INFERTILITA’ DI COPPIA (COLLEGARSI AL www.crumessina.it) Si definisce infertilità la mancanza di concepimento dopo 12 mesi di rapporti non protetti e con adeguata frequenza. In passato si riteneva in generale che tale situazione fosse principalmente legata a cause femminili. Attualmente è dimostrato che il fattore maschile è presente in almeno 50% dei casi (solo fattore maschile o combinazione di fattore maschile e femminile). Sicuramente un ruolo importante è giocato dal fatto che l’età in cui la coppia cerca la prima gravidanza risulta, per motivi sociali, sempre più posticipata. Al di là di questo, esistono una serie di fattori di rischio per la fertilità maschile che devono essere accuratamente ricercate ed eventualmente trattate. In particolare si tratta di fattori che, per tutto l’arco della vita, possono influenzare negativamente la capacità riproduttiva in modo transitorio o permanente. Ricordiamo per esempio patologie come il criptorchidismo (il cosiddetto "testicolo ritenuto"), infezioni delle vie genito-urinarie e patologie prostatiche, varicocele, orchite post-parotitica, torsioni del funicolo spermatico, traumi e pregressi interventi chirurgici invasivi della regione inguino-scrotale, disordini endocrini, assunzione di farmaci (es. esposizione a chemioterapici per patologie neoplastiche), patologie genetiche cromosomiche (la più comune è S. di Klinefelter) e geniche (le più comuni sono le microdelezioni del cromosoma Y), patologie da abuso di alcol e stupefacenti, patologie professionali (es. esposizione a radiazioni ionizzanti o ad inquinanti chimici di provata tossicità per la spermatogenesi). A queste vanno aggiunte patologie sistemiche o d’organo fortemente debilitanti l’organismo e tutti i disordini che hanno implicazioni sulla funzione erettile ed eiaculatoria, situazioni che, in un modo o nell’altro influenzano tutte negativamente la capacità riproduttiva maschile. E’ compito dell’Andrologosia individuare l’eventuale "contributo" maschile nell’infertilità della coppia, sia stabilire un preciso percorso diagnostico che ne quantizzi il grado e ne identifichi, quando possibile, le cause. La prima visita non può prescindere da un’accurata anamnesi, che indaga ad esempio se il paziente ha avuto problemi di criptorchidismo in età pediatrica, se ha avuto un normale sviluppo puberale, se ha subito traumi importanti nella regione inguino-scrotale, se ha avuto infezioni all’apparato uro-genitale o ha contratto una parotite complicata con un’orchite; va indagata inoltre l’attività lavorativa e fisica svolta, lo stile di vita, l’eventuale abuso di alcol o sostanze stupefacenti, altre patologie sistemiche o di organo di rilievo, se sono presenti in famiglia altri casi di infertilità o menopausa precoce. L’indagine in sostanza dovrà mirare un po’ alla ricerca ed all’esclusione dei fattori di rischio sopradescritti. E’ inoltre opportuno, sempre ai fini della valutazione dell’infertilità maschile, raccogliere alcune informazioni anche sulla componente femminile (età della partner, regolarità o meno dei cicli mestruali, precedenti gravidanze e/o aborti spontanei o provocati) nonchè frequenza e modalità dei rapporti sessuali (es. se l’attività sessuale avviene con regolare frequenza, se ci sono problemi di erezione, se l’eiaculazione avviene regolarmente in vagina, se i rapporti sono concentrati soprattutto nel periodo potenzialmente fertile della donna). Va sottolineato che le informazioni coinvolgenti la partner sono a puro appannaggio della valutazione maschile e non possono in alcun modo essere considerate alternative all’indagine sulla componente femminile, che resta di stretta competenza dello specialista ginecologo. Un attento esame obiettivo della regione genitale è altrettanto importante e dovrà prevedere la valutazione dei testicoli con ricerca di un eventuale varicocele, degli epididimi e del primo tratto dei deferenti, del pene, della prostata e vescicole seminali. Seguirà una serie di indagini laboratoristico-strumentali, che possiamo considerare di I livello: - analisi del liquido seminale (spermiogramma) che rappresenta il cardine dell’iter diagnostico relativo alla valutazione della fertilità maschile - esami microbiologici (spermiocoltura, ricerca di chlamydiae trachomatis e mycoplasma urealiticum) - profilo ormonale (in particolare gonadotropine, testosterone, prolattina, TSH ed eventuali altri ritenuti necessari) - un’ecografia scrotale con color doppler dei funicoli spermatici per valutare la presenza di varicocele o di altre alterazioni testicolari Sulla