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NEWSLETTERS ANAP 2014
NEWS
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2014
L’impianto idrico
L’impianto idrico rappresenta uno dei servizi essenziali condominiali, a ben vedere il più
importante fra di essi, e l’aumentato costo dell’acqua che ha avuto luogo negli ultimi anni, insieme
alla necessità di non continuare a sprecare una risorsa preziosa che ancora troppi sottovalutano
impone di adottare gli accorgimenti più opportuni per garantire la salubrità dell’acqua che viene
usata negli edifici per lavarsi, ma anche per l’alimentazione, e pure per evitare sprechi che alla fine
si rivelano onerosi per le tasche dei condomini.
Da un punto di vista normativo l’impianto idrico, a meno che non vi sia un titolo contrario,
costituisce una proprietà comune ai sensi dell’art. 1117, n. 3, cod. civ., per la parte che arriva fino al
punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini.
In alcuni casi, ma non sempre, l’impianto idrico fornisce oltre all’acqua potabile, anche
l’erogazione dell’acqua calda, per la quale i condomini devono pagare oltre al prezzo del consumo
dell’acqua a parte anche i costi del riscaldamento.
Gli impianti più moderni prevedono l’erogazione dell’acqua a consumo, vale a dire che l’acqua
viene erogata soltanto quando gli abitanti del palazzo aprono i rubinetti e la utilizzano; invece in
passato era assai diffuso e ancora oggi questi impianti sono presenti in moltissimi edifici in tutta
Italia l’impianto dotato di vasche di raccolta che vengono costantemente alimentate dall’acquedotto,
pure quando non vi è consumo di acqua da parte degli utenti, con la conseguenza che l’acqua non
utilizzata viene allora a essere versata negli scarichi fognari e i condomini devono pagare anche
questo ulteriore consumo di acqua (di fatto sprecata) come se fosse stata regolarmente utilizzata.
Inoltre le vasche richiedono la pulizia periodica, per assicurare la salubrità dell’acqua.
L’installazione dell’autoclave
Quando un’autoclave destinata al miglior funzionamento dell’impianto idrico sia già presente, va
ricordato che rientrano tra le parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. e, in caso di
divisione dell’edificio cui i detti spazi accedono, vi restano compresi anche qualora l’atto di
divisione abbia omesso di inserirli tra le parti comuni, i cosiddetti volumi tecnici, vale a dire quelli
destinati a ospitare gli impianti tecnici del fabbricato come l’autoclave (Cass., sent. n. 4528 del 27
marzo 2003).
Negli altri casi può succedere e di fatto succede che la insufficiente pressione dell’acqua non
consenta un’adeguata erogazione dell’acqua soprattutto alle unità immobiliari site ai piani più alti;
diventa allora necessario installare un’autoclave.
È stato chiarito che non configura giuridicamente una innovazione l’installazione, a opera di due
condomini, di un’autoclave, predisposta per l’utilizzazione da parte di tutti gli altri condomini e
collocata in una parte, non utilizzabile in altra maniera, dell’androne comune dell’edificio, dal
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momento che sussiste l’innovazione disciplinata dall’art. 1120 cod. civ. in presenza di una opera
nuova che, eccedendo i limiti della conservazione, dell’ordinaria amministrazione o del godimento
della cosa comune, ne comporti una totale o parziale modificazione nella forma o nella sostanza,
con l’effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento e comunque alterarne la destinazione
originaria, con conseguente implicita incidenza sull’interesse di tutti i condomini, i quali devono
essere liberi di valutare la convenienza dell’innovazione, anche se sia stata programmata a iniziativa
di un solo condomino che se ne sia assunto le spese; mentre non costituisce innovazione (e quindi
trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 1102 cod. civ.) qualunque atto di maggiore o più
intensa utilizzazione della cosa comune che non determina alterazioni o modificazioni della stessa e
non preclude agli altri partecipanti la possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggior
uso del condomino che abbia attuato la modifica (Cass., sent. n. 2746 del 6 giugno 1989).
Anche l’installazione, nel seminterrato di un fabbricato condominiale, di un’autoclave autonoma, da
parte del singolo condomino, per il sollevamento dell’acqua in favore del suo appartamento, non
costituisce innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, che rientra nel potere di
modifica spettante a ogni condomino, a condizione che non precluda, agli altri condomini, la
possibilità di utilizzare la cosa comune e non alteri la destinazione della stessa, mentre le relative
spese restano a esclusivo carico del condomino procedente (Cass., sent. n. 1389 dell’11 febbraio
1998).
Anche l’occupazione di parte del cortile condominiale e la realizzazione di alcuni serbatoi d’acqua
muniti di autoclave nell’esclusivo interesse di alcuni condomini non costituisce una innovazione
vietata dall’art. 1120, comma 2, cod. civ., perché non determina di per sé un’alterazione della entità
sostanziale o della destinazione della cosa comune (Trib. Cagliari, sent. 27 dicembre 1993).
