IMMAGINE DELLA SCIENZA E COMUNICAZIONE SCIENTIFICA

IMMAGINE DELLA SCIENZA E COMUNICAZIONE SCIENTIFICA
Carlo Tarsitani
1. A che si riferisce l’immagine della scienza
Dovrebbe apparire scontato che la comunicazione scientifica, oltre a nozioni e
competenze specifiche, trasmette esplicitamente o implicitamente un’immagine della
scienza (ossia alcune idee sulla natura della ricerca scientifica, sul valore conoscitivo
delle sue acquisizioni, sul loro rapporto con altre forme di crescita del sapere, ecc.).
Per dare un’idea più chiara di cosa intendiamo comunicare quando usiamo la
locuzione ‘immagine della scienza’, formuliamo un elenco di domande alle quali, chi
ha messo a fuoco una determinata immagine della scienza (e, in particolare, della
fisica), dovrebbe saper rispondere.
-
Quali sono le caratteristiche principali di un’indagine ‘scientifica’ e in che cosa
esso si differenzia da altri tipi di indagine (estetica, filosofica, giudiziaria, ecc.)?
-
-Che differenza c’è tra la ricerca scientifica e la ricerca tecnologica?
Quali sono i criteri in base ai quali decidiamo che un’affermazione o un
enunciato, che si riferiscono a uno ‘stato di cose’ nel mondo hanno carattere
scientifico?
-
Quali sono i criteri in base ai quali decidiamo che una spiegazione è valida o
‘corretta’ dal punto di vista scientifico?
-
Quali sono le caratteristiche essenziali di una teoria scientifica?
Che differenza c’è tra una teoria e un modello?
-
Perché la matematica è così importante per la fisica?
Che differenza c’è tra una legge, un principio, un'ipotesi?
-
Cos’è un fenomeno fisico?
Che differenza c’è tra osservazione e esperimento?
-
Che differenza c’è tra un fenomeno direttamente osservato e un fenomeno
simulato al computer?
Come si vede, le domande sono tante e il loro elenco potrebbe essere ancora più
lungo. Esse non riguardano tanto le forme della comunicazione scientifica, ma
piuttosto il messaggio trasmesso (esplicitamente o implicitamente) dalle diverse fonti
di comunicazione.
2. Immagine della scienza e comunicazione scientifica
Appare ragionevole l’ipotesi che chi progetta una qualche forma di comunicazione
scientifica e tecnologica sia in qualche modo influenzato dalla sua immagine della
scienza e della tecnologia. Lo è in particolare chi progetta un libro di testo, un corso
universitario, un testo divulgativo.
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Ogni comunicatore ha sicuramente i suoi obiettivi (si aspetta che il sua atto
comunicativo raggiunga determinati scopi); in base a questi obiettivi egli
organizzerà gli argomenti da comunicare secondo una certa ‘logica’; deciderà infine i
criteri di dettaglio in base impostare la comunicazione dei singoli argomenti.
È evidente che queste operazioni sono condizionate in primo luogo dalle idee che il
comunicatore si è fatto sulle capacità ci comprensione e sulle competenze pregresse
del suo ‘pubblico’. Meno evidente è il ruolo che in esse svolge la sua immagine della
disciplina in cui rientrano gli argomenti che egli intende trattare. Ancora meno
evidente è il fatto che anche il destinatario ha, bene o male, una sua immagine della
scienza. E ormai sappiamo bene che c’è sempre un certo gap tra il messaggio
trasmesso e il messaggio ricevuto.
Nel contesto della comunicazione didattica a livello universitario, lo studente quindi
percepirà ‘a suo modo’ gli obiettivi comunicativi del docente, le relazioni logiche tra
i contenuti comunicati, gli aspetti rilevanti degli argomenti trattati, le prestazioni
richieste per la valutazione del suo apprendimento. È quindi possibile che
l’immagine della scienza dello studente interferisca con la sua interpretazione dei
messaggi trasmessigli dal docente.
Il problema che ci poniamo è quindi il seguente: è possibile individuare i nessi tra
l’immagine della scienza dei soggetti comunicativi e la natura del processo di
comunicazione?
Il modo migliore per risolvere questo problema è quello di renderlo più concreto e
‘visibile’ mediante esempi adeguati. È quello che cercheremo di fare nei prossimi
paragrafi.
