i libri di WUZ intillafunzione_stampa.indd 1 7-11-2006 10:38:42 intillafunzione_stampa.indd 2 7-11-2006 10:38:45 Fausto Intilla La Funzione d’onda della realtà L’eterno collasso di aspettative e convinzioni nel processo sintropico Lampi di stampa intillafunzione_stampa.indd 3 7-11-2006 10:38:45 Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume, dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68 comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS, e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe 2, 20121 Milano, e-mail: segreteria@aidro. org In copertina: Phi & Psi; logo del sito web dell’autore (marchio registrato ® ) L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per gli stralci di alcuni articoli riportati in questo volume, qualora questi ultimi fossero coperti da copyright. Gli introiti delle royalties dovuti all’autore (in misura del 15% sul prezzo di copertina), verranno da egli stesso devoluti a favore dell’Organizzazione Internazionale Protezione Animali (OIPA). Questo volume riproduce fedelmente il testo fornito dall’autore Copyright © 2006 Lampi di stampa Via Conservatorio, 30 – 20122 Milano ISBN-10: 88-488-0533-7 ISBN-13: 978-88-488-0533-9 e-mail: lampidistampa@lampidistampa. it www. lampidistampa. it intillafunzione_stampa.indd 4 7-11-2006 10:38:45 Indice Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 PARTE I - TESTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Aspettative e convinzioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Costruzioni mentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Le regole della percezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Il pensiero «magico» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 Nascita della Suggestologia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 L’approccio quantistico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 I quanti e la PSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 Mente, causalità e psicocinesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 Guarigione intenzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Simmetrie e sincronie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 Psiche e Caos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Frattali e terapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 Omeostasi e Caos. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 Il Caos… Patologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 Memi e psicotecnologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 Retrocausalità e terapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 5 intillafunzione_stampa.indd 5 7-11-2006 10:38:46 PARTE II - ANALISI DEL TESTO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . NOTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1) Talamo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2) Superconduttività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3) Teorema di Bell. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4)Principio di Indeterminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5) Funzione d’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6) Spin. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7) Teoria del Caos. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8) Attrattore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9) Sintropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10) Meme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181 183 183 183 185 186 188 189 191 196 197 198 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 Sitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 6 intillafunzione_stampa.indd 6 7-11-2006 10:38:46 «Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati, seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero». Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a te quale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri, o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà: se molti inverni Giove ancor ti conceda o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino – breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo e fugge il tempo geloso: cogli l’attimo, non pensare a domani. ORAZIO, «CARPE DIEM» intillafunzione_stampa.indd 7 7-11-2006 10:38:46 intillafunzione_stampa.indd 8 7-11-2006 10:38:46 Prefazione Cari lettori, questo volume, da considerarsi come una semplice digressione,in rapporto ad alcuni argomenti trattati nel mio precedente libro (Dio=mc2),vuol essere essenzialmente un tributo,un omaggio,a dei grandi personaggi del mondo della scienza , le cui idee, rivestono una notevole importanza nella comprensione di ciò che l’uomo chiama comunemente: “Realtà”. Tali personaggi, vengono qui presentati, in una raccolta di brevi articoli (esposti fedelmente in questo libro), scritti dai più noti esponenti del panorama scientifico italiano,che rispondono ai nomi di: Ignazio Licata: Licata è un fisico teorico. I suoi principali interessi riguardano i fondamenti della meccanica quantistica, le teorie di campo, le dinamiche non-lineari e l’approccio sistemico nello studio della complessità. Recentemente le sue ricerche sono centrate sui processi non-locali in teoria dei campi, sullo sviluppo di una teoria della computazione dei sistemi formali continui in grado di esibire comportamenti sub e super Turing, e sulla teoria semantica dell’informazione (sistemi logicamente aperti). Piergiorgio Odifreddi : Laureato in matematica a Torino nel 1973,dal 1983 al 2002 ha insegnato in Italia, alla Cornell University (USA) e in Russia. Attualmente, è professore ordinario di logica matematica presso l’Università di Torino. 9 intillafunzione_stampa.indd 9 7-11-2006 10:38:46 Renato Nobili: Professore di fisica generale all’Università di Padova dal 1970 al 1984. Membro dell’ Acoustical Society of America. Le sue ricerche andarono dalla fisica delle particelle elementari,alla biofisica e alla biologia teorica ,fino al 1984. Marco Mazzone: Ricercatore all’Università di Catania. Docente di Filosofia del Linguaggio e semiotica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere.Membro del Dottorato in Scienze Cognitive all’Università di Messina.Membro della Società Italiana di Filosofia Analitica (SIFA) e di Filosofia del Linguaggio (SIFL). Antonio Damasio: Nato a Lisbona e laureato in medicina, Antonio Damasio opera negli USA. Rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze. E’ autore di importanti pubblicazioni sulla memoria, sulla fisiologia delle emozioni e sulla malattia di Alzheimer nervosi che sono alla base dei processi cognitivi. Membro di prestigiose associazioni, come l’European Academy of Science and Arts e l’American Neurological Association. Piero Scaruffi: Poeta,storico e libero pensatore.Laureato in matematica nel 1980. Risiede in California dal 1983. Umberto Di Grazia: Ricercatore psichico noto a livello internazionale,presidente dell’Istituto di ricerca della Coscienza e promotore di un nuovo modo di intendere le potenzialità umane. Paolo Manzelli: Ricercatore del Laboratorio di Ricerca Educativa della Universita’ di Firenze (in sigla LRE), per il progetto di innovazione educativa denominato “Progettare il Futuro della Comunicazione Interattiva”. 10 intillafunzione_stampa.indd 10 7-11-2006 10:38:47 Marco Zanasi: Vive a Modena,e si è laureato in Scienze della formazione primaria presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Stefano Monti: Ricercatore sull’Intelligenza artificiale.Il suo sito web è: http://www.cs.cmu.edu/~smonti E per ultimi, ma non per questo meno importanti, i ricercatori/ trici Pier Luigi Aiazzi , Mario Pigazzini ,Stefano Siccardi e Antonella Vannini. Mi scuso sin d’ora, se in tale elenco,ho omesso involontariamente qualche personaggio noto o meno noto,i cui articoli sono esposti,seppur in minima parte,nel presente volume. FAUSTO INTILLA, CADENAZZO, 11 OTTOBRE 2006. 11 intillafunzione_stampa.indd 11 7-11-2006 10:38:47 intillafunzione_stampa.indd 12 7-11-2006 10:38:47 PARTE I - TESTO intillafunzione_stampa.indd 13 7-11-2006 10:38:47 intillafunzione_stampa.indd 14 7-11-2006 10:38:47 Aspettative e convinzioni «Le convinzioni limitano, le conoscenze rafforzano». WAYNE W. DYER «Il problema con il mondo è che gli stupidi hanno assolute certezze e le persone intelligenti sono piene di dubbi.» BERTRAND RUSSELL Convinzione, ecco una bella parolina per iniziare ad esplorare alcuni aspetti del nostro subconscio, e i suoi legami con la realtà che ci circonda. Se andassimo a cercare il significato di questo termine sul vocabolario etimologico della lingua italiana, questo è ciò che leggeremmo: «lat. CONVINCTIÒNEM da CONVICTUS, p. p. di CONVINCERE sopraffare con argomenti (v. Convincere). – L’atto o l’effetto del convincere; ma più specialmente lo Stato della mente resa certa, da prove di fatto o da ragioni, dal vero di checchessia». Ciò che a noi principalmente interessa comunque, per iniziare a capire le varie connessioni e interdipendenze tra convinzioni (intese come strutture mentali ben definite e dinamiche per certi aspetti) e realtà fisica a noi circostante, non è tanto il significato etimologico dei termini usati in tale contesto, bensì quello legato alla fenomenologia dei cicli di cambiamento delle convinzioni, in rapporto ovviamente alla realtà a noi circostante. In genere, ogni cambiamento di convinzione, viene generalmente considerato da qualsiasi individuo, un processo difficile e faticoso. Nell’arco di un’intera vita, è risaputo che le persone cambiano in modo spontaneo e naturale, decine e 15 intillafunzione_stampa.indd 15 7-11-2006 10:38:47 decine se non addirittura centinaia di convinzioni; dalla meno importante, e quindi poco determinante per la vita «decisionale» della persona in questione, sino a quella più importante e quindi assai influente su ogni aspetto della sfera «psichica-decisionale» di tale persona. In genere, quando cerchiamo di cambiare in modo prevalentemente conscio le nostre convinzioni, lo facciamo al di fuori degli schemi del ciclo naturale di cambiamento di tali convinzioni. Tentiamo di cambiare le nostre convinzioni «reprimendole» o combattendo contro di esse. In accordo con la teoria dell’auto-organizzazione, le convinzioni cambierebbero attraverso un ciclo naturale nel quale le parti del sistema di una persona che mantengono la convinzione esistente diventano instabili. Una convinzione può essere considerata come una specie di polo d’attrazione attorno a cui il sistema si organizza. Quando il sistema è destabilizzato, la nuova convinzione può essere assunta senza conflitto o violenza. Il sistema può essere autorizzato a ristabilizzarsi attorno ad un nuovo punto di equilibrio o di omeostasi. I sistemi organici cambiano spesso attraverso processi che prendono la forma di cicli. Anche se il contenuto di questi cicli si trasforma e cambia, la struttura profonda del ciclo rimane costante. Dal punto di vista della teoria dei sistemi, i metodi terapeutici coinvolgono una struttura nella quale un modello che esiste nel «panorama» viene riaperto e quindi «destabilizzato» introducendo nuove intuizioni e prospettive. Quando nuovi «poli d’attrazione» vengono introdotti in questo stato instabile, sotto forma di nuova comprensione e nuove risorse, il sistema naturalmente si riorganizza attraverso «correzioni associative» in un nuovo modello stabile. Questo ciclo naturale di cambiamento potrebbe essere assimilato al cambiamento delle stagioni. Una nuova convinzione è come un seme che viene piantato in primavera. Il seme cresce durante l’estate e matura, diventa forte e mette radici. In autunno la convinzione inizia a diventare superata ed appassita, l’obiettivo per cui è nata è assolto. Comunque, i frutti della convinzione (le intenzioni positive e le motivazioni che le stanno dietro) vengono conservate o «mietute», e separate dalle parti che non sono più necessarie. Infine, in inverno, le parti della convinzione che non servono più vengono lasciate e scompaiono, permettendo al ciclo di ricominciare. Per 16 intillafunzione_stampa.indd 16 7-11-2006 10:38:48 esempio, mentre ci prepariamo per nuovi stadi nelle nostre vite o carriere, noi «vogliamo credere» che saremo capaci di gestirle con successo ed intraprendenza. Nel momento in cui entriamo in questo stadio della vita ed impariamo le lezioni di cui abbiamo bisogno per gestirlo, diventiamo «aperti a credere» che possiamo, nei fatti, avere le capacità per avere successo. Quando le nostre capacità vengono confermate, diventiamo certi della «convinzione» circa il nostro successo e la nostra intraprendenza, e circa il fatto che ciò che stiamo facendo è giusto per noi ora. Nel momento in cui questo stadio nella nostra vita o del nostro lavoro inizia a passare, iniziamo ad «aprirci al dubbio» che il successo e le attività associate a questo stadio siano veramente le più importanti, prioritarie o ancora «vere» per noi. Quando abbiamo passato questo stadio, possiamo ritrovarci a guardare indietro e vedere che ciò che era importante e vero per noi, ora non lo è più. Potremmo riconoscere che eravamo «abituati a credere» di essere fatti in un certo modo e che certe cose erano importanti, e potremmo conservare le convinzioni e le capacità che ci aiuteranno in questa fase, ma realizziamo che i nostri valori, priorità e convinzioni sono, ora, differenti. Tutto ciò che si deve fare è guardare attraverso i cicli di cambiamento che ognuno ha attraversato fin dalla fanciullezza e dall’adolescenza, e gli stadi della vita adulta, per trovare esempi di questo ciclo. Quando entriamo e passiamo attraverso relazioni, lavori, amicizie, partnerships, eccetera, noi sviluppiamo convinzioni e valori che ci sono funzionali, e li abbandoniamo nella transizione verso nuove parti del nostro percorso di vita. Nei termini della teoria dell’auto-organizzazione, possiamo riassumere questo ciclo come un «panorama» che somiglia al diagramma seguente: «Panorama» del Ciclo Naturale di Cambiamento delle Convinzioni 17 intillafunzione_stampa.indd 17 7-11-2006 10:38:48 Ciò che «vogliamo credere», ciò che «crediamo ora» e ciò che «eravamo abituati a credere», sono come tre «bacini» nel panorama. Le esperienze e le idee, entrambe percepite ed immaginate, che costruiscono la nostra vita possono farci uscire o farci restare nel bacino. Se una persona visualizza una particolare esperienza o idea come una palla o un ciottolo che può passare attraverso il paesaggio, e quindi vuole muoversi dal voler credere qualcosa al crederlo effettivamente, deve prima passare attraverso la parte di paesaggio nella quale essere «aperto a credere». La parte di paesaggio nella quale un individuo è «aperto a credere» qualcosa di nuovo è meno stabile di quelle al fondo dei bacini su entrambi i lati, e qualche volta richiede un investimento di energia per raggiungere questa parte del paesaggio. Il bacino delle «convinzioni attuali» è più profondo degli altri perché le idee cui attualmente crediamo sono generalmente più radicate e più stabili rispetto a ciò che «vogliamo credere» o ciò a cui «eravamo abituati a credere». A volte richiede uno sforzo anche maggiore muovere una delle nostre attuali convinzioni verso la parte meno stabile del panorama, nella quale possiamo essere «aperti al dubbio». Una volta operata questa transizione, certi aspetti della convinzione potrebbero ricadere nel bacino delle nostre attuali convinzioni, mentre altre finire nella parte di paesaggio che comprende quelle convinzioni che siamo consapevoli che «eravamo abituati a credere vere», ma che non crediamo più vere. Quando qualcosa sta cambiando o diventando instabile ad un certo livello, è utile introdurre stabilità al livello appena superiore della «struttura profonda». Se, anziché cambiare convinzioni, le persone stanno imparando una nuova abilità mentale o una nuova capacità, per esempio, è utile per loro avere convinzioni e valori stabili in relazione a quella particolare capacità. In altre parole, anche se le persone sono incerte circa la nuova abilità, possono essere certe delle convinzioni che col tempo riusciranno ad apprendere questa abilità e che questa abilità è utile. Allo stesso modo, se una persona è in una situazione in cui sta cambiando una convinzione o ha bisogno di installare una nuova convinzione, sarà più semplice farlo se questa persona ha uno stabile senso di identità. Così, anche se la persona non sa più che cosa credere, continua comunque a sapere chi lei è. In maniera simile, se l’identità di una persona sta cambiando ed è divenuta instabile, potrebbe essere importante per questa persona trovare un punto di stabilità ad un livello «spirituale» nei termini del suo posizionamento all’interno del sistema più largo di cui lui o lei 18 intillafunzione_stampa.indd 18 7-11-2006 10:38:48 rappresenta una parte. L’esperienza del «credere» in qualcosa che va al di là delle convinzioni di ognuno, o di credere in un sistema più esteso rispetto a se stessi, può aiutare a rendere il processo di cambiamento delle convinzioni più dolce, comodo ed ecologico. Nel guidare le persone attraverso il processo di cambiamento delle loro convinzioni è importante aver creato per loro uno spazio o un luogo per l’esperienza del «credere» in qualcosa che va al di là delle loro convinzioni, che serve come una sorta di «meta-posizione» per il resto del processo. 19 intillafunzione_stampa.indd 19 7-11-2006 10:38:48 intillafunzione_stampa.indd 20 7-11-2006 10:38:49 Costruzioni mentali «La verità è simile a Dio: non si rivela direttamente; dobbiamo indovinarla dalle sue manifestazioni». JOHANN WOLFGANG GÖTHE «Il linguaggio e la mente hanno i loro limiti. La verità è inesauribile» VAUVENARGUES Come si evince dal Sutra del loto (Sutra del loto - un invito alla lettura; a cura di Maria Immacolata Macioti), l’inesprimibilità della verità ultima, definitiva, fa spazio all’ascolto delle verità molteplici che ad essa tendono, senza poterla dire. Si dà così riconoscimento e diritto alla parzialità delle opinioni, intese non come falsa e fuorviante molteplicità che conduca allo smarrimento o alla confusione indistinta, ma come elemento per la costruzione di un edificio più ampio, infinito, irraggiungibile. Ciò è possibile grazie alla ‘partecipazione’ - termine plurale di per sé, da intendersi nella sua valenza etica, epistemologica (conoscitiva) e, perché no, mistica. Ogni cammino, ogni ‘via’ di conoscenza è anche percorso didattico, punto di arrivo (raggiungimento) e gradino di partenza per il passo successivo: ogni volta con una conoscenza in più, con un allargamento dell’orizzonte che consente di vedere come in realtà la verità enunciata sia parziale e non ultimativa, ma, appunto, meta relativa, risultato parziale, e come tale sempre verificabile, provvisorio e ridefinibile. Il percorso indicato dal Sutra del loto prevede che si lascino da parte il dogmatismo e la pretesa di possesso della verità - solo in questo modo, quando si sia accettata la propria identità 21 intillafunzione_stampa.indd 21 7-11-2006 10:38:49 come ‘transpersonale’ (ovvero espressione della natura di Buddha), liberati dalla cecità della convinzione e dal disprezzo dell’opinione altrui, all’abbattimento delle barriere, si può cominciare a pensare «all’unione di tutti i popoli in armonia e pace, e a tutte le nazioni come a una sola nazione: «Allora i mondi nelle dieci direzioni comunicarono tra loro senza ostacoli, come fossero [divenuti] una sola Terra-di-Buddha» (cap. XXI). Dalla convinzione della limitatezza e della provvisorietà, insegna il Sutra del loto, si può partire dunque alla volta della conoscenza autentica, in cui risiede trova la profonda radice dell’insegnamento del buddhismo, definito «religione della pace e del dialogo per eccellenza». Ma chiudiamo ora questa breve parentesi «trascendentale» ed apriamone un’altra, posizionata su un piano un po’ più concreto. Secondo una delle teorie tradizionali, la verità sarebbe una relazione di corrispondenza tra enunciati linguistici (o proposizioni, pensieri, rappresentazioni) da una parte e mondo dall’altra: ossia, un isomorfismo, una relazione iconica tra quei due termini. Una delle tesi caratteristiche della semantica cognitiva è quella secondo cui le espressioni linguistiche sono interpretate mediante costruzioni mentali, che non hanno bisogno a loro volta di essere interpretate. Ossia, il riferimento ad un mondo oggettivo, esterno a ciò che i soggetti si rappresentano, viene reputato superfluo per una teoria semantica. Questa tesi si presta a due distinte letture, la prima meramente metodologica, e la seconda che comporta invece una assunzione impegnativa circa la natura della conoscenza. Secondo la lettura metodologica, la tesi si limita a sottolineare che una teoria semantica ha per oggetto le strutture ed i processi psicologici coinvolti nella comprensione di enunciati. Non ci si pronuncia affatto sull’esistenza o meno di un mondo esterno ai soggetti, e sull’idea che esso costituisca o meno la garanzia della verità delle rappresentazioni: tali questioni sarebbero semplicemente rinviate ad altre discipline. La verità, cioè, sarebbe fuori degli scopi di una semantica cognitiva. Secondo la lettura più impegnativa, d’altra parte, la tesi che il riferimento ad un mondo esterno sia irrilevante per la semantica è saldamente congiunta con la convinzione che noi non possiamo accedere al mondo come è in sé, cioè indipendentemente dalle nostre rappresentazioni. Dunque la verità, almeno se vogliamo conservare 22 intillafunzione_stampa.indd 22 7-11-2006 10:38:49 a questa nozione un valore cognitivo, non può essere corrispondenza con il mondo. Ray Jackendoff, richiamandosi esplicitamente alla distinzione kantiana tra noumeno e fenomeno, ha proposto le espressioni «mondo reale» e «mondo proiettato» per distinguere tra il mondo così come è in sé, ed il modo in cui noi ce lo rappresentiamo. Data questa distinzione, egli respinge «la posizione ingenua che l’informazione trasmessa dal linguaggio sia sul mondo reale: ciò non è possibile in quanto la nostra coscienza ha accesso soltanto al mondo proiettato, ossia al mondo inconsciamente organizzato dalla mente; noi possiamo quindi parlare di cose di cui abbiamo una rappresentazione mentale» (Jackendoff, 1983: 53). Jackendoff non intende tuttavia espungere dalla semantica le nozioni di riferimento e verità. Egli propone piuttosto di ridefinirle in modo che scompaia da esse ogni rinvio al mondo reale. Il riferimento è riformulato quindi come relazione tra le espressioni linguistiche e gli oggetti del mondo proiettato (idem: 63). Quanto alla verità, la posizione di Jackendoff in proposito è meno perspicua. Egli accosta questa nozione a quella di grammaticalità (Jackendoff, 1987: 200), e sembra pensare che si tratti di una caratteristica dell’organizzazione interna delle rappresentazioni, di una sorta di coerenza interna. Chiamiamo, per brevità, realismo oggettivo l’idea che la verità sia corrispondenza con il mondo reale. Jackendoff respinge il realismo oggettivo, in base all’argomento che il mondo reale non è accessibile in sé. Al tempo stesso, egli sembra inclinare verso il coerentismo in virtù di uno schema argomentativo molto diffuso, che recita più o meno così: se i livelli ontologici in gioco sono due, quello delle rappresentazioni e quello del mondo reale, e se tuttavia sotto il profilo cognitivo solo il primo ha rilievo, allora la verità non può essere che una proprietà dell’organizzazione interna di quest’unico livello. Ovvero, una volta ammesso che il mondo reale, con cui le nostre rappresentazioni dovrebbero essere in corrispondenza, non è cognitivamente accessibile, sembra inevitabile l’abbandono dell’idea intuitiva che la verità sia corrispondenza con qualcosa di indipendente dal soggetto. Le rappresentazioni, come si dice, possono essere confrontate solo con altre rappresentazioni, e tale confronto riguarda la loro coerenza nell’organizzare il mondo. Johnson-Laird, dal canto suo, insiste sul fatto che la nozione 23 intillafunzione_stampa.indd 23 7-11-2006 10:38:49 di comprensione, piuttosto che quella di verità, è centrale per una teoria semantica; e nondimeno, non rinuncia a fornire una caratterizzazione della verità, che definisce come corrispondenza tra modelli del discorso, che garantiscono la comprensione delle espressioni linguistiche, e modelli del mondo reale (idem: 646). Cosa bisogna intendere per «modelli del mondo reale»? JohnsonLaird sembra pensare sostanzialmente a modelli mentali costruiti in base all’esperienza diretta. In alcuni casi, tale esperienza sarà effettivamente alla portata del soggetto, cosicché questi è in grado di «comparare il modello del discorso con la realtà» (idem: 649). Più spesso, osserva Johnson-Laird, questo rapporto con la realtà è indiretto: «Il linguaggio - dice - serve innanzitutto per comunicare contenuti di modelli da individuo ad individuo» (ibidem). Ovvero: tramite il linguaggio spesso noi apprendiamo qualcosa di cui non facciamo esperienza direttamente, e che tuttavia contribuisce a formare il nostro modello del mondo. L’idea è che ordinariamente, noi assumiamo che quello che ci viene detto sia vero, cioè garantito da esperienze dirette. Ossia, ci limitiamo ad assumere che, fino a prova contraria, i modelli costruiti per interpretare i discorsi altrui possano essere presi affidabilmente come modelli del mondo: ma che siano effettivamente tali - piuttosto che semplici finzioni, menzogne, ipotesi o errori - dipende pur sempre dall’evidenza percettiva. Un simile rinvio all’evidenza percettiva, si potrebbe obiettare, non configura un oggettivismo ingenuo? La risposta è: no, purché consideriamo le percezioni come il primo stadio nella nostra rappresentazione del mondo, invece che come l’ultimo avamposto del mondo reale. Un esempio di questa concezione non oggettivista della percezione è Lakoff (1987). Egli sostiene che gli uomini non hanno accesso a come il mondo è in sé, e che la loro conoscenza, a partire già dalle percezioni, è sempre «incorporata» (embodied), ossia mediata dal corpo e dalle sue capacità cognitive. Quando perciò Lakoff definisce la verità - analogamente a Johnson-Laird - come corrispondenza tra il modello mentale dell’enunciato ed il modello percettivo della situazione corrispondente (idem: 293), si può dire - in un senso - che egli chiama in causa un confronto tra due tipi di rappresentazioni soggettive. 24 intillafunzione_stampa.indd 24 7-11-2006 10:38:50 Al tempo stesso, vi è un senso in cui un modello percettivo è indipendente dal soggetto. Ciò diventa evidente se confrontiamo la percezione con la capacità di costruire modelli mentali per combinazione concettuale. Il processo della combinazione concettuale è uno dei motori della conoscenza e della vita mentale in genere. Esso si estende dai più banali casi di immaginazione (un esempio di Kosslyn è quello di immaginare George Washington su una tavola da surf) alla costruzione di modelli per enunciati complessi a piacere, ed ancora alle ipotesi scientifiche. I nostri modelli mentali costruiti per combinazione concettuale non hanno in sé garanzia di verità, anzi in alcuni casi (vedi i racconti di finzione) non sono neanche interessati alla verità. Ora, il genere di libertà di cui disponiamo nel costruire modelli mentali per combinazione concettuale non ha un corrispettivo nel caso dei modelli percepiti: questi sono subìti dal soggetto piuttosto che costruiti da lui. In generale, diremo quindi che un modello costruito per combinazione è vero quando vi è un modello percepito corrispondente (o una classe di modelli percepiti corrispondenti). Questa proposta recupera l’idea della verità come corrispondenza pur mantenendo la tesi che la realtà in sé non è accessibile. Infatti, la corrispondenza si stabilisce tra rappresentazioni, rispettivamente, dipendenti e non dipendenti dal soggetto. L’individuazione di queste due classi distinte di rappresentazioni, cioè, consente di respingere lo schema argomentativo enunciato sopra. Uno può infatti accogliere le premesse che: a) esistono da un lato le rappresentazioni, e dall’altro la realtà; e b) la realtà in sé, indipendentemente dalle rappresentazioni, non è accessibile; e tuttavia non concludere per l’impossibilità di una teoria corrispondentista della verità. Che quella appena delineata sia, in un senso, una proposta corrispondentista, mi sembra evidente. Ma si tratta anche di una proposta realista? Un realista oggettivo potrebbe voler rispondere negativamente, obiettando che la realtà in sé non svolge qui alcun ruolo esplicativo: essa è meramente postulata, come causa non accessibile dei fenomeni cui abbiamo accesso. Credo che questa obiezione sia in parte corretta, nel senso che la nozione di 25 intillafunzione_stampa.indd 25 7-11-2006 10:38:50 mondo in sé (o di oggetto in sé, o di realtà in sé) è in qualche modo postulata; ma credo anche che, nel quadro proposto, tale nozione è lungi dall’essere priva di potere esplicativo. Vediamo i due aspetti separatamente. In primo luogo la realtà in sé è postulata nel seguente senso: essa è, vorrei suggerire, posta per analogia con relazioni causali più elementari delle quali abbiamo esperienza. Questo richiede una piccola digressione. Studi recenti nel campo delle scienze cognitive ci dicono che la nozione di causa potrebbe avere una base innata nei moduli che si occupano dell’interpretazione del movimento. Sembra infatti che i bambini mettano in opera una distinzione precocissima tra movimenti auto-causati, propri degli esseri animati, e movimenti etero-causati, propri degli oggetti inanimati (Mandler, 1992). Ora, assumiamo - come sembra ragionevole fare - a) che gli esseri umani abbiano sia rappresentazioni costruite per combinazione concettuale, sia rappresentazioni percepite; e b) che essi distinguano in generale tra le prime e le seconde su base fenomenologica. Questo significa che essi riconoscono la natura rispettivamente auto- ed etero-prodotta delle proprie rappresentazioni. Cioè, proprio come nel caso del movimento, sembra che siamo in grado di distinguere qui tra fenomeni la cui causa è interna ad un soggetto, e fenomeni la cui causa è esterna a questo. Mentre però nel caso del movimento etero-causato noi vediamo la causa in azione, in quello delle rappresentazioni etero-causate la causa è per definizione fuori portata. Essa viene dunque posta per analogia: ossia, come il movimento che non dipende dall’ente in stato di moto è prodotto da una causa esterna, così le rappresentazioni che il soggetto non produce egli stesso devono essere generate in lui da una causa esterna. Ma se l’origine della nozione di realtà in sé è questa, non potrebbe darsi che ciò che il soggetto postula come causa delle proprie rappresentazioni percettive non esista effettivamente? Questo è il genere di dubbio che ha imposto all’attenzione dei filosofi il celebre esperimento mentale del genio maligno di Cartesio. Tale esperimento avrebbe mostrato, si ritiene, il seguente punto: sia che gli oggetti esterni esistano realmente, sia che un genio maligno produca in noi l’illusione della loro esistenza, le nostre rappresentazioni percettive rimarrebbero identiche. Dunque, assumere che la realtà in sé esista davvero è indifferente, se abbiamo accesso solo alle nostre rappresentazioni. 26 intillafunzione_stampa.indd 26 7-11-2006 10:38:50 I realisti oggettivi odierni, per quanto anticartesiani, accettano di solito il presupposto del ragionamento di Cartesio secondo cui, se ci limitiamo a considerare le nostre rappresentazioni, il mondo in sé potrebbe esistere o meno. Essi pertanto si sentono impegnati a sostenere che, in qualche senso, noi abbiamo accesso direttamente al mondo in sé, e possiamo dunque accertarne l’esistenza. Vorrei tuttavia argomentare un percorso alternativo per i realisti: quello che consiste nel rigettare a monte l’interpretazione che Cartesio fornisce del proprio esperimento mentale, e con esso la sua impostazione del problema. Suggerirò cioè che in realtà le opzioni messe in campo da Cartesio non sono le ipotesi, rispettivamente, dell’esistenza o dell’illusorietà del mondo in sé, bensì due distinte interpretazioni metafisiche su cosa sia il mondo in sé. Questo significa, come vedremo, che in entrambi i casi la nozione di mondo in sé svolge un ruolo esplicativo. Osserviamo innanzitutto che, sotto l’ipotesi che un oggetto sia una rappresentazione percettiva, esso è di regola una rappresentazione percettiva complessa, formata cioè da una quantità di proprietà percettive che covariano in modo regolare. Ad esempio, la rappresentazione di un albero dipende dalla covarianza tra la percezione di una chioma, di un tronco e di radici; inoltre, per ciascuno di questi aspetti vi è covarianza tra certe percezioni visive e certe percezioni tattili; e così via. Molti oggetti hanno anche la proprietà della costanza, nel senso che a distanza di tempo o dopo spostamenti nello spazio mantengono le loro caratteristiche, come testimoniano percezioni successive da parte dello stesso soggetto. Inoltre, anche nei momenti in cui un dato soggetto non accede a certe manifestazioni percettive, queste sono talvolta accessibili da parte di altri soggetti, e le percezioni di questi soggetti sono (a giudicare dai loro comportamenti) simili in modo significativo. Infine, anche quando nessun soggetto ha accesso a certe proprietà percepibili, queste continuano a produrre effetti che prima o poi qualche soggetto può rilevare. Il punto cruciale, come ho già osservato, è che le correlazioni regolari catturate dalla percezione appaiono al soggetto fenomenologicamente distinte dalle correlazioni poste per combinazione concettuale. Noi possiamo pensare - ad esempio 27 intillafunzione_stampa.indd 27 7-11-2006 10:38:50 - un organismo metà albero e metà leone, ma siamo in grado di rilevare che questa correlazione non è istanziata percettivamente nel nostro mondo: si tratterà pertanto di un oggetto fittizio. Data questa capacità di discriminazione, non ogni rappresentazione possibile è dunque un oggetto reale (come opposto di fittizio o di ipotetico): lo sono bensì solo le rappresentazioni ricavate percettivamente. Di un oggetto reale, dunque, il soggetto è fenomenologicamente certo che non lo ha (meramente) costruito egli stesso per combinazione concettuale. In tal senso, il soggetto non può dubitare che esso abbia una causa esterna, pur ignorando tutto di tale causa eccetto il fatto che produce quelle manifestazioni percepite. Il soggetto sa cioè che, se percepisce visivamente un tronco, vi è una causa esterna di quella percezione, la quale di regola causerà anche la percezione tattile di un tronco, percezioni visive della chioma, ecc. Inoltre, il soggetto sa che percezioni successive dello stesso albero saranno (entro certi limiti temporali) simili, e che un soggetto diverso avrà percezioni simili alle proprie. Ciò che chiamiamo oggetto in sé non è altro, per usare una terminologia kantiana, che la condizione di possibilità di questo insieme di percezioni. Ora, una volta definita così la nozione di «oggetto in sé», l’esistenza di un simile oggetto non è qualcosa che possa essere confermato o smentito, non è cioè un’ipotesi: è piuttosto una constatazione, che coincide con l’evidenza fenomenologica del carattere etero-prodotto delle rappresentazioni percettive. Pertanto, l’ipotesi cartesiana del genio maligno non potrebbe essere - e non è di fatto - l’ipotesi che non vi sia una causa esterna per le rappresentazioni. Essa piuttosto azzarda un’ipoteca sulla natura di questa causa: ossia, l’oggetto in sé non sarebbe qualcosa di dato una volta per tutte, bensì il prodotto di un continuo atto creativo da parte del genio maligno. In questo senso, tale ipotesi a me pare indistinguibile dalla soluzione che Cartesio dà, in positivo, al problema: ovvero quella secondo cui il mondo esiste effettivamente, ma solo in quanto è ricreato da Dio ad ogni istante. Quello che intendo suggerire è che il genio maligno cartesiano è un’ipotesi metafisica in senso etimologico (ossia, che va al di là della realtà alla quale abbiamo accesso con i sensi). Si può ritenere che il mondo in sé sussista indipendentemente da qualsiasi entità superiore; oppure che esso sia stato creato da una simile entità 28 intillafunzione_stampa.indd 28 7-11-2006 10:38:51 una volta per tutte; o ancora che l’intervento incessante di questa entità sia necessario per mantenerlo in essere. Si tratta di ipotesi che per costruzione, in quanto metafisiche, non ammettono risposta nell’ambito della nostra esperienza. Il realista, a mio giudizio, non dovrebbe occuparsene né preoccuparsene. In termini un po’ diversi, l’idea è che Cartesio presenta le cose in modo fuorviante quando parla di un genio maligno che produce allucinazioni. Le allucinazioni si definiscono per il fatto che vengono smentite da una quantità di percezioni ritenute affidabili per la loro sistematicità. La nozione di una allucinazione sistematica è un non-senso: essa sarebbe semplicemente una realtà. Se vi è un essere superiore che si prende la briga di causare in noi la totalità delle percezioni coerenti e prive di lacune che effettivamente abbiamo, allora egli non ci sta illudendo dell’esistenza del mondo reale ma la sta bensì ricreando perennemente. Suggerisco dunque che il realista debba a) prendere sul serio l’idea che l’oggetto reale si identifica con le nostre rappresentazioni percettive; b) considerare la nozione di oggetto in sé equivalente all’idea di «condizioni di possibilità» delle rappresentazioni percettive o, in altri termini, equivalente all’idea che tali rappresentazioni sono etero-causate; c) lasciare il resto alla metafisica. Dopo questa breve digressione sulla Semantica cognitiva, ontologica e metafisica, vorrei ora riallacciarmi al concetto di convinzione. Spesso non siamo neanche consapevoli di avere delle ‘convinzioni’. Eppure sono proprio le nostre convinzioni a determinare il nostro modo di percepire la realtà. Forse siamo convinti che i rapporti sentimentali non funzionano, magari perchè abbiamo avuto una brutta esperienza in passato. Ma in realtà sarà proprio questa convinzione a farci imbattere in storie difficili, perchè la nostra mente funziona così. E allora prendiamo consapevolezza delle nostre convinzioni: il metro di giudizio non è più la verità, ma la funzionalità. Una convinzione non è mai nè vera nè falsa, in quanto si basa su esperienze. Quello che conta è solo quanto una convinzione limita o potenzia la nostra vita. Se ci limita, ci distrugge e la nostra vita va a rotoli. Possiamo cambiarle e farle diventare qualcosa di utile, che ci fa stare bene e ci porta a raggiungere risultati concreti. È evidente che tutta la nostra vita si basa sulle nostre convinzioni, su 29 intillafunzione_stampa.indd 29 7-11-2006 10:38:51 ciò in cui crediamo o non crediamo. Proviamo a pensare a che tipo di convinzioni dominano le nostre giornate. Sono di quelle che possono potenziare i nostri risultati o piuttosto sono di tipo limitante? E cosa succederebbe se ognuno di noi potesse scegliere liberamente ciò in cui credere? Potremmo finalmente liberarci di ogni blocco e di ogni pensiero non produttivo. Esiste un aforisma davvero illuminante a questo proposito: noti testi di aeronautica affermano che «il calabrone abbia un peso tale che in rapporto alla dimensione delle sue piccole ali, secondo le leggi della fisica, non potrebbe volare... ma il calabrone non lo sa e vola lo stesso!». Facciamo un esempio concreto: mettiamo il caso che siamo convinti di essere timidi. O insicuri. O addirittura di essere dei buoni a nulla. Magari lo pensiamo perché da piccoli ci hanno affibbiato questa etichetta, e noi abbiamo continuato a portarcela dietro durante tutta la nostra crescita, convincendocene ogni giorno di più. Di conseguenza abbiamo agito sulla base di questa etichetta. È un processo definito «imprinting», secondo il quale noi imprimiamo nella mente un evento che giudichiamo significativo e poi continuiamo ad agire in modo coerente ad esso. A scoprirlo fu uno zoologo e psicologo austriaco, Konrad Lorenz, dopo una serie di esperimenti portati avanti con gli anatroccoli. Appena nati, i piccoli associavano alla loro mamma il primo essere vivente in movimento che si trovavano di fronte. Vedendo per primo lo scienziato, si convincevano che fosse lui la loro madre e lo seguivano proprio come avrebbero fatto con la vera mamma anatroccolo, che invece ignoravano del tutto. Proprio come è successo agli anatroccoli, se da bambini ci hanno detto che non sapevamo disegnare, o qualche compagno dell’asilo magari ci ha detto che il nostro disegno era sgraziato, o ancora se noi stessi ci siamo detti che quello che avevamo disegnato era qualcosa di non corrispondente alle nostre intenzioni, sulla base di questo imprinting ci siamo costruiti una convinzione negativa. Per tutti gli anni a seguire ci siamo comportati di conseguenza, rafforzando così l’idea e gli effetti pratici della nostra identità di persone artisticamente poco capaci. Eventi anche molto lontani nel tempo, che oggi giudicheremmo magari anche insignificanti, ma che da bambini ci hanno colpito molto, sono dunque la base delle nostre convinzioni. Tuttavia, visto che esse sono nate a partire da un 30 intillafunzione_stampa.indd 30 7-11-2006 10:38:51 evento cui abbiamo attribuito importanza e fondatezza, allo stesso modo possiamo però cambiarle, ed in maniera altrettanto facile e veloce. Oggi possediamo nuove risorse che prima non avevamo a disposizione, che possono consentirci di gestire meglio le emozioni, di scoprire il funzionamento dei nostri processi mentali. In sintesi, di guadagnare la consapevolezza del fatto che quanto gli altri dicono di noi è solo parte della loro mappa del mondo, non è la realtà oggettiva delle cose. Del resto, anche le nostre stesse convinzioni si originano da esperienze che non sono la realtà, ma sono soltanto la nostra personale interpretazione della realtà. Nel suo libro «PsicoCibernetica», il chirurgo estetico Maxwell Maltz riporta alcuni episodi davvero stupefacenti di persone che, a seguito di un intervento estetico, continuavano a non piacersi; addirittura casi in cui le persone continuavano a vedere il proprio naso storto. Questo perché l’intervento del chirurgo aveva modificato il loro aspetto esteriore e non, naturalmente, l’immagine interiore che avevano di loro stessi. Casi in cui sarebbe stato necessario piuttosto un supporto di tipo psicologico. Insomma, quello che pensiamo di noi è quello che trasmettiamo non solo agli altri, ma prima di tutto anche a noi stessi. E l’autostima altro non è che una convinzione su chi siamo e su quello che sappiamo fare. Le convinzioni, sono soprattutto legate alla vita e considerate dal soggetto come parte integrante della propria visione del mondo: demolirle significa quindi mettersi in discussione, sottoporre ad una revisione critica le basi della propria personalità, cosa ovviamente non facile per chiunque, indipendentemente dalla ragionevolezza delle opinioni falsificate. Cambiare opinione non è mai facile e, soprattutto, richiede gradualità. Non basta la semplice esposizione ad una teoria più avanzata perché il soggetto la faccia sua; bisogna che egli vi arrivi, la consideri come la conclusione di un suo personale percorso. Questo, lo diceva già Aristotele, è il principio basilare di ogni arte retorica: perché un’argomentazione (non solo filosofica) sia veramente convincente deve partire non dalle convinzioni dell’oratore ma da quelle dell’interlocutore. Anzi, ancora prima, deve aiutare l’interlocutore ad esplicitare le proprie convinzioni, esprimere e rendere consapevole ciò che fino ad allora è stato dato per scontato. Le convinzioni semplici sono spesso illogiche, ma non basta certo far 31 intillafunzione_stampa.indd 31 7-11-2006 10:38:51 notare questo piccolo difetto perché siano cambiate. Chi sulla realtà svolge il ragionamento circolare sopra descritto (la realtà è l’insieme delle cose e le cose sono le parti della realtà) non sarà turbato più di tanto se costretto a constatare l’inconcludenza e persino l’irragionevolezza del suo pensiero. Conviviamo tutti con assurdità ben più sconvolgenti e comunque solo un dogmatico razionalista (un tipo di filosofo da tempo estinto) potrebbe coltivare la speranza che la gente cambi idee solo per averne riconosciuta illogicità. Spesso non usiamo la logica neppure tentando di risolvere problemi logici. Proprio perché nascono dall’esperienza e servono a giustificarla, le convinzioni semplici possono essere smentite non con argomenti teorici ma solo a partire da altre esperienze. Ogni singola esperienza contiene in sé una potenzialità infinita di riflessioni filosofiche, poiché la complessità del reale può suscitare approcci e considerazioni fra loro diversissime. Ogni essere umano nasce in un mondo precostituito da cui riceve immediatamente le istruzioni per l’uso, ovvero insegnamenti su come è la realtà e come ci si deve muovere in essa. La socializzazione porta all’interiorizzazione di schemi, modelli comportamentali e abitudini. Le personalità e le proprie convinzioni principalmente derivano da questa socializzazione (Matrix) così come il modo di pensare, di agire, di interpretare la realtà e di plasmare l’esperienza di vita. Nel descrivere la realtà, qualunque realtà, ci appare quindi ovvio che tutti gli esseri umani, fanno uso di sistemi di classificazione e che la classificazione stessa, essendo una utile, ma arbitraria modalità descrittiva, può in ogni momento essere annullata per procedere a nuove, più utili classificazioni. Nella percezione ordinaria della Realtà, per la maggior parte della gente il mondo è un’entità separata dal pensiero, una realtà composita, frantumata, in cui tutto è diviso, l’energia scorre in quanto forzata, soprattutto meccanicamente, il passato ha più forza ed è più importante del momento presente, amare è rischio di perdersi e di essere infelici, il potere è costantemente cercato al di fuori di sé e l’efficacia è una questione di fortuna, di forza, di furbizia o di «giuste» conoscenze. Il subconscio ragiona come un computer, traendo conclusioni da un presupposto o da una esperienza precedente; e lo fa non in modo irrazionale o imprevedibile, ma piuttosto con una logica impeccabile. Il problema è che noi siamo per lo più all’oscuro delle premesse da cui 32 intillafunzione_stampa.indd 32 7-11-2006 10:38:52 parte ogni calcolo logico e la sua conseguente azione. Una persona che sia stata «educata» sin da piccola a vivere il sesso come una cosa riprovevole vivrà per tutta la vita le conseguenze di questa originaria assunzione, a meno che non vengano riformulate le premesse. Grazie alla memoria, possiamo imparare, ricordare, sviluppare abitudini, tecniche, metodologie, avere il senso dell’identità. La memoria viene conservata nel corpo, come registrazione, sotto forma di vibrazione o modello di movimento. Ed esiste una memoria genetica (dislocata a livello cellulare) e una memoria esperienziale (dislocata a livello muscolare). Quando l’area del corpo in cui viene conservato un dato ricordo è sottoposta a tensione, allora quel ricordo viene inibito e, secondo l’intensità della tensione, persino reso inaccessibile. Se e quando nella stessa area la tensione si rilassa, i ricordi prima inibiti vengono liberati: questo è un fenomeno ben noto a chi pratica o riceve dei massaggi. Il nostro corpo/mente inconscia è cosciente solo del presente (per lui non ha senso la distinzione tra passato, presente e futuro) ed è incapace di distinguere la cosiddetta «realtà obiettiva» dalla realtà psichica o fantastica. Un ricordo del passato è capace di evocare immediatamente una reazione fisiologica e, per es., una emozione come la paura può essere causata da dati obiettivi così come da fattori del tutto immaginari. Un modo efficace per controllare le proprie emozioni e, di conseguenza, rispettare la salute è di scegliere su quali ricordi permettere a se stessi di indugiare. Attraverso l’immaginazione abbiamo il potere reale di cambiare la nostra vita (il nostro sogno) e di influenzare positivamente tutti i suoi aspetti sia in relazione al mondo interiore sia in relazione al mondo esterno. 