1. Introduzione 1.1 Il surrene Il surrene è un organo pari ad attività endocrina. Esso inizia a formarsi nella 5° settimana di vita intrauterina e la sua maturazione definitiva avviene entro i tre anni di vita. Di forma piramidale (circa 2 × 6 × 1 cm, peso 4-6 g), il surrene è posizionato nei pressi della sommità del rene, come dice il nome, ma da questi è separato per mezzo di tessuto adiposo. Il surrene di sinistra è localizzato antero-medialmente e non cranialmente al polo superiore del rene sinistro, mentre a destra il surrene è subito al di sopra del polo renale, posteriormente alla vena cava inferiore. FIGURA 1: Vascolarizzazione delle ghiandole surrenaliche. L’irrorazione arteriosa è garantita dalle arterie surrenaliche superiori, rami dell’arteria diaframmatica inferiore, dalle arterie surrenaliche medie, che originano direttamente dall’aorta, e dalle arterie surrenaliche inferiori, che nascono dalle arterie renali. Per quanto riguarda il drenaggio venoso solitamente è presente un’unica vena surrenalica che sbocca a destra direttamente nella vena cava e a sinistra in quella renale. In circa il 20% dei casi il drenaggio venoso può avvenire in una vena sovraepatica accessoria. 1 Il surrene è responsabile principalmente della regolazione della risposta allo stress mediante la sintesi di corticosteroidi e catecolammine, tra cui il cortisolo e l'adrenalina. Il parenchima, circondato da una capsula fibrosa, è diviso in due regioni istologicamente e funzionalmente distinte: una più grande detta corteccia surrenale (75%), derivante dal mesoderma, ed una più piccola detta zona midollare (25%), derivante dall’ectoderma. FIGURA 2: Istologia delle ghiandole surrenaliche. La corteccia surrenale è divisa a sua volta in tre zone: la glomerulare (15%), più esterna, che sintetizza e secerne ormoni mineralcorticoidi per il mantenimento dell'equilibrio idrico (aldosterone), la fascicolata (78%) che sintetizza e secerne i glucocorticoidi e controlla il metabolismo di carboidrati, grassi e proteine (cortisolo) e la reticolare (7%), più interna, che produce gli ormoni sessuali come androgeni, estrogeni e progesterone. La midollare risulta ricoperta completamente dalla corticale e sintetizza vari ormoni tra i quali le catecolamine, principalmente epinefrina. Comprende cellule specializzate della neurocresta (cellule 2 neuroendocrine), denominate cellule cromaffini, o feocromociti, e cellule di sostegno o sostentacolari. Cellule neuroendocrine simili alle cromaffini sono ampiamente disperse nell’organismo, organizzate in un sistema extrasurrenalico costituito da piccoli noduli, che insieme alla midollare del surrene costituiscono il sistema paragangliare (1). 1.2 La steroidogenesi FIGURA 3: Steroidogenesi surrenalica. La steroidogenesi inizia dal colesterolo, proveniente dalla dieta o per sintesi endogena dall’acetato; gli enzimi coinvolti in tale processo appartengono alla famiglia delle ossigenasi citocromo P-450. Il corticosurrene è in grado di sintetizzare glucocorticoidi, mineralcorticoidi, androgeni, progestinici ed estrogeni e la struttura degli ormoni steroidei deriva dal nucleo ciclopentanoperidrofenantrenico. Gli steroidi surrenalici possiedono 19 o 21 atomi di carboni: i primi hanno attività prevalentemente di tipo androgenico, mentre gli altri hanno prevalente azione glucocorticoide e mineralcorticoide. La zona glomerulare è regolata dall’asse renina-angitensina-aldosterone (RAA), poiché priva dell’enzima 17idrossilasi e pertanto in grado di sintetizzare solo aldosterone. Al contrario si comportano le 3 zone reticolare e fascicolata, regolate dall’ormone adrenocorticotropo (ACTH), nelle quali, mancando la 18-idrossilasi, si formano solo glucocorticoidi ed androgeni (2). FIGURA 4: Regolazione della secrezione di glucocorticoidi da parte dell’ACTH. 1.3 Patologie della midollare surrenalica 1.3.1 Feocromocitoma I feocromocitomi sono neoplasie rare formate de cellule cromaffini che sintetizzano e rilasciano catecolamine e, in alcuni casi, ormoni peptidici. Tali neoplasie si associano, come gli adenomi secernenti aldosterone, ad ipertensione che regredisce solo dopo l’asportazione del tumore. Occasionalmente i feocromocitomi possono produrre altri steroidi o peptidi ed essere perciò associati ad altre endocrinopatie. Circa l’85% dei feocromocitomi insorge nella midollare del surrene, i rimanenti nei paragangli extrasurrenalici, soprattutto in quelli sottodiaframmatici. In questi casi, i tumori che non presentano positività alla reazione cromaffine vengono denominati paragangliomi per differenziarli dai feocromocitomi funzionali. Il 90% dei feocromocitomi si manifesta come neoplasia sporadica, ma il rimanente 10% insorge nell’ambito di alcune sindromi familiari a trasmissione autosomica dominante, come la sindrome MEN tipo II, la neurofibromatosi 4 tipo I, la malattia di Hippel-Lindau e la sindrome di Sturge-Weber. Anche se i feocromocitomi non familiari