3. I capitoli introduttivi di un libro di testo
Scegliamo un esempio di comunicazione a cui uno studente si ‘abitua’ nel corso della
sua formazione: la comunicazione fornita dai libri di testo. Quasi sempre i manuali
scolastici e universitari hanno un capitolo introduttivo in cui si parla delle
caratteristiche essenziali della disciplina scientifica a cui si riferiscono. Questi
capitoli, ammesso e non concesso che siano letti (il che non sempre accade),
riguardano solo indirettamente gli obiettivi didattici che il manuale si propone.
Tuttavia, se letti attentamente, essi rivelano alcuni dei criteri generali che l’autore del
testo ha seguito nell’impostare la sua comunicazione.
Facciamo subito un esempio. È in vendita in Italia un manuale, tradotto dall’inglese,
dal titolo Fisica scritto da Richard Wolfson (letteralmente ‘figlio di lupo’) e Jay M.
Pasachoff (un cognome dall’evidente origine russa). Il primo capitolo è intitolato
“Fare fisica” e il secondo paragrafo parla de “La semplicità della fisica”. Lo
riportiamo interamente.
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La fisica è una scienza fondamentale. Le sue leggi e le sue teorie descrivono il funzionamento
dell’Universo al livello più fondamentale. Perciò la fisica è estremamente potente: le stesse leggi
descrivono il comportamento delle molecole, quello degli aeroplani e quello delle galassie. Sebbene
ancora nessuno sia riuscito a farlo, la maggior parte degli scienziati ritiene che sia possibile, in linea
di principio, descrivere il funzionamento di una cellula vivente o di un organismo usando soltanto le
leggi fondamentali della fisica.
L’applicazione delle leggi della fisica può far sorgere problemi stimolanti la cui risoluzione richiede
un’abile intuizione e la capacità di usare agilmente gli strumenti matematici. La sfida stimolante
lanciata dalla risoluzione di problemi è ciò che conferisce alla fisica una parte del suo interesse
intellettuale e anche la sua reputazione di disciplina difficile. Ma, se lo studente si avvicina a questo
corso pensando che la fisica presenti molti argomenti difficili da imparare, non coglie nel segno: la
fisica, essendo la scienza fondamentale, è intrinsecamente semplice. Si devono imparare
soltanto alcune leggi fondamentali: queste leggi, se capite realmente, si possono applicare facilmente
in un’ampia varietà di situazioni. Abbiamo scritto questo libro proponendoci di mettere in luce la
semplicità della fisica mostrando come esempi diversi sono in realtà manifestazioni delle
stesse leggi fisiche fondamentali. Lo studente deve impararle in modo approfondito per poterle
applicare con fiducia in nuove situazioni. Nel leggere il testo e nel risolvere i problemi di fisica, egli
deve tener presente la semplicità dei principi fisici fondamentali, chiedendosi in che cosa ogni
problema che affronta è simile ad altri problemi e agli esempi presentati nel testo. Questa somiglianza
apparirà evidente, poiché i molti problemi ed esempi implicano in realtà solo un piccolo numero di
leggi fondamentali. Perciò, la fisica è semplice, oltre che stimolante, ma con una semplicità
fondamentale che ne rispecchia il campo di applicazione e la potenza.
Il brano ci sembra eloquente. In esso si crea una connessione diretta tra alcune
caratteristiche essenziali della ricerca fisica (le sue finalità, il suo modo di procedere)
e il tipo di prestazioni che gli allievi dovrebbero essere in grado di mettere in atto
grazie al processo comunicativo che il testo si prefigge di realizzare con successo.
Esso ci dice anche qualcosa sugli obiettivi e i criteri che gli autori hanno scelto per
organizzare la loro esposizione e per selezionare gli argomenti trattati. È quindi
evidente che ‘dietro’ c’è un’immagine della fisica.
Può essere interessante confrontare tra loro i capitoli introduttivi di diversi libri di
testo. Nel presentare determinate immagini della scienza (in particolare della fisica)
essi saranno simili in alcuni aspetti, ma mostreranno anche differenze significative.
Qualche volta queste presentazioni saranno esplicitamente connesse ai criteri seguiti
nell’impostare la comunicazione dei vari argomenti. Nelle schede seguenti
presentiamo alcune affermazioni sulla natura della fisica che abbiamo trovato in
alcuni manuali e testi divulgativi.
