventa importante successivamente, dopo aver ricevuto la legittimazione dell’operatore
sanitario e dopo che la sua efficacia/affidabilità è stata direttamente sperimentata dal consumatore, dopo cioè una positiva esperienza d’uso;
- se il farmaco indicato dall’operatore sanitario ha effettivamente
risolto il problema, il marchio diviene rilevante quale criterio di conferma per le esigenze future: ove il disturbo dovesse ripresentarsi, il
marchio diventerà un driver di decisione essenziale perché consentirà di ripetere con successo l’esperienza passata.
Considerando la scelta intesa come la prima volta in cui l’individuo
decide di ricorrere ad un certo farmaco che non ha sperimentato in
precedenza, appare evidente come la decisione sia delegata all’esperto e debba poi essere convalidata dall’esperienza d’uso. Il marchio
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
diviene invece significativo per le successive esperienze, quale criterio necessario per orientarsi nell’ambito dell’offerta del mercato e per
riconoscere il farmaco già utilizzato con successo.
Il marchio, in altre parole, agisce come criterio di conferma più che
di scelta iniziale.
A riprova di quanto già detto circa l’importanza cruciale dell’esperienza
pregressa, tre intervistati su quattro confermano con certezza il riutilizzo
del farmaco, ponendo in evidenza marcate dinamiche di fedeltà (Figura 5).
PROPENSIONE A RIUTILIZZARE IL FARMACO
Base: totale interviste
Propensione al riutilizzo del farmaco
Certamente si 75%
Probabilmente si
21,8%
Certamente no
1,6%
Probabilmente no
1,6%
Criteri di scelta in caso di cambio
Base: non sono certi di utilizzare
Medico Farmacista Prezzo
85,5
21,7
10,9
Parenti
8,7
Amici
2,9
Marca Pubblicità
2,2
0,7
Figura 5
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
Inoltre, ancora una volta l’operatore sanitario (e primariamente il
medico) è il garante della scelta di chi non è certo di riutilizzare lo
stesso farmaco in futuro.
1.3 Il profilo del marchio di automedicazione
In linea generale, il marchio di automedicazione è garante di:
- affidabilità ed efficacia terapeutica, poiché l’esigenza cruciale è
che il farmaco risolva con certezza il problema;
- riconoscibilità e facilità di scelta, in quanto costituisce un criterio
prezioso affinché il consumatore possa orientarsi nel vasto e variegato panorama dell’offerta, e giungere senza difficoltà a ritrovare il
prodotto usato in precedenza con successo (Figura 6).
Su un piano più specificamente psicologico, è possibile asserire che il marchio
garantisce all’individuo che egli troverà sollievo al suo disturbo, che la soluzione
esiste, poiché ha già funzionato in passato. Il marchio, sotto il profilo simbolico,
rappresenta per così dire la certezza del futuro, e porta la rassicurazione della
prevedibilità (guarigione) nell’imprevedibilità del futuro stesso (non si sa se e
quando si incorrerà nuovamente nel disturbo, ma si sa che lo si risolverà).
Tutto ciò, però, rischierebbe di essere inutile se non esistesse un facile accesso alla soluzione, ovvero all’affidabilità/efficacia terapeutica
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
LE GARANZIE DEL MARCHIO
Base: totale interviste (valori %)
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Affidabilità
Efficacia Riconoscibilità Facilità
terapeutica
di scelta
Sicurezza
Chiarezza
Ricerca
e innovazione
Giusto
prezzo
Figura 6
del farmaco precedentemente usato con successo, se non fosse possibile ritrovarlo con facilità e precisione.
Il marchio costituisce dunque anche il prezioso garante della riconoscibilità e facilità di scelta, configurandosi metaforicamente come il cartello
indicatore della salute. Lo stesso schema è poi differenziato in funzione
di fasce d’età (Figura 7). Certamente, per i giovani, il marchio è ancora
più importante, soprattutto come garante della facilità di scelta e anche
di un giusto prezzo. La fascia intermedia d’età è più o meno allineata alla
media del campione. I più anziani sono un po’ più conservatori, nel senso
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
LE GARANZIE DEL MARCHIO
Base: 18-34 anni vs. totale
I giovani attribuiscono una valenza più positiva al marchio,
soprattutto come garante di facilità di scelta e anche di giusto prezzo.
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Affidabilità
Efficacia Riconoscibilità
terapeutica
18-34 anni
Facilità
di scelta
Sicurezza
Chiarezza
Ricerca
e innovazione
Giusto
prezzo
◆ totale
LE GARANZIE DEL MARCHIO
Base: 35-54 anni vs. totale
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Affidabilità
Efficacia Riconoscibilità
terapeutica
35-54 anni
Facilità
di scelta
Sicurezza
Chiarezza
Ricerca
e innovazione
Giusto
prezzo
◆ totale
Figura 7
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
LE GARANZIE DEL MARCHIO
Base: 55+ anni vs. totale
Le persone più anziane tendono ad essere più conservatrici e indifferenti,
concentrandosi sugli aspettichiave di affidabilità ed efficacia terapeutica
(il campo cognitivo si restringe con l’età).
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Affidabilità
55+
Efficacia Riconoscibilità
terapeutica
Facilità
di scelta
Sicurezza
Chiarezza
Ricerca
e innovazione
Giusto
prezzo
◆ totale
Figura 7
che tutto sommato tendono a non prendere in considerazione altri farmaci e l’elemento chiave resta sempre efficacia ed affidabilità terapeutica. D’altra parte sappiamo che, oltre una certa fascia d’età, la sensibilità
al timore di malesseri, disturbi, malattie, cresce.
1.4 La comunicazione
Altro tema indagato è la comunicazione: che cosa pensa, che cos’è la
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
comunicazione nella testa del consumatore. Solo il 56% del campione è globalmente soddisfatto della comunicazione e dichiara di aver
visto pubblicità di farmaci di automedicazione (Figura 8).
LA COMUNICAZIONE
Base: totale interviste
Ricordo di pubblicità televisiva
Si
56,4%
No
43,6%
Valutazioni positive Base: hanno visto la pubblicità
Chiara
71,6
Informativa
69,0
Utile Convincente Piacevole Diversa
62,3
54,8
45,2
33,2
Valutazioni negative Base: hanno visto la pubblicità
Generica
60,0
Banale Indifferente Inutile
34,5
30,6
18,4
Confusa Irritante
15,8
15,8
Figura 8
Le valutazioni degli intervistati pongono in evidenza due aspetti
significativi. In primo luogo, pur essendo chiara e informativa, la
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
comunicazione è altresì generica e non risulta avere quindi un preciso effetto brandizzante: il consumatore, si può asserire, ha la percezione che i diversi farmaci per il medesimo disturbo usino più o
meno lo stesso approccio, lo stesso format, gli stessi argomenti,
senza riuscire a differenziarsi nettamente.
In secondo luogo, va posto in rilievo il saldo decisamente positivo nel
confronto tra gli attributi contrapposti (chiara vs. confusa, utile vs.
inutile, convincente vs. indifferente, piacevole vs. irritante), che pare
indicare come a livello di atteggiamento di fondo non solo il consumatore non sia ostile alla pubblicità dei farmaci di automedicazione, ma anzi sembri volerne sapere di più.
In una prospettiva interpretativa più ampia, approfondendo le implicazioni psicologiche del quadro sopra illustrato, è possibile asserire
che la comunicazione svolge per il consumatore un importante ruolo
di organizzatore cognitivo della realtà, poiché lo supporta ed aiuta nel
ritrovare e riconoscere i farmaci che, indicati in prima scelta dall’operatore sanitario e validati poi dall’esperienza positiva, gli garantiscono la ragionevole certezza di risolvere nuovamente il suo problema.
La pubblicità, in altre parole, aiuta le persone a ripetere le scelte
rivelatesi efficaci in passato, e agisce indirettamente con “effetto virtuoso” sulla spesa sanitaria, diminuendo la probabilità di errori di
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
scelta da parte del consumatore, errori che ricadrebbero poi sul servizio sanitario (ad es., ritorno dal medico, passaggio a farmaci con
prescrizione perché appaiono “più efficaci”, ecc.).
1.5 Analisi del modello Perseval
Scendendo più in dettaglio nella testa del consumatore è possibile analizzare, sul piano dei valori, che cosa rappresenti per lui il marchio di
automedicazione, al di là dell’essere un criterio di conferma e non di
scelta. È stato utilizzato, per svolgere questa analisi, un modello statistico, matematico e psicologico di analisi dei valori che innanzitutto
rileva i valori delle persone il cui presupposto è sostanzialmente che il
legame tra gli individui/consumatori e la marca sia un legame basato
sulla relazione tra i valori degli individui ed i valori riconosciuti alle
marche. Per fare un’analogia è come quando, nei rapporti interpersonali, si decide se diventare amici e fidarsi di una persona, oppure no.
Le Dimensioni valoriali chiave, il set valoriale del campione nel suo
insieme sono rappresentate da (Figura 9):
- Etica.
- Benevolenza.
- Idealismo.
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
- In misura minore, Conformità e Autodirezione.
In senso più ampio, gli intervistati risultano riconoscersi nella sfera
valoriale dell’individualità condivisa:
- essere se stessi e aver consapevolezza del proprio valore;
- ma al tempo stesso saper costruire relazioni positive con gli altri
(dare e ricevere affetto), aprendosi ad essi e rispettandoli;
- rendendo dunque le proprie capacità individuali disponibili per
progetti e fini condivisi con gli altri.
PROFILO VALORIALE - INDIVIDUI
Base: totale interviste
AUTOREALIZZAZIONE
STIMOLAZIONE
- 0,36
AUTODIREZIONE
- 0,30
IDEALISMO
0,21
- 0,90
0,30
- 0,07
POTERE
EDONISMO
0,43
- 0,27
0,56
0,21
BENEVOLENZA
CONFORMITA'
ETICA
Individui
Figura 9
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
Le Dimensioni valoriali riconosciute al marchio di automedicazione in generale sono (Figura 10):
- Benevolenza.
- Etica.
- Conformità.
- In certa misura, anche Idealismo.
PROFILO VALORIALE MARCHIO DI AUTOMEDICAZIONE Base: totale interviste
AUTOREALIZZAZIONE
STIMOLAZIONE
- 0,03
AUTODIREZIONE
- 0,17
- 0,11
- 0,55
IDEALISMO
0,11
- 0,00
POTERE
0,60
- 0,25
BENEVOLENZA
0,17
0,20
EDONISMO
CONFORMITA'
ETICA
Brand
Figura 10
In una prospettiva interpretativa più ampia, il marchio di automedicazione risulta rappresentare per i soggetti la sfera valoriale della
relazionalità morale, i cui pivot sono:
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
- apertura agli altri, attenzione e sensibilità alle loro esigenze, supporto e sostegno;
- sulla base non solo di elementi affettivi (simpatia, empatia), ma
anche di precisi principi morali, quali onestà, lealtà, correttezza.
Il marchio di automedicazione, in ultima analisi, rappresenta fortemente per gli individui un mondo valoriale affidabile, caldo, rassicurante, definibile simbolicamente di onesta amicizia. Nella percezione degli intervistati, si potrebbe dire, è capace non solo di curarli, ma anche di aver cura di loro.
PROFILO VALORIALE: MARCHIO-INDIVIDUI
Base: totale interviste
AUTOREALIZZAZIONE
STIMOLAZIONE
0,03
- 0,36
AUTODIREZIONE
- 0,11
0,21
0,17
- 0,30
- 0,55
- 0,00
- 0,07
POTERE
EDONISMO
IDEALISMO
0,11
0,30
- 0,90
- 0,25
- 0,27
0,17
0,20
0,56
0,60
0,43
BENEVOLENZA
0,21
CONFORMITA'
ETICA
Individui
Brand
Figura 11
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
Di converso, va anche rilevato come il marchio di automedicazione non
rappresenti valori né di Potere (non è cioè arrogante, “pesante”, dominante), né di Stimolazione (non è imprevedibile, inaffidabile, rischioso).