33 intillafunzione_stampa.indd 33 7-11-2006 10:38:52 intillafunzione_stampa.indd 34 7-11-2006 10:38:52 Le regole della percezione «Quando un cane si mette ad abbaiare a un’ombra , diecimila cani ne fanno una realtà» EMILE M. CIORAN «Quando due persone si incontrano ci sono in realtà sei presone presenti: c’è ogni uomo come egli si vede, ogni uomo come l’altro lo vede, e ogni uomo come egli è in realtà» WILLIAM JAMES I confini delle nostre conoscenze in fatto di mente e cervello sono i confini delle ricerche e delle conquiste in terreni ancora inesplorati. È necessario andar a cercare le persone che vivono i confini della loro mente per comprendere dove stanno le regole del gioco. Non è corretto pensare che il funzionamento del nostro cervello sia reso evidente dai risultati che si ottengono nel nostro vivere quotidiano, il sistema percettivo su cui ci appoggiamo per costruire la realtà che troviamo attorno a noi sottostà alle nostre stesse conoscenze, alle leggi della forma delle cose, noi crediamo continuamente di scoprire un mondo attorno a noi mentre disveliamo unicamente le sue forme implicitamente presenti nel nostro sistema di conoscenze, le forme, quelle forme, sono già presenti in noi, le regole sono gli unici riferimenti che possediamo per orientarci, orientare le nostre esperienze e le descrizioni che facciamo di ciò che ci circonda e che ci appartiene. La nostra percezione ci permette di costruire il mondo attorno a noi, la realtà è definita dalle continue elaborazioni che il nostro cervello, emulatore di realtà, ci confeziona, in particolare è la 35 intillafunzione_stampa.indd 35 7-11-2006 10:38:52 struttura del talamo1, all’interno del nostro cervello, che è delegata a comporre le nostre esperienze percettive, a mettere assieme le singole esperienze sensoriali in un’unica esperienza percepibile. La nostra esperienza percettiva si compone unendo tre elementi distinti di esperienza, l’oggetto, la parte fisica che siamo in grado di toccare; la parola, il simbolo verbale dell’oggetto in considerazione, il nome della cosa, l’immagine, l’esperienza visiva dell’oggetto; l’unione di questi tre elementi percettivi attraverso la struttura del talamo costituisce la nostra esperienza sensoriale. La conoscenza che possediamo delle cose molto deve alla conoscenza che abbiamo di noi stessi, percepire non è semplicemente raccogliere qualcosa dal mondo esterno, è piuttosto scegliere, dunque essendo l’esperienza della realtà un esperienza emulata, cioè a dire costruita, del nostro cervello, noi percepiamo dalla realtà le stesse proiezioni percettive che il cervello confeziona per noi, aggiungendo o sottraendo elementi percettivi attraverso continui aggiustamenti pragmatici operati sull’esperienza precedente. È possibile pensare che buona parte dell’esperienza sensoriale stessa, avvenendo per lo più a livello inconscio, non permetta di essere compresa nei suoi rimaneggiamenti prima di disvelarsi agli occhi di chi agisce percettivamente, la percezione è in ogni caso un’esperienza agita; attraverso azioni percettive costruiamo continuamente la realtà per come l’immagine della stessa oggi si rileva a noi, ricca dell’esperienza percettivo-culturale costruita nei secoli. È l’idea del «tutto» che ci inganna, un continuo articolare il reale che ci mette nella condizione di non distinguere il lavoro della nostra mente nel portarci alla luce tutti i particolari della «realtà», siamo abituati a vivere in un mondo completo, ogni cosa ha un nome ed ogni nome ha una cosa, tutto si completa dinnanzi alla nostra esperienza sensoriale e dunque pensare che il nostro cervello costruisca ogni cosa così come la vediamo è straordinario! L’aspetto però sconvolgente delle esperienze maturate in ambito sensoriale dall’uomo è la grande diversità di vedute che ogni individuo in fondo possiede, la realtà esiste indipendentemente da noi ma è indifferenziata, tutte le distinzioni che siamo in grado di fare a livello descrittivo sono descrizioni che dipendono strettamente dall’osservatore, dalla sua cultura di riferimento, dalle sue esperienze che hanno causato il 36 intillafunzione_stampa.indd 36 7-11-2006 10:38:52 suo mondo, l’esperienza percettiva di ognuno di noi è l’effetto diretto delle nostre esperienze umane dirette, ontologiche, ed indirette, antropologiche, nonché delle nostre esperienze personali dirette, valori credenze e convinzioni personali, ed indirette, culture d’appartenenza. L’articolarsi di tutti gli elementi a disposizione del nostro cervello è da vedersi come un insieme di vettori di forza che muovono in direzioni differenti la nostra potenzialità percettiva e risolutiva orientandoci a realtà differenti. Il problema «esiste o non esiste una realtà?» è mal posto, la realtà attorno a noi esiste; ciò che però esiste è una realtà indifferenziata, estremamente difficile da percepire nella sua globalità. Noi siamo abituati a vedere un tutto, l’indifferenziato non appartiene alla nostra esperienza percettiva, e per poterlo esperire dovremmo andare a riprendere la nostra esperienza pre-culturale (improponibile come esperienza). Dunque noi viviamo in un esperienza percettiva altamente differenziata e quindi frutto di culture e culture stratificate nei secoli da parte degli uomini. La realtà attorno a noi è come la nostra conoscenza, non possiamo prescindere da ciò che conosciamo nel vederla/descriverla. La domanda precedente dunque andrebbe posta in questi termini: «esiste o non esiste una realtà indipendente dall’osservatore?». La risposta ora appare ovvia: non può esistere una realtà senza implicare il background culturale di riferimento di colui che osserva. Senza entrare più di tanto in merito all’idea del vedere e del guardare ad un’ esperienza, io posso guardare tante esperienze, ma se non colgo da queste ultime, elementi connotabili di un significato compiuto, in realtà io non vedo un bel niente! Per vedere ho dunque bisogno di un oggetto e l’oggetto lo posseggo se ho acquisito l’esperienza, diretta o indiretta, dell’oggetto stesso. Nella mia mente io posseggo unicamente l’idea dell’oggetto, e questa è vincolata e richiamata dal nome dato all’oggetto. La sostanzializzazione o reificazione della rappresentazione (idea) dell’esperienza (in aggiunta a questa prima connotazione) e l’esperienza acquisita dall’osservatore (soggetto protagonista dell’osservazione), è un complesso di «vettori» percettivi, una fusione tra immagine (vista), parola (udito) e cosa (tatto); il tutto in un’unica esperienza sensoriale. Infine, dato il diretto coinvolgimento dell’osservatore nell’esperienza percettiva, e date le continue 37 intillafunzione_stampa.indd 37 7-11-2006 10:38:53 esperienze di apprendimento attraverso l’immedesimazione personale nell’esperienza stessa (il fare «come se fosse» dell’apprendimento, m’immedesimo, mi metto nei panni di, faccio finta), sono continue le proiezioni della nostra conoscenza che vanno a guidare e spesso ad anticipare la nostra esperienza percettiva. Ma le proiezioni della nostra mente si trasformano spesso in identificazioni di altri nella proiezione dei primi; proiettare ed indentificarci nella nostra stessa proiezione è quasi immediato per un cervello emulatore di realtà come è il cervello umano. Non ci rimane che riprendere il pensiero di L. Wittgenstein che con lucidità ha anticipato molto bene le idee oggi dibattute in campo percettivo: «Si crede di stare continuamente seguendo la natura, e in realtà non si seguono che i contorni della forma attraverso cui la guardiamo. Un’immagine ci teneva prigionieri. E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio e questo sembrava ripetercela inesorabilmente». Pur trovando ancora molte convinzioni radicate sull’idea di una realtà oggettiva, che esiste indipendentemente dall’osservatore (per rendere chiaro il concetto), la realtà sta perdendo le sue connotazioni di «pensiero forte» per vestirsi dell’idea di «pensiero debole», dove per debole non intendiamo un idea fragile di realtà, bensì consideriamo l’idea di una realtà costituita da principi aggregativi e partecipativi, piuttosto che uno scontato monolita oggettivo. Un universo è reso possibile solo nel momento che se ne coglie il pluriverso ad esso intrinsecamente collegato. La nostra percezione multiforme della realtà, è conseguenza della nostra capacità compositiva di ciò che raccogliamo dalle nostre esperienze sensoriali. Ogni organo sensoriale accompagna, precede, coincide con ciò che c’è stato descritto attorno a noi. Un continuo lavoro interpretativo affinato dalla personale cultura di riferimento, costruisce dentro e fuori di noi quelle idee che descrivono, confermando, ciò che ci circonda. Lo stupore accorda le nostre esperienze passate al nuovo e ci avvicina a qualcosa che, almeno inizialmente, sa più di magico che di reale; poi, poco alla volta, fatti i primi passi ecco giungere un forte coinvolgimento aggregativo verso un senso condiviso ed accettato per la maggioranza, che diviene un punto fermo sul quale stabilire nuovi punti di intesa: negoziando, patteggiando, modificando e modificandosi alla presenza delle percezioni esterne alla nostra. 38 intillafunzione_stampa.indd 38 7-11-2006 10:38:53 La realtà si compone più di elementi di fascinazione che di oggettività. Essendo l’oggettività stessa frutto di accordi di comunità, quando si parla di oggettività scientifica ci si riferisce ad accordi presi dalla cosiddetta «comunità scientifica». La fascinazione, il rimanere affascinati da un idea, o da un complesso di idee, è di tutte le persone, scienziati e non. Se si rimane affascinati dalle proprie idee, senza portarle a conoscenza degli altri, non si coinvolge la pubblica opinione, dunque non si crea consenso, e la conseguenza è che qualcosa non esiste. La teoria computazionale della mente di Fodor assume che la mente possa essere assimilata a un calcolatore capace di immagazzinare ed elaborare simboli. Il paradigma delle attitudini proposizionali può allora essere realizzato immaginando che una memoria di simboli sia assegnata a ogni possibile attitudine («speranza», «desiderio», «timore», etc) e che ogni simbolo corrisponda a una delle possibili proposizioni: una particolare proposizione incasellata in una particolare attitudine costituisce allora una ben precisa attitudine proposizionale. Ogni simbolo è una «rappresentazione mentale» e la mente è dotata di un insieme di regole per operare sulle rappresentazioni. La vita cognitiva, il pensiero, è la trasformazione di queste rappresentazioni. Tali rappresentazioni mentali costituiscono un «linguaggio della mente», che Fodor battezza «mentalese». Che esista un linguaggio interno alla mente Fodor lo deduce da tre fenomeni: il comportamento razionale (la capacità, cioè, di calcolare le conseguenze di un’azione), l’apprendimento di concetti (la capacità di formare e verificare un’ipotesi) e la percezione (la capacità di riconoscere un oggetto o un evento). Tutti questi fenomeni non sarebbero possibili se l’agente non potesse rappresentare a se stesso gli elementi del problema. Che questo linguaggio non possa essere una delle lingue a cui siamo abituati è dimostrato a sua volta da due fatti: primo, anche altri animali, incapaci di parlare, esibiscono facoltà cognitive simili alle nostre; lo stesso atto di imparare a parlare una lingua richiede l’esistenza di un linguaggio interno di rappresentazione. Nello schema di Fodor la mente manipola simboli senza sapere cosa quei simboli rappresentino (ovvero in maniera puramente sintattica: la rappresentazione non determina se e a quale oggetto ci si riferisca). Il comportamento è dovuto esclusivamente 39 intillafunzione_stampa.indd 39 7-11-2006 10:38:53 alle strutture interne della mente, non a ciò che quelle strutture rappresentano. La teoria computazionale spiega in maniera semplice ed elegante come le attitudini proposizionali abbiano origine nella nostra mente (sono le rappresentazioni che la mente produce del mondo) e come esse influiscano sul nostro comportamento (il comportamento è il risultato di un calcolo eseguito proprio su quelle rappresentazioni). Fra tutti i tipi di calcolo possibili, l’inferenza logica sarebbe stata prescelta dalla natura in quanto la migliore per generare un comportamento che ci consenta di sopravvivere. La teoria di Fodor è un’estensione delle idee di Chomsky: se le frasi che un individuo è in grado di produrre (la sua «competenza») sono infinitamente superiori alle frasi che quell’individuo pronuncerà durante la sua esistenza (la sua «performance»), vuol dire che esiste una struttura portante del linguaggio grazie alla quale si è in grado di parlare e capire qualunque frase. Questa struttura è una «grammatica universale» comune a tutti: ciascuno, poi, impara una delle sintassi di superficie disponibili (italiano, inglese, spagnolo, etc). Non diversamente, Marr sostiene che l’apparato visivo faccia uso di informazioni innate per decifrare i segnali di luce che percepiamo dal mondo; altrimenti quei segnali sono talmente ambigui che non potremmo mai inferire com’è fatto il mondo. Secondo Marr l’elaborazione dei dati percettivi avviene grazie ad appositi «moduli», ciascuno specializzato in qualche funzione, che sono controllati da un modulo centrale. Secondo Chomsky, Marr e Fodor, pertanto, il cervello contiene rappresentazioni semantiche (in particolare una grammatica) che sono innate e universali (ovvero di natura biologica, sotto forma di «moduli» che si attivano automaticamente) e tutti i concetti sono decomponibili in tali rappresentazioni semantiche. L’elaborazione di tali rappresentazioni semantiche è puramente sintattica. L’estremista degli approcci sintattici è Stitch, secondo il quale entrano in gioco quattro entità: stati cognitivi di tipo D (desideri), stati cognitivi di tipo B (convinzioni), stimoli ed eventi comportamentali (azioni). Gli stati cognitivi corrispondono ad oggetti sintattici in modo tale che le relazioni causali fra i primi, o fra i primi e gli stimoli e le azioni, corrispondono a relazioni sintattiche dei corrispondenti oggetti sintattici. In questo contesto il principio di autonomia di Stitch 40 intillafunzione_stampa.indd 40 7-11-2006 10:38:53 afferma che: le differenze fra organismi (per esempio quelle dovute a fattori ambientali) che non siano riconducibili a differenze dei loro stati interni non sono pertinenti per una teoria psicologica; ovvero gli unici fattori ambientali che devono essere presi in considerazione sono quelli che provocano differenze negli stati interni. Diversi filosofi sostengono invece che il modello del calcolatore simbolico è implausibile dal punto di vista biologico. Dennett, per esempio, fa notare che il cervello dovrebbe contenere un numero infinito di strutture per rappresentare tutte le nostre convinzioni, comprese quelle che non abbiamo mai usato ma che nondimeno crediamo; per esempio, che «le anatre non portano stivali». (Ma forse Dennett trascurava il fatto che un calcolatore simbolico è dotato di regole di inferenza e, come qualsiasi sistema formale, può dedurre nuove convinzioni da quelle note, e che pertanto potrebbe bastare un numero molto limitato di convenzioni-assiomi per rendere conto di un numero molto grande di convinzioni). Searle sostiene che, se anche fosse plausibile, il modello puramente sintattico di Fodor non sarebbe in grado di risolvere le numerose ambiguità del linguaggio naturale (sintatticamente identiche, semanticamente diverse). L’elaborazione parallela distribuita (o, più semplicemente, il connessionismo) propone un’alternativa non simbolica (non rappresentazionale) alla teoria computazionale, prendendo a modello le reti neurali del cervello. Ciò che viene rappresentato non ha una relazione intuitiva con le convinzioni o percezioni. Si tratta invece di una rete di nodi, ciascuno dei quali comunica con altri tramite connessioni la cui forza è variabile nel tempo; questa forza, che varia in funzione proprio dell’attività dei nodi, è il fattore principale di rappresentazione. È come se i nodi si scambiassero simultaneamente una grande quantità di messaggi: la rappresentazione è data dall’insieme di questi messaggi (e non dal contenuto dei nodi). Quando la rete viene attivata a fronte di uno stimolo, le connessioni cambiano la propria forza fino a raggiungere una configurazione stabile che costituisce la risposta a quello stimolo. Non solo il connessionismo rende conto, come la teoria computazionale, del processo attraverso il quale la mente riesce a far riferimento al mondo esterno, non solo (a differenza della teoria di Fodor) è biologicamente plausibile, ma fornisce anche una spiegazione di come le rappresentazioni mentali 41 intillafunzione_stampa.indd 41 7-11-2006 10:38:54 vengano costruite (per fluttuazione di forze di connessioni) e di come esse siano connesse con il mondo (attraverso associazioni del tipo stimolo-risposta); e non ha bisogno di postulare alcun linguaggio mentale. Putnam, dal canto suo, pone la spiegazione e la predizione di fenomeni intenzionali come la convinzione e il desiderio nella sfera dell’interpretazione: i concetti non esistono nella mente, sono frutto dell’interpretazione. Si tratta di «interpretare» quel linguaggio, e lo si può fare da due angolature: normativa, che fa ricorso al principio di carità (Davidson) o di razionalità (Dennett), secondo i quali un organismo si comporta come deve comportarsi date le sue circostanze (per esempio, la maggioranza delle sue convinzioni sono vere; crede alle implicazioni delle proprie convinzioni; non ha due convinzioni che si contraddicono; etc) e in tal modo aiuta il compito di chi deve interpretare; e proiettiva (Stitch), secondo la quale la nostra interpretazione consiste nell’attribuire all’organismo le attitudini proposizionali che noi avremmo se fossimo al suo posto. Il processo che definisce come le convinzioni e i desideri si formano e come determinano il comportamento dell’organismo ha origini biologiche. Dennett assume che, se un organismo è sopravissuto alla selezione naturale, la maggioranza delle sue convinzioni sono vere e l’uso che fa delle sue convinzioni è per lo più «razionale» (usa le proprie convinzioni per soddisfare i propri desideri). Interpretato in chiave biologica (e cioè in termini di bisogni primari), l’atteggiamento intenzionale» finisce per descrivere anche come quell’organismo è legato al suo ambiente, quale informazione ha acquisito e quale azione si prepara a compiere. L’organismo riflette in continuazione l’ambiente, in quanto l’organizzazione stessa del suo sistema ne contiene implicitamente una rappresentazione. Per Dennett gli stati intenzionali non sono stati interni del sistema, ma descrizioni della relazione fra il sistema e il suo ambiente (per esempio, un sistema ha paura del fuoco se si trova in una certa relazione con il fuoco). Inoltre non esiste uno stato intenzionale separato dagli altri, ma, olisticamente, ha senso parlare soltanto dello stato cognitivo di un organismo nel suo complesso, e della sua relazione complessiva con l’ambiente. In altre parole l’attitudine proposizionale è data da un’«attitudine nozionale», che è indipendente dal mondo reale, e da 42 intillafunzione_stampa.indd 42 7-11-2006 10:38:54 una componente dovuta al mondo reale. Una «attitudine nozionale» è definita rispetto a un «mondo nozionale» («notional world»): i mondi nozionali di un agente sono i mondi in cui tutte le convinzioni di quell’agente sono vere e tutti i suoi desideri sono realizzabili. In definitiva l’intenzionalità definisce un organismo in funzione delle sue convinzioni e dei suoi desideri, i quali sono il prodotto della selezione naturale. Quanto più i mondi nozionali di un agente si discostano da quello reale, tanto minore è la capacità di adattamento dell’agente al proprio ambiente. È la funzione biologica dei meccanismi cognitivi a fissare convinzioni e desideri, e questi devono essere rispettivamente veri e possibili per essere utili alla sopravvivenza della specie. L’intenzionalità non è una proprietà esclusiva della mente umana, ma risulta diffusa in diversi sistemi fisici e biologici. Gli stati dei sistemi intenzionali, in generale, misurano qualche grandezza dell’ambiente in cui si trovano. Gli stati mentali potrebbero non essere altro che un caso particolare di questo fenomeno, nel qual caso il pensiero stesso non sarebbe altro che la misura di una qualche grandezza che si trova nel mondo in cui viviamo. 43 intillafunzione_stampa.indd 43 7-11-2006 10:38:54 intillafunzione_stampa.indd 44 7-11-2006 10:38:54 Il pensiero «magico» «Credo nella magia, nell’evocazione degli spiriti, anche se non so che cosa sono; credo nel potere di creare a occhi chiusi magiche illusioni nella mente e credo che i margini della mente siano mobili, che le menti possano fluire l’una nell’altra, così creando o svelando una mente o energia unica, poiché le nostre memorie sono parti dell’unica memoria della Natura». WILLIAM BUTLER YEATS «La magia è una dimensione della fantasia. La fantasia è fatta di immaginazione ma anche di realtà». ANTHONY DE LONGIS La «magia» è un fenomeno sociale molto diffuso che, sul piano psicologico individuale, si innesta facilmente su una predisposizione umana al «pensiero magico», una «forma mentale» che contraddistingue il funzionamento cognitivo infantile. Questa forma di pensiero non abbandona mai totalmente la mente umana, perciò tracce del pensiero magico infantile sono facilmente rinvenibili anche nel pensiero adulto quotidiano. L’analisi dei frequenti processi di scelta basati su modalità «non razionali» mette in evidenza la natura illusoria dell’«uomo logico», un modello di perfezione creato sulla base di prototipi astratti della logica umana. Comunemente quando si parla di «pensiero» si fa riferimento ad una facoltà propria degli esseri razionali, sottolineando come quest’abilità si opponga all’azione impulsiva rappresentandone l’antitesi. Questa concezione riduttiva del pensiero si è cristallizzata negli anni a partire da alcune 45 intillafunzione_stampa.indd 45 7-11-2006 10:38:54 teorie psicologiche che, se da un lato hanno permesso di far luce su alcuni aspetti del pensiero umano e del suo sviluppo, dall’altro sono state frequentemente considerate un punto di arrivo di studi che dovrebbero, in realtà, rappresentare un punto di partenza per esplorare le numerose caratteristiche che contraddistinguono i complessi processi cognitivi umani. Il risultato è stato il diffondersi dell’equazione «pensiero = logica», la quale ha fatto in modo che il «pensiero razionale», definito anche «pensiero ipoteticodeduttivo», venisse considerato a lungo come il pensiero umano per antonomasia. Per comprendere come questa forma di pensiero «perfetto» spesso lasci il posto ad altre, è necessario ricordare che il «pensiero logico» consente di ragionare in modo simile ad uno scienziato, formulando un’ipotesi relativa ad eventi presenti o potenziali e verificando tali ipotesi sulla realtà, seguendo operazioni logicomatematiche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, ordinamento, sostituzione, inclusione in classi, relazioni) e spaziotemporali (reversibilità, compensazione) (Miller P. H., 1983). È facile intuire quindi come le decisioni fondate sulla logica ipoteticodeduttiva seguano le leggi e i principi della statistica e del calcolo probabilistico. Tuttavia, l’osservazione delle scelte in situazioni quotidiane è stata una preziosa fonte di studio che ha mostrato la frequente violazione di principi e di regole proprie della razionalità, mettendo in evidenza il ripetuto ricorso anche a forme di ragionamento che rientrano nella sfera del cosiddetto pensiero magico, o «pensiero quasi-magico». (Giusberti F., Nori R., 2000). Uno dei maggiori contributi che ha segnato la storia degli studi sullo sviluppo del pensiero umano è indubbiamente costituito dalla teoria dello sviluppo cognitivo di J. Piaget. Piaget (vedi Lo sviluppo della moralità dall’infanzia all’età adulta), attraverso numerose osservazioni, ha tracciato le caratteristiche dei principali «periodi» o «stadi» dell’evoluzione del pensiero, dalla nascita all’età adulta, affermando che l’ultima tappa di questa naturale evoluzione è rappresentata dal raggiungimento delle abilità che appartengono alla sfera del pensiero ipotetico-deduttivo. Piaget è stato anche uno dei primi studiosi del pensiero magico e, 46 intillafunzione_stampa.indd 46 7-11-2006 10:38:55 a tal proposito, ha suggerito che questa modalità di funzionamento dell’apparato psichico è presente sia nel bambino che nella mente dell’uomo con un funzionamento di tipo primitivo; essa scomparirebbe poi completamente una volta raggiunti i livelli del pensiero operatorio concreto e formale, lasciando il posto alla logica ipotetico-deduttiva. Oggi, la netta contrapposizione tra pensiero magico e «pensiero razionale», che vedeva opposte la cosiddetta mentalità «primitiva» alla mentalità «occidentale» e che scindeva l’umanità in due tronconi, facendo per lungo tempo pensare che l’uomo moderno, simbolo di perfezione, fosse sempre e soltanto un «pensatore scientifico», ha lasciato spazio ad una visione più realistica e intermedia. Di conseguenza, «pensiero magico» e «pensiero razionale» si configurano come due strutture mentali conviventi nella mente adulta, due forme di pensiero in costante interazione nella quotidiana sperimentazione della realtà, entrambe presenti nell’uomo occidentale come in quello delle popolazioni primitive, sebbene la struttura del pensiero magico resti più evidente e facile da studiare nelle civiltà primitive e quella del pensiero razionale in quelle popolazioni che vivono nei Paesi Occidentali e più moderni (Lévy-Bruhl L., 1966). La descrizione della struttura e del funzionamento del pensiero magico è importante per poter comprendere come esso stia alla base, tanto delle credenze magiche più radicate, che di alcune convinzioni e atteggiamenti che guidano comportamenti quotidiani comuni. La caratteristica principale del pensiero magico è senza alcun dubbio quella che viene definita partecipazione. Quest’ultima rappresenta infatti il fulcro attorno a cui ruota tutto il funzionamento di questa forma di pensiero, poiché attraverso essa viene percepito un rapporto fra due fenomeni che in realtà è assolutamente inesistente e non reale. La «magia» operata dal pensiero nasce poi dall’illusione che si stabilisce in un individuo che, più o meno inconsapevolmente, si convince, in virtù del suddetto rapporto fittizio, di poter modificare la realtà. La facilità con cui questa modalità di funzionamento del pensiero può essere colta nelle popolazioni primitive è legata all’esistenza, in questi popoli, di simboli in cui il rapporto tra significante (simbolo stesso) e significato (oggetto o evento rappresentato) non è reale, ma è stabilito dalla 47 intillafunzione_stampa.indd 47 7-11-2006 10:38:55 mente sulla base di una relazione partecipativa che talvolta giunge alla consustanzialità. Il simbolo, in questi casi, «è» il rappresentato ed è sentito come l’oggetto stesso che rappresenta, il quale viene reso dalla partecipazione «attualmente presente». Una conseguenza significativa di questa modalità di pensiero è visibile nelle pratiche magiche, presenti in Occidente come nel resto del mondo, in cui l’azione sul simbolo (ad esempio un oggetto, quale una foto o un fazzoletto, di un soggetto che si desidera far innamorare) è ritenuta alla pari dell’azione sulla persona cui l’oggetto appartiene (De Martino E., 1948). L’azione magica si ottiene quindi quando si stabilisce una credenza di corrispondenza piuttosto che di simbolismo; in tal modo «agire sul simbolo» è uguale ad «agire sul rappresentato» e non invece «come se» si agisse sul rappresentato. La differenza risiede nella credenza, nel sentimento, nella certezza che si struttura alla base dell’azione e in base alla quale si ritiene di agire sul simbolo e dunque, ipso facto, sul rappresentato. La partecipazione è una caratteristica «forte» in quanto è in grado di reggere e alimentare la strutturazione magica del pensiero, che talvolta sostiene le scelte e la vita intera di alcune persone, resistendo all’esperienza che frequentemente dimostra che l’oggetto-simbolo non è l’oggetto-persona/evento rappresentato. Tante volte infatti un evento o un essere che si vorrebbe controllare o raggiungere sfugge alla presa; ad esempio, nelle tribù primitive la pioggia non arriva nonostante l’azione sul suo simbolo o il mimo della sua danza, così come una persona di cui si è innamorati non torna se si agisce un rituale sul suo fazzoletto o sulla sua foto. Tuttavia il pensiero magico sopravvive, nonostante i fallimenti della magia, perché esso si basa anche su un’altra caratteristica che lo mantiene in vita: l’impermeabilità all’esperienza. Nelle persone in cui la mente segue prevalentemente una modalità di ragionamento magico, quando le esperienze contraddicono il loro pensiero non nasce il bisogno di spiegare l’insuccesso. Questo è possibile anche grazie al ricorso a giustificazioni in base alle quali l’accaduto è connesso all’intervento di altri fattori che lo possono giustificare, oppure facendo riferimento a premesse diverse da quelle su cui si fonda il «pensiero logico» e secondo cui le potenze invisibili che consentono la «partecipazione» agiscono secondo progetti oscuri e 48 intillafunzione_stampa.indd 48 7-11-2006 10:38:55 quindi in momenti inattesi, imprevedibili e incalcolabili (Jung C. G., 1942). Così i fallimenti di un rituale magico possono essere attribuiti ad un errore di memoria, ad un errore nell’eseguire un rito, al volere degli spiriti o ad una contro-magia (Malinoswski B., 1925). La rottura dell’organizzazione spazio-temporale, che rappresenta la principale differenza tra pensiero magico e «pensiero logico», è un’altra caratteristica basilare della modalità magica di funzionamento del pensiero; essa agisce rendendo possibile una «causalità» artificiale, illogica e paradossale. Rispetto alla logica spaziale, la rottura operata dal pensiero magico consiste nella creazione di una coincidenza tra il «tutto» e le «sue parti», anche quando essi vengono separati. Di conseguenza, per esempio, chi possieda anche una parte insignificante del corpo di una persona, ad esempio un capello o un’unghia, può convincersi di poter agire su di esso agendo sulla persona. La rottura della logica temporale, che guida la causalità nel «pensiero razionale», è presente in tutti quei casi in cui viene a stabilirsi un legame, tra una causa ed un effetto, privo di un momento temporale ben limitato. Questo avviene, ad esempio in alcune tribù, quando si intende guarire una ferita agendo su un’arma che l’ha provocata che viene sottoposta a particolari trattamenti. In questi casi, infatti, il pensiero non tiene conto che il rapporto causale è ben più di una relazione atemporale tra cose, essendo più precisamente un rapporto tra cambiamenti che avvengono in certi oggetti entro tempi stabiliti, così come quando una lancia ferisce un uomo incidendo un suo organo (Cassirer E., 1967). Un’altra importante distinzione tra «pensiero magico» e «pensiero logico» risiede nella differente concezione dei simboli e, più precisamente, nel pre-simbolismo persistente nella prima forma di pensiero. Infatti, il «pensiero magico» è strettamente connesso ad uso primitivo dei simboli. Questi ultimi, durante lo sviluppo, inizialmente cominciano ad essere associati alle cose in base a riflessi condizionati e, successivamente, vengono staccati dalle cose per diventare strumenti plastici e mobili di espressione del pensiero. La magia si situa nell’area intermedia di questa evoluzione dei simboli, quella in cui i simboli sono ancora aderenti alle cose pur essendo già parzialmente staccati; quindi i simboli nel «pensiero magico» sono ancora concepiti come partecipi alle cose e sono utilizzati ad uno stadio pre-simbolico 49 intillafunzione_stampa.indd 49 7-11-2006 10:38:55 (Piaget J., 1955). Come è stato accennato, il pensiero magico, presente accanto a quello razionale nell’uomo adulto, rappresenta un retaggio della mentalità infantile; esso infatti è una modalità di ragionamento predominante nell’infanzia in cui assume il valore di un mezzo di adattamento. Durante l’età evolutiva sono molte le attività spontanee in cui questo processo psichico si manifesta; ne sono esempi alcune attività ludiche, grafiche e linguistiche in cui un bambino compensa situazioni reali frustranti. Il pensiero magico ha una duplice genesi, essendo basato su due fenomeni della mentalità infantile, uno di origine individuale e l’altro di ordine sociale. Si fa riferimento al primo fenomeno adottando il termine «realismo» e al secondo utilizzando il termine «animismo». Il «realismo» implica l’indifferenziazione e la confusione tra mondo interno (Io) e mondo esterno (non Io) ed è fondamentale affinché lo psichico possa invadere e permeare il fisico e viceversa, così come avviene nella struttura di pensiero in questione. L’«animismo» comporta invece la convinzione che gli oggetti e gli eventi esterni siano dotati di propri sentimenti e volontà, che possono essere favorevoli oppure ostili (Miller P. H., 1983). Se lo sviluppo fosse a senso unico e la vita psichica non fosse suscettibile di blocchi e di regressioni, il «pensiero magico» probabilmente scomparirebbe totalmente nell’adulto. Tuttavia, leggendo gli esempi più frequenti delle diverse forme di «partecipazione» magica, ci si rende facilmente conto di quanto sia facile riconoscersi nell’utilizzo di qualcuna di esse. Le credenze nei rituali magici e la superstizione sono una manifestazione di un predominio del pensiero magico nella vita mentale, l’espressione del ricorso frequente o costante a capacità pre-simboliche di pensiero, un comportamento che è connesso ad un arresto più o meno parziale nello sviluppo di un simbolismo completo. Ma il pensiero magico si attiva anche quando sono presenti capacità simboliche complete, essendo avviato da particolari condizioni in cui il «pensiero logico» non ha a disposizione tutti i dati necessari per operare. L’attività di ragionamento del soggetto è infatti multideterminata; ciò significa che essa è influenzata sia da fattori generali, quali le capacità logiche possedute, che da fattori specifici individuali, come la preferenza di una modalità di pensiero piuttosto 50 intillafunzione_stampa.indd 50 7-11-2006 10:38:55 che di un’altra, e infine, in percentuale non meno importante, da fattori situazionali (Bonino S., Reffieuna A., 1999). Di conseguenza, è possibile individuare diversi esempi di comportamenti guidati dal pensiero magico che ricompaiono in diverse circostanze che si verificano nella vita di tutti i giorni e che implicano principalmente una rottura spazio-temporale nei principi di causalità e lo stabilirsi di una partecipazione. Essi a volte sono attivati nell’impossibilità di operare una stima di probabilità, altre volte sono accompagnati da un errore nel giudizio relativo alla probabilità che un evento si verifichi. Un primo esempio delle condizioni in cui si attiva facilmente la modalità di pensiero magico è quello in cui ci si trova ad effettuare scelte in situazioni incerte o di rischio, ossia in condizioni che non consentono nessuna possibilità di valutare la probabilità che un evento si verifichi e che, conseguentemente, non consentono scelte razionali. Infatti, nelle scelte in cui è possibile apprezzare due alternative opposte, la logica comporta solo di valutare la migliore; un esempio sono le decisioni in merito all’acquisto dello stesso prodotto a due prezzi diversi. Nelle situazioni in cui si può stimare la probabilità di un evento, le scelte sono generalmente ancora guidate dalla logica che le adatta alla probabilità del verificarsi dell’evento in questione; un esempio è rappresentato dal caso in cui si scommette sull’uscita del numero 2 al lancio di un dado, evento che ha una probabilità di verificarsi semplice da calcolare, pari a 1/6. Tuttavia, nella maggior parte delle scelte, le probabilità degli eventi o sono sconosciute o sono complesse da valutare e le scelte possono essere orientate verso le opzioni meno probabili. In queste condizioni infatti si determina quasi sempre un conflitto fra il desiderio che un evento si verifichi e la probabilità che ciò avvenga realmente. L’attivazione in queste condizioni del pensiero magico è testimoniata dalla violazione del principio della fissità del passato, che rappresenta un esempio della rottura spazio-temporale nei principi di causalità che guidano il «pensiero logico». La «violazione del principio della fissità del passato»*1 può essere considerato uno *1 Un esempio di questa violazione è riportato in una ricerca condotta alcuni anni fa (Giusberti F., Nori R., 2000): Ad un gruppo di persone è stata data notizia che uno studio ha mostrato come una maggiore resistenza ai rumori sia riscon- 51 intillafunzione_stampa.indd 51 7-11-2006 10:38:56 dei tanti comportamenti in cui in età adulta si manifesta ancora il pensiero magico. Essa determina la tendenza a considerare un evento E come dimostrazione evidente di un precedente evento A; in tal modo si suppone che un’azione attuale (E) possa causare uno stato (A) in realtà già determinatosi in precedenza. In condizioni di probabilità ignota, quindi, la mente costruisce false relazioni causali, guidate dal desiderio di trovarsi in una condizione ambìta ma che in realtà è già preesistente. Le persone in questi casi agiscono come se potessero influenzare un risultato che è già predeterminato (la costituzione fisica). Anche quando la probabilità è calcolabile, spesso il pensiero non segue il giudizio di probabilità, così come avviene in una particolare manifestazione del pensiero magico, costituita dal cosiddetto «pensiero desiderativo» (wishful thinking)*2. Anche questa modalità di pensiero si attiva quando il «desiderio» assume il controllo del comportamento e fa in modo che gli eventi soggettivamente più desiderati vengano valutati come più probabili di altri meno desiderabili (Morlock A. H., 1967). Questa modalità di pensiero magico può essere innocua la maggior parte delle volte che si stimano come più probabili gli eventi desiderati; essa tuttavia può risultare particolarmente rischiosa in quei casi in cui vengono *2 trata nelle persone con costituzioni fisiche più forti e dotate di buona salute. Una volta appresa questa notizia, in successive condizioni di rumorosità si è osservata, nel suddetto gruppo, una tendenza piuttosto diffusa a tollerare il rumore (giudicato sopportabile in tutti i casi). Questa tendenza è volta a dimostrare a se stessi di avere un organismo forte e in salute, facendo ricorso ad un pensiero magico che inverte le relazioni causali, illudendo che se si resiste al rumore si ha una costituzione fisica forte. È importante sottolineare come questa tendenza non sia stata riscontrata nei componenti di un secondo gruppo a cui la notizia sullo studio in questione non era stata riferita; essi infatti hanno mostrato maggiore sincerità nel valutare il fastidio degli stimoli rumorosi a cui sono stati sottoposti, nonostante fossero identici a quelli cui sono stati sottoposti quelli del primo gruppo. Un esempio tipico del “pensiero basato sul desiderio” è il seguente: Due case produttrici commerciali degli stessi prodotti organizzano entrambe un concorso a premi. La prima mette in palio un’automobile e la seconda una borsa da viaggio. Pur essendo riportato sulle confezioni dei prodotti che le probabilità di vincere la borsa sono maggiori rispetto a quelle di vincere l’automobile, il desiderio di vincere l’auto può guidare all’acquisto del primo prodotto, ignorando le scarse possibilità di vincita. 52 intillafunzione_stampa.indd 52 7-11-2006 10:38:56 considerati poco probabili (e così non è nella realtà) eventi negativi non desiderati. *3 Un’altra forma molto comune di manifestazione quotidiana del pensiero magico è costituita dai «rituali»*4. Essi sono costituiti da abitudini che assumono il valore di possibilità di controllare gli eventi reali; essi sono legati a tutti gli esempi di partecipazione che sono stati riportati in precedenza. I rituali possono non interferire con la vita di una persona, ovviamente a patto che non diventino, come in alcuni casi, comportamenti rigidi e centrali. Uno dei compiti più frequenti che ci viene richiesto quotidianamente è quello di prendere delle decisioni. Le scelte che sono richieste spesso non sono tutte ugualmente importanti; alcune sono abituali, come quelle che riguardano cosa mangiare a colazione, come vestirci per andare a lavoro; altre sono saltuarie, come quelle che riguardano l’acquisto di un libro. Esistono poi delle scelte di maggiore rilevanza come quelle che concernono l’acquisto di un appartamento, la scelta di un corso di studi o di un partner. Queste importanti decisioni devono tenere in considerazione sia aspetti concreti, come caratteristiche o fatti, che aspetti meno tangibili, come i desideri, le emozioni altrui o la probabilità che accadano determinati eventi. La conoscenza delle modalità di ragionamento legate al pensiero magico può aiutare a diventare più consapevoli delle scelte in cui esso può essere chiamato in causa senza rischi e di quelle in cui questa forma di pensiero, sostituendo le capacità di giudizio razionali, potrebbe divenire pericolosa. *3 *4 Un esempio di “pensiero desiderativo” pericoloso è il seguente: La scienza medica ha verificato con numerosi studi che, quando si è colpiti da infarto, esiste un maggiore rischio di ricadute se si continua a fumare.Diversi infartuati tuttavia non riescono a smettere di fumare, sottovalutando il rischio reale testimoniato dai dati statistici sull’incidenza del fenomeno e lasciandosi guidare dal forte desiderio di continuare a fumare. Esempi di rituali: Tutti, più o meno, fanno ricorso a rituali. Essi diventano più frequenti quando ci si trova in condizioni di ansia e aumenta il desiderio di controllare la realtà.Ne sono esempi l’uso di uno stesso vestito per fare un esame, lo scendere dallo stesso lato del letto ogni mattina, l’allenarsi allo stesso orario la settimana prima di una gara, l’uso di un oggetto come portafortuna o il lasciare fuori dall’armadio l’ombrello per scongiurare che non si rimetta a piovere. 53 intillafunzione_stampa.indd 53 7-11-2006 10:38:56 intillafunzione_stampa.indd 54 7-11-2006 10:38:56 Nascita della Suggestologia «La suggestione porta all’eliminazione dei fenomeni patologici, ma solo transitoriamente» SIGMUND FREUD «A questo mondo vi sono solo due tragedie: una è non ottenere ciò che si vuole, l’altra è ottenerlo. Questa seconda è la peggiore, la vera tragedia». OSCAR WILDE Georgi Lozanov, dottore in medicina all’Università di Sofia dal 1951, inizia ad esercitare la propria professione in qualità di psicoterapeuta. Si occupa di ipnosi, ma ben presto abbandonerà questo campo. Egli si convince molto presto che la suggestione allo stato di veglia permette di ottenere risultati superiori a quelli della suggestione sotto ipnosi e soprattutto più duraturi. Continuando la pratica come medico, Lozanov si interessa anche alla parapsicologia e in modo particolare ai fenomeni di telepatia. Il suo interesse per questa branca della parapsicologia lo porta, tra il 1960 e il 1966, presso l’Istituto di Studi Psicologici dell’Università di Leningrado. Qui scoprirà tre dei maggiori principi della Suggestologia: a) Le vaste risorse ancora poco conosciute e tutte da esplorare, della suggestione telepatica; b) L’estrema importanza della micro-comunicazione inconscia tra gli esseri viventi; c) La possibilità di risvegliare in ciascuno le potenzialità inutilizzate e tutto ciò, attraverso l’attivazione di quelle che Lozanov chiamerà «le riserve del cervello umano». 55 intillafunzione_stampa.indd 55 7-11-2006 10:38:57 Nel 1965 Lozanov soggiorna per diverse settimane in India, al fine di approfondire certi fenomeni di parapsicologia presso degli Yogi. Il soggiorno non soltanto lo persuaderà della realtà delle straordinarie performaces di alcuni Yogi, ma lo convincerà anche del ruolo decisivo che giocano la suggestione e l’autosuggestione in questi processi. Da questa sua esperienza un punto soprattutto attira la sua attenzione: l’ipermnesia o superattività della memoria. Alcuni Yogi infatti, sono in grado di memorizzare migliaia di versetti di testi sacri grazie all’ipermnesia suggestiva. Desideroso di proseguire le proprie ricerche in questo settore, Lozanov sceglie come campo di sperimentazione quello dell’insegnamento delle lingue straniere. Infatti già nel 1955 Lozanov narra nell’opera «Souguestologuia» di aver notato come nella sua pratica di psicoterapeuta non solo la suggestione guarisce, ma libera anche importanti potenziali psichici e mnesici. In quel periodo capitò che un suo paziente venisse alla sua consueta seduta assai stanco e depresso: doveva frequentare lo stesso giorno un corso serale e si lamentava di non aver potuto imparare la poesia che doveva sapere a memoria. Contemporaneamente alla suggestione terapeutica, condotta in stato di veglia senza ipnosi, per la cura del caso specifico, Lozanov operò delle suggestioni per stimolare il tono generale e specialmente la memoria del suo paziente. Quest’ultimo lasciò lo studio di ottimo umore. Il giorno dopo ritornò tutto eccitato e raccontò che durante il corso serale aveva ripetuto a memoria l’intera poesia che aveva ascoltato una sola volta nella lezione precedente. Ci furono numerosi e ulteriori esperimenti per assicurarsi che non si trattasse di un fenomeno accidentale. Si era ormai raggiunta la certezza che l’ipermnesia suggestiva esiste veramente. Era nata la SUGGESTOLOGIA: scienza della suggestione che studia l’influenza dell’ambiente sull’uomo e tende a stabilire le condizioni necessarie perché si verifichino quei fenomeni suggestivi atti a sollecitare i potenziali umani. Lozanov stesso definisce la Suggestologia: «Scienza delle comunicazioni inconsce, capace di mettere in evidenza e di attivare le riserve della personalità.» Nel 1963 con alcuni ricercatori e professori di lingue curiosi di questo nuovo approccio, Lozanov inizia a sperimentare. I primi tentativi consistevano nel far memorizzare delle liste di nomi, poi si 56 intillafunzione_stampa.indd 56 7-11-2006 10:38:57 è passati a frasi ed infine ad un insieme organizzato attorno a dei temi coerenti. Il programma dei corsi proposti agli studenti comportava l’acquisizione di un vocabolario di circa 1800 (2000) parole. Va ricordato che il vocabolario di cui dispone una persona della propria madrelingua, di buon livello di cultura generale, è dell’ordine di 24.000 parole, di cui in realtà utilizza nella conversazione corrente soltanto da 3 a 4 mila. Gli studenti dei corsi di Suggestopedia, sottoposti a test di memorizzazione, ottennero per 2/3 un risultato in percentuale del 100%. Per i restanti il risultato fu comunque superiore al 90%. Incoraggiato da questi risultati, Lozanov ed il suo staff proseguirono la sperimentazione tanto che il Governo Bulgaro approvò la creazione, nell’ottobre del 1966, di un Centro di Ricerche in Parapsicologia e in Suggestologia appoggiato all’Università di Sofia. Nel 1971 diventerà Istituto e dal 1973 si chiamerà Istituto di Suggestologia, direttamente annesso al Ministero dell’Educazione e diretto esclusivamente alle esperienze di Suggestopedia. Gli studenti di lingue straniere dell’Istituto di Sofia erano soprattutto adulti con impegni di carattere professionale, ma dal 1972 il settore di ricerca dell’Istituto in materia di Suggestopedia riguarderà anche l’insegnamento ai bambini della scuola primaria e secondaria. Il termine «Suggestione» deriva dal latino «Suggero, suggessi, suggestum» (porre o portare, suggerire, consigliare). Questo termine ha acquistato un significato più o meno negativo in molte lingue. La suggestione appare come un fenomeno ambiguo, contraddittorio. Nella conversazione corrente, suggerire a qualcuno un’idea, una decisione, un comportamento è a prima vista un non voler imporgli la propria volontà. Significa quindi lasciarlo libero di esaminare, di scegliere e di decidere da solo. Ma, in certe condizioni, la suggestione riflette anche tutta un’altra realtà: la volontà di manipolare la mente di un altro senza che egli ne sia cosciente. Questa terminologia tuttavia non è definitiva ed i due significati coesistono nel linguaggio corrente che si trova così a tradurre nel modo più concreto il problema fondamentale della suggestione: assoggettamento o rispetto dell’altro? Costrizione o libertà? La suggestione è come un iceberg di cui emerge solo la parte cosciente, la meno importante. La parte più importante è quella nascosta all’osservazione diretta ed è quella immersa dell’iceberg. Possiamo aggiungere che è alla base 57 intillafunzione_stampa.indd 57 7-11-2006 10:38:57 della comunicazione dell’essere umano con gli altri, con l’ambiente circostante, con se stesso, come nell’autosuggestione. Ma di tutto ciò noi siamo consapevoli solamente in parte o in modo molto limitato. Possiamo dire che le origini del fenomeno suggestivo risalgono alle origini stesse dell’uomo. Ma la presa di coscienza della suggestione è più recente. Essa risale alla fine del XVIII° secolo. Per molto tempo questa conoscenza è rimasta esclusivamente proprietà dei medici e guaritori e si è limitata alla suggestione in campo medico e paramedico. Mesmer, Puysègur, Braid, Charcot, Bernheim e anche gli psicoanalisti con Freud e Jung, Coué, Baudouin e non ultimo Lozanov, sono i principali ricercatori e praticanti che hanno dato il loro nome alla storia di questa presa di coscienza da più di due secoli. Il riconoscimento del carattere normale, sano, non patologico della suggestione ha segnato un’altra tappa nella sua affermazione che ha completato la presa di coscienza dei suoi aspetti benefici per l’individuo, la fiducia nella propria salute fisica e nello sviluppo personale ed evolutivo. Finalmente è stata data alla suggestione positiva moderna il suo vero volto quello della libertà in opposizione alle sue forme negative obbliganti e manipolatrici. La suggestione può essere considerata un canale di comunicazione molto sottile. Lozanov afferma che la suggestione è una forma di reazione mentale in cui si crea, principalmente in modo inconscio, una speciale attitudine per lo sviluppo delle riserve funzionali dello psichismo umano. La suggestione è al tempo stesso informazione, regolazione e programmazione. È una parte costante e indispensabile di ogni processo di comunicazione. In alcuni casi può aumentare l’utilizzo delle proprie riserve mentali, in altri casi può diminuire, ma partecipa sempre alla vita mentale ed emotiva dell’uomo. Il termine suggestione comprende quello indivisibile e complementare di desuggestione. La suggestione partecipa sempre alla nostra attività più razionale: come ingrediente emotivo di ciascun processo razionale, come percezione periferica in ogni attività, come azione inconscia negli automatismi e, in generale, come un ingrediente inconscio di tutte le qualità, processi e mediazioni tra la personalità e le barriere antisuggestive. La suggestione è realizzata attraverso il paraconscio 58 intillafunzione_stampa.indd 58 7-11-2006 10:38:57 in tutte le sue varianti. Possiamo definire la suggestione come un costante fattore comunicativo che, principalmente attraverso l’attività mentale inconscia, può creare le condizioni per sfruttare le capacità latenti funzionali della personalità. La suggestione non può essere separata dalla convinzione, come l’inconscio non può essere separato dal conscio. Lozanov ha recentemente iniziato ad usare il termine «Desuggestology» al posto di «Suggestology» per sottolineare il principio di base delle sue ricerche e del suo metodo, diretto ad aiutare le persone a rimuovere suggestioni restrittive e limitanti, cosicché possano usare e accedere facilmente al livello delle loro capacità naturali. Il processo d’informazione avviene armoniosamente sia sul piano conscio che sul piano subconscio. La suggestibilità è sempre limitata da una forma di protezione naturale: le barriere antisuggestive. Così come il corpo possiede degli anticorpi contro la malattia fisica, allo stesso modo la personalità produce una protezione mentale per selezionare le sollecitazioni suggestive. Lozanov classifica queste barriere in tre differenti tipi: La barriera logica, la barriera affettiva e la barriera etica. La barriera logica respinge tutto ciò che non dà l’impressione di essere motivato logicamente. Quando la suggestione cade all’interno del campo di coscienza del pensiero critico viene accuratamente soppesata prima di essere accettata. La barriera affettiva fa rifiutare tutto ciò che non riesce a creare una sensazione di fiducia e di sicurezza. Sembra assai sviluppata nei bambini piccoli non ancora in grado di elaborare il ragionamento logico. La barriera etica fa si che le suggestioni che si pongono in contraddizione con i principi morali delle persone non vengano realizzate. L’esistenza e la solidità di queste tre barriere antisuggestive sono necessarie alla salute (la loro mancanza o il loro indebolirsi possono essere causa di malattia). Esse servono da filtro indispensabile agli innumerevoli stimoli dell’ambiente. Queste barriere non vanno forzate; il modo migliore di superarle è quello di agire in armonia con esse. Così l’insegnante deve superare le stesse barriere antisuggestive nel suo lavoro, adoperandosi nel creare fiducia, nell’incoraggiare i suoi studenti alla calma e al relax per ottenere così l’atmosfera preliminare necessaria. In seguito ai numerosi e attenti sperimenti condotti dall’Istituto di Suggestologia di Sofia, si potè constatare 59 intillafunzione_stampa.indd 59 7-11-2006 10:38:57 che producendo una situazione di fiducia che consente di superare la barriera logica e affettiva si produce un meccanismo di controsuggestione, di abbandono dei riferimenti abituali inculcati fin dall’infanzia e di suggestione rispetto ad una maggiore valutazione di sé e delle proprie capacità. Ad esempio, le convinzioni suggestive della capacità piuttosto limitata della memoria umana, che sono costruite nello sviluppo sociale e individuale, reinforzano notevolmente le barriere antisuggestive rispetto alla memoria. L’ipermnesia suggestopedica (superattività della memoria) non deriva tanto dalla suggestione sulla capacità mnemonica incrementata, ma dalla desuggestione, dalla liberazione della suggestione costruita socialmente e individualmente sui limiti della capacità mnemonica umana. È chiaro che il processo suggestivo è sempre una combinazione di suggestione e desuggestione. Il collegamento desuggestivosuggestivo avviene grazie alle barriere antisuggestive. Sappiamo che i due emisferi hanno funzioni diverse e che l’apprendimento di una lingua straniera richiede l’attività sincronizzata di entrambi, in quanto l’emisfero di sinistra è coinvolto nella produzione verbale, mentre il destro deve assorbire e acquisire familiarità con il nuovo materiale e la differente struttura linguistica con cui devono essere organizzate le parole per avere un significato. Imparare una lingua richiede maggiormente l’attività dell’emisfero destro, sebbene non siamo consapevoli di ciò. Molto del nostro senso per la struttura della lingua è acquisito prima ancora di iniziare l’istruzione formale di grammatica e sintassi. Una delle ragioni dell’efficacia dell’approccio suggestopedico risiede nell’uso delle facoltà intuitive (generi di informazioni caratteristiche dell’emisfero di destra) nell’apprendimento verbale (caratteristica dell’emisfero di sinistra). Recenti scoperte neurofisiologiche descrivono il processo di apprendimento come una serie di scariche di neuroni localizzati su tutto il cervello (in entrambi gli emisferi), non solamente la formazione di un legame tra neuroni in due differenti aree. Esiste una categoria di stimoli che nella loro assoluta intensità dovrebbero appartenere al sistema sensoriale, ma molto spesso, sotto specifiche condizioni, rimangono inconsci. Questo accade spesso, quando l’attenzione è attratta da alcuni stimoli mentre altri rimangono alla periferia dell’attenzione. Questi tipi di stimoli 60 intillafunzione_stampa.indd 60 7-11-2006 10:38:58 inconsci sono chiamati «stimoli marginali subsensoriali». Essi giocano un ruolo importante in tutte le relazioni umane. Studi suggestopedici hanno dimostrato che questa informazione periferica inconscia resta alla base della memoria a lungo termine. Un numero enorme di azioni automatiche cadono dentro la sfera dell’attività mentale inconscia. Le formule abbreviate del pensiero, i concetti pronti ai quali siamo abituati, gli atti motori e molte altre attività sono ottenute grazie all’automazione e all’attività mentale inconscia. È attraverso canali inconsci che possiamo registrare una grande quantità di percezioni. Queste, assieme alle percezioni coscienti, forniscono quelle informazioni che conservandole, costituiscono l’alimento della memoria. Rorschach, noto psicologo e autore del famoso test che porta il suo nome, sostiene che l’affettività si organizza nell’attività inconscia e così pure l’immaginazione. La prima è inoltre responsabile della conservazione o meno delle informazioni e regola le motivazioni, le scelte, le simpatie e antipatie. Lozanov afferma: «tutta l’attività cosciente si basa su componenti inconsce». È impossibile separare l’attività mentale del conscio dal subconscio, così come lo è separare un oggetto illuminato dalla sua stessa ombra. In ogni pensiero, sentimento, percezione o attività mentale esiste un insieme di esperienze chiare e centrali, e parallelamente in secondo piano, una serie di esperienze oscure, periferiche. Queste ultime sono numerose e provengono dai gesti, dal modo di muoversi, dall’espressione del viso e degli occhi, dal modo di parlare e dal tono di voce, dai movimenti ideo-motori impercettibili all’osservazione cosciente, dall’ambiente, dalle aspettative o dai bisogni di chi ascolta, e in generale da tutto ciò che al momento della comunicazione è collegato al suo contenuto semantico. La maniera di esprimersi è quindi altrettanto importante del contenuto del discorso. I fattori non specifici che accompagnano un discorso molto spesso rimangono impercettibili, ma entrano comunque a livello inconscio, in ogni caso giocano un ruolo significativo nel condizionare impressioni, decisioni, relazioni, umori, ecc. Questo tipo di attività mentale inconscia è chiamata «Reattività Mentale Non Specifica» (N. M. R. Nonspecific Mental Reactivity). Conscio e inconscio, ragione e sensibilità, devono lavorare in armonia 61 intillafunzione_stampa.indd 61 7-11-2006 10:38:58 all’interno di questa unità indissolubile che è l’essere umano. Non si può pensare ad una educazione specifica di uno dei due emisferi che ignora l’altro. Ciò di cui beneficia il primo approfitta anche il secondo e viceversa. Questa convinzione di Lozanov si appoggia sul principio della REATTIVITÀ MENTALE NON SPECIFICA. La suggestione globale sintetica lozanoviana è uno stimolo non specifico che suscita, a ciò a cui si riferisce, una reattività anch’essa non specifica. È la personalità tutta intera dell’allievo che è sollecitata. È ugualmente questa personalità tutta intera che risponde e che reagisce senza che sia possibile attribuire tale effetto determinato a una causa specifica. Per globale si intende una reazione, conscia e inconscia allo stesso tempo, della personalità e del processo desuggestivo-suggestivo. Ma come educare non specificatamente? Con l’azione globale e simultanea di tutti i mezzi della Suggestopedia. Ne cito subito alcuni: la personalità stessa dell’insegnante che è senza dubbio l’elemento più importante; l’uso sistematico di mezzi artistici nell’insegnamento, il ruolo importante dovuto alle emozioni e alle emozioni piacevoli. 