L’installazione utile a tutti i condomini con esclusione di uno solo di loro di un’autoclave nel cortile
condominiale, che determina la minima occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi
innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120, comma 2, cod. civ., dato che il concetto di inservibilità a
cui fa riferimento la disposizione deve essere interpretato come sensibile menomazione dell’utilità
che il condomino ritraeva secondo l’originaria costituzione della comunione, con la conseguenza
che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni le quali, recando utilità a tutti i
condomini tranne uno, comportino per quest’ultimo un pregiudizio solo limitato e che non sia tale
da superare i limiti della tollerabilità (Cass., sent. n. 10445 del 21 ottobre 1998).
È ammissibile l’emissione del provvedimento di urgenza ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ. per
l’installazione di idoneo impianto di autoclave in un edificio condominiale da parte del condomino
che lamenti la presenza di notevole quantità di aria nelle condutture dell’impianto idrico esistente e
la conseguente insufficiente pressione nella erogazione dell’acqua per le esigenze personali degli
abitanti e per il funzionamento degli elettrodomestici; la spesa per l’installazione dell’autoclave
deve essere ripartita fra i condomini in base agli stessi criteri già in uso per l’impianto idrico (Pret.
Taranto, sent. 26 marzo 1985).
È pure stato deciso che non sussiste violazione dell’art. 1119 cod. civ. qualora un condomino, a
causa dell’insufficiente erogazione di acqua, decida il distacco da un’autoclave multiservente per
installarne un’altra autonoma e monoservente (Trib. Milano, sent. 21 dicembre 1989).
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Naturalmente l’installazione di un’autoclave autonoma, destinata al sollevamento dell’acqua in
favore dell’appartamento di un singolo condomino, è legittima, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., a
condizione che non determini riduzione di afflusso dell’acqua nei locali o appartamenti degli altri
condomini con pregiudizio del loro concorrente diritto di pari godimento del servizio comune
(Cass., sent. n. 1911 del 23 febbraio 1987).
Va ancora tenuto presente che le attribuzioni dell’assemblea condominiale riguardano la gestione
integrale delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che avviene in modo dinamico e che non
potrebbe essere soddisfatta dal modello della autonomia negoziale, in quanto la volontà contraria di
un solo partecipante basterebbe a impedire ogni decisione in merito; e quindi rientra nei poteri
dell’assemblea quello di disciplinare beni e servizi comuni, al fine della migliore e più razionale
utilizzazione, anche quando la sistemazione più funzionale del servizio comporta la dismissione o il
trasferimento dei beni comuni; e l’assemblea con deliberazione adottata a maggioranza ha di
conseguenza il potere di modificare, sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche nel
caso in cui esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale, sempre che rimanga nei
limiti della disciplina delle modalità di svolgimento e quindi non incida sui diritti dei singoli
condomini. In applicazione delle suddette regole l’assemblea può anche deliberare di modificare il
servizio di autoclave, spostandone l’ubicazione precedente che comportava una posizione di servitù
attiva anche quando la nuova ubicazione determina una situazione di fatto da cui deriva la
mancanza di utilità della servitù (Cass., sent. n. 6915 del 22 marzo 2007).
Se invece l’impianto idrico non presenta alcun problema di funzionamento pur in assenza di
un’autoclave, i condomini non hanno alcun obbligo di installarla. Infatti, è stato deciso che nel
condominio degli edifici, il principio stabilito dall’art. 1118 cod. civ. (secondo cui il condomino
non può, rinunciando al suo diritto sulle cose comuni, sottrarsi all’obbligo di concorrere nelle spese
necessarie per la loro conservazione, determinando un aggravio a carico degli altri condomini) non
trova applicazione per quegli impianti condominiali che devono essere considerati superflui in
considerazione delle condizioni obiettive e delle esigenze delle moderne concezioni di vita oppure
illegali, perché vietati da norme imperative (come avviene per un pozzo nero le cui condizioni
violano le prescrizioni di legge); in tali ipotesi ciascun condomino ha la facoltà di rinunciare alla
cosa comune, senza essere tenuto a sostenere le spese necessarie per la sua conservazione, qualora
gli altri condomini intendano persistere nella conservazione degli impianti preesistenti, pur in
presenza di nuove tecniche o servizi predisposti dalla P.A., dato che allora gli impianti non sono più
necessari, ma trovano ragione esclusivamente nella volontà dei condomini che intendono
conservarli (Cass., sent. n. 4652 del 27 aprile 1991).
Per quanto riguarda le spese relative all’installazione di un’autoclave, dal momento che si tratta di
manufatto diretto a consentire l’utilizzazione costante dell’impianto idrico di edificio condominiale
e che costituisce parte integrante dell’impianto in questione, le spese relative alla sua installazione
restano soggette agli stessi criteri di ripartizione fissati per l’impianto idrico, mentre la circostanza
che l’edificio sia composto di più piani, serviti in misura differente dalla pompa dell’autoclave, non
basta da sola a giustificare una diversa ripartizione secondo il criterio della proporzionalità all’uso
previsto dagli artt. 1123 e 1124 cod. civ. (Cass., sent. n. 7172 del 29 novembre 1983).
