653-3 interno - Aracne editrice

I principi fisici
dell’elettromagnetismo
Edizione provvisoria e incompleta ad uso esclusivo degli studenti del corso di Fisica, anno accademico 2003–2004
(corsi di laurea in Ingegneria civile e trasporti) della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Luciano Mistura
I principi fisici
dell’elettromagnetismo
ARACNE
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88–7999–653–3
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 2004
INDICE
7
Introduzione
PARTE I
11
Elettrostatica
15
Capitolo I
Elettrostatica nel vuoto
49
Capitolo II
Elettrostatica in presenza di corpi conduttori in equilibrio
65
Capitolo III
Elettrostatica in presenza di corpi isolanti in equilibrio
123
PARTE II
Correnti elettriche stazionarie
e interazioni magnetiche
125
Introduzione
127
Capitolo IV
Corrente elettrica stazionaria
147
Capitolo V
Il campo magnetico costante
195
Capitolo VI
Le equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico
237
Capitolo VII
Soluzioni delle equazioni di Maxwell: le onde elettromagnetiche
5
255
APPENDICE
Integrali di linea, di superficie, di volume
289
6
FIGURE
INTRODUZIONE
L’analogia fra la legge di C. A. Coulomb (1736-1806) per la forza F fra due cariche
elettriche puntiformi q e q′ poste a distanza r, in quiete rispetto a un sistema di
riferimento inerziale, cioè
F = K (q q′/r3) r
in cui K = 8.9875⋅109 N m2/C2 e la legge newtoniana della gravitazione universale
fra due corpi puntiformi di masse m e m′,
F = G (m m′/r3) r
in cui G = 6.673⋅10–11 N m 2/kg2 è la costante di gravitazione universale, suggerì
inizialmente una descrizione delle interazioni fra corpi elettricamente carichi basata
sull’esistenza di un’azione istantanea a distanza.
Per lungo tempo la teoria delle interazioni fra corpi magnetizzati fu sviluppata sulla
base della nozione di polo magnetico, in stretta analogia formale con la teoria delle
interazioni fra cariche elettriche, nonostante l’esperienza mostrasse, in maniera
particolarmente evidente (esperienza della calamita spezzata), che non è possibile
ottenere poli magnetici isolati. Fu lo stesso Coulomb a verificare, operando con
magneti aventi la forma di lunghe sbarrette, che i poli magnetici si attraggono o si
respingono, secondo il segno, con la stessa legge valida per le cariche elettriche.
A seguito dell’invenzione della pila (1800) da parte di Alessandro Volta (1745- 1827)
fu possibile produrre correnti elettriche continue. Ciò permise a H. C. Oersted (17771851) di scoprire nel 1820 le interazioni fra corpi percorsi da corrente elettrica e corpi
magnetizzati. Subito dopo A. M. Ampère (1775-1836) evidenziò l’esistenza
d’interazioni fra corpi percorsi da correnti elettriche e formulò l’ipotesi che la
magnetizzazione dei corpi fosse una conseguenza dell’esistenza, nei corpi
magnetizzati, di correnti molecolari. Anche le interazioni fra corpi percorsi da
corrente elettrica furono descritte, dallo stesso Ampère, sulla base dell’idea che fra i
corpi interagenti fosse possibile, anche se erano distanti fra loro, un’azione istantanea.
Newton (1642-1727) stesso tuttavia accettava l’idea di un’azione istantanea a
distanza solo in quanto permetteva una descrizione sufficientemente accurata delle
interazioni gravitazionali, ma la rifiutava come descrizione soddisfacente dal punto
di vista della conoscenza scientifica. Egli scriveva infatti: «Che un corpo possa agire
su di un altro a distanza attraverso il vuoto, senza la mediazione di qualcos’altro,
[…] è secondo me una grande assurdità». Quest’opinione è oggi largamente
condivisa, poiché si ritiene ragionevole che l’effetto segua istantaneamente la causa
solo se causa ed effetto riguardano elementi contigui.