insorgono più frequentemente fra i 40 e i 60 anni di età, con una lieve predilezione per il sesso femminile, nella sindrome familiare le neoplasie insorgono precocemente, nei bambini, con una forte predilezione per il sesso maschile. La maggior parte dei tumori nel corso delle sindromi familiari sono bilaterali (70%), mentre tra quelli sporadici solo il 10-15% lo sono. Un’altra differenza significativa è che solo il 10% dei feocromocitomi è maligno, mentre lo sono il 20-40% dei paragangliomi extrasurrenalici. L’aspetto clinico dominante nei pazienti con feocromocitoma è l’ipertensione, descritta come un rialzo pressorio improvviso e veloce, associato a tachicardia, palpitazioni, cefalea, sudorazione, tremori e ansietà. Questi episodi possono associarsi a dolore addominale o toracico, nausea e vomito. Episodi ipertensivi parossistici isolati si verificano in meno della metà dei pazienti. Circa due terzi di essi hanno uno stato cronico di rialzo pressorio, con un carattere ipertensivo incostante. L’attacco parossistico può essere precipitato da stress emotivi, esercizio fisico, variazioni posturali e palpazione nella regione del tumore. L’aumento pressorio è causato dal rilascio improvviso di catecolamine e ciò può precipitare in insufficienza cardiaca congestizia, edema polmonare acuto, infarto miocardico, fibrillazione ventricolare, emorragia cerebrale e, quindi, condurre a morte. Le complicanze cardiache sono attribuibili, almeno in parte, a quella che viene definita cardiomiopatia da catecolamine, o instabilità miocardica da catecolamine e aritmie ventricolari. Le lesioni miocardiche sono dovute al danno ischemico provocato dalla vasocostrizione da catecolamine o per un loro effetto tossico diretto. I feocromocitomi possono elaborare anche altri ormoni, come l’ACTH e la somatostatina, e pertanto presentarsi come un quadro clinico correlato a questa evenienza. I paragangliomi, ovvero i feocromocitomi che insorgono nei paragangli, possono insorgere in ogni organo in cui sia presente tessuto paragangliare. Sono neoplasie rare con una frequenza di circa un decimo di quella dei feocromocitomi surrenalici. La maggior parte si manifestano nella seconda o terza decade di vita, senza differenza fra i sessi. Nonostante la rarità e le piccole dimensioni, essi hanno una notevole importanza clinica perché nel 10-40% dei casi sono maligni e recidivano dopo 5 l’asportazione. Circa il 10% del totale dà luogo a metastasi disseminate, con prognosi infausta. 1.3.2 Neuroblastoma Il neuroblastoma rappresenta la neoplasia solida extracranica più frequente dell’età infantile; può originare dalla midollare surrenalica o da qualsiasi altra localizzazione nel sistema nervoso simpatico. La maggior parte dei neuroblastomi sono sporadici, anche se si osservano casi familiari. 1.4 Patologie della corteccia surrenalica Le affezioni del surrene corticale possono essere suddivise in due gruppi: associate a iper- o a ipofunzione dell’organo. Possono comunque essere presenti patologie che coinvolgono la ghiandola senza alterarne la funzionalità. 1.4.1 Iperfunzione surrenalica Così come ci sono tre principali tipi di steroidi corticosurrenalici, anche le sindromi cliniche indotte dal loro eccesso sono tre: la sindrome di Cushing da eccesso di cortisolo, l’iperaldosteronismo e le sindromi adrenogenitali o virilizzanti da eccesso di androgeni. Ipercortisolismo (sindrome di Cushing) La sindrome di Cushing è determinata da ogni condizione in grado di elevare i livelli di glucocorticoidi. Ci sono quattro possibili cause di eccesso di cortisolo. La più comune è la somministrazione prolungata di glucocorticoidi a scopo terapeutico. Le altre tre cause di ipercortisolismo sono endogene e riguardano malattie primitive ipotalamo-ipofisarie, associate a ipersecrezione di ACTH, ipersecrezione di cortisolo da parte di un adenoma, un carcinoma o un’iperplasia nodulare del surrene o secrezione di ACTH ectopico da parta di una neoplasia non endocrina. L’ipersecrezione primaria di ACTH rappresenta oltre il 50% dei casi di ipercortisolismo endogeno e viene detta Malattia di Cushing. Essa colpisce le donne con una frequenza cinque volte maggiore rispetto agli uomini e con un picco di incidenza dai 20 ai 30 anni. Nella maggior parte di queste pazienti l’ipofisi è sede di un 6 piccolo adenoma ACTH secernente che non è responsabile di effetto massa a livello encefalico. Nella maggior parte dei restanti casi, tuttavia, nell’ipofisi non si trovano adenomi, ma solo un’iperplasia corticotropa. In qualche paziente, l’alterazione di base è a livello ipotalamico, con una ipersecrezione di ormone rilasciante la corticotropina. Nella malattia di Cushing si ha una iperplasia corticale nodulare, causata da alti livelli di ACTH che, a sua volta, è responsabile dell’ipercortisolismo. Le neoplasie primitive surrenaliche, come l’adenoma, il carcinoma o l’iperplasia, sono alla base del 15-30% dei casi di sindