Biodistretto della Piana di Lucca

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Proposta di progetto per la realizzazione del BIODISTRETTO Piana di Lucca
(Laboratorio di Studi Rurali Sismondi - Prof. Massimo Rovai)
Premessa
Le specifiche caratteristiche orografiche del territorio lucchese, hanno consentito il permanere
nel tempo di un elevato livello di diversificazione del territorio rurale e del suo paesaggio
all’interno del quale si sviluppa, ancor oggi, un’attività agricola molto variegata e articolata.
Un’attività agricola caratterizzata da aziende con dimensioni relativamente piccole (se
confrontate con altre aree della Toscana), con una diffusa presenza d’imprese a conduzione
diretta che, in alcuni ambiti, sono riuscite a collocarsi su segmenti di mercato ad alto valore
aggiunto mantenendo una discreta competitività. Sono state sviluppate, inoltre, sia a livello
individuale che collettivo, efficaci strategie di marketing territoriale integrando l’agricoltura con
le altre risorse ambientali e culturali e le altre attività economiche (es. agriturismo, percorsi
enogastronomici, manifestazioni enogastronomiche, ecc.). Un’integrazione con il territorio che
è stata seguita da molte imprese valorizzando la tipicità delle produzioni intesa, in molti casi,
come attaccamento alle specifiche tradizioni culturali e ai metodi di produzione e che, non
necessariamente è veicolata attraverso i canali tradizionali della filiera agro-alimentare ma, in
molti casi, trova adeguata modalità di valorizzazione sui circuito locali anche per i volumi
produttivi non elevatissimi.
Un tale quadro però non deve nascondere le forti tensioni verso l’abbandono (vedi dati
Censimento Istat) cui è stato sottoposto il settore agricolo in questi ultimi anni e che si originano,
essenzialmente, per due ragioni. Da un lato, nelle aree di pianura, fondovalle e delle basse
colline, a causa di un tessuto urbano che ha progressivamente invaso e frammentato gli spazi
rurali, per molti imprenditori è stato molto più conveniente l’abbandono dell’attività agricola in
favore di una trasformazione dei suoli e, per chi è rimasto, l’attività agricola presenta vincoli
crescenti dal punto di vista operativo. Dall’altro, anche nelle aree più marginali della montagna
si assiste a crescenti fenomeni di abbandono a causa delle difficoltà nel mantenere redditi e
standard di vita adeguati derivanti anche da una progressiva rarefazione dei servizi pubblici.
Le conseguenze più rilevanti di questi due fenomeni sono: un complessivo squilibrio ambientale
del territorio che, in mancanza di quella cura continua esercitata dalle pratiche agro-silvopastorali, manifesta sempre più le sue fragilità; la riduzione del valore di biodiversità che nei
paesaggi agrari trova una componente meno conosciuta ma parimenti importante nel contesto
lucchese con una conseguente perdita degli specifici caratteri identitari e di attrattività; un
progressivo “allontanamento” del consumatore locale dal prodotto e dai produttori locali e, al
tempo stesso, una crescente difficoltà dei consumatori “attenti” nel trovare prodotti che,
contemporaneamente, abbiamo requisiti di località / tipicità e naturalità.
Una situazione che richiede, quindi, l’adozione di specifiche strategie in grado di rimettere al
centro il ruolo del territorio rurale e delle sue funzioni non solo per garantire alle aziende
agricole un’adeguata competitività ed efficienza, ma anche per rafforzare una relazione
“sinergica” tra territorio rurale, imprese agricole e comunità locale al fine di sviluppare prodotti
e servizi ad alto valore aggiunto richiesti dal consumatore locale e che, al tempo stesso, possono
garantire la ri-produzione nel tempo delle risorse umane, ambientali e paesaggistiche.
Ciò significa affrontare con un approccio nuovo il tema dello sviluppo territoriale nell’ambito del
quale, le aree rurali - sia quelle più periferiche, sia quelle sempre più residuali all’interno del
tessuto urbano diffuso –rivestono un ruolo fondamentale nel garantire adeguati livelli di
sostenibilità. Sostenibilità che, in un territorio rurale “vitale” è assicurata dall’equilibrato
rapporto di co-produzione tra natura e risorse umane che riesce ad innesca dinamiche
1
“virtuose” tra agricoltori, consumatori, cittadini, enti pubblici, associazioni di tutela
dell’ambiente, imprese del territorio.