Anche questo aspetto, dunque, conferma le valenze rassicuranti e la
stabilità del marchio a livello valoriale.
Mediante l’applicazione del modello matematico-statistico di Perseval
ai profili valoriali dei soggetti da un lato e del marchio dall’altro, è
stata analizzata e misurata la relazione psicologica esistente tra gli
intervistati e il marchio di automedicazione in generale (Figura 12).
ANALISI DELLA RELAZIONE MARCHIO-INDIVIDUI
Base: totale interviste
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
AFFINITÀ
ASPIRAZIONE
78,9
23,9
Figura 12
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
Sul piano interpretativo è possibile asserire che:
- L’indice di affinità, che misura quanto i valori dei soggetti coincidono con quelli che essi attribuiscono al marchio, è decisamente elevato.
Gli individui e il marchio di automedicazione, dunque, sono fortemente in sintonia e condividono in larga misura gli stessi valori.
La relazione psicologica tra gli uni e l’altro è conseguentemente stabile e solida, caratterizzata da un alto grado di fiducia.
- L’indice di aspirazionalità, che misura la desiderabilità e il “fascino” del marchio, è invece decisamente basso.
Il marchio di automedicazione non costituisce dunque un “oggetto
del desiderio”, del tutto coerentemente con le peculiari caratteristiche del mercato considerato: consumo dettato da necessità e non da
libera scelta, finalità curativa dei farmaci.
Difficile, in altri termini, trovare desiderabile un marchio che elettivamente si associa a situazioni oggettive di disagio e sofferenza: avere
un amico sicuro nei momenti del bisogno non significa che ci si voglia
sempre trovare in momenti di bisogno, verrebbe fatto di dire.
È possibile asserire, in ultima analisi, a conferma e rinforzo di quanto detto inizialmente circa il processo di acquisto ragionato, che nel
rapporto psicologico con il marchio di automedicazione sono sostanzialmente assenti le componenti di impulso/compulsione/ dipenden-
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
za, e che il rapporto stesso si basa primariamente su una ragionata
e ragionevole fiducia. Ciò è chiaramente indicato dalla concomitanza e convergenza di alta affinità e bassa aspirazionalità, considerando che la prima esprime essenzialmente fiducia e sicurezza, e che la
seconda è tipicamente alta nei mercati d’impulso, ove il desiderio
irrazionale del prodotto può essere un driver di scelta potente.
I due tipi di relazione psicologica con il marchio dominanti nel quadro precedentemente descritto (alta affinità/bassa aspirazionalità),
risultano così caratterizzati (Figura 13):
- Relazione genitoriale: il marchio di automedicazione è simbolicamente padre e madre, l’atteggiamento di fondo dei consumatori è di
delega (affidarglisi pienamente, in fiducia e sicurezza).
- Relazione amicale: il marchio si connota simbolicamente come un
amico e partner, l’atteggiamento di base dei soggetti è più adulto e
autonomo, coerentemente con il concetto stesso di automedicazione,
in una prospettiva di fiducia e serenità (“facciamo un po’ di strada
insieme”, per così dire).
Approfondendo quanto emerso in precedenza, appare evidente come
globalmente tutte le dimensioni valoriali concorrano significativamente a determinare l’elevata affinità tra i soggetti e il marchio di
automedicazione (Figura 14).
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
TIPOLOGIA DELLA RELAZIONE
Base: totale interviste
Amicale
68,8%
Ambivalente
0,7%
Genitoriale
18,1%
Conflittuale
12,4%
Nel complesso, l’87% degli intervistati ha una buona relazione con il marchio
Figura 13
Ciò indica che la fiducia riposta dai consumatori nel marchio è stabile e omogenea al suo interno, supportata equilibratamente da
un’ampia serie di valori chiave. Detto in altri termini: il marchio e
gli individui non condividono solo un set di valori, per quanto
ampio, ma una vera e propria visione valoriale di fondo.
Più in dettaglio, le dimensioni Benevolenza e Conformità svolgono
un ruolo particolarmente significativo in questo scenario.
Il marchio di automedicazione, dunque, è considerato importante e
degno di fiducia primariamente perché esprime valori di protezione
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
AFFINITÀ PER DIMENSIONE VALORIALE
Base: totale interviste
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
84,9%
74,7%
74,1%
95,1%
89,6%
80,3%
69,6%
79,4%
57,7%
85,8%
Figura 14
e fedeltà: protegge, si prende cura, ci si può contare, e inoltre è stabile, costante e affidabile nell’offrire ciò.
E’ significativo e importante notare come, pur in presenza di una
complessivamente bassa aspirazionalità, la dimensione Benevolenza
risulti comunque rilevante (Figura 15).
Se dunque Benevolenza indica in senso valoriale la capacità di offri-
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ASPIRAZIONE PER DIMENSIONE VALORIALE
Base: totale interviste
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
22,8%
14,6%
14,5
54,5%
24,2%
14,9%
5,6%
19,9%
11,6%
6,6%
Figura 15
re protezione, conforto, benessere, e di farsi carico delle esigenze
altrui, il punteggio di questa dimensione nel panorama di una limitata aspirazionalità sta ad indicare che per i soggetti il marchio di
automedicazione possiede questi valori in misura tale da essere un
modello e un esempio.
Il marchio di automedicazione, si può asserire, rappresenta in modo
esemplare la Benevolenza e la capacità di aver cura degli altri.
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
1.6 Considerazioni conclusive
Il quadro interpretativo globale emerso dallo studio pone prima di tutto in
netta evidenza la specificità del mercato dei farmaci di automedicazione:
- Esso costituisce un contesto del tutto atipico e peculiare a livello
psicologico, in cui non valgono le classiche dinamiche dei mercati di
largo consumo.
- Le leve psicologiche e i processi mentali sono dunque diversi nel
caso dei beni di largo consumo e del farmaco di automedicazione,
cosicché generalizzare i criteri e le chiavi di lettura dei primi al secondo appare non solo improprio e indebito, ma altresì fuorviante.
- Più precisamente, è possibile individuare una serie di contrapposizioni che rendono psicologicamente antitetici i prodotti massmarket e i farmaci di automedicazione.
Volendo esemplificare schematicamente le giustapposizioni in questione, è possibile delineare il quadro seguente:
Prodotti di largo consumo
Farmaci di automedicazione
• Dimensione psicologica positiva: ricerca di gratificazioni
• Dimensione psicologica negativa: stato di malessere/sofferenza cui sottrarsi.
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
• Connessione con le aspirazioni
e i sogni degli individui (leve
primarie del consumo).
• Processo di decisione e scelta
(primo contatto) gestito in modo
prevalentemente autonomo: pur
influenzato da fattori esterni l’individuo resta il decisore finale.
• Il consumatore sceglie liberamente e accede con facilità a
nuove marche/prodotti.
• Il rapporto psicologico con il
prodotto è ricco di componenti d’impulso ed emozionali.
• La marca deve essere aspirazionale ed esprimere aspetti di
fascino e glamour.
• Il consumatore è spesso infedele e mutevole
• Connessione con la necessità
di curarsi.
• Processo di decisione e scelta
basato inizialmente sulla
mediazione dell’ operatore
sanitario: il consumatore delega la prima decisione, ne verifica l’efficacia terapeutica, la
ripete se l’esito è positivo.
• Il consumatore ripete e conferma la scelta degli esperti e,
ogni qualvolta si confronta
con un marchio per lui nuovo,
anche se magari riecheggiante
uno già noto, cerca per lo più
la rassicurazione dell’operatore sanitario.
• Il rapporto psicologico con il
marchio è razionale ed equilibrato.
• Il marchio garantisce riconoscibilità, sicurezza, protezione.
• Il consumatore è molto fedele,
cambia marchio prevalentemente se l’operatore sanitario
legittima il cambiamento (rassicura e garantisce).
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
Risulta dunque evidente come i presupposti psicologici del massmarket non si adattino al mercato dei farmaci di automedicazione,
e ne deformino anzi la reale natura.
Le implicazioni di quanto illustrato finora per le dinamiche di evoluzione e sviluppo del farmaco di automedicazione possono essere
così espresse:
- Il marchio di automedicazione non solo è un valore di riferimento
per il consumatore, ma rappresenta altresì per quest’ultimo un set
di valori forti: protezione, fiducia, lealtà, capacità di aver cura
degli altri, affidabilità, serenità.
- In forza delle peculiarità nette del mercato in oggetto, non appaiono sussistere significativi rischi di consumismo, del quale, come
evidenziato in precedenza, mancano i presupposti psicologici
(aspirazionalità).
- Se il marchio è un elemento chiave per la riconoscibilità e la facile accessibilità del farmaco, che consente di ripetere la positiva
esperienza passata (guarigione), ne discende che la generalizzazione del marchio, ovvero l’utilizzo del marchio ombrello, fornisce
al consumatore un utile e rilevante filo conduttore per orientarsi
nel variegato panorama dell’offerta.
In relazione all’ultimo punto, va tuttavia detto con estrema chiarez-
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
za che la generalizzazione del marchio è un processo complesso, da
realizzare eventualmente con attenzione e oculatezza, poiché:
- non è automatico e scontato, né accettato acriticamente dal consumatore;
- comporta comunque una precisa assunzione di responsabilità agli
occhi del consumatore: se il nuovo farmaco proposto non soddisfa
le attese di efficacia terapeutica, ne sarà danneggiata la reputazione del marchio in tutti i prodotti in cui si esprime;
- è possibile solo secondo un criterio percepito e percepibile di coerenza e continuità logica. Detto altrimenti: un marchio ombrello può
coprire un’area omogenea di sintomi e disturbi, ma non può affrontare i problemi più disparati, poiché non sarebbe credibile (il patrimonio di credibilità ed efficacia può essere speso solo nel settore in
cui si è creato e consolidato, o in quelli strettamente contigui);
- non implica in nessun modo una prima scelta autonoma da parte
del consumatore: questi, nel momento in cui entrasse per la prima
volta in contatto con un farmaco il cui marchio gli sia già noto, ma
per altri disturbi affini o in una diversa forma galenica, cercherebbe comunque quasi sempre la legittimazione e l’avallo dell’operatore sanitario.
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Il marchio di automedicazione: un sistema di valori per il consumatore
In sintesi: il marchio di automedicazione rappresenta per gli
individui una protezione dall’incertezza, oggi più che mai elevata e quindi ansiogena, e un fattore significativo di semplificazione della vita, concorrendo così a migliorarne la qualità.
Per usare una metafora, si potrebbe dire che il marchio di
automedicazione consente al consumatore di cercare la soluzione efficace al suo disturbo non più attraverso un confusivo
caleidoscopio, ma usando un cannocchiale di precisione.
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
2. Brand Management e creazione
di valore per il consumatore
di Salvatore Vicari - Professore di Economia e Gestione
delle Imprese – Università Bocconi, Milano.
Abstract
Dopo una brevissima introduzione, in tale scritto si affronterà il tema
generale dei prodotti di automedicazione, in seguito la questione
della brand equity, intesa sostanzialmente come valore della marca.
Si affronterà poi il tema del “brand a ombrello”, definito come un brand
che copre più linee di prodotto, ed infine si giungerà alle conclusioni.
2.1 Il farmaco di automedicazione: le fonti informative
Per dare una definizione del prodotto di automedicazione, detto anche
da banco, è necessario partire dalla caratteristica che lo contraddistingue, già insita nel nome, data dal fatto che non necessita dell’intervento del medico. Nel mercato dei farmaci di automedicazione la
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Brand Management e creazione di valore per il consumatore
domanda è funzione di tre cause principali: lo stato di diffusione di
una malattia, la decisione da parte di alcuni pazienti di iniziare a
curare un disagio che fino ad allora non curavano ed il passaggio dei
farmaci dallo status di prescrizione a quello di automedicazione.