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Immagini della fisica/Scheda n.1
G.Toraldo di Francia, L'immagine del mondo fisico , Einaudi, Torino, 1976.
Obiettivi comunicativi :
- esporre i principi della fisica con particolare attenzione agli aspetti epistemologici
e alla critica dei fondamenti;
- sviluppare lo spirito critico;
- andare oltre l’esposizione di un metodo funzionale standard che non soddisfa le
esigenze culturali;
- mostrare l’importanza delle competenze epistemologiche ai fini della
comprensione dell’interesse culturale della fisica.
Premesse epistemologiche :
La fisica si distingue da altre forme di conoscenza e da altre discipline scientifiche
per il metodo con cui affronta lo studio dei processi che si svolgono nel mondo
materiale.
Tale metodo è sperimentale, ossia si basa sull'esecuzione di esperimenti e non su
semplici osservazioni.
Gli esperimenti implicano una scelta e una semplificazione dei parametri da cui
dipendono i processi naturali.
Il loro scopo è ottenere una risposta intellegibile e quantitativa a una domanda
circoscritta posta alla natura.
La domanda è formulata in un linguaggio specifico e si serve di concetti specifici.
In particolare, tale linguaggio è matematico.
L'esperimento si basa quindi sulla misurazione di grandezze e di dipendenze
funzionali tra grandezze.
Le dipendenze accertate in una notevole varietà di casi sperimentali prendono il
nome di leggi sperimentali.
La migliore definizione delle grandezze con cui si effettua l'esperimento è quella
operativa.
La teoria è un sistema di postulati o assiomi da cui è possibile dedurre logicamente
le leggi sperimentali.
Un’ipotesi è una teoria non ancora pienamente verificata dai dati sperimentali.
Un modello è una riproduzione ideale e concettuale di un sistema fisico, costruita
per farsene un’immagine mentale intuitiva.
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Immagini della fisica/scheda n.2
R.Karplus, Introductory Physics. A model approach , W.A.Benjamin, Inc., New York,
1969.
Obiettivi comunicativi :
- Esporre i principi della fisica in quanto parte integrante della cultura umana.
- mostrare le connessioni tra i vari settori della fisica,
- fare frequenti riferimenti ai fenomeni dell'esperienza quotidiana,
- esaminare attentamente il modo in cui le osservazioni possano essere interpretate
come evidenza in favore di diverse teorie scientifiche.
Premesse epistemologiche :
La fisica è un insieme di concetti e di relazioni che costituisce il risultato del
processo storico con il quale l'uomo ha cercato di interpretare, comprendere e
spiegare una parte consistente delle osservazioni compiute nel mondo naturale.
La scelta, la caratterizzazione, la semplificazione di queste osservazioni ha sempre
fatto riferimento a "punti di vista" generali, storicamente mutevoli, sugli aspetti
essenziali del mondo naturale, sui quali hanno concordato i membri delle comunità
di scienziati.
La costruzione delle interpretazioni, mai complete e definitive, delle osservazioni è
un processo dialettico: le interpretazioni avanzate nei confronti di certe osservazioni
generano nuove osservazioni che a loro volta retroagiscono sulle interpretazioni
correggendole.
Le teorie scientifiche sono interpretazioni organizzate sistematicamente e esposte in
forma logica rigorosa. Esse consentono di interpretare le osservazioni in modo più
stringente e ricco di implicazioni e previsioni.
Nel processo di costruzione e applicazione delle teorie si fa comunemente uso di
modelli, ossia di immagini mentali visualizzanti, o di costrutti matematici o
simbolici che forniscono una rappresentazione semplificata dei sistemi fisici che la
teoria intende descrivere in quanto insiemi di oggetti e relazioni tra oggetti che
producono i fenomeni osservabili.
Un importante metodo di costruzione dei modelli è il metodo dell'analogia. Un
importante metodo di controllo della teoria e del modello è costituito dagli
esperimenti mentali.
La costruzione delle teorie scientifiche segue quindi un percorso che va
dall'individuazione di analogie alla costruzione di modelli intuitivi, alla esecuzione
di esperimenti mentali e alla messa a punto di modelli matematici.
I termini usati per descrivere modelli ed esperimenti mentali sono definiti sia
formalmente sia operativamente.
Le definizioni formali legano tali termini a concetti, le definizioni operative
all'esperienza concreta.