Esiste ormai una vasta letteratura scientifica che interpreta gli spazi rurali come una risorsa
(patrimonio) fondamentale per garantire molteplici servizi / funzioni (produzione di cibo,
riproduzione della fertilità del terreno, ciclo delle acque, produzione di paesaggio, ecc.) che, in
un’ottica di sostenibilità, non possono essere tutti “delegati” ad altri territori essendo
indispensabili laddove le persone vivono e svolgono le proprie attività (Rovai et al., 2010).
Basta pensare alla crescente importanza che sta acquisendo il tema della sovranità alimentare
intesa come l’individuazione di specifiche strategie per assicurare ai cittadini / consumatori un
cibo adeguato e sicuro sotto il profilo quali-quantitativo prodotto e che, possibilmente, sia
prodotto localmente e con metodi eco-compatibili. Ciò al fine di limitare la dipendenza verso
altri territori e, soprattutto, per mitigare gli effetti del global warming provocati dalla
globalizzazione delle filiere agro-alimentari i cui vantaggi competitivi si basano su economie di
scala basate su modelli di agricoltura intensiva super-specializzata e il trasferimento delle merci
dai luoghi di produzione ai luoghi di consumo generando crescenti impatti ambientali e sociali.
Obiettivi del progetto Bio-distretto
Nella ricerca di questa sostenibilità, sono da privilegiare modelli di agricoltura particolarmente
attenti nell’uso delle risorse locali come, ad esempio l’agricoltura biologica e l’agricoltura
biodinamica cosi come modelli di consumo sobri e solidali che si rivolgono, in modo prevalente,
al locale. È ormai opinione consolidata nella comunità internazionale che la promozione della
cultura dell’agricoltura biologica può contribuire alla realizzazione di uno sviluppo attento alla
conservazione delle risorse, alla compatibilità ambientale, alla valorizzazione delle differenze
locali e, quindi, alla qualità della vita.
Le fonti statistiche evidenziano che l’agricoltura biologica è cresciuta moltissimo in questi ultimi
decenni ma, al tempo stesso, si evidenzia la necessità di fare un ulteriore salto di qualità: passare
da un approccio aziendale ad un approccio territoriale. Questo significa uscire da una logica di
scelta individuale (legata alla specifica sensibilità dell’imprenditore agricolo) ad una logica di
sistema dove l’intero territorio (e, quindi i diversi attori che operano al suo interno) adotta una
strategia collettiva condivisa in direzione di uno sviluppo economico fondato sul rispetto e la
valorizzazione delle risorse locali, dei prodotti naturali e tipici insieme al territorio d’origine
attraverso la concomitante definizione di criteri di eticità, equità e solidarietà delle produzioni.
In Italia diverse realtà territoriali hanno individuato nel modello del Bio-distretti (vedi
Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica - AIAB) un possibile modello di governance per
dare risposte concrete ed efficaci ad una società (cittadini e consumatori) sempre più attenta a
ciò che consuma, ad un mondo rurale sempre meno popolato da agricoltori e sottoposto all’alea
delle crisi finanziarie e delle emergenze climatiche e sempre più debole e fragile. Il modello del
Bio-distretto si configura, quindi, come un’innovazione sociale in grado di favorire lo sviluppo di
nuove soluzioni per vecchi problemi dell’agricoltura locale quali, ad esempio, la ricerca di canali
distributivi alternativi più idonei alle esigenze dei consumatori e dei produttori, la definizione di
nuovi standard di produzione, le soluzioni per un’integrazione efficace con altri soggetti operanti
sul territorio, ecc.
A livello provinciale e, in particolare, nella Piana di Lucca, a fronte dei positivi trend di crescita
generali fatti registrare dal biologico e le promettenti prospettive di mercato (nell’ambito della
filiera corta ma non solo), si evidenzia una stazionarietà del settore: rispetto alle 66 aziende che
nel 2001 gestivano una SAU di 584,00 ha (Nomisma, 2003), nel 2010 sono state censite 106
aziende con una SAU a circa 522,00 ha. È quindi cresciuto, il numero di operatori ma non
l’impatto territoriale di questo modello; tuttavia è da sottolineare, che l’agricoltura biologica
2
lucchese si distingue rispetto alla media regionale perché interessa, in modo consistente, colture
di pregio come la vite e le colture frutticole (rispettivamente in quantità pari a 8,5% e 35% delle
superfici coltivate a livello provinciale).
Si è dell’avviso che proprio per le sue specifiche caratteristiche strutturali e territoriali la Piana
di Lucca, pur facendo registrare una limitata diffusione dell’agricoltura biologica, presenti
comunque notevoli potenzialità sia per il rafforzamento e mantenimento della qualità nel
territorio rurale sia per l'incremento di sbocchi occupazionali importanti. Si pensi, ad esempio,
al settore cerealicolo locale che, di fronte alle dinamiche generali di mercato, subirà nei prossimi
anni dei notevoli contraccolpi e che, quindi, potrebbe validamente orientarsi in direzione sia di
una qualificazione che diversificazione dei prodotti ponendo particolare attenzione, ad una sua
riconversione verso il biologico e il recupero di varietà tradizionali anche in un’ottica di creazione
di filiere di trasformazione locali grazie anche alla presenza di molini, panifici e pastifici locali
potenzialmente interessati a una diversificazione dell’offerta. Si cita, a tal proposito, l’esempio
del vicino “Farro della Garfagnana IGP” che, pur essendo coltivato su poco più di 100 ha, ha
saputo creare un indotto interessante in termini di produzione di farine, trasformati, birra, ecc.
rafforzando, inoltre, la “reputazione territoriale” della Garfagnana stessa.
Come sottolineato dall’AIAB, la scelta di creare un Bio-distretto rappresenta una soluzione
innovativa che si inquadra sia negli obiettivi della Conferenza Mondiale dell’ONU su Ambiente e
Sviluppo (UNCED) (Rio de Janeiro, 1992), sia nella Dichiarazione di Nyéléni, Sélingué (Mali, 2007)
che afferma la Sovranità Alimentare come diritto dei popoli nel decidere il proprio sistema di
approvvigionamento agroalimentare e di avere alimenti sicuri accessibili, sostenibili ed ecologici.
In definitiva, quindi, l’obiettivo di questo progetto è il consolidamento / rafforzamento di una
strategia condivisa di sviluppo territoriale basata sulla gestione sostenibile delle risorse locali sia
nei modelli di produzione (es. agricoltura biologica, biodinamica, ecc.) sia nei modelli di consumo
(filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio); una strategia che ha identificato nel
modello operativo del Bio-distretto lo strumento più efficace.
Sulla base di quanto fatto in altri contesti, costituire un Bio-distretto significa mettere in rete i
vari attori, le risorse naturali, culturali, produttive, ecc. di un territorio attraverso azioni di
animazione, azioni dimostrative, eventi informativi e culturali, ecc. al fine di costruire questa
strategia e, pertanto, la proposta progettuale definisce le azioni necessarie al raggiungimento di
questo obiettivo.
3
Ipotesi di lavoro per la realizzazione del Bio-distretto Piana di Lucca
Alla luce delle considerazioni sopra effettuare, il presente lavoro si pone l’obiettivo di definire e
istruire le diverse tappe necessarie affinché si possa arrivare alla costituzione di un Bio-distretto
nell’area della Piana di Lucca. A tale scopo, si possono individuare le seguenti fasi operative
ognuna delle quali prevede dei sub-task:
1. Fase indagine conoscitiva
Sub-task
1.1 indagine
conoscitiva
sulle
esperienze di Bio-distretti in Italia
al fine di identificare i modelli più
efficaci e valutare le modalità di
“trasferimento”
in
questo
specifico contesto territoriale;
metodologia
indagine diretta tramite interviste
ed eventuale organizzazione di un
evento (convegno) sul ns. territorio
per far conoscere le esperienze più
positive;
output
report breve
1.2 censimento
delle
aziende
biologiche e delle buone pratiche
(non solo agricole) nei comuni
interessati;
analisi banche dati, analisi desk;
interviste dirette a testimoni
privilegiati; il censimento dovrà
prevedere
anche
una
georeferenziazione
delle
informazioni raccolte;
banca
dati
georeferenziata
1.3 valutazione
di
esperienze
virtuose pregresse (es. Orti in
condotta e Scuola ti voglio bene,
Presidi S.F. ecc.) attraverso
l'analisi SWOT;
analisi tramite interviste dirette ai
soggetti realizzatori e ai beneficiari;
report breve
1.4 mappatura
di
soggetti
(rappresentanti del mondo della
ricerca, tecnici, beneficiari di
progetti, ecc..) operanti, nel
territorio di riferimento
analisi tramite interviste dirette
secondo il metodo “snowball”;
banca dati e report
breve
1.5 costruzione di un database
informativo sugli attuali canali
distributivi filiera agroalimentare
biologica locale e valutazione
delle sue potenzialità di sviluppo
analisi banche dati, analisi desk;
interviste dirette a testimoni
privilegiati; il censimento dovrà
prevedere
anche
una
georeferenziazione
delle
informazioni raccolte;
predisposizione di un questionario
on-line che potrà essere riempito
direttamente dai cittadini;
realizzazione di momenti di incontro
(focus group, word cafè, ecc.)
