I principi fisici dell’elettromagnetismo Edizione provvisoria e incompleta ad uso esclusivo degli studenti del corso di Fisica, anno accademico 2003–2004 (corsi di laurea in Ingegneria civile e trasporti) della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma “La Sapienza”. Luciano Mistura I principi fisici dell’elettromagnetismo ARACNE Copyright © MMIV ARACNE editrice S.r.l. via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma 06 72672222 – telefax 72672233 www.aracne–editrice.it info@aracne–editrice.it ISBN 88–7999–653–3 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: marzo 2004 INDICE 7 Introduzione PARTE I 11 Elettrostatica 15 Capitolo I Elettrostatica nel vuoto 49 Capitolo II Elettrostatica in presenza di corpi conduttori in equilibrio 65 Capitolo III Elettrostatica in presenza di corpi isolanti in equilibrio 123 PARTE II Correnti elettriche stazionarie e interazioni magnetiche 125 Introduzione 127 Capitolo IV Corrente elettrica stazionaria 147 Capitolo V Il campo magnetico costante 195 Capitolo VI Le equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico 237 Capitolo VII Soluzioni delle equazioni di Maxwell: le onde elettromagnetiche 5 255 APPENDICE Integrali di linea, di superficie, di volume 289 6 FIGURE INTRODUZIONE L’analogia fra la legge di C. A. Coulomb (1736-1806) per la forza F fra due cariche elettriche puntiformi q e q′ poste a distanza r, in quiete rispetto a un sistema di riferimento inerziale, cioè F = K (q q′/r3) r in cui K = 8.9875⋅109 N m2/C2 e la legge newtoniana della gravitazione universale fra due corpi puntiformi di masse m e m′, F = G (m m′/r3) r in cui G = 6.673⋅10–11 N m 2/kg2 è la costante di gravitazione universale, suggerì inizialmente una descrizione delle interazioni fra corpi elettricamente carichi basata sull’esistenza di un’azione istantanea a distanza. Per lungo tempo la teoria delle interazioni fra corpi magnetizzati fu sviluppata sulla base della nozione di polo magnetico, in stretta analogia formale con la teoria delle interazioni fra cariche elettriche, nonostante l’esperienza mostrasse, in maniera particolarmente evidente (esperienza della calamita spezzata), che non è possibile ottenere poli magnetici isolati. Fu lo stesso Coulomb a verificare, operando con magneti aventi la forma di lunghe sbarrette, che i poli magnetici si attraggono o si respingono, secondo il segno, con la stessa legge valida per le cariche elettriche. A seguito dell’invenzione della pila (1800) da parte di Alessandro Volta (1745- 1827) fu possibile produrre correnti elettriche continue. Ciò permise a H. C. Oersted (17771851) di scoprire nel 1820 le interazioni fra corpi percorsi da corrente elettrica e corpi magnetizzati. Subito dopo A. M. Ampère (1775-1836) evidenziò l’esistenza d’interazioni fra corpi percorsi da correnti elettriche e formulò l’ipotesi che la magnetizzazione dei corpi fosse una conseguenza dell’esistenza, nei corpi magnetizzati, di correnti molecolari. Anche le interazioni fra corpi percorsi da corrente elettrica furono descritte, dallo stesso Ampère, sulla base dell’idea che fra i corpi interagenti fosse possibile, anche se erano distanti fra loro, un’azione istantanea. Newton (1642-1727) stesso tuttavia accettava l’idea di un’azione istantanea a distanza solo in quanto permetteva una descrizione sufficientemente accurata delle interazioni gravitazionali, ma la rifiutava come descrizione soddisfacente dal punto di vista della conoscenza scientifica. Egli scriveva infatti: «Che un corpo possa agire su di un altro a distanza attraverso il vuoto, senza la mediazione di qualcos’altro, […] è secondo me una grande assurdità». Quest’opinione è oggi largamente condivisa, poiché si ritiene ragionevole che l’effetto segua istantaneamente la causa solo se causa ed effetto riguardano elementi contigui. Una descrizione alternativa delle interazioni elettromagnetiche, che soddisfa al principio di contiguità della relazione di causa-effetto, fu fornita a metà dell’Ottocento da M. Faraday (1791-1867) e J. C. Maxwell (1831-1879). In accordo con le idee portate avanti da questi due scienziati, si possono descrivere le interazioni 7 elettromagnetiche fra i corpi facendo appello alla nozione di campo. Così, invece di dire che un corpo agisce su un altro, istantaneamente a distanza, possiamo dire che esso crea nello spazio che lo circonda un campo; tutti gli altri corpi che si trovano in questo campo saranno soggetti a una certa forza. Finché si considerano fenomeni indipendenti dal tempo, il campo è una descrizione del tutto equivalente all’interazione istantanea a