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Immagini della fisica/ scheda n.3
J.B.Marion, La fisica e l'universo fisico , Zanichelli, Bologna,
Obiettivi comunicativi:
Arrivare a descrivere in modo elementare
- lo stato attuale della teoria fisica,
- il carattere delle ricerca fisica quale viene condotta oggi,
- quali problemi la fisica ha risolto e per quali si stanno ancora cercando le
soluzioni,
- i legami della fisica con la vita quotidiana attraverso le sue applicazioni
tecnologiche,
- i legame della fisica con la cultura attraverso la comprensione del nostro universo
che essa consente.
Premesse epistemologiche :
La fisica si occupa del comportamento degli oggetti più elementari e più semplici
che si trovano in natura. Si occupa anche del comportamento di sitemi complessi,
ma solo nella misura in cui questo può essere ricondotto a quello degli oggetti
semplici che li costituiscono.
Lo scopo della fisica è la comprensione del nostro universo, della natura dei suoi
costituenti e del loro comportamento.
L'applicazione a problemi pratici delle conoscenze acquisite dalla fisica è oggetto
della tecnica.
La comprensione del mondo fisico ha come fondamento l'esame obiettivo di
situazioni empiriche controllate e circoscritte, basato sulla misurazione di
grandezze e l'esecuzione di esperimenti.
Il risultato di un esperimento è una relazione tra numeri, ossia tra i valori che
determinate grandezze assumono nel corso dell'esperimento.
Quando un problema non può essere affrontato direttamente a causa
dell'inadeguatezza degli apparati disponibili si ricorre a esperimenti concettuali.
Il metodo scientifico si basa su una interazione dialettica tra ragionamento ed
esperienza. Il metodo scientifico è un atteggiamento o una filosofia che riguarda il
modo con cui si affronta il mondo fisico reale e si tenta di comprendere come
funziona la natura. Non è un insieme di regole o prescrizioni univoche, ma è
storicamente e individualmente variabile.
Una teoria è un insieme di relazioni logiche che consente di legare tra loro, dedurre e
prevedere diversi risultati sperimentali. Le teorie non possono mai essere dimostrate
come vere, esse possono altresì essere dimostrate false.
Una teoria è ‘buona’ se è concisa, generale, precisa, modificabile.
Lo stato embrionale di una teoria è spesso un modello.
A una teoria corroborata da numerosi esperimenti si accorda il titolo di legge.
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Immagini della fisica/ scheda n.4
R.P.Feynman, R.B.Leighton, M. Sands, Lezioni di Fisica, Zanichelli
Obiettivi comunicativi:
- costruire le basi conoscitive per un lettore che aspira a diventare un fisico,
- condensare l’enorme quantità di risultati raggiunti dalla ricerca fisica,
- esporre correttamente questi risultati chiarendo il significato delle parole che
usiamo per comunicarli,
- tracciare la relazione della fisica con le altre scienze,
- aiutare a sviluppare la percezione del significato della ricerca fisica.
Premesse epistemologiche
Siamo convinti che l’insieme delle conoscenze fisiche sia racchiuso in una serie di
leggi fondamentali. Ma noi non conosciamo ancora tutte queste leggi, anzi mentre si
sviluppa la frontiera della conoscenza si sviluppa anche la frontiera dell’ignoranza.
Ciascun settore delle conoscenze è solo un’approssimazione all’intera verità.
La prova di tutta la conoscenza è l’esperimento. Ma per raggiungere la conoscenza, oltre
ai suggerimenti derivanti dall’esperienza occorre anche l’immaginazione. Il processo
immaginativo è così difficile che nella fisica si fa una divisione del lavoro: vi sono i
fisici teorici, i quali immaginano, deducono e cercano di indovinare nuove leggi ma
non fanno esperimenti; e poi vi sono i fisici sperimentali, i quali fanno esperimenti,
immaginano, deducono e cercano di indovinare.
Le leggi note sono approssimate: quando si scoprono i loro limiti occorre talvolta
cambiare anche profondamente i nostri concetti.
Le leggi valide in prima approssimazione sono in genere più semplici e più
comprensibili, anche se dal punto di vista filosofico sono false. Per questo, quando si
insegna la fisica, bisogna accettare un compromesso: partire da leggi semplici ma
approssimate e poi cercare di far capire i cambiamenti introdotti nelle fasi più
avanzate della ricerca.
“Se in qualche cataclisma l’intera conoscenza scientifica dovesse andare distrutta ed
un’unica frase venisse tramandata alle successive generazioni di esseri viventi, quale
affermazione conterrebbe l’informazione più importante nel minor numero di
parole? Io credo che sia l’ipotesi atomica, [ossia] che tutte le cose sono formate da atomi
– piccole particelle che girano in moto perpetuo attraendosi l’un l’altra quando si trovano a
breve distanza, ma che si respingono quando vengono pressate l’una contro l’altra”.
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Crediamo che le schede precedenti illustrino abbastanza bene i nessi tra obiettivi
comunicativi degli autori dei testi indicati e la loro visione della fisica, o almeno delle
sue caratteristiche essenziali. Si potrebbe discutere a lungo su ciascuno degli
argomenti toccati dagli autori suddetti, ma non ce lo possiamo permettere. Invitiamo
soltanto chi legge a riconoscere l’importanza di avere un minimo di conoscenza di
questioni e problemi che vanno un po’ al di là delle nozioni fisiche in senso stretto.
4. Sviluppiamo la discussione
Ormai sappiamo che dal fatto di essere un ottimo fisico non discende
necessariamente il fatto di essere un ottimo comunicatore. Sappiamo anche che saper
comunicare non è un’arte né il frutto di una dote innata, ma è il frutto della
padronanza di varie tecniche di comunicazione. Il ‘controllo’ e la ‘manipolazione’ dei
contenuti da comunicare deve essere finalizzato al successo della comunicazione: le
capacità per eseguire queste operazioni non rientrano necessariamente nell’ambito
delle competenze richieste per fare ricerca in un determinato settore.
Tuttavia, il problema che abbiamo posto in questo capitolo è diverso. Ci siamo infatti
chiesti: nel momento in cui comunichiamo contenuti scientifici e tecnologici, non
comunichiamo anche necessariamente una determinata visione della natura e dei fini
della conoscenza scientifica?
Per entrare in maggiore dettaglio sull’interazione tra immagine della scienza e
comunicazione scientifica, dobbiamo approfondire i nostri esempi. Per questo,
abbiamo deciso di avviare una riflessione sulle relazioni tra una visione – che
chiameremo tradizionale – del modo di procedere della ricerca scientifica e alcuni
aspetti della comunicazione scientifica ‘normale’, di cui tutti abbiamo avuto qualche
esperienza concreta.
L’immagine tradizionale della scienza può essere rappresentata dal seguente schema
(chiamato ‘arco della conoscenza’):
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Schema 1
processoinduttivo
processodeduttivo
ipotesi
teorie
leggi
regolarità
verificanole
fenomeni(osservazioni)
producononuovi
esperimenti
Lo schema associa tra loro un ‘processo induttivo’ (dai fenomeni osservati alle teorie)
e un ‘processo deduttivo’ (dalle teorie agli esperimenti e quindi di nuovo ai
fenomeni osservati). Si vede subito che i fenomeni (e le osservazioni) stanno alla base
dell’arco e le teorie stanno al vertice. Implicitamente si suggerisce che le teorie (e, in
subordine, le ipotesi e le leggi) nascano dall’esperienza (ossia dall’osservazione di
fenomeni). L’osservazione dei fenomeni è però, fin dall’inizio, condizionata dalla
ricerca di regolarità: ossia implica una selezione tra le esperienze possibili, con la
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conseguente eliminazione dei fenomeni che non si riproducono regolarmente. Ne
segue che, una volta accertati, i fenomeni ‘regolari’ non cambieranno mai e saranno
descritti sempre nello stesso modo.
Esiste quindi una netta differenza tra conoscenza scientifica (che è basata su fatti
certi) e altri aspetti della cultura umana come la produzione artistica, letteraria,
filosofica (che si basa su intuizioni o opinioni soggettive e mutevoli). Eppure questa
distinzione è continuamente minacciata da quella che potremmo chiamare
‘debolezza delle teorie’. Anche noi diciamo spesso, nella comunicazione ordinaria,
“la tua è una semplice teoria…”, sottintendendo che essa parla di cose ipotetiche,
non di fatti accertati. “Una teoria è una libera creazione della mente umana”, diceva
Einstein. Il processo induttivo indicato nello schema 1 ne costituisce la parte più
problematica. I fisici non scelgono fenomeni a caso, né studiano tutte le regolarità in
cui si imbattono. Nello stesso tempo, non esiste una ‘logica della scoperta’, ossia un
percorso obbligato che porta dai fatti particolari a teorie generali. L’unica logica che
conosciamo è quella deduttiva, che procede dal generale al particolare.
Chi è convinto della validità del modello che abbiamo appena schematizzato
cercherà di organizzare la sua comunicazione di argomenti scientifici in un certo
modo. Cercherà, per esempio, di partire da fatti (ma non dirà, probabilmente, perché
quei fatti e non altri). Cercherà poi di far vedere come quei fatti siano perfettamente
spiegati da certe ipotesi, leggi o teorie. La sua comunicazione avrà l’aspetto di una
specie di esibizione di prove fattuali a favore della verità delle teorie che egli intende
esporre. Se le prove sono sufficienti, la teoria non potrà che essere vera.
Prospettiamo ora un altro schema per l’immagine della scienza.
Schema 2
Visione del mondo e ideali di
conoscenza condivisi in una
certa epoca
Idee sui criteri per
individuare i fenomeni
rilevanti per il sapere e
sui metodi più
appropriati per studiarli
congetture, ipotesi,
teorie sulle cause e la
natura di particolari
fenomeni
Esperimenti
progettati per
controllare le
congetture,
ipotesi, teorie
Come si vede lo Schema 2 guarda alla conoscenza in un altra prospettiva. Essa pone
il primo piano il carattere storico della conoscenza scientifica. La fisica moderna è
sostanzialmente diversa dalla fisica classica e, presumibilmente, la fisica di domani
sarà diversa da quella di oggi.
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Per non essere troppo astratti, facciamo un esempio. All’inizio del XIX secolo la
maggioranza dei fisici considerava ‘perfetta’ la conoscenza che, come sosteneva
ancora Feynman in tempi recenti, riconducesse i fenomeni a interazioni elementari
tra atomi, che rispettassero i principi della meccanica stabiliti da Newton. Ciò
comportava che si prestasse molta attenzione ad alcuni fenomeni, per esempio quelli
riguardanti il comportamento dei gas, in cui si presumeva che tali interazioni
avessero la forma più semplice. È però importante sottolineare che, anche allora, non
tutti erano d’accordo sulla concezione atomistica, preferendole l’idea di una materia
continua. Esisteva quindi – ed esiste anche oggi – una competizione scientifica che
riguarda idee, metodi e concetti anche molto generali. In effetti, riesaminando il
dibattito di inizio ‘800 due secoli dopo, si può forse dire che nessuna delle due parti
contendenti avesse pienamente ragione.
Un altro aspetto rilevante dello Schema 2 è che, pur assegnando importanza decisiva
all’esperimento, non lo pone all’origine della conoscenza fisica, ma anzi sottolinea il
fatto che l’attività sperimentale nasce soprattutto in un determinato contesto teorico,
ossia laddove si individuano i problemi conoscitivi rilevanti. Gli esperimenti,
soprattutto quando costano molto, non si fanno per semplice curiosità, ma si fanno
per mettere alla prova teorie, modelli, congetture.
Lo Schema 2 prevede inoltre continue ‘retroazioni’. È questo aspetto che consente di
comprendere il carattere dinamico, evolutivo, della conoscenza scientifica. Le
retroazioni portano, talvolta, a cambiare anche i criteri metodologici e la visione
generale dell’universo in cui viviamo. Fino a un secolo fa si pensava che i fenomeni
fondamentali della vita non potessero essere spiegati dalla fisica e dalla chimica;
sono bastati pochi decenni per far cambiare opinione a quasi tutti gli scienziati,
consentendo così lo sviluppo della biologia molecolare e della genetica. E oggi
discutiamo sui pericoli legati all’uso tecnologico delle conoscenze che si sono
accumulate in questo campo.
Se organizziamo la comunicazione scientifica in base all’immagine della scienza
fornita dallo schema 2, saremmo orientati a sottolineare la dimensione congetturale,
ipotetica delle varie teorie. Cercheremo di far conoscere i problemi conoscitivi che esse
cercavano di risolvere e di far capire il ‘pregio’ di un esperimento correttamente
eseguito, ossia tale da dare un risposta chiara alle domande che ci poniamo nel
cercare di trovare una soluzione a determinati problemi conoscitivi. Dovremmo, per
altro, riconoscere il carattere provvisorio e approssimato di certe conoscenze e di
certi metodi di indagine. Saremmo anche portati a mettere in evidenza il fatto che le
teorie, i modelli, che per il momento accettiamo come più validi, continuano a porre
ulteriori problemi su cui si sta concentrando la ricerca.
5. Il passaggio dalla fisica classica alla fisica moderna
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Comunicare i contenuti della fisica moderna è difficile. Non a caso la scuola è ancora
esitante di fronte alla fisica moderna, anche se si tratta di conoscenze raggiunte
ormai da quasi un secolo: è grasso che cola se gli alunni capiscono qualcosa della
fisica classica. La fisica moderna crea quindi un evidente problema di
comunicazione, soprattutto se si pensa al cittadino medio, a chi non farà il fisico.
Riflettiamo per un momento su questo problema. Se guardiamo non solo i manuali,
ma anche i testi divulgativi, quando si passa dalla fisica classica alla fisica moderna
si nota quasi sempre una differenza di impostazione della comunicazione. Le leggi
di Newton vengono date come regole comprovate del comportamento della natura:
si tratta di esporle con chiarezza e mostrare il loro campo di applicazione. Lo
studente può capirle e può dimostrare di averle capite, risolvendo problemi di varia
natura.
Invece, quando si introduce la fisica moderna (sia nei manuali, sia nei testi
divulgativi) l’atteggiamento è in genere molto più cauto. Gli autori parlano in genere
delle difficoltà della fisica classica di fronte a determinati problemi. Descrivono
risultati sperimentali che la fisica classica non riesce a spiegare. Pongono
esplicitamente il problema delle difficoltà di comprensione che le nuove teorie
creano. Si tratta di teorie più ‘astratte’, meno intuitive e più lontane dal senso
comune. Si concede anche che tali teorie sollevano problemi interpretativi che
sconfinano nella filosofia e nell’epistemologia. Leggiamo per esempio cosa dice il
testo di Fisica citato nel paragrafo 2, quando, nel capitolo 33, introduce la teoria della
relatività.
Nell’ultimo quarto del XIX secolo erano state formulate le leggi fondamentali dell’elettromagnetismo.
[...] Tuttavia, in quello stesso periodo, le intuizioni di Maxwell sollevavano problemi e contraddizioni
sconcertanti che scuotevano le basi della conoscenza fisica e persino del senso comune. Dalla
risoluzione di queste contraddizioni nacque la teoria della relatività, una teoria che modificò
radicalmente le basi filosofiche della conoscenza del mondo fisico e la cui influenza si riversò su tutti i
settori del pensiero del XX secolo. La teoria della relatività, che rappresenta un monumento
all’intelletto e all’immaginazione dell’uomo, trascende il mondo quotidiano del senso comune e svela
un Universo la cui ricchezza supera quasi l’immaginazione.
Il lettore è avvertito: per ricevere correttamente le nuove informazioni dovrà fare
uno sforzo maggiore rispetto a quello che ha fatto in precedenza.
Le cose vanno ancora peggio quando si parla della fisica quantistica. Nei vari testi
che si propongono di introdurla, anche a livello divulgativo, sono usati termini come
‘sconcertante’, addirittura ‘sconvolgente’, in riferimento per esempio a risultati
sperimentali che contraddicono le nostre idee fondamentali su cos’è un oggetto
fisico, una particella elementare. Si dice spesso che la meccanica quantistica non solo
è molto diversa dalla meccanica classica, ma che implica la rinuncia a ogni possibilità
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di formarsi un’immagine ‘intuitiva’, mentalmente ‘visualizzabile dei processi
elementari. Per alcuni ciò comporta che occorre addirittura rinunciare a
‘comprendere’ la meccanica quantistica. Un esempio abbastanza eloquente di questo
atteggiamento si trova nell’introduzione del libro divulgativo QED che raccoglie le
lezioni tenute da Richard Feynman presso l’università di Los Angeles per
comunicare a un pubblico adulto, ma con conoscenze fisiche limitate, i contenuti
essenziali della QuantumElectroDynamics, ossia dell’elettrodinamica quantistica.
Dopo aver enunciato i propositi del libro ed elencato gli argomenti che esso vuole
trattare, Feynman prosegue con queste affermazioni:
“Ho così chiarito l’argomento di queste lezioni. Ma ora sorge un’altra domanda: capirete quello che
dirò? [...] Le cose di cui parlerò le insegniamo agli studenti di fisica degli ultimi anni dell’università: ora
voi pensate che io riuscirò a spiegarle in modo da farvele capire? Ebbene, no, non le capirete. Perché
allora farvi perdere tempo? Perché tenervi qui seduti, se non sarete in grado di capire ciò che dirò?
Per convincervi di non andare via solo perché questa conferenza vi risulterà incomprensibile, vi dirò
che anche i miei studenti non capiscono queste cose. E non le capiscono perché non le capisco
nemmeno io. Il fatto è che non le capisce nessuno.
Permettetemi alcune considerazioni su che cosa significhi ‘capire’. Una conferenza può essere
incomprensibile per varie ragioni. Il conferenziere può essere un cattivo oratore, che non sa
esprimersi con efficacia o dice le cose nell’ordine sbagliato [...]. Altre volte l’oratore, soprattutto se è
un fisico, usa parole ordinarie in modo curioso, [per esempio] quando si parla di ‘lavoro’ in fisica non
si intende la stessa cosa di quando si parla di ‘lavoro’ nella vita di ogni giorno. Un altro motivo per cui
potreste pensare di non seguire quello che racconterò è che mentre io descriverò come funziona la
Natura, voi non capirete perché la Natura funzioni così. Ma questo non lo capisce nessuno, e quindi
io non ve lo spiegare. C’è infine un’altra possibilità: che alcune delle cose che vi dirò vi sembrino
incredibili, inaccettabili, impossibili da mandar giù. In questi casi è come se calasse un sipario: uno
smette di ascoltare. [...] I fisici hanno imparato a convivere con questo problema: hanno cioè capito
che il punto essenziale non è se una teoria piaccia o non piaccia, ma se fornisca previsioni in accordo
con gli esperimenti. La ricchezza filosofica, la facilità, la ragionevolezza di una teoria sono tutte cose
che non interessano. Dal punto di vista del buon senso l’elettrodinamica quantistica descrive una
natura assurda. Tuttavia è in perfetto accordo con i dati sperimentali. Mi auguro quindi che riuscirete
ad accettare la Natura per quello che è: assurda.
Un brano come questo non richiede particolari commenti: si commenta da solo.
Ancora una volta emerge in modo chiaro il fatto che tra intenti e finalità
comunicative e riflessione ‘critica’ sui contenuti della comunicazione c’è un nesso
che è difficile non intravedere.
Non tutti la pensano come Feynman. Ci sono altri autori che hanno scritto testi in cui
si augurano di rendere ‘comprensibili’ i contenuti della fisica quantistica. Quindi, tra
le premesse del loro intervento comunicativo, c’è anche una valutazione nel merito
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dei contenuti: questi possono essere resi comprensibili. E forse c’è dietro un’altra
concezione di che cosa significhi ‘capire’.
Per concludere, vogliamo ribadire come il passaggio dalla fisica classica alla fisica
moderna ‘complichi’ a vario livello il processo comunicativo. Occorre in primo luogo
accentuare le argomentazioni persuasive, sia per convincere il soggetto della
comunicazione ad abbandonare le ‘certezze’ accumulate nel corso dei suoi studi
precedenti, sia per convincerlo ad accettare la ‘stranezza’ delle nuove ipotesi. Il senso
comune è a questo punto diventato la fisica classica e la sua particolare visione degli
oggetti e processi fisici. La nuova fisica va anche contro questo senso comune. Un
comunicatore efficace dovrebbe allora cercare di mettere in evidenza la natura del
‘cambiamento concettuale’ che si è verificato nel passaggio dalla visione classica a
quella moderna: la sua comunicazione si arricchirà quindi di considerazioni critiche,
di riflessioni sui significati dei termini, di ‘esperimenti mentali’, in cui certe
differenze appaiono più evidenti.
Se, infine, avrà voglia di stimolare l’interesse intellettuale del suo interlocutore, egli
magari accennerà ai profondi dibattiti che l’affermazione della fisica quantistica ha
suscitato e continua a suscitare. Se lo farà, egli contribuirà a incidere sull’immagine
della scienza del suo ‘pubblico’: questi scoprirà che molte conquiste scientifiche sono
state e restano ancora problematiche, che possono esserci divergenze tra gli stessi
scienziati sulla loro interpretazione, che la scienza va avanti anche per quanto
riguarda la ‘critica dei fondamenti’ e che questo progresso ha importanti
ripercussioni filosofiche.