62 intillafunzione_stampa.indd 62 7-11-2006 10:38:58 L’approccio quantistico «Nel trarre conclusioni così generali sorge un dubbio: è possibile fidarsi della mente umana che, cosa di cui sono totalmente convinto, si è sviluppata a partire da quella degli animali più primitivi che si possano immaginare?» CHARLES DARWIN Nel 1994 usciva in contemporanea nelle librerie inglesi ed americane un volume scritto da un famoso fisico dell’Università di Oxford R. Penrose e intitolato «Le Ombre della Mente». Questo libro, per le tesi che prospettava nonché per l’autorevolezza del suo autore, mise in subbuglio il mondo medico-scientifico dell’epoca. La tesi principale sostenuta da Penrose ruotava attorno all’inadeguatezza dei modelli interpretativi dei «processi cognitivi» e sulla possibilità di trovare strade alternative per spiegare le dinamiche degli «atti mentali». Rifacendosi ad alcune pionieristiche ricerche dell’anestesiologo S. Hameroff e del neurofisiologo B. Libet, Penrose ipotizzò che i processi cerebrali come la coscienza o la consapevolezza dovessero essere direttamente collegati al fenomeno fisico noto col nome di «coerenza quantistica». La «coerenza quantistica» è quel meccanismo fisico per cui i metalli portati a bassa temperatura manifestano il fenomeno della superconduttività. A temperature molto basse infatti, alcuni metalli possono condurre l’elettricità senza opporre resistenza. Una corrente immessa in una spira superconduttrice scorrerebbe per un tempo infinito. Il segreto di questo fenomeno è che gli elettroni che trasportano la corrente elettrica si muovono tutti insieme in modo coerente, come se fossero una unica gigantesca particella. La conseguenza di questa «pan-armonia» è che la corrente elettrica 63 intillafunzione_stampa.indd 63 7-11-2006 10:38:58 scorre praticamente senza ostacoli. Una situazione simile -seppur in condizioni ambientali decisamente diverse- avviene, secondo Penrose, anche a livello cerebrale (al livello dei tubuli). Il cervello umano è costituito da miliardi di neuroni (il neurone è la cellula fondamentale del sistema nervoso) che a loro volta sono costituiti da migliaia di microtubuli i quali sono composti da enti ancor più piccoli chiamati tubuli. Ora, a parere di Penrose, l’evento cosciente nell’uomo, il passaggio cioè dallo stato di pre-coscienza allo stato di coscienza, avviene al raggiungimento da parte dei tubuli dello stato di massima «eccitazione coerente». Come gli elettroni nella superconduttività (i quali muovendosi all’unisono permettono alla corrente di fluire senza ostacoli) così la globalizzazione della coerenza tra i tubuli cerebrali permette il verificarsi del processo cognitivo. Il tempo di transizione dalla fase pre-cosciente alla fase cosciente con la conseguente attivazione del segnale motore che consente ad esempio di muovere un braccio, dura circa mezzo secondo. Il susseguirsi delle transizioni dal livello minimo al livello massimo di coerenza dei tubuli, costituisce il «corso della coscienza»; lo scorrere del tempo. I fenomeni di coerenza quantistica oltre a spiegare razionalmente le dinamiche dei processi cognitivi, darebbero conto anche di quello che Penrose chiama «Senso Unitario» della mente. Il processo cosciente non può mai essere frutto dell’attivazione di una singola area del cervello ma deve scaturire dalla azione concertata in un gran numero di zone della mente. L’oscillazione coerente dei tubuli, la quale interessa la maggior parte del cervello, provvederebbe egregiamente a quel collegamento globale essenziale per l’estrinsecazione dell’atto mentale. Una delle più singolari conseguenze dell’applicazione della coerenza quantistica alla mente, è che i processi cerebrali non potranno mai essere pienamente simulati da un calcolatore. Infatti, un computer per quanto evoluto possa essere, deve pur sempre ragionare seguendo una logica deterministica, ad ogni azione deve sempre corrispondere una reazione. Uno più uno deve sempre dare due. La coerenza quantistica alla base dei processi cerebrali invece, dovendo sottostare alle leggi della Meccanica Quantistica (le quali prevedono che qualsiasi sistema a loro soggetto debba sempre manifestare un certo grado di indeterminazione, di imprevedibilità), sfugge a questa logica. In altre parole l’aumento del grado di coerenza dei tubuli che 64 intillafunzione_stampa.indd 64 7-11-2006 10:38:59 deve condurre dallo stato di pre-coscienza allo stato di coscienza, può, seppur con probabilità molto bassa, fermarsi o accelerare spontaneamente, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il filo conduttore delle teorie di Penrose ruota attorno all’inadeguatezza dei modelli interpretativi dei processi cognitivi e sulla possibilità di trovare strade alternative per spiegare le dinamiche degli atti mentali. Lo studioso britannico indica nella «coerenza quantistica» la causa dei processi più intimi dell’attività cerebrale. La coerenza quantistica è quel processo fisico per cui un gran numero di particelle agisce coralmente assumendo le caratteristiche e le qualità di una unica macro-entità, consentendo il verificarsi di fenomeni quali l’emissione Laser o la Superconduttività2. Le caratteristiche peculiari della coerenza quantistica sono essenzialmente due: l’evoluzione dei suoi processi dinamici secondo una logica non deterministica (non esprimibile cioè attraverso semplici meccanismi di causa ed effetto o «razionalizzabili») e l’estensione immediata e globale del fenomeno quantistico a tutti gli enti che partecipano al processo coerente. Tali caratteristiche ben si adattano al controllo dei processi mentali come gli «stati emozionali» (per loro natura non razionalizzabili) o «l’unicità dei processi cognitivi». Per quanto concerne quest’ultimo aspetto delle caratteristiche della mente, recenti studi di neurobiologia hanno dimostrato la non veridicità delle ipotesi secondo cui si avrebbe nel cervello una localizzazione ben definita delle funzioni deputate alla coscienza o al controllo dell’attività sensitiva. Tali funzioni andrebbero invece attribuite al cervello nel suo insieme, il quale, attraverso una fitta rete di sistemi interconnessi, controllerebbe ogni attività. Alle aree tradizionalmente ritenute sede delle funzioni cerebrali andrebbe soltanto riconosciuto il compito di originare il primo impulso per l’attivazione dell’atto mentale o sensitivo. Comparando i risultati dei diversi studiosi che nel tempo si sono occupati di coerenza quantistica applicata ai sistemi biologici (Fröhlich 1975, Grundler e Keilmann 1983, Marshall 1990, Penrose 1994), unitamente a specifici studi di meccanica ondulatoria (Rossi e Cantalupi 1995), si evince che esiste una frequenza di eccitazione coerente per i neuroni cerebrali ed i suoi sub-componenti comune a tutti i lavori di coloro i quali si sono occupati di queste ricerche. 65 intillafunzione_stampa.indd 65 7-11-2006 10:38:59 Questa oscillazione, di cui nessuno prima d’ora aveva enfatizzato l’importanza o aveva notato la sistematica ricorrenza nei lavori sull’argomento, copre frequenze che vanno da dieci a cento miliardi di cicli al secondo (dove un ciclo al secondo rappresenta il tempo impiegato da un sistema eccitato per compiere un’oscillazione completa). Ora, queste frequenze non devono essere confuse con le oscillazioni che normalmente si registrano durante le sedute elettroencefalografiche (le quali, per altro, hanno frequenze molto basse); esse in teoria assumerebbero le caratteristiche di una vera e propria vibrazione dei processi profondi del cervello, una oscillazione dei nostri stessi pensieri. Se risultasse verificata sperimentalmente questa potente «pulsazione cerebrale», si potrebbe aprire la strada verso nuove forme di cura dei disturbi cerebrali. Scienza, filosofia e religione cercano da secoli di rispondere alla classica domanda: «Che cos’è la mente?», ma le diverse soluzioni proposte sono sempre state parziali e spesso in contrasto reciproco: in pratica mai nessuna spiegazione è risultata davvero valida ed esauriente. Gli stessi psicologi sono poco soddisfatti delle teorie e delle tecniche sviluppate dalla loro disciplina nel corso degli ultimi decenni. Vediamo allora di partire da qualche punto fermo. Al di là delle convinzioni personali e religiose, oggi la scienza ci informa con ragionevole certezza che il processo del pensiero è dovuto a fenomeni chimici e fisici che avvengono nel cervello e nel sistema nervoso a livello microscopico, ovvero a livello molecolare ed atomico. Il funzionamento della natura a livello atomico e sub-atomico è governato dalle leggi della cosiddetta «meccanica quantistica», una teoria fisica sviluppata agli inizi del secolo ventesimo, che risulta molto valida e precisa ma che presenta risvolti molto strani o perfino paradossali*5. A livello sub-atomico la materia perde le familiari proprietà... «materiali» e si manifesta invece come un gioco di forze e di onde. Chi ha studiato un po’ di chimica sa che l’atomo è molto *5 Solo pochi scienziati nutrono ancora dei dubbi sul fatto che la meccanica quantistica giochi effettivamente un ruolo determinante nel processo del pensiero, ma per contro molti altri (a partire da Bohr, Eddington e Wigner negli anni ‘20, per arrivare a Wheeler e Penrose) hanno fortemente sostenuto questa tesi ed oggi vi sono fortissimi indizi a suo favore ed anche alcune conferme. 66 intillafunzione_stampa.indd 66 7-11-2006 10:38:59 stabile e può essere considerato una pallina «solida». Il modello fondato su particelle «dure» però fallisce quando si analizza la struttura interna dell’atomo: la «solidità» dell’atomo è creata in realtà da un gioco di forze che si crea al suo interno tra gli elettroni, i quali non si comportano come vere e proprie «particelle» o «corpuscoli» materiali ma si distribuiscono spazialmente in determinate «nuvole elettroniche» o «orbitali». In realtà la questione è più complessa di quanto si può dedurre da questa semplice descrizione: tali orbitali in realtà sono delle «onde risonanti» che obbediscono alle leggi della meccanica quantistica, le quali presentano diversi aspetti paradossali.*6 È vero che il «capriccio» di voler accostare il funzionamento della mente alla meccanica quantistica sembra una specie di «moda», diffusa specialmente tra gli scienziati con propensioni «new age», ma vi sono diverse conferme scientifiche a riguardo. Se la mente umana è veramente capace di agire a livello quantistico, essa può avere delle grandi potenzialità inespresse (nettamente superiori a quanto generalmente si ritiene). Centinaia di ricerche scientifiche (pubblicate fin dal 1970, per esempio su Le Scienze n. 45 del Maggio 1972) hanno dimostrato che una certa tecnica mentale molto semplice, chiamata TM, è capace di «ripulire» il sistema nervoso stesso da stress e tensioni, apportando effetti benefici di grande portata sull’organismo, sia a livello fisiologico che psicologico. Alcuni scienziati sostengono che la TM agisce sul sistema nervoso a livello quantistico e riesca portarlo al suo stato di «minima eccitazione». Si tratta di una «tecnica-gioiello» che implica e riassume in sé le conoscenze di varie scienze, dalla fisica alla psicologia, dalla neurologia alla filosofia... E quindi presuppone anche un’integrazione ed una sintesi di varie discipline, oltre ad avere di per sé una straordinaria utilità pratica. Quello che il Teorema di Bell3 sembra accertare, poiché si basa *6 Occorre ribadire che la meccanica quantistica, nonostante le sue apparenti stravaganze, ha sempre dimostrato una straordinaria validità (nell’ambito di sua pertinenza). Senza voler considerare i controversi risultati ottenuti dalla fisica nucleare, la teoria quantistica ha permesso di creare tecnologie importantissime ed oggi familiari, dal laser ai semiconduttori (che hanno permesso uno sviluppo enorme dell’elettronica, specialmente in ambito digitale, con la conseguente rivoluzione informatica degli ultimi decenni). 67 intillafunzione_stampa.indd 67 7-11-2006 10:38:59 su fatti sperimentali, corrisponde al modello delle menti unificate: menti che trascendono spazio, tempo e persone individuali; anche questo modello si basa su fatti. Anche se la teoria quantistica viene sostituita da un’altra teoria, e se le nostre teorie sulla psicologia e sulla mente sono rimpiazzate da altre, questi fatti rimangono. Essi ci dicono che il mondo è non localizzato e che, se guardiamo abbastanza attentamente, possiamo vedere chiaramente prove di questa non localizzazione nelle nostre vite quotidiane. La visione popolare della mente e del sé conscio di una persona come di un quid localizzato, che occupa uno spazio preciso, dà naturalmente luogo alla nostra convinzione di essere osservatori situati in un corpo da cui guardiamo la realtà a esso esterna. Questa teoria ha avuto una forza poderosa nell’intera storia della nostra cultura ed è alla base della scienza classica, secondo cui noi possiamo osservare e misurare da un punto di osservazione esterno, e poi riflettere sul possibile significato di tutto quanto; tuttavia nella fisica moderna, essa è andata in frantumi. Attualmente la maggior parte dei fisici ritiene che sia semplicemente impossibile spiegare le scoperte della loro scienza attenendosi a questa ipotesi. La maggioranza della comunità scientifica aderisce alla cosiddetta «interpretazione di Copenaghen» della fisica moderna (così chiamata perché Niels Bohr, il suo primo ideatore, era danese). Secondo quest’ottica, a livello atomico, un mondo reale semplicemente non esiste fintanto che non viene compiuta una misurazione o un’osservazione. Prima che ciò si determini, c’è soltanto una varietà di possibili esiti per ciascun evento successivo, ciascuno con la sua possibilità di realizzarsi una volta che l’osservazione venga effettuata. L’osservatore (o, secondo alcuni fisici, uno strumento di misurazione che funga da suo agente) compie l’atto decisivo di far «collassare» tutte le possibilità consistenti in un singolo esito coerente che solo allora può essere definito evento. Prima di questo momento non siamo autorizzati a parlare di un mondo reale di cose ed eventi, ma solo di possibilità con il potenziale di essere realizzate. Solo combinando fra loro in un’unità singola l’osservatore e quanto viene osservato la visione del mondo può avere senso. Qui abbiamo una delle più radicali differenze fra la concezione moderna del mondo alla luce delle scoperte della Meccanica quantistica e quella classica. L’idea di una realtà eterna e fissa che segua il suo 68 intillafunzione_stampa.indd 68 7-11-2006 10:38:59 corso del tutto indipendente da un osservatore è stata superata nella fisica moderna da una concezione che fondamentalmente incorpora umanità in tale realtà. La Meccanica quantistica nacque al principio del secolo e crebbe come una teoria completamente rivoluzionaria che rovesciò le idee prevalenti fra i fisici dell’epoca Vittoriana. Il modello classico sosteneva che l’atomo fosse composto di un nucleo attorno al quale orbitavano gli elettroni, come un sistema solare in miniatura. Si sapeva che gli elettroni hanno una massa pari a circa un millesimo di quella del protone (uno dei costituenti del nucleo) e che possiedono una carica negativa in grado di bilanciare quella del protone, che è positiva. Durante i primi decenni del secolo, però, si capì che questo modello non poteva funzionare. Tanto per cominciare, i matematici dimostrarono che gli elettroni non avrebbero potuto mantenere la propria orbita stabilmente come fossero stati pianeti, e si sarebbero fusi coi protoni del nucleo. Poiché era chiaro che nell’universo in cui viviamo ciò non accade, si assunse, correttamente, che il modello fino ad allora accettato doveva essere sbagliato. Grazie all’opera pionieristica di fisici come Plank, Bohr e Schródinger, emerse un modello che descriveva la natura del regno subatomico in modo di gran lunga più sofisticato; questo nuovo modello portò con sé un certo numero di conseguenze apparentemente astruse che da allora come abbiamo più volte ripetuti, hanno gettato non solo i profani nella confusione. Uno dei padri della Meccanica quantistica, Niels Bohr, giunse persino ad affermare che «chiunque non resti scioccato dalla teoria dei quanti non l’ha capita». I problemi cominciarono davvero quando i fisici delle particelle si resero conto che l’elettrone non era una sferula di materia carica negativamente, ma poteva essere descritto solo in termini probabilistici. In altre parole, esiste un’elevata probabilità che un elettrone si trovi a una determinata distanza dal nucleo e una bassa probabilità che sia molto più distante o molto più vicino a esso. Legato a questo concetto è il Principio di indeterminazione4 annunciato da Werner Heisenberg nel 1927. Esso dimostra che esistono dei limiti all’accuratezza con cui possono essere misurate delle coppie di quantità fisiche. Ad esempio, se cerchiamo di misurare la posizione e la quantità di moto di una particella subatomica, lo stesso atto disturberà la particella a tal 69 intillafunzione_stampa.indd 69 7-11-2006 10:39:00 punto che non sarà possibile attribuire un valore preciso a entrambe le quantità nello stesso istante. Questa nebulosità è descritta dalla funzione d’onda - in altre parole, si tratta di una descrizione basata unicamente sulle probabilità. Ora, di primo acchito, questa potrebbe sembrare una faccenda da poco - che mai potrebbe accadere se non riuscissimo a definire con precisione l’esatta posizione delle particelle subatomiche? In realtà, questa è l’essenza stessa della Meccanica quantistica e sta alla radice di tutti i problemi che essa crea alla mente del profano. D’altra parte, questa è anche la ragione stessa per cui la Meccanica quantistica potrebbe plausibilmente aiutarci a spiegare alcuni fenomeni attualmente non spiegati. Che cos’è la «realtà» del mondo per la fisica quantistica? Sfortunatamente quella che noi percepiamo come realtà si scopre essere semplicemente una serie di incidenti di percorso. Se crediamo alla fisica quantistica, il mondo è nelle mani di queste onde di probabilità. Ogni tanto una di queste onde «collassa», e allora, e soltanto allora, succede qualcosa (le quantità fisiche assumono dei valori osservabili). La sequenza di quei «qualcosa» costituisce la realtà che percepiamo noi. Fu Von Neumann a chiarire gli estremi del problema. A far collassare la funzione d’onda5 è, secondo la fisica quantistica, l’interferenza di un altro sistema. Per esempio, se cerco di misurare una quantità di un sistema (la sua velocità, per esempio), faccio collassare la funzione d’onda del sistema, e pertanto leggo un valore per quella quantità che prima era semplicemente una delle tante possibilità. È il mio atto di osservare a causare la «scelta» di quel particolare valore della velocità fra tutti quelli possibili. Ma «quando» si verifica quel collasso? C’è una catena di eventi che porta dalla particella al mio cervello: la particella è a contatto con qualche strumento, che è a contatto con qualche altro strumento, che è a contatto con il microscopio, che è a contatto con il mio occhio, che è a contatto con la mia coscienza... dove avviene di preciso il collasso? A che punto la particella smette di essere una funzione d’onda e diventa un oggetto con una velocità ben precisa? Il problema può essere riformulato così: che cosa causa il collasso di una funzione d’onda? Basta la semplice presenza di un’altra particella nei dintorni del sistema? Oppure dev’essere un oggetto di grandi dimensioni? Oppure dev’essere per forza un oggetto in 70 intillafunzione_stampa.indd 70 7-11-2006 10:39:00 grado di osservare? Oppure dev’essere per forza una mente umana? Sappiamo che un uomo è in grado di far collassare una funzione d’onda, in quanto gli scienziati possono misurare le particelle. Ma un insetto? Un insetto-scienziato sarebbe in grado di compiere le stesse osservazioni? Sarebbe in grado di far collassare una funzione d’onda? E un virus? Una pietra? Un albero? Un soffio di vento? ... Von Neumann si domandava cosa promuove un oggetto a «collassatore». La fisica quantistica concede questo privilegio: i sistemi classici (come gli strumenti di misurazione o gli esseri umani, oggetti che hanno una posizione, una forma e un volume ben definiti) sono capaci di far collassare la funzione d’onda di sistemi quantistici (che sono invece pure onde di probabilità) e pertanto di misurarli. Ma cosa determina se un sistema è classico o quantistico? Anzi, come fa la natura a sapere quale dei due sistemi è quello che misura e quale è quello da misurare, in maniera tale che possa far collassare quello da misurare e non quello che misura? Perché, quando misuro un elettrone, collassa l’elettrone e non collasso io? Intuitivamente, i fisici rispondono che un sistema per essere classico deve essere «grande», in quanto l’indeterminatezza è tanto maggiore quanto più ci si avvicina alle dimensioni della costante di Planck. Ma questo significa semplicemente che gli oggetti «grandi» hanno un’immunità dalle leggi quantistiche che è basata soltanto sulla loro dimensione. Quantomeno bizzarro. Roger Penrose ha proposto che sia la gravità a concedere quella immunità speciale. Gli oggetti «grandi» deformano lo spazio-tempo e ciò in qualche modo causa il collasso spontaneo del sistema in una possibilità ben precisa. Ecco perché i sistemi «grandi» hanno una posizione e una forma ben definita. Analogamente, quando il mio campo gravitazionale entra in contatto con quello di un sistema «piccolo» (che si comporta come un sistema quantistico), lo fa diventare parte di un sistema «grande» e pertanto di un sistema classico. E pertanto lo posso misurare. Il fatto rimane che nulla nella fisica quantistica spiega cosa realmente accada quando un sistema quantistico «collassa»: il collasso corrisponde a un cambiamento nello stato del sistema, oppure corrisponde semplicemente a un cambiamento nella conoscenza che io ho di quel sistema? Naturalmente, viene subito la tentazione di puntare il dito verso la coscienza. Forse il collasso è dovuto al 71 intillafunzione_stampa.indd 71 7-11-2006 10:39:00 fatto che un essere senziente compie la misurazione. Forse la mente entra nel mondo attraverso il pertugio lasciato aperto dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Forse la fisica quantistica ci sta dicendo che la mente umana «deve» esistere affinché il resto dell’universo possa esistere, altrimenti non ci sarebbe nessuno ad osservarlo e ciò significa che resterebbe in eterno nel limbo delle possibilità. La realtà è il contenuto della nostra coscienza, come ha scritto recentemente Eugene Wigner. Un’altra possibilità è quella di negare semplicemente che si verifichi questo misterioso «collasso» della funzione d’onda. Invece di ammettere che il futuro venga scelto a caso ogni volta che la funzione collassa, uno può decidere che tutti i possibili futuri si verificano tutti insieme. In ogni secondo l’universo si divide in miliardi di altri universi, uno corrispondente a ogni possibile valore di ogni possibile quantità che uno potrebbe misurare. È questa la teoria di Hugh Everett: se qualcosa può succedere, allora succede... in qualche universo. Una copia di me esiste in ogni universo. Io osservo tutti i possibili risultati di una misurazione, ma lo faccio in universi diversi. Fra coloro che credono in questa ipotesi si contano luminari come David Deutsch e Stephen Hawking. Wojciech Zurek pensa che tutto contribuisca al collasso, e che il collasso possa avvenire per gradi successivi. L’ambiente distrugge quella che Zurek chiama «coerenza quantistica». E per «ambiente» intende proprio tutto, dalla singola particella che transita per caso fino al microscopio. L’ambiente causa «decoerenza» e la decoerenza causa una sorta di selezione naturale alla Darwin: lo stato classico che emerge da uno stato quantistico è quello che meglio si «adatta» all’ambiente. Non sorprende pertanto che, studiando questo fenomeno, Zurek stia pervenendo a intriganti paralleli con il fenomeno della vita (l’altro grande mistero della natura è, ovviamente, quello di come la materia vivente emerga dalla materia non vivente). Come fa il mondo classico, fatto di oggetti e forme e confini e pesi e altezze, ad emergere da un mondo quantistico, fatto soltanto di onde e di probabilità? Una coerente teoria della mente, basata da un lato sulle posizioni ontologiche di Heisenberg appena descritte, e dall’altro su quelle psicologiche di William James (1842-1910), è stata sviluppata da Henry Stapp in una serie di saggi, raccolti nel 1993 in Mente, materia 72 intillafunzione_stampa.indd 72 7-11-2006 10:39:00 e meccanica quantistica. Nella sua opera principale, I principi di psicologia del 1890, William James aveva enunciato alcune posizioni pragmatiche (in accordo con la sua generale filosofia). Anzitutto, una teoria della mente degna di questo nome non può soltanto dissolverla nella descrizione di meccanismi comportamentali o neurofisiologici, ma deve essere in grado di rendere conto delle azioni più apparenti e costanti della coscienza: la libera scelta fra varie alternative, e il controllo del comportamento. Inoltre, poichè tutto ciò che possiamo sperimentare sono percezioni, l’universo deve essere riducibile ad un’unica sostanza (esperienza pura), di cui la coscienza è solo una parte. Infine, il riduzionismo psicologico non può basarsi esclusivamente sulla fisica classica, perchè essa non è in grado di assegnare ad un sistema complesso proprietà che non siano riducibili a quelle delle sue costituenti: l’introspezione mostra invece che i pensieri e la coscienza, nonostante la presenza di componenti, sono sistematicamente percepiti come sostanzialmente unitari. Le ingiunzioni di James sono state sistematicamente disattese dalle teorie psicologiche dominanti del secolo, dal comportamentismo di Watson al darwinismo neurale di Edelmann: esse rimuovono tutte il problema della coscienza, limitandosi a descrivere in maniera puramente classica le sue manifestazioni a vari livelli, dal sociologico al neurofisiologico. La fisica quantistica ha maturato i tempi di un cambiamento, ritrovandosi in perfetta sintonia con le posizioni di James: il collasso della funzione d’onda esibisce le stesse caratteristiche di scelta e determinazione della realtà attribuite alla coscienza, l’interpretazione di Copenaghen riduce l’intera realtà all’osservazione, e gli eventi quantistici rivelano un carattere olistico che non permette di ridurli al comportamento individuale delle loro parti. Mentre von Neumann e Wigner cercavano però di costruire una teoria mentale della meccanica quantistica, attribuendo ad una indefinita coscienza la causa del collasso della funzione d’onda, Stapp ribalta il loro approccio e costruisce una teoria quantistica della mente, definendo la coscienza come la manifestazione del collasso. In altre parole, nel cervello gli eventi si mantengono in inconscia sovrapposizione di stati fino a quando essi vengono resi psicologicamente coscienti dal collasso fisico della funzione d’onda, e la coscienza è quindi la controparte macroscopica del processo 73 intillafunzione_stampa.indd 73 7-11-2006 10:39:01 di fissazione delle strutture microscopiche del cervello (così come le sensazioni sono la controparte macroscopica del funzionamento dell’organismo). A causa di un risultato di von Neumann, non ha importanza in che punto della catena di osservazione si suppone che il collasso avvenga, perchè i risultati sono largamente indipendenti da dove esso si situi: la precedente definizione è dunque compatibile con svariate ipotesi, in particolare che la coscienza sia un fenomeno di basso o di alto livello cerebrale (cioè, neuronale o integrato). Ciò che invece ha importanza è la relazione fra la struttura degli eventi cerebrali da un lato, e di quelli psicologici dall’altro: ed una volta postulata una corrispondenza fra gli eventi, è naturale estenderla anche alle loro strutture. Stapp propone dunque la seguente definizione: la coscienza è l’immagine isomorfa del collasso della funzione d’onda degli eventi cerebrali. Più precisamente un evento cosciente, cioè l’attualizzazione di una potentia cerebrale, crea una configurazione neuronale temporaneamente stabile detta simbolo, a sua volta costituita da componenti: in tal modo si genera una disposizione per l’attivazione di tutti gli altri simboli che hanno componenti in comune con quello, e si crea quindi una nuova potentia che attende di essere attualizzata da un successivo evento cosciente. La tendenza dei simboli a svanire crea la sensazione del fluire del tempo, l’insieme dei simboli attuali in un dato momento costituisce uno schema corpo-mondo che viene continuamente aggiornato, l’insieme dei simboli che persistono e a cui le sensazioni momentanee vengono riferite costituisce il senso del sè (un’esperienza cerebrale come tutto il resto), e l’integrazione quantistica degli eventi cerebrali viene percepita psicologicamente come l’unità della coscienza. Poichè la realtà è costituita dalle attualità, che a loro volta sono determinate dalle potenzialità, ma non tutte le attualità sono eventi di natura cerebrale o umana, si può dire più generalmente che la mente è la manifestazione del processo di attualizzazione delle potentia, di cui la coscienza umana è dunque solo un aspetto particolare. Si arriva così per via fisica ad una teoria che ha vari aspetti in comune con quella filosofica esposta da Whitehead ne «Il processo e la realtà». Tutto ciò che esiste, cioè la totalità delle attualità, si manifesta dunque come un atto creativo della mente universale, una scelta che allo stesso tempo è delimitata 74 intillafunzione_stampa.indd 74 7-11-2006 10:39:01 dallo spazio delle possibilità preesistenti, e restringe lo spazio delle possibilità future. E gli atti creativi della mente universale sono linearmente ordinati, poichè essi corrispondono a cambiamenti nello stato potenziale dell’universo, che è unico in ogni istante: dunque il tempo mentale è lineare, in accordo con l’esperienza, e in contrasto con il tempo fisico (in altre parole, l’evoluzione deterministica della funzione d’onda e il suo collasso si riferiscono a due tempi distinti, locale e relativistico l’uno, e globale e classico l’altro). Ma come si spiega il carattere unitario e globalmente coerente dell’attività mentale? James giunse al punto di mettere in dubbio il determinismo delle leggi fisiche, ciò che al suo tempo suonava ancora come una bestemmia, e aveva perfettamente ragione. Henry Stapp ritiene di aver trovato la risposta nella meccanica quantistica: lo stato fisico del cervello a un certo istante non è la collezione dei microstati delle parti del cervello ma l’onda interfenomenica quantistica che, a dispetto della causalità spaziotemporale, correla tra loro sincronicamente tutti gli stati locali della materia e veicola la probabilità delle transizioni di fase globali del cervello. In altri termini, la realizzazione fenomenica del mondo sarebbe pilotata e determinata dalla riduzione dei pacchetti d’onda quantistici che costituiscono gli stati fisici del cervello. Il fatto è che nell’universo di cervelli ne esistono tanti e, se le cose andassero come dice Stapp, si ricadrebbe nella solita tesi solipsista: che ognuno determina lo stato fenomenico del suo proprio mondo compresi gli stati mentali di tutti gli altri esseri coscienti dell’universo. Di fatto questa è l’unica visione concessa dalla meccanica quantistica dei sistemi finiti e coincide sostanzialmente con quella proposta da von Neumann nel 1931. Ma la meccanica quantistica dei sistemi infiniti, fondata dallo stesso von Neumann tra il 1936 e il 1946, fa giustizia di questo tipo di interpretazioni perché introduce una nuova dimensione nella rappresentazione del mondo fisico: l’emergenza fenomenica del mondo macroscopico come processo termodinamico-informazionale. La vera «mente» rivelatrice della sostanza interfenomenica del mondo fisico è la catena causale, ma non deterministica, degli eventi di condensazione bosonica e rottura spontanea delle simmetrie causate dall’espansione termodinamica del cosmo macroscopico, 75 intillafunzione_stampa.indd 75 7-11-2006 10:39:01 indipendentemente dall’esistenza di esseri viventi. È sul terreno dei processi termodinamici non in equilibrio che si trova la risposta. Da questo punto di vista Ilya Prigogine ha ragione. Dove Prigogine ha torto è nel trascurare, se non ignorare, che i processi informazionali che generano la complessità del vivente non sono quelli descritti nella termodinamica dei sistemi non in equilibrio, di cui è il massimo sostenitore e propugnatore, ma nei processi algoritmici basati sulla formazione dei linguaggi a elementi strutturali discreti. I sistemi termodinamici di Prigogine sono volatili e incapaci di raggiungere livelli di organizzazione paragonabili a quelli che si riscontrano nel vivente. La questione che allora si pone è questa: è la teoria dei processi algoritmici in grado di spiegare l’emergenza della coscienza? In linea di principio sì: sulla base delle teorie degli algoritmi autoreferenziali di Gödel e degli automi capaci di autoriprodursi di von Neumann. Queste modelli sono in grado di dire molto circa le condizioni strutturali e funzionali che permettono la generazione di un processo informazionale capace di interpretare sé stesso. Solo un processo capace di «interpretazione universale», nel senso della teoria degli algoritmi, è in grado di essere autoreferenziale. Luce, suoni e azioni fisiche sul mondo esterno veicolano informazione connettendo in un processo informazionale universale tutte le cose esistenti. Per un interprete universale particolare, i segnali fisici sono equivalenti a fibre nervose che trasmettono e ricevono informazioni; in questo modo, esso stesso diventa centro integrante di un processo informazionale che si estende enormemente al di fuori del suo organismo fisico. Questo processo globale comprende altri interpreti universali. Tutte le cose visibili, udibili e trasformabili che esistono in natura costituiscono per ogni interprete universale una sorta di gigantesca memoria esterna che alimenta la sua attività di interpretazione universale. La teoria di Stapp lascia aperti i problemi del libero arbitrio e del determinismo, perchè non decide se il collasso della funzione d’onda sia frutto del caso o di qualche scelta ad un livello più profondo. Presentando però la coscienza umana ad un tempo come la manifestazione di un processo naturale e la localizzazione di un processo universale, essa reintegra l’uomo nella natura e nell’universo, e contrasta in tal modo le nefaste e tuttora influenti 76 intillafunzione_stampa.indd 76 7-11-2006 10:39:01 visioni di Bacone e Descartes, che vedevano da un lato la natura come terra di conquista scientifica e tecnologica dell’uomo, e dall’altro la mente come un fenomeno estraneo alla natura. 77 intillafunzione_stampa.indd 77 7-11-2006 10:39:01 intillafunzione_stampa.indd 78 7-11-2006 10:39:02 I quanti e la PSI «Le sole leggi della materia sono quelle costruite dalla mente, e le sole leggi della mente sono costruite per essa dalla materia». J. C. MAXWELL La scoperta del paradosso EPR (la sigla è data dalle iniziali dei nomi degli scopritori, ossia Einstein, Podolsky e Rosen), nacque da un intento polemico. Il criterio per cui Einstein ne elaborò il principio era dettato dal ricorrente proposito di evidenziare l’insensatezza della concezione indeterministica (addirittura «indeterminata» secondo la tesi più radicale) dei microfenomeni implicita nell’interpretazione classica di Bohr e Heisemberg. Possiamo evidenziarne il significato con un esempio semplice. Tra le dinamiche che caratterizzano il comportamento di una microparticella c’è quella del poter decadere in due altre particelle le quali, automaticamente, si allontanano l’una dall’altra secondo due diverse direzioni. Ora, tali due particelle, così scaturite da una comune origine, debbono mantenere, anche dopo il distacco, certi specifici rapporti di proprietà quantiche. Prendiamo, ad esempio, la proprietà chiamata spin6, facilmente rappresentabile con il modello di un movimento a trottola che la particella compie attorno a un certo asse. Per una legge - detta di «conservazione del momento angolare» -, imposta sempre dall’esser originate dalla stessa particella, se una delle due ha l’asse del movimento a trottola orientato verso l’alto, l’altra deve necessariamente averlo rivolto verso il basso. Anche il valore numerico deve esser perfettamente complementare. Ad esempio, se lo spin della prima particella ha valore 1/2 (secondo l’immagine semplificata della trottola, compie 79 intillafunzione_stampa.indd 79 7-11-2006 10:39:02 mezzo giro su se stessa nell’unità di tempo), quello dell’altra deve avere valore -1/2. Orbene, per il principio di indeterminazione di Heisemberg, finché nessuna delle due particelle è osservata/misurata da uno sperimentatore, non ha lo spin (come ogni altra caratteristica fisica misurabile) in uno stato specifico. Si trova, in base allo stesso principio, in uno stato di indeterminazione quantica, o di sovrapposizione potenziale di stati. Solo l’atto della misura gli conferisce uno spin reale e determinato. Supponiamo ora di compiere proprio questa operazione fatidica della misura e che si trovi lo spin di una delle due particelle «ridotto», o «collassato», nello stato di 1/2. Il che provocherà istantaneamente anche la riduzione dello stato dello spin della seconda particella al valore di -1/2. Come dire che, determinando la realtà specifica di un oggetto posto qui davanti ai miei occhi, automaticamente determino la realtà di un altro ben distante da me e su cui non posso influire causalmente in alcun modo. La palese assurdità deriva dal fatto che la seconda particella è ora un sistema fisico del tutto separato e può trovarsi anche all’altra estremità della galassia al momento della misura della prima. Il carattere istantaneo dell’effetto violerebbe inoltre quel limite assoluto della propagazione degli effetti fisici che è la velocità della luce. Da tener presente anche l’eventualità che, non esistendo nell’universo una particella che non abbia interagito con altre, il paradosso E. P. R. prospetterebbe un’amplificazione a cascata del fenomeno di interconnessione quantica configurando l’impossibilità dell’esistenza di un oggetto microfisico realmente e totalmente separato dagli altri. Abbiamo detto che Einstein considerò l’ipotesi di questa strana «telepatia» tra sistemi microfisici come una prova di impossibilità, un’implicazione assurda che confutava evidentemente la tesi dell’interpretazione di Bohr e Heisemberg. Quando tuttavia, diversi anni dopo, grazie agli studi di un fisico irlandese, John S. Bell, fu possibile sottoporre a verifica sperimentale l’effetto E. P. R., ciò che emerse suonò di nuovo come un’amara beffa per la teoria di Einstein: quell’effetto fantasma di contatto istantaneo tra sistemi microfisici separati esisteva davvero. Flussi di coppie di particelle originate nel modo anzidetto, una volta divenute sistemi indipendenti, mostravano accordi statistici delle proprietà prese in esame che non 80 intillafunzione_stampa.indd 80 7-11-2006 10:39:02 potevano essere dovuti al caso. È proprio questa interconnessione universale degli enti fisici che costituisce un motivo di interesse per la parapsicologia, tenuto conto che la psi, la facoltà oggetto del nostro studio, è, abbiamo visto, sostanzialmente un annullamento delle separazioni, delle distanze, sia spaziale che temporale. Vedremo ora specificatamente come si colleghi al fenomeno il nostro problema. Occorre a questo punto una precisazione. La teoria della meccanica quantistica che abbiamo esposto fin qui non è l’unica esistente (anche se è quella ufficialmente accettata dalla scienza). Esiste almeno una scuola alternativa, il cui iniziatore fu Einstein, che non accetta l’interpretazione della natura indeterminata, soggettivista e a-causale dei microfenomeni come elaborata da Bohr e Heisemberg. È una teoria che rivendica la completa realtà dei microfenomeni indipendentemente dall’osservatore e la loro evoluzione del tutto deterministica nel tempo. La distinzione è importante per inquadrare organicamente il rapporto con la parapsicologia. Ci sono infatti almeno due criteri per cui la facoltà paranormale, se esiste, può essere collegata all’apparato concettuale della meccanica quantistica. Si tratta per la verità di due criteri strettamente collegati tra loro, ma è opportuno distinguerli per cogliere meglio l’articolazione del problema. La distinzione è imposta dal fatto che tali due criteri si collegano proprio ai due diversi modi di interpretare la meccanica quantistica che abbiamo esposto. Ora, se il primo gruppo, quello ortodosso dominante, era genericamente favorevole alla possibilità dell’esistenza delle facoltà paranormali, quello dell’interpretazione alternativa era, possiamo dire, genericamente contrario. Lo stesso Einstein, abbiamo visto, associava i paradossi della meccanica quantistica a possibili effetti paranormali proprio per evidenziarne l’assurdità. Un fisico italiano, seguace della scuola di Einstein, Franco Selleri, riferisce il seguente aneddoto. Durante una breve conversazione avuta da Einstein con un importante fisico teorico della scuola di Bohr, mentre quello dichiarava di essere portato a credere nella telepatia, Einstein suggerì a titolo di provocazione: «È una cosa che probabilmente riguarda più la fisica che la psicologia». La risposta, riferiva ironicamente Einstein, fu un semplice «sì». Ma qual’era il motivo di fondo per cui i teorici della concezione ortodossa della 81 intillafunzione_stampa.indd 81 7-11-2006 10:39:02 quantistica erano o potevano essere favorevoli alla parapsicologia? La risposta è semplice: era il principio della forte supremazia della mente sulla materia che evidentemente scaturiva dal concetto del ruolo fondamentale dell’osservatore nel determinare la realtà del fenomeno osservato. È un elemento concettuale che è stato designato in molti modi. Si è parlato di «mentalismo», di «idealismo», di «psicologismo» della meccanica quantistica. L’elemento che, in ogni caso, veniva a fungere da supporto all’ipotesi della psi erano le potenzialità di applicazione del principio. Se era la mente dell’osservatore ad essere così decisiva nel determinare la realtà dei fenomeni osservati, appariva possibile che in condizioni eccezionali tale supremazia si amplificasse fino a produrre fenomeni eccezionali, impossibili in base alla logica dell’esperienza quotidiana. È una fruibilità teorica che è messa in evidenza anche dal Selleri: «Si tratta evidentemente (... ) di una descrizione assai vicina alla «parapsicologia» per via dell’azione diretta del pensiero sul mondo materiale». Veniamo ora alla scuola antagonista rispetto a quella di Bohr e Heisemberg. Ovviamente per costoro, propugnando una visione della microrealtà integralmente determinista e priva di ogni influsso «mentalista», non c’era alcuno spazio per una qualche forma di misticismo o di paranormalità. Considerando ora i punti significativi di questo indirizzo di pensiero vediamo come possa legarvisi il secondo criterio di connessione dell’ipotesi della psi alla meccanica quantistica. È ora importante notare che vi fu chi escogitò un espediente concettuale per risolvere il rompicapo della natura indeterminata dei microfenomeni: quello di ipotizzare l’esistenza di alcuni elementi incogniti - le «variabili nascoste» (hidden variables) - una volta conosciute le quali (almeno in teoria), si sarebbe potuto constatare una relazione perfettamente causale e integralmente determinata tra l’evento sub-atomico e il sistema macroscopico di rilevamento. Il processo di collassamento, cioè, per cui il ventaglio di particelle virtuali si riduceva di colpo a una sola particella reale all’atto dell’osservazione, appariva del tutto probabilistico perché non eravamo a conoscenza di un