distanza, ma allorché si passa a prendere in esame i fenomeni dipendenti dal tempo, a causa del fatto che il campo elettromagnetico si propaga nello spazio a velocità finita, pari alla velocità della luce, la situazione cambia in maniera essenziale. La forza agente su un corpo ad un certo istante non è determinata dai corpi che creano il campo nelle loro configurazioni allo stesso istante; è solamente dopo un certo intervallo di tempo, che il cambiamento di configurazione dei corpi che creano il campo produce degli effetti sugli altri corpi. Questo significa che il campo elettromagnetico è una realtà fisica indipendente dai corpi che lo creano. Non si può più parlare di un’azione diretta fra corpi distanti ma, piuttosto l’interazione è mediata dal campo, nel senso che un punto di un corpo interagisce, localmente e istantaneamente con il campo e successivamente il campo agisce sui punti dei corpi. La differenza fra la descrizione delle interazioni mediante azione diretta a distanza e quella mediata dal campo è descritta in maniera particolarmente suggestiva nei due passi, rispettivamente di Faraday e Maxwell, che qui riportiamo: «Da parte mia, considerando la relazione fra il vuoto e la forza magnetica e il carattere generale dei fenomeni magnetici esterni al magnete, propendo più per l’idea che nella trasmissione della forza c’è un’azione esterna al magnete piuttosto che una semplice attrazione o repulsione a distanza. Una tale azione può essere una funzione dell’etere, poiché non è improbabile che se c’è un etere esso abbia altre funzioni oltre la trasmissione della luce. […] Man mano che procedevo nello studio di Faraday mi rendevo conto che il suo modo di concepire i fenomeni era suscettibile di una formulazione matematica […]. Per esempio Faraday vedeva linee di forza che attraversano tutto lo spazio laddove i matematici vedevano centri di forza che si attraggono a distanza. Faraday vedeva lo svolgersi dei fenomeni in azioni reali attraverso un mezzo». Questo punto di vista implica una qualche azione del campo, non solo sulla materia, ma anche sullo spazio vuoto e una reazione della materia, o del vuoto, sul campo che fu formulata matematicamente da Maxwell mediante una rappresentazione duale del campo elettromagnetico che ricorda la dualità sforzo-deformazione della descrizione delle azioni elastiche nei corpi materiali. Il campo prodotto dalle cariche e dalle correnti, agenti come sorgenti esterne, è rappresentato matematicamente, in un dato sistema di riferimento, mediante due vettori, il vettore induzione elettrica D e il vettore campo magnetico H, mentre il campo misurato da cariche e correnti, agenti come corpi di prova, è rappresentato dal vettore campo elettrico E e dal vettore induzione magnetica B. Questi quattro vettori devono soddisfare le quattro equazioni 8 div D = ρ rot H – ∂D/∂t = J div B = 0 rot E + ∂B/∂t = 0 note come equazioni di Maxwell, in cui ρ e J rappresentano rispettivamente la densità di carica e la densità di corrente di carica, che devono essere considerati come dati del problema. L’obiettivo principale del corso è descrivere la teoria di Maxwell fondandola su due principi fisici: la conservazione della carica e l’inesistenza di poli magnetici isolati. Insisterò inoltre sul fatto che le equazioni di Maxwell hanno validità universale, vale a dire indipendente dalle proprietà specifiche dei corpi, ma proprio per questo, non sono sufficienti, da sole, per descrivere in maniera quantitativa i fenomeni elettromagnetici, esse vanno completate da ipotesi costitutive riguardanti il comportamento elettromagnetico sia della materia sia del vuoto. A questo scopo la presente esposizione sarà diversa dalle trattazioni tradizionali. Queste ultime sono fortemente influenzate dalla teoria dell’elettrone, sviluppata all’inizio del secolo scorso, da H. A. Lorentz (1853-1928). Secondo questa teoria tutti i fenomeni elettromagnetici possono essere interpretati mediante le equazioni di Maxwell valide nello spazio vuoto, in quanto un corpo materiale è riguardato come un insieme di punti materiali carichi, gli elettroni, che interagiscono e si muovono attraverso lo spazio vuoto. Inoltre nel vuoto, anche in presenza di materia, è possibile identificare nelle equazioni di Maxwell, previa un’opportuna scelta delle unità di misura, il vettore D con E e il vettore H con B. Molto spesso le equazioni così ottenute sono identificate con le equazioni di Maxwell e ciò è causa di notevoli confusioni. Si afferma spesso, per esempio, che le equazioni di Maxwell non sono invarianti rispetto a trasformazioni