report breve
1.6 analisi sulla consapevolezza /
percezione dei cittadini sui temi
della produzione sostenibile del
cibo (locale) e sul valore
“percepito” di questa produzione
4
report breve
2. Fase di predisposizione del progetto dimostrativo “Nutrire la Lucchesia” (*)
Sub-task
2.1 individuazione di potenziali siti
idonei - terreni pubblici (1-2 ha) per la costituzione di un’azienda
orticola biodinamica attraverso
2.2 individuazione
del
possibile
soggetto imprenditoriale che sarà
chiamato a gestire i terreni
individuati (azienda individuale,
cooperativa, impresa spin-off,
ecc.)
2.3 attività di supporto per la
definizione, assieme al soggetto
gestore, di un business plan al fine
di valutare la sostenibilità
economica del progetto
2.4 scelta del sito più idoneo per
l’azienda orticola biodinamica
2.5 attività di accompagnamento
(assistenza tecnica e commerciale)
nella fase di avvio del progetto
metodologia
indagine presso gli archivi catastali
degli enti pubblici coinvolti;
output
relazione tecnica e
mappe su GIS
Incontri con i soggetti gestori;
business plan
analisi multicriteri per tener conto di
aspetti agronomici, ambientali,
sociali, ecc.
Contratto di assistenza con
professionisti qualificati
relazione tecnica
5
report breve
3
Organizzazione eventi comunicazione e formativi ai vari soggetti coinvolti nel progetto (*)
Sub-task
3.1 costituzione
del
Comitato
Promotore con il compito di
definire
un
documento
programmatico per arrivare alla
costituzione ufficiale del Biodistretto
3.2 organizzazione da parte del
Comitato Promotore, di Forum
pubblici per:
 condividere gli obiettivi e i
percorsi da seguire per l’avvio
del progetto;
 favorire l’adesione dei diversi
attori
interessati
alla
realizzazione e al buon
funzionamento
del
Biodistretto.
metodologia
realizzazione di focus-group /
workshop
per
discutere
e
condividere
il
documento
programmatico;
output
documento
programmatico;
realizzazione di focus-group /
workshop
per
discutere
e
condividere
il
documento
programmatico
e
raccogliere
adesioni dei nuovi soggetti
report con un’analisi
delle potenzialità e
dei
problemi
incontrati dai diversi
attori che, a vario
titolo, si occupano di
modelli di produzione
e consumo sostenibile
e il ruolo che potrà
svolgere
il
Biodistretto
nel
rafforzare
questi
modelli.
3.3 organizzazione
dell’Assemblea
costitutiva del Bio-distretto per:

approvare lo statuto

definire
l’assetto
organizzativo

definire
il
programma
pluriennale delle attività
3.4 predisposizione di strumenti web
2.0 per creare un network virtuale
per lo scambio di informazioni e
conoscenze tra attori del Biodistretto e verso l’esterno.
Piattaforma virtuale
3.5 organizzazione
di
eventi
informativi e culturali sul territorio
per comunicare le attività Biodistretto ed accogliere proposte e
suggerimenti
(*): FASI DA ATTIVARE E CONDURRE CONTEMPORANEAMENTE
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Appendice: alcune note esplicative sui Bio-distretti
Sono ormai diverse, in Italia, le esperienze di Bio-distretti1 (mettere numero) che sono nati a
seguito della costituzione della prima esperienza: il Bio-distretto del Cilento nato nel 2009 su
spinta dell’AIAB e che ha visto il coinvolgimento di 32 Comuni, 400 aziende, 20 ristoranti e 10
stabilimenti turistici e che si configura come un vero e proprio laboratorio permanente di idee
e iniziative ad alto profilo culturale, che punta ad uno sviluppo equo e solidale del territorio
fondato sul modello biologico.
I punti fondamentali che possono essere oggetto di azione / pianificazione di un Bio-distretto
sono i seguenti:
 adozione, da parte delle imprese agricole, di modelli orientati alla diversificazione e alla
multifunzionalità piuttosto che alla specializzazione produttiva. Questo è particolarmente
importante, ad esempio, nelle aziende zootecniche che dovrebbero essere ri-orientate alla
“chiusura” dei cicli produttivi utilizzando le risorse (energia, acqua, biodiversità, risorse
umane) in modo sostenibile.
 accesso alla terra da parte di giovani imprenditori. Nel nostro territorio assistiamo, ad
esempio, al paradosso di avere un crescente numero di terreni abbandonati (anche nelle
aree periurbane) e, dall’altro lato, crescenti difficoltà di inserimento di giovani interessati
alla pratica agricola a meno che non dispongano di ingenti risorse economiche.
L’individuazione di una strategia efficace per rivitalizzare / rigenerare, ad esempio, le aree
demaniali e le terre incolte e abbandonate per ridare dignità e redditività al lavoro agricolo
è tema quanto mai centrale per un Bio-distretto.
 definizione di regole e criteri per sviluppare rapporti di scambio più equi nella filiera
favorendo, ad esempio, nuove relazioni dirette tra produttori e consumatori, adottando
modelli distributivi alternativi (filiera corta, Gruppi di Acquisto Solidale, pubblic
procurement, ecc.).
 lavorare in direzione della sovranità alimentare attraverso la promozione di eventi, forum
pubblici dove tutti gli attori del Bio-distretto si confrontano con i cittadini per definire le
modalità più efficaci per soddisfare i fabbisogni alimentari della comunità locale.
 sviluppo di soluzioni per introdurre modelli “semplificati” di certificazione con l’ottica
“inclusiva” e non “esclusiva” (es. Certificazione di gruppo, Sistemi Partecipativi di Garanzia,
ecc.) al fine di aumentare il livello di fiducia reciproca in modo che l’operatore agricolo sia
più responsabilizzato e motivato grazie al riconoscimento pubblico dell’importante ruolo
sociale che svolge all’interno della comunità locale.
 rendere più efficace la comunicazione del biologico cercando di far comprendere la valenza
etica, sociale, ambientale delle produzioni.
 promozione e sostegno dell’agricoltura sociale ossia quelle imprese (cooperative sociali e
aziende agricole) che, oltre a produrre beni agro-alimentari, svolgono attività di inserimento
lavorativo in azienda o il recupero terapeutico di persone svantaggiate perché l’obiettivo di
un Bio-distretto è anche quello di generare benefici inclusivi e promuovere l’inserimento
socio-lavorativo di persone a rischio di emarginazione.
1 Questo è l’elenco degli attuali Bio-distretti che si sono coatituiti in Italia a partire dal 2009: Bio-distretto Cilento:
Bio-distretto Grecanico in Calabria, il Bio-distretto della Via Amerina e delle Forre nel Lazio, ilBio-distretto di Greve in
Chianti, del Chianti storico e di San Gimignano in Toscana, il Bio-distretto della Val di Gresta in Trentino Alto Adige,
il Bio-distretto della Val di Vara in Liguria, il Bio-distretto delle Valli Valdesi in Piemonte, il Bio-distretto Il Piceno nelle
Marche, il Bio-distretto della Valle Camonica in Lombardia (Fonte: http://www.biodistretto.net/index.php ).
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È evidente, quindi, che un Bio-distretto per funzionare efficacemente deve operare con
l’obiettivo di far lavorare assieme e in modo partecipativo una pluralità di attori:
 gli agricoltori locali che possono valorizzare adeguatamente le loro produzioni collocandole
localmente nei circuiti della multifunzionalità (mercati locali, GCAS, bio-agriturismi, biosentieri, bio-fattorie didattiche, bio-fattorie sociali) anche attraverso piani di marketing
territoriale;
 i consumatori che possono trovare, con facilità e a prezzi adeguati, prodotti biologici del
territorio, preferibilmente attraverso i canali della filiera corta (mercati del bio, punti vendita
aziendali, distribuzione diretta, Gruppi di acquisto Solidale). Inoltre, come cittadini,
beneficiano della qualità ambientale che l'agricoltura biologica assicura proprio nei luoghi di
produzione, ed hanno l’opportunità di ricomporre un rapporto diretto, franco e di
collaborazione reciproca con i produttori.
 le amministrazioni pubbliche che si devono impegnare a diffondere nel territorio la cultura
del biologico attraverso un’ampia gamma di iniziative:
o promuovere l’agricoltura biologica nel territorio con iniziative di valorizzazione (es.
eventi informativi e culturali, creazione di mercati ad hoc, guide dei prodotti e servizi
locali, calendari di eventi che integrano cultura, turismo e produzioni tipiche locali);
o sostenere gli acquisti verdi (mense biologiche nelle scuole e nelle strutture pubbliche e
sanitarie);
o fornire assistenza alle aziende agricole che intendono avviare una conversione alla
produzione biologica;
o promuovere l'applicazione dei principi del biologico anche in altri settori come la
gestione del verde pubblico, la gestione dei rifiuti organici, il regolamento edilizio, ed
altri;
o promuovere la riconversione al biologico delle aree demaniali e delle proprietà
collettive, trasformandole in incubatori di imprese biologiche rivolte anche
all'agricoltura sociale.
 le imprese di altri settori (agroalimentare, produzione di mezzi tecnici agricoli, turistiche e
della ristorazione) che possono beneficiare di una qualificazione della propria offerta.
 gli enti di sperimentazione, ricerca e formazione che con iniziative sperimentali e formative
possono favorire il consolidamento e miglioramento delle iniziative dei singoli attori del
territorio.
 le associazioni (ambientaliste, di operatori agricoli, eco-turistiche, sociali, ecc.) che possono
mettere a disposizione le loro specifiche competenze in una logica di integrazione e di
coerenza rispetto alla strategia di sviluppo del Bio-distretto favorendo la creazione di un
“network” coeso.
Il Bio-distretto come modello partecipativo di governance
Sin dalle fasi iniziali di progettazione, il coinvolgimento di tutti gli attori potenzialmente
interessati è un aspetto fondamentale per il successo di un Bio-distretto. Grazie alla
partecipazione dei diversi attori è possibile, infatti, definire e chiarire i bisogni e gli interessi del
territorio e calibrare il progetto in funzione di queste esigenze.
L’analisi delle diverse esperienze realizzate in Italia ha evidenziato che il buon funzionamento di
un Bio-distretto si realizza se si rispettano alcune fasi necessarie e fondamentali:
 la costituzione di un Comitato Promotore, che organizza dei forum pubblici per condividere
gli obiettivi e i percorsi da seguire per l’avvio del progetto e realizza una prima analisi delle
8



potenzialità e dei problemi del territorio (analisi SWOT) sulla base della quale elaborerà un
primo documento programmatico.
definizione delle modalità e le azioni attraverso le quali coinvolgere progressivamente altri
attori e, di conseguenza, anche perimetro geografico del Bio-distretto.
o particolarmente rilevante è l’adesione e il coinvolgimento delle Amministrazioni
Pubbliche che deve avvenire attraverso atti ufficiali opportunamente pubblicizzati. Le
Amministrazioni Pubbliche possono poi assumere anche un ruolo importante per le
attività di coordinamento e per l’individuazione di possibili risorse da mettere in campo.
elaborazione, da parte del Comitato Promotore di un programma concertato di attività da
realizzare con le risorse già disponibili (pubbliche e private) e una strategia di comunicazione
orientata agli attori locali e nazionali al fine di trovare altre risorse e stabilire connessioni
“strutturate” con altri network affini.
individuazione di soggetti (es. associazioni, cooperative locali di giovani, ecc.) alle quali
affidare servizi necessari per il buon funzionamento delle attività del Bio-distretto
(commercializzazione, promozione, logistica, organizzazione eventi, altro).
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