certo parametro di comportamento, diciamo difficilmente accessibile, del fenomeno. Il primo a proporre questa idea fu Von Neumann, uno dei maggiori matematici del 82 intillafunzione_stampa.indd 82 7-11-2006 10:39:03 secolo che, assieme ad altri fisici, tutti della scuola di Bohr, come Paul Wigner, dette alle variabili nascoste quel significato mentalista tipico di quell’indirizzo, avanzando l’ipotesi che fossero da identificarsi addirittura con la «coscienza» dell’osservatore. Ebbene i seguaci della scuola di Einstein si dettero da fare per cercare di individuare e definire queste variabili nascoste in base a un criterio del tutto diverso, contando cioè sulla possibilità che fossero qualcosa di specificatamente fisico e di - almeno in via di principio - caratterizzato da valori misurabili. Tra tutti i tentativi di ottenere un’individuazione specificatamente fisica delle variabili nascoste, nonché di dare un volto causale alla meccanica quantistica, spiccano gli studi di un fisico americano, David Bohm. Tutti i membri della scuola di Einstein danno un ruolo centrale alla sua teoria. Secondo Bohm la variabile nascosta condizionante le operazioni di misura del microfenomeno era semplicemente la posizione della microparticella, posizione all’atto pratico inconoscibile, ma in teoria realmente definita da valori precisi. Bohm compì inoltre il passo impegnativo - lo riferiamo senza entrare in dettagli - di dare alla funzione d’onda (che per i teorici ortodossi, ricordiamo, era solo una pura astrazione matematica) un significato fisico, intendendola come la descrizione di una sorta di campo di forza in grado di influire sull’evoluzione dello stato della particella (intesa questa, si badi bene, come un ente del tutto reale e determinato). Formulò in tal modo la teoria della cosiddetta «onda pilota», una conformazione ondulatoria la cui intensità nei diversi punti determinava la probabilità di trovare in tali stessi punti la particella. Ma la teoria di Bohm conteneva una caratteristica alquanto poco gradita ai seguaci della scuola di Einstein: era una teoria prettamente non-locale. In altri termini proprio quell’effetto fantasma a distanza, quella strana «telepatia» tra oggetti del mondo microfisico, sulla cui assurdità Einstein contava di confutare la concezione di Bohr, veniva a costituire giusto il cuore della teoria. L’immagine del vecchio, familiare mondo della separabilità, in cui le cose e gli individui sono ben isolati l’uno dall’altro, era messo in discussione e al suo posto subentrava quella di un mondo tutto percorso da una fitta rete di interconnessioni quantiche che in modo sottile finiva per collegare tutti gli enti o oggetti dell’universo. I seguaci di Einstein 83 intillafunzione_stampa.indd 83 7-11-2006 10:39:03 cercarono subito di eliminare l’inconveniente. Primo tra tutti John Bell (che pur ammirava la teoria di Bohm) provò in ogni modo di depurarla dalle implicazioni non-locali. Ma non vi riuscì, come non vi riuscirono altri animati dallo stesso istintivo rifiuto. Del resto i nuovi esperimenti che, via via, andavano dimostrando l’esistenza dell’effetto E. P. R., fornivano anche un sostegno sperimentale alla tesi della non-località. Quello che è interessante osservare dal nostro punto di vista parapsicologico è che con i tentativi di contestazione della teoria quantistica di Bohr veniva reintrodotto dalla finestra giusto quello che si era tentato di cacciare dalla porta. Bohm approdò, infatti, tramite il suo universo integralmente unitario, alla stessa concezione mistica più o meno propria dei membri della scuola di CopenhagenGoettingen, con le stesse ampie concessioni alla filosofia orientale. Naturalmente, nel cercar di giustificare l’esistenza della psi con la visione unitaria e interconnessa del cosmo proposta da Bohm, poteva esserci qualche difficoltà nell’applicare il principio al mondo umano cui sostanzialmente si riferisce la parapsicologia (la «telepatia» presupposta nell’effetto E. P. R. è solo una «telepatia» tra particelle). Ma il fenomeno accertato appariva indubbiamente un ragionevole sostegno all’ipotesi della facoltà. Dobbiamo tuttavia osservare che alle straordinarie possibilità dell’effetto E. P. R., ancora i seguaci della scuola di Einstein, riuscirono a porre dei limiti, e questo sempre nell’obbiettivo di costruire teorie causali della meccanica quantistica, alternative alla concezione classica. Spicca in questa direttiva il lavoro di tre fisici italiani: Gian Carlo Ghirardi, Alberto Rimini e Tullio Weber, che pubblicarono una dimostrazione giudicata ineccepibile e apprezzata anche a livello internazionale, della non trasmissibilità di alcun messaggio tramite l’effetto E. P. R. Senza entrare in dettagli diremo che punto centrale della dimostrazione era l’assoluta casualità, all’atto della misura, del processo di riduzione del vettore di stato, l’impossibilità, cioè, di far collassare la particella nello stato specifico «voluto» tra quelli possibili. Ad esempio, nel caso dello spin, non c’era alcun modo di far collassare nei valori +1/2 o -1/2 la sua misurazione nella particella direttamente osservata. Era quindi del tutto impossibile alterare in modo voluto lo spin dell’altra particella, separata tramite il processo 84 intillafunzione_stampa.indd 84 7-11-2006 10:39:03 di decadimento. Non era, ancora, possibile quindi utilizzare l’effetto per inviare da una sistema microfisico all’altro (ovvero da un punto all’altro dell’universo) una sequenza di segnali in grado di veicolare un qualunque messaggio. Sembrerebbe a questo punto di essere di fronte a un insieme di dati del tutto contraddittorio. Abbiamo la prova dell’esistenza di un effetto con tutte le caratteristiche potenzialmente attribuibili alla psi e tuttavia, a chiosa della promettente scoperta, spunta una dimostrazione che vieta indissolubilmente la trasmissione di qualunque tipo di comunicazione tramite quello stesso effetto. È un problema irrisolvibile? Cerchiamo di capirlo nei particolari. Innanzitutto analizziamone meglio le caratteristiche. Abbiamo detto, i fisici chiamano «non-località» - o «non-separabilità» - la natura interconnessa del cosmo implicata nel paradosso E. P. R. Designano inoltre con il termine difficilmente traducibile di entanglement («impiccio», «groviglio», «garbuglio») lo strano legame che unisce le coppie di particelle separate nell’esperimento classico del decadimento da una particella «madre». Possiamo capire lo sconcerto comunicabile a chi ne intraprende lo studio con l’ovvia constatazione che tutta l’esperienza del nostro rapporto con la realtà è basata sulla certezza che oggetti ed eventi sono ben demarcati l’uno dall’altro. Se, per un tracollo finanziario, uno speculatore in borsa si suicida a New York, la mia coscienza è per fortuna ben schermata dal percepire il suo disagio. E considerato tutto quel che di traumatico accade nel mondo la separabilità è in fondo anche una garanzia per la tranquillità della nostra «privacy» individuale. Ma che cosa si trasmette attraverso la non-località? Un’intuizione? Un pensiero? Un significato? Un’emozione? Appare innanzitutto difficoltoso capire come si struttura il fenomeno. «Questa correlazione quantistica - afferma Roger Penrose - è una cosa misteriosa che sta tra la comunicazione diretta e la separazione completa e che non ha alcuna analogia con qualcosa di classico di qualunque tipo». Ricordiamo che Einstein l’aveva definita «azione spettrale a distanza». Shimony preferisce quella di «passione a distanza». Per chiarire i termini del possibile rapporto con la psi è importante a questo punto elencare alcune caratteristiche fondamentali della nonlocalità. È un compito che svolge Ghirardi in una parte di un suo libro. 85 intillafunzione_stampa.indd 85 7-11-2006 10:39:03 Secondo il fisico milanese, l’incomprensibilità (dal punto vista fisico) degli effetti della non-località è ascrivibile a tre caratteristiche: a) non variano con la distanza (un millimetro o una distanza intergalattica non comportano alterazioni nell’efficacia della comunicazione); b) sono assai selettivi (la connessione tra i due componenti di un sistema entangled è molto specifica nelle caratteristiche); c) comportano una trasmissione di effetti assolutamente istantanea, non implicante cioè in alcun modo una durata temporale (violerebbero cioè uno dei presupposti essenziali della relatività che vieta a qualunque fenomeno fisico una velocità di propagazione superiore a quella della luce). È un elenco che, anche a prima vista, non può non colpire un parapsicologo perché si tratta esattamente delle caratteristiche essenziali che, dopo un secolo di ricerca, risultano attribuibili all’ipotetica facoltà paranormale. Discutiamo ora brevemente le tre caratteristiche in rapporto a tale secondo punto di vista parapsicologico. L’indipendenza dalla distanza della psi è un dato che ci deriva dalla valutazione di ampia casistica sia spontanea che sperimentale. È vero che non sono mancati ricercatori come F. Cazzamalli che hanno ritenuto di individuare, sul piano sperimentale, un’affinità della ESP con le onde elettromagnetiche, ma è una tesi ampiamente smentita da una vasta massa di dati e di relazioni. Essa, se esiste, funziona altrettanto bene a pochi metri di distanza quanto da un continente all’altro. La psi, inoltre, è evidentemente selettiva. Anche se può essere improprio parlare in termini di emittente e di ricevente, c’è in essa qualcosa che, pur sporadicamente, mette in collegamento due o più soggetti - o un soggetto e un evento - specifici sulla base di particolare significato, ricordo o esperienza. Ad esempio, un ricercatore, come N. Marshall, ha elaborato una complicata teoria detta «influenza eidopica» proprio per giustificare questo carattere altamente selettivo della ESP. Naturalmente c’è da tener presente la trasposizione di campo. Gli esseri umani, abbiamo detto, non sono le microparticelle. Uno dei dati emergenti è che la psi, se esiste, avviene probabilmente da inconscio a inconscio (anche se infinite possono essere le modalità) e comporta quindi il problema di un’elaborazione, almeno in parte, inconsapevole. Il che a sua volta comporta, quasi inevitabilmente, distorsioni e inesattezze. Ma il nodo simbolico che sta al centro della 86 intillafunzione_stampa.indd 86 7-11-2006 10:39:04 comunicazione è per lo più facilmente individuabile e riconoscibile. La stessa considerazione vale per la presunta istantaneità dell’effetto. L’elaborazione inconscia può comportare, oltre alle distorsioni, dei ritardi per la manifestazione della psi. La percezione paranormale può, cioè, impiegare del tempo per affiorare alla soglia della coscienza. Ma tutto della casistica lascia credere che tali ritardi non siano dovuti a una vera durata temporale della trasmissione. La psi, se esiste, di per sé è istantanea, non comporta intervalli resi necessari da una presunta velocità-limite dei suoi processi interattivi. Ma un’altra caratteristica della non-località, facilmente deducibile dalle tre elencate da Ghirardi, che la rende ancor più affine alla psi, è il carattere a-causale dei suoi effetti. Particolarmente il fatto che i suoi processi viaggiano a velocità superluminale elimina ogni ipotesi di causalità in senso fisico. Il problema fu già messo in rilievo da Bohr quando, preso per la prima volta in considerazione il paradosso E. P. R., parlò della necessità di «una rinuncia definitiva all’idea classica di causalità». «Questi effetti quantistici non locali - nota anche Paul Davies - sono in verità una forma di sincronicità nel senso che stabiliscono un legame (... ) fra eventi per i quali qualunque forma di legame causale è proibita». Parlare di a-causalità nell’ambito della parapsicologia richiama istintivamente alla mente Jung e la sua teoria della sincronicità (e in effetti Davies nella sua citazione si riferisce proprio all’illustre psicanalista svizzero). I fenomeni paranormali secondo Jung sono eventi associativi, «sincronici», prodotti da dei simboli archetipi (appartenenti a un inconscio molto profondo di natura collettiva) e attuantesi secondo una dinamica del tutto a-causale, indipendente dallo spazio e dal tempo. Certamente è per questa implicazione di fondo che si instaurò tra Jung e un fisico come W. Pauli, anch’egli tra i fondatori della quantistica, un intenso dialogo. Paul Davies nota che per comprendere alcuni fenomeni o problemi di natura prettamente fisica, ma inspiegabili secondo le leggi fisiche quali il caos o il «principio antropico» (basato sulla possibilità - di nuovo senza entrare in dettagli - che tra la presenza dell’uomo nell’universo e il ciclo evolutivo dell’universo stesso vi sia un particolare legame di natura a-causale), è necessario ricorrere a un principio abbastanza 87 intillafunzione_stampa.indd 87 7-11-2006 10:39:04 vicino al concetto Junghiano di sincronicità. Qualcuno potrebbe obbiettare che la sincronicità è solo una delle molte teorie della psi. In realtà è facile evidenziare che quasi tutte le teorie parapsicologiche escogitate in tempi lontani e recenti, con quegli strani nomi esotici che abiamo sentito - L’io subliminale di Meyers e Tyrrel, il «sistema cosmico di leggi psichiche» di Murphy Gardner, la «shin» di Thoules e Wiesner, e ancora quella del «serbatorio cosmico» di William James, del «livello psi» dell’inconscio di Ehrenwald, le teorie «osservazionali» di Walker e Schmidt, tanto per citarne alcune ruotano sostanzialmente attorno agli stessi concetti di base della sincronicità: extra-causalità, indipendenza dallo spazio e dal tempo, funzione attiva di unità o strutture simboliche più o meno inconsce. Torniamo ora alla dimostrazione di Ghirardi, Rimini, Weber che comporta la scomoda - per noi - proprietà di vietare nel modo più assoluto l’utilizzo di processi non-locali per trasmettere un qualunque messaggio e ripetiamo la domanda: quale beffarda convergenza di indizi fa sì che un fenomeno, che avrebbe tutti i connotati per fornire un’indiscussa base teorica alla psi, riveli poi un limite indiscutibile per tale impiego? L’equivoco sta tutto, ritengo, nella parola «messaggio». Riflettiamo con attenzione su che cosa intendiamo normalmente con tale termine: una sequenza di segni codificati che viene trasmessa, attraverso un canale, da un emittente a un destinatario il quale, per parte sua, compie l’operazione di decodifica. Qualunque sia la modalità del processo, quella dell’alfabeto Morse, o la voce umana, o i gesti di uno sbandieratore, la logica che lo rende efficiente è sempre la stessa. Si tratta di un fenomeno che richiede una spesa energetica (per quanto minima) e che si attua secondo una modalità intrinsecamente causale. C’è anche un limite relativistico che lo condiziona: deve propagarsi sempre a velocità non superiore a quella della luce. A questo punto è doverosa la domanda: è così che avviene, se esiste, la comunicazione extrasensoriale? La risposta apparirà, a questo punto, abbastanza scontata: assolutamente no. La psi non implica, come abbiamo visto poc’anzi, alcuna forma di codificadecodifica del messaggio, non implica alcuna causalità, non implica alcuna spesa energetica, non implica alcun limite di propagazione fisica. Si è ricorso a varie formule e definizioni per giustificare questo 88 intillafunzione_stampa.indd 88 7-11-2006 10:39:04 strano tipo di contatto comunicativo, alcune orientate più in senso psicologico, altre più in senso spiritualista. Si è parlato di «simpatia», di «co-sensibilità» (G. Murray), di «gravitazione universale tra le anime» (Myers), di «coniugazione psichica», di «mimetismo mentale» (Talamonti) (si pensi al concetto quantistico di Shimony della «passione a distanza»). Forse una delle più felici definizioni della facoltà (che compendia questo suo agire fondamentalmente a-causale) è quella di Harry Price, secondo il quale la telepatia «è più simile a un contagio che a una conoscenza». Curiosamente il concetto di «contagio», di reciproca «simpatia» tra le cose, sta alla base di tutto il simbolismo della magia, come osserva lo stesso Selleri avvalendosi della notazione di un celebre antropologo, J. Frazer. La presenza di una logica compartecipatoria simile a quella presente nella non-località è evidente. Si deduce da tali osservazioni che la psi non manifesta alcuna attinenza con il limite imposto dalla teoria di Ghirardi, Rimini, Weber, oggetto del cui divieto appare invece proprio la modalità tradizionale del processo di trasmissione dell’informazione che comporta sempre, in ultima analisi, l’azione su un qualche sistema fisico (si tratti della scarica di un neurone o dell’attivazione di un micro-chip). La non-località, nota Ghirardi, è in effetti tale «da non consentire una sua utilizzazione per produrre effetti istantanei a distanza tra sistemi fisici». Occorre purtroppo riconoscere che non è facile concepire una forma di percezione o conoscenza che non comporti alcun tipo tradizionale di trasmissione di informazione quale richiede la psi. Per darne una inquadramento organico occorrerebbe esaminare altri elementi concettuali derivati dalla non-località quali la teoria quantistica della mente, l’eventuale fattore soggettivo implicato - secondo alcune teorie - nei processi quantistici come processi operanti a livello delle funzioni cerebrali (in sintesi, quale aiuto possono offrire per capire quel fenomeno sfuggente e ineffabile che è la coscienza). In via molto schematica potremmo affermare che proprio il modello dell’entanglement, della strana comunione di stati (se solo fisici, o anche psichici è il problema da risolvere) implicato nel paradosso E. P. R. offre per la psi un modello interpretativo interessante. Molto probabilmente è in gioco nella comunicazione paranormale il contrasto tra le due categorie operative del comunicare e dell’essere. 89 intillafunzione_stampa.indd 89 7-11-2006 10:39:05 Un soggetto che ha una qualche percezione extrasensoriale di qualcosa che è nella mente di un altro individuo, verosimilmente non riceve né trasmette niente. C’è una parte della sua personalità che letteralmente viene ad essere qualcosa dell’altro individuo, che instaura con lui una qualche perfetta unione di stati psichici. Ricapitolando dunque gli elementi di apporto della quantistica alla tesi della psi, se accettiamo l’interpretazione ufficiale ortodossa possiamo avvalerci dei concetti di base della scuola di CopenhagenGoettingen la cui visione «mentalista», abbiamo visto, offre ampi sostegni all’esistenza della facoltà. Se accettiamo la tesi alternativa, di cui fu capostipite Einstein, finiamo col dover fare i conti con la visione unitaria del cosmo proposta da Bohm, o in ogni caso, con l’onnipresenza degli effetti non-locali che di nuovo concedono ampi spazi teorici alla facoltà paranormale. Naturalmente non possiamo assumere sic et simpliciter la tesi della non-località come una prova indiscussa della psi. Quello che possiamo rivendicare, nella relazione generale con teoria della meccanica quantistica, è nondimeno l’insensatezza di un luogo comune cui indulgono i critici più radicali: l’inconciliabilità tra i fenomeni paranormali e i concetti della scienza in generale. In realtà i legami, abbiamo visto, esistono e hanno una loro coerenza, una loro ragionevolezza. Se la non-località non può essere considerata una prova assoluta della psi, certamente è una prova della sensatezza dell’ipotesi, del fatto che la psi è un argomento suscettibile di una costruttiva attività di ricerca. 90 intillafunzione_stampa.indd 90 7-11-2006 10:39:05 Mente, causalità e psicocinesi «Seguendo due linee separate di pensiero, Watson, si trovano alcuni punti di contatto che dovrebbero avvicinarsi alla verità» A. CONAN DOYLE «L’inquietudine che tiene in moto perenne l’orologio della metafisica, è il pensiero che la non esistenza del mondo sia possibile quanto la sua esistenza». WILLIAM JAMES Tutti noi sappiamo bene che non basta il pensiero per accendere il fornello sotto la caffettiera, o per portare fuori la spazzatura; dobbiamo muovere i muscoli e svolgere fisicamente il nostro compito. Eppure ciascuno di noi ha provato, in qualche momento della propria vita, ad influenzare il comportamento delle persone o delle cose mediante la sola forza del pensiero. Forse che nessuno ha mai lanciato dei dadi, «desiderando» l’uscita di un certo numero? Forse che nessuno ha mai osservato intensamente una persona di spalle, cercando di farla voltare? Questi sono dei comportamenti abbastanza naturali, dato che nel corso della crescita dobbiamo imparare a conoscere i limiti delle nostre capacità, e dobbiamo apprendere i concetti che riguardano la causalità. I bambini non nascono con la comprensione dei rapporti di causa-effetto. Il pensiero naturale è quello MAGICO. Il pensiero magico consiste nella percezione di una relazione causale tra due eventi, senza però capire i legami causali fra questi stessi eventi. Esprimete un desiderio sotto una stella cadente, ed il vostro desiderio si avvererà. Incrociate le dita affinché la sorte vi sia 91 intillafunzione_stampa.indd 91 7-11-2006 10:39:05 propizia. Pregate per ottenere aiuto. I bambini sono apertamente «magici». Come ha detto il grande psicologo svizzero Jean Piaget, un bambino che vede la luna, prima dalla finestra della sua cameretta e poi dalla finestra della camera dei suoi genitori, penserà che la luna lo stia seguendo. Questa deduzione non è poi così ingiustificata se uno non sa nulla di astronomia, o circa la natura della luna, o della tendenza degli oggetti naturali a non piegarsi alla nostra volontà. Come facciamo a sapere che cosa causa che cosa? Se vi trovate in una sala riunioni e osservate qualcuno di spalle, e costui si gira e vi guarda in viso, sarà stato forse il vostro sguardo a farlo voltare? Molta gente pensa che sia così, perché ciò è quanto l’esperienza dice loro. Una tale semplice convinzione, supportata da successi occasionali dovuti a coincidenze, oppure al fatto che una persona, mentre viene guardata intensamente, si è voltata per vedere come mai nella sala è calato il silenzio, è sufficiente per convincere diversa gente che i poteri psichici esistono. Per ragioni analoghe, una buona dose di pensiero «magico» è presente, sotto forma di rituali superstiziosi, all’interno delle sale da gioco o dei campi sportivi. Cosa possiamo dire di tutti quei casi in cui fissate lo sguardo su di una persona, ma questa non si volta affatto, oppure desiderate fare dodici ai dadi ma il risultato del lancio è diverso? Siete proprio sicuri che, se NON vi è alcuna forma di controllo mentale in gioco, sperimenterete una tale quantità di fallimenti, per cui un successo occasionale non vi impressionerà più di tanto? È qui il nocciolo del problema. Il nostro sistema nervoso non è predisposto per svolgere accurate analisi di covarianza fra due variabili, ma per aiutarci a sopravvivere. Esso è strutturato affinché un’importante o evidente coincidenza fra due eventi (fisso la tua nuca e tu ti volti; desidero un doppio sei ai dadi e lo ottengo) lasci una forte impressione, mentre le non coincidenze fra le stesse due variabili siano largamente ignorate. Scottatevi la mano su di un fornello, ed il vostro cervello imparerà che i fornelli sono pericolosi. Toccate poi il fornello più volte senza scottarvi, ma il timore non svanirà del tutto. L’asimmetria di questi effetti è importante per la sopravvivenza. Un animale che venisse aggredito da una volpe, e successivamente venisse lasciato in pace da un’altra volpe, non vivrebbe a lungo se la lezione tratta dalla prima esperienza venisse poi cancellata 92 intillafunzione_stampa.indd 92 7-11-2006 10:39:05 dalla seconda. Dunque vi è un’asimmetria nel modo in cui gli eventi influenzano il nostro sistema nervoso. Pochi episodi - a volte uno solo - di corrispondenza fra due avvenimenti sono sufficienti per controbilanciare un insieme molto numeroso di mancate corrispondenze, almeno per quanto riguarda la sensazione che un evento sia causa dell’altro. Certamente, coloro che credono che il fissare intensamente una persona alle spalle abbia un qualche effetto, sono anche convinti che questo non sempre si verifichi. Per questo motivo la loro credenza è molto resistente alle smentite. La scienza è essenzialmente un mezzo per cercare di fare in modo più accurato ciò che tutti noi tentiamo di fare nella vita quotidiana: capire che cosa causa che cosa. Solo la scienza cerca sistematicamente di eliminare spiegazioni alternative circa gli eventi concomitanti. Voi guardate, e qualcuno si volta. Lo scienziato vuole stabilire se il fatto di voltarsi abbia qualche legame con lo sguardo e, se così, in quale modo i due eventi siano fra loro connessi. Potrebbe forse trattarsi di una semplice coincidenza? Dopo tutto, ci sarà capitato spesso di stare seduti dietro ad altre persone, aspettandoci di vedere ogni tanto qualcuno girarsi per motivi suoi. O non sarà piuttosto che l’osservatore è improvvisamente rimasto zitto ed immobile, e che questo repentino silenzio ha indotto l’altra persona a voltarsi per vedere che cosa è successo? La psicocinesi si riferisce al movimento (la cinesi) di oggetti dovuto all’influenza della mente (la psiche). Sia che si consideri o meno come psicocinesi il fatto di osservare la nuca di qualcuno e di farlo voltare, il successo nell’influenzare il lancio dei dadi verrebbe sicuramente attribuito alla psicocinesi stessa. Alla fine del secolo scorso, le indagini circa la possibilità della psicocinesi non erano poi una cosa tanto inconsueta. Dopo tutto, quelli erano tempi di grandi scoperte: immaginate lo stupore per essere in qualche modo capaci di inviare suoni attraverso l’etere o dei fili, o per la possibilità di rivelare delle emanazioni provenienti da certi pezzi di roccia, o per essere in grado di osservare l’interno di un corpo umano tramite una radiazione invisibile. Aggiungete a tutto questo il fatto che c’erano in giro molte persone, presumibilmente dotate, le quali affermavano di essere in grado di muovere degli oggetti dentro una stanza, se non con il loro potere mentale, almeno tramite l’intervento di una 93 intillafunzione_stampa.indd 93 7-11-2006 10:39:06 qualche entità immateriale. Ne conseguì che, all’inizio di questo secolo, sia in Europa che negli USA, eminenti psicologi presero in seria considerazione la psicocinesi, insieme ad una sua cugina, la percezione extrasensoriale. La mancanza di prove relative ai fenomeni studiati indusse poi la maggior parte di loro ad abbandonare le ricerche in questo settore. La ricerca nel campo della psicocinesi può essere divisa in tre fasi (Stanford, 1977): - Dal 1934 al 1950, la scena era dominata da Joseph Banks Rhine, ed il principale banco di prova sperimentale era costituito dal lancio dei dadi. Tuttavia, come evidenziato da Stanford, queste sperimentazioni non venivano controllate con l’accuratezza che sarebbe stata necessaria. Malgrado il fatto che Rhine avesse alla fine optato per un lanciatore meccanico, molti studi vennero svolti lanciando i dadi a mano. Per giunta, i dadi stessi contengono un grosso artefatto: le facce con i numeri più alti sono le più leggere, per via delle concavità dei puntini, e quindi sono anche quelle che hanno maggiori probabilità di emergere. Questo problema veniva generalmente trascurato. Attualmente, a causa degli errori empirici, i parapsicologi non danno più molta importanza ai primi studi effettuati con i dadi, anche se vi è un recente rinnovato interesse. - Attorno alla metà degli anni quaranta, si scoprì l’effetto del «declino del quartile»: ci si accorse che, se si esaminavano i risultati di una sessione sperimentale, la quantità di successi era solitamente maggiore nel primo quarto della sessione che non durante l’ultimo, e questo fatto venne considerato come una proprietà della psicocinesi. Le ricerche e le analisi vennero dirette sempre più verso questo ed altri effetti «interni», interpretati come segni della realtà della psicocinesi stessa. - Dal 1951 al 1969, in ciò che Stanford chiamò il «periodo di mezzo», il metodo dei dadi cadde in relativo disuso, e l’enfasi venne posta sul metodo dello «spostamento». Lo scopo consisteva nell’influenzare un dado od una pallina, in modo da farli muovere in una certa direzione mentre rotolavano lungo un piano inclinato. Tuttavia, come nel caso del lancio dei dadi, neppure qui emersero dei dati convincenti. Nella terza fase di Stanford, l’uso di generatori elettronici di 94 intillafunzione_stampa.indd 94 7-11-2006 10:39:06 eventi casuali fornì ciò che i parapsicologi sperarono essere un elemento decisivo: d’ora in poi sarebbe stato possibile studiare l’influenza della mente su eventi davvero casuali, mediante l’uso di apparati automatici, del tutto obiettivi. Beloff ed Evans (1961) furono i primi a cercare gli effetti della psicocinesi sul fenomeno del decadimento radioattivo, ma non ebbero alcun successo. Helmut Schmidt fu il pioniere degli studi di psicocinesi condotti con l’aiuto di generatori di eventi casuali. Un tipico esempio di apparecchio e di paradigma di Schmidt richiede quattro lampade connesse ad un circuito elettronico. Il circuito aziona in sequenza ciclica quattro interruttori, uno per ogni lampada. Quando un annesso contatore geiger rivela l’emissione di una particella da una sorgente radioattiva, il circuito si ferma, qualunque sia l’interruttore attivato in quel momento, e mantiene quindi stabilmente accesa una lampada. Lo scopo del soggetto è di indurre una particolare lampada a rimanere accesa il più frequentemente possibile. Naturalmente, l’unico modo per sapere se il soggetto ha avuto successo consiste nel paragonare la frequenza delle accensioni della lampada prescelta con quanto ci si può attendere dal caso. Con questo ed altri paradigmi simili, Schmidt sostenne di aver trovato prove convincenti a sostegno della psicocinesi. Fu lui a dimostrare successivamente che un gatto in un locale freddo poteva mantenere accesa una lampada, azionata casualmente, per un tempo totale maggiore di quanto consentito dal caso, e che degli scarafaggi subivano una quantità di scariche elettriche maggiore di quanto ci si potesse aspettare (forse a causa dei poteri psicocinetici dello stesso Schmidt e della sua ripugnanza per gli scarafaggi), e che le uova fecondate potevano mantenere accesa una lampada riscaldante per un tempo maggiore del previsto. Il lavoro di Schmidt si fece ancora più notevole, poiché giunse apparentemente a dimostrare che la psicocinesi poteva estendere i propri effetti nel tempo, sia nel passato che nel futuro. Per esempio, Schmidt (1976) usò un generatore casuale binario per produrre una serie di scelte casuali, le quali venivano tradotte in suoni impulsivi inviati agli auricolari di una cuffia stereofonica. La sequenza di suoni venne registrata su nastro magnetico in duplice copia, e uno dei due nastri venne messo al sicuro per i futuri controlli. 95 intillafunzione_stampa.indd 95 7-11-2006 10:39:06 L’altro nastro venne poi fatto ascoltare ad un soggetto, il cui compito era quello di indurre un aumento della frequenza degli impulsi che giungevano all’orecchio destro. Successivamente, Schmidt contò il numero di impulsi che si erano verificati nel canale destro, e trovò un evidente aumento statistico nella direzione voluta. Ma la cosa più importante, come da lui detto, fu che quando egli stesso paragonò la sequenza di impulsi del nastro sperimentale a quella registrata nella copia che era stata messa da parte, scoprì che erano identiche! Concluse quindi dicendo che il soggetto aveva influenzato ambedue i nastri, presumibilmente mediante il collasso di una funzione d’onda quantistica nel momento dell’osservazione (influenzando perciò in maniera identica i due nastri, tramite una qualche stravaganza della meccanica quantistica), oppure andando a ritroso nel tempo per alterare le serie nel momento in cui venivano generate. Lo scettico sarebbe rimasto molto più impressionato, se nel nastro ascoltato dal soggetto fossero state invece trovate delle differenze rispetto al contenuto del nastro di controllo! Il margine di successo che Schmidt otteneva nei suoi lavori è molto piccolo, anche se statisticamente significativo. Il valore medio dei successi nella sua ricerca era solo di poco superiore a quanto ci si può aspettare dal c1; 0caso (per esempio: 50.53%, rispetto ad una probabilità puramente casuale del 50.00%. (Palmer, 1985)). Robert Jahn è l’ex preside della facoltà di ingegneria all’università di Princeton, dove continua ad insegnare ed a svolgere attività di ricerca. Egli si è convinto dell’esistenza della psicocinesi in base delle proprie ricerche, e accetta il fatto che essa possa trascendere non solo lo spazio, ma anche il tempo. Come Schmidt, anche lui cerca di interpretare le sue scoperte secondo i termini della meccanica quantistica. Grazie alla sua posizione di prestigio e alla sua reputazione, i suoi lavori e le sue conclusioni hanno sollevato molto più interesse di quelle di Schmidt, almeno al di fuori del settore della parapsicologia. Jahn ha concentrato le sue ricerche in tre aree: (1) studi di psicocinesi in cui i soggetti tentano di influenzare l’uscita di un generatore di eventi casuali; (2) studi di macro-psicocinesi in cui i soggetti cercano di influenzare la caduta di palline in una macchina statistica dimostrativa, e (3) studi sulla visione a distanza. Nei suoi studi con i generatori di numeri casuali, Jahn ha accumulato milioni 96 intillafunzione_stampa.indd 96 7-11-2006 10:39:06 di prove con un sistema automatizzato in cui i soggetti cercano di influire su di un processo casuale o pseudocasuale. In uno lavoro tipico, un generatore casuale binario viene predisposto per emettere una serie di 200 bit dopo che un tasto è stato premuto. Questi 200 bit rappresentano una singola prova. Il soggetto osserva un display numerico il quale registra il numero totale di «uni» o di «zeri» contenuti nella serie. L’esperimento si svolge secondo un protocollo tripolare, nel senso che al soggetto viene chiesto di produrre un punteggio maggiore di 100, uno minore di 100, oppure, durante le prove di controllo, di non fare assolutamente nulla. Un singolo esperimento consiste in 50 prove in cui il soggetto deve «mirare» in alto, 50 prove in cui deve «mirare» in basso, e 50 prove di controllo. Una serie completa consiste in 50 di questi esperimenti. Jahn ha raccolto tutti i dati ottenuti nel corso di diversi anni, durante i quali le sue apparecchiature avevano anche subito alcune modifiche. A dispetto dell’elevata significatività statistica che Jahn attribuisce ai suoi risultati, Palmer (1985) calcolò il valore medio dei successi per tutta la mole di dati, e scoprì che si trattava solo del 50,02%, contro un’aspettativa teorica del 50,00%. Comunque, per via dei milioni di prove effettuate, anche un minimo scostamento come questo assume un valore statistico molto significativo. Esistono però diversi problemi nelle ricerche che Jahn ha eseguito con i generatori di numeri casuali: (1) Per cominciare, la maggior parte della significatività dei dati proveniva dai risultati ottenuti da un solo soggetto, che era poi la stessa persona che collabora con lui e gestisce il suo laboratorio. Jahn ha in seguito fornito altri dati i quali, secondo lui, indicano che gli effetti non sono limitati a quell’unico soggetto. (2) Come evidenziato da Palmer (1985), Jahn non ha fornito alcuna documentazione circa i provvedimenti adottati per evitare che i risultati venissero manomessi dai soggetti. Il soggetto viene solitamente lasciato da solo con l’apparecchuatura durante lo svolgimento degli esperimenti. (3) Le prove di controllo sono spesso eseguite separatamente dalle prove sperimentali, e questo è un fatto assai rilevante, poiché il paragone tra i due tipi di prove è alla base del processo di inferenza. 97 intillafunzione_stampa.indd 97 7-11-2006 10:39:07 (4) La distinzione fra studi formali e studi esplorativi non è chiara. È possibile che delle prove esplorative siano state qualche volta considerate a posteriori come delle prove formali, specialmente se i loro risultati sembravano positivi? (5) Jahn esegue ripetute prove statistiche «post hoc» sui suoi dati, e perciò i livelli di significatività da lui asseriti, che sono interpretati come se si riferissero ad una singola prova, risultano gonfiati in una misura imprecisata. In conclusione, ciò che Jahn deve fare adesso è condurre un esperimento: egli deve specificare in anticipo il protocollo sperimentale, completo delle previsioni che devono essere verificate, il numero dei soggetti, il numero delle prove, ecc. Finché non farà così, egli avrà raccolto soltanto una grandissima collezione di dati pilota. Nei suoi studi con la cascata meccanica casuale, Jahn usa un dispositivo statistico dimostrativo, il quale consente la caduta di 9000 palline di polistirolo attraverso una matrice di 330 pioli, che le smista in 19 diversi contenitori secondo una distribuzione della popolazione che è approssimativamente Gaussiana (Dunne, Nelson e Jahn, 1988). Gli operatori tentano di spostare la popolazione verso destra o verso sinistra. Al tempo di quella pubblicazione del 1988, quattro dei venticinque operatori coinvolti nelle ricerche avevano «ottenuto separazioni anomale, nei loro sforzi sia verso destra che verso sinistra», e altri due avevano ottenuto separazioni significative verso destra o verso sinistra dalla linea di base. Di nuovo, ciò che qui serve è un esperimento delineato con chiarezza, con tutti i dettagli, inclusi i confronti statistici necessari, da specificare in anticipo. Per quanto concerne gli studi di Jahn sulla visione a distanza, anche se essi non coinvolgono la psicocinesi, vale comunque la pena di riferire che essi sono stati recentemente esaminati in dettaglio da un gruppo di parapsicologi (Hansen, Utts e Marwick, 1991), i quali hanno concluso che: «Gli esperimenti del PEAR [Princeton Engineering Anomalies Research] di visione a distanza, si discostano da quelli che sono i criteri comunemente accettati della ricerca formale nell’ambito scientifico. Infatti, essi sono indubbiamente fra i peggiori esperimenti di percezione extrasensoriale mai pubblicati in molti anni. Le carenze forniscono spiegazioni alternative plausibili. Non sembra esserci alcun metodo 98 intillafunzione_stampa.indd 98 7-11-2006 10:39:07 statistico disponibile per la valutazione di questi esperimenti, a causa del modo in cui essi sono stati condotti.» (p. 198) Mentre non possiamo concludere direttamente che la medesima trasandatezza sperimentale abbia caratterizzato il suo lavoro sulla psicocinesi, questa valutazione negativa da parte degli stessi parapsicologi non depone comunque molto a favore della qualità degli sforzi sperimentali nel laboratorio di Jahn. Dopo tutto, è lo stesso Jahn che traccia un parallelo tra i risultati ottenuti nei suoi studi sui generatori di numeri casuali, la cascata meccanica, e la visione a distanza: «Quattro esperimenti tecnicamente e concettualmente distinti - un generatore binario casuale pilotato da una sorgente elettronica di rumore a diodo; un generatore pseudocasuale deterministico; una cascata meccanica su larga scala; un protocollo digitalizzato di percezione a distanza - mostrano degli andamenti sorprendentemente simili nello scostamento dei conteggi dalle rispettive distribuzioni casuali... In ciascun caso, il risultato equivale ad una semplice trasposizione marginale dell’appropriata distribuzione statistica Gaussiana verso un nuovo valore medio... o, in modo equivalente, ad un cambiamento della probabilità fondamentale del processo binario di base [p]...» (Jahn, York e Dunne, 1991, Abstract). La meta-analisi è uno strumento per la revisione dei lavori pubblicati. Essa fornisce una procedura statistica per esaminare studi sperimentali correlati, e farsi un’idea di quanto essi supportino collettivamente una particolare ipotesi. La meta-analisi è diventata molto popolare nella parapsicologia contemporanea. Viene usata per dimostrare che c’è una chiara indicazione, proveniente non solo da studi individuali che potrebbero essere affetti da errori, bensì da un’ampia collezione di ricerche, che le anomalie statistiche, sempre implicitamente o esplicitamente interpretate come il risultato di influenze psichiche, esistono. Ricorderete che in precedenza avevo detto che gli studi con i dadi erano caduti in disuso nelle ricerche di parapsicologia. Tuttavia, Radin (1991) ha presentato una metaanalisi relativa a 73 rapporti pubblicati tra il 1935 ed il 1987, per un totale di 148 studi e più di due milioni di lanci di dadi, in cui erano coinvolti 52 investigatori e oltre 2500 soggetti. Egli scoprì che c’era effettivamente la presenza di un artefatto quando l’obiettivo 99 intillafunzione_stampa.indd 99 7-11-2006 10:39:07 era la faccia con un numero alto, come il sei. Ma quando si mise ad analizzare un sottoinsieme di 59 studi intesi a verificare proprio questo artefatto, trovò le prove di «un effetto indipendentemente replicabile, significativamente positivo», e non spiegabile in termini di resoconti parziali o di differenze nella qualità metodologica. Radin e Nelson (1991) hanno condotto una meta-analisi di «tutti gli esperimenti conosciuti che studiano le possibili interazioni tra lo stato di coscienza ed il comportamento statistico dei generatori di numeri casuali», prendendo in esame 597 studi sperimentali e 235 studi di controllo pubblicati tra il 1959 ed il 1987. (Questi provenivano da 152 differenti relazioni - uno studio definito come la più grande possibile aggregazione di dati non sovrapposti e raccolti con un unico scopo ben preciso). Gli autori hanno concluso che gli studi di controllo si conformano bene alle aspettative di casualità, mentre gli effetti sperimentali deviano significativamente da queste aspettative: «L’entità dell’effetto complessivo ottenuto in condizioni sperimentali non può essere adeguatamente spiegata con carenze metodologiche o parzialità nei resoconti. Perciò, dopo aver considerato tutte le testimonianze ottenibili, pubblicate e non, mitigate da tutte le legittime critiche emerse fino ad oggi, è difficile evitare la conclusione che, in determinate circostanze, la mente interagisce con sistemi fisici casuali. (Resta ancora da vedere se questo effetto sarà alla fine attribuito ad un qualche artefatto metodologico sin qui trascurato, o ad un nuovo tipo di perturbazione bioelettrica di sensibili dispositivi elettronici, o se verrà considerato come un contributo empirico alla filosofia della mente. )» (p. 1152). Che cosa ci rimane? Si direbbe che se usiamo generatori sia di eventi propriamente casuali oppure pseudocasuali deterministici, e sia che cerchiamo effetti in tempo reale o dispersi a ritroso o in avanti nel tempo, e sia che lavoriamo con eventi di microlivello o di macrolivello come nella cascata casuale di Jahn, l’entità degli effetti sarà virtualmente la stessa (Jahn, York e Dunne, 1991). A detta di Schmidt (1988), sia gli esperimenti con diversi tipi di flipper a monete e sia quelli con i dadi forniscono effetti psicocinetici dello stesso ordine di grandezza, e nessuno è mai stato capace di realizzare un generatore casuale apprezzabilmente più sensibile di altri. Per 100 intillafunzione_stampa.indd 100 7-11-2006 10:39:07 giunta, Stanford (1977), passando in rivista la psicocinesi, concluse che il successo in questo campo non dipende dalla conoscenza dell’obiettivo, dalla natura o dall’esistenza del generatore di eventi casuali, dalla complessità o dal progetto del generatore di numeri casuali, e neppure dal fatto che ci si stia cimentando in uno studio di psicocinesi. Egli concluse dicendo che, in qualche modo, il fenomeno psicocinetico si manifesta senza che vi sia una qualche forma di elaborazione da parte dell’organismo, ed avviene in modo tale da raggiungere lo scopo senza nessuna mediazione sensoriale. Chiaramente, tutto questo ricorda molto da vicino la cosiddetta magia naturale: esprimi un desiderio ed esso si avvererà. Le nostre convinzioni aprioristiche sono la chiave per determinare se siamo disposti ad assegnare alla psicocinesi il ruolo di agente causale delle deviazioni statistiche. Jefferys (1990) ha criticato l’applicazione dell’analisi statistica classica agli studi eseguiti con generatori di numeri casuali, in quanto essa non sarebbe adatta a questo tipo di dati e porterebbe ad una grossolana sopravvalutazione della significatività dei risultati. In effetti, egli afferma che l’analisi Bayesiana, la quale prevede la presenza di convinzioni aprioristiche, mostra che piccoli valori di «p» possono non essere sufficienti a provare l’esistenza di un fenomeno anomalo. Jefferys illustra questo punto utilizzando una parte dei dati raccolti da Jahn. A seconda delle ipotesi formulate a priori, l’analisi Bayesiana dei dati di Jahn potrebbe addirittura indurre ad essere piuttosto scettici. In conclusione, ciò che Jahn ed altri devono fare è innanzitutto un esperimento ben concepito, con previsioni chiare, con dichiarazioni specifiche circa quanto verrà sottoposto ad esame ed al numero delle prove, ecc. Poi, se emergono dei risultati, occorre replicare in modo indipendente gli esperimenti. Successivamente bisogna cercare di capire che cosa produce gli scostamenti dalla pura casualità, invece di etichettarli subito come fenomeni psicocinetici, e poi concretizzare il concetto di psicocinesi in modo da spiegare quegli scostamenti. Nel frattempo, a causa di carenze metodologiche, di previsioni malamente definite, e dell’incapacità di replicare gli esperimenti da parte di altri studiosi, non ci sono, secondo me, dati anomali da spiegare. E se anche vi 101 intillafunzione_stampa.indd 101 7-11-2006 10:39:08 fossero, essi potrebbero puntare altrettanto bene nella direzione dell’esistenza del dio Giove quanto in quella della psicocinesi. Negli ultimi anni un numero crescente di ricerche ha dimostrato l’esistenza della retrocausalità: situazioni nelle quali le cause sono collocate nel futuro e l’informazione si muove a ritroso nel tempo. In questo lavoro si suggerisce di inserire queste informazioni nei processi decisionali al fine di governare in modo più efficace ed efficiente il presente. Le dimostrazioni più famose di retrocausalità sono state prodotte da: -PEAR (Princeton Engineering Anomalies Research) che, studiando l’interazione mente/macchina, ha dimostrato la possibilità di modificare l’andamento di generatori di numeri causali con la semplice intenzionalità (Jahn e Dunne 2005). In questi esperimenti l’interazione anomala mente-macchina risulta essere più marcata nella modalità retrocausale PRP (Precognitive Remote Perception), raggiungendo una significatività (rischio di errore) di p=0,000002 (Nelson 1988). - Cognitive ScienceLaboratori che, studiando stimoli fortemente emotivi, ha scoperto l’esistenza di una riposta cutanea anticipata di 3 secondi (James 2003), con significatività statistica (rischio di errore) di p=0,00054. - Radin e Bierman (1997) i quali dimostrano che la risposta anticipata del sistema nervoso autonomo e la conduzione cutanea possono essere utilizzati come predittori di esperienze future. - Parkhomtchouck (2002) che utilizza la fMRI (functional magnetic resonance imaging) per studiare la retrocausalità. Tutte queste ricerche hanno mostrato che le emozioni costituiscono il veicolo principe della retrocausalità e delle informazioni che provengono dal futuro. Alle stesse conclusioni era giunto Luigi Fantappiè quando, nel 1942, trovò il collegamento tra soluzione negativa dell’equazione di Dirac, sintropia ed emozioni (Fantappiè 1993). Chris King (1989) lega la retrocausalità al libero arbitrio e afferma che in ogni momento la vita deve scegliere tra le informazioni che provengono dal passato e le informazioni che provengono dal futuro. Secondo King, da questa attività costante di scelta, da questo indeterminismo di base, nasce l’apprendimento e la coscienza. King 102 intillafunzione_stampa.indd 102 7-11-2006 10:39:08 sottolinea che la coscienza soggettiva è una necessaria conseguenza della supercausalità che nasce dall’unione della casualità ordinaria con la retrocausalità. (King 2003). «Parecchi indizi rilevati nei nostri studi sulle anomalie fisiche dipendenti dalla coscienza suggeriscono che i meccanismi che sottendono la loro espressione sono associati a processi biologici inconsci più che a quelli cognitivi. Essi includono la mancanza di evidenza a favore di un apprendimento da ripetute esperienze; la diffusa presenza di effetti di posizione seriale chiaramente associati alla dimensione soggettiva inconscia; le differenze di genere; la suscettibilità alla distorsione da comportamenti casuali in esperimenti privi di intenzione; i frequenti resoconti dei partecipanti sulla loro maggiore capacità di ottenere risultati quando non tentano coscientemente di ottenere buoni risultati; gli apparenti effetti di risonanza interpersonale; e i risultati ottenuti con animali.» BRENDA DUNNE (PEAR MANAGER) 103 intillafunzione_stampa.indd 103 7-11-2006 10:39:08 intillafunzione_stampa.indd 104 7-11-2006 10:39:08 Guarigione intenzionale «I concetti che ora si dimostrano fondamentali per la nostra comprensione della natura …. sembrano alla mia mente essere strutture di puro pensiero, (…. ) L’universo inizia ad assomigliare più ad un grande pensiero che ad una grande macchina.» JAMES JEANS, IN «THE MYSTERIOUS UNIVERSE» «Guidati dalla forza dell’amore, i frammenti del mondo si cercano l’un l’altro perché il mondo possa nascere». PIERRE TEILHARD DE CHARDIN Man mano che la nostra conoscenza scientifica aumenta, il mondo fisico rivela un’unità ed un’interconnessione fondamentali che nascondono un’apparenza superficiale di distinzione e separazione meccanica. Anticipando la medicina moderna di molti secoli, le ipotesi di base che mettono in risalto le tradizioni sia di guarigione che di cure mediche allopatiche nella maggior parte delle culture del mondo includono il riconoscere, a livello intuitivo, un Tutto o l’unicità fisica e una visione del mondo come profondamente interconnesso. Molte terapie alternative attingono da queste tradizioni condividendo la convinzione che la mente può contribuire, in modo diretto, al processo di guarigione. Sebbene la mente e la coscienza non siano contemplate esplicitamente nei correnti modelli fisici, un numero sempre crescente di fisici sta cercando le modalità per farlo, motivati in parte da un solido corpo di evidenza sperimentale che dimostra come le intenzioni umane (il pensiero) possano trascendere le barriere spazio-temporali. 105 intillafunzione_stampa.indd 105 7-11-2006 10:39:08 Modelli di guarigione alternativa e la loro pratica basata sull’intenzionalità (volontà) sono difficili, se non impossibili da spiegare entro i limiti dell’attuale conoscenza scientifica. Preghiere di intercessione, guarigione sciamanica, tocco terapeutico e guarigione a distanza, tutto sembra essere in grado di aumentare e accelerare il processo di guarigione, ma senza alcun evidente meccanismo candidato. Anche altre pratiche più convenzionali sono valorizzate da complementi di scarsa comprensione come l’effetto placebo o il «pensiero positivo». Sebbene i meccanismi che sottostanno alle terapie alternative risultino sfuggenti, vi sono alcuni elementi in comune: il contesto comune include il riferimento al «disordine» solitamente causato (inteso come malattia), e la potenziale struttura o informazione che viene richiesta per ristabilire il sistema. La guarigione sembra derivare più specificatamente da una volontà, da un’intenzione a guarire, e le modalità intenzionali condividono tutte uno sforzo per stabilire un collegamento o risonanza tra il guaritore ed il paziente. Si possono estrapolare alcuni discernimenti sui meccanismi possibili da una letteratura istruttiva che riguarda esperimenti che studiano le dirette interazioni tra la coscienza umana ed il suo ambiente. Tali esperimenti condividono questi elementi comuni e la maggior parte di essi sono basati su dispositivi che racchiudono alcune forme di casualità o disordine e sono progettati specificamente per rilevare un trasferimento di informazioni per mezzo dell’intervento dell’intenzione cosciente. Su una più ampia scala, in fisica moderna, vi è un’esplicita interconnessione a livello subatomico che può suggerire simili interazioni sottili e influenze tra sistemi fisici macroscopici. Allo stesso tempo, la teoria del caos7 modella la capacità delle influenze sottili di evocare considerevoli effetti nei sistemi naturali caratterizzati da dinamiche non lineari, suggerendo l’equivalente funzionale di informazione e di energia. Le interconnessioni dilaganti, trasportando informazione ed influenza, possono eventualmente essere viste come aventi un ruolo primario in alcune forme di guarigione intenzionale. A sostegno di questa possibilità giunge la ricerca di base, che da alcuni decenni viene condotta, la quale ha fornito un accumulo di prove scientifiche circa il fatto che la coscienza umana e 106 intillafunzione_stampa.indd 106 7-11-2006 10:39:09 l’intenzione possono alterare il comportamento dei sistemi fisici ed accedere in modo anomalo all’informazione fisicamente isolata. In questi esperimenti, sembra esserci un collegamento «non-locale» di informazione-relazione della coscienza tra persone separate fisicamente e temporalmente o tra dispositivi analoghi e può servire da modello per le connessioni anomale ed inspiegabili che sono al centro dei sistemi di guarigione. Le scoperte di laboratorio che dimostrano le interazioni anomale della coscienza con i sistemi fisici sono convincenti, e nell’applicazione clinica, con la sua importanza intrinseca ed il suo significato, noi osserviamo spesso un miglioramento imputabile a pratiche alternative e complementari. E occasionalmente si osservano delle guarigioni che sembrano «miracolose». Per ora siamo solo agli inizi della ricerca di spiegazioni chiare. Il pregio della ricerca di laboratorio consiste nel fatto che essa può essere progettata con una maggiore attenzione rivolta al funzionamento e alla comprensione, mentre le applicazioni reali di guarigione devono necessariamente avere come scopo principale il benessere delle persone coinvolte. Con la guarigione intenzionale come contesto, questo studio descrive un corpo di esperimenti che esplorano le relazioni tra la mente, il mondo fisico ed alcuni rudimentali modelli teoretici i quali tentano una riconciliazione tra gli effetti anomali della coscienza e la fisica moderna. L’evidenza oggettiva, è quella che la guarigione e i miglioramenti accadono come risultato di interventi come preghiera di intercessione, tocco terapeutico senza contatto, ed altre forme di guarigione a distanza. Sorgono immediatamente due domande tra loro collegate: «In che modo agiscono queste procedure?» e «Come possiamo migliorarle ed aumentare il loro beneficio sui pazienti?». La prima implica una teoria che spiega i meccanismi e permette di formulare predizioni collaudabili. La seconda dipende in parte dalla prima, ma consente anche un’estensione puramente empirica per mezzo di tentativi, errori e acquisizione di esperienza. Disponiamo soltanto di idee intuitive e speculative sulle basi fisiche della guarigione alternativa e complementare. Un certo numero di modelli informali o teorie servono come utile background per i medici, ma non si possono sottoporre a test scientifici, sebbene siano di grande aiuto nel guidare le procedure dei guaritori. Ad esempio, nel 107 intillafunzione_stampa.indd 107 7-11-2006 10:39:09 tocco terapeutico senza contatto, «energia» e «campi di energia» sono una componente importante del linguaggio descrittivo, anche se non è stata trovata nessuna tecnologia di misurazione per documentare un fenomeno corrispondente. I termini sono riconosciuti come metafore usate effettivamente nel training e nel linguaggio figurato usato dai praticanti. Gli aspetti più importanti del modello del Tocco Terapeutico sono le descrizioni esplicite di «trovare la centralità», ricercare la «risonanza» e «intenzione» all’aiuto e alla cura. Nella preghiera di intercessione c’è un’invocazione di una sorgente esterna da parte di molti praticanti, uno sforzo per accedere ad un potere più alto, con l’atto della preghiera come canale per la sua applicazione. È ancora notevole il ruolo centrale giocato dalla «intenzione nella guarigione» per focalizzare e manifestare il potere della cura. Allo stesso modo, nella metodologia della guarigione a distanza insegnato da Leshan, il guaritore cerca «unità» con l’universo e quindi con il paziente, e vi è una serie ben definita di esercizi concepiti per promuovere questo stato. Lo stato di unicità è concepito come fornitore di un canale di comunicazione delle intenzioni del guaritore. Questi esempi, e virtualmente tutta la classe di sistemi alternativi di cura che funzionano senza un’apparente connessione fisica né alcun meccanismo, condividono l’elemento comune di intenzione alla guarigione e la sensazione che alcune forme di risonanza possono stabilire un canale di comunicazione per quell’intento, sebbene essi possano differire considerevolmente in altri aspetti della loro definizione o condotta e nel loro tentativo di spiegazione teoretica. La ricerca di laboratorio sulla diretta interazione della coscienza umana con l’ambiente fisico e la relativa ricerca della comunicazione anomala dell’informazione attraverso la separazione spaziale e temporale, indirizzano lo stesso risultato ad un livello fondamentale. Questi esperimenti relativamente semplici sono in linea di principio analoghi a vari aspetti del lavoro di cura e gli studi con tali sistemi possono fornire un approccio effettivo per imparare di più circa le condizioni che portano alla guarigione e lavorare verso modelli esplicativi. Gli esperimenti mente - macchina hanno alcune forti corrispondenze con il paradigma della guarigione, ma c’è un’analogia 108 intillafunzione_stampa.indd 108 7-11-2006 10:39:09 ancora più stretta in una piccola letteratura di esperimenti, per il resto simili, che usano i sistemi biologici come obiettivo dell’intenzione. Un certo numero di ricercatori hanno studiato gli effetti dell’intenzione cosciente su individui non selezionati e su guaritori di vari sistemi viventi. Ad esempio Nash ha dimostrato come la crescita dei batteri può essere influenzata dall’intenzione cosciente in studi a doppio cieco. Grad innaffiò alcuni semi, alcuni dei quali erano stati «curati» mentre altri no, con una soluzione salina e, in un minuzioso progetto a doppio cieco, notò che i semi curati (trattati) erano più propensi a germogliare e a crescere con successo. In una serie di studi in cui si usavano topolini, Grad e colleghi dimostrarono che ferite cutanee guarivano in maniera significativamente più rapida se trattate da guaritori, in esperimenti che controllavano manufatti come un calore extra proveniente dalle mani. Braud rivelò una notevole riduzione imputabile all’effetto dell’intenzione nei tassi di emolisi delle cellule del sangue dei partecipanti, conservate in soluzione salina. Ancora più vicini alla ricerca clinica sono gli studi che esaminano la possibilità che le misure fisiologiche negli esseri umani siano suscettibili all’influenza a distanza. Dean e Nash scoprirono che l’attività vasomotoria misurata con un pletismografo aumentava quando un agente in un’altra stanza prestava attenzione a nomi di importanza emotiva o per l’agente o per il ricevente. L’attività del sistema nervoso autonomo fu indirizzata verso studi riesaminati da Braud e Schlitz, dove la conduttanza della pelle fu misurata nella persona obiettivo mentre chi influenzava in una stanza separata trasmetteva pensieri e desideri tranquilizzanti o eccitanti. Questi investigatori resero operativa la nozione secondo la quale noi possiamo «sentire» che qualcuno ci sta osservando, installando una video – camera che mostri la persona obiettivo su di un monitor ad un osservatore distante. Semplici misurazioni fisiologiche mostrarono variazioni notevoli e caratteristiche durante i periodi di osservazione, messi a confronto con controlli distribuiti casualmente. Questi studi del sistema biologico sono stati replicati da ricercatori indipendenti e costituiscono una promettente via di ricerca che si pone a metà tra gli esperimenti mente - macchina e gli studi clinici diretti con pazienti umani. È importante notare che questi studi, del tutto analoghi alla ricerca mente - macchina, hanno misure di 109 intillafunzione_stampa.indd 109 7-11-2006 10:39:09 effetti considerevolmente più ampi. Ciò potrebbe suggerire che i meccanismi sono fondamentalmente differenti, ma può darsi che i sistemi biologici siano intrinsecamente più soggetti ad influenze sottili, oppure che sia più facile per la coscienza interagire o entrare in risonanza con un organismo vivente laddove l’impresa sembra più rilevante ed importante. Non vi sono modelli teorici ampiamente riconosciuti per spiegare questi risultati di laboratorio, ma sono stati fatti molti sforzi concreti al riguardo. Probabilmente il meccanismo più frequentemente invocato nei modelli per cercare di spiegare la guarigione intenzionale è una qualche forma di energia analoga alle energie familiari del suono, del calore, della luce e di altri campi elettromagnetici. Come metafora, «energia» è parte del sapere e della scienza di varie anomale modalità di guarigione, ma è difficile trovare un dettaglio descrittivo o misurazioni oggettive. Quando vi è un dettaglio, ad esempio la descrizione di un’aura, esso sembra essere unicamente empirico e soggettivo. Il termine «energia sottile» è usato ampiamente, ma ad un esame più accurato, esso appare come un’etichetta per una varietà di osservazioni anomale e non ha un significato chiaramente specificato o fisicamente accettato. Per interventi immediati di guarigione come il Tocco Terapeutico o l’imposizione delle mani, i campi chimici o elettromagnetici sembrano ragionevolmente essere dei potenziali mediatori, ma per ciascuna modalità di guarigione intenzionale che trascende lo spazio e il tempo, i modelli convenzionali basati sull’energia sono inadeguati. Ci sono prove evidenti che le anomalie studiate sistematicamente nel laboratorio non possono essere adattate in modelli che dipendono da energie fisiche, meccaniche, termiche o elettromagnetiche, comprese quelle generate dal corpo umano e dal sistema nervoso. Gli effetti non vengono diminuiti dalla distanza. I campi fisici, invece, solitamente manifestano un decremento caratteristico in proporzione alla distanza, e le interazioni anomale non sembrano essere ostacolate da alcuna forma di protezione, mentre la maggior parte delle energie fisiche possono essere prontamente deviate o assorbite. Le difficoltà maggiori che incontrano le teorie basate sull’energia è di accogliere le scoperte di laboratorio che indicano, che le influenze anomale attraversano le barriere temporali. Il concetto di campo punto-zero suggerisce che il vuoto fisico e 110 intillafunzione_stampa.indd 110 7-11-2006 10:39:10 tutto lo» spazio» interstiziale sono riempiti da fluttuazioni di campi potenzialmente interagenti. Le fluttuazioni quantiche di particelle, reali o virtuali, danno origine a modelli di interferenza che legano specificatamente le particelle submicroscopiche separate e ciò, a sua volta, implica un’interconnessione funzionale su scale più ampie. Una conseguenza di questa inseparabilità quantica è costituita dal fatto che i sistemi fisici mostrano una qualità di totalità, come viene suggerito nel lavoro di Bohm. Anche se non è possibile spiegarlo in senso meccanicistico, tali modelli portano la coscienza con un ruolo efficace nel contesto. Essi suggeriscono che noi, come osservatori, siamo un «ingrediente» necessario nella determinazione della realtà fisica. Ampliamenti di questo approccio con i modelli considerano più direttamente gli aspetti teorici delle informazioni fornite dalle interazioni anomale. In una versione della teoria dei quanti, che enfatizza l’interconnessione e la totalità del mondo fisico, Bohm descrive una particolare forma di informazione ‘attiva’ che è presente potenzialmente ovunque, ma che è attiva solo quando è significativa. Di conseguenza, un’intenzione a guarire può essere disponibile come una fonte d’informazione con dimensione non locale e universale, con l’esigenza, per la guarigione, di provvedere alla finalità, e quindi, al canale di risonanza, attraverso il quale l’informazione diventa attiva. Considerando la coscienza come una forma o manifestazione di informazione, Jahn e Dunne suggeriscono un’estensione metaforica dei principi meccanici quantistici nel campo della coscienza. La coscienza è considerata sia come particella che come onda, in analogia con le descrizioni meccaniche quantistiche della materia e dell’energia. Nelle sue manifestazioni non localizzate, simili a un’onda, è libera e può penetrare le barriere fisiche e risuonare con altre coscienze e con l’ambiente, acquisendo o inserendo, in tal modo, informazione unica per il sistema interattivo. Basandosi su questa metafora, John e Dunne suggeriscono possibili funzionamenti per l’influsso anomalo. Per esempio, citano il principio meccanico quantistico dell’indistinguibilità allo scopo di aiutare a comprendere il legame. Quando le molecole sono formate da atomi, gli elementi costituenti perdono la loro identità e da questa perdita ne deriva una ‘forza di scambio’ classicamente anomala che produce un forte legame 111 intillafunzione_stampa.indd 111 7-11-2006 10:39:10 covalente. Analogamente, attraverso il sacrificio dell’individualità consapevole, un legame risonante unificante può essere stabilito con un’altra coscienza o un sistema fisico, permettendo l’acquisizione o l’inserimento di informazione. Questo risulterebbe anomalo visto come influenza di un sistema su di un altro, ma in un sistema coerente e unificato, l’informazione viene distribuita ovunque. La fusione delle identità soggettive una con l’altra o con l’ambiente, consente il trasferimento di informazione oggettiva manifestandosi come coesione tra i componenti che precedentemente erano separati, producendo un sistema totale dentro il quale l’entropia è ridotta. Nonostante queste ipotesi possano sembrare astruse, i principi fondamentali corrispondono a quelli coinvolti nelle comuni esperienze interattive come un innamoramento o la creazione di un’opera d’arte oppure il godere della bellezza di un tramonto. Non è difficile immaginare i meccanismi di ‘auto-guarigione’ attraverso la meditazione, le immagini e il pensiero positivo, perché il corpo e la mente sono direttamente connessi da una rete di interazioni neurofisiologiche e biochimiche enormemente complessa. Gli stati mentali, come può essere la volontà di essere sani o di guarire, sono un’aggiunta intrinseca all’informazione che dà forma e controlla le interazioni fisiche e chimiche, aiutando a promuovere un ripristino dell’equilibrio e di una struttura adeguata laddove un incidente o una malattia hanno interferito col normale funzionamento ben ordinato. La ricerca sulle interazioni anomale offre delle prove interessanti che mostrano la possibilità di come, interventi non locali, quali la guarigione intenzionale, possono contribuire analogamente al continuo scambio di informazione che è essenziale al fine di mantenere l’integrità dei sistemi viventi. Gli esperimenti mostrano persuasivamente che gli effetti anomali si verificano oltre le separazioni spaziali significative, sebbene si debba riconoscere che gli effetti sono di portata piuttosto scarsa quando consideriamo le applicazioni. È poco probabile che tra breve si trarrà profitto da queste scoperte per costruire un congegno pratico per aprire la porta di un garage, o un telecomando per la TV. D’altra parte, dispositivi di questo tipo non sono che la semplice fine di una scala in cui i sistemi biologici e la coscienza definiscono un polo opposto 112 intillafunzione_stampa.indd 112 7-11-2006 10:39:10 molto più complesso. I corpi viventi, con i sistemi omeostatico, immunitario e nervoso, i quali compendiano il regno delle dinamiche non - lineari applicate, sono intrinsecamente suscettibili all’influenza di piccoli input e sono in grado di identificare e amplificare anche il più sottile dei modelli rudimentali e l’informazione. I sistemi biologici usano processi casuali e l’indeterminatezza per mantenere il più alto livello possibile di sensibilità ai cambiamenti sottili nell’ambiente. Essi sono reattivi all’informazione sulla scala più sottile; tale informazione riduce il disordine entropico e fornisce un incremento della struttura e della preveggenza, producendo un ambiente interno stabile e interazioni di successo con l’ambiente circostante. In questo contesto, si osserva che guarire una ferita o guarire da una malattia dipende dalla generazione o aggiunta di informazioni appropriate per aiutare a ristabilire l’ordine e la struttura. Le interazioni di lungo raggio tra anticorpi e antigeni, enzimi e substrati suggeriscono effetti non locali e campi che esaminano e utilizzano informazione costruttiva ad un livello fondamentale. Le guarigioni a cascata che cominciano ad essere ben caratterizzate nelle ricerche mediche in corso, mostrano l’ipersensibilità dei sistemi biologici all’informazione e possono rappresentare obiettivi particolarmente fertili per la ricerca sulle guarigioni anomale che coinvolgono una valutazione diretta sulla quantità e efficienza nella produzione e nel trasporto dei mediatori infiammatori. Quando si provoca una ferita, inizia un processo di reclutamento altamente specifico, dal momento che il taglio smembra la struttura e la suddivisione delle cellule endoteliali nel tessuto vascolare, derivante dalla produzione di attrattori endoteliali chemiotassici, linfochinesi e fattori che attivano il rivestimento. Questi apportano alla ferita, con precisione, i mediatori richiesti per il processo di guarigione, compresi i globuli bianchi, linfociti e neutrofili. Così la guarigione è una funzione di un campo chemiotassico strutturato che provoca una cascata, distribuita in base allo spazio, di produzione e trasporto in un processo che è intrinsecamente molto sensibile alle piccole influenze d’informazione dell’ordine di quelle rilevate nella ricerca delle anomalie. Queste sensibilità funzionali intrinseche potrebbero costituire la matrice che permette al processo di guarigione volontaria di operare attraverso lo spazio e il tempo 113 intillafunzione_stampa.indd 113 7-11-2006 10:39:10 servendosi di mezzi di acquisizione anomala, o di trasferimento di informazione. Di certo quest’informazione sulla guarigione anomala costituisce solo una parte del processo di guarigione, ma un crescente insieme di studi controllati, di alta qualità, indica con insistenza che esso può essere un elemento importante, potenzialmente cruciale, nel mantenimento della salute e nel processo di recupero dalla malattia. Gli esperimenti che abbiamo esaminato mostrano che la coscienza umana può intaccare i sistemi fisici impartendo direttamente informazioni, bypassando i normali meccanismi fisici. E tale informazione può essere comunicata su grandi distanze e al di là delle barriere temporali. Come Jahn suggerisce, discutendo sulle relazioni tra l’informazione, la coscienza e la salute, «il fenomeno anomalo che abbiamo studiato, può essere un microcosmo indicativo di un genere di capacità umana ben più ampio - la capacità di creare, di ordinare, di guarire». Una lesione o una malattia si manifestano come un disturbo o disordine all’interno di un sistema che, se sano, è magnificamente strutturato e ordinato. Questo è, d’altra parte, così complesso che la sua funzione su di una misura accurata, è al di là delle nostre conoscenze scientifiche complessive. Così come nel controllo omeostatico del corpo, straordinariamente preciso, o nei meccanismi esatti di riparazione e rigenerazione quando veniamo feriti, o nella creazione di idee. Quando si verifica una distruzione, e una guarigione viene richiesta, l’esigenza è per un ordine supplementare, per l’introduzione dell’informazione. Certamente la coscienza non è altro che una manifestazione d’informazione, e nelle sue capacità creative e costruttive, essa è idealmente compatibile, come serbatoio, per i processi che sostengono e ripristinano la salute e il benessere. 114 intillafunzione_stampa.indd 114 7-11-2006 10:39:11 Simmetrie e sincronie «Siamo creature naturali che si sono evolute all’interno di un grande sistema vivente. Il resto del sistema cercherà di disfare o equilibrare in tutti i modi possibili, qualsiasi cosa noi facciamo che non sia a favore della vita». ELISABET SAHTOURIS «Tutto il vero vivere è l’incontro. L’incontro non è nel tempo e nello spazio, ma lo spazio e il tempo sono nell’incontro». MARTIN BUBER Un nuovo modo di pensare della scienza sta quindi emergendo agli inizi del secolo XXI, nel quadro del passaggio tra l’epoca industriale basata sull’interpretazione meccanica della fisica e la società post industriale dell’economia della conoscenza. La spiegazione dei fenomeni fisici ormai implica anche la conoscenza del funzionamento biochimico del cervello. In tal senso diviene necessario riflettere, nell’ambito di una teoria evoluzionistica del sapere, come sia stata storicamente possibile l’attuazione di una connessione risonante tra percezione sensoriale ed apprendimento cerebrale vista in relazione alla tradizionale interpretazione di eventi fenomenici rappresentabili come eventi indipendenti succedutisi nel mondo esterno. Diversamente, la percezione e la conoscenza, secondo l’approccio innovativo derivabile dalla primaria impostazione cognitiva di D. Bohm, vengono ad essere il risultato di una complessa trasformazione dell’informazione sensoriale condivisibile con la genetica di codificazione dell’informazione propria di ciascuna specie. Pertanto oggigiorno si sente l’esigenza di 115 intillafunzione_stampa.indd 115 7-11-2006 10:39:11 definire una rappresentazione creativa dei diversi livelli di una realtà Fisico - Biologica, integrando le relazioni bio-fisiche, tra soggetto percettivo e l’oggetto percepito. In questa prospettiva futura della Scienza pertanto, non vediamo ne consideriamo più gli oggetti e gli eventi per come oggettivamente sono, ma ne interpretiamo solamente determinati aspetti dell’«Informazione Attiva»; aspetti che possono essere attivati in sincronia di fase tra gli eventi fisici e le onde cerebrali. Comunque dobbiamo ammettere che se tutto fosse risonante e coerentemente in fase nell’ambito delle interazioni tra eventi fisici e attività cerebrali, espressi in un ambito completamente olistico, sarebbe possibile una piena conoscenza, e quindi diverrebbe possibile coscientemente il predire il futuro così come il conoscere univocamente il passato. Invece il conseguimento di un preciso grado di sincronizzazione cerebrale ( «binding resonance function» ), con le diverse popolazioni di neuroni cerebrali, costituisce una sorta di efficiente sistema di riconoscimento specifico sensoriale, sulla base del quale diviene possibile sviluppare la successiva riflessione capace di creare un rinnovato sviluppo cognitivo. In tali condizioni genetico-strutturali, del funzionamento delle aree cerebrali, specializzate ad esprimere determinate funzioni vitali e cognitive, il fenomeno di risonanza bio-elettrica tra onde provenienti dalla ricezione sensoriale e le onde cerebrali, genera quindi delle fluttuazioni coordinate tra gli atomi e molecole nei neuroni. Tali insiemi di neuroni coinvolti in modo sincronico, muovendosi in fase con una maggior ampiezza e la stessa frequenza – vibrazione, tendono ad abbassare il livello energetico di ogni sistema cooperativo; così che la coesione energetica genera l’emissione di bio-fononi, capaci di trasferire l’informazione attiva e il sistema metabolico delle trasformazioni biochimiche. La presenza di bio-fotoni e stata rilevata come radiazione fotonica (specie specifica) ultradebole in tutti gli organismi viventi dal gruppo di Ricerca del Prof. F. Popp che ha messo in evidenza il fatto che sebbene l’intensità della corrente bio-fotonica sia estremamente debole, essa dimostra una coerenza elevatissima la quale conferisce specifità al messaggio cerebrale. Pertanto l’emissione di correnti biofotoniche ed anche di vibrazioni sonore bio-fononiche, entrambe emesse dal cervello, corrisponde a 116 intillafunzione_stampa.indd 116 7-11-2006 10:39:11 poter trasmettere un insieme di messaggi di informazione per via bio-elettrodinamica. In sostanza, perseguendo un tale modo di ragionare sulle relazioni bio-fisiche tra osservato ed osservatore (anche in seguito alle suddette recenti scoperte di bio-fotonica ), si inizia a capire come possa essere prodotta l’informazione biologica, per cui diviene possibile intuire in che modo, nella evoluzione della vita, sia divenuto possibile elaborare la conoscenza (secondo vari modelli cognitivi storicizzati), proprio a partire da un sistema di interazione coerente di risonanze interagenti tra energia e materia. I bio-fotoni che vengono emessi dal normale funzionamento cooperativo cellulare, costituiscono un sistema informativo ultrarapido, sia intra- che extra-cellulare. L’allineamento sintonizzato di fasci coerenti bio- fotonici ( elettromagnetici) e biofononici (acustici), permette quindi che l’informazione biologica venga trasferita a distanza, generando messaggi capaci di non acquisire nè dissipare rapidamente il loro input informativo anche durante un tragitto relativamente ampio. A conclusione di questo breve excursus sul tema delle SIMMETRIE e SINCRONIE spazio-temporali nel nuovo paradigma della Informazione, sottolineiamo come la fisica sia passata attraverso una rivoluzione concettuale per la quale le nozioni di particelle e di traiettoria hanno smesso di essere fondamentali. Infatti mentre nella fisica classica il mondo fisico è stato concepito come un aggregato di oggetti, ognuno localizzato nello spazio e nel tempo, nella fisica contemporanea ogni elemento fondamentale della realtà è co-esteso con l’intero universo e quindi possiede una fondamentale continuità (Oneness) intrinseca, che si manifesta tipicamente nelle proprietà di comunicazione di informazione ottenibile mediante l’attività cooperativa risonante delle interazioni dinamiche tra campi di energia e materia. L’Universo Olistico, cosi descritto, comprendente pertanto sia il soggetto che l’oggetto, procederà nel prossimo futuro nel superare anche l’ultimo dualismo tra l’onda e la particella; infatti quest’ ultimo, mantenendo separati gli aspetti fenomenici di tipo ondulatorio e corpuscolare, ancora si interpone a realizzare una rappresentazione complessivamente Olistica della stessa essenza unitaria dell’Universo. Infine, rivolgendomi a quanti vorranno migliorare ed ampliare questa nuova dimensione cognitiva della 117 intillafunzione_stampa.indd 117 7-11-2006 10:39:11 scienza, faccio presente la necessità di far debita attenzione al fatto che ancora il formalismo matematico è tradizionalmente impostato sulla base di coordinate cartesiane o coordinate ad esse equivalenti. Pertanto per personale esperienza, mi sono fatto la convinzione che la matematica ancora contenga in sé la chiave di sopravvivenza del vecchio ordine della fisica meccanica. Questo determina non poche delle difficoltà che la scienza contemporanea incontra in relazione ai propri avanzamenti creativi del sapere, poiché le nuove intuizioni ed idee e progetti di ricerca, rischiano di rimanere di un livello filosofico descrittivo, se non sapremo modificare contemporaneamente anche le logiche astratte del pensiero matematico. 118 intillafunzione_stampa.indd 118 7-11-2006 10:39:11 Psiche e Caos «Una goccia d’acqua che si spande nell’acqua, le fluttuazioni delle popolazioni animali, la linea frastagliata di una costa, I ritmi della fibrillazione cardiaca, l’evoluzione delle condizioni meteorologiche, la forma delle nubi, la grande macchia rossa di Giove, gli errori dei computer, le oscillazioni dei prezzi Sono fenomeni apparentemente assai diversi, che possono suscitare la curiosità di un bambino o impegnare per anni uno studioso, con un solo tratto in comune: per la scienza tradizionale, appartengono al regno dell’informe, dell’imprevedibile dell’irregolare. In una parola al caos. Ma da due decenni, scienziati di diverse discipline stanno scoprendo che dietro il caos c’è in realtà un ordine nascosto, che dà origine a fenomeni estremamente complessi a partire da regole molto semplici. « J. GLEICK La teoria del Caos ha radicalmente cambiato la nostra percezione del mondo. Ci ha sospinti lontano dai sistemi semplici, lineari e meccanicistici, verso sistemi che sono più organici e complessi. Ci dice che gli organismi biologici, l’ecologia, il mercato azionario e le società hanno molto in comune. Piuttosto che concentrarsi sulle singole parti di un sistema, essa pone attenzione ai legami ed alle interazioni all’interno di esso. Piuttosto che pensare il mondo in termini di ripetizioni meccaniche, esso viene visto come fatto di schemi in continua evoluzione e trasformazione, volti ad una sempre maggiore complessità. Al posto di sistemi chiusi e isolati, questi sistemi sono concepiti come aperti al loro ambiente attraverso un continuo scambio di materia, di energia o di informazione. Essi possono organizzarsi spontaneamente, sviluppare strutture 119 intillafunzione_stampa.indd 119 7-11-2006 10:39:12 interne e dimostrare sia gradi di stabilità che di adattamento alla variazione. Poiché la teoria del caos funziona così bene quando viene applicata ai sistemi che si organizzano autonomamente, si può pensare di applicarne le idee fondamentali allo studio della mente e della società. Ad ogni modo, poiché quest’ultime sono ben più difficilmente definibili dei sistemi della fisica, si può dire che le idee alla base della teoria del caos sono applicabili in questo campo in un senso più metaforico, ossia, il comportamento di certi sistemi della fisica può funzionare da metafora per il comportamento e la coscienza umani. Così, studiando i primi si può tentare di giungere alla comprensione del modo in cui operano la mente e la società. Improvvisamente nell’osservazione del mondo, le somiglianze divengono più importanti delle differenze. La teoria del caos ci rende anche consapevoli dei limiti insiti nella possibilità di controllo di un sistema e nelle previsioni possibili circa comportamenti futuri. Ci dice che non si possono sempre prevedere gli effetti a lungo termine delle nostre creazioni e che è quindi meglio essere aperti e flessibili. Così come la natura sopravvive grazie alla biodiversità, è fondamentale avere una varietà di idee e di approcci. La natura può apparire inefficiente nella sua ricchezza, ma d’altro canto, quando si chiude una via, la natura ha molte altre strade tra cui scegliere. Ciò dovrebbe insegnare alle organizzazioni che una eccessiva specializzazione porta alla morte. La teoria del caos ci dice anche che, se non possiamo fare previsioni con assoluta esattezza, possiamo almeno cercare degli schemi, e che tali schemi si ripetono spesso all’infinito fino a livelli minimi. Carl Jung ha parlato di archetipi, schemi che soggiacciono agli impulsi ed ai comportamenti umani. In un certo senso, gli archetipi richiamano gli schemi dei sistemi non-lineari, ad esempio nel modo in cui una donna può impegnarsi in una serie di disastrose relazioni con uomini simili, oppure nel modo in cui un uomo sembra sempre entrare in conflitto con figure autorevoli. Questo non vuol dire che il comportamento sia causalmente determinato, ma che il modo in cui la personalità si è strutturata in sistema aperto nel contesto di una più vasta società conduce ad una serie di schemi ricorrenti. Questo pare suggerire che la metafora della teoria dei sistemi, dell’organizzazione autonoma, e degli schemi ripetitivi potrebbe 120 intillafunzione_stampa.indd 120 7-11-2006 10:39:12 essere applicata nel campo della pratica terapeutica, dove si potrebbero rintracciare diversi sistemi interconnessi. In primo luogo c’è la struttura dell’inconscio del paziente che comprende tutto quello che è stato interiorizzato a partire dal periodo infantile. La terapia, tuttavia, si realizza anche nell’interazione tra il paziente ed il terapista: si aprono così un altro sistema ed altre dinamiche. Questo sembra suggerire che non si ha solo un’interazione tra un terapista che tenta di «guarire» ed un paziente, ma che piuttosto la cura si sviluppa a partire da una complesso di sistemi dinamici dei quali sia il terapista che il paziente sono un aspetto. In questo senso si può dire che la guarigione avviene in uno spazio situato tra il terapista ed il paziente ma anche oltre la loro interazione. Ossia, per dirla con una metafora tratta dalla teoria dei quanti, durante ogni osservazione sperimentale, l’osservatore e ciò che viene osservato sono irriducibilmente legati tra di loro e nessuna separazione può essere effettuata. Così, l’osservatore diviene ciò che viene osservato, il terapista diventa il paziente ed il paziente, il terapista. Ancora una volta, però, il sistema che si costituisce, cioè quello della guarigione, (l’asse terapista- paziente), è anche inserito in una comunità, in una società, in una rete di significati e valori, in una serie di pressioni economiche. Proseguendo nella nostra riflessione sappiamo che le concezioni scientifiche contemporanee fanno riferimento soltanto a due variabili cognitive: l’Energia e la Materia: queste ultime sono prese in considerazione in relazione alla osservazione del mondo esterno In tal modo viene separato ed escluso dal pensiero scientifico il soggetto della sua osservazione in quanto la scienza si preoccupa solo e soltanto dall’osservato; da ciò dobbiamo ammettere che la definizione concettuale del CAOS, così come quella contrapposta dell’ORDINE, viene ad essere esclusivamente relativa alle proprietà dello spazio «disordinate e ordinate» e non a quelle che includono la dinamica del tempo. Infatti quando la struttura concettualmente bipolare di Energia e Materia, viene correlata a concezioni di ordine/ disordine, dato che queste ultime hanno per riferimento la tradizionale cognizione di spazio, la questione dell’ordine/disordine, viene ancora ricondotta al dibattito tra Parmenide ed Eraclito sull’esistenza del vuoto nello spazio; si ricorda infatti che Parmenide disse: «se il vuoto 121 intillafunzione_stampa.indd 121 7-11-2006 10:39:12 non esiste e lo spazio è pieno, allora non c’è moto né divenire nel tempo se non quello erroneamente concepito dai sensi»; mentre per Eraclito il vuoto esiste, proprio perché permette il continuo divenire della realtà. Einstein comprese pertanto che le basi di riferimento della scienza erano divenute insufficienti per dare una spiegazione coerente e completa a sistemi che evidentemente implicano l’esigenza di introdurre il concetto di Informazione e con esso dell’uomo, come parte integrante del sistema evolutivo della natura; ma accorgendosi di non avere a disposizione nelle conoscenze pregresse alcun modello interpretativo globale sufficientemente elaborato per poter trattare il sistema soggetto/oggetto di osservazione, come un’ unica entità interattiva, non riuscì a delineare un quadro cognitivo sufficiente a superare la logica indeterministica della meccanica quantistica, così da integrarla con le concezioni che egli sviluppò nell’ambito delle teoria della relatività generale. La teoria dei Sistemi Dinamici Nonlineari (Non-linear Dynamic System = NDS, come li chiameremo d’ora in poi) comunemente ed impropriamente chiamata Teoria del Caos e della Complessità, è basata essa stessa sull’interazione concettuale e dei corollari che derivano dalla triade terminologica: Sistema, Dinamica, Non-linearità. Esaminiamoli in breve: Sistema: possiamo definire un sistema, seguendo Lorenz, come una qualsiasi entità che va soggetta a cambiamenti con il passare del tempo. Le caratteristiche salienti di un sistema sono: la complessità, ovvero l’interazione tra più variabili; l’adattività, cioè la capacità di far fronte a un in-put esterno; l’aggregazione al suo interno di più variabili che costituiscono i sottosistemi; la loro cooperatività e sinergia relazionale. Dinamica: è, seguendo Guastello, il cambiamento che avviene nel tempo e nello spazio delle proprietà, dei comportamenti, delle interrelazioni di un sistema. Concetto fondamentale della dinamica è l’evoluzione, ovvero un set di relazioni complesse co-evolventi non più secondo uno schema lineare, cioè seguendo il vecchio Linneo per cui la natura non fa salti, ma secondo lo schema dell’equilibrio punteggiato (punctuated equilibrium) per cui si vengono a creare «salti» improvvisi e discontinui. Tra i suoi corollari possiamo elencare la biforcazione, 122 intillafunzione_stampa.indd 122 7-11-2006 10:39:13 ovvero il cambiamento di una proprietà critica nell’organizzazione o nella performance di un sistema. Tale cambiamento può avvenire sia perché viene raggiunta la soglia critica (bifurcation point) di una regola (control parameter), sia perché intervengono fattori accidentali esterni; ma solo in caso straordinario. Altro corollario sono i diversi livelli di interazione connessi sia ai parametri di controllo che alla retroazione continua (feedback loop). Combinando i concetti di feedback e parametri di controllo otteniamo il concetto fondamentale di auto-organizzazione, ovvero la capacità di un sistema di fare emergere caratteristiche, proprietà o interazioni nuove che riorganizzano adattativamente o in modo innovativo (novelty) il sistema. Non-linearità: è universalmente definita come la non proporzionalità tra la variazione introdotta in un sistema e il cambiamento indotto nel sistema, più comunemente: tra causa ed effetto. I suoi corollari sono la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali (il concetto fondante la Teoria del Caos ), il fatto, cioè, che un piccolo evento può avere un impatto imprevedibile (impredicibilità) su di un sistema, il concetto di attrattore8 e la geometria frattale, con l’enorme impatto applicativo che ne è conseguito. La creatività gioca un ruolo primario nelle dinamiche organizzative, in due modi. Primo, le organizzazioni hanno bisogno di reagire a circostanze improvvise e insolite e alle instabilità dei loro ambienti. Quando l’organizzazione è capace di rispondere in modo adattivo, piuttosto che per inerzia, possiamo dire che il caos genera creatività. Il secondo ruolo della creatività è la generazione spontanea di idee che potrebbero implicare nuove iniziative d’affari per l’organizazzione. Tipicamente, nuove idee spontanee generano instabilità nell’organizzazione perchè possono comportare deviazioni dai piani precedenti e la ridirezione di energie che erano dedicate al raggiungimento degli obiettivi prefigurati dal management. La tipica mentalità manageriale è di rispolverare le nuove idee come divertimenti o seccature, ma è proprio questo processo spontaneo che alla fine produce alcune rotture estremamente produttive. In questo senso possiamo dire che la creatività genera il caos. Il «caos», in riferimento alla creatività, è più di una pratica metafora. Secondo la teoria di configurazione del caso (Campbell, 1996), i prodotti creativi sono il risultato di un processo di generazione di un’idea casuale. Le 123 intillafunzione_stampa.indd 123 7-11-2006 10:39:13 maggiori quantità di idee sono generate da ambienti professionali e personali arricchiti. Le idee si ricombinano in configurazioni come parte del processo di generazione dell’idea, in cui il pensatore creativo comprende una nuova configurazione e la esplora come possibile soluzione di un problema, al che ha luogo una forma di auto-organizzazione degli elementi dell’idea (Simonton, 1988). Una volta ancora, il caos genera creatività. Oggi, comunque, si ritiene che la generazione e la ricombinazione degli elementi dell’idea non sia del tutto casuale, ma un risultato finale di un processo caotico. Questo perchè, in larga parte, l’autoorganizzazione degli elementi dell’idea (che è prima di tutto una risposta al caos), e gli elementi dell’idea, si pensava che fossero generati da sistemi umani determinati, individulamente o in gruppi. Però il processo di generazione dell’idea andrà a ripercorrere strade tra gli elementi dell’idea che gli individui hanno già mentalmente creato, prima di qualsiasi particolare evento di problem-solving. L’ambiente arricchito è solo un altro esempio dei «canali di ritorno» che Stacey (1992) dichiarò essere essenziali per un comportamento creativo di successo. Tali canali scorrono tra l’ambiente e il risolutore di problemi, e avanti e indietro assieme ad altri membri dell’organizzazione i quali si trovano in una posizione tale da poter fare qualcosa per l’idea. Sebbene i tratti psicologici che potrebbero essere responsabili della generazione dell’idea creativa possano essere distribuiti a caso, la reale distribuzione di frequenza delle quantità di configurazione sulle persone ha un andamento altamente obliquo, con una lunga coda positiva. Questa forma era simile a una distribuzione scoperta da Lotka (1926) quando applicò il suo lavoro di dinamiche della popolazione ai risultati creativi tra gli scienziati (Simonton, 1988). La distribuzione di frequenza (uno dei molti esempi) è caratterizzata da molti massimi e minimi locali. Cosa causa questa distribuzione? Secondo Simonton (1988), che lavorò con storie di vita di persone creative, c’erano due dinamiche coinvolte: il ritmo di ideazione e il ritmo di elaborazione. Siccome i sistemi creativi auto-organizzati generano più instabilità, ne seguirebbe che i gruppi creativi di soluzione dei problemi sono sistemi che operano sull’orlo del caos (Guastello, 1995; Guastello, Hyde e Odak, in stampa). Il caos lascia emergere la tendenza all’ordine attraverso 124 intillafunzione_stampa.indd 124 7-11-2006 10:39:13 sincronicità e irripetibilità. Concetti di cui anche la scienza sa e sempre con Prigogine li dice con un solo suggestivo nome: «effetto farfalla», ovvero il battito d’ali d’una farfalla sul Righi di Genova può produrre un uragano ai Caraibi! L’aria spostata dalla farfalla in concomitanza al gioco delle temperature può diventare alito e poi vento ed infine uragano! Torniamo dunque con pazienza e attività, con contemplazione e distacco, alla situazione attuale e soffermiamoci all’ambito che ci è usuale: la psicoanalisi evolutiva. Sappiamo che l’inconscio è depositario della storia umana individuale, planetaria e persino universale. Questo è vero come è vero che esiste, nella nostra sensibile percezione, lo spazio-tempo della fisica classica. Ma questo lato non esaurisce l’inconscio: esso lascia trapelare disordine e caos e non solo nei sogni, ma nel modo personalissimo per ognuno di noi, che esso produce per guidare il pensiero. L’inconscio è dunque il luogo dove vigono le leggi universali. Non c’è da stupirsi che in esso non esista il tempo e che presenti gli stessi interrogativi che suscita la materia. Anche il nostro pensiero, ripeto, può funzionare, nel suo lato più cosciente, prevalentemente secondo i principi della fisica classica - ed è facile ritrovare lo schema causa/effetto, spazio-tempo, secondo il principio della mediazione («maschile») paranoica ed ossessiva nel suo aspetto funzionale e nel suo lato patologico - oppure prevalentemente secondo i principi dell’indeterminazione e del caos - ed è facile ritrovare lo schema dell’affidamento alla vita, nell’aspetto della primaria immediatezza («femminile») isterica o nel lato della secondaria immediatezza filosofica. Sappiamo che Prigogine ha riconosciuto nel caos e nelle strutture dissipative l’origine dell’ordine crescente. Questo sia a livello fisico universale che sul piano sociale delle comunità umane, nonché nelle società di insetti ecc. Il caos governa il mondo. Penso che questo caos che, con le sue «leggi» gestisce il tutto con cui coincide, non sia altro che l’inconscio del mondo giunto nell’uomo a potersi non solo intuire ma nominare. Nominare una cosa non significa conoscerla dal di dentro. Nessuno di noi può dire alcunchè dell’inconscio per il semplice fatto che esso non sarebbe più tale. Conosciamo l’inconscio dal di fuori ovvero per la sua superficie, per ciò che offre alla coscienza in sogni, pensieri e quanto altro si fa da essa registrare. E quanto sappiamo di quel buio abisso ci permette di intuire un grande potere: il potere di percepire il 125 intillafunzione_stampa.indd 125 7-11-2006 10:39:14 movimento del caos nel suo aspetto interiore: la nostra psiche. Il caos che, inteso come mero disordine viene proiettato nel mondo esterno, può offrirsi a ben altra e migliore lettura se riconosciuto anche nell’interiorità dell’uomo. Voglio dire che c’è una sola differenza tra mondo fisico e mondo spirituale: se nel mondo fisico l’effetto farfalla» può diventare ciclone, in quanto soggiace alle cieche leggi di natura, nel mondo spirituale sapere che esiste l’effetto farfalla ci aiuta a guidare lo spirito stesso verso sempre maggiore libertà dalla natura. 126 intillafunzione_stampa.indd 126 7-11-2006 10:39:14 Frattali e terapia «Sedete davanti ai fatti come bambini, e siate pronti a rinunciare ad ogni nozione preconcetta, seguite umilmente la Natura, dovunque vi conduca, o non apprenderete nulla». T. H. HUXLEY Un frattale è un oggetto con una complessa struttura sottilmente ramificata; ingrandendo gradualmente una parte della struttura vengono alla luce dettagli che si ripetono identici a tutte le scale di accrescimento. Un frattale appare quindi sempre simile a se stesso se lo si osserva a grande, piccola o piccolissima scala. Mandelbrot ha osservato che molti oggetti naturali, apparentemente disordinati, godono di questa proprietà. Un’altra peculiarità dei frattali è legata al fatto che questi non si esprimono mediante forme primarie, bensì mediante algoritmi, vale a dire insieme di procedure matematiche che vengono tradotte in forme geometriche con l’ausilio di un calcolatore. In tal modo si produce una grande ricchezza di forme geometriche a partire da un algoritmo piuttosto semplice. L’esempio più affascinante è l’insieme di Mandelbrot: un frattale dalla straordinaria ricchezza. L’invarianza di scala trova un notevole parallelismo nella teoria del caos, nella quale molti fenomeni, benché seguano rigide regole deterministiche, si rivelano imprevedibili in linea di principio. Gli eventi caotici, come la turbolenza atmosferica o le pulsazioni cardiache, manifestano andamenti simili su scale temporali diverse, più o meno come gli oggetti dotati di autosomiglianza presentano forme strutturali simili su scale spaziali diverse. La corrispondenza tra frattali e caos non è accidentale: è viceversa il segno di una relazione profonda: la geometria frattale è la geometria del caos. Un frattale è la 127 intillafunzione_stampa.indd 127 7-11-2006 10:39:14 trasformazione di un fenomeno semplice in un meraviglioso disegno, basato sulla frazione ricorrente dei suoi segmenti. In questo senso il gruppo analitico può essere considerato, usando la teoria del caos, come l’analogo di un frattale. Infatti, come inizialmente descritto da Foulkes, la topologia del gruppo si articola in 5 livelli ordinati gerarchicamente; il gruppo analitico, cioè, può essere descritto come un continuum, in cui si va dal piano corporeo a quello sociale. I vari livelli, sono autosomiglianti, in quanto ogni comunicazione dinamica può essere «attribuita» a ciascuno di questi livelli e letta ed interpretata nell’area gerarchica di riferimento. Si può dire che in questo senso il gruppo si rivela simile ad un frattale in quanto vengono replicati, ai vari livelli, con una invarianza di scala, gli stessi elementi tematici. La qualità frattale del gruppo si può poi ritrovare anche ad un altro livello: il gruppo analitico infatti può essere letto come un percorso iniziatico che ripropone in una sorta di ricapitolazione filogenetica, il processo collettivo dell’individuazione dell’uomo. I vari autori che si sono occupati del processo gruppo-analitico, descrivono fasi di sviluppo, ognuna sfociante nella successiva, che rappresentano un passaggio critico, un superamento, una crescita, e appaiono inscritte teleologicamente in una sorta di «progetto gruppale»: ricordiamo qui, per esempio, le sei fasi di sviluppo descritte da Bennis e Shepard (1956): dipendenza-fuga; controdipendenza-lotta; rapporti di potereautorità; incantamento (accoppiamento); disincantamento; lavoro interdipendente (o di validazione consensuale), oppure le quattro fasi di Usandivaras (1985): fase caotica; fase di fusione e disintegrazione; fase detta di «comunità»; fase dell’individuazione e del problem solving maturo. Questa lettura in senso diacronico longitudinale del processo di gruppo ha molte analogie con ciò che in psicologia analitica viene definito individuazione: tutto il processo analitico, per Jung, è costituito da fasi successive di passaggio inscritte nel grande processo dell’individuazione. L’individuazione è la replica personale del grande cammino collettivo dell’umanità nel suo emergere dalla indifferenziazione primordiale, questo cammino è rappresentato nei sistemi immaginali collettivi «prototipici», i miti di fondazione dell’umanità. In queste grandi saghe mitologico-religiose è descritto, con caratteristiche tematiche e strutturali straordinariamente simili, il processo di sviluppo dell’umanità. In tutti i miti di fondazione 128 intillafunzione_stampa.indd 128 7-11-2006 10:39:14 (da quello giudaico cristiano, a quelli babilonesi, romani, greci, sumeri, ecc. ) sono rappresentate sempre le stesse fasi condivise: all’inizio il mondo è in uno stato indifferenziato, caotico, uroborico. Successivamente compare una funzione di separazione e ordinamento del Caos primigenio impersonata da una figura di Eroe che si ribella: Prometeo, Marduk, Gilgamesh, ecc. Poi si assiste ad una fase regressiva, in cui l’eroe viene momentaneamente sconfitto (Prometeo incatenato, Gesù che scende agli Inferi, ecc. ), infine il processo di nuovo riprende il suo cammino e c’è il trionfo definitivo dell’eroe. Queste fasi corrispondono esattamente, come dimostrato da Neumann (1978), allo sviluppo dell’individuo, nel suo uscir fuori dallo stato indifferenziato della fusione con la madre, nel suo confrontarsi eroicamente con i problemi della separazione, nel suo cedere alle spinte depressive e regressive conseguenti e, infine, nel suo emergere come individuo differenziato e autonomo. I miti di fondazione sono un’eco, una risonanza, sul piano immaginario collettivo di questo processo, tipico della specie umana, archetipicamente predeterminato e che si dispiega da sempre con le stesse modalità tematiche. In questo senso il gruppo analitico rappresenta il punto di incontro, lo scenario dove si replicano dinamiche collettive primordiali e dinamiche assolutamente personali, il gruppo è il punto focale in cui si va dal collettivo all’individuale, ritroviamo qui nuovamente una auto-somiglianza che riecheggia la natura frattale del gruppo. Questa peculiare qualità del gruppo appare riferibile alla stretta equivalenza tra la psiche individuale e quella gruppale; infatti, come dice Foulkes (1967): «Si potrebbe parlare di una psiche di gruppo allo stesso modo che si parla di una psiche individuale. Anche se non riusciamo ad astrarre dal concetto di individuo in senso fisico e corporeo ci dovrebbe essere tuttavia più facile superare il nostro abituale concetto di individuo psichico in modo da cogliere il carattere sovrapersonale delle reazioni di gruppo: in altri termini i confini degli individui isolabili nella matrice di gruppo ( che sarebbe forse meglio indicare con il nome di «individui Psichici») non coincidono con quelli delle persone fisiche». Un autore che si è molto occupato dell’argomento (Fiumara, 1992) sosteneva l’equivalenza tra la mente dell’individuo e la matrix del gruppo proponendo l’esempio dell’ologramma come modello esplicativo: l’ologramma è caratterizzato dal fatto che ciascuna 129 intillafunzione_stampa.indd 129 7-11-2006 10:39:15 singola parte della lastra olografica contiene tutte le informazioni di tutto l’insieme; così appaiono le relazioni tra l’individuo ed il gruppo. Sempre secondo Fiumara la mente del gruppo e quella dell’individuo sono sovrapponibili ed entrambe sul piano psicodinamico tendono alla individuazione. La natura frattale del gruppo comporta un ulteriore possibilità di utilizzare la teoria del caos per descrivere metaforicamente l’azione del gruppo: in questo senso il gruppo analitico può essere considerato l’analogo di un attrattore strano o caotico. Mentre la meccanica classica si presta egregiamente per la descrizione e la previsione di sistemi semplici, i sistemi complessi sono caratterizzati da una imprevedibilità intrinseca, questa aleatorietà rende il loro comportamento imprevedibile e richiede un diverso approccio concettuale, dato appunto dalle teorie del caos, queste sono nate per la descrizione e la spiegazione di fenomeni imprevedibili quali quelli naturali, e la mente ed il comportamento umano è il più complesso di tutti i fenomeni naturali. Un sistema semplice, come per esempio il moto di un pendolo o le orbite lunari, può essere descritto perfettamente da poche equazioni nella meccanica classica; queste descrizioni appartengono alla cosiddetta teoria dei sistemi dinamici. Un sistema dinamico si compone di due parti: le caratteristiche del suo stato (cioè le informazioni essenziali sul sistema) e la dinamica (una regola che descrive l’evoluzione dello stato nel tempo). Se si rappresenta l’evoluzione di un sistema dinamico in forma geometrica (grafica) si vede che un sistema che tende alla quiete, per esempio un pendolo soggetto all’attrito, prima o poi si ferma e questo può essere rappresentato graficamente sotto forma di un’orbita che tende verso un punto fisso, questo punto fisso è detto attrattore perché attrae le orbite del sistema dinamico. In termini grossolani un attrattore è ciò verso cui si stabilizza o verso cui è attratto il comportamento di un sistema. Un sistema più complesso può possedere più attrattori; sistemi ancora più complessi hanno attrattori toroidali. Per sistemi di estrema complessità, quali quelli di competenza delle dinamiche caotiche (che sono poi quelle dei fenomeni psichici e in particolare mentali), l’attrattore si chiama attrattore caotico o attrattore strano, in questo caso le orbite del sistema vengono continuamente sovrapposte, ripiegate, rimescolate fino a che l’informazione iniziale 130 intillafunzione_stampa.indd 130 7-11-2006 10:39:15 è del tutto eliminata e sostituita con nuova informazione. Il processo di piegamento avviene più volte e produce pieghe dentro altre pieghe all’infinito. In altre parole un attrattore caotico è un frattale. Il caos mescola le orbite nello spazio degli stati esattamente come un fornaio impasta il pane. L’imprevedibilità dei sistemi complessi, (quelli dominati dalle leggi del caos) è legata alla amplificazione, da parte degli attrattori strani, di piccole fluttuazioni iniziali, molto modeste. È chiaro allora che non può esistere alcuna soluzione esatta, alcun legame, causalmente determinabile, con gli stati di partenza. Dopo un breve intervallo di tempo l’indeterminazione corrispondente alla misura iniziale ricopre tutto l’attrattore. Questo processo verosimilmente può rappresentare il funzionamento di sistemi complessi, quali il cervello, ed è molto efficace per descrivere cosa avviene in un gruppo quando più persone interagiscono sommando, a vari livelli i corrispettivi delle loro orbite dei sistemi dinamici, rappresentate in questo caso dalle reti di relazioni che si strutturano secondo una rete orbitale gestita dall’attrattore caotico costituito dal gruppo. Il gruppo, che come si diceva prima, costituisce un continuum in cui si dispiegano vari livelli dell’esperienza umana, con la sua funzione di attrattore permette il passaggio e lo scambio tra diversi piani frattalici, in modo che i vissuti personali e collettivi vengono continuamente rimescolati e modificati provocando una nuova informazione e, in definitiva, il cambiamento e la trasformazione. Possiamo quindi dire che la natura quindi sfrutta il caos in modo costruttivo; grazie all’amplificazione delle piccole fluttuazioni, esso può consentire ai sistemi naturali di accedere alla novità. Partendo da questo considerazioni possiamo ora utilizzare questo schema concettuale anche per i sogni del gruppo: come si diceva all’inizio il frattale è la trasposizione grafica dell’algoritmo; in analogia il sogno può essere considerato una trasposizione grafica di questa natura frattale del gruppo. Nei sogni vengono rappresentati a vari livelli i diversi piani di espressione del continuum gruppale, che a diversi livelli di autosomiglianza ed invarianza di scala manifesta sempre lo stesso tema; il viaggio dell’umanità nel suo allontanarsi dal caos della condizione presimbolica e prelinguistica, l’uscir fuori del gruppo dallo stato di caos iniziale fusivo, l’emergere dell’individuo dal caos dei propri conflitti. 131 intillafunzione_stampa.indd 131 7-11-2006 10:39:15 I sogni di gruppo appaiono quindi raggruppabili in due categorie: quelli più direttamente espressivi delle dinamiche interattive e transferali tra i vari membri e quelli che si stagliano direttamente dallo sfondo collettivo e che anticipano e descrivono i grandi temi dell’individuazione; tramite questi ultimi emergono immagini archetipiche dall’inconscio collettivo. Queste sono caratterizzate da motivi mitologici, arcaici religiosi, alchemici, teriormorfi, ed altri simbolismi arcaici, dalla lontananza dagli eventi quotidiani e dall’intensità degli affetti associati ad essi. Queste caratteristiche li differenziano dai «Sogni Personali» che manifestano una preponderanza di immagini basate ontogeneticamente che riguardano soprattutto i quesiti ed i conflitti personali del sognatore. Il sogno archetipico può essere anche meglio definito come la via dell’approccio simbolico in contrasto con l’approccio semiotico che guarda alle immagini come segni. Questi sogni, in analogia a quanto è successo nella storia dell’umanità per i sistemi collettivi di rappresentazione dell’Universo, sono i generatori dei miti e delle cosmogonie del gruppo, veri e propri sistemi di spiegazione, comunicazione e significazione dell’esperienza comune che consentono di affrontare le prime difficili fasi del contatto con gli elementi caotici e fusivi. Questi miti del gruppo svolgono cioè una funzione analoga a quella dei miti e delle religioni antiche, il cui scopo era appunto di «religare» i dati del reale in un insieme comprensibile, di fornire cioè una spiegazione e una sistematizzazione delle realtà spaventose e incontrollabili della natura. Queste costruzioni mitico-religiose sono state il punto di partenza per il progressivo sviluppo del pensiero che ha portato alla nascita dell’individuo in senso moderno. Il gruppo quindi appare un vero percorso iniziatico che consente all’individuo, in un viaggio al di fuori del tempo, di sperimentare il viaggio dell’Eroe e la nascita del Sé; viaggio ritmato dalle immagini delle grandi saghe mitologiche e religiose che trovano nuova vita nei sogni dei vari membri. Sarà compito precipuo dell’analista prestare orecchio attento a queste componenti ricche di significato e di preziosa utilità per l’evoluzione del gruppo stesso, integrandole, con gli elementi più direttamente legati alle storie individuali dei vari membri, in un quadro complessivo di grande respiro e di profondo valore euristico. 132 intillafunzione_stampa.indd 132 7-11-2006 10:39:15 Omeostasi e Caos «Ogni atomo mi appartiene come appartiene a te» WALT WHITMAN – SONG OF MYSELF Il concetto di omeostasi, introdotto dal fisiologo W. Cannon nel 1929, è apparentemente molto semplice ed ha avuto successo in fisiologia per la sua capacità di descrivere il comportamento di sistemi che vanno dal controllo della frequenza cardiaca alla pressione del sangue, dalla temperatura corporea alla concentrazione di elementi corpuscolati del sangue, dalla glicemia alla crescita dei tessuti. Esistono sistemi omeostatici a livello cellulare, come i trasporti di membrana o l’induzione enzimatica, a livello di organo, come la regolazione del flusso ematico in dipendenza del fabbisogno di O2 o il controllo delle popolazioni cellulari, a livello di apparati, come il mantenimento della pressione sanguigna, della termoregolazione, a livello di funzioni superiori integrate, come il controllo delle emozioni o la risposta allo stress. In linea molto generale, l’omeostasi rappresenta la capacità dell’organismo nel suo insieme o di sue sub-componenti di conservare costanti, o meglio variabili entro determinati limiti, dei parametri biochimici o delle funzioni in modo che tali parametri e tali funzioni concorrano al buon funzionamento dell’organismo nel suo insieme. Man mano che la complessità dei sistemi deputati a tale scopo si è andata rendendo più evidente con il progresso delle scienze biomediche, il concetto di omeostasi si è ampliato, nel senso che mentre inizialmente la sua applicazione poteva essere delimitata nel campo della fisiologia (es.: pressione del sangue, sistema endocrino, ecc... ), oggi si può constatare che esiste un’omeostasi anche ad altri 133 intillafunzione_stampa.indd 133 7-11-2006 10:39:16 livelli, sia sul piano cellulare e molecolare (es.: concentrazioni di ioni nel citoplasma, velocità di catalisi di un enzima, ecc... ) che sul piano dei sistemi che controllano l’integrità e la «qualità» dell’informazione biologicamente significativa (es.: sistema immunitario, neurobiologia, ecc... ). È opportuno ribadire e chiarire il fatto che il concetto di omeostasi non deve essere confuso con equilibrio stazionario. I vari sistemi biologici non sono mai in «equilibrio»; piuttosto, essi vanno soggetti a continue oscillazioni nell’intensità dei fenomeni ad essi correlati in quanto sono mantenuti lontano dall’equilibrio da un continuo flusso di energia. I sistemi biologici sono oggi visti come tipici sistemi «dissipativi», nel senso che il loro steady-state è mantenuto dal continuo consumo di energia che mantiene l’ordine in uno spaziotempo limitato, a spese dell’aumento di entropia nell’ambiente circostante [Guidotti, 1990; Nicolis e Prigogine, 1991]. Si pensi, ad esempio, alla fisiologia della cellula, in cui si può constatare come la membrana plasmatica divide due ambienti (intra ed extracellulare) e quindi determina un grande «disequilibrio» di ioni (soprattutto sodio, potassio e calcio): è proprio grazie a tale disequilibrio ed a sue improvvise oscillazioni che la vita della cellula è mantenuta e molte sue funzioni sono esplicate. I costituenti essenziali dei sistemi biologici omeostatici sono rappresentati da strutture anatomiche o biochimiche con funzioni effettrici regolabili e reversibili, da molecole segnale che mettono in comunicazione strutture vicine e lontane, da recettori per molecole segnale o per gli altri tipi di messaggeri, da sistemi di trasduzione che connettono il recettore ai sistemi biochimici effettori e, infine, da elementi responsabili del deposito dell’informazione, che può essere genetica o epigenetica. Quanto più un sistema omeostatico è complesso, tanto più ha reso complessa la gestione delle informazioni, che può essere effettuata da molti elementi disposti in sequenze ed in reti. Tali reti (networks) connettono diversi elementi e gestiscono l’informazione con meccanismi di amplificazione o di feed-back multipli e incrociati. Esempi di tali reti sono quelle neurali, quelle del sistema immunitario, quelle delle citochine, ecc... L’informazione, nelle reti biologiche, è solitamente «ridondante», cioè lo stesso segnale può agire su molteplici bersagli ed essere prodotto da molteplici elementi del sistema. Inoltre, lo stesso elemento è controllato da diversi 134 intillafunzione_stampa.indd 134 7-11-2006 10:39:16 segnali e la sua risposta dipende dai loro sinergismi o antagonismi. La «specificità» nella comunicazione tra gli elementi di una rete non è garantita solo dall’esistenza di specifici segnali a seconda della funzione o azione che la rete compie. Gli stessi segnali usati (es.: particolari citochine, o neurotrasmettitori) possono causare diversi effetti, innescare diverse risposte, anche opposte in taluni casi, a seconda dell’ambiente in cui agiscono, cioè a seconda della dinamica della rete stessa. In questo contesto di controlli multipli ed incrociati, il concetto di «sistema regolatore» può essere rivisto in una dimensione più ampia. Mentre su scala limitata ad un singolo meccanismo esso può essere considerato come un elemento fondamentale del sistema omeostatico. Su scala più ampia, dove si consideri una rete di interazioni, il sistema regolatore coincide con la rete stessa. Quando una rete è ben funzionante, ben «connessa» al suo interno, il comportamento dell’insieme regola il funzionamento delle singole variabili, ciascuna delle quali dà il suo contributo alla regolazione delle altre. Nei sistemi biologici esiste un’ampia serie di fenomeni oscillatori, con periodi varianti da pochi millisecondi (oscillazioni enzimatiche, attività neuronale) a secondi (respirazione), minuti (divisione cellulare), ore (ritmi circadiani, attività ghiandolari, ritmo sonnoveglia), giorni (ciclo ovarico), mesi ed anni (variazioni di popolazioni). La descrizione di sistemi più o meno complessi in cui più componenti interagiscono in modo non lineare, non può quindi trascurare i fenomeni caotici considerandoli dei disturbi di una teoria per altri versi perfetta, ma deve trovare gli strumenti e le vie per integrarli con la teoria precedentemente ritenuta sufficiente. In altre parole, nella variabilità dei fenomeni oggetto di studio, si deve cercare di distinguere il vero «disturbo» (noise), legato a fluttuazioni del tutto casuali e disordinate o all’imprecisione delle misure, dall’oscillazione che si presenta con caratteri di a-periodicità per ragioni comprensibili e spiegabili. A questo proposito è stato introdotto il concetto di caos deterministico, indicando appunto il fenomeno variabile e impredicibile, ma soggetto a leggi deterministiche. Ovviamente, alcuni parametri fisiologici appaiono praticamente stazionari nell’adulto: si pensi all’altezza del corpo, che dopo il periodo di accrescimento si stabilizza a un valore fisso per un lungo 135 intillafunzione_stampa.indd 135 7-11-2006 10:39:16 periodo, per poi subire una lieve diminuzione solo nella vecchiaia. Se però si pensa al peso corporeo, già si vede che, dopo il periodo dell’accrescimento, si raggiunge un peso solo apparentemente stazionario, in quanto si possono facilmente notare delle variazioni circadiane e stagionali, oltre a quelle legate agli sforzi fisici contingenti. Ancora più evidenti sono le variazioni temporali della secrezione di ormoni e quindi del livello di metaboliti o sali minerali legati all’azione degli ormoni stessi. L’attività pulsatile di secrezione ormonale è stata descritta in molti sistemi. Ad esempio, l’LH mostra una pulsatilità, sia nel maschio che nella femmina. In quest’ultima, le oscillazioni seguono due diversi schemi: nella fase follicolare del ciclo si osservano pulsazioni di frequenza di 60’-90’ e di ampiezza limitata (15-35 ng/ml circa), mentre nel periodo luteinico la pulsatilità è caratterizzata da minore frequenza (una pulsazione ogni 3-4 ore) e di maggiore ampiezza (intervallo: 5-50 ng/ml) [Flamigni et al., 1994]. La maggior parte delle reazioni biochimiche mostrano un andamento oscillatorio nell’ambito della funzione cellulare, mentre se condotte in provetta hanno una cinetica che tende a fermarsi con l’esaurimento del substrato. La velocità di attività enzimatiche oscilla quando due enzimi competono per lo stesso substrato e piccoli cambiamenti delle concentrazioni dei reagenti possono portare a cambiamenti nella frequenza o nella ampiezza delle oscillazioni, introducendo comportamenti caotici in schemi precedentemente armonici o viceversa [Cramer, 1993]. Sono stati costruiti sistemi chimici a flusso (in cui cioè il substrato è fornito in continuazione) che producono delle oscillazioni. Di questi il più studiato è la reazione di Belusov-Zhabotinsky, in cui Ce(IV)/Ce(III) catalizza la ossidazione e brominazione dell’acido malonico (CH2(COOH)2) da parte di BrO3- in presenza di H2SO4. Le reazioni di ossidazione e di riduzione avvengono a cicli alternantisi per cui le concentrazioni dei substrati e dei prodotti continuano a variare nella soluzione e tali variazioni possono essere monitorate con appropriati elettrodi. Se la reazione è eseguita in un recipiente a flusso continuo e sotto agitazione, ciò che determina ultimamente se il sistema mostra uno steady-state, un comportamento periodico o un comportamento caotico è la velocità di flusso dei reagenti nel recipiente [Epstein et al., 1991; Petrov et al., 1993]. 136 intillafunzione_stampa.indd 136 7-11-2006 10:39:16 È ben noto che all’interno delle cellule molte molecole con funzioni regolatorie variano secondo oscillazioni più o meno veloci e ritmiche. Sono state misurate oscillazioni nella concentrazione dei nucleotidi ciclici [Meyer, 1991] e dell’inositolo fosfato [Berridge and Irvine, 1989], del potenziale di membrana [Pandiella et al., 1989; Maltsev, 1990; Ammala et al., 1991], nel metabolismo ossidativo dei leucociti [Wymann et al., 1989], nella polimerizzazione dell’actina [Omann et al., 1989]. È stato sostenuto che uno dei più importanti sistemi di segnalazione intracellulare, l’aumento dello ione calcio libero, attua la sua funzione per mezzo di pulsazioni, o meglio oscillazioni di concentrazione o onde spazio-temporali [Berridge and Galione, 1988; Cheek, 1991]. Misurazioni effettuate su singole cellule hanno rivelato che molti ormoni innescano una serie di onde nella concentrazione degli ioni calcio, ad intervalli di qualche secondo, e che esse mostrano un aumento di frequenza all’aumentare della concentrazione degli ormoni. Il meccanismo di tali oscillazioni intracellulari di secondi messaggeri non è molto ben compreso, ma è evidente che esse dipendono dal «disequilibrio controllato» esistente tra i vari meccanismi che tendono ad abbassare il loro livello e quelli che tendono ad innalzarlo. Ad esempio, per quanto riguarda il calcio intracellulare si sa che esso tende a essere mantenuto molto basso per azione sia delle pompe (Calcio-ATPasi) che di controtrasporti (scambio Ca++/Na+ e Ca++/H+), mentre tende ad aumentare per il grande gradiente tra la concentrazione esterna e quella interna e per l’esistenza di canali con maggiore o minore apertura a seconda dello stato di attivazione della cellula (ad esempio, alcuni canali del calcio sono direttamente accoppiati al recettore per segnali esterni, altri al potenziale di membrana). Le onde del calcio possono propagarsi in tessuti e organi, rappresentando in essi un sistema di segnalazione a lungo raggio, come è stato osservato nelle cellule cigliate degli epiteli, nelle cellule endoteliali, negli epatociti, nei monociti in coltura e negli astrociti. È stato sostenuto che questo meccanismo di comunicazione intercellulare contribuisce alla sincronizzazione di grandi gruppi di cellule svolgenti la stessa funzione [Meyer, 1991]. Le oscillazioni, più o meno ritmiche, non sono solo un risultato inevitabile del disequilibrio tra sistemi di controllo. Esse probabilmente hanno anche una loro 137 intillafunzione_stampa.indd 137 7-11-2006 10:39:17 peculiare importanza, in quanto i ritmi biologici aiutano a coordinare e stabilizzare il funzionamento di diversi organi e sistemi [Breithaupt, 1989; Matthews, 1991]. Inoltre, è stato sostenuto che molte risposte cellulari siano controllate dalla modulazione di frequenza piuttosto che dalla modulazione di ampiezza del segnale, in modo analogo alla trasmissione di informazione tra neuroni attraverso cambiamenti di frequenza del potenziale d’azione. In altre parole, la frequenza di tali oscillazioni potrebbe rappresentare un codice segnaletico «digitale», con significato informativo: affinché una risposta o un processo sia attivato, ciò che conta è la frequenza delle oscillazioni spazio-temporali (onde) nella concentrazione del calcio piuttosto che la quantità di calcio realmente presente. Questo tipo di segnali potrebbero regolare in modo più preciso la risposta cellulare al variare della concentrazione di ormoni [Berridge and Galione, 1988; Cheek, 1991; Catt and Balla, 1989]. Due tipi cellulari simili (basofili e mastcellule) si distinguono per la frequenza delle loro oscillazioni del calcio intracellulare [MacGlashan and Guo, 1991]. Le oscillazioni delle scariche della corteccia cerebrale sono probabilmente molto importanti per garantire il coordinamento di diversi gruppi di cellule e di centri nervosi [Engel et al., 1992]. Tecniche di analisi non lineare possono essere applicate all’elettroencefalogramma per costruire modelli di funzionamento della corteccia cerebrale [Babloyantz and Lourenco, 1994]. In questi modelli, i vari stati comportamentali (sonno, veglia, attenzione, ecc... ) sono visti come una attività corticale caotica nello spazio e nel tempo, soggetta però ad un controllo che ne aumenta la coerenza per inputs provenienti dal talamo o da altre aree (ad esempio la corteccia visiva riceve informazioni dalle vie ottiche). È stato sostenuto che le dinamiche caotiche possono fornire la possibilità di codificare un infinito numero di informazioni, perché sono come la «riserva» di un infinito numero di orbite periodiche instabili [Babloyantz and Lourenco, 1994]. Un altro aspetto da sottolineare a riguardo delle oscillazioni dei parametri soggetti a controllo omeostatico è che tali oscillazioni, misurate sperimentalmente, si dimostrano quasi sempre di tipo caotico. Raramente si osservano oscillazioni periodiche e stabili (cioè di frequenza ed ampiezza perfettamente costanti). Le oscillazioni che si osservano sono per lo più di tipi diversi, che vanno 138 intillafunzione_stampa.indd 138 7-11-2006 10:39:17 dal tipo periodico-instabile al tipo quasi-periodico-instabile fino al tipo completamente irregolare. Quando si parla di oscillazioni di variabili biologiche, non si dovrebbe trascurare il campo delle oscillazioni molecolari accoppiate ad oscillazioni del campo elettromagnetico, problema al quale si sta volgendo l’attenzione degli scienziati in tempi piuttosto recenti. Trattasi di un tema di rilevante interesse anche pratico, vista la sempre maggiore diffusione delle onde elettromagnetiche nell’ambiente e nella vita quotidiana. In questa sede non è possibile una disamina esaustiva dell’argomento, ma basta accennare al fatto che campi elettromagnetici di diversi ordini di grandezza più deboli del gradiente di potenziale transmembrana possono modulare azioni di ormoni, anticorpi e neurotrasmettitori a livello di recettori e di sistemi di trasduzione [Adey, 1988] e che anche l’attività proliferativa cellulare è influenzata da campi elettromagnetici, anche di intensità molto debole (0.2 20 mT, 0.02 - 1.0 mV/cm) [Luben et al., 1982; Conti et al., 1983; Cadossi et al., 1992; Walleczek, 1992]. Molte di queste interazioni sono dipendenti dalla frequenza più che dalla intensità del campo, cioè compaiono solo in determinate «finestre» di frequenza, fatto che suggerisce l’esistenza di sistemi di regolazione «non lineari» e lontani dall’equilibrio [Tsong, 1989; Weaver and Astumian, 1990; Yost and Liburdy, 1992]. Molti processi cellulari sembrano avvenire secondo una logica del «tutto o nulla», che dipende, a parità di condizioni esterne, sia dall’evenienza di microeventi casuali e imprevedibili in un determinato momento, sia dall’esistenza di meccanismi di amplificazione a cascata dei segnali (vedi ad esempio la esocitosi delle cellule granulocitarie, o il potenziale d’azione delle cellule nervose, o la mitosi). Tali processi cellulari dipendono dal superamento di una «soglia» di concentrazione di mediatori o di carica di potenziale elettrico, o di funzionalità recettoriale. Occasionalmente, tale soglia può essere superata per fluttuazioni dei parametri di controllo dell’omeostasi, ma questo fenomeno pare essere imprevedibile perché, su scala cellulare o molecolare, pare dipendere anche da fenomeni «quantizzabili» [Hallet, 1989]. Molte delle reazioni che si svolgono in una cellula coinvolgono un numero ristretto di componenti, dell’ordine delle decine o centinaia (ad esempio le molecole di acidi nucleici, i recettori, 139 intillafunzione_stampa.indd 139 7-11-2006 10:39:17 i canali ionici, le vescicole sinaptiche, ecc.), per cui le reazioni in cui tali componenti sono coinvolte, possiedono un significativo grado di imprevedibilità di tipo quantistico. Ciò non significa che tutto sia in preda al caso, perché sulla lunga distanza molte fluttuazioni si mediano e si rientra nella probabilità quasi certa di comportamento cellulare. Ad esempio, se si stimola un singolo leucocita con alte dosi di un adatto agente chimico, non si può prevedere dopo quanto tempo si avrà un aumento di metabolismo, ma si può essere praticamente certi che prima o poi il fenomeno avvenga. Se però le dosi sono molto basse, non possiamo prevedere se esso risponderà, sappiamo solo che, in una popolazione di leucociti, alcune cellule saranno responsive ed altre totalmente non responsive. Il ruolo dei fenomeni caotici in medicina comincia ad essere studiato e compreso negli ultimi anni, grazie a studi condotti soprattutto nel campo della cardiologia e della neurologia, ma certamente il campo è molto aperto anche per la biologia cellulare, la farmacologia e l’immunologia. Tutti questi fenomeni sono quindi tipici fenomeni dinamici (cambiano il loro stato nel corso del tempo) e non-lineari (influenze esterne causano modificazioni non necessariamente proporzionali all’entità della perturbazione), che richiedono adatti studi teorici [Kaiser, 1988]. 140 intillafunzione_stampa.indd 140 7-11-2006 10:39:18 Il Caos… Patologico «Tutto è vivo; ciò che chiamiamo morto è un’astrazione» DAVID BOHM Ci si può chiedere a questo punto se i modelli del caos e delle reti interconnesse possano essere applicati allo studio della patogenesi delle malattie: la risposta è positiva ed in questo capitolo si forniranno alcuni esempi di tale nuovo approccio alla patologia. Le considerazioni che seguiranno sono sviluppate in gran parte sulla base di un ragionamento teorico e analogico che, per quanto suggestivo e utile a costruire modelli, deve essere sostanziato da dimostrazioni sperimentali per potersi dire a pieno titolo scientificamente fondato. Tali dimostrazioni si stanno oggi accumulando, ma si tratta pur sempre di studi-pilota e preliminari, la cui importanza per quanto riguarda una possibile applicazione clinica su larga scala resta ancora da determinare. Quanto finora detto mostra che le oscillazioni biologiche e fisiologiche fanno parte della «regola» matematica che governa un sistema omeostatico per il semplice fatto che esso è organizzato a feedback: esse sono quindi normali, anche in forma caotica, per determinati valori dei parametri di controllo di un sistema omeostatico. Tuttavia, ogni aspetto della fisiologia ha un suo versante patologico e quindi si può logicamente chiedersi quali siano le «patologie» dell’omeostasi dal punto di vista della sua caoticità. La risposta a questa domanda è, da un certo punto di vista, abbastanza semplice: si può delineare l’esistenza di una patologia da «perdita di caoticità» ed una patologia da «aumento di caoticità». In altre parole, se è vero che ogni sistema biologico complesso tende a regolare l’intensità e la qualità delle 141 intillafunzione_stampa.indd 141 7-11-2006 10:39:18 proprie funzioni sulla base di un certo tipo di attrattore, è anche vero che la patologia insorge quando l’attrattore stesso cambia di dimensione (es. nel tipo di periodicità) o di struttura. Da questo punto di vista, l’origine della malattia potrebbe essere colto là dove c’è una biforcazione nelle dinamiche di uno o più sistemi biologici, sia in aumento di caoticità che in diminuzione. I sistemi biologici hanno molteplici parti che agiscono coerentemente per produrre una azione globale. Essi possono essere considerati come «patterns» collettivi meta-stabili di molti oscillatori più o meno accoppiati. La caoticità di ogni sistema conferisce ad esso la flessibilità tale da poter variare con facilità (cioè grazie a piccole influenze esterne) il proprio comportamento per adattarsi ai cambiamenti degli altri. Per questo, la patologia può cominciare come «perdita di connettività» tra gli elementi del sistema globale. Tale perdita di connessioni rende meno complessa la rete di comunicazioni, ma può aumentare la caoticità perché alcuni elementi (cellule, tessuti, organi) sfuggono al gioco dei controlli incrociati e iniziano ad oscillare in modo molto più marcato e disorganizzato. Quindi, se è vero che il caos di per sé non è un elemento negativo, in quanto è elemento di flessibilità e generatore di diversità, se si perde il coordinamento, la «connettività» del sistema nel suo insieme e con il resto dell’organismo, alcune sub-componenti possono oscillare in modo eccessivo, imprevedibile, generando quindi disordini localizzati che però possono essere amplificati (l’amplificazione delle fluttuazioni è un tipico comportamento dei sistemi caotici) e trasmessi ad altri sistemi in modo disordinato e afinalistico. L’oscillazione assume l’aspetto della malattia in quanto provoca l’emergere di sintomi e danni consistenti. È come se il caos venisse amplificato e si formassero dei «nuclei» di interrelazioni patologiche tra cellule o sistemi, coinvolgenti anche il sistema connettivo, che in qualche modo si isolano dal controllo generale e si automantengono. Al limite, variazioni troppo rapide ed intense delle variabili implicate in un sistema omeostatico possono configurare una situazione analoga a quella vista sopra per la funzione di Verhulst, allorché il parametro k superi un determinato valore: una situazione di feed-back positivo ed autodistruzione del sistema. D’altra parte, la distruzione di connessioni e/o la perdita di complessità di specifici 142 intillafunzione_stampa.indd 142 7-11-2006 10:39:18 sistemi (ad esempio: atrofia di tessuti, invecchiamento) può far ridurre le fini variazioni omeostatiche e caotiche, accompagnandosi a una semplificazione degli schemi omeostatici. In questo caso, si può anche ravvisare la patologia come perdita di caoticità. La sclerosi, ad esempio, rappresenta fisicamente una modificazione del connettivo con riduzione della flessibilità, della deformabilità ed, infine, della vitalità (atrofia). Molte malattie riconoscono nella loro patogenesi, almeno nelle fasi iniziali, dei difetti della comunicazione che insorgono nelle reti complesse dei sistemi integrati (controllo della proliferazione cellulare, sistema immunitario, equilibrio tra fattori pro- e anti-infiammatori, ecc). In una rete in cui molti sistemi omeostatici (molecolari, cellulari, sistemici) sono interconnessi, l’informazione del sistema intero «percorre» dei cicli («attrattori») che hanno forme spaziotemporali variabili, fluttuanti, ma sempre riconducibili, nello stati di normalità, ad uno schema armonizzato con il tutto visto nella sua globalità, schema finalizzato alla sopravvivenza dell’organismo, con il minore dispendio di energia possibile. Se uno o più elementi di tali reti perdono le connessioni informative, cioè il sistema omeostatico in sé si spezza, o si spezza il flusso di informazione tra diversi sistemi, si ha un processo patologico proprio in quanto si genera il caos, o, meglio, il sistema caotico passa in un altro attrattore. Tali modelli prevedono che il nuovo attrattore, nel caso considerato «patologico», possa conservarsi anche se la perturbazione iniziale (perdita di connessione) è solo temporanea (in patologia, si potrebbe parlare di cronicizzazione). Vi sono molti modi con cui un sistema integrato perde di complessità e di connettività e qui ne sono elencati alcuni a titolo esemplificativo (in fondo, tutta la patologia potrebbe essere vista in questa ottica): a) diminuzione del numero di elementi cellulari in gioco (vedi, ad esempio, processi di atrofia senile o per anossia cellulare). b) alterazioni di numero o di sensibilità dei recettori quando essi sono troppo a lungo o troppo intensamente occupati, o quando sono direttamente attaccati dalla malattia (es.: miastenia grave), o quando sono geneticamente difettosi (es.: ipercolesterolemia familiare). c) mancata produzione del segnale (es.: difetto anatomico o malattia di ghiandola endocrina) o sua intercettazione durante il 143 intillafunzione_stampa.indd 143 7-11-2006 10:39:18 percorso (interruzione di nervi, presenza di autoanticorpi verso proteine segnale). d) difetto nei meccanismi intracellulari di trasduzione del segnale (dal recettore all’intero della cellula): si pensi ad esempio all’azione di tossine batteriche che mettono fuori uso le G-proteine, o all’adattamento delle stesse G-proteine nello scompenso cardiaco, o alla azione di molte sostanze farmacologicamente attive come i calcio-antagonisti o gli agenti che elevano l’AMPciclico, ecc... Molti oncogeni agiscono proprio su questi delicati passaggi del controllo della proliferazione. È certo che dinamiche caotiche sono presenti normalmente nell’omeostasi di reti a componenti multiple e incrociate come le citochine, i neuropeptidi, il sistema endocrino, le reti idiotipoantiidiotipo, l’equilibrio HLA-recettori immunitari. La malattia autoimmunitaria viene oggi interpretata come un difetto di funzionamento del network immunitario. Il comportamento dinamico di cloni autoreattivi è alterato in quanto essi sono meno densamente connessi, cosicché essi si espandono e possono essere selezionati mutanti ad alta affinità per autoantigeni. È stato riportato che gli schemi di fluttuazione degli anticorpi naturali sono alterati nell’uomo e nel topo affetti da malattie autoimmunitarie: le fluttuazioni sono o totalmente ritmiche, o totalmente casuali (random), mentre nel normale le fluttuazioni hanno schemi caotici ma non totalmente casuali (cioè una situazione intermedia tra i due estremi) [Varela and Coutinho, 1991]. È interessante il fatto che gli stessi autori sopra citati suggeriscono che la comprensione di queste dinamiche porterebbe a modificare i convenzionali schemi terapeutici: piuttosto che sopprimere in modo aspecifico l’immunità, il trattamento dovrebbe rinforzare il network immunitario stimolando la connettività delle regioni variabili di recettori e anticorpi. Di fatto, una prima applicazione di questo principio è l’indicazione, emersa di recente, di somministrare immunoglobuline naturali in una serie di malattie autoimmunitarie. Un’applicazione dei modelli del caos riguarda anche l’epidemiolologia delle malattie infettive: l’insorgenza e la ricorrenza di epidemie ha un andamento ciclico, come è ben noto, ma irregolare, ha dinamiche che sono state analizzate con la 144 intillafunzione_stampa.indd 144 7-11-2006 10:39:19 matematica del caos [May, 1987; Olsen and Schaffer, 1990; Blanchard, 1994]. Ad esempio, pare che le epidemie di varicella presentano una variabilità in cui si possono comunque evidenziare andamenti temporali del tipo di ciclo-limite, con periodo di un anno, mentre le epidemie di rosolia mostrano un andamento tipicamente caotico, cioè più irregolare e più sensibile all’influenza di piccoli fattori climatici o ambientali [Olsen and Schaffer, 1990]. Seguono altri esempi di disordini dell’omeostasi, in cui sono stati descritti dei comportamenti fisiopatologici che si possono ricondurre essenzialmente a «deficit» o ad «eccesso» di caoticità. Nelle persone sane, l’insulina è secreta con pulsazioni che si ripetono ogni 12-15 minuti, comandate da un «pacemaker» pancreatico probabilmente influenzato dal nervo vago. L’insulina secreta in pulsazioni è metabolicamente più efficiente nel mantenere i normali livelli di glucosio ed è significativo il fatto che l’irregolarità o persino la perdita di tali oscillazioni è la più precoce anomalia rilevabile nella secrezione di insulina in pazienti con diabete di tipo 2 [Polonsky et al., 1988; Holffenbuttel and Van Haeften, 1993]. Nel diabete di tipo 2 il controllo metabolico è ovviamente disregolato, e finora nella valutazione dell’andamento clinico si è posta molta attenzione alla quantità assoluta di glucosio presente nel sangue (oltre ad altri parametri quali le emoglobine glicosilate, che documentano in qualche modo l’effetto di tale disregolazione sulle proteine). Recenti evidenze mostrano che un altro fattore che può essere considerato è rappresentato dalla variabilità della glicemia, cioè dalla sua instabilità nel tempo, indipendentemente dal livello assoluto. A questo proposito, è degno di citazione uno studio condotto per valutare se il controllo della glicemia nei pazienti diabetici anziani è una determinante significativa della mortalità [Muggeo et al., 1995]. Il glucosio plasmatico (a digiuno) è stato misurato ripetutamente nel corso di tre anni in un ampio numero di pazienti, quindi è stata valutata la mortalità nei successivi cinque anni. La mortalità maggiore non è risultata associata alla concentrazione media del glucosio, bensì alla sua variabilità (misurata come coefficiente di variazione rispetto alla media, in ripetute misurazioni). In altre parole, il gruppo di pazienti con CV maggiore (per la precisione 145 intillafunzione_stampa.indd 145 7-11-2006 10:39:19 > 18.5%) aveva una probabilità di sopravvivenza significativamente inferiore al resto dei pazienti con la stessa malattia e il CV è risultato una variabile indipendente dalla media della glicemia. La patogenicità del disordine metabolico non pare quindi legata tanto alla iperglicemia, quanto all’ampiezza delle sue oscillazioni, legate alla inefficienza del controllo ormonale. Gli autori concludono suggerendo che per un buon controllo del diabete nell’anziano si dovrebbe considerare non solo il parametro quantitativo medio ma anche la sua stabilità. Applicazioni della teoria del caos sono state avanzate in cardiologia. È stato riportato [Goldberger et al., 1991] che la frequenza cardiaca di un individuo sano varia nel tempo con periodicità intrinsecamente caotica e non, come si riteneva finora, secondo un normale ritmo sinusale influenzato solo dai sistemi omeostatici. Osservando tali variazioni secondo scale temporali diverse (minuti, decine di minuti e ore) si vedono fluttuazioni simili, che ricordano un comportamento frattale, nel dominio del tempo anziché in quello dello spazio. Non si tratta, ovviamente, di aritmia, ma di oscillazioni del ritmo normale. Il battito cardiaco normale non è perfettamente regolare nei soggetti sani, ma presenta ampie variazioni che mostrano dinamiche caotiche, mentre soggetti con scompenso cardiaco congestizio hanno minore variabilità nella frequenza cardiaca. La variabilità nel ritmo diminuisce in corso di grave malattia coronarica, uso di digossina o cocaina ed anche semplicemente nell’invecchiamento [Casolo et al., 1989]. La morte cardiaca improvvisa è preceduta da periodi in cui si è evidenziata la scomparsa del caos normale e l’insorgere di una periodicità più regolare ma, proprio per questo, patologica [Kleiger et al., 1987; Goldberger and West, 1987]. La fibrillazione ventricolare potrebbe, a prima vista, apparire come il massimo della caoticità. Tuttavia, alla luce della teoria del caos, ciò non è esatto: vi è infatti una sostanziale differenza tra eventi contrattili totalmente casuali e slegati tra loro e comportamento caotico. Nell’analisi ECG del cuore in fibrillazione non è stato identificato nessun attrattore [Kaplan and Cohen, 1990a e 1990b], così che gli autori concludono che la fibrillazione appare come un segnale random non caotico. In psichiatria, si potrebbe considerare come esempio di perdita di caoticità l’insorgere di idee fisse o di 146 intillafunzione_stampa.indd 146 7-11-2006 10:39:19 ossessioni: mentre la psiche normale segue un attrattore «strano», ricco di variabilità pur con delle caratteristiche di stabilità (patterns psicologici, archetipi secondo Jung), nell’ossessivo emergono comportamenti stereotipati, ripetitivi o fissi, difficili da influenzare dall’esterno (se non con grosse dosi di farmaci o manovre estreme). Anche la patologia psichica spesso origina e trova consolidamento dalla perdita di capacità di comunicare con i propri simili (perdita di complessità e di flessibilità). L’importanza del caos nelle funzioni cerebrali è tale che alcuni autori si sono spinti a considerare questo fenomeno la base per la creatività intellettuale [Freeman, 1991] o addirittura il corrispondente fisiologico dell’esistenza di un libero volere [Crutchfield et al, 1986]. Freeman, professore di neurobiologia all’Università della California a Berkeley, riferisce: «I nostri studi ci hanno fatto anche scoprire un’attività cerebrale caotica, un comportamento complesso che sembra casuale, ma che in realtà possiede un ordine nascosto. Tale attività è evidente nella tendenza di ampi gruppi di neuroni a passare bruscamente e simultaneamente da un quadro complesso di attività ad un altro in risposta al più piccolo degli stimoli. Questa capacità è una caratteristica primaria di molti sistemi caotici. Essa non danneggia il cervello: anzi, secondo noi, sarebbe proprio la chiave della percezione. Avanziamo anche l’ipotesi che essa sia alla base della capacità del cervello di rispondere in modo flessibile alle sollecitazioni del mondo esterno e di generare nuovi tipi di attività, compreso il concepire idee nuove» [Freeman, 1991]. Da una prospettiva ancora più ampia di discussione del problema, si è già avuto occasione di dimostrare come l’esercizio della libera volontà presupponga necessariamente che il suo strumento materiale (cervello) non sia rigorosamente deterministico, ma sia soggetto alla indeterminatezza inerente alla materia atomica (fluttuazioni quantistiche) ed alla materia vivente (sistemi lontani dall’equilibrio) [Zatti, 1993]. In neurologia, si è visto che l’anziano presenta una minore ramificazione delle cellule di Purkinjie, quindi una riduzione della loro dimensione frattale [Lipsitz and Goldberger, 1992]. Particolari metodi di analisi basati sulle dinamiche non lineari hanno permesso di paragonare gruppi di soggetti giovani e anziani per 147 intillafunzione_stampa.indd 147 7-11-2006 10:39:20 quanto riguarda la complessità del ritmo cardiaco e delle variazioni di pressione [Kaplan et al., 1991]. Si è visto che tale complessità è ridotta nel corso dell’invecchiamento. Per questo alcuni sostengono che la misura della complessità basata sulla teoria del caos e dei frattali può fornire un nuovo strumento per monitorare l’invecchiamento e testare l’efficacia di interventi indirizzati specificamente a modificare il declino di capacità adattativa che avviene con l’età [Lipsitz and Goldberger, 1992]. L’idea di «padroneggiare il caos» pare molto attraente in un’ampia serie di campi di ricerca! [Ditto e Pecora, 1993; Shinbrot et al., 1993]. La comparsa di crisi epilettiche si associa ad una perdita di caoticità nelle onde cerebrali e comparsa di treni di impulsi periodici a partenza da determinati focolai [Babloyantz and Destexhe, 1986; Schiff et al., 1994]. Nel campo dello studio dell’epilessia è stato utilizzato il concetto di «dimensione frattale» per analizzare l’evoluzione temporale delle onde EEG. La computazione dei dati di ratti normali ha consentito di costruire un attrattore di dimensione 5.9, mentre l’attrattore durante le crisi epilettiche aveva una dimensione di 2.5, quindi indicava un grado minore di caoticità. È stato suggerito che in questo caso la dimensione frattale correla con la flessibilità e adattabilità dell’organismo. In un elegante esperimento eseguito su preparato di cervello di ratto si è data una dimostrazione di come controllare il caos in un sistema vivente [Schiff et al., 1994]. In una fettina di ippocampo mantenuta in bagno di coltura la attività neuronale è rappresentata da scariche a impulsi con tipico comportamento caotico (periodicità instabile), che può essere registrato al computer. Impulsi elettrici intermittenti somministrati ad appropriati intervalli temporali («periodic pacing»), calcolati dal computer sulla base dell’andamento della scarica spontanea, sono in grado di regolarizzare la periodicità della scarica della popolazione neuronale. D’altra parte, certi tipi di preparazioni hanno un comportamento periodico spontaneo, che può essere «anticontrollato» per indurre il caos. Gli autori suggeriscono che questo modello potrebbe trovare applicazione nel controllo in vivo dei foci epilettici, che hanno alcune caratteristiche tipiche di periodicità instabile. Riduzione di complessità (misurata come riduzione della dimensione frattale) si è osservata nelle trabecole 148 intillafunzione_stampa.indd 148 7-11-2006 10:39:20 ossee in caso di osteoporosi [Benhamou et al., 1994]. Secondo alcuni autori [Caldwell et al., 1994], la dimensione frattale fornisce una informazione qualitativa sulla struttura dell’osso (espressa però in termini quantitativi), che va ad aggiungersi, integrandola con nuovi significati, alla informazione puramente quantitativa fornita dalla tradizionale densitometria ossea. La misura della irregolarità della forma è stata utilizzata in studipilota anche nella diagnostica istopatologica dei tumori [Landini and Rippin, 1994]. Mentre il profilo di una sezione della mucosa normale del pavimento della bocca è risultata avere una dimensione frattale di 0.97, quello di una sezione di un carcinoma aveva dimensione di 1.61, documentando quindi in termini numerici la maggiore irregolarità. Forme di cheratosi con severa displasia davano valori intermedi. La membrana delle cellule leucemiche (leucemia «hairycell») ha una dimensione frattale tra 1.29 e 1.37, mentre quella dei linfociti T normali è tra 1.12 e 1.23 [Nonnemacher, 1994]. È chiaro che per fare la diagnosi in questo caso non servono complicati calcoli matematici, essendo determinanti l’osservazione al microscopio ottico e l’immunocitochimica, ma è pure significativo il fatto che si sia trovato un modo per trasformare un giudizio qualitativo (e per questo in un certo modo soggettivo) in un numero oggettivo. L’organizzazione frattale può essere studiata anche su sistemi in coltura di tessuti o di microrganismi. Per quanto riguarda i primi, si può citare lo studio della ramificazione dei piccoli vasi nella membrana corion-allantoidea del pollo [Kurz et al., 1994]. La velocità di crescita delle cellule endoteliali e delle altre cellule che costituiscono la rete vasale è stata misurata sia come densità di cellule per area di superficie che come dimensione frattale. Si è visto, tra l’altro, che l’aggiunta di un fattore di crescita (Vascular Endothelial Growth Factor) aumenta il numero di cellule ma aumenta anche la dimensione frattale (da 1.4 a 1.8 circa) dei vasi neoformati: esso interviene quindi nella organizzazione delle ramificazioni e nell’aumento di complessità. Per quanto riguarda i microrganismi, ad esempio, sono state misurate, in colonie fungine crescenti su agar, le variabili come la «rugosità», la «altezza» e la «autosomiglianza» delle colonie. Tali variabili dipendono dalla concentrazione del glucosio nel mezzo in modo indipendente l’una dall’altra [Matsuura and Miyazima, 1994]. Un 149 intillafunzione_stampa.indd 149 7-11-2006 10:39:20 aggravamento della situazione caotica nella secrezione di ormoni nell’insufficienza cardiaca è stato messo in evidenza da Nugent e collaboratori [Nugent et al., 1994]. In sintesi, tali autori hanno misurato la concentrazione ematica di peptide atriale natriuretico (ANP) ogni 2 minuti per un periodo di 90 minuti. Nel soggetto sano si notano marcate e irregolari oscillazioni (la concentrazione varia da 2 a 60 ng/l), nel soggetto malato (insufficienza cardiaca cronica) si notano oscillazioni di ampiezza molto maggiore (da 2 a 400 ng/l). In questi casi, quindi, si potrebbe dire che la caoticità è peggiorata, nel senso osservato nella nostra progressione matematica con la funzione di Verhulst, in cui aumentando il parametro k aumentava l’ampiezza dei picchi. Tuttavia, bisogna precisare che in alcuni pazienti (5 su 27) sono comparsi dei picchi di concentrazione (fino a circa 2000 ng/l) con una periodicità molto più evidente (ogni 10-12 minuti). In questi casi, quindi, all’aumento ulteriore di concentrazione dell’ormone, si accompagna la comparsa di maggiore periodicità (ordine nel caos! ). Uno di questi pazienti morì poco dopo per molteplici embolie polmonari, a conferma del fatto che la situazione era estremamente grave. Una forma particolarmente grave di aumento di caoticità si può verificare in tutte quelle situazioni in cui la perdita di controllo omeostatico per ragioni esterne al sistema stesso si accompagna a incapacità del sistema di compensare la perturbazione indotta. A questo proposito si possono fare i seguenti esempi di catene consequenziali di eventi patologici (riportati con inevitabili semplificazioni): a) shock → vasocostrizione compensatoria → ipoperfusione → danno cellulare → vasodilatazione → ipotensione → shock, ecc...; b) ipertensione → vasocostrizione → ipoperfusione renale → attivazione del sistema renina/angiotensina → ipertensione, ecc...; c) lesione cellulare per anossia → deficit di energia → mancata funzione delle pompe di membrana → ingresso di calcio → eccitazione cellulare → aumento di consumo di energia → deficit di energia, ecc... d) infezione da HIV → distruzione dei linfociti → immunodeficienza → infezione → attivazione del sistema immunitario → attivazione 150 intillafunzione_stampa.indd 150 7-11-2006 10:39:20 del virus latente → replicazione del virus → distruzione dei linfociti, ecc... In tutti questi casi, riguardanti sia il piano clinico che quello biologico-cellulare, si può parlare di situazioni di autoamplificazione della deviazione dalla normale omeostasi, situazioni dette anche circoli viziosi. Con riferimento all’ipotesi dell’esistenza di processi caotici nel cervello, è importante segnalare il contributo del neuroscienziato americano Walter Freeman, impegnato da oltre trent’anni nello studio delle dinamiche caotiche cerebrali (soprattutto con riferimento alla percezione olfattiva). In un suo recente libro, Freeman sottolinea che l’enorme complessità del cervello dà ragione dell’inadeguatezza, nello studio delle dinamiche cerebrali, del modello causale lineare, del tipo sensazione/input - elaborazione - output/risposta. Il cervello deve essere considerato un sistema dinamico altamente complesso: esso contiene circa dieci miliardi di cellule nervose o neuroni, connessi tra loro in un’intricatissima rete non continua mediante mille miliardi di contatti sinaptici discontinui. Secondo l’autore, il funzionamento di una tale rete può essere compreso solo ricorrendo al modello fornitoci dalla moderna teoria dei Sistemi Dinamici non lineari (o complessi), la cui proprietà fondamentale è quella dell’auto-organizzazione o emergenza: già sistemi molto più semplici di quelli viventi, come ad esempio uno strato di fluido o una miscela di prodotti chimici, caratterizzati da un alto numero di entità microscopiche interagenti, sotto certe condizioni possono generare delle proprietà globali macroscopiche che non esistono al livello delle entità di base e che vengono designate appunto come «fenomeni emergenti». Tali proprietà globali dipendono dalle configurazioni (patterns) risultanti da interazioni non lineari tra le entità elementari. Da un punto di vista fisico questo legame non lineare è dato dai cosiddetti «anelli di retroazione» (feedback loops) in cui le componenti del sistema si connettono circolarmente, in maniera tale che ogni elemento agisce sul successivo, finché l’ultimo ritrasmette l’effetto al primo. Grazie a questa disposizione circolare l’azione di ciascun elemento risentirà e in qualche modo verrà influenzata da quella degli altri. Ciò consentirà al sistema di autoregolarsi, fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio dinamico, nel quale gli elementi che compongono 151 intillafunzione_stampa.indd 151 7-11-2006 10:39:21 il sistema vengono vincolati da quello stato globale che essi stessi hanno generato cooperando insieme. L’interazione circolare o ad anello consente dunque al sistema di auto-organizzarsi spontaneamente senza che ci sia alcun agente esterno che controlli tale organizzazione. La ricerca di questo scienziato è innovativa già a partire dal metodo d’indagine utilizzato: anziché studiare la risposta delle singole cellule nervose di animali immobilizzati, sottoposti a stimoli esterni, Freeman ha introdotto alcuni elettrodi nel bulbo olfattivo di conigli liberi di muoversi. Mentre l’animale interagiva liberamente con l’ambiente, annusando alcuni oggetti, Freeman ha misurato, mediante elettroencefalogramma, l’attività neuronale di quella particolare area della corteccia. Dopo aver analizzato le fasi ottenute da elettroencefalogrammi prima e durante la percezione di un odore noto, ed averle rappresentate nello spazio come forme generate da un modello al calcolatore, Freeman conclude che le forme ottenute, irregolari ma ancora strutturate, rappresentano attrattori caotici. Ogni attrattore corrisponde al comportamento assunto dal sistema per effetto di un particolare stimolo, per esempio una sostanza odorosa ben conosciuta. Il modello interpreta un atto percettivo come un balzo esplosivo del sistema dinamico dal «bacino» di un attrattore caotico a quello di un altro: in altri termini, in risposta allo stimolo esterno i neuroni danno vita ad un’attività collettiva globale (registrata dall’EEG) «caotica», ma dotata di una certa struttura ordinata, e se lo stimolo muta anche minimamente, i neuroni di colpo generano simultaneamente un’altra configurazione, piuttosto complessa ma pur sempre ordinata. Secondo l’autore, queste stesse dinamiche possono essere dimostrate anche per le altre percezioni, come quella visiva. In conclusione, Freeman afferma che: «Un notevole vantaggio che il caos può conferire al cervello è che i sistemi caotici producono continuamente nuovi tipi di attività. A nostro parere queste attività sono decisive per lo sviluppo di raggruppamenti di neuroni diversi da quelli già stabiliti. Più in generale la capacità di creare nuovi tipi di attività può essere alla base della capacità del cervello di formulare intuizioni e di risolvere i problemi per tentativi ed errori». L’esistenza di processi non-locali è una delle qualità base 152 intillafunzione_stampa.indd 152 7-11-2006 10:39:21 dell’inversione della freccia del tempo e deve perciò essere intesa come una qualità base di tutti i processi sintropici, non ultimi i sistemi in cui operano attrattori o che possono essere descritti solo ricorrendo alla scienza del caos. Poiché i sistemi viventi e i processi cerebrali sono tipici esempi di sistemi sintropici, è inevitabile la considerazione che la supercausalità e la non-località devono essere qualità tipiche dei sistemi viventi ed in modo particolare dei processi cerebrali. Ne consegue, ad esempio, che i processi cerebrali debbano presentare la co-presenza di caos e ordine (caratteristiche tipiche dei processi non-locali e degli attrattori/sintropia): il caos nasce dal fatto che si attivano processi non meccanici, non determinabili, mentre l’ordine nasce dal fatto che i sistemi sintropici, attraverso l’azione degli attrattori, portano inevitabilmente ad una riduzione dell’entropia e ad un aumento della differenziazione e dell’organizzazione. Questo fatto è particolarmente evidente nei processi cerebrali, processi nei quali coesistono caos, complessità e ordine. King afferma che «l’interazione tra cause che non sono tra loro contigue si manifesta sotto forma di un’apparente situazione caotica che può quindi essere studiata solo da un punto di vista probabilistico. In altre parole, i processi caotici che si osservano nel sistema nervoso possono essere il risultato di un comportamento apparentemente casuale di tipo probabilistico, in quanto non è locale sia nello spazio come nel tempo stesso. Ciò potrebbe, ad esempio, consentire ad una rete neurale di connettersi a livello sub-quantico con situazioni nonlocali nello spazio e nel tempo, e quindi spiegare il motivo per cui i comportamenti risultino attualmente non determinabili per mezzo delle tecniche classiche computazionali. L’interazione quantica renderebbe le reti neurali analoghe ad assorbitori e trasmettitori di particelle e di anti-particelle.» King prosegue affermando che il modello della supercausalità combina un approccio riduzionista, in cui i fenomeni biologici vengono ridotti a modelli fisici e chimici, con un approccio quantistico che rende, di conseguenza, l’intero sistema non determinabile. Infine, l’autore conclude affermando che il libero arbitrio nasce dal fatto che ogni nostra cellula e processo è costantemente obbligato a scegliere tra informazioni che vengono dal passato (onde divergenti, emettitori-entropia) e 153 intillafunzione_stampa.indd 153 7-11-2006 10:39:21 informazioni che vengono dal futuro (onde convergenti, assorbitorisintropia). Il modello della supercausalità suggerisce perciò che a livello macroscopico i sistemi neuronali debbano presentare costantemente caratteristiche caotiche. Di questo apparente caos si alimentano i processi della coscienza che sono fondamentalmente di tipo sintropico e quindi non riproducibili in laboratorio o grazie a tecniche computazionali. Jeffrey Satinover in un recente libro suggerisce che una risposta a tutto ciò può essere ricercata nel fatto che nel cervello umano esistono strutture che sembrano perfettamente designate alla cattura degli effetti quantici, e alla loro amplificazione. Se così fosse, le azioni generate dal cervello, e dalla società umana nel suo complesso, potrebbero condividere (almeno in parte) la libertà assoluta, il mistero e la non-meccanicità del mondo quantico. Nel lontano 1948 Luigi Fantappiè, lavorando su considerazioni analoghe a quelle di King e di Satinover, avanzava l’ipotesi che nel momento in cui i processi all’interno dei sistemi viventi sono di tipo sintropico, quindi strettamente legati alle caratteristiche della meccanica quantistica, e nel momento in cui passato, presente e futuro coesistono, nascono automaticamente una serie di ipotesi estremamente suggestive in merito al funzionamento del cervello. In proposito Fantappiè fa un semplice esempio limitato alla memoria. Le proprietà della meccanica quantistica suggeriscono infatti che la memoria possa funzionare secondo processi non-locali nello spazio tempo e quindi in modo estremamente diverso da quello fino ad oggi proposto da biologi e neuropsicologi. Dalla coesistenza di passato, presente e futuro e dalla nonlocalità dei processi quantistici deriva infatti la possibilità di flussi istantanei e non-locali di informazione tra punti distanti dello spazio e del tempo. Di conseguenza è possibile immaginare la memoria come un insieme di processi «quantici» in cui l’informazione viene prodotta/ricordata stabilendo collegamenti non-locali. Secondo questa ipotesi, quando ricordiamo eventi passati il cervello si collegherebbe all’evento non-locale, ma tuttora presente nello spazio-tempo, e il ricordo verrebbe attinto direttamente da tale collegamento e non da «magazzini» di memoria all’interno del nostro cervello. Questa ipotesi, estremamente suggestiva e a distanza 154 intillafunzione_stampa.indd 154 7-11-2006 10:39:21 di 60 anni ancora estremamente azzardata, potrebbe costituire un importante contributo alla comprensione di un fenomeno complesso come la memoria umana. In definitiva, l’allargamento della scienza psicologica alle qualità di non-località della fisica quantistica e alle qualità della sintropia9, e l’adozione della metodologia relazionale accanto alla metodologia sperimentale, aprirebbero la strada a studi scientifici in grado di affrontare tutte quelle tematiche attualmente escluse dalla psicologia in quanto considerate al di fuori della scienza (ad esempio, la parapsicologia). A tal fine è interessante sottolineare il senso diffuso di insoddisfazione che si percepisce tra gli studenti di psicologia che, in genere, si iscrivono a questa facoltà con la speranza di scoprire la scienza dell’anima, per poi trovarsi imbrigliati in una disciplina che, nel tentativo di essere scientifica, utilizza paradigmi e metodologie di un «fisicalismo» ormai sorpassato da più di un secolo nella stessa fisica. Questa resistenza della psicologia ad aprirsi ai nuovi paradigmi della meccanica quantistica ha ridotto la psicologia ad una disciplina che in modo arbitrario cerca di ridurre la coscienza, la psiche e le emozioni ai soli aspetti meccanici e computazionali, creando in questo modo una contraddizione di fondo per la quale si tenta di indagare con un approccio entropico processi e fenomeni che nei fatti sono di natura sintropica. 155 intillafunzione_stampa.indd 155 7-11-2006 10:39:22 intillafunzione_stampa.indd 156 7-11-2006 10:39:22 Memi e psicotecnologia «Ora mi avvedo che non di rado i libri parlano di libri, ovvero è come se parlassero tra loro. Alla luce di questa riflessione, la biblioteca mi apparve ancora più inquietante. Era dunque il luogo di un lungo secolare sussurro, di un dialogo impercettibile tra pergamena e pergamena, una cosa viva, un ricettacolo di potenze non dominabili da una mente umana, tesoro dei segreti emanati da tante menti, e sopravvissuti alla morte di coloro che li avevano prodotti, o se ne erano fatti tramite». UMBERTO ECO Dawkins narra (nell’opera The Selfish Gene) che, prima dell’avvento della vita sulla terra (3-4 milioni di anni fa) si sviluppò per reazioni chimiche un brodo primordiale, le cui molecole, sotto l’effetto del sole si andarono combinando in molecole sempre più grandi. A un certo punto si produsse accidentalmente una molecola organica replicante. Questa molecola aveva la capacità di replicarsi e ad ogni replica venivano commessi dei piccoli errori che resero possibile la varietà e quindi l’evoluzione. Poiché il brodo primordiale non era in grado di alimentare un numero infinito di molecole iniziò la lotta per la sopravvivenza e le molecole svilupparono un involucro protettivo (si formarono le cellule) per proteggersi dalla guerra chimica con le loro rivali. Col tempo e in virtù del meccanismo della selezione naturale e dell’evoluzione i replicanti andarono creando delle macchine per la sopravvivenza: veri e propri organismi pluricellulari sempre più complessi come le piante e gli animali erbivori e carnivori. Che fine hanno fatto questi replicanti, miliardi di anni dopo? «Esse sono in tutti noi, hanno creato 157 intillafunzione_stampa.indd 157 7-11-2006 10:39:22 noi, corpo e mente, e la loro conservazione è la ragione ultima della nostra esistenza [...] Ora vanno sotto il nome di geni, e noi siamo le loro macchine per la sopravvivenza» (Douglas R. Hofstadter, L’Io della Mente, Adelphi, p. 135). Come geni si trovano al sicuro dentro di noi nel nucleo di ciascuna delle cellule che compongono il nostro corpo. Un corpo che nell’attimo del concepimento non è altro che una singola cellula dotata di tutte le informazioni necessarie per costruire un essere umano. Questa cellula è capace di dividersi più volte trasmettendo ogni volta una copia dei piani originali. Il gene è quindi quell’unità fondamentale della selezione naturale che tende a sopravvive e a replicarsi anche per migliaia di anni attraverso un gran numero di macchine per la sopravvivenza. Se i primi ricettacoli erano semplici macchine passive col passare del tempo la complessità di tali macchine crebbe a dismisura. Arrivati all’uomo si manifesta una qualità emergente definibile come «la coscienza di sé». Con il linguaggio e la cultura, secondo Dawkins, entra in gioco un nuovo replicante. Tale replicante viene chiamato Meme (da mimema). Esso ha la facoltà di propagarsi da un cervello all’altro e di sopravvivere come idea, produzione culturale o altro anche dopo la morte dell’individuo ospite. Se i geni sono la base del nostro hardware i memi costituiscono il nostro software. «le nostre menti sono costituite da hardware genetico e software memetico» (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 231). Con questi due termini mi sto riferendo a una terminologia in uso nell’ambiente informatico. Per esempio Assembly è un linguaggio di programmazione vicino al linguaggio macchina (che quindi potremmo considerare di basso livello - vicino al livello hardware) mentre C++ possiamo considerarlo come un linguaggio d’alto livello, cioè con un livello di astrazione maggiore: «La programmazione in Assembly richiede una riflessione secondo fasi ben precise e la stesura delle istruzioni da eseguire. Per esempio, diciamo che vuoi trovare l’ascensore. Una serie corrispondente di istruzioni in linguaggio d’alto livello potrebbe essere di questo tipo: ‘Esci dalla porta, passa davanti alla fontana e lo trovi alla tua sinistra’. L’equivalente in Assembly somiglierebbe a questa sequenza: ‘Trova il piede sinistro; trova il piede destro. Metti il piede sinistro davanti al destro. Ora 158 intillafunzione_stampa.indd 158 7-11-2006 10:39:22 metti il destro davanti al sinistro. Ripeti questa operazione dieci volte. Fermati. Voltati di novanta gradi a destra... ‘ (Hafner Lyon, 1996, p. 104). Similmente la coscienza opera a livello simbolico e normalmente non si interessa dei livelli operativi «inferiori». Per esempio può specificare un obiettivo in termini generali e astratti come «mi voglio alzare e andare a farmi un caffé» e non è suo compito entrare nelle istruzioni particolareggiate (come contrarre i muscoli etc... ). Allacciarsi le scarpe, guidare la macchina e infiniti altri comportamenti ricorrenti vengono cablati, in altre parole si incarnano nella fisiologia dell’uomo e funzionano come strutture cognitive in larga misura inconsce e automatiche. Qualcosa di simile avviene anche per le nostre convinzioni profonde che strutturano la realtà (memi-distinzione, memi-associazione) e determinano parte del nostro comportamento (memi-strategia). ( In PNL si dice che queste strategie hanno raggiunto lo status di TOTE inconscio). Solo che le convinzioni su di noi, gli altri e il mondo sono programmate con il linguaggio umano, un linguaggio a un livello di astrazione decisamente superiore rispetto a quello fisiologico. George A. Miller - Eugene Galanter - Karl H. Pribram nell’opera «Piani e struttura del comportamento» ipotizzavano che il comportamento fosse guidato da una serie di piani o schemi di azione nidificati l’uno dentro l’altro secondo un ordine gerarchico a complessità crescente. Secondo gli autori un Piano o schema di comportamento è l’equivalente di un programma di un calcolatore che predispone l’individuo a una particolare strategia d’azione: «Un Piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che può controllare l’ordine in cui deve essere eseguita una serie di operazioni.» (p. 32). Le abitudini e abilità acquisite, all’inizio erano dei Piani volontari che, attraverso un superapprendimento si sono automatizzate. Se la coscienza elabora l’informazione sequenzialmente sono necessari - per il suo funzionamento altamente complesso - anche una serie di elaboratori distribuiti parallelamente (sotto/parti dissociate dalla coscienza che in alcuni casi possono entrare in conflitto fra loro). Il meme può essere un concetto, un’idea, una particella d’informazione — infatti come il gene è composto da stringhe di 159 intillafunzione_stampa.indd 159 7-11-2006 10:39:23 simboli — che aspira a sopravvivere propagandosi per contagio attraverso mezzi non-genetici o psicotecnologie (il linguaggio, la scrittura, i libri, la radio, la TV, Internet, i CD-ROM, la musica, il teatro, il cinema, etc. ) da una mente all’altra. Come nel caso dei geni gli esseri umani sarebbero nient’altro che veicoli inconsapevoli. Ogni giorno all’interno delle loro menti si verificherebbe una lotta incessante fra fazioni di memi (memeplessi) avverse. Ma non solo, poiché una delle lotte più importanti si svolgerebbe nello spazio mediatico. Il termine «Psicotecnologia», è stato coniato da Derrick de Kerchove: Scrive De Kerkhove: «Ho coniato il termine ‘psicotecnologia’, modellato su quello di ‘bio-tecnologia’, per definire una tecnologia che emula, estende, o amplifica le funzioni senso-motorie, psicologiche o cognitive della mente [...] In effetti, il telefono, la radio, la televisione, i computer e gli altri media concorrono a creare ambienti che, insieme, stabiliscono ambiti intermedi di elaborazione di informazione. Sono questi gli ambiti delle psicotecnologie. «Le psicotecnologie consentono di immagazzinare e replicare i memi e operano su tempi molto più brevi a differenza del DNA. Questo tipo di tecnologie vengono chiamate psicotecnologie poiché il software (per esempio la scrittura) è capace di retroagire sull’hardware (il cervello) determinando l’insorgere di nuovi paradigmi cognitivi (quindi nuovi memi) che vanno a influenzare vari aspetti dell’esistenza umana: la scienza, l’arte, la stessa visione del mondo. Un primo esempio di psicotecnologia è il linguaggio. Il linguaggio predispone l’uomo al ragionamento sequenziale e lineare. Con la scrittura l’uomo fa un passo successivo: prende possesso del linguaggio. I pensieri, la memoria e la conoscenza vengono rappresentati esternamente su supporti materiali e per questo possono venir manipolati come oggetti. Derrick de Kerckhove definisce la scrittura come la prima psicotecnologia che ci ha dato una visione differente del mondo, ha comportato: - la costituzione del soggetto individuale nel pieno dei suoi poteri, la riorganizzazione del campo visivo normativo in tre dimensioni; - l’apparizione in più tappe della prospettiva a seconda del progresso nell’alfabetizzazione, la desensorializzazione del linguaggio e l’interiorizzazione psicologica della scrittura sotto 160 intillafunzione_stampa.indd 160 7-11-2006 10:39:23 forma di pensiero; - le condizioni che permetteranno all’individuo di prendere potere sul linguaggio e di conseguenza sul suo destino. [Derrick, de Kerckhove, La civilizzazione video-cristiana, Feltrinelli, Milano 1995] Scrittura intesa dunque non semplicemente come strumento tecnico ma come principio organizzatrice della mente umana, comportante uno spostamento dall’atto dell’udire a quello del vedere, facendoci così uscire dalla tribalizzazione; «solo quando la lingua smette di essere «musicale» e di soggiacere all’incanto della narrazione, potrà creare parole che esprimano la convinzione che esiste un «io», distaccato dalla tradizione e dalla sua forza ipnotica, [...] capace di distogliere le proprie facoltà mentali dall’apprendimento mnemonico per dirigerle nei canali dell’indagine critica e dell’analisi.» [Internet e le muse, Associazione culturale Mimesis, 1997 Milano, p. 348]. Con l’avvento del calcolatore (grazie alle sue capacità di elaborazione) si realizza l’estro-flessione cognitiva non solo della memoria a lungo termine (ciò era avvenuto grazie a i libri) ma anche della memoria operativa o a breve termine. Le conoscenze escono dal corpo per diventare oggetti sui quali operare. Con la realtà virtuale si può persino pensare di condividere fisicamente le proprie conoscenze con altri in una realtà parallela. Mentre con gli schermi del computer - a differenza delle altre interfacce (come le pareti di roccia, i rotoli di papiro, le pagine del libro) - l’informazione è indipendente dal singolo schermo. Diventa onnipresente: Lo stesso documento può manifestare su qualsiasi schermo connesso alla rete. Un altro aspetto interessante rispetto al libro sta nell’interattività. Con l’interattività il medium risponde in tempo reale all’input dell’utente. L’addestramento all’interattività con una interfaccia grafica grazie ai videogames inizia anche in età prescolare. Tali giochi non hanno un effetto solo ludico, sono vere e proprie psicotecnologie poiché implicano l’addestramento del sistema nervoso: «Manipolano il corpo e la mente degli utenti in nuove configurazioni, condizionandoli ad un successivo uso professionale di tecnologie computerizzate.» (Derrick de Kerckhove, L’intelligenza connettiva, Aurelio De Laurentiis Multimedia, 199 Mi, p. 54). Infine con il collegamento ipertestuale dei calcolatori in una grande rete mondiale si assiste all’avvento di una «creatura planetaria» che a detta di Giuseppe 161 intillafunzione_stampa.indd 161 7-11-2006 10:39:23 Longo «si prefigura come un vero e proprio soggetto di conoscenza inedito» (Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem, Editori Laterza, 1998 Bari, p. 115). Questo grande animale autoreferenziale e autocinetico si è posto completamente fuori dal controllo dell’individuo e forse anche degli Stati e tende al «mantenimento e al rafforzamento delle proprie strutture» (Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem, Editori Laterza, 1998 Bari, p. 10). Ha assunto una vita autonoma e si sta sviluppando inesorabilmente e inevitabilmente, con esiti che sono al di fuori della nostra capacità di elaborazione. Egli vive di sé stesso, si autoriproduce (elabora e sforna informazione), si alimenta di sé stesso come l’Oroboruous, il serpente mitico che si morde la coda. L’evoluzione biologica ha contribuito a sviluppare un hardware molto particolare, un terreno di coltura di un nuovo replicante: il meme. Secondo Dawkins con la comparsa del meme si apre un capitolo interamente nuovo nell’evoluzione. A differenza dell’evoluzione genetica, l’evoluzione memetica è molto più veloce: i memi possono passare da genitori a figli come i geni oppure possono diffondersi tra individui come un virus utilizzando le nostre menti e altri supporti come mezzo per replicarsi, inoltre un meme inadeguato viene eliminato senza bisogno di aspettare la morte del suo portatore. Ciò spiegherebbe «il fatto che durante gli ultimi diecimila anni gli uomini fondamentalmente non siano mutati a livello genetico, mentre la loro cultura (l’insieme totale dei memi) abbia subito sviluppi radicali» (Francesco Ianneo, Meme. Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999 Roma, p. 65). Ma di cosa ha bisogno un meme per potersi replicare efficacemente? Secondo Ianneo occorre che il meme sia semplice e comprensibile, che sia plausibile, che sia trasmesso fedelmente e riprodotto da medium duraturi e veloci. È altresì importante che sia ridondante: il meme deve essere come un mantra che si ripete costantemente. Occorre inoltre che sia in grado di integrare attraverso sincretismi altri memi con cui è in competizione oppure sia capace di cooperare con altri al fine di costituire un memeplesso possibilmente intollerante verso i memi differenti o meno adattativi (Francesco Ianneo, Meme. Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999 Roma, pp. 83-84). 162 intillafunzione_stampa.indd 162 7-11-2006 10:39:23 Inoltre un meme deve attirare la nostra attenzione (vedi anche focalizzazione dell’attenzione nell’ipnosi come primo passo per la creazione di una monoidea e quindi dell’ideoplasia). In un mondo in cui l’offerta di informazione è enormemente aumentata questo è un fattore cruciale per la sopravvivenza del meme stesso, che nel frattempo «si è fatto furbo». I «buoni memi» (quelli che sopravvivono e si diffondono) fanno spesso leva su alcuni istinti basici fondamentali come: combattere, fuggire, nutrirsi, accoppiarsi (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 96). In altre parole utilizzano gli «hot buttons» o «pulsanti biologici» presenti nel nostro hardware per istallarsi nella nostra mente: «I memi che risultano affascinanti per gli istinti delle persone sono quelli che più facilmente si replicano e si trasmettono attraverso la popolazione» (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 46). Questa è una legge che conoscono bene i «designer virus», coloro cioè che definiscono e progettano a tavolino i virus della mente con cui ci vogliono programmare: «Nella nostra ricerca per i virus della mente, allora, i primi aspetti da individuare saranno proprio quelle situazioni che cliccano uno o più di questi quattro pulsanti: rabbia, paura, fame e lussuria, che attirano la nostra preziosa attenzione [...]» (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 101). Una cosa dovrebbe essere ben chiara a questo punto. I memi non si evolvono per essere di beneficio agli individui, anche se molti memi lo possono essere. Un meme ben radicato nella sinapsi dell’individuo ospite guiderà il suo comportamento inducendo una fiducia cieca nella sua validità. Ciò comporta quindi un ordine implicito di diffusione. Si riscontra inoltre come a volte un meme possa essere di tipo simbiotico (capace di promuovere un comportamento adattativo per sé e per l’individuo che lo ospita) mentre altre volte funziona come un parassita e sopravvive a spese dell’organismo come i memi settari. A volte questi memi sono particolarmente aggressivi come alcune fedi politiche o religiose. Le persone che ne sono preda ne sembrano interamente controllate e perdono lo scopo della loro esistenza in loro mancanza. I suicidi collettivi ai quali partecipa anche il santone sono il chiaro esempio di come il meme detenga il potere e non chi lo «ha creato». Ci sono particolari tecniche che si sono evolute nel tempo e che consentono ai 163 intillafunzione_stampa.indd 163 7-11-2006 10:39:24 memi di riprodursi efficacemente e sono per esempio l’arte retorica, l’ipnosi, la teoria della persuasione oppure la coercizione e l’inganno. Richard Brodie descrive, oltre alla tecnica del condizionamento classico e operante, anche la dissonanza cognitiva e i cavalli di troia. La dissonanza cognitiva, fa leva sulla pressione mentale, il pathos, il disagio per istallare un nuovo meme10: «Imponendo alle persone il superamento di prove rituali, analogamente a quanto avviene ai fini dell’accesso a una casta chiusa, accade una di queste due cose: o l’iniziato si ritira per non sopportare la sofferenza, o un meme che rappresenta il valore dell’appartenenza all’organizzazione si crea o si rinforza nella mente dell’iniziato» (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, p. 225). Per rafforzare questo effetto si può far leva sugli istinti biologici fondamentali come la paura o la fame di potere e creare quello stato particolare di impasse definibile come «manette dorate», descrivibile anche con la seguente frase: «ti do la libertà totale e il potere in cambio della schiavitù perenne, ma ricorda se te ne vai perderai tutto e cadrai in disgrazia». L’altra tecnica descritta da Brodie si chiama Cavallo di Troia: «Il metodo di programmazione detto «Cavallo di Troia» opera inducendovi a fare attenzione ad un solo meme, introducendo poi, di nascosto insieme al primo, un intero pacchetto di altri memi. [...] un Cavallo di Troia può servirsi dei vostri pulsanti istintuali, cliccandoli per ottenere la vostra attenzione e insinuandosi poi in un altra zona. [...] Perché il sesso vende? Perché pigia i vostri pulsanti, attira la vostra attenzione e, agendo come un cavallo di Troia, vi condiziona con gli ulteriori memi impacchettati all’interno dello spot pubblicitario [...] La tecnica più semplice per confezionare pacchetti, quella usata più frequentemente da politici e avvocati, consiste semplicemente nel dichiarare i memi uno dopo l’altro, in un ordine decrescente di credibilità. La credibilità delle prime affermazioni sembra essere d’aiuto per quelle successive sprovviste di fondamento. [...] I memi discutibili posti alla fine del pacchetto si introducono nella vostra mente servendosi del cavallo di Troia costituito dai memi incontrovertibili posti all’inizio dell’argomentazione.» (Richard Brodie, Virus della mente, Ecomind, 2000, pp. 157-158). Un precursore della memetica è Gustav Le Bon con la sua Psicologia delle folle del 1895 (p. 157)Scrive 164 intillafunzione_stampa.indd 164 7-11-2006 10:39:24 Le bon: «In una folla ogni sentimento, ogni atto, sono contagiosi, a tal punto che l’individuo sacrifica facilmente il suo interesse personale all’interesse collettivo [...] Quando un’affermazione è stata ripetuta unanimemente per un numero sufficiente di volte, come accade per certe imprese finanziarie che acquistano tutti i consensi, si forma ciò che vien chiamato una corrente d’opinione ed interviene il possente meccanismo del contagio. Nelle folle, le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze divengono contagiose non meno dei microbi.» Lo scritto di Gustave Le Bon influenzò anche Hitler che riconobbe nella propaganda l’arma strategica per vincere la guerra: «Il ruolo di sbarramento che svolge l’artigleria nella preparazione dell’attacco della fanteria in futuro sarà assunto dalla propaganda rivoluzionaria. Si tratta di spezzare psicologicamente il nemico prima che le truppe comincino ad entrare in azione.» (Adolf Hitler, Mein Kampf). È più importante uccidere un uomo oppure le sue idee? L’arma più potente nel Terzo Millennio sarà la memetica. Siamo in piena Terza guerra mondiale e non ce ne siamo ancora accorti, ogni giorno noi siamo costantemente sotto il fuoco dei media. Le tecniche di disinformazione, persuasione e suggestione sono molteplici. Per esempio i media grazie alla loro ridondanza precisano ciò di cui si dovrebbe parlare, dirigono l’attenzione del cittadino e in tal modo istituiscono dei trend. Questa tecnica si chiama agenda-setting. Il modo in cui sono presentate le notizie funziona come un effetto placebo: Noi acquistiamo il giornale e cominciamo col vedere i titoli di prima pagina, la priorità loro accordata e in virtù di questo inganno deduciamo la loro importanza rispetto alle altre notizie che meritano minore attenzione per non parlare delle notizie mai pubblicate che a volte potrebbero essere le più importanti. L’effetto placebo consiste nel ritenere le notizie di prima pagina le notizie del giorno (Fabrizio Benedetti, La realtà incantata, Zelig Editore, 2000 Milano, p. 71). I passaggi sono esattamente gli stessi del placebo classico: inganno- convinzione - effetto. Se alla stessa persona avessimo fatto leggere le notizie in ordine sparso su dei fogli con carattere uniforme costui avrebbe sicuramente cambiato la priorità degli 165 intillafunzione_stampa.indd 165 7-11-2006 10:39:24 avvenimenti e si sarebbe accorto di alcuni avvenimenti che erano passati inosservati. Ciò vuol dire che «per modificare la nostra visione del mondo, basta modificare la forma logica con cui il mondo viene descritto attraverso i media» (Bruno Ballardini, Manuale di disinformazione, Castelvecchi, 1995 Milano, p. 16). Prendiamo i sondaggi. Sappiamo tutti ormai che i sondaggi sono creati a tavolino per ottenere un certo feedback, basta orientare il parere degli intervistati con domande formulate ad arte. Le domande servono per contagiare la persona con memi che passano inosservati sotto forma di presupposizioni. Una volta che il sondaggio ha dato il risultato desiderato può essere pubblicizzato e diffuso ampiamente come il risultato autorevole di una seria ricerca di mercato. Il sondaggio non è più un parere ma una rappresentazione oggettiva di cosa la gente pensa. Non si tratta qui di convincere la gente dicendo che cosa dovresti pensare ma si da la vittoria già per scontata. In tal modo il sondaggio funziona come una profezia che si autodetermina, serve a creare opinione piuttosto che misurarla (Bruno Ballardini, Manuale di disinformazione, Castelvecchi, 1995 Milano, p. 41-42). Un esempio di profezia che si autodetermina grazie all’intervento dei media: «quando nel marzo 1979 i giornali californiani cominciarono a pubblicare servizi sensazionali su un’imminente e drastica riduzione nell’erogazione di benzina, gli automobilisti diedero l’assalto alle pompe per riempire i loro serbatoi e tenerli possibilmente semrpe pieni. Fare il pieno di 12 milioni di serbatoi (che fino a quel momento erano mediamente solo a un quarto del livello) esaurì le enormi riserve disponibili, provocando praticamente da un giorno all’altro la scarsità predetta. (Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, Milano 1994, p. 87). Ma che dire di Internet e in particolare dell’interattività. L’interattività venduta come potere e scelta maggiore a un esame più attento si rivela una interpassività. Ciò che viene venduto come interattività è la possibilità concessa all’utente di schiacciare un infinito numero di tasti che permetteranno l’accesso ad altri documenti secondo un percorso solo in apparenza libero, insomma, qualcosa di molto simile a un topo che viene fatto correre in un labirinto. 166 intillafunzione_stampa.indd 166 7-11-2006 10:39:24 Nell’opera Scienza del comportamento umano (1957), Burrhus F. Skinner, fa una distinzione fra comportamento operante, ovvero il comportamento che opera sull’ambiente producendo delle conseguenze e quello rispondente, che risponde passivamente allo stimolo, il cui esempio tipico è il cane di Pavlov. Per dimostrare il comportamento operante ideò una gabbia (detta Skinner-box) al cui interno venne posto un topo. Nella gabbia c’era una levetta, che, una volta premuta, procurava del cibo al topo. A differenza dell’esperimento di Pavlov, il rinforzo, cioè l’evento che concorre all’apprendimento non è dato esternamente da una persona, ma è dato dall’azione del soggetto. Il topo ha il cibo solo se preme l’apposita levetta, pertanto lo stimolo non è incondizionato come per il comportamento rispondente, ma è condizionato dalla risposta del topo. [Giovanni, Reale, e Dario, Antiseri, Il pensiero occidentale dalla origini a oggi, op. cit., 676-677]. Nel 1948 Skinner aveva pubblicato Walden Two, dove viene descritta una società ideale governata in base alle teorie comportamentistiche di stimolo/risposta. La manipolazione del comportamento creerebbe una vita ideale, un’utopia non solo buona ma anche realizzabile... In effetti tutta la scienza del condizionamento consiste nell’istallazione di memi attraverso la ripetizione. Il condizionamento operante grazie al rinforzo autoindotto installa non solo memi associazione ma anche strategie di comportamento del tipo Se... allora. Il fenomeno detto «apprendimento hebbiano» (dallo psicologo canadese Donal Hebb) spiega questi fenomeni. In pratica succede che, quando dei neuroni vengono attivati più volte contemporaneamente si associano e «le cellule e le loro sinapsi cambiano chimicamente in modo tale che, quando una ora s’attiva, sarà molto più efficace nell’attivare l’altra. In altre parole, i neuroni entrano in società in modo tale da eccitarsi in coppia con maggior rapidità rispetto a prima.» (Ian H. Robertson, Il cervello plastico, Rizzoli, p. 17). Nel caso di esperienze emotive piuttosto forti la struttura di connessioni che si viene a creare rimane particolarmente radicata nel cervello (questo fenomeno è detto imprinting). Molte campagne di marketing funzionano proprio secondo questi principi: «il manifesto pubblicitario che vedete mentre vi recate al lavoro 167 intillafunzione_stampa.indd 167 7-11-2006 10:39:25 raffigura una splendida modella alla guida di una macchina che sfreccia attraverso una foresta in fiamme in un’esotica località tropicale; queste immagini attivano i neuroni nei centri emotivi del vostro cervello. Nello stesso istante i neuroni dei centri del linguaggio e di quelli visivi registrano il marchio e il nome della casa costruttrice. Tombola! Due gruppi di neuroni in zone distinte del cervello sono attivati contemporaneamente. Passate davanti a quel manifesto ogni mattino per alcune settimane, magari vi capita di vedere immagini simili la sera in televisione, e vi troverete con un complesso di neuroni interconnessi, legati tra loro, per il semplice fatto che sono stati attivati all’unisono. Il risultato? Che quando vedrete la stessa macchina nella vetrina di un concessionario, questo farà riemergere un qualche frammento dell’emozione provata inizialmente - o, almeno, questa è la speranza del gruppo responsabile del marketing!» (Ian H. Robertson, Il cervello plastico, pp. 21-22). L’ambiente culturale costituito da memi che tendono a propagarsi e a replicarsi diventa il nuovo habitat o nicchia ecologica nella quale la specie umana coevolve: «Viviamo, pertanto, all’interno di una Matrice, la matrice dei memi, quella che Wittgenstein chiamava una «forma di vita» e che il filosofo statunitense Hilary Putnam ha definito più icasticamente una vasca dove sono immersi i cervelli.» ( (Francesco Ianneo, Meme. Genetica e virologia di idee, credenze e mode, Castelvecchi, 1999 Roma, p. 134). Gli schemi comportamentali e cognitivi che definiscono la realtà consensuale sono culturalmente appresi. Il bambino impara attraverso l’esperienza, tramite l’interazione con l’ambiente in cui si situa interpretando la realtà secondo uno schema di riferimento condiviso. Il senso del Sé è frutto dell’interazione sociale e la mente emerge all’interno di un contesto tramite uno strumento offerto dalla collettività: il linguaggio. Non esiste un Io archetipo e originario preesistente alla realtà sociale poiché il Sé emerge dall’interazione con l’Altro, il non-Sé. Per esempio «Bruner sostiene che il concetto di sé che ciascuno di noi possiede non è un’essenza né un nucleo di coscienza isolato, racchiuso nella mente individuale, ma il risultato continuamente emergente della negoziazione incessante tra le nostre versioni del Sé e le versioni del nostro Sé che gli altri ci forniscono.» 168 intillafunzione_stampa.indd 168 7-11-2006 10:39:25 (Francesca Emiliani, Bruna Zani, Elementi di psicologia sociale, Il Mulino, 1998 Bologna, p. 89). Esiste anche un ben precisa influenza dei fattori culturali sulla organizzazione cerebrale. La percezione dei colori, il linguaggio, la scrittura sono fenomeni non programmati dai geni. Il contesto sociale e quindi il medium memetico è responsabile della variazione nella percezione dei colori da cultura a cultura: «L’uomo percepisce una gamma di lunghezze d’onda grazie a varie strutture, la retina e il corpo genicolato laterale, le quali sono presenti anche in altre specie animali, come il gatto o la scimmia. Tuttavia nell’uomo le lunghezze d’onda vengono categorizzate secondo delle denominazioni specifiche. Esse vengono apprese nel bambino dopo l’acquisizione del linguaggio [...] Quando si denomina una certa lunghezza d’onda («questo è rosso», «questo è giallo», ecc. ) si è stabilita, tra le strutture implicate nella decodificazione dell’informazione «lunghezza d’onda» e quelle implicate nelle funzioni linguistiche, una nuova interazione funzionale che precedentemente non era già implicita.» (Luciano Mecacci, Identikit del cervello, Laterza, 1995, p. 160). Gli studi sull’organizzazione funzionale del cervello giapponese hanno dato risultati sorprendenti. A quanto pare la specializzazione emisferica nei giapponesi non corrisponde a quella che di regola si riscontra negli occidentali. L’emisfero sinistro (preposto alla elaborazione del linguaggio) nei giapponesi compie un’analisi verbale anche di suoni come il vento, le onde, etc. e ciò è dovuto alla grande importanza delle vocali nella loro lingua. Si è inoltre riscontrato che i vari disturbi del linguaggio nei giapponesi derivano da lesioni in aree cerebrali diverse da quelle degli occidentali. Ciò è dovuto alla struttura della lingua giapponese. La scrittura giapponese è costituita da caratteri ideografici (Kanji) e caratteri alfabetici (Kana). Per il riconoscimento degli ideogrammi si attiva in particolare l’emisfero destro mentre per il riconoscimento dei caratteri alfabetici l’emisfero maggiormente implicato è quello sinistro. Così può accadere che un giapponese colpito da lesione all’emisfero sinistro può continuare a leggere e a scrivere a differenza di un occidentale - per lo meno i Kanji. La cosa importante da considerare 169 intillafunzione_stampa.indd 169 7-11-2006 10:39:25 è che tali caratteristiche sono culturalmente determinate: «Rispetto a uno stimolo come una figura geometrica o un suono puro il cervello dei giapponesi non ha una organizzazione diversa dal cervello degli occidentali. Quando però interagisce con il mondo di stimoli della propria cultura (la musica, i tipi di scrittura, ecc. ), allora il cervello mette in atto una specifica dinamica funzionale.» (Luciano Mecacci, Identikit del cervello, Laterza, 1995, p. 46) Insomma i memi, in virtù della stretta relazione corpo/mente guidano anche l’evoluzione genetica... Tutto ciò è affine alla proposta teorica del movimento del costruzionismo sociale nato tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80. Per i costruzionisti la conoscenza non è costruita individualmente ma è frutto di una costruzione condivisa per mezzo di pratiche di tipo conversazionale. È tramite la comunicazione, la negoziazione, la retorica, il linguaggio, l’interazione sociale che la realtà viene costruita e condivisa: «la conoscenza non è qualcosa che le persone possiedono da qualche parte nelle loro teste, ma piuttosto è qualcosa che fanno insieme.» (Oltre il cognitivismo, Franco Angeli, p. 94). Troviamo quindi una chiara influenza della visione olistica della mente proposta da Bateson, una mente intesa come proprietà immanente nel più ampio sistema uomo più ambiente. Troviamo anche un’eco della filosofia analitica, in particolare il secondo Wittgenstein (Ricerche filosofiche). In quest’opera Wittgenstein sostiene che ogni forma di linguaggio sia anche una forma di gioco linguistico con le sue particolari regole d’uso. E in quanto artefatto sociale è il risultato di un’impresa attiva e congiunta di persone in relazione. I significati perciò vengono creati e negoziati all’interno di una particolare comunità. L’inconscio non è soltanto qualcosa di atavico o il deposito degli istinti animaleschi ma è un fatto culturare, i sintomi sono culturalmente determinati. L’inconscio non è neanche qualcosa che sta nel cervello. A questo proposito Jung parlava di un inconscio collettivo. Mentre Jacques Lacan diceva che l’inconscio è strutturato come un linguaggio e che il linguaggio è la condizione dell’inconscio. L’uomo concorre a creare queste narrazioni anche se il più delle volte ne è raccontato. Pensiamo ai fenomeni di culto come le Nike, l’Harley Davidson, la Ferrari, Che Guevara, lo Swatch, Star Treck, la New Age e molti altri fenomeni più o meno duraturi. Un 170 intillafunzione_stampa.indd 170 7-11-2006 10:39:25 artefatto di questo tipo richiama altro da sé stesso. Si trasforma in una merce/simbolo, una merce/racconto, diventa una vera e propria iper-merce che può garantire l’appartenenza a una tribù (merce/ badge) e l’acquisizione di una identità (merce/identità) (La fabbrica del cult. Merci da amare (e comprare), a cura di Fulvio Carmagnola, Ricerca e Sviluppo Mediaset, LINK Ricerca, 1999 Milano, p. 16). Il cult acquisisce un sovraccarico valoriale (un valore aggiunto di tipo simbolico) attraverso un percorso analogico metonimico e metaforico che lo aggancia a miti e narrazioni preesistenti nella società. In quanto «rappresentante simbolico privilegiato» acquisisce il potere di richiamare un mondo mitico (p. 34) Sono quindi le connotazioni simboliche che creano quell’alone di seduttività e fascinazione da cui viene rivestito il prodotto. Questo addensamento connotativo comporta secondo Maura Ferraresi una surrinterpretazione (si comincia a pensare che il culto voglia dire più di quello che dice) e quindi una vera e propria deriva semiotica (pp. 44-45). «I giochi surrinterpretativi surriscaldano un oggetto, un libro, per farlo diventare altro, lasciando all’oggetto il ruolo di gancio sul quale si appendono la fantasia, i bisogni, le speranze o le disperazioni del soggetto che lo investe di un discorso. [...] Ma il vero lavoro di trasformazione non sarà dell’oggetto, che svolge in questo caso solamente la funzione di esca. Sarà il lavoro semiotico a produrre questa radicale trasformazione.» Quando il prodotto è diventato un simbolo, quando è stato per così dire, caricato energeticamente è in grado di focalizzare e colpire l’attenzione e allora ne veniamo come catturati e il culto potrà impiantarsi nelle nostre menti e replicarsi: «Se proviamo a circoscrivere l’ambito di esperienza che ci conduce a diventare adepti di un culto, dobbiamo ammettere che la scelta avviene perché qualche cosa ci ha colpito e ci ha quasi costretto a dedicargli la nostra totale attenzione. Da dove viene tale sorgenza di attenzione? L’ipotesi immediata è: dalla concreta presenza, fisica e determinata dell’oggetto. Senonché, questo oggetto a noi appare sotto forma di discorso, o comunque avvolto da discorsi e quindi «semanticamente» già lavorato». I fenomeni più drammatici sono chiaramente le infezioni memetiche ideologiche e religiose che possono arrivare addirittura 171 intillafunzione_stampa.indd 171 7-11-2006 10:39:26 a sfociare in suicidi di massa come fu il caso del Tempio del Popolo, del Tempio Solare e di Heaven’s Gate. Il termine infezioni memetiche ci riaggancia all’ultima definizione (in ordine di tempo) che Dawkins da del meme: nel saggio Viruses of the mind (1993) il meme viene descritto come un virus capace di propagarsi di mente in mente. Questa apparente incongruenza fra il modello darwiniano-replicativo (meme=gene) e il modello epidemiologico (meme=virus) è soltanto apparente secondo Dawkins poiché le due ipotesi si possono integrare: «I memi viaggiano longitudinalmente attraverso le generazioni, ma viaggiano anche orizzontalmente, come i virus in un’epidemia» (R. Dawkins, Unweaving the Raimbow. Science, Delusion and the Appetite for Wonder, London, Penguin, 1998, p. IX). 