L’aumento della domanda di prodotti da automedicazione può comportare, naturalmente, un minore impegno di risorse pubbliche. Il
farmaco di automedicazione utilizza le risorse private della domanda; ciò genera un problema, che in qualche modo sta alla base della
presente ricerca. Infatti, se da un lato bisogna favorire ove possibile
l’autocura perché permette di ottimizzare le risorse da destinare al
mercato ed alla politica sanitaria, dall’altro lato esiste, ovviamente,
il problema della protezione del consumatore. Questo è il nodo centrale ed è in tale contesto che va inserita la problematica della
marca: fino a che punto il brand ha a che fare con questi temi e fino
a che punto può in qualche modo aiutare a risolverli? Per comprendere questo punto, cioè l’importanza della protezione del consumatore, e richiamandoci alla definizione iniziale, cioè l’assenza sostanziale nel momento critico del medico (anche se esso è comunque presente sullo sfondo) bisogna porre l’accento sul fatto essenziale, vale
a dire l’assenza di una prescrizione.
Non essendoci la mediazione del medico, che cosa richiede in parti-
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colare un farmaco di automedicazione? In primo luogo richiede che
il consumatore sia consapevole, nel senso che sappia come prendersi cura di sé: il problema della salute, in questo caso, deve essere
autodiretto. In secondo luogo, il consumatore deve essere in grado di
effettuare un’autodiagnosi e di capire se il problema che deve
affrontare sia risolvibile con un farmaco di automedicazione. In
seguito il consumatore deve sapere se tale farmaco risponda al bisogno terapeutico ed infine deve saper distinguere, avere una capacità
di discernimento tra le marche, cioè deve capire se un farmaco sia
adatto a risolvere il problema e, nel caso in cui non sia adatto, deve
essere in grado di condurre una ricerca di soluzioni alternative.
Questi sono i requisiti necessari perché il consumatore sia in grado
di utilizzare correttamente il prodotto di automedicazione.
Inoltre il consumatore deve poter usare il farmaco con certezza e
sicurezza, potendo confidare sulla consapevolezza della sua efficacia.
Le ricerche, condotte su un campione rappresentativo di acquirenti
di farmaci OTC, indicano (Figura 1) come nell’acquisto di uno specifico farmaco (quello che il consumatore utilizza per il problema
del momento), il principale elemento di cui ci si avvale sono, per
quasi metà campione, la conoscenza e l’esperienza: il farmaco viene
scelto ed utilizzato nel momento in cui è noto, se lo si conosce, se lo
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Brand Management e creazione di valore per il consumatore
MOTIVAZIONI DELL’ACQUISTO DI UNO SPECIFICO FARMACO OTC
domanda aperta, possibili più risposte
Conoscenza
ed Esperienza
44,6%
“Lo conosco, è
un farmaco noto”
Efficacia
e fiducia
Consigli
Pubblicità
“Lo uso
abitualmente
da tempo”
“È efficace”
“Ho fiducia
nel farmaco”
31,2%
21,2%
5,0%
“Mi è stato consigliato”
“Consiglio del medico”
“Consiglio del farmacista”
“Ho visto la pubblicità”
Fonte: Ricerche Valdani Vicari
Osservatorio Marche Marzo 2003
I rispondenti hanno avuto un disturbo
negli ultimi 3 mesi
Figura 1
si è usato in precedenza e a volte anche se lo si possiede già. Il secondo elemento di cui il consumatore si serve nell’acquisto di un farmaco di automedicazione è dato dalla percezione di efficacia e dalla
fiducia riposta in quel prodotto.
Infine, un fattore importante per la scelta e l’acquisto di un farmaco di automedicazione è relativo all’area dei consigli: il farmaco scelto spesso è stato consigliato dal medico, anche se non necessaria-
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mente in quel momento o per quell’occasione, o dal farmacista al
momento dell’acquisto. Una minoranza, inoltre, cita la pubblicità
come fonte orientativa e decisiva per la scelta.
Quali conclusioni è possibile trarre? Prima di tutto emerge come la
base fondamentale della scelta sia riconducibile alla conoscenza specifica accumulata, cioè all’esperienza personale. Quando questa non
è sufficiente, quando cioè il consumatore/paziente non si sente sufficientemente sicuro della propria esperienza, ricorre a fonti informative esterne, principalmente costituite dal medico e dal farmacista, in
seguito eventualmente integrate da altre figure quali, come ci dicono
le ricerche, amici, parenti ed in parte anche materiale pubblicitario.
Diventa decisivo in tali situazioni il consiglio di persone non esperte,
che basano i propri suggerimenti principalmente su ricordi, vaghe
sensazioni, memorie di prescrizioni mediche passate e simili.
Risulta, dunque, evidente l’emergere da parte del consumatore di un
reale bisogno d’informazione e risulta allo stesso modo evidente la
necessità che tale bisogno venga soddisfatto da attori competenti e
credibili. Il primo attore coinvolto è, ovviamente, il Sistema
Sanitario, dal momento che lì si pongono le basi per la protezione
del consumatore attraverso l’insieme delle regole e che rappresenta
ciò che distingue questo mercato dal mercato del largo consumo. In
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Brand Management e creazione di valore per il consumatore
secondo luogo, un ruolo fondamentale viene svolto da medici e farmacisti, gli attori più importanti per la diffusione della conoscenza
e dell’efficacia terapeutica dei farmaci. Infine sono coinvolte le
aziende, che devono giocare un ruolo importante attraverso una
serie di strumenti. Alcuni tra tali strumenti sono chiari, come l’informazione tecnica che viene data agli operatori sanitari e l’informazione pubblicitaria che viene data direttamente al paziente o tramite medici o farmacisti (Figura 2).
Le principali fonti di informazione utilizzati dalle imprese:
• Il foglietto illustrativo
• Le modalità espositive in farmacia
• L’informazione pubblicitaria
• L’informazione diretta a medici e farmacisti
Figura 2
Esiste, poi, una seconda area rappresentata dall’informazione veicolata attraverso il brand, dove per brand si intendono diversi elementi (Figura 3). La parola brand è utilizzata, infatti, in modo
generico, ma in realtà con tale termine si indicano numerosi elementi diversi tra loro: innanzitutto il corporate brand, il nome del-
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
l’impresa che produce il farmaco, poi il brand di linea, se è presente una linea, cioè il brand che caratterizza una famiglia di prodotti,
infine il brand specifico di prodotto, associato ad alcuni elementi che
lo contraddistinguono, vale a dire ciò che viene chiamato in gergo il
“capitale segnico”, rappresentato in particolare per questo tipo di
farmaci dal packaging.
• Il corporate brand
• Il brand di linea (ombrello)
• Il brand di prodotto
• Il capitale segnico (in particolare il packaging)
Figura 3
Il corporate brand per i farmaci da banco ha una rilevanza piuttosto bassa; la stragrande maggioranza (addirittura l’84,3%) delle
persone intervistate che stanno utilizzando o che hanno recentemente utilizzato un farmaco, non sa quale sia la casa farmaceutica
che lo produce (Figura 4).
La maggioranza degli intervistati, dunque, non possiede un elemento che spesso nel mercato dei beni di largo consumo rappresenta un
fattore essenziale: “sto acquistando un prodotto importante per la
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Brand Management e creazione di valore per il consumatore
Livello di conoscenza della casa farmaceutica produttrice del farmaco OTC
15,7%
84,3%
Fonte: Ricerche Valdani Vicari
Osservatorio Marche Marzo 2003
I rispondenti hanno acquistato un farmaco
OTC negli ultimi 3 mesi
Figura 4
mia salute, non necessariamente esiste un intermediario, medico o
farmacista, capace di orientare la mia scelta, e non ho informazioni
circa la provenienza e la “paternità” di questo elemento essenziale
per la mia salute”. Solo una minoranza del campione, infatti, conosce la casa farmaceutica di riferimento del prodotto che utilizza.
Ciò significa che tutta la brand equity in questo mercato è riferita
soprattutto al prodotto o alla linea dei prodotti: non esistono altri
elementi di riferimento se non per una piccola minoranza. Inoltre,
analizzando tale minoranza (15%) ci si rende conto che di fatto
quasi tutti citano un unico produttore, che è fortemente legato ad un
unico farmaco. In realtà, nella totalità del mercato non si sa chi stia
proponendo un determinato prodotto.
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
2.2 Notorietà e immagine nella brand equity
E’ ora importante esplorare quali siano le fonti della brand equity
che si riferisce alla linea o al singolo prodotto. È possibile sostanzialmente individuarne due: la notorietà e l’immagine. Partiamo
dalla prima, la notorietà, che è la forza che caratterizza una marca
nella memoria del consumatore. La notorietà si basa sul capitale
segnico del prodotto, sulle sue caratteristiche distintive, quindi sul
nome, sul logo e sulle caratteristiche fisiche. Questo è un primo elemento: “Io mi ricordo come è fatto quel marchio”. La notorietà, cioè
il ricordo nella mente del consumatore, ha un valore specifico per il
cliente. Infatti, prima di tutto consente al consumatore di imparare
a riconoscere una certa marca: ognuno di noi, quando ha bisogno di
un prodotto, deve avere un’ancora a cui collegare tutto quello che di
quel prodotto sa o vuole sapere. In un secondo momento la marca
aiuta a mettere ordine nelle alternative: se si ha un problema specifico, ad esempio mal di testa, è importante sapere quali siano le
alternative. La notorietà è l’elemento che svolge questo compito, che
permette, cioè, di ricordare quali siano le alternative di cui si dispone. In terzo luogo la notorietà fornisce un supporto per capire, per
ricordare e per assegnare ad ognuno dei prodotti alcuni elementi
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Brand Management e creazione di valore per il consumatore
rilevanti: le caratteristiche specifiche di ogni prodotto, la funzione
che svolge, l’efficacia nel risolvere il problema e gli eventuali effetti
collaterali che comporta.
La seconda fonte della brand equity riferita alla linea o al singolo
prodotto è data dall’immagine, cioè l’insieme delle associazioni che
sono collegate ad una marca: non solo si ricorda cosa una marca fa
e che prestazioni fornisce, ma si ricorda anche quale tipo di associazioni sono collegate ad essa. Esistono, in particolare, due componenti che contribuiscono a formare l’immagine di un prodotto: quella percettiva e quella simbolica o astratta. La prima, percettiva, è
data dagli attributi connessi alle caratteristiche cosiddette funzionali, intrinseche del prodotto, quelle caratteristiche cioè che determinano di fatto l’efficacia terapeutica del prodotto. La seconda componente è data dalle caratteristiche simboliche o astratte, che sono
quelle legate ai fattori emotivi e psicologici di un prodotto; tale componente nel mercato del prodotto farmaceutico è estremamente più
significativa che in altri mercati. Queste caratteristiche sono talmente importanti che, come è noto, nelle ricerche farmacologiche
questa parte viene identificata perché ha un’efficacia terapeutica:
quando si svolgono queste ricerche, cioè, l’effetto placebo viene consapevolmente considerato proprio perché ha un’efficacia terapeuti-
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
ca. Gli attributi astratti legati al prodotto hanno, quindi, un valore
in quanto hanno un’efficacia e perché sono relativi a fattori importanti, emotivi e di rassicurazione.
Inoltre bisogna considerare anche l’area dei benefici che sono sia
funzionali sia simbolici ed affettivi. La componente fiduciaria è
importante perché verso una marca non soltanto si hanno delle associazioni, dei ricordi, ma si matura un elemento fiduciario. Questo è
fondamentale dal punto di vista economico perché senza l’elemento
della fiducia nessuno acquisterebbe mai un prodotto, e tanto meno
un prodotto farmaceutico; infatti, per compiere un atto di acquisto,
per utilizzare e per consumare un prodotto che incide direttamente
sul benessere e sulla salute si ha bisogno di avere un certo grado di
fiducia. Il consumatore in genere concede al prodotto un credito
sempre molto cauto e provvisorio: non si dà mai una fiducia incondizionata ad un prodotto e tanto meno ad un bene così importante,
come un farmaco che ha un impatto sulla salute.
Si tratta, dunque, sempre di una fiducia condizionata, ma condizionata a quali fattori? In primo luogo all’esperienza effettiva. Se l’esperienza diretta non rispecchia il livello di fiducia che il consumatore aveva concesso ad un prodotto, tale fiducia viene immediatamente negata e distrutta. La fiducia risulta essere un elemento estre-
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mamente provvisorio, che il consumatore utilizza e che lega inevitabilmente alla marca: il consumatore, infatti, confida di trovare tutte
le valenze distintive nella marca e quindi compie i suoi atti di acquisto. Il valore dell’immagine della marca consiste nella possibilità di
accordare la fiducia ad una marca e di ridurre il rischio di effettuare una scelta sbagliata. La marca favorisce inoltre il risparmio di
tempo necessario a raccogliere tutte le informazioni: consente, cioè,
di capire, di ricordare, di sapere quale è la scelta più coerente con il
proprio bisogno terapeutico.
Laddove esista un’alternativa tra farmaco di automedicazione o su
prescrizione, il fattore critico di scelta è dato dalla convinzione che
il prodotto di automedicazione sia sicuro, efficace e adatto al bisogno terapeutico. Queste sono le tre condizioni che devono esistere
perché venga utilizzato un prodotto da banco: se nella percezione del
paziente/utilizzatore venissero a mancare questi elementi, egli si
rivolgerebbe ad un farmaco da prescrizione, come è stato sottolineato da diverse ricerche anche a livello mondiale.
Infatti, la garanzia che il prodotto abbia queste caratteristiche è data
dagli elementi di riconoscibilità e dalla percezione di efficacia e affidabilità. La marca, perciò, aiuta il consumatore a creare delle associazioni corrette, che rimangono tali solo finché durano nel tempo,
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sulla base dell’esperienza personale: il disagio, cui viene associato
l’obiettivo terapeutico, cui si collega un determinato prodotto.
2.3 Il brand a ombrello
Veniamo ora al brand a ombrello. Qual è la sua funzione? Esso permette di trasferire il valore che è stato generato su un prodotto ad
un altro prodotto, quindi di moltiplicare la fiducia. Tale meccanismo
va indubbiamente a favore dell’impresa perché essa ottiene così una
maggiore efficienza negli investimenti, che le permette di consolidare un vantaggio rispetto alla concorrenza. Un’ulteriore opportunità
per l’impresa è, naturalmente, la condivisione di immagine: il fatto
di riunire sotto una stessa immagine prodotti anche estremamente
diversi, consente di moltiplicare la fiducia.
Per il consumatore, invece, il vantaggio consiste nel poter riporre la
propria fiducia, accordata inizialmente ad un singolo prodotto,
anche ad un altro prodotto della stessa famiglia. Come si diceva
sopra, il consumatore non sa, quando acquista un prodotto di automedicazione, chi si stia assumendo una responsabilità nei suoi confronti; il brand a ombrello consente di associare un certo prodotto ad
una paternità, che è, appunto, l’“ombrello”. Fondamentalmente
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esso svolge il ruolo che in molti altri mercati viene svolto dalla company brand: orienta la scelta del consumatore su prodotti che abbiano una certa affidabilità, che non derivi esclusivamente dal consiglio
di persone qualificate o da suggerimenti di persone non qualificate.
Esiste, tuttavia, un rischio fortissimo per le imprese che utilizzano il
marchio a ombrello: il marchio a ombrello, infatti, va usato da un’impresa con estrema delicatezza, dal momento che se anche uno solo dei
prodotti sotto l’ombrello è percepito negativamente dal consumatore,
esso si riverbera su tutti i prodotti della linea. Inoltre, esiste un secondo rischio per l’Impresa, che consiste nell’utilizzare un unico marchio
senza differenziare i farmaci; ciò creerebbe valenze estremamente
negative, dando luogo ad una cannibalizzazione tra prodotti, ad una
forte delusione delle aspettative del consumatore e soprattutto, ed è la
cosa più pericolosa, all’effetto domino per l’Industria.
Il marchio a ombrello è quindi molto positivo per l’industria e per il
consumatore.
2.4 Gli investimenti nel brand: il valore per l’impresa
e il valore per il cliente
L’impresa, ovviamente, se vuole in qualche modo utilizzare questi
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elementi, deve investire in modo significativo nel brand, cioè nel
creare un valore della marca.
Gli investimenti sono legati prima di tutto ai costi di ricerca e di pianificazione strategica, ai costi di comunicazione e di tutela del marchio ed ai costi gestionali ed organizzativi connessi alla costruzione
del brand. Sono investimenti ingenti che le imprese affrontano perché il valore del brand sta nella capacità di differenziazione dei farmaci: il brand ha valore non solo in sé, ma anche nel sapere differenziare una certa offerta rispetto alla concorrenza. Inoltre, il marchio non deve generare confusione, ma, al contrario, essere in grado
di creare grande chiarezza nella percezione del consumatore, perché
il suo obiettivo consiste nell’orientarne le scelte. In tal modo il brand
aiuta il consumatore a soddisfare i propri bisogni e accumulare fiducia e reputazione così da arrivare infine ad avere fedeltà e, quindi,
ripetizione negli acquisti ogni qualvolta si presenti quel problema e
quella necessità terapeutica.
Questo è il meccanismo che alla fine fornisce un vantaggio competitivo. Ogni singola impresa è interessata ad avere un vantaggio
rispetto alla concorrenza ed è qui da ricercare il motivo per cui per
l’impresa ha senso investire nella brand equity.
Si innesca, pertanto, un circolo virtuoso tra valore per il cliente e
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valore per l’impresa. Le ricerche indicano come non sia affatto semplice creare valore sul brand: gran parte dei tentativi di creare valore non regge, perché basta poco per non avere successo: è sufficiente, ad esempio, che ci sia distonia nel consumatore tra ciò che l’impresa fa e dice e la propria esperienza personale con un certo prodotto. Ma se l’impresa è in grado di creare valore sul brand, esso è
creato innanzitutto per il cliente: se il valore esiste per il cliente, esso
esiste anche per l’impresa. Infatti, se il cliente non percepisce un
valore il passaggio si interrompe e non si crea nessun valore neanche per l’impresa: non si ha, così, nessuno sviluppo dell’impresa
basato sulla fiducia. Se, al contrario, questo circolo si riesce ad attivare, allora l’impresa ha affrontato un investimento con un ritorno
potenzialmente significativo.
I benefici del prodotto di marca rispetto ai prodotti unbranded,
che non hanno una marca o che non hanno una marca significativa e riconosciuta, sono, come abbiamo visto, la garanzia e la
fiducia nella decisione d’acquisto e d’uso, la possibilità di personalizzare la cura sulla base del bisogno che è espresso e sulla
base dei benefici emozionali. Il valore per il cliente, a cui si è
accennato, si basa, dunque, su un rapporto tra benefici e costi
(Figura 5).
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
Benefici
Valore per il cliente =
Costi
Figura 5
I benefici sono quelli visti sopra, i costi sopportati dal consumatore
sono legati, invece, ai rischi di prescrizioni scorrette e alle risorse
cognitive impiegate. La presenza della marca in genere riduce tali
costi, ma talvolta fa sì che aumentino i costi economici che il consumatore deve sostenere, perché spesso il prodotto di marca ha un premium price, cioè un prezzo più elevato per il consumatore.
Questi deve, dunque, risolvere l’equazione del valore. Quando si
trova di fronte ad un prodotto di marca egli deve capire se i benefici, la riduzione dei rischi e il risparmio di risorse cognitive che derivano dalla marca sono in grado di compensare l’aumento del prezzo dovuto alla marca stessa.
Per concludere, il brand nel mercato OTC ha senso per l’Industria
solo nel momento in cui ha valore per il consumatore e solo come
conseguenza di tale valore. Se il marchio non ha valore per il consumatore diventa assurdo per l’Industria investire nel marchio stesso. Ogniqualvolta il valore si depaupera o si arricchisce per il con-
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sumatore, questo si arricchisce e si depaupera in modo simile per
l’impresa. Da questo punto di vista, gli interessi di azienda e consumatore sono del tutto convergenti, molto più nel mercato dei farmaci OTC che in altri mercati.
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3. Valore economico del marchio
e competizione nel settore
dell’automedicazione
di Andrea Bonaccorsi - Professore di Economia e Gestione
dell’Innovazione – Scuola Superiore S. Anna di Pisa.
3.1 Un punto di vista di economia industriale
L’intervento muove da una prospettiva di economia industriale; le
domande che vengono poste hanno a che fare con la struttura dell’industria dell’automedicazione, sia dal lato della domanda che dal
lato dell’offerta. Esse quindi articolano la riflessione a partire dalla
singola impresa e dal suo comportamento strategico fino al livello
dell’intero settore industriale.
Questa prospettiva di analisi può essere utile non solo all’industria
nel suo insieme, ma anche al regolatore pubblico, il quale si
dovrebbe sempre chiedere non ciò che è interessante per alcune
imprese, ma quale è l’impatto complessivo sul settore delle misure
che vengono proposte.
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Valore economico del marchio e competizione nel settore dell’automedicazione
Come si comportano i consumatori nel fare le scelte? Come definiscono i rapporti di competizione o sostituzione fra i prodotti?
Quanto sono informati e quanto sono fedeli? Tutte queste domande sono essenziali per capire, dal lato della domanda, quale può
essere l’effettivo grado di competizione che vige nel settore dell’automedicazione.
Dal lato dell’offerta ci chiederemo invece: qual è la struttura dei costi
dei produttori, che rapporto esiste tra la massa dei costi fissi e i costi
variabili? Quanto sono alti i costi affondati, cioè i costi che si sostengono inizialmente e si possono anche non recuperare nei periodi successivi? Quale è il costo di introduzione di un nuovo prodotto?
Le risposte a queste domande forniscono altre informazioni su
come, verosimilmente, nell’industria dell’automedicazione, funziona
la competizione.
Terzo elemento, appunto, è la competizione. Quanto sono elevate le
barriere all’entrata? Quanto è forte la concorrenza di prezzo?
Quanto sono lunghi i cicli di vita del prodotto? Il regolatore pubblico quando affronta il tema dell’automedicazione con tutte le implicazioni normative e amministrative, dovrebbe avere un punto di
vista complessivo e quindi chiedersi in modo sistematico alcune
delle cose ora elencate.
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
3.2 Comportamento di acquisto e brand loyalty
Il dato essenziale da cui muovere e che, nei mercati sanitari in generale, ma anche e particolarmente in questo, vi è una forte asimmetria informativa tra l’utilizzatore-paziente, da un lato, e i soggetti
che influenzano la scelta, medici e farmacisti, nonché i soggetti che
producono e introducono i prodotti, dall’altro. Questo vuol dire che
il paziente si trova strutturalmente in una condizione di inferiorità
informativa. In tutti i mercati in cui vige questa condizione, da quello sanitario a quello assicurativo, dai mercati dei prodotti usati ai
mercati delle informazioni, si sviluppano delle soluzioni specifiche
che tendono a risolvere questo problema. In questo particolare mercato il meccanismo fondamentale è quello di delega fiduciaria: il
consumatore attribuisce a soggetti, i quali esibiscono credenziali
derivanti da un processo di legittimazione avente fede pubblica, la
delega a impostare e risolvere i problemi di salute.
Vi è un soggetto legittimato in ultima istanza, con il quale vi è una
relazione di lungo termine, che è essenzialmente il medico e in misura derivata il farmacista. Questo soggetto è sistematicamente sullo
sfondo della scelta. In altre parole o è l’informatore diretto al quale
si chiede un consiglio per il farmaco di automedicazione per ogni
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Valore economico del marchio e competizione nel settore dell’automedicazione
singola scelta di assunzione del farmaco, oppure quando il soggetto
ragiona da sé e prende la decisione senza consultare direttamente
terzi, si può ritenere che all’origine della decisione vi sia un parere
rassicurante fornito in passato dal medico. Quindi in qualche modo,
o direttamente o indirettamente, vi è questo elemento che influenza
complessivamente il comportamento della domanda. Questo ha
alcune conseguenze. Come si è visto dai dati presentati, la brand
loyalty in questo settore è altissima. Ciò implica ovviamente una
notevole inerzia nel passaggio tra marche diverse (brand switch) e
una forte persistenza nel tempo dei comportamenti di riacquisto.
Quando si ha un farmaco, che è stato consigliato dal medico, che
funziona, si tende ad acquistarlo per tutta la vita o comunque per
un periodo piuttosto lungo. Il che vuol dire che il comportamento del
consumatore è completamente diverso da quello che accade in altri
mercati, nei quali per esempio, si assiste al cosiddetto fenomeno del
variety seeking, secondo il quale ogni tanto si tende a provare altri
prodotti, per vedere se funzionano o per fare nuove esperienze. Si
tratta di un abbandono deliberato del prodotto conosciuto per vedere se, per caso, c’è di meglio sul mercato. Nel mercato dell’automedicazione, secondo i dati disponibili, questo accade molto di rado.
In questo contesto il marchio serve certo a differenziare i prodotti,
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
ma non nel senso classico del marketing. Il marchio non attribuisce
un valore al prodotto indipendente dalla sua capacità terapeutica.
Non siamo di fronte ad una classica realtà simbolica o esperienziale, che abbia come fondamento la capacità dell’impresa di creare e
manipolare esperienze complessive di consumo.
In realtà, il marchio consente ai consumatori di trasferire nel tempo
e nello spazio la legittimazione originaria e l’esperienza acquisita.
Trasferire nel tempo: si prova un prodotto che ha funzionato, era
legittimato all’origine da una fonte autorevole (medico o farmacista), e quindi lo si continua a utilizzare nella propria esperienza di
consumo. Trasferire nello spazio: se qualcuno mi chiede un parere,
gli posso dare un parere perché dietro questa mia esperienza, c’è
comunque un’istanza legittimata. Se questo è vero, allora vi è una
sequenza di acquisti ripetuti perché inizialmente legittimati, e quindi il rischio di consumismo farmaceutico è sostanzialmente inesistente o al massimo molto contenuto.
Il marchio ha un forte impatto di riferibilità delle proprietà terapeutiche al prodotto e ingenera significati simbolici o emotivi positivi solo in quanto legati all’efficacia terapeutica. Non vi è riferibilità a nient’altro che possa indurre scelte distorte.
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Valore economico del marchio e competizione nel settore dell’automedicazione
3.3 Struttura dei costi e natura della competizione
Dal punto di vista delle imprese i prodotti sono di norma off patent,
derivano da innovazioni che sono ormai in fase di maturità.
Ciò significa che i costi marginali di introduzione dei prodotti sono
molto più bassi rispetto ai farmaci etici. Allo stesso modo, i prezzi
unitari sono più bassi a parità di effetto terapeutico.
Ciò significa che in questo settore il comportamento sarà tale per cui
i nuovi prodotti vengono introdotti sul mercato solo se si ha una
ragionevole previsione di un volume di vendita abbastanza elevato e
che possa essere aiutato dal fenomeno del marchio.
Nel settore, la competizione si basa su due aspetti apparentemente
opposti: da un lato l’elevata fedeltà e l’inerzia, la ripetizione dell’acquisto creerebbe una situazione di alte barriere all’entrata. Con clienti molto fedeli è noto che per un nuovo entrante sarà molto difficile e
molto costoso convincere i clienti della bontà dell’innovazione.
Allo stesso tempo, però, c’è un’elevata frammentazione perché gli
entry point di questo mercato sono numerosi, sono appunto i pareri
dei medici o dei farmacisti.
In qualche modo l’automedicazione, in quanto ha una struttura di
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
costo radicalmente diversa dal farmaco etico, ha una struttura di mercato molto frammentata, senza una forte concentrazione in pochi prodotti. La frammentazione induce ampie possibilità di competizione.
Ho esaminato in prima approssimazione i dati dei principali sottosettori dell’automedicazione, calcolando gli indici di concentrazione
sulle quote di mercato relative alle quantità non per impresa, ma per
prodotto.
Per il settosettore dei prodotti per apparato respiratorio, tosse e raffreddore, il primo prodotto ha una quota del 16% in quantità, ma il
secondo è intorno al 10% e il terzo è al 4%. Poi segue un elenco lunghissimo, fino a quasi un centinaio di prodotti che hanno quote di
mercato molto piccole. Siamo lontani, da un punto di vista di economia industriale, dalla situazione dei settori nei quali vi è una fortissima concentrazione attorno a marche leader che dettano le regole del mercato. Siamo nella struttura di mercato più tipica di un’industria frammentata.
Nel settore dell’apparato digerente e intestinale, il primo farmaco è
attorno al 13%, il secondo è al 5%, e di nuovo una coda lunghissima di prodotti con quote molto basse.
Infine per gli analgesici si ha una situazione leggermente più concentrata: i primi due hanno quote del 16% e del 14%, quindi insie-
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Valore economico del marchio e competizione nel settore dell’automedicazione
me totalizzano un ragguardevole 30%. Tutti gli altri, dalla terza
posizione in giù, hanno quote minime.
Anche se l’analisi andrebbe approfondita a livello di sottomercati
più fini e più omogenei, sembra di poter concludere che in una struttura industriale di questo tipo il marchio può essere benefico.
Al contrario di quanto avviene in settori fortemente concentrati, il
marchio non dovrebbe esercitare un effetto di innalzamento delle
barriere all’entrata, ma al contrario potrebbe aiutare nuovi prodotti ad essere introdotti sul mercato.
In una prospettiva di equilibrio dinamico di lungo periodo, per
un’impresa che deve decidere se introdurre, inserire o meno un prodotto nuovo, sapere di poter contare su un marchio forte aumenta la
profittabilità attesa e induce con maggiore probabilità all’entrata,
aumentando la competizione.
Il marchio agirebbe, quindi, non in forma “anticompetitiva”, ma
“pro-competitiva”, favorevole ad effetti di innovazione.
Inoltre il marchio non dovrebbe avere un forte effetto di aumento
della concentrazione e di rafforzamento del potere di mercato attraverso il meccanismo del marchio ombrello. La estendibilità a prodotti diversi attraverso la notorietà dell’impresa sembra sostanzialmente nulla, a causa della scarsissima memoria dei consumatori
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
circa la ragione sociale. Maggiore effetto potrebbe essere giocato da
marchi ombrello a livello di linea di prodotto, ma anche in questo
caso solo se il trasferimento di significato potesse essere agganciato
a precise proprietà terapeutiche, con ciò limitando fortemente l’impatto sul potere di mercato da differenziazione.
3.4 Alcune conclusioni
Se parliamo del rafforzamento del marchio nell’ambito dei prodotti
di automedicazione, questo si può tradurre in più innovazione, più
introduzione di nuovi prodotti, riduzione dei costi per l’introduzione dei nuovi prodotti.
Si tratta quindi, in una prospettiva dinamica, di un effetto benefico.
Che impatto può avere il marchio sulla domanda?. Potrebbe indurre un effetto di consumismo?
La mia risposta è che non dovrebbe indurre un effetto di quantità,
se mai forse qualche effetto sui prezzi, con un leggero aumento della
possibilità di spuntare un premium price. Se solo il 5% decide in
base alla pubblicità e addirittura il 50% persino dimentica il messaggio pubblicitario, è molto difficile che effetti importanti possano
essere indotti dal lato dell’aumento delle quantità e del consumismo.
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Valore economico del marchio e competizione nel settore dell’automedicazione
Il rafforzamento del marchio ha quindi un effetto positivo.
Vediamo invece il problema più controverso: quanto il marchio
possa andare a cavallo tra automedicazione e prodotti prescritti e
quali possono essere gli effetti.
Primo: può esserci un effetto di aumento delle vendite del prodotto
di automedicazione. Questo è possibile, ma pare assolutamente
legittimo. Direi che è positivo, proprio per gli effetti di reputazione.
Se un’impresa gioca la carta di usare un marchio che abbia una
parte in comune con un prodotto prescritto nel mercato dell’automedicazione, deve sapere che gioca un effetto di reputazione. La
reputazione è un fatto delicatissimo, si rompe facilmente, chiunque
gioca questa carta, gioca se stesso. Dal punto di vista del regolatore
pubblico, occorre fare attenzione, stiamo dicendo che è un meccanismo che, in qualche, modo si autoregola, c’è il massimo interesse a
non commettere errori, a non ingannare il consumatore e a non fare
operazioni che minino la reputazione dell’azienda e della linea di
prodotti coinvolta.
Seconda domanda: può esserci un aumento delle vendite dei prescritti? In prima battuta si può rispondere no o molto poco. Il comportamento prescrittivo è in larga parte indipendente da quello che
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
accade sull’altro mercato dell’automedicazione e le forme di somministrazione sono totalmente diverse.
Terzo aspetto: può esserci confusione? Cioè il consumatore può essere confuso dal fatto di trovare “pezzi” del marchio prescritto anche
nell’automedicazione? Esistono due esigenze opposte ma complementari. Deve esserci riconoscibilità, ma anche differenziazione. La
riconoscibilità serve al meccanismo secondo cui la scelta, anche nell’automedicazione, ha comunque una legittimazione medica di ultima istanza, e quindi il consumatore che trova un pezzo del marchio
anche con lo stesso nome, è avvantaggiato perché lo riferisce ad
un’esperienza legittimata dal medico. Da un altro punto di vista,
siccome è in autocura, deve avere un razionale apprezzamento del
fatto che, se si trova in automedicazione, vuol dire che ciò che assume deve avere qualcosa di diverso rispetto al farmaco prescritto.
Qualcosa che avrà a che fare con la forma di somministrazione, con
la modalità, con il fatto che evidentemente è più “leggero” come
impatto, rispetto a quello prescritto. Questi due criteri dovrebbero
essere dei fari di riferimento per giudicare caso per caso.
In conclusione, non mi pare emergano, da una analisi di tipo economico, anche se di taglio preliminare e suscettibile di approfondimenti, elementi che possano indurre il regolatore pubblico e l’ordi-
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namento giuridico a ostacolare vigorosamente la lunga marcia del
settore della automedicazione verso una piena valorizzazione dei
propri asset intangibili, allo scopo di aumentare la competizione e il
tasso di innovazione.
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4. Marchio di automedicazione e tutela
giuridico normativa
di Andrea Astolfi - Professore di Diritto Commerciale
Università di Pavia
4.1 Disciplina giuridica dei marchi
L’intervento è volto, in primo luogo, a delineare il contesto giuridico nel quale ci muoviamo, in quanto se non vi è dubbio che il marchio di una specialità farmaceutica abbia proprie specificità, vi è da
chiedersi però se esse siano tali da legittimare l’individuazione e l’interpretazione di una disciplina speciale rispetto a quella tipica dei
marchi, e se tale questione abbia poi un proprio autonomo rilievo
con riferimento alle specialità cosiddette d’automedicazione.
Da parte di taluni autori è, infatti, ormai quasi un vezzo invocare
un’autonomia concettuale e normativa del diritto farmaceutico sulla
quale radicare una pari autonomia regolamentare di alcuni settori di
quest’ultimo, ma, per quanto mi riguarda, resto fermo nella convinzione che la specialità di una disciplina deve sempre tener conto del
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Marchio di automedicazione e tutela giuridico normativa
quadro normativo generale e, per così dire, del sistema dal quale
trae la propria fonte la disciplina specifica.
Per questo, allorché si discute di marchi, è pur sempre necessario
muovere dalla Legge sui marchi e così dalla disciplina dei diritti di
privativa industriale, interpretata più volte dalla giurisprudenza
anche con riferimento alla tutela di marchi e denominazioni caratterizzanti specialità farmaceutiche, al pari dei segni distintivi che individuano altri prodotti industriali o, comunque, altri beni. La giurisprudenza si è, infatti, più volte chiesta quali fossero i criteri per misurare la possibile confondibilità dei marchi di specialità medicinali
nonché quali fossero i limiti posti dalla disciplina della concorrenza
nell’utilizzare marchi assonanti o comunque non profondamente dissimili, lungo un percorso che muove dall’analisi del mercato, dalla
valutazione della novità e originalità del segno distintivo, dalla considerazione dei tratti caratterizzanti il profilo del consumatore di farmaci, dall’incidenza dell’intervento di altri soggetti, quali i medici ed
i farmacisti, sulla formazione della scelta da parte del consumatore.
In verità, il percorso tipico dell’interprete non è stato (e non è) dissimile a seconda che si tratti di un marchio di specialità medicinale
o di un segno distintivo di un altro prodotto, ed è questo un primo
riferimento dal quale dobbiamo muovere, perché così come non vi è,
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
nel nostro ordinamento, una legislazione specifica in materia di
marchi e/o denominazioni di specialità farmaceutiche, anche la giurisprudenza (con le riserve che si colgono in una recente pronuncia
del Tar Lazio sulla quale tornerò più innanzi) non ha mai avallato
uno status autonomo per questi ultimi (fatta salva, in una certa
misura, la cosiddetta “eccezione galenica”) rispetto a quelli di altri
prodotti industriali, muovendo pur sempre da tessuti consolidati
negli anni e che riposano, a ben vedere, nella considerazione che un
segno distintivo è un bene immateriale suscettivo di valutazione economica che assolve anche ad una funzione d’interesse pubblico.
La conclusione non è dissimile anche con riferimento alla ben nota
distinzione tra marchi forti e deboli.
I primi sono quelli che hanno la massima capacità distintiva e quindi
sono tali, per eccellenza, i marchi di fantasia; i secondi, i marchi deboli, assolvono anche ad una valenza descrittiva del prodotto e tale è, frequentemente, il marchio di un prodotto farmaceutico in quanto esso,
sovente, evoca la valenza terapeutica del prodotto, ancorché il cosiddetto secondary meaning del marchio, frutto del suo uso consolidato,
consenta talvolta di superare la debolezza originaria per condurre il
segno ad assumere una propria forte valenza individualizzante.
Come detto, il marchio è null’altro che un asset aziendale che conferisce
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Marchio di automedicazione e tutela giuridico normativa
al suo titolare un diritto d’esclusiva; diritto sul quale poi si radica la sua
efficacia commerciale e così il valore patrimoniale dello stesso. Del pari,
il diritto d’esclusiva tutela i prodotti contrassegnati con il segno e l’esclusiva si spiega, come afferma la Corte di Cassazione, perché la clientela è
indotta a ritenere che l’impresa produttrice sia la medesima, e questo
anche con riferimento a prodotti diversi che fruiscono del cosiddetto
effetto trascinamento del segno, cioè la possibilità di far beneficiare prodotti affini del rilievo positivo di cui ha beneficiato il prodotto originariamente caratterizzato dal marchio, utilizzato poi in modo estensivo.
In questo contesto, emerge dunque il valore economico del marchio
quale elemento patrimoniale dell’impresa che, come tale, può essere
venduto, trasferito, concesso in licenza e in una parola sfruttato, al pari
di ogni altro bene, assolvendo, come già detto, ad una duplice funzione. Da una parte esso consente il radicamento e lo sviluppo commerciale del prodotto, dall’altra favorisce la scelta del consumatore.
4.2 Tutela del marchio di automedicazione
Se muoviamo da questi principi d’ordine generale che si attagliano
alla disciplina dei marchi - di tutti i marchi - e se osserviamo che il
legislatore non ha introdotto alcuna norma derogatoria per quanto
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
attiene ai segni distintivi delle specialità medicinali, non resta dunque che muovere un passo ulteriore verso il tema specifico che mi è
stato affidato, avvertendo peraltro che tali principi costituiscono,
pur sempre, l’architrave di ogni processo interpretativo, essendo
radicati su regole a valenza costituzionale.
Veniamo, dunque, alle specialità medicinali, ed ovviamente il primo
passo deve muovere dal disposto del Decreto legislativo n.178 del
1991 che, nel dare attuazione ad una direttiva comunitaria, ha
superato il regolamento risalente al 1927, ponendo a carico dell’impresa richiedente l’autorizzazione all’immissione in commercio di un
farmaco, l’onere di indicare la sua denominazione.
Dunque, una specialità deve essere “denominata”, deve cioè essere
commercializzata con un proprio nome e tale nome può essere scelto dall’impresa, soggetta solo all’obbligo di adottare un nome che
non sia ingannevole, fuorviante o confusorio.
Il legislatore non si è però limitato a richiedere che ogni specialità sia
correttamente denominata, ha anche precisato che tale denominazione “può consistere” in (a) un nome di fantasia; (b) nella denomina zione comune accompagnata da un marchio o dal nome del fabbri cante; (c) nella denominazione scientifica accompagnata da un mar chio o dal nome del fabbricante.” Non solo, come ha avuto modo di
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puntualizzare il Tar Lazio in una sentenza del 2001, “le modalità di
costituzione della denominazione sono riservate alla libera scelta
dell’imprenditore che non può essere in questo limitata, indipenden temente dal tipo di medicinale di cui è richiesta l’autorizzazione”.
Vero è che le linee guida del CPMP, peraltro non ancora recepite nel
nostro ordinamento, hanno poi posto dei limiti alla scelta della
denominazione evidenziando, appunto, che essa non deve essere
ingannevole, fuorviante o confusoria, ma il primo dato dal quale
muovere è il pieno diritto dell’impresa di scegliere la denominazione del proprio prodotto, avvalendosi di un ventaglio di opzioni e
superando la necessaria equiparazione denominazione-marchio
voluta, invece, dal legislatore del 1927. Infatti, il Regolamento n.
478 del 1927 prescriveva che i prodotti con indicazione terapeutica
fossero messi in commercio con un nome speciale costituente marchio di fabbrica, dal che la naturale coincidenza tra denominazione
e marchio, presente ancor oggi in molti prodotti, per scelta o tradizione, ma oggi non più imposta dal legislatore.
Così, se è vero, com’è vero, che il legislatore del 1991 ha previsto che
la denominazione caratterizzante la specialità può consistere in una
denominazione (comune o scientifica) accompagnata da un marchio, ne consegue che il legislatore ha riconosciuto una diversa spe-
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cificità alla denominazione rispetto al marchio e ha consentito l’utilizzo di tali diversi segni distintivi. Non per nulla una denominazione può avere certamente la valenza di un marchio ma può suscitare
anche un’efficacia distintiva diversa, accompagnandosi ad un marchio, perché la denominazione della specialità può consistere,
appunto, in una denominazione accompagnata da un marchio. Lo
stesso Ministero in una recente circolare (del 2000) ha espressamente riconosciuto la valenza giuridica delle tre opzioni riservate dal
legislatore all’impresa richiedente l’Autorizzazione all’immissione in
commercio ed il complesso di questi argomenti offre già materiale
per una prima conclusione di indubbio rilievo.
La conclusione è questa: il legislatore ha espressamente riconosciuto sia
la possibilità di caratterizzare una specialità con un marchio, sia che
tale marchio possa essere altra cosa, altro segno, rispetto alla denominazione, sia che l’impresa è legittimata a scegliere l’opzione per essa
commercialmente più conveniente nel chiedere l’AIC di una specialità.
Mi scuso per questa eccessiva schematizzazione, ma desidero esser
chiaro al riguardo, giacché è pressoché un luogo comune che il marchio
di una specialità e la sua denominazione coincidano, e se è pur vero che
i luoghi comuni hanno spesso un fondo di verità, ciò non di meno è
altrettanto vero che il legislatore ha riconosciuto un rilievo giuridico al
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marchio della specialità medicinale (e, a ben vedere, non avrebbe potuto essere diversamente) e che tale marchio può essere una componente
della denominazione senza coincidere con essa, al punto da “accompagnare” la denominazione (comune o scientifica) stessa.
Ovviamente, ci si dovrebbe interrogare su cosa abbia voluto intendere il legislatore nel fare riferimento ad una denominazione
“accompagnata” da un marchio, ma mi sembra di poter affermare
che l’accompagnarsi di un segno ad un altro o, per meglio dire, di
un segno ad un nome, non significa il necessario accorpamento degli
stessi in un’unica espressione, ben potendo un marchio “accompagnare”, in modo distinto, la denominazione comune, al fine di dar
vita alla denominazione della specialità.
Possiamo così fare un ulteriore passo avanti, perché se è vero che la
denominazione di un farmaco può essere rappresentata da un marchio forte (il nome di fantasia) o da una denominazione comune
accompagnata da un marchio o dal nome del fabbricante, è altrettanto certo che la denominazione assume una capacità distintiva
della specialità che, come tale, deve essere soggetta al giudizio di
novità e non confondibilità al pari d’ogni altro segno distintivo,
secondo le linee portanti la disciplina dei diritti di proprietà indu-
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striale che ho già brevemente richiamato.
Infatti, la giurisprudenza, chiamata a dirimere una controversia tra
aziende che avevano chiesto ed ottenuto di commercializzare specialità con denominazioni largamente vicine, non ha esitato ad affermare che lievi modificazioni e/o aggiunte possono condurre ad escludere la loro confondibilità, avendo riguardo, e ritorniamo nell’alveo
della disciplina generale, alle peculiarità del consumatore del prodotto farmaceutico; consumatore che è attento e preparato, essendo la
sua scelta frequentemente mediata dal medico o dal farmacista.
Così il giudizio sulla confondibilità delle denominazioni non può
essere astratto ma deve radicarsi sulle specificità del mercato in
esame, con riguardo alla situazione concreta in cui interviene il
segno distintivo, poiché se è ovvio che due marchi identici siano
confondibili, non è però altrettanto ovvio che marchi identici che
accompagnano denominazioni comuni o scientifiche per formare la
denominazione di un farmaco portino alla confondibilità di questa
con un’altra denominazione, in quanto l’identità del marchio non
conduce necessariamente all’identità della denominazione. Intendo
dire, che se è vero che vi possono essere denominazioni diverse contenenti marchi identici o simili, il giudizio di confondibilità tra le
denominazioni non può limitarsi alla constatazione della similarità
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dei marchi, dovendo invece radicarsi sulla confondibilità - in concreto - delle denominazioni.
E se questa è una considerazione che si attaglia ad ogni settore merceologico, essa ha una valenza forse ancor maggiore con riferimento alle specialità medicinali, perché, com’è stato deciso dalla Corte
d’appello di Milano ”anche le parole…che designano la composizio ne di un prodotto o una sua qualità o una sua particolare efficacia
possono costituire oggetto di un valido marchio, purché esse abbia no subito una modificazione tale da annullare il noto originario
significato linguistico e da assumere efficacia individualizzante del
prodotto…al punto da presentarsi come vocaboli nuovi, i quali, pur
richiamando la composizione o la funzione dei prodotti, non posso no essere considerati una mera indicazione descrittiva ma sono
destinati ad assolvere la funzione tipica del marchio”.
4.3 Disciplina giuridica del marchio di automedicazione
Le considerazioni svolte si attagliano a tutte le specialità medicinali, ma il livello d’attenzione per i criteri d’interpretazione del giudizio di confondibilità mutano, necessariamente, a seconda che si tratti di farmaci soggetti o meno a prescrizione.
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Se il rischio di confusione è, per così dire, escluso in re ipsa dalla
prescrizione del farmaco da parte del medico, la soglia d’attenzione
è inevitabilmente diversa per i farmaci di automedicazione, ove la
scelta non è necessariamente mediata dall’intervento del medico o
del farmacista, se pur i risultati delle ricerche offrano un quadro
delle modalità di formazione del processo decisionale del consumatore certamente diverse da quelle sulle quali si sono radicate, talvolta, molte argomentazioni. Infatti, è emerso che l’opzione per il farmaco d’automedicazione è largamente indirizzata dal medico e,
secondariamente, dal farmacista cui si rivolge in ogni modo il consumatore, consapevole, evidentemente, di non avere strumenti adeguati per addivenire ad una propria autonoma decisione.
Il dato ancor più significativo è che tali conclusioni appaiono poi del
tutto coerenti a quelle cui è pervenuta la giurisprudenza nel delineare la figura del consumatore di farmaci che, come è stato affermato dalla Corte di cassazione, ha “un’elevata capacità di scelta
essendo attento e scrupoloso” perché, come ha puntualizzato la
Corte d’appello di Milano “la capacità distintiva del consumatore è
affinata ed esaltata …dal grado di interesse personale che egli nutre
per il buon esito della terapia. Un interesse destinato ad accrescere
l’attenzione verso il nome del farmaco da parte di chi pensa di poter
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trarne beneficio o che, qualora smemoratezza o basso livello cultu rale non consentano di capire o ritenere quel nome e la particolare
valenza semantica in esso insita, indurrebbe comunque il paziente
a rivolgersi al farmacista specificando lo scopo terapeutico avuto di
mira”. Infatti “il consumatore medio già conosce il prodotto per
averlo in precedenza sperimentato ovvero egli non conosce il pro dotto ed allora ne chiederà uno specifico per le affezioni di cui sof fre ed il farmacista correttamente gli consegnerà l’uno o l’altro pro dotto in relazione a quella sicura capacità distintiva che gli deve
essere riconosciuta”.
Di conseguenza, ha concluso la giurisprudenza civile, è da escludere la confondibilità di farmaci quando i caratteri distintivi appaiono
comunque idonei ad essere percepiti dal consumatore del prodotto,
considerando che “trattasi di preparati acquisibili solo in farmacia
da parte di clienti la cui soglia di attenzione è, trattandosi di pro dotti da ingerire e con dichiarata incidenza sulla salute, necessa riamente alta”.
In altre parole, il consumatore di farmaci di automedicazione non ha
certo, per così dire, il desiderio di “sperimentare” la valenza terapeutica di un farmaco per curare il disturbo di cui soffre, ma si affida ad esso con grande cautela, non solo, come ci è stato riferito,
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attingendo dai consigli del medico o di altri vicini alla sua sfera
famigliare o amicale che hanno già utilizzato il farmaco, ma rivolgendosi poi, in ultima analisi, al farmacista per dissipare ogni dubbio in merito alla coerenza della scelta.
Dunque, come anticipato, si tratta di un consumatore attento e suggestionato in modo del tutto marginale dai messaggi pubblicitari,
così come emerge dalle ricerche già illustrate.
Ed è questa un’ulteriore conclusione di cui si deve tenere conto nell’esprimere il giudizio di confondibilità di due denominazioni, perché la nozione di “fattuale confondibilità” evocata dalla giurisprudenza, deve essere verificata, come ha puntualizzato nel 2001 il Tar
Lazio, attraverso l’accertamento dell’effettiva potenzialità confusoria delle denominazioni-marchio giacchè solo a fronte della loro
effettiva confondibilità potrà esserne inibito l’uso.
Se queste sono le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza civile nel valutare l’eventuale slealtà della concorrenza tra imprenditori
utilizzatori di denominazioni-marchi di specialità attualmente o
potenzialmente confondibili, ne consegue che l’impatto sul mercato e
sulla concorrenza di tali comportamenti dovrà essere valutato alla
luce di tali criteri, non certo in astratto e non certo muovendo solo
dall’assonanza tra denominazioni o, ancor prima, dal fatto che talu-
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ne denominazioni contengono lo stesso marchio o si distinguono solo
per l’impiego di taluni suffissi o per il solo richiamo a parti del corpo
destinate ad essere curate dal farmaco.
E’ questo, com’è ben noto, il tema del cosiddetto “marchio ad ombrello”, oggetto di profonde discussioni e di contenziosi giudiziali.
Non è questa la sede per riprendere tutti i termini del problema che,
al momento, è al vaglio del Giudice amministrativo, ma desidero solo
porre alcune domande, in quanto talvolta vien da chiedersi se, in
realtà, non si stia discutendo di un problema quasi inesistente o di un
problema la cui soluzione non presenta peculiarità rispetto alle valutazioni d’ordine generale già esposte. Intendo dire che quando il
Ministero sancisce, come ha disposto con la circolare n.115 del dicembre 1975 (poi largamente disattesa) o come ha ribadito recentemente, che non sono ammessi tra i prodotti farmaceutici da banco specialità il cui marchio sia comune a specialità soggette a prescrizione,
afferma un principio del tutto condivisibile, a condizione che lo si
interpreti come lo stesso Ministero ha fatto per anni, prima di assumere un indirizzo nuovo che non trova la sua fonte in tale circolare.
Infatti, non vi è dubbio che deve essere inibito l’utilizzo di denominazioni-marchi comuni per individuare farmaci diversi, ma se tali
marchi comuni sono accompagnati da specificazioni tali da azzera-
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re la comunanza delle denominazioni nelle quali essi sono compresi
e così da azzerare il rischio di confondibilità tra le denominazioni
(che risultano così oggettivamente diverse), non si comprende perché mai la comunanza del marchio debba rappresentare un fattore
ostativo; a meno di voler collocare tale fattore ostativo in un’area del
tutto diversa, com’è quella del rischio di eludere il divieto di pubblicità cui sono soggetti i farmaci prescrivibili. Ma questo attiene ad
un altro ordine di argomentazioni - e sul tema della cosiddetta
“pubblicità occulta” mi fermerò più innanzi – in quanto esse non
rilevano sotto il profilo della confondibilità dei farmaci e del possibile impatto negativo di tale confondibilità sul mercato e sul libero
gioco della concorrenza.
Se invece rimaniamo entro i confini del tema di cui oggi stiamo
discutendo, il confronto tra le denominazioni deve pur sempre muovere dai criteri di possibile confusione già ricordati, e vale a dire
dalla composizione delle denominazioni, dal loro arricchimento con
specificazioni di diverso impatto lessicale e grafico o evocanti diversa efficacia terapeutica, dalla diversa forma farmaceutica, dalla
diversa modalità di somministrazione, dal diverso impatto sul consumatore medio e così, in una parola, il confronto deve tener conto
di tutti gli elementi di giudizio tipicamente richiamati ed utilizzati
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dalla giurisprudenza per delibare il giudizio di confondibilità.
Infatti, il legislatore vuole che ciascuna specialità, a prescindere dal
regime di prescrizione, sia immessa in commercio con una propria
denominazione, ma non prescrive certo che quest’ultima consista in
una denominazione (comune o scientifica) caratterizzata, ciascuna,
da un marchio diverso, come è agevole dedurre dal fatto che l’art.8
del D.lgs. n.178 offre all’azienda la possibilità di “accompagnare” la
denominazione comune o scientifica con un marchio “o” con il nome
del fabbricante che – ovviamente - non può essere diverso per tutti
i prodotti “coperti” dall’ombrello. Così, se il “nome del fabbricante”
è necessariamente comune, anche nel contesto di più denominazioni caratterizzanti più specialità anche soggette a differenti regimi di
prescrizione, nulla può ostare anche alla ricorrenza di un marchio
comune, a condizione, ovviamente, che ciò non conduca alla comunanza delle denominazioni.
Per questo, il giudizio sulla confondibilità delle denominazioni di
specialità riconducibili ad una linea caratterizzata dalla ricorrenza
di un marchio o del nome del fabbricante deve muovere solo dai criteri tipicamente utilizzati per affrontare l’analogo giudizio in accordo alle linee guida CPMP, allorché prevedono che la denominazione
di un farmaco, per la grafica utilizzata o le espressioni adoperate,
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non deve creare confusione con la denominazione di altri prodotti.
Naturalmente, quando si tratta di valutare i possibili elementi di
confusione tra denominazioni di prodotti riconducibili al medesimo
“ombrello”, l’attenzione deve essere maggiore stante la ricorrenza
dell’elemento grafico comune capace di ricondurre più farmaci ad
una linea e per questo è comprensibile, ad esempio, la scelta del
Ministero francese di offrire alle aziende un repertorio di suffissi ed
espressioni aventi una capacità individualizzante tale da escludere il
rischio di confusione. Ma che si adotti una tale via o ci si affidi, invece, al giudizio di chi è chiamato a valutare il grado di confondibilità,
la conclusione non è dissimile, in quanto si tratta pur sempre di giudicare, in linea di fatto, se gli elementi di distinzione dei prodotti
assolvono o meno alla necessità di evitare confusione tra gli stessi.
E ciò a tacer degli elementi positivi che le ricerche condotte hanno
evidenziato con riferimento alla possibile riconduzione di più prodotti ad una linea, perché, come ci è stato illustrato e documentato,
da una parte il marchio ad ombrello favorisce una scelta consapevole, poiché stimola il riferimento ad una linea di prodotti ritenuta
già affidabile dal consumatore e, dall’altra, impone al produttore
una ancor maggiore cautela, in quanto l’eventuale impatto negativo
di un prodotto può riverberare i suoi effetti, come in un domino,
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anche sugli altri prodotti della linea.
Per questo, non è certo possibile, ed a mio giudizio è profondamente illegittimo, argomentare, in questa materia, per criteri d’ordine
generale o presunzioni assumendo, quale postulato, una sorta di
divieto (inesistente) all’uso di un medesimo marchio nel contesto di
denominazioni diverse ma, al contrario, si tratta di valutare, nei
fatti, il rischio di confusione tra le denominazioni e, come ha puntualizzato l’EMEA, di considerare, caso per caso, le denominazioni
di volta in volta scelte dall’azienda.
Sappiamo che, in una recente sentenza, il TAR Lazio ha precisato
che le conclusioni dell’EMEA non hanno un’efficacia precettiva
diretta nel nostro ordinamento, ma se è pur vero che vi è una sovranità nazionale in materia sanitaria e farmaceutica, è però altrettanto certo che il nostro ordinamento conosce ed applica le procedure
centralizzate o di reciproco riconoscimento, e non può precostituire
una sorta d’enclave autarchica per quanto attiene al problema delle
denominazioni delle specialità. Non possiamo, infatti, non porci il
problema dell’impatto di un diverso approccio degli ordinamenti
nazionali sul tema delle denominazioni di farmaci in libera circolazione all’interno del mercato europeo, così come può costituire certamente un ostacolo alla libera circolazione l’imposizione, nel nostro
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paese, di una diversa denominazione già legittimamente autorizzata
a livello europeo.
Ugualmente, e ritorno alle considerazioni svolte all’avvio della relazione, non può legittimamente essere condizionato lo sfruttamento di
un marchio, il cui valore è dato dalla capacità attrattiva e di sviluppo commerciale dei prodotti, in assenza di qualsivoglia pericolo per
la salute pubblica ed in presenza di elementi di differenziazione
capaci comunque di evitare qualsivoglia pericolo di confusione tra
farmaci. Né certo, come ha più volte ribadito la giurisprudenza
amministrativa, è sufficiente evocare la necessità di tutelare la salute
pubblica per inibire comportamenti peraltro legittimi, perché è pur
sempre indispensabile precisare quando, come e perché la salute
pubblica rischierebbe d’essere compromessa dalla commercializzazione di specialità facilmente riconducibili ad una linea di prodotti.
La conclusione non è inficiata dalle preoccupazioni ministeriali,
fatte proprie anche dal Tar Lazio nella recente sentenza che ho già
ricordato, secondo le quali la legittimità dell’uso del “marchio ad
ombrello” – e continuo ad utilizzare tale espressione anche se largamente fuorviante in quanto sarebbe più corretto evocare “denomi nazioni diverse contenenti un segno distintivo comune” – è compro-
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messa allorché sono ricondotti alla linea comune farmaci soggetti a
diverso regime di dispensazione, perché il consentire la rappresentazione unitaria di una linea di farmaci comprensiva di prodotti da
banco e di specialità soggette a prescrizione, favorirebbe l’elusione
del divieto di pubblicità di queste ultime.
In altre parole, le specialità soggette a prescrizione beneficerebbero
della pubblicità di quelle d’automedicazione comprese nella medesima linea, e ciò sarebbe contrario alla legge, in quanto costituirebbe uno strumento d’elusione del divieto di pubblicità.
Come si può constatare, il problema è altro, e diverso, da quello fin
qui discusso; non si tratta di evocare circolari ministeriali (peraltro
sempre disapplicate) o di richiamare la tutela della salute pubblica a
fronte di un rischio (peraltro mai riscontrato) di confusione tra prodotti o, ancora, di scongiurare alterazioni della concorrenza (peraltro
mai denunciate) ma, ben più semplicemente, di valutare l’impatto
della disciplina della pubblicità dei farmaci sulla fattispecie in esame.
Ed anche a questo riguardo non resta, per così dire, che applicare la
legge, né si dica, come parrebbe ovvio, che l’intervento del medico
nel prescrivere la specialità esclude, a priori, l’incidenza del messaggio pubblicitario a favore del farmaco da banco, in quanto
abbiamo letto, nella recente sentenza del Tar del Lazio che ho già
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richiamato, che il rigore con il quale i medici svolgono la loro professione non costituisce elemento sufficiente a far sì che essi “possa no sfuggire ai richiami pubblicitari occulti determinati da denomi nazioni unitarie per farmaci diversamente dispensati”.
Non voglio minimamente entrare nel merito della possibile reazione
della classe medica a fronte di tale giudizio né soffermarmi a chiedere che cosa i giudici amministrativi abbiano inteso per “denomi nazioni unitarie”, ma mi limito ad osservare che un tale assunto,
fondato su una semplice presunzione, condurrebbe alla paradossale
conseguenza di una modifica delle denominazioni di farmaci soggetti a prescrizione (ai fini della loro esclusione dalla linea-ombrello) anche se, per ipotesi, l’azienda non svolgesse alcuna attività
pubblicitaria sulle specialità di automedicazione afferenti alla linea.
E ciò è francamente azzardato, poiché non può certo essere sanzionata la condotta di un’azienda per il solo fatto che se mai essa
ponesse in esser tale condotta violerebbe un precetto di legge o
comunque ne eluderebbe la precettività.
Questi sono i limiti delle argomentazioni per postulati, essendo
appunto null’altro che un assioma il rilievo secondo il quale l’utilizzo di “denominazioni unitarie” condurrebbe, comunque, ad una
pubblicità occulta a beneficio del farmaco soggetto a prescrizione e
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così ad una condotta illecita, da vietare in via preliminare, con una
sorta di censura ab origine, volta ad imporre la diversificazione delle
denominazioni o l’esclusione dall’ombrello del farmaco soggetto a
prescrizione.
La verità è un’altra, e cioè che anche in quest’ambito – al pari di
quanto già detto con riferimento al giudizio di confondibilità – si
impone una verifica puntuale caso per caso, iniziativa pubblicitaria
per iniziativa pubblicitaria, in quanto non è per nulla affatto da
escludere che una campagna pubblicitaria possa, volutamente o nei
fatti, essere tale da riflettersi anche su specialità di cui è inibita la
pubblicità ma, in tal caso, l’apparato sanzionatorio del D.Lgsl. n.541
del 1992 è certamente adeguato per reprimere la condotta illecita, a
prescindere dalle suggestioni di cui possono essere “vittime” i medici prescrittori. Infatti, ciò che rileva è l’impatto del messaggio pubblicitario, in quanto “il nocivo effetto della pubblicità occulta o impli cita” presuppone che sia in corso o stia per essere promosso un messaggio pubblicitario, mentre non è configurabile una pubblicità illecita di un farmaco soggetto a prescrizione per il solo fatto che la sua
denominazione richiama, legittimamente, un marchio contenuto
anche nella denominazione di un farmaco di automedicazione.
E questo ci riporta a quanto già discusso, e cioè alla necessità di valu-
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tare la realtà fattuale e la fattispecie in esame, muovendo dall’originalità dei segni distintivi e rinunciando a presunzioni prive di riscontri e che, per ciò stesso, possono essere clamorosamente smentite.
Se così è, ed è questo l’insegnamento del diritto industriale cui deve
essere ricondotto anche il cosiddetto diritto farmaceutico in assenza
di una norma derogatoria, non sono certo ammissibili né censure
preventive in sede di rilascio delle autorizzazioni all’immissione in
commercio di una specialità né interventi successivi sulle denominazioni (lecite) di specialità già commercializzate, in assenza di precisi riscontri in merito alla possibile violazione dalla disciplina di cui
al D.Lgs. n.541 del 1992. Infatti, ciò che la legge vieta è la pubblicità (occulta o palese) di specialità soggette a prescrizione, ma non
certo, ad esempio, la pubblicità di un marchio non avente capacità
distintiva delle diverse specialità individuate da denominazioni differenti e da altri elementi significativi aventi capacità identificative
e distintive.
Per questo mi sono permesso di definire il tema della “pubblicità
occulta o implicita” estraneo e fuorviante rispetto all’argomento in
discussione che attiene, esclusivamente, al pieno diritto dell’industria farmaceutica di valorizzare e sfruttare i propri marchi con l’av-
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vertenza, ovviamente, che ciò non deve indurre a denominazioni
uguali o confusorie.
Ovviamente, nulla osta, come anticipato, che il legislatore adotti
regole di necessaria differenziazione tra denominazioni di specialità soggette a diverso regime di dispensazione o una disciplina
volta ad “impedire o limitare che i farmaci d’automedicazione,
liberamente pubblicizzabili, inducano o consentano il consumo di
farmaci non pubblicizzabili” come affermato dal Tar Lazio, ma,
oggi, la disciplina per il rilascio delle denominazioni è assolutamente unitaria e la commercializzazione di una specialità con una
denominazione legittimamente concessa non costituisce un messaggio pubblicitario soggetto, come tale, alla disciplina della pubblicità dei farmaci.
Per questo il problema riposa sulla ricerca degli elementi distintivi
delle denominazioni, perché nulla osta che esse comprendano o si
accompagnino ad un marchio comune, a condizione, peraltro, che
esse mantengano una propria specifica individualità, capace di evocare lo specifico farmaco così denominato.
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Considerazioni conclusive
Alla luce di quanto emerso dalle relazioni pre c e d e n t e m e n t e
p roposte, che delineano un quadro globale ricco, dettagliato,
stimolante, è possibile delineare alcune precise riflessioni e
conclusioni, con l’intento di gettare le basi, i principi ispiratori, di un approccio più obiettivo e concreto al marchio di automedicazione.
Alla domanda “Cos’è il marchio di automedicazione?” si può ora
offrire il contributo di una risposta chiara, completa, sistematica.
In primo luogo, il marchio è per il consumatore ben più di una
“guida” e un punto di riferimento. E’ tutto ciò e anche di più: una
fonte di valori forti, quali protezione, fiducia, lealtà, e così via.
Il marchio di automedicazione rappresenta per gli individui protezione e aiuto, un supporto prezioso per ridurre l’incertezza e l’ansia,
un fattore chiave di sicurezza e semplificazione della vita.
In secondo luogo, la funzione chiave del marchio per il consumatore è quella di consentirgli il trasferimento dell’esperienza positiva
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Considerazioni conclusive
(guarigione) nel tempo e nello spazio. Ciò significa che esso conferma e orienta le scelte, ma non le determina direttamente.
In terzo luogo, non appaiono sussistere rischi di consumismo, né
che il marchio in sé costituisca stimolo al consumo, stanti le specifiche caratteristiche psicologiche del mercato dell’automedicazione,
che manca di tutte quelle dinamiche di aspirazionalità tipiche dei
fenomeni di consumismo. Laddove questi ultimi si alimentano di
dimensioni psicologiche positive (ricerca di gratificazioni) e della
connessione con le aspirazioni e i sogni delle persone, il mercato
dell’automedicazione si caratterizza per una dimensione mentale
negativa (stato di malessere/sofferenza cui sottrarsi) e per la
necessità di curarsi.
In quarto luogo, il marchio è non solo un valore e un asset dell’impresa, ma anche un elemento di forte responsabilità nei confronti
del mercato.
Nel marchio infatti l’azienda mette in gioco tutta se stessa, la sua
credibilità, la sua reputazione, tutto il patrimonio di fiducia che ha
accumulato presso il consumatore.
Ciò significa che, al contrario di molti stereotipi largamente condivisi, l’utilizzo estensivo del marchio è per l’azienda un’attività assai
delicata, in cui essa deve dare il meglio di sé, poiché il consumatore
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
non è né acritico né sprovveduto.
Il ricorso al marchio ombrello, in altre parole, comporta una precisa assunzione di responsabilità agli occhi del consumatore: se il
nuovo prodotto non soddisfa le attese di efficacia terapeutica, il problema è ben più grave che “un lancio sbagliato”, in quanto vengono danneggiate la credibilità e la reputazione del marchio in tutti i
prodotti in cui si esprime.
E’ possibile asserire, in conclusione, che il marchio rappresenta uno
snodo fondamentale in cui convergono e si incontrano le esigenze del
consumatore e delle imprese:
• Per il consumatore esso è un simbolo di fiducia e tranquillità, un
punto di riferimento indispensabile che deve essere sempre assolutamente evidente e riconoscibile.
• Per l’impresa il marchio è un valore da rispettare e tutelare al massimo, e al tempo stesso un patto di responsabilità con il consumatore.
• Infine il marchio, in quanto elemento forte di razionalizzazione
dei comportamenti di scelta delle persone, costituisce un vantaggio anche per il sistema sanitario, poiché riduce la probabilità di
errori da parte del consumatore.
In questa prospettiva, essendo l’uso del marchio fonte di tranquillità e rassicurazione per il consumatore, e costituendo esso
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Considerazioni conclusive
un importante patrimonio d’impresa, ne discende che l’utilizzo
del marchio ombrello risponde ad un’esigenza del mercato nel
suo complesso.
Il marchio ombrello, infatti, lungi dall’essere uno stimolo al consumismo (di cui mancano i presupposti psicologici) o un elemento di
incertezza e confusione (anche perché, come si è visto, il consumatore tende sempre a cercare il consiglio e l’assistenza di figure professionali), rappresenta per le persone un utile e rilevante filo conduttore per orientarsi, per evitare errori, per uscire dalla sofferenza.
Il marchio deve dunque essere una chiara componente delle denominazioni dei singoli prodotti, che a loro volta devono essere ben
distinguibili tra loro.
Il punto chiave consiste nell’individuazione degli elementi distintivi
delle denominazioni, poiché, allorquando queste non siano uguali o
assonanti o consimili, il fatto che esse comprendano al loro interno
anche il marchio d’impresa costituisce un vantaggio per il consumatore e, al tempo stesso, una corretta valorizzazione di un basilare
asset aziendale.
Il ricorso al marchio ombrello, per concludere, è un problema
pragmatico e concreto, non teorico: esso è risolvibile solo verificando e definendo, sulla base di metodi scientifici e di dati ogget-
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Il marchio di automedicazione. Una garanzia per il consumatore, un valore per l’impresa
tivi, senza assiomi o stereotipi pregiudiziali, quali siano gli elementi (verbali ed iconici) da aggiungere di volta in volta al marchio per creare denominazioni realmente consone alle esigenze
del consumatore, ovvero da un lato inequivoche e distinguibili,
dall’altro riconducibili comunque al marchio, fonte di valori e
tranquillità.
Prof. Beniamino Stumpo
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