Una descrizione alternativa delle interazioni elettromagnetiche, che soddisfa al
principio di contiguità della relazione di causa-effetto, fu fornita a metà
dell’Ottocento da M. Faraday (1791-1867) e J. C. Maxwell (1831-1879). In accordo
con le idee portate avanti da questi due scienziati, si possono descrivere le interazioni
7
elettromagnetiche fra i corpi facendo appello alla nozione di campo. Così, invece di
dire che un corpo agisce su un altro, istantaneamente a distanza, possiamo dire che
esso crea nello spazio che lo circonda un campo; tutti gli altri corpi che si trovano in
questo campo saranno soggetti a una certa forza. Finché si considerano fenomeni
indipendenti dal tempo, il campo è una descrizione del tutto equivalente all’interazione istantanea a distanza, ma allorché si passa a prendere in esame i fenomeni
dipendenti dal tempo, a causa del fatto che il campo elettromagnetico si propaga nello
spazio a velocità finita, pari alla velocità della luce, la situazione cambia in maniera
essenziale. La forza agente su un corpo ad un certo istante non è determinata dai corpi
che creano il campo nelle loro configurazioni allo stesso istante; è solamente dopo un
certo intervallo di tempo, che il cambiamento di configurazione dei corpi che creano
il campo produce degli effetti sugli altri corpi. Questo significa che il campo
elettromagnetico è una realtà fisica indipendente dai corpi che lo creano. Non si può
più parlare di un’azione diretta fra corpi distanti ma, piuttosto l’interazione è mediata
dal campo, nel senso che un punto di un corpo interagisce, localmente e
istantaneamente con il campo e successivamente il campo agisce sui punti dei corpi.
La differenza fra la descrizione delle interazioni mediante azione diretta a distanza e
quella mediata dal campo è descritta in maniera particolarmente suggestiva nei due
passi, rispettivamente di Faraday e Maxwell, che qui riportiamo:
«Da parte mia, considerando la relazione fra il vuoto e la forza magnetica e il
carattere generale dei fenomeni magnetici esterni al magnete, propendo più per
l’idea che nella trasmissione della forza c’è un’azione esterna al magnete piuttosto
che una semplice attrazione o repulsione a distanza. Una tale azione può essere una
funzione dell’etere, poiché non è improbabile che se c’è un etere esso abbia altre
funzioni oltre la trasmissione della luce. […]
Man mano che procedevo nello studio di Faraday mi rendevo conto che il suo modo
di concepire i fenomeni era suscettibile di una formulazione matematica […]. Per
esempio Faraday vedeva linee di forza che attraversano tutto lo spazio laddove i
matematici vedevano centri di forza che si attraggono a distanza. Faraday vedeva lo
svolgersi dei fenomeni in azioni reali attraverso un mezzo».
Questo punto di vista implica una qualche azione del campo, non solo sulla materia,
ma anche sullo spazio vuoto e una reazione della materia, o del vuoto, sul campo che
fu formulata matematicamente da Maxwell mediante una rappresentazione duale del
campo elettromagnetico che ricorda la dualità sforzo-deformazione della descrizione
delle azioni elastiche nei corpi materiali. Il campo prodotto dalle cariche e dalle
correnti, agenti come sorgenti esterne, è rappresentato matematicamente, in un dato
sistema di riferimento, mediante due vettori, il vettore induzione elettrica D e il
vettore campo magnetico H, mentre il campo misurato da cariche e correnti, agenti
come corpi di prova, è rappresentato dal vettore campo elettrico E e dal vettore
induzione magnetica B. Questi quattro vettori devono soddisfare le quattro equazioni
8
div D = ρ
rot H – ∂D/∂t = J
div B = 0
rot E + ∂B/∂t = 0
note come equazioni di Maxwell, in cui ρ e J rappresentano rispettivamente la
densità di carica e la densità di corrente di carica, che devono essere considerati
come dati del problema.
L’obiettivo principale del corso è descrivere la teoria di Maxwell fondandola su due
principi fisici: la conservazione della carica e l’inesistenza di poli magnetici isolati.
Insisterò inoltre sul fatto che le equazioni di Maxwell hanno validità universale, vale
a dire indipendente dalle proprietà specifiche dei corpi, ma proprio per questo, non
sono sufficienti, da sole, per descrivere in maniera quantitativa i fenomeni
elettromagnetici, esse vanno completate da ipotesi costitutive riguardanti il
comportamento elettromagnetico sia della materia sia del vuoto.
A questo scopo la presente esposizione sarà diversa dalle trattazioni tradizionali.
Queste ultime sono fortemente influenzate dalla teoria dell’elettrone, sviluppata
all’inizio del secolo scorso, da H. A. Lorentz (1853-1928). Secondo questa teoria
tutti i fenomeni elettromagnetici possono essere interpretati mediante le equazioni di
Maxwell valide nello spazio vuoto, in quanto un corpo materiale è riguardato come
un insieme di punti materiali carichi, gli elettroni, che interagiscono e si muovono
attraverso lo spazio vuoto. Inoltre nel vuoto, anche in presenza di materia, è
possibile identificare nelle equazioni di Maxwell, previa un’opportuna scelta delle
unità di misura, il vettore D con E e il vettore H con B. Molto spesso le equazioni
così ottenute sono identificate con le equazioni di Maxwell e ciò è causa di notevoli
confusioni. Si afferma spesso, per esempio, che le equazioni di Maxwell non sono
invarianti rispetto a trasformazioni galileiane delle coordinate spazio-temporali e che
sono invece invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz. Di fatto
quest’affermazione è vera soltanto se è riferita alle equazioni di Maxwell valide per
il vuoto, in accordo con l’ipotesi costitutiva di Lorentz, che consiste nell’ammettere
che nel vuoto, anche in presenza di materia, è possibile identificare D con E e H con
B. Sarebbe opportuno chiamare le equazioni di Maxwell per il vuoto, secondo
l’ipotesi costitutiva di Lorentz, equazioni di Maxwell-Lorentz.