172 intillafunzione_stampa.indd 172 7-11-2006 10:39:26 Retrocausalità e terapia «La legge della vita non è dunque la legge dell’odio, la legge della forza, cioè delle cause meccaniche, questa è la legge della non vita, è la legge della morte; la vera legge che domina la vita è la legge dei fini, e cioè la legge della collaborazione per fini sempre più elevati, e questo anche per gli esseri inferiori. Per l’uomo è poi la legge dell’amore, per l’uomo vivere è, in sostanza, amare, ed è da osservare che questi nuovi risultati scientifici possono avere grandi conseguenze su tutti i piani, in particolare anche sul piano sociale, oggi tanto travagliato e confuso.» LUIGI FANTAPPIÉ Nel 1928, lavorando sulla equazione relativistica dell’elettrone, che ammette due soluzioni, la prima che si muove dal passato al futuro (onde ritardate) e la seconda che si muove dal futuro verso il passato (onde anticipate) Paul Dirac arrivò alla dimostrazione matematica dell’esistenza del positrone, esistenza che fu poi confermata nel 1932, da Anderson, grazie allo studio dei raggi cosmici. Nel 1907 Einstein con la teoria della relatività ristretta e successivamente Minkowsi con il cronotopo avevano mostrato che il tempo non è formato da «istanti» contemporanei, ma che passato, presente e futuro coesistono. La scoperta della coesistenza di passato, presente e futuro è paragonabile, per importanza, alle altre grandi scoperte controintuitive della scienza, ad esempio: era intuitivo immaginare la Terra piatta, mentre era contro-intuitivo immaginarla rotonda; era intuitivo immaginare il Sole che ruota attorno alla Terra, ma contro-intuitivo immaginare la Terra che ruota attorno al Sole. Oggi è intuitivo immaginare il tempo che scorre dal passato verso 173 intillafunzione_stampa.indd 173 7-11-2006 10:39:26 il futuro, ma contro-intuitivo immaginare che passato, presente e futuro coesistono! Nel 1942 Luigi Fantappiè, uno dei maggiori matematici italiani, dimostrò che le onde ritardate (che si muovono dal passato al futuro e che dipendono da cause collocate nel passato) sono governate dal principio dell’entropia, mentre le onde anticipate (che si muovono dal futuro verso il passato e che dipendono da attrattori collocati nel futuro) sono governate da un principio simmetrico da lui denominato sintropia. Attualmente, la nostra cultura rifiuta l’esistenza del futuro e cerca di spiegare tutto in termini di cause collocate nel passato. Le conoscenze e l’agire così prodotte sono necessariamente governate dal principio dell’entropia, cioè da un principio che tende verso il disordine, la disgregazione, il caos e la morte. La crisi contemporanea non è altro che la dimostrazione quotidiana del principio dell’entropia. Albert Szent-Gyorgyi, scopritore della vitamina C e premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1937, sottolinea che «Una differenza fondamentale tra l’ameba e l’uomo è l’aumento di complessità che presuppone un meccanismo in grado di contrastare la seconda legge della termodinamica. In altre parole, deve esistere una forza in grado di contrastare la tendenza universale della materia e dell’energia a distribuirsi uniformemente. Nei processi della vita troviamo comunemente una diminuzione nell’entropia. Gli organismi viventi aumentano l’organizzazione interna e, spesso, del mondo esterno, opponendosi alla tendenza universale verso l’entropia.» Sviluppando queste considerazioni Szent-Gyorgyi postulò negli anni ’70 l’esistenza del principio della «sintropia», pur non conoscendo i lavori di Fantappiè che già negli anni ’40 aveva coniato questo termine. Mente l’entropia è una forza universale che porta alla disintegrazione verso forme inferiori di organizzazione, la sintropia è la forza opposta che porta i sistemi viventi a raggiungere forme di organizzazione sempre più elevate e armoniche (Szent-Gyorgyi, 1977). Il problema fondamentale secondo Szent-Gyorgyi è che «esiste una profonda differenza tra sistemi organici e non organici […] come scienziato non posso credere che le leggi dell’universo perdano la loro validità alla superficie della nostra pelle. La legge dell’entropia non sembra dominare i sistemi viventi.» Szent-Gyorgyi dedicò gli ultimi 174 intillafunzione_stampa.indd 174 7-11-2006 10:39:26 anni della sua vita allo studio della sintropia e del contrasto tra sintropia ed entropia. Come è stato sottolineato dal fisico quantistico Giuseppe Arcidiacono e dal biochimico Salvatore Arcidiacono, l’indeterminatezza che si osserva al livello del microcosmo deriva dal fatto che il sistema quantico è costantemente esposto alla supercausalità, cioè in ogni istante il sistema è obbligato ad operare una scelta tra cause collocate nel passato (onde divergenti) e cause collocate nel futuro (onde convergenti); l’esito di queste scelte non può essere determinato a priori, rendendo perciò i sistemi quantici indeterminati (Arcidiacono, 1991). Anche se la questione in merito a quando una qualsiasi struttura passi dalle leggi del microcosmo (fisica quantistica) a quelle del macrocosmo è ancora oggi una questione aperta, sembra che tale passaggio avvenga gradualmente attorno ai 200 Angström (una unità di misura pari a 0,1 nanometri; ad esempio, l’atomo di idrogeno misura 0,25 Angström). Poiché le strutture biologiche minimali, come le vescicole sinaptiche e i microtuboli, hanno dimensioni inferiori ai 200 Angström, si ipotizza che esse siano oggetti «quantici» sollecitati, di conseguenza, in modo costante dalla causalità e dalla retrocausalità (Arndt, 2005). Questo stato costante di scelta in cui si troverebbero i sistemi viventi porterebbe alla nascita di «dinamiche caotiche», dinamiche che possono essere studiate unicamente da un punto di vista probabilistico. L’equazione energia/momento/massa, E2 = c2p2 + m2c4, implica l’esistenza di massa positiva (+mc2) e di massa negativa (-mc2), dove la massa positiva si muove a velocità inferiore a quella della luce e la massa negativa si muove a velocità superiore a quella della luce con un flusso temporale che va dal futuro verso il passato. Da queste premesse, nel 1928 Dirac giunse alla sua famosa teoria dell’elettrone con spin, e alla previsione dell’antiparticella dell’elettrone (positrone). Nel 1934, tuttavia, la soluzione negativa dell’equazione di Dirac venne rifiutata, dando così origine all’attuale Modello Standard della fisica. Oggi, la validità della soluzione negativa dell’equazione energia/momento/massa è confermata dai fenomeni «anomali» osservati nei sistemi viventi e nella fisica quantistica: la trasmissione di informazione ad una velocità superiore a quella della luce (nonlocalità spaziale) e a ritroso nel tempo (non-località temporale). 175 intillafunzione_stampa.indd 175 7-11-2006 10:39:26 L’equazione di Dirac è robusta matematicamente, non mostra contraddizioni e le sue previsioni vengono confermate dalla verifica empirica; ma, nel 1934, Heisenberg dichiarò l’inesistenza degli stati negativi di questa equazione irrigidendo il paradigma meccanicista (causa-effetto) e bloccando lo sviluppo della scienza nei campi della super-casualità. Negli ultimi anni un numero crescente di ricerche ha dimostrato l’esistenza della retrocausalità: situazioni nelle quali le cause sono collocate nel futuro e l’informazione si muove a ritroso nel tempo. La Psicologia Quantica (P. Q. ) è la nuova psicologia che scaturisce dalle conclusioni alle quali sono ormai pervenuti molti dei fisici quantistici di punta contemporanei e che pensa la struttura dell’essere umano in modo nuovo e diverso. Attraverso gli studi di D. Bohm, E. Laszlo e K. Pribram, nell’interpretazione della realtà generale e nelle neuroscienze ha preso forma l’ipotesi ologrammatica, che spiega sia il funzionamento della vita umana in rapporto all’universo sia il funzionamento del cervello. Nella struttura interna dell’uomo la P. Q. postula la possibile esistenza di un Sé extramentale (OntoSè) più prossimo al piano ontologico della dimensione implicata secondo D. Bohm, rispetto al Sé mentale di tipo junghiano. Inoltre e per conseguenza, può esistere probabilmente un centro coscientepensante che costituisce la matrice dell’identità fondamentale di ognuno, denominato Essere relativo, a sua volta filiazione di una matrice originaria costituita da energìa-informazione-coscienza pura (l’esseità dell’ordine implicato). Si sostiene altresì che, in accordo con la tesi dei molti universi fisici esistenti, questi siano potuti emergere da energìe infinitesimali subquantistiche del Campo di Energìa Unificato primordiale (il «mare» di P. Dirac) che precedeva il Big Bang, lo spazio ed il tempo. Per questo la realtà manifesta e gli eventi in essa debbono conseguentemente avere al loro interno le stesse leggi della dinamica subquantistica (SQD), le quali oggi obbligano a pensare le interazioni ad ogni livello in modo olistico e non più diviso in parti, come invece fatto sino ad ora dalla concezione classica deterministica e causale della fisica newtoniana. La visione olistica-quantistica richiama inoltre il concetto di sintropia, proposto a suo tempo da Luigi Fantappiè e rilanciato ai nostri giorni dalle iniziative del dr. Ulisse Di Corpo. In pratica le cause di ciò che accade possono anche 176 intillafunzione_stampa.indd 176 7-11-2006 10:39:27 venire «richieste» dal futuro, se si ammette che gli eventi dimorino nel non-tempo degli stati sovrapposti di indeterminazione quantistica, prima di emergere sul piano fattuale. Ne consegue che si può allora anche affermare che tali cause attraggono gli eventi che hanno un valore sintropico-finalistico. Per questa ragione diviene possibile altresì considerare l’universo come «un grande pensiero» ed i fenomeni sintropici come caratteristici del principio di vita (L. Fantappiè). Se come sostenuto da questo autore, vivere significa tendere a dei fini, ciò comporta necessariamente che vi sia un programma a monte, sia a livello universale che particolare nell’umano. Così l’ordine e la differenziazione complementari e caratteristici della sintropia, aiutano anche la coevoluzione dell’umano, inteso questi come sistema operante secondo criteri e scopi di crescente complessità e qualità. La sintropia rappresenta in tal modo l’essere «in fase» dell’uomo e più in natura vi è sinergìa, coerenza e sintropia, più queste si debbono conseguentemente ritrovare in ogni sistema naturale, così che la sovracitata coevoluzione deve venire più logicamente promossa da un’antecedente e poi corrispondente coinformazione. Allora in una realtà che scaturisce dagli stati quantistici sovrapposti e che si dipana mediante il collasso della funzione d’onda, anche il rapporto paziente-terapeuta (di seguito P-T) va ripensato secondo la concezione duale tipica dell’onda-particella in fisica, partendo dall’originario stato di indeterminazione secondo W. Heisemberg. In altri termini la dinamica intrapsichica ed interpersonale P-T seguirebbe le stesse regole della fisica quantistica e l’inconscio sarebbe il «luogo» nel quale tali regole si applicano inizialmente anche per lo psichismo. In psicoanalisi il processo primario viene pensato come energìa psichica che fluisce tramite spostamento e condensazione ed obbedisce ai criteri del principio di piacere, quindi risulta essere ontogeneticamente anteriore al principio di realtà ed agli eventi; pertanto il processo sembra svolgersi proprio mediante le stesse leggi dell’energìa quantistica: dall’indeterminato alla finalizzazione. Quando l’analista non definisce, non interpreta, ma si arresta rimanendo sospeso ed in disparte nella relazione terapeutica, egli consente al paziente di risolvere lo svolgimento dell’equazione di Schrödinger secondo necessità, così che la comunicazione e gli eventi 177 intillafunzione_stampa.indd 177 7-11-2006 10:39:27 in seduta appaiono come il risultato di una scelta operata fra tutti i possibili protopensieri (quelli non ancora definiti e coscienti) presenti nel campo P-T. La psicoanalisi stessa, come i modelli integrati più recenti, potrebbe dunque venire considerata ciberneticamente come un linguaggio che si rivela in modalità quantistiche. In particolare ogni interazione P-T, a prescindere dall’indirizzo seguito, non può che venire considerata oggi come uno spazio di Hilbert, vale adire la descrizione matematica delle variazioni spazio-temporali, l’insieme di tutti i possibili stati di un aggregato quantico, il luogo della compresenza delle emozioni che trasformano, uno spazio infinito di dimensioni. Per F. Corrao il campo terapeutico è energìa costituita da impulsi in propagazione espansiva (vedi teorema delle relazioni connessionistiche a distanza di J. Bell), è l’area che D. Winnicott definiva «transizionale», una dimensione in cui identità ed appartenenze sfumano. Per F. Riolo tale campo è una distribuzione di intensità. Ivi occorre inserire quello che prima era il «Terzo escluso», facendolo divenire incluso, la via di mezzo, ciò che è e che non è contemporaneamente, poiché il campo bipersonale P-T può funzionare in coerenza quantistica secondo le teorie dei campi ed in esso le affermazioni e le negazioni non sono più le sole possibilità d’espressione: ciò che non è ancora pensiero e non è ancora a coscienza, è però già un essente in potenza. S. Hameroff (1998) ha considerato gli effetti filosofici del fatto che il pensiero compaia e scompaia come il fotone evenescente all’interno dei microtubuli cerebrali. Dunque nel rapporto terapeutico c’è un momento del non-tempo, dove ciò che poi si rivela ed accade viene influenzato dal trasferimento di energìa in forma duale ed indeterminata-paradossale. Ma ogni terapia non è forse in definitiva un trasferimento di informazione-consapevolezza che porta conoscenza e che in seguito viene suscitata nell’interiorità del paziente? Pertanto la nuova psicoterapia interdisciplinare che oggi si annuncia (poiché fondata su tali princìpi) avrà di fronte a sé un problema tecnico: come sostenere l’equazione che la conoscenza determini la salute psicofisica e come accedere ad una conoscenza interdisciplinare integrata da veicolare al paziente attraverso nozioni assunte da aree del sapere diverse ma connesse dai princìpi di riferimento, dai contenuti e dalla logica (fisica, neuroscienze, 178 intillafunzione_stampa.indd 178 7-11-2006 10:39:27 psicologia clinica su basi quantiche, filosofia). Se la cura ha come fine ultimo l’individuazione (C. G. Jung) e la realizzazione (A. Maslow), allora la terapia consistente in energìa-informazione-consapevolezza prima veicolata al paziente e poi suscitata nel medesimo, può produrre quella potentia aristotelicamente intesa come energìa originaria, come l’essere in coerenza quantica con l’esistenza, prima smarrita. W. Pauli affermava in proposito: «L’energìa è la vera sostanza, ciò che si conserva; solo la forma con la quale essa si presenta, cambia». Ancora, egli aggiunge che il binomio inconscio-coscienza va interpretato in analogìa con le situazioni paradossali della fisica; la complementarità ha permesso la sintesi di opposti fondamentali quali l’oggettività e la soggettività, mentre l’indeterminazione dà ragione dei fenomeni psichici già esistenti seppur non ancora attuati (ibid); (controfattuali sono detti gli eventi possibili ma effetti di cause non realizzatesi; cfr. R. Penrose). In definitiva per Pauli: «la coscienza non è un qui e l’inconscio non è un là». L’apprendimento che segue nel paziente, inteso allora come modalità di superamento dell’entropìa interiore, risolve la nevrosi e riorganizza il soggetto favorendo la sua salute e la sua evoluzione, sicché possiamo anche affermare che salute ed evoluzione debbono consistere nel risultato conseguente del livello di informazione-coscienza posseduto dal paziente, dalla sintropia come risultato e condizione di stato, grazie anche alla terapia. Per queste ragioni la nuova psicoterapia che scaturisce dalla psicologia quantica sarà fondamentalmente basata sul trasferimento alla persona di un sapere olistico interdisciplinare integrato che essa deve assimilare (un insieme di nozioni non soltanto psicologiche), oltre al consueto apporto dato dalle interpretazioni della psicologia tradizionale. Per quanto concerne la misurabilità degli effetti del nuovo modello e dei risultati, la sperimentazione continua e sembra indicare un netto abbassamento della lunghezza del trattamento, una più rapida risposta dei soggetti ad esso ed una crescita qualitativa degli stessi nella triade costituita da: consapevolezza di sé, del rapporto fra sé e la realtà e dal livello di coscienza-evoluzione sintropica raggiunto. 179 intillafunzione_stampa.indd 179 7-11-2006 10:39:28 intillafunzione_stampa.indd 180 7-11-2006 10:39:28 PARTE II - ANALISI DEL TESTO intillafunzione_stampa.indd 181 7-11-2006 10:39:28 intillafunzione_stampa.indd 182 7-11-2006 10:39:28 NOTE 1) Talamo Il talamo è una struttura del sistema nervoso centrale più precisamente del diencefalo posto bilateralmente ai margini laterali del terzo ventricolo. Il talamo è un ammasso di sostanza grigia al cui interno si trovano la stria midollare interna e la stria midollare esterna. Queste due unendosi fra loro formano una stuttura ad Y delimitando innanzi, compresi nella biforcazione, i nuclei anteriori, i nuclei laterali e mediali (rispetto alla lamina midollare interna); i nuclei laterali vengono distinti in ventrali e dorsali. Inoltre vi sono i nuclei intralaminari nello spessore della lamina midollare interna, il nucleo reticolare posto lungo la superficie laterale del talamo e i nuclei della linea mediana del talamo posti sulla superficie mediale dello stesso. 2) Superconduttività Il fenomeno della superconduttività venne inaspettatamente scoperto nel 1911 da un fisico olandese di nome Heike Kamerlingh Onnes (1853-1926, premio Nobel per la fisica nel 1913). Questi, nell’ambito di uno studio delle proprietà elettriche dei metalli a basse temperature, osservò che il mercurio, se raffreddato a temperature inferiori ai 4,16 Kelvin (i Kelvin sono gradi centigradi al di sopra dello zero assoluto della temperatura, che è situato a -273,16 gradi centigradi), cessa improvvisamente di opporre qualsiasi resistenza al passaggio di corrente elettrica: la sua resistenza elettrica diventa nulla. Successivamente si è potuto accertare che questo fenomeno 183 intillafunzione_stampa.indd 183 7-11-2006 10:39:28 non è limitato al mercurio, ma esiste una lunga serie di altri elementi o sostanze composte che, se raffreddati al di sotto di una determinata temperatura critica, come viene denominata la temperatura alla quale il fenomeno della superconduttività si innesca, permettono il trasporto di corrente elettrica senza la benché minima perdita di energia. Fra gli elementi a noi più famigliari figurano l’alluminio, con una temperatura critica di 1,19 Kelvin, o il piombo, che diventa superconduttore a 7,2 Kelvin. Sul fronte delle sostanze composte vale la pena citare, per la sua ampia utilizzazione in applicazioni commerciali, il niobio-titanio, una lega metallica che diventa superconduttrice a circa 9 Kelvin. Abbastanza interessante e curioso, come vedremo ancora in seguito, è il fatto che il rame, l’oro e l’argento, ossia quei materiali che a temperatura ambiente figurano fra i migliori conduttori elettrici, a basse temperature non diventano superconduttori. Non esiste una regola semplice che permette di stabilire a priori quali materiali diventino superconduttori a temperature sufficientemente basse. I seguenti punti, basati su osservazioni empiriche, meritano comunque di essere citati: 1)solamente metalli o composti metallici diventano superconduttori, 2) tutte le temperature critiche sono inferiori ai 23 Kelvin, 3) i metalli nobili e 4) i metalli magnetici non diventano superconduttori. L’assenza di resistenza elettrica non è però l’unica caratteristica fondamentale dei superconduttori. Esiste infatti una seconda non meno spettacolare proprietà che un superconduttore deve manifestare affinché esso possa essere considerato tale: si tratta dell’effetto di Meissner, così chiamato in onore dello scienziato che lo scoprì nel 1933. L’effetto consiste nella proprietà del materiale superconduttore di escludere dal suo interno qualsiasi campo magnetico. In termini specialistici si dice che il superconduttore si comporta come un diamagnete ideale. Senza questa proprietà un materiale privo di resistenza elettrica non è un superconduttore, esso è «semplicemente» un conduttore ideale. È grazie a questa proprietà che il fenomeno della superconduttività può essere considerato un vero e proprio stato di fase della materia, uno stato di equilibrio termodinamico che si contrappone alla fase cosiddetta normale, 184 intillafunzione_stampa.indd 184 7-11-2006 10:39:29 quella cioè in cui il trasporto della corrente elettrica è un fenomeno dissipativo. Generalmente un campo magnetico è, o può essere, associato ad un flusso di corrente elettrica. In un elettromagnete, ad esempio, il campo magnetico è generato dalla corrente che scorre nelle sue spire. Analogamente, i superconduttori reagiscono a campi magnetici esterni mettendo spontaneamente in moto nel loro interno un flusso di corrente elettrica tale che il campo magnetico ad esso associato annulli internamente il campo magnetico nel quale essi sono immersi. I superconduttori, quindi, escludono dal loro interno i campi magnetici magnetizzandosi. Questo particolare comportamento può essere messo in evidenza sperimentalmente avvicinando un superconduttore ad un magnete permanente, e registrando la forza repulsiva che si instaura tra di essi a causa della loro diversa polarità magnetica. L’effetto che si osserva è del tutto simile a quello che tutti abbiamo probabilmente già sperimentato tentando di avvicinare i poli opposti di due magneti. 3) Teorema di Bell Il Teorema di Bell è il più famoso lascito del fisico irlandese John Bell. È notevole perché mostra che le predizioni della Meccanica quantistica differiscono da quelle dell’intuizione. È semplice ed elegante, e tocca questioni fondamentali per la filosofia della fisica moderna. Nella sua forma più semplice il teorema afferma: Nessuna teoria fisica a variabili locali nascoste può riprodurre le predizioni della meccanica quantistica. L’articolo di Bell del 1965 era intitolato «Sul paradosso Einstein-Podolsky-Rosen». Il Paradosso Einstein-Podolsky-Rosen presume il realismo locale, ossia le nozioni intuitive che gli attributi delle particelle abbiano valori definiti indipendentemente dall’atto di osservazione, e che gli effetti fisici abbiano una velocità di propagazione finita. Bell ha dimostrato che il realismo locale impone delle restrizioni su certi fenomeni, che non sono richieste dalla meccanica quantistica. Queste restrizioni sono chiamate disuguaglianze di Bell. Le disuguaglianze riguardano misure fatte da osservatori (solitamente chiamati Alice e Bob) su coppie di particelle «entangled 185 intillafunzione_stampa.indd 185 7-11-2006 10:39:29 (intrecciate)» che hanno interagito e sono state separate. I presupposti delle teorie a variabili nascoste limitano le correlazioni possibili nelle successive misure sulle particelle. Bell ha scoperto che, invece, per la meccanica quantistica, questo limite alla correlazione può essere violato. Gli esperimenti ad oggi dimostrano abbondantemente che le disuguaglianze di Bell sono violate. Questo fornisce una prova empirica contro il realismo locale, e dimostra che alcune delle «raccapriccianti azioni a distanza» previste dall’esperimento ideale EPR di fatto accadono realmente. Questi esperimenti sono quindi considerati prova positiva a favore della meccanica quantistica. I principi della relatività speciale sono comunque salvati dal teorema di non-comunicazione, che implica che gli osservatori non possono utilizzare gli effetti quantistici per comunicare informazione a velocità superiore a quella della luce. 4)Principio di Indeterminazione Werner Heisemberg (1902-1976) fornì negli anni 1926 e 1927 l’impianto concettuale su cui si organizzò la nuova meccanica necessaria per analizzare il comportamento del mondo microscopico. In quell’ambito Heisemberg derivò dai principi della meccanica quantistica una legge estremamente semplice da comprendere, ma assolutamente controintuitiva. Tale legge era già stata intuita analizzando il risultato di tutti i possibili esperimenti ideali che si possano pensare per misurare le coordinate spaziali e la velocità (o quantità di moto) di una particella quando si tenga conto della interazione tra oggetto di misura e strumento di misura. La legge afferma che la misura simultanea delle coordinate spaziali e della quantità di moto di una particella introduce sempre incertezze (o indeterminazioni) nei loro valori indicate con Δx e Δpx. Tali incertezze sono collegate tra loro dalla relazione: Δx Δpx ≥ h /4π (dove h è detta costante di Plank). La costante h è una delle costanti più importanti della fisica, gioca un ruolo fondamentale nella descrizione del mondo sub atomico e la si incontra costantemente in meccanica quantistica (interazioni tra radiazione e materia, energia e quantità di moto dei fotoni, principio di indeterminazione). Senza entrare troppo in dettaglio si può affermare 186 intillafunzione_stampa.indd 186 7-11-2006 10:39:29 che per osservare la particella bisogna illuminarla, ma illuminarla vuol dire farla interagire con almeno un fotone la cui energia è proporzionale alla frequenza attraverso la costante di Planck. L’interazione della particella con il fotone modifica lo stato della particella e lo modifica tanto più intensamente quanto più si vuole determinare con precisione la posizione. Infatti il fotone è tanto più preciso spazialmente quanto maggiore è la sua frequenza, ma questo fatto ne aumenta l’energia e dunque produce effetti sempre più imprevedibili sulla velocità della particella dopo l’urto. Le coordinate e le corrispondenti quantità di moto lungo gli altri due assi sono legate da relazioni simili. Se confrontiamo la soluzione classica del problema della dinamica con il principio di indeterminazione vediamo subito che essi sono in contraddizione. In effetti, nello scrivere le equazioni del moto bisogna specificare, con la massima accuratezza, le condizioni iniziali; ma, in base al principio di indeterminazione le condizioni iniziali possono essere determinate solo in maniera approssimata ed esiste un limite al di sotto del quale non si può scendere. All’interno della diffusa (ma non universalmente accettata) interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, il principio di indeterminazione è inteso come il fatto che a un livello elementare, l’universo fisico non esiste in forma deterministica, ma piuttosto come una collezione di probabilità, o potenziali. Ad esempio, il modello (probabilità di distribuzione) prodotto da milioni di fotoni che passano attraverso una fessura di diffrazione, può essere calcolato usando la meccanica quantistica, ma il percorso esatto di ogni fotone non può essere predetto da nessun metodo conosciuto. L’interpretazione di Copenaghen sostiene che non può essere predetto da nessun metodo. Ed è questa interpretazione che Einstein stava mettendo in discussione quando disse: «Non credo che Dio abbia scelto di giocare a dadi con l’universo». Bohr, che era uno degli autori dell’interpretazione di Copenaghen rispose: «Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare», a cui Feynman aggiunse «Non solo Dio gioca a dadi, ma li lancia dove non possiamo vederli». Einstein era convinto che questa interpretazione fosse errata. Il suo ragionamento era che tutte le distribuzioni di probabilità precedentemente conosciute, sorgessero da eventi deterministici. La 187 intillafunzione_stampa.indd 187 7-11-2006 10:39:30 distribuzione di un lancio di moneta può essere descritta con una distribuzione di probabilità (50% testa e 50% croce). Ma questo non significa che i movimenti fisici siano impredicibili. La meccanica classica può essere usata per calcolare esattamente come ogni moneta atterrerà, se le forze agenti su di essa sono conosciute. E la distribuzione testa/croce si allineerà con la distribuzione di probabilità (date forze iniziali casuali). Einstein assunse che ci fossero delle variabili nascoste nella meccanica quantistica che sottostanno alle probabilità osservate. Né Einstein né altri sono mai riusciti a costruire una teoria della variabile nascosta soddisfacente, e la disuguaglianza di Bell illustra alcuni aspetti critici di questa ricerca. Anche se il comportamento di una particella individuale è casuale, è correlato al comportamento delle altre particelle. Quindi, se il principio di indeterminazione è il risultato di qualche processo deterministico, deve essere il caso che particelle poste a grande distanza trasmettano istantaneamente l’informazione a tutte le altre, per assicurare che ci sia una correlazione nel comportamento. 5) Funzione d’onda Nella meccanica quantistica, la funzione d’onda è un’equazione che descrive una porzione di spazio in cui si ha la massima probabilità di trovare una data particella. Ha le sue origini nel Principio di indeterminazione di Heisenberg. Solitamente si intende, per funzione d’onda, l’ampiezza di probabilità calcolata tramite l’equazione di Schrödinger. L’equazione di Schrödinger è una delle più importanti scoperte della fisica ed in particolare della meccanica quantistica. Quest’ultima, risalente alla metà degli anni Venti, ha preso due direzioni principali: una, battuta da Heisenberg, Bohr, Jordan, che si basa sull’approccio matriciale, l’altra, sviluppata soprattutto da de Broglie e Schrödinger, si basa sull’approccio ondulatorio. In questa seconda visione si rappresentano le particelle attraverso le così dette funzioni d’onda, poiché le evidenze sperimentali (vedi, ad esempio, l’esperimento di Davisson e Germer) confermavano che a volte anche le particelle posseggono comportamenti ondulatori. Era pertanto necessario avere a disposizione un’equazione che fosse in grado di descrivere come evolveva nel tempo la funzione d’onda di una 188 intillafunzione_stampa.indd 188 7-11-2006 10:39:30 particolare particella. Nasce, così, l’equazione di Schrödinger, che nella sua forma più compatta e indipendente dal tempo può essere scritta come segue: Hψ = Eψ dove H è l’hamiltoniana, E l’energia della particella o del sistema quantistico e ψ la funzione d’onda. Nella sua forma più semplice, ovvero per una particella libera (assenza di potenziale), essa è rappresentata, «in una dimensione», da dove i è l’unità immaginaria, ħ è la costante di Planck, il primo termine è l’hamiltoniana (o operatore hamiltoniano) e il secondo l’energia. 6) Spin Lo Spin è il momento angolare intrinseco associato con le particelle della meccanica quantistica. Diversamente dagli oggetti rotanti della meccanica classica (spin in inglese significa rotazione), che derivano il loro momento angolare dalla rotazione delle parti costituenti, lo spin non è associato con alcuna massa interna. Ad esempio, le particelle elementari, come gli elettroni possiedono uno spin, anche se sono particelle puntiformi. Inoltre, contrariamente alla rotazione classica, lo spin non viene descritto da un vettore, ma da un oggetto a due componenti (per particelle con spin semi-intero): esiste una differenza osservabile in come quest’ultimo si trasforma ruotando le coordinate. Altre particelle subatomiche, come i neutroni, che hanno carica elettrica nulla, possiedono lo spin. Quando vengono applicati alla rotazione spaziale, i principi della meccanica quantistica enunciano che i valori osservati del momento angolare (autovalori dell’operatore del momento angolare) sono ristretti a multipli interi o semiinteri di h/2π. Questo si applica ugualmente allo spin. Inoltre, il teorema dello spin statistico enuncia che le particelle 189 intillafunzione_stampa.indd 189 7-11-2006 10:39:30 con spin intero corrispondono ai bosoni, e le particelle con spin semiintero corrispondono ai fermioni. Un corpo caricato elettricamente, ruotante in un campo magnetico disomogeneo, è sottoposto a una forza. Questo vale anche per gli elettroni. Le forze osservate, variano per differenti elettroni, e queste differenze sono attribuite a differenze di spin. Quindi, tipicamente, lo spin degli elettroni viene misurato osservando la loro traiettoria in un campo magnetico disomogeneo. In accordo con le predizioni della teoria, solo multipli semi-interi di h/2π vengono osservati per gli elettroni. Lo spin venne scoperto per la prima volta nel contesto dell’emissione spettrale dei metalli alcalini. nel 1924, Wolfgang Pauli (probabilmente il più influente fisico nella teoria dello spin) introdusse ciò che chiamò un «grado di libertà quantico a due valori» associato con gli elettroni del guscio esterno. Questo permise di formulare il principio di esclusione di Pauli, che stabiliva che due elettroni non possono condividere gli stessi valori quantici. L’interpretazione fisica del «grado di libertà» di Pauli era inizialmente sconosciuta. Ralph Kronig, uno degli assistenti di Alfred Landé, suggeri, agli inizi del 1925, che venisse prodotto dall’auto-rotazione degli elettroni. Quando Pauli venne a conoscenza dell’idea, la criticò severamente, notando che l’ipotetica superficie dell’elettrone avrebbe dovuto muoversi più velocemente della velocità della luce per poter ruotare abbastanza rapidamente da produrre il necessario momento angolare, contravvenendo così alla teoria della Relatività. Nell’autunno dello stesso anno, lo stesso pensiero venne a due giovani fisici olandesi, George Uhlenbeck e Samuel Goudsmit. Su consiglio di Paul Ehrenfest, pubblicarono i loro risultati, che incontrarono una risposta favorevole, specialmente dopo che L. H. Thomas riuscì a risolvere una discrepanza tra i risultati sperimentali e i calcoli di Uhlenbeck e Goudsmit (e quelli non pubblicati di Kronig). Questa discrepanza era dovuta alla necessità di prendere in considerazione l’orientamento della microstruttura tangente all’elettrone, in aggiunta alla sua posizione. L’effetto aggiunto dalla tangente è additivo e relativistico (ovvero svanisce se c va all’infinito); è pari a un mezzo del valore ottenuto se non si considera l’orientamento dello spazio tangente, ma con segno opposto. Quindi l’effetto combinato differisce da quest’ultimo per un fattore due 190 intillafunzione_stampa.indd 190 7-11-2006 10:39:30 (precessione di Thomas). Nonostante le sue obiezioni iniziali, Pauli formalizzò la teoria dello spin nel 1927, usando la moderna teoria della meccanica quantistica, proposta da Erwin Schrödinger e Werner Heisenberg. Egli introdusse l’uso delle matrici di Pauli come rappresentazione degli operatori di spin, e una funzione d’onda a due componenti (spinore). La teoria di Pauli era non-relativistica. Comunque, nel 1928, Paul Dirac pubblicò l’equazione di Dirac, che descriveva l’elettrone relativistico. Nell’equazione di Dirac, uno spinore a quattro componenti (conosciuto come «spinore di Dirac») veniva usato per la funzione d’onda dell’elettrone. Nel 1940, Pauli provò il teorema dello spin statistico, che enuncia che i fermioni hanno spin semi-intero e i bosoni spin intero. 7) Teoria del Caos La teoria del caos è nata quando la scienza classica non aveva più mezzi per spiegare gli aspetti irregolari e incostanti della natura; è innanzitutto una teoria scientifica, nata su sperimentazioni fisiche, biologiche, matematiche, socio-economiche, che ha cambiato l’aspetto del mondo e che in un secondo tempo è stata sintetizzata nelle arti espressive, facendo la sua apparizione nello studio di fenomeni meteorologici. Le applicazioni pratiche di questa teoria sono dirette nei più svariati campi, in quanto essa permette, con la sua visione della realtà, di scegliere tra una grande abbondanza di opportunità e di raggiungere il principale obbiettivo della scienza oggi e di sempre trovare per mezzo di quali regole è governato 1’ universo e in che modo possiamo usarlo ai nostri tini come vagheggiava Bacone. Nell’affermazione di George Santayana «Chaos is a name for any order that produces confusion in our minds», si conferma che il caos, questo punto, non può più essere visto come casualità e totale mancanza di ordine, ma unicamente, come un ordine così complesso da sfuggire alla percezione e alla comprensione umana; un ordine con una logica stocastica e inestricabile dove le regole dell’antica idea di armonia platonica non siano più riscontrabili. Di conseguenza, i sistemi caotici non possono più essere interpretati esclusivamente come imprevedibili anche se irregolari È fondamentale sottolineare 191 intillafunzione_stampa.indd 191 7-11-2006 10:39:31 che il caos non è sinonimo di caso (curiosamente suo anagramma) come la logica potrebbe indurre a pensare e non si può parlare di completo disordine, in quanto i sistemi caotici, alla luce delle nuove scoperte della teoria del caos, sono sistemi dinamici sempre prevedibili a breve termine e, quindi, riconducibili ad una logica nuova più o meno complessa. Si può, dunque, paradossalmente affermare, in base a precise scoperte scientifiche, che nel caos c’è ordine. La nazione di «organizzazione» evidenzia un processo che si dimostra innanzi tutto imprevedibile, non deterministico, partecipe al tempo stesso di ORDINE e DISORDINE, di condizioni di equilibrio e di non equilibrio. Alla luce di questo la natura ci si presenta sempre più come una realtà difficilmente definibile determinabile. Infatti venuta attualmente meno la pretesa di un suo completo dominio, ci sembra vada meglio avvicinata l’interno di una ricerca aperta che tenga conto di tutti gli elementi che intervengono; elementi che evidenziano una certa discontinuità ed ambiguità nella nozione di natura. In tal modo non trovano più posto tutti i modelli riduzionisti e continuistici di spiegazione. Emerge, invece, una qualche libertà nelle strutture fisiche non deterministiche. La natura, in quanto tale, si presenta in sé imprevedibile e disponibile verso sempre nuove ed inedite possibilità di sintesi, le quali prendono inevitabilmente corpo qualora si verifichino certe circostanze. La nuova visione della natura dunque oscilla tra condizioni vincolanti e libertà tra loro dinamicamente connesse. Evidentemente questo conferisce un certo valore all’idea che nella natura vi sia un certo progresso, una sua storia, che non è tuttavia assolutamente indicabile. La natura al contrario di quanto sostiene Manod, non si trova in un equilibrio morto, dove l’organizzazione del vivente è semplicemente un’eccezione e dove non ci sono le idee di progresso e libertà, bensì è qualcosa di organizzato da leggi che regolano il processo tra ordine e disordine. Di conseguenza possiamo affermare che l’universo è in continua trasformazione e in progresso per le sue intrinseche possibilità e trova spiegazione non dentro di sé, ma altrove. Questo suggerimento è alla base dell’attuale riflessione sulla natura. Tale apertura conferisce maggior spazio alla libertà umana che resta irriducibile rispetto ad ogni tentativo di dominio o di comprensione della natura. Ciò restituisce un valore positivo all’uomo che, senza 192 intillafunzione_stampa.indd 192 7-11-2006 10:39:31 sentirsi schiacciato dalla natura, vi si avvicina per trascenderla. Di siffatta apertura partecipa anche il sapere scientifico stesso. Infatti la natura, in quanto realtà non omogenea ed estremamente complessa, ci appare resistere ad ogni intento conoscitivo inglobante. Di conseguenza la natura si mostra sempre come circoscritta entro i molteplici linguaggi della scienza; di qui l’impossibilità inoltre di sbarazzarci delle nostre conoscenze che sono sempre linguisticamente confinate entro «mappe» o «modelli» che ovviamente non sono la realtà, bensì livelli o aspetti particolari di essa, che resta in sé attingibile. E in questo spazio di irriducibilità teorica e pratica che si situa una diversa intelligibilità della natura; un’intelligibilità che è estremamente dipendente per un verso dai condizionamenti del nostro conoscere e, per l’altro, da un’emergenza ontologica che sembra affacciarsi dall’epistemologia contemporanea. Cimentarsi nella ricerca di una definizione esauriente dei fermenti del nostro tempo appare un’impresa quanto mai rischiosa e, sotto parecchi aspetti, sterile. Il compito sarebbe più facile e interessante se ci si limitasse ad un’analisi condotta attraverso l’individuazione di alcune parole chiave, intese come guide per posare lo sguardo sulla realtà. Una di queste parole da usare come lente di ingrandimento, soprattutto per esplorare il campo del sapere a noi più vicino, quello della filosofia e della scienza, potrebbe essere senz’altro il termine «crisi». La storia del pensiero scientifico e filosofico contemporaneo è infatti segnata, già a partire dalla fine del XIX secolo dalla progressiva presa di coscienza di un lento ma inesorabile dileguarsi delle certezze, dei fondamenti teorici e pratici del sapere. Una alla volta, tutte le categorie del pensare e dell’agire scientifico e filosofico, idee e concetti ritenuti immutabili come il tempo, lo spazio, il rapporto tra cause ed effetto, sono stati messi alla prova. Assunta consapevolezza di ciò, su un piano più teorico ed intellettuale si è ritenuto che una delle possibili linee di azione fosse, da un lato, quella di trovare nuove risposte, più adeguate al tempo che stiamo vivendo, agli interrogativi classici della filosofia, intesa ancora come sguardo critico sul mondo; dall’altro, si è cercato di costruire un’immagine il più possibile confortante del lavoro e delle prospettive della scienza, la quale ha mantenuto la speranza di continuare a ricoprire il ruolo ereditato dal tempo di Newton e 193 intillafunzione_stampa.indd 193 7-11-2006 10:39:31 Galileo, di faro illuminante dell’esistenza umana. Su un piano meno astratto, la crisi che caratterizza il nostro secolo è però una crisi di tipo esistenziale, profonda e diffusa a livello globale; nessun aspetto della nostra vita ne è immune, a partire da questioni come la salute, i mezzi di sussistenza, la qualità dell’ambiente e dei rapporti sociali, l’economia, la tecnologia. Si è sviluppata insomma la coscienza di una serie impressionante di emergenze, che coinvolgono l’umanità, a tutti i livelli in un tentativo di ricerca di nuove soluzioni. L’immagine stessa della filosofia e della scienza ne risulta quindi modificata: il sapere ereditato dall’età moderna, per poter sopravvivere, deve mettere in discussione uno dopo l’altro tutti i suoi fondamenti, ma soprattutto deve scoprirsi ancora capace di calarsi nella vita reale, e rispondere alle domande sempre più pressanti che essa gli pone. Alcune note «tecniche»: L’analisi del comportamento caotico si basa sulla teoria matematica dei frattali: un frattale è una struttura geometrica irregolare che può essere suddivisa in elementi, ciascuno dei quali riproduce approssimativamente l’intero oggetto (proprietà di autosomiglianza). Inoltre, ogni frattale è caratterizzato dalla dimensione frattale definita come la capacità del frattale stesso a riempire lo spazio in cui è immerso. I risultati raggiunti dalla teoria frattale sono, però, difficilmente applicabili a quei sistemi che non possiedono una modelizzazione matematica. In alcuni casi, però, è possibile ricostruire la dinamica del sistema in esame, effettuando registrazioni di lunga durata. Elaborando opportunamente questi dati, è possibile calcolare il coefficiente di correlazione che approssima la dimensione frattale (dimcorr >= coefcorr). Uno strumento potente per descrivere il comportamento dei sistemi caotici è lo spazio degli stati, che consente di rappresentare il comportamento in forma geometrica utilizzando il metodo delle Return Map. Una Return Map è uno strumento grafico che riporta in ascisse i valori delle registrazioni EGG ad un tempo T, e sulle ordinate i valori delle registrazioni al tempo T+t (t è il tempo di ritardo). Una Return Map è, quindi, un supporto grafico che permette un’analisi visiva del comportamento del sistema in esame. I sistemi dinamici caotici sono caratterizzati dalla presenza di un attrattore strano nello spazio degli stati. Un attrattore è una forma geometrica che caratterizza il comportamento a lungo termine 194 intillafunzione_stampa.indd 194 7-11-2006 10:39:31 nello spazio degli stati. In altri termini, un attrattore è ciò verso cui si stabilizza, o è attratto il comportamento di un sistema. È un oggetto frattale cui è associata una dimensione frattale. Un’altra grandezza che caratterizza il comportamento di un sistema caotico è l’esponente di Lyapunov, che permette, su ogni serie temporale, di stimare la velocità media di divergenza delle traiettorie descritte nello spazio delle fasi. La presenza di almeno un esponente di Lyapunov positivo, è indice che il sistema ha un comportamento caotico. Le immagini dei frattali più famosi: L’insieme di Mandelbrot Julia Set 195 intillafunzione_stampa.indd 195 7-11-2006 10:39:32 8) Attrattore I sistemi conservativi sono soltanto un’idealizzazione; spesso si ha a che fare con sistemi dissipativi, nei quali l’energia, a causa dell’attrito, viene dispersa in calore. Non è detto che l’attrito distrugga il moto di un sistema. Pensiamo, ad esempio, al corso di un torrente: l’attrito sul fondale e la resistenza idrodinamica distruggono l’energia cinetica, ma essa è continuamente ricreata dall’energia potenziale della forza peso. I sistemi dissipativi sono caratterizzati dal fatto che le orbite di fase che partono da condizioni iniziali anche molto diverse finiscono per giungere tutte in un determinato insieme di stati di superficie nulla detto attrattore. L’attrattore di Lorenz fu il primo esempio di di sistema di equazioni differenziali a bassa dimensionalità in grado di generare un comportamento complesso. Venne scoperto da Edward N. Lorenz, del Massachusetts Institute of Technology, nel 1963. Semplificando le equazioni del moto alle derivate parziali che descrivono il movimento termico di convezione di un fluido, Lorenz ottenne un sistema di tre equazioni differenziali del primo ordine Sebbene le equazioni, a causa del forte troncamento, descrivano , esse vengono bene il fenomeno di convezione solo per utilizzate come modello a bassa dimensione per un comportamento caotico, portando il parametro r dell’equazione completamente fuori dall’appropriato regime fisico. Oggetti geometrici di questo tipo, rappresentativi del moto di un sistema caotico, vengono detti strani attrattori o attrattori strani. 196 intillafunzione_stampa.indd 196 7-11-2006 10:39:33 L’attrattore di Lorenz 9) Sintropia Nel 1942 Fantappiè (uno dei maggiori matematici italiani) dimostrò che la soluzione positiva dell’energia (+E) è governata dalla legge dell’entropia, mentre la soluzione negativa dell’energia (-E) è governata da una legge simmetrica all’entropia, da lui chiamata sintropia. Studiando le proprietà della sintropia Fantappiè scoprì, con suo grande stupore, la coincidenza tra queste proprietà e le caratteristiche tipiche dei sistemi viventi, quali ordine, organizzazione, crescita e tendenza alla complessità; egli arrivò così ad affermare che le proprietà tipiche della vita sono la conseguenza di cause collocate nel futuro. Prigogine ha mostrato come il rifiuto preconcetto della soluzione negativa dell’energia ha portato all’incapacità di comprendere i meccanismi che sottostanno le qualità proprie della vita, dividendo in questo modo la cultura in due: da una parte la scienza meccanicista, dall’altra la vita e le finalità, attualmente trattate al di fuori della scienza (religione). Si è venuto così a creare un equilibrio tra scienza meccanicista (cause collocate nel passato) e religione dogmatica (finalità e cause collocate nel futuro) alla quale Prigogine da il nome di «vecchia alleanza». Secondo Prigogine, 197 intillafunzione_stampa.indd 197 7-11-2006 10:39:33 l’allargamento della scienza alla soluzione dell’energia negativa porterà a ridefinire l’alleanza tra scienza meccanicista e religione dogmatica, aprendo così la strada ad una nuova cultura in cui scienza e religione si integrano e che lui definisce come «nuova alleanza». 10) Meme Un meme è un’unità di informazione che è in grado di replicarsi da una mente o un supporto simbolico di memoria - per esempio un libro - ad un’altra mente o supporto. In termini più specifici, un meme è un’unità auto-propagantesi di evoluzione culturale, analoga a ciò che il gene è per la genetica. La parola è stata coniata da Richard Dawkins nel suo controverso libro Il gene egoista. Un meme può essere parte di un’idea, una lingua, una melodia, una forma, un’abilità, un valore morale o estetico; può essere in genere qualsiasi cosa può essere comunemente imparata e trasmessa ad altri come un’unità. Lo studio dei modelli evoluzionistici del trasferimento dell’informazione prende il nome di memetica. Come l’evoluzione genetica, anche l’evoluzione memetica non può avvenire senza mutazioni. La mutazione produce varianti di cui solo le più adatte si replicano, ossia, diventano più comuni ed aumentano la loro probabilità di replicarsi ulteriormente. È probabile che sia stata la mutazione a far evolvere culturalmente un gruppo di primitive sillabe nell’attuale ampia gamma di lingue e dialetti esistenti, oltre all’ampia gamma di significati simbolici all’interno di ogni lingua. E ulteriori mutazioni del linguaggio sono la scrittura, l’alfabeto Braille, la lingua dei segni, eccetera. Persino i cosiddetti «tormentoni» generati dai mass-media o estrapolati da film, videogiochi, discorsi pubblici sono memi capaci di diffondersi e mutare - si pensi ad esempio alla recente diffusione dell’espressione «mi consenta...» impostasi nel linguaggio prima politico e poi mass-mediatico. Un motore di ricerca può essere uno strumento utile, ancorché imperfetto, per misurare la diffusione memetica di una frase. Nell’uso generale, il termine meme è usato per indicare un qualsiasi pezzo di informazione che viene trasmesso da una mente ad un’altra. Questa interpretazione è più simile all’idea del «linguaggio come virus» piuttosto che all’analogia di Dawkins dei memi come comportamenti replicantisi. La chiave di ogni uomo 198 intillafunzione_stampa.indd 198 7-11-2006 10:39:34 è il suo pensiero. Benché egli possa apparire saldo e autonomo, ha un criterio cui obbedisce, che è l’idea in base alla quale classifica tutte le cose. Può essere cambiato solo mostrandogli una nuova idea che sovrasti la sua ( Ralph Waldo Emerson ). 199 intillafunzione_stampa.indd 199 7-11-2006 10:39:34 intillafunzione_stampa.indd 200 7-11-2006 10:39:34 Bibliografia David Bohm, Wholeness and the implicate order, 1980 (Universo, mente e materia, Rea, 1996); Unfolding meaning, 1985; Thought as a system, 1994. Niels Bohr, Atomic theory and the description of nature, 1934; Essays 1933-1957: on atomic physics and human knowledge, 1958; Essays 1958-1962: on atomic physics and human knowledge, 1963. Max Born, Natural philosophy of cause and chance. Louis de Broglie, Matter and light. Paul Dirac, Directions in physics. John Eccles, Come l’io controlla il suo cervello, 1994. John Eccles e Karl Popper, The self and its brain, 1978. John Eccles, Brian Josephson, Ilya Prigogine e Roger Sperry, The reach of the mind, 1985. Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, 1958 (Saggiatore); Philosophical problems in quantum physics, 1952. Jackendoff, R. 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