1. Le FILOSOFIE ELLENISTICHE All’indomani delle conquiste di Platone e Aristotele, con il potere attribuito alle Idee di essere i Modelli e le Cause delle realtà sensibili e la costituzione fisica e metafisica dei Sinoli e della Sostanza Divina, emerge nella filosofia greca una forte opposizione alla frattura dualistica introdotta dalle loro filosofie, in particolare contro la considerazione della realtà trascendente e metafisica come Causa Finale o Causa Movente responsabile della generazione degli enti sensibili e del loro incessante divenire. Andando oltre Platone, ARI aveva fornito una giustificazione razionale dell’esistenza degli INDIVIDUI anche per la realtà del Sinolo Uomo, come unità di Forma e Materia, Anima e Corpo, ponendo un particolare grado di Felicità, quello che va oltre i piaceri sensibili e gli onori pubblici ed è raggiunto con la contemplazione teoretica delle verità eterne e degli attributi della Sostanza Divina, come il Fine supremo delle Virtù umane, raggiungibile da ciascuno con l’esercizio della Ragione, ma evidentemente accessibile nel suo massimo grado solo ai sapienti filosofi. Nella considerazione degli uomini come Sostanze autonome, bastanti a se stesse e governate dal Fine della Felicità, ARI aveva riconosciuto una dignità ontologica alla Materia come elemento necessario per l’individualizzazione delle Forme nella costituzione d’essere del Sinolo; la Materia restava però una componente puramente passiva e subordinata, nei suoi movimenti e nelle sue trasformazioni, ad una causalità finalistica esterna ad essa, la Causa Finale costituita da Dio o dalle Idee copiate dal Demiurgo. Ma come considerare l’Individuo umano una realtà autonoma e bastante a se stessa, se la sua Felicità viene a dipendere, nella gerarchia dei suoi gradi, da una realtà che sta oltre il mondo sensibile, secondo una sorta di determinismo metafisico? In un modo ben diverso parlavano della Materia gli Atomisti, per i quali ogni realtà è un’aggregazione di atomi eterni in movimento nel vuoto, senza alcuna finalità da raggiungere, e ciò poneva in termini molto diversi da quelli platonici e aristotelici il tema della Felicità individuale, perché essa non potrà prescindere dall’accordo tra la Felicità teoretica che nasce dalla contemplazione delle Verità della metafisica o del Bello in Sé, e una Felicità corporea connotata dal Piacere sensibile. Se la Materia è una sorta di denominatore comune di tutti gli Individui del cosmo fisico, in quanto Individui corporei, ecco che proprio la Materia diventa il luogo di una nuova divaricazione tra una Materia priva di qualsiasi Finalità, perché dominata da una causalità puramente meccanica, e una Materia di derivazione aristotelica che, non potendo esistere senza l’impronta di una Forma, diventa suo malgrado protagonista di un divenire finalistico che fa coincidere la realtà assoluta della Sostanza Divina con la totalità del mondo naturale, così come era implicito nella immanenza dell’Essere in ogni esistenza individuale. ATOMISMO e PANTEISMO, quest’ultimo di derivazione eraclitea, diventano così le dottrine ispiratrici delle due principali scuole del periodo ellenistico, la scuola Epicurea, dal nome del fondatore Epicuro, e la scuola Stoica, dal termine ‘stoà’, portico, che era il luogo dove il fondatore, Zenone di Cizio, era solito a impartire il suo insegnamento. Entrambe le scuole si collocano nel solco della rivoluzione socratica che aveva innalzato la Felicità individuale a compito specifico della ricerca filosofica, con la considerazione del Bene come l’Essenza comune a tutte le Virtù, un Bene diverso dall’Utile dei Sofisti perché determinato dalla Ragione e capace di esorcizzare il Male. Ma rispetto a Socrate, Epicurei e Stoici si differenziano per lo stesso motivo: il Male non è soltanto una deficienza del Bene, una ignoranza del Bene; il Male esiste ed è una realtà, nel dolore e nella sofferenza dei Corpi, nelle ansie, nelle angosce e nei turbamenti delle Anime. Per entrambe le scuole la Virtù socratica, cioè la Virtù razionalmente posseduta, assume il valore decisivo di costituire l’arma più potente contro il Male e il Dolore. Se però è comune alle due scuole la lotta contro il Male per il possesso di una Felicità stabile e conciliata con il Corpo, assai diverso è il loro percorso, a causa della divaricazione nella concezione della Materia: - per gli Epicurei, che fanno propria la concezione atomistica, proprio perché i movimenti della Materia non sono governati da nessuna finalità estrinseca, l’uomo può essere libero artefice del proprio Bene-Felicità, un Bene che non può prescindere dal Piacere corporeo di cui l’uomo gode in assenza del dolore fisico o dei turbamenti dell’Anima; - per gli Stoici, proprio perché nella Materia di tutti i Corpi è immanente il Principio divino, la Ragione o LOGOS Universale che governa il cosmo, l’uomo ha la libertà di sottrarsi al dominio della Materia e dei suoi impulsi passionali per vivere in accordo con la Ragione cosmica del