base dei risultati di queste prime indagini, si passerà o meno ad una valutazione laboratoristico-strumentale più approfondita, che possiamo definire di II o III livello. Potranno essere presi in considerazione per es. ulteriori test del liquido seminale (es. ricerca di anticorpi antispermatozoo adesi), un approfondimento della situazione ormonale tramite eventuali tests da stimolo, un’ecografia prostato-vescicolare, una serie di analisi di tipo genetico (es. cariotipo, ricerca di microdelezioni del cromosoma Y e mutazione del gene CFTR o altre se indicato). Se necessario, si potrà accedere ad una diagnostica ancora più invasiva come il citoaspirato o la biopsia testicolare. Per quanto riguarda le prospettive terapeutiche relative all’infertilità maschile l’obiettivo del trattamento è quello di raggiungere le condizioni migliori possibili per quello che riguarda la spermatogenesi e la qualità del seme. Se dagli esami, ad esempio, sono emerse infezioni genitali, occorrerà trattarle con adeguata terapia antibiotica e antinfiammatoria. Escluse o trattate queste, un approccio terapeutico importante è costituito dalla terapia ormonale, in particolare tramite l’uso di gonodotropine (in particolare FSH). La terapia ormonale può essere utilizzata sia in modo razionale (in caso cioè di documentata carenza ormonale), sia in modo empirico, quando, pur senza un’evidenza di deficit secretorio di gonadotropine, si sfrutta di fatto un effetto stimolatorio sulla spermatogenesi. Quest’ultima situazione è di gran lunga la più frequente in clinica e trova indicazione in caso di ridotta spermatogenesi (cioè la situazione definita con il termine di oligospermia). Numerosi studi documentano l’efficacia di tale trattamento; tuttavia rimangono al presente mal definiti i criteri di predittività di risposta a tale terapia. Un altro presidio terapeutico che si è rivelato efficace in studi clinici controllati per il trattamento dell’infertilità maschile è costituito dagli antiossidanti. La produzione di radicali liberi ad azione ossidante è un prezzo inevitabile che i sistemi biologici pagano, principalmente a causa del metabolismo energetico. Un loro eccesso può risultare deleterio per l’integrità ed il funzionamento delle molecole biologiche, per cui, entro certi limiti i sistemi stessi sono dotati di antiossidanti, molecole cioè in grado di bloccare i radicali liberi; tale attività di neutralizzazione dei radicali liberi è definita come "capacità di scavenging". E’ dimostrato che gli spermatozoi di soggetti affetti da dispermia presentano una ridotta capacità di scavenging e conseguente eccesso di radicali liberi ossidanti. Su questi presupposti sono stati intrapresi studi clinici che hanno utilizzato efficacemente antiossidanti come presidio terapeutico. Viene sottolineato in particolare l’utilizzo del coenzima Q10 (ubidecarenone), la cui somministrazione orale comporta un incremento dello stesso nel liquido seminale, correlato con un miglioramento dei parametri seminali e del tasso di gravidanze ottenute. Un’altra molecola di provata efficacia è la carnitina, la cui somministrazione orale ha determinato un miglioramento dei parametri seminali, della capacità di scavenging del liquido seminale nei confronti dei radicali liberi ed un incremento del numero di gravidanze ottenute. L’eventuale approccio alla tecniche di procreazione medicalmente assistita, dal punto di vista andrologico, va preso in considerazione principalmente quando, pur in presenza di una migliorata la qualità del seme la coppia non raggiunge comunque l’obbiettivo della gravidanza in un arco di tempo ragionevole; se sono falliti i tentativi di miglioramento della qualità del seme e quindi del grado di fertilità maschile; se non ci sono reali prospettive terapeutiche di miglioramento della fertilità maschile; se l’età della coppia (in particolare della partner femminile) è avanzata. A tale proposito deve essere esplicitato al paziente che, essendo il tempo fisiologico di un ciclo spermatogenetico pari a circa tre mesi, tale sarà il tempo per riscontrare eventuali effetti terapeutici sulla qualità del suo seme. L’eventuale ricorso alla procreazione medicalmente assistita deve essere effettuata comunque in stretto coordinamento con lo specialista ginecologo che segue la partner. Va sottolineato infine che la scelta della strategia terapeutica per quanto riguardi il maschio infertile rimane appannaggio dello specialista Andrologo Medico, sulla base dei dati clinici, laboratoristici e strumentali ottenuti dopo l’appropriato iter diagnostico.