Al contrario in questo corso assumerò un punto di vista macroscopico, in cui i corpi
materiali sono riguardati come continui, evitando d’introdurre qualsiasi ipotesi circa
la struttura molecolare dei corpi. Questo punto di vista mi sembra non solo più
aderente alle idee originarie di Faraday e Maxwell, ma anche più consono alle
necessità di chi deve eventualmente applicare l’elettromagnetismo a problemi di tipo
ingegneristico. È bene osservare a questo proposito che l’ipotesi del continuo non
nega l’esistenza di atomi, molecole, ioni ed elettroni, in quanto si può affermare che
queste particelle si possono estrarre dalla materia, ma non la costituiscono, nel senso
che le proprietà delle particelle interagenti all’interno dei corpo non possono essere
dedotte univocamente dalle proprietà misurate delle particelle libere.
Conseguentemente manterrò, anche nel vuoto, la distinzione fra D ed E e H e B in
accordo con le idee originarie di Faraday e Maxwell e, dal punto di vista
metrologico, con le convenzioni del Sistema Internazionale di Unità (SI),
originariamente proposte da G. Giorgi (1871-1950) e oggi universalmente accettate.
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PARTE I
ELETTROSTATICA
Lo scopo dell’elettrostatica è fornire una trattazione quantitativa, vale a dire
mediante grandezze fisiche, delle interazioni fra corpi elettricamente carichi, in
equilibrio e in quiete rispetto a un sistema di riferimento inerziale.
Tradizionalmente, per motivi di semplicità, questo studio inizia supponendo che i
corpi siano posizionati nello spazio vuoto, oppure praticamente, in aria, nelle usuali
condizioni di temperatura e pressione, prescindendo inoltre dalle caratteristiche
materiali dei corpi. Successivamente si prende in esame l’influenza che hanno le
proprietà materiali dei corpi sui fenomeni elettrostatici, dividendo, in prima
grossolana approssimazione, tutti i corpi in due classi: i conduttori e gli isolanti.
I fenomeni che sono esaminati nell’ambito dell’elettrostatica sono governati da due
leggi fisiche universali: la legge di conservazione della carica e la legge di
conservazione dell’energia.
Il primo capitolo è essenzialmente dedicato alla formulazione di queste leggi, per i
corpi in equilibrio e in quiete rispetto ad un sistema di riferimento inerziale,
prescindendo dalle proprietà dei corpi stessi.
Nel secondo capitolo saranno fornite le basi per comprendere gli effetti, sul campo
elettrostatico, dovuti alla presenza di corpi conduttori, in quiete e in equilibrio.
Nel terzo ed ultimo capitolo di questa prima parte saranno formulate le leggi
dell’elettrostatica, in maniera sufficientemente dettagliata, per interpretare la varietà
dei fenomeni che si osservano quando un campo elettrostatico interagisce con corpi
isolanti.
13
Capitolo I: ELETTROSTATICA NEL VUOTO
I) La carica elettrica
È noto fin dall’antichità che campioni d’ambra quando sono strofinati con altri
corpi, per esempio con un panno di lana, acquistano la proprietà di attrarre corpi
relativamente leggeri, come pezzettini di carta. Per quasi duemila anni questo potere
attrattivo è stato riguardato come una proprietà peculiare dell’ambra.
Sembra sia merito di William Gilbert (1540-1603) aver mostrato che in realtà si
tratta di una proprietà generale, cioè tutti i corpi, qualunque sia la loro costituzione
materiale, presentano la stessa proprietà dell’ambra.
I corpi che, per strofinio o con altri metodi, abbiano acquistato la proprietà di
esercitare forze d’attrazione a distanza su altri corpi si dicono elettrizzati. Un corpo
non elettrizzato si dice neutro. Lo stato d’elettrizzazione di un corpo può essere
rilevato mediante uno strumento del tipo di quello schematicamente rappresentato in
Fig. 1, detto elettroscopio.
La circostanza che la capacità di elettrizzarsi è una proprietà generale dei corpi è
sfuggita, per così lungo tempo all’attenzione degli sperimentatori, per la seguente
ragione. Tutti i corpi si possono dividere, in prima grossolana approssimazione, in
due categorie: i conduttori e gli isolanti. I corpi conduttori, di cui i metalli, sia allo
stato solido sia liquido, costituiscono un tipico esempio, possono essere elettrizzati
soltanto se sono stati preventivamente isolati da terra mediante sostegni costituiti da
corpi isolanti, come il vetro o la ceramica. È proprio per questa loro funzione che i
corpi di questo tipo hanno preso il nome di isolanti. Il nostro corpo è conduttore,
pertanto non è possibile elettrizzare per strofinio un pezzo di metallo tenendolo in
mano. Peraltro lo stato d’elettrizzazione può essere trasmesso da un corpo a un altro
collegando fra loro i due corpi mediante un conduttore, per esempio un filo
metallico (elettrizzazione per conduzione)
Le forze elettriche fra un corpo elettrizzato, come l’ambra strofinata, e un corpo
neutro, come un pezzetto di carta, sono sempre attrattive. Al contrario si è visto che
le forze fra corpi elettrizzati possono essere sia attrattive sia repulsive. Per esempio,
due pezzi d’ambra elettrizzati per strofinio si respingono e così pure due pezzi di
vetro, ma un pezzo d’ambra e un pezzo di vetro si attraggono. Operando con diversi
materiali si è giunti alla conclusione che sono possibili solamente due tipi di elettrizzazione: l’elettrizzazione acquistata per strofinio da un pezzo d’ambra è detta
resinosa,mentre quella acquistata con lo stesso metodo da un pezzo di vetro è detta
vetrosa
Gilbert ha proposto il termine forze elettriche (dal greco ηλεκτρον, ambra) per
queste forze che risultano molto più intense delle forze di attrazione gravitazionale.
I.a) La legge di Coulomb e l’unità di misura della carica elettrica
Lo stato d’elettrizzazione di un corpo può essere caratterizzato completamente
mediante una singola grandezza fisica scalare che è chiamata la quantità d’elettricità
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o la carica elettrica posseduta dal corpo e indicata, di solito, con i simboli Q o q.
Ricordiamo che la definizione della carica elettrica, come quella di ogni altra
grandezza fisica, implica che siano note le operazioni da compiere con determinati
strumenti, detti elettrometri, nel caso della carica elettrica, per
a) confrontare tra loro due cariche elettriche per verificarne l’uguaglianza o, in caso
contrario, quale delle due sia la maggiore,
b) addizionare o sottrarre due o più cariche elettriche,
c) è stata scelta un’unità di misura [q] tale che ogni carica elettrica q si può
esprimere nella forma q = a[q] , come il prodotto di un numero reale a, detto misura
o valore della carica, per l’unità di misura.
La definizione della carica elettrica è stata scelta in modo che l’intensità della forza
che si esercita fra due corpi elettrizzati sia proporzionale al prodotto delle cariche
elettriche possedute dai due corpi. Il tipo della forza, attrattiva o repulsiva, risulta
allora determinato mediante il segno della carica elettrica attribuendo
convenzionalmente una carica positiva a un corpo con elettrizzazione vetrosa e una
carica negativa a un corpo con elettrizzazione resinosa, come proposto
originariamente da Benjamin Franklin (1706-1790). Un corpo neutro ha carica nulla.
Se q e q’ denotano le misure delle cariche elettriche dei due corpi risulta pertanto F
∝ q⋅q′ e la forza sarà repulsiva per cariche dello stesso segno ( q⋅q′ > 0), attrattiva
per cariche di segno opposto ( q⋅q′ < 0 ).
Osservazione 1. La natura opposta dei due possibili stati d’elettrizzazione dei corpi
suggerisce senz’altro la definizione data della quantità di elettricità, tuttavia è
opportuno notare che sarebbe possibile definire la carica elettrica diversamente, in
particolare in modo da risultare sempre positiva. Ciò si ottiene per esempio ponendo
Q = exp(q), per cui l’elettrizzazione vetrosa (q > 0) corrisponde a Q > 1, mentre per
la resinosa (q<0) risulta Q < 1, in ogni caso si ha Q > 0 e per un corpo neutro
sarebbe Q = 1. Scegliendo Q come misura della carica elettrica la forza risulterebbe
proporzionale al prodotto lnQ⋅lnQ′, e inoltre, come si è detto, un corpo neutro non
avrebbe carica nulla. È quindi evidente la maggiore semplicità della scelta adottata.
L’unità di misura della carica elettrica può essere fissata sulla base della legge
stabilita sperimentalmente da Charles A. Coulomb (1736-1806) per mezzo della
bilancia di torsione (v. Fig. 2), detta legge di Coulomb:
Due punti materiali elettrizzati con carica elettrica q e q′ rispettivamente, in quiete
nel vuoto rispetto a un sistema di riferimento inerziale, esercitano l’uno sull’altro
una forza F, diretta secondo la congiungente i due punti, direttamente proporzionale
al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza r
fra i due punti. In simboli
F = k q⋅q′r/r3
16
(I. 1)