Tutto, sopportando pazientemente anche il destino avverso. Per epicurei e stoici il richiamo a Socrate apre il terreno inedito della Libertà individuale, il Libero Arbitrio, che mette l’uomo in una condizione neutrale rispetto al Bene e al Male, così da essere responsabile della scelta tra le due polarità, senza essere già predeterminato al Bene; una scelta non più combattuta solo sul piano del Sapere e dell’Ignoranza, come per Socrate, bensì sul piano della corporeità materiale. Seppur divise nei percorsi da seguire per raggiungere la Felicità rara e preziosa concessa al Saggio virtuoso, le due scuole condividono in profondità il recupero dello sguardo originario che aveva contrassegnato la nascita della filosofia, cioè la visione del Tutto Cosmico apparso nelle domande dei filosofi di Mileto, nel Logos di Eraclito e nell’Essere di Parmenide, al di qua e prima delle distinzioni teoretiche introdotte dalla Enciclopedia aristotelica del Sapere. Per Epicuro tale visione genera come contenuto principale l’unità psicofisica dell’uomo, unità della Materia corporea con un’Anima anch’essa corporea e fatta di atomi sottilissimi, contro l’artificiosa separazione platonica tra un’Anima Immortale e un Corpo mortale; Zenone e gli Stoici rievocano più potentemente la visione eraclitea di un Logos Universale che abbraccia in un’unica realtà tutto il Cosmo naturale e l’Uomo stesso al suo interno, nella rinnovata visione di una Materia animata e vivificata dallo Spirito, termine nuovo che rievoca il ‘Pneuma’ di Anassimene, ma che si allarga ad esprimere la temporalità delle leggi e dei cicli del Logos che governa la Materia. 2. La Filosofia di EPICURO come Medicina dell’ANIMA Epicuro è il filosofo che più di tutti si oppone ad una concezione finalistica della natura e del cosmo intero, di matrice platonica e aristotelica, rivitalizzando la ricerca socratica della Virtù razionale per farne l’arma vincente della Libertà dell’uomo contro i mali connaturati alla natura umana, del Corpo e dell’Anima, anch’essa materiale. La particolarità dello sguardo di Epicuro è quella di considerare l’uomo nella sua unità psicofisica, un Tutto senza artificiosi dualismi interni, che agisce e si orienta nella vita secondo il principio comune a tutti i viventi, cioè la ricerca del Bene del Piacere e dell’allontanamento del Male e del Dolore. Ecco che il Sapere rivela una funzione più nascosta che non appare nelle divisioni delle Scienze, ma che le subordina nel loro insieme allo scopo pratico di combattere i Mali e il Dolore di tutti i viventi. La filosofia assume così per Epicuro il ruolo di una ‘pratica terapeutica’, una medicina per l’Anima o Tetrafarmaco che è efficace contro 4 Mali: - il timore degli dei, delle loro punizioni o interferenze nella vita degli uomini, che viene superato sia con la credenza nella loro natura corporea, con atomi sottili e veloci, simili a quelli dell’Anima, sia con la loro indifferenza verso i destini degli uomini per la beatitudine eterna della loro condizione, negli spazi compresi tra gli infiniti mondi (gli Intermundia); - il timore della morte, che nasce e si alimenta dall’attesa del ‘dopo’, ma che viene vinta dalla considerazione che essa segna la fine del nostro ‘sentire’, cosicchè quando giunge la morte e anche gli atomi dell’Anima si disgregano, non è più possibile percepire alcuna sofferenza, rendendo la morte stessa un ‘niente’; - il timore del dolore fisico provocato dalle malattie, che viene affrontato con la distinzione tra le malattie di breve durata e quelle croniche; le prime si risolvono con il ritorno della salute o con la morte, per la quale vale quanto già detto, mentre le seconde hanno lunga durata e possono essere tollerate come una seconda natura, limitando il dolore anche attraverso le consolazioni che vengono dalle gioie dell’amicizia, dalla solidarietà umana che aiuta ad attenuare ed equilibrare la forza del dolore; - l’ultimo male che la filosofia può contrastare è l’ignoranza del vero Piacere, perché da questo insegnamento dipenderà la perfetta Felicità del Saggio epicureo, che incarna l’espressione più alta del Libero Arbitrio dell’uomo di fronte al Bene e al Male. 3. La funzione strumentale della FISICA La teoria democritea degli Atomi era lo strumento più potente per contrastare il finalismo naturale introdotto da Platone e Aristotele, e ad essa si rivolge Epicuro per adottarla come la visione e la verità del cosmo naturale e psichico in grado di essere utile alla funzione terapeutica assegnata alla Filosofia. Così Epicuro ne presenta l’esigenza: “ Della scienza della natura non avremmo bisogno se non ci turbasse il sospetto e il timore delle cose dei cieli……. Chi non sa quale sia la natura dell’Universo, sta in ansia e sospetto per le favole dei miti.” Insieme all’intento teoretico e conoscitivo, l’indagine sulle cause dei fenomeni naturali che più incutono timore nell’uomo avrà un valore liberatorio dalle credenze superstiziose che turbano l’Anima, facendo temere punizioni e interventi