l`etica epicurea - Digilander

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FILOSOFIA DELL’ETA’ ELLENISTICA
(etica epicurea)
Prof. Michele de Pasquale
per raggiungere la felicità e la tranquillità dell'animo
(atarassia), bisogna osservare alcune regole di
comportamento pratico, e per definire questo occorre
avere chiare nozioni sulla natura delle cose:
ecco il senso da dare alle ricerche fisiche e, in generale,
alle questioni attinenti il problema della conoscenza
 la teoria fisica di Epicuro si rifà all'atomismo democriteo, dal quale
deriva la dottrina degli atomi e del vuoto, dell'aggregarsi e del
disgregarsi dei primi (in un movimento eterno ed in uno spazio
infinito), che danno luogo al nascere e al morire di tutte le cose e di
tutti i fenomeni della natura…
 se gli atomi si muovono nel vuoto alla stessa velocità e secondo
traiettorie rette, il loro incontro sarà il risultato di una deviazione
dalla propria traiettoria…
 anche l'anima è composta di atomi: essa è un corpo sottile assai simile a
un soffio e avente in sé una certa misura di calore…
 la sensazione non è altro che il flusso di un "simulacro" (immagine
composta sempre da atomi) che si stacca dal corpo e colpisce,
attraverso i nostri organi di senso, gli atomi della nostra anima:
l’evidenza coincide con l’azione degli oggetti sugli organi di senso…
 su ciò si basa la teoria dell'"anticipazione” (ci si basa sull'esperienza di
sensazioni passate per anticipare esperienze future): la sensazione, è il
supremo criterio della verità dell'oggetto, in quanto è essa che, in ultima
analisi, conferma o smentisce la nostra anticipazione…
su questa gnoseologia sensistica Epicuro costruisce la sua
etica che si propone di liberare l'uomo dai timori tradizionali
degli dei e della morte
“ Gli dei esistono: abbiamo di essi conoscenza evidente. Ma non esistono
nella forma in cui li concepisce il volgo; empio non è colui che rinnega gli
dei del volgo, ma colui che applica le opinioni del volgo agli dei.”
(Epicuro, lettera a Meneceo)
questa "conoscenza evidente" degli dei in forme che non sono
quelle del popolo si limita all'affermazione che essi, in quanto
beati, immortali, immuni da affari, non possono occuparsi
delle vicende dell'uomo, che turberebbero la loro beatitudine
e la loro imperturbabilità;
per il resto, essi conservano, nell'empireo della loro beatitudine, tutte le
caratterizzazioni antropomorfiche che la fantasia popolare attribuisce loro
per quanto riguarda la morte, l'altro timore che affligge la
vita dell'uomo, proprio sulla base della sua concezione
sensistica Epicuro può affermare che
“ il piú terribile dei mali, dunque, la morte, non è niente per noi, dal momento che,
quando noi ci siamo, la morte non c'è, e quando essa sopravviene noi non siamo
piú. Essa non ha alcun significato né per i viventi né per i morti, perché per gli uni
non è niente, e, quanto agli altri, essi non sono piú... Abituati a pensare che la
morte non è nulla per noi, perché ogni bene e ogni male risiede nella facoltà di
sentire, di cui la morte è appunto privazione. Perciò la retta conoscenza che la
morte non è niente per noi rende gioiosa la stessa condizione mortale della nostra
vita.”
(Epicuro, lettera a Meneceo)
l’anima essendo composta di atomi è omogenea al corpo e quindi vive
in stretta connessione con esso: l’anima è mortale; poichè le
funzioni della vita psichica (sensazioni, affezioni, pensiero) sono
determinate dal movimento degli atomi dell’anima, l’individuo non
può “sentire” la propria morte, non può averne esperienza perchè
ciò presupporrebbe la sopravvivenza dell’anima al corpo
la beatitudine
degli dei
esclude la
possibilità di
un loro
intervento
nelle vicende
umane
la morte
non è
niente per
noi
il piacere è
sempre
raggiungibile
il dolore è
sempre
sopportabile
perché o è
intenso, e
allora dura
poco, o non lo
è, e allora ci si
abitua
le quattro massime fondamentali capaci di garantire
l'atarassia del seguace della filosofia epicurea, che poi
nella tradizione della scuola costituirono il cosiddetto
tetrafarmaco
il raggiungimento del piacere e la considerazione del piacere
come il fine supremo della vita portano Epicuro ad una
valorizzazione del "piacere tranquillo" (piacere
catastematico), che consiste in uno stato di stabile e
costante tranquillità, di contro al "piacere in movimento", che
si fonda invece sulle impressioni immediate e vissute attimo
per attimo
il piacere catastematico è una combinazione di sensazione e
di intelletto, in quanto comporta una "scelta" e quindi una
valutazione dei piaceri, in una sorta di "calcolo aritmetico"
della sensazione e delle conseguenze che da essa derivano
“ Per questo diciamo che il piacere è principio e fine del vivere felicemente... Poiché esso è il
bene primo e innato, non cerchiamo qualsiasi tipo di piacere, ma rifiutiamo molti piaceri
quando ne seguirebbe per noi un dolore maggiore; e consideriamo anche molti dolori
preferibili al piacere, per il piacere maggiore che in seguito deriva dall'averli lungamente
sopportati... Bisogna giudicare in merito di volta in volta, in base al calcolo e alla
considerazione dei vantaggi e degli svantaggi: giacché certe volte un bene viene ad
essere per noi un male e un male per contro un bene.” (Epicuro, lettera a Meneceo)
il piacere è la vita stessa liberata dal turbamento e dal dolore:
assenza di dolore fisico (aponìa) e di turbamento spirituale (atarassìa)
il calcolo dei piaceri e dei dolori porta ad una prima
fondamentale distinzione:
“ Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari, altri né
naturali né necessari, ma nati solo da vana opinione. Epicuro considera naturali e
necessari quei piaceri che portano alla soppressione del dolore, per esempio bere
quando si ha sete; naturali e non necessari quelli che rendono vario il piacere
senza però comportare la cessazione di una sofferenza, per esempio il desiderio di
cibi opulenti; non naturali e non necessari quelli, ad esempio, di corone e statue in
proprio onore.”
(Epicuro, Massime Capitali XXIX)
accettare i primi e respingere gli altri due è la condizione
fondamentale per il raggiungimento della "felicità“
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