galileiane delle coordinate spazio-temporali e che sono invece invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz. Di fatto quest’affermazione è vera soltanto se è riferita alle equazioni di Maxwell valide per il vuoto, in accordo con l’ipotesi costitutiva di Lorentz, che consiste nell’ammettere che nel vuoto, anche in presenza di materia, è possibile identificare D con E e H con B. Sarebbe opportuno chiamare le equazioni di Maxwell per il vuoto, secondo l’ipotesi costitutiva di Lorentz, equazioni di Maxwell-Lorentz. Al contrario in questo corso assumerò un punto di vista macroscopico, in cui i corpi materiali sono riguardati come continui, evitando d’introdurre qualsiasi ipotesi circa la struttura molecolare dei corpi. Questo punto di vista mi sembra non solo più aderente alle idee originarie di Faraday e Maxwell, ma anche più consono alle necessità di chi deve eventualmente applicare l’elettromagnetismo a problemi di tipo ingegneristico. È bene osservare a questo proposito che l’ipotesi del continuo non nega l’esistenza di atomi, molecole, ioni ed elettroni, in quanto si può affermare che queste particelle si possono estrarre dalla materia, ma non la costituiscono, nel senso che le proprietà delle particelle interagenti all’interno dei corpo non possono essere dedotte univocamente dalle proprietà misurate delle particelle libere. Conseguentemente manterrò, anche nel vuoto, la distinzione fra D ed E e H e B in accordo con le idee originarie di Faraday e Maxwell e, dal punto di vista metrologico, con le convenzioni del Sistema Internazionale di Unità (SI), originariamente proposte da G. Giorgi (1871-1950) e oggi universalmente accettate. 9 PARTE I ELETTROSTATICA Lo scopo dell’elettrostatica è fornire una trattazione quantitativa, vale a dire mediante grandezze fisiche, delle interazioni fra corpi elettricamente carichi, in equilibrio e in quiete rispetto a un sistema di riferimento inerziale. Tradizionalmente, per motivi di semplicità, questo studio inizia supponendo che i corpi siano posizionati nello spazio vuoto, oppure praticamente, in aria, nelle usuali condizioni di temperatura e pressione, prescindendo inoltre dalle caratteristiche materiali dei corpi. Successivamente si prende in esame l’influenza che hanno le proprietà materiali dei corpi sui fenomeni elettrostatici, dividendo, in prima grossolana approssimazione, tutti i corpi in due classi: i conduttori e gli isolanti. I fenomeni che sono esaminati nell’ambito dell’elettrostatica sono governati da due leggi fisiche universali: la legge di conservazione della carica e la legge di conservazione dell’energia. Il primo capitolo è essenzialmente dedicato alla formulazione di queste leggi, per i corpi in equilibrio e in quiete rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, prescindendo dalle proprietà dei corpi stessi. Nel secondo capitolo saranno fornite le basi per comprendere gli effetti, sul campo elettrostatico, dovuti alla presenza di corpi conduttori, in quiete e in equilibrio. Nel terzo ed ultimo capitolo di questa prima parte saranno formulate le leggi dell’elettrostatica, in maniera sufficientemente dettagliata, per interpretare la varietà dei fenomeni che si osservano quando un campo elettrostatico interagisce con corpi isolanti. 13 Capitolo I: ELETTROSTATICA NEL VUOTO I) La carica elettrica È noto fin dall’antichità che campioni d’ambra quando sono strofinati con altri corpi, per esempio con un panno di lana, acquistano la proprietà di attrarre corpi relativamente leggeri, come pezzettini di carta. Per quasi duemila anni questo potere attrattivo è stato riguardato come una proprietà peculiare dell’ambra. Sembra sia merito di William Gilbert (1540-1603) aver mostrato che in realtà si tratta di una proprietà generale, cioè tutti i corpi, qualunque sia la loro costituzione materiale, presentano la stessa proprietà dell’ambra. I corpi che, per strofinio o con altri metodi, abbiano acquistato la proprietà di esercitare forze d’attrazione a distanza su altri corpi si dicono elettrizzati. Un corpo non elettrizzato si dice neutro. Lo stato d’elettrizzazione di un corpo può essere rilevato mediante uno strumento del tipo di quello schematicamente rappresentato in Fig. 1, detto elettroscopio. La circostanza che la capacità di elettrizzarsi è una proprietà generale dei corpi è sfuggita, per così lungo tempo all’attenzione degli sperimentatori, per la seguente ragione. Tutti i corpi si possono dividere, in prima grossolana approssimazione, in due categorie: i conduttori e gli isolanti. I corpi conduttori, di cui i metalli, sia allo stato solido sia liquido, costituiscono un tipico esempio, possono essere elettrizzati soltanto se sono stati preventivamente isolati da terra mediante sostegni costituiti da corpi isolanti, come il vetro o la ceramica. È proprio per questa loro funzione che i corpi di questo tipo hanno preso il nome di isolanti. Il nostro corpo è conduttore, pertanto non è possibile elettrizzare per strofinio un pezzo di metallo tenendolo in mano. Peraltro lo stato d’elettrizzazione può essere trasmesso da un corpo a un altro collegando fra loro i due corpi mediante un conduttore, per esempio un filo metallico (elettrizzazione per conduzione) Le forze elettriche fra un corpo elettrizzato, come l’ambra strofinata, e un corpo neutro, come un pezzetto di carta, sono sempre attrattive. Al contrario si è visto che le forze fra corpi elettrizzati possono essere sia attrattive sia repulsive. Per esempio, due pezzi d’ambra elettrizzati per strofinio si respingono e così pure due pezzi di vetro, ma un pezzo d’ambra e un pezzo di vetro si attraggono. Operando con diversi materiali si è giunti alla conclusione che sono possibili solamente due tipi di elettrizzazione: l’elettrizzazione acquistata per strofinio da un pezzo d’ambra è detta resinosa,mentre quella acquistata con lo stesso metodo da un pezzo di vetro è detta vetrosa Gilbert ha proposto il termine forze elettriche (dal greco ηλεκτρον, ambra) per queste forze che risultano molto più intense delle forze di attrazione gravitazionale. I.a) La legge di Coulomb e l’unità di misura della carica elettrica Lo stato d’elettrizzazione di un corpo può essere caratterizzato completamente mediante una singola grandezza fisica scalare che è chiamata la quantità d’elettricità 15 o la carica elettrica posseduta dal corpo e indicata, di solito, con i simboli Q o q. Ricordiamo che la definizione della carica elettrica, come quella di ogni altra grandezza fisica, implica che siano note le operazioni da compiere con determinati strumenti, detti elettrometri, nel caso della carica elettrica, per a) confrontare tra loro due cariche elettriche per verificarne l’uguaglianza o, in caso contrario, quale delle due sia la maggiore, b) addizionare o sottrarre due o più cariche elettriche, c) è stata scelta un’unità di misura [q] tale che ogni carica elettrica q si può esprimere nella forma q = a[q] , come il prodotto di un numero reale a, detto misura o valore della carica, per l’unità di misura. La definizione della carica elettrica è stata scelta in modo che l’intensità della forza che si esercita fra due corpi elettrizzati sia proporzionale al prodotto delle cariche elettriche possedute dai due corpi. Il tipo della forza, attrattiva o repulsiva, risulta allora determinato mediante il segno della carica elettrica attribuendo convenzionalmente una carica positiva a un corpo con elettrizzazione vetrosa e una carica negativa a un corpo con elettrizzazione resinosa, come proposto originariamente da Benjamin Franklin (1706-1790). Un corpo neutro ha carica nulla. Se q e q’ denotano le misure delle cariche elettriche dei due corpi risulta pertanto F ∝ q⋅q′ e la forza sarà repulsiva per cariche dello stesso segno ( q⋅q′ > 0), attrattiva per cariche di segno opposto ( q⋅q′ < 0 ). Osservazione 1. La natura opposta dei due possibili stati d’elettrizzazione dei corpi suggerisce senz’altro la definizione data della quantità di elettricità, tuttavia è opportuno notare che sarebbe possibile definire la carica elettrica diversamente, in particolare in modo da risultare sempre positiva. Ciò si ottiene per esempio ponendo Q = exp(q), per cui l’elettrizzazione vetrosa (q > 0) corrisponde a Q > 1, mentre per la resinosa (q<0) risulta Q < 1, in ogni caso si ha Q > 0 e per un corpo neutro sarebbe Q = 1. Scegliendo Q come misura della carica elettrica la forza risulterebbe proporzionale al prodotto lnQ⋅lnQ′, e inoltre, come si è detto, un corpo neutro non avrebbe carica nulla. È quindi evidente la maggiore semplicità della scelta adottata. L’unità di misura della carica elettrica può essere fissata sulla base della legge stabilita sperimentalmente da Charles A. Coulomb (1736-1806) per mezzo della bilancia di torsione (v. Fig. 2), detta legge di Coulomb: Due punti materiali elettrizzati con carica elettrica q e q′ rispettivamente, in quiete nel vuoto rispetto a un sistema di riferimento inerziale, esercitano l’uno sull’altro una forza F, diretta secondo la congiungente i due punti, direttamente proporzionale al prodotto delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza r fra i due punti. In simboli F = k q⋅q′r/r3 16 (I. 1)