divini. Fenomeni come il tuono, le eclissi o il moto degli astri non sono regolati dagli dei ed è del tutto errato pensare che il mondo celeste sia totalmente diverso da quello terrestre, come pensava Aristotele, essendo anche la corporeità degli astri costituita da aggregati di atomi. Epicuro si preoccupa anche di dare una base naturale al Libero Arbitrio possibile all’uomo, modificando in parte la teoria di Democrito con l’introduzione del Peso come distinzione quantitativa degli atomi, e della loro declinazione nel movimento verso il basso. Trascinati dal Peso a cadere in perpendicolo, gli atomi non potrebbero dar luogo ad alcuna aggregazione se non intervenisse una minima declinazione o deviazione dalla traiettoria rettilinea, ed è questa indeterminazione della traiettoria legata al Peso degli atomi a generare l’infinita varietà delle aggregazioni esistenti. Aggiungendo un elemento di imprevedibilità nella generazione pur sempre meccanica delle aggregazioni, viene giustificato anche sul piano fisico la possibilità umana di sfuggire al rigido determinismo del Bene e del Male, del Piacere e del Dolore. Con la dottrina atomistica, Epicuro spiega anche il processo conoscitivo come Criterio del Vero nei tre momenti della Sensazione, della Anticipazione e del Sentimento. In seguito a ripetute Sensazioni generate dagli effluvi atomici emanati dai corpi, si determina in noi lo ‘schema generale’ di una determinata realtà, una Rappresentazione Concettuale o Anticipazione, che permette all’individuo di anticipare nella mente i caratteri di quella realtà, senza che essa sia direttamente percepita. Anche alla base della conoscenza operano i sentimenti di Piacere e Dolore, che operano una discriminazione delle nostre sensazioni, conoscenze ed opinioni, per scegliere quelle che procurano Piacere e respingere quelle che generano Dolore. 4. L’ ETICA e la Dottrina del PIACERE La conquista più originale della filosofia di Epicuro è certamente l’Etica, a cui ogni altro Sapere è subordinato. E’ un’etica che non prescinde dalla corporeità materiale dell’uomo e che rifiuta la contrapposizione tra Piacere intellettuale e Piacere sensibile di origine platonica, perché considera il Piacere nella sua relazione esclusiva con il Dolore. Come la vita e la morte, il Piacere e il Dolore si escludono a vicenda, nello stesso senso della relazione dei contrari di Eraclito. Nella prospettiva epicurea, il Piacere non ha un contenuto determinato perché viene ricercato solo nella sua funzione di antidoto al Dolore, rivelandosi con ciò come la Virtù più specifica dell’uomo in quanto nessun Piacere è più perfetto di quello che elimina e annulla il Dolore, sia del Corpo sia dell’Anima. Se il Piacere è assenza di Dolore, esso va considerato come il Bene più grande, cosicchè uno dei Mali peggiori per l’uomo sarà proprio l’ignoranza intorno al Piacere perfetto. Contro tale ignoranza si tratta di compiere una sorta di educazione al Piacere distinguendo i Piaceri stabili, che derivano dalla soddisfazione dei bisogni naturali e necessari, come il bisogno di cibo, di riposo e di indumenti, dai Piaceri ‘in movimento’ suscitati sia da bisogni naturali ma non necessari, come i desideri sessuali, sia da bisogni non naturali e non necessari, come i piaceri dei dissoluti, degli avidi e dei vanitosi, che procurano continui turbamenti all’animo umano. In questo percorso che innalza il Piacere a mezzo indispensabile per la perfetta Felicità psicofisica, diventa determinante l’uso della Ragione e del Libero Arbitrio dell’uomo nello stabilire la ‘misura del Piacere’, secondo un Calcolo Razionale dei vantaggi che ne possono derivare, per evitare sia di scambiare e prendere un Male per un Bene, sia che il godimento di un Piacere finisca per trasformarsi in un Dolore. Come si vede, il Piacere epicureo non va affatto confuso con l’edonismo sfrenato di un Piacere fine a se stesso e che finisce per schiavizzare l’uomo ad un cieco determinismo materialistico, privo di Libertà e di Ragione. Il Piacere diventa la Virtù più propria dell’uomo solo quando si accompagna all’esercizio della sua Libertà, essa stessa resa possibile dalla costituzione atomica dell’uomo e dell’universo, che non è determinata da alcuna Finalità trascendente. Il Saggio epicureo così delineato segue la regola del ‘vivi nascosto’ perché vede nella vita politica solo affanni e turbamenti. La natura esclusivamente individuale e non politica della Felicità impone al virtuoso epicureo di poterla raggiungere solo all’interno di piccole comunità, basate sulla condivisione di un sapere comune relativamente alla natura e all’uomo, e sui vincoli di amicizia che si creano in un gruppo di eletti. E proprio l’Amicizia viene presentata da Epicuro come uno dei Piaceri più autentici della vita dell’uomo, per il suo grande potere di consolazione nei momenti difficili e di solitudine, e per la dolcezza dell’aiuto reciproco con cui possono essere equilibrati e compensati anche i Dolori più intensi della vita umana.