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L’impianto di acqua calda
L’impianto centralizzato dell’acqua calda è compreso fra le parti comuni dell’edificio a norma
dell’art. 1117, n. 2 e n. 3, cod. civ. e quindi la deliberazione che ha per oggetto la sua soppressione
richiede, per la valida approvazione, l’unanimità dei condomini, ai sensi dell’art. 1120, comma 2,
cod. civ., il quale vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni inservibili all’uso o al
godimento anche di un solo condomino dissenziente e non assume alcuna rilevanza la mancanza di
assoluta irreversibilità della decisione così adottata e la particolare onerosità del mantenimento e
adeguamento degli impianti (Cass., sent. n. 3186 del 23 marzo 1991).
La riparazione dell’impianto idrico
Riguardo alle delibere assembleari di un condominio non si possono considerare atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione quelli relativi alla riparazione dell’impianto idrico dell’edificio, con la
conseguenza che per la validità della suddetta delibera è sufficiente che, in seconda convocazione,
sia rappresentato un terzo del valore dell’immobile (Cass., sent. n. 4691 dell’8 novembre 1989).
Gli interventi
È stato deciso che la trasformazione dello scarico dal sistema “a cassetta” in quello a “passo rapido”
effettuata nella camera da bagno di un appartamento condominiale, rappresentando una diversa e
più intensa modalità di uso dell’impianto idrico generale, non costituisce innovazione disciplinata
dall’art. 1120 cod. civ., bensì una ipotesi di uso della cosa comune regolata dall’art. 1102 cod. civ.
(Trib. Milano, sent. 12 settembre 1991).
Una situazione sulla quale invece non è dato rinvenire specifiche sentenze, ma che sta diventando di
sempre maggiore attualità proprio per effetto di quella necessità, a cui si accennava all’inizio, di
modificare gli impianti idrici di vecchia concezione trasformandoli in impianti “ad acqua diretta”
(vale a dire impianti che non fanno utilizzo delle vasche di deposito dell’acqua, la quale continua a
essere erogata da un ripartitore centrale in maniera costante nell’arco del tempo e, quando non viene
utilizzata, deve essere scaricata nelle condotte fognarie) riguarda il passaggio dei suddetti impianti
al sistema dell’acqua diretta, che consente di usare (e pagare) soltanto l’acqua effettivamente
utilizzata, la cui erogazione non è continuativa, ma viene registrata da un contatore nel momento in
cui ha luogo. Il risparmio in termini economici, anche per effetto della cessata necessità di eseguire
la pulizia periodica delle vasche (se non addirittura per la sostituzione e lo smaltimento delle vasche
più vecchie quando sono ammalorate), è evidente; inoltre, a parte il risparmio dei costi, si evita lo
spreco di una risorsa preziosa. E questo fatto da solo dovrebbe bastare per decidere la
trasformazione dell’impianto di vecchia concezione.
È ben vero che il passaggio da un impianto tradizionale a un impianto idrico ad acqua diretta
determina un costo, ma si tratta di un costo che viene recuperato dai condomini in pochi esercizi
grazie al risparmio nei consumi e alla riduzione delle spese di gestione dell’impianto. Restano allora
da verificare le modalità giuridiche con cui l’assemblea può deliberare questo intervento.
L’impianto idrico costituisce un servizio comune (oltretutto essenziale) le cui trasformazioni sono
di competenza dell’assemblea condominiale. Al contrario di quanto avviene per situazioni in
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apparenza simili, come la dismissione di una centrale termica e del servizio di riscaldamento da essa
erogato, la trasformazione dell’impianto idrico non è diretta a eliminare un servizio comune, di cui
peraltro non si potrebbe neppure fare a meno; infatti, pure se con modalità diverse, il servizio
continua a essere ugualmente erogato come prima, oltretutto a condizioni molto migliori, sia in
termini di salubrità dell’acqua, sia di risparmio nel consumo (e nei costi).
Sul punto l’unica sentenza di riferimento è la già ricordata Cass., sent. n. 4961/1989, la quale ha
chiarito che in tema di delibere assembleari di un condominio non si può considerare atto eccedente
l’ordinaria amministrazione quello relativo alla riparazione dell’impianto idrico condominiale e che
quindi, per la validità di una simile delibera, è sufficiente che, in seconda convocazione, sia
rappresentato un terzo del valore dell’immobile. Sotto un altro aspetto non sembra corretto
inquadrare la trasformazione ad acqua diretta sotto il regime giuridico delle innovazioni
condominiali e ciò non soltanto perché di sicuro essa non può costituire una innovazione gravosa o
voluttuaria (dal momento che comporta non un aggravio, ma al contrario un risparmio di costi, e
che non può certo essere ritenuta superflua), ma soprattutto perché come si è visto prima anche
l’installazione di un’autoclave da parte di uno o più condomini costituisce non una innovazione
(Cass., sent. n. 10445 del 21 ottobre 1998), ma una mera modifica consentita dall’art. 1102 cod.
civ., dato che non cambia la consistenza o la destinazione dell’impianto. Esclusa così la sua natura
di innovazione, si perviene alla conclusione che la trasformazione dell’impianto idrico nel sistema
ad acqua diretta può essere approvato dall’assemblea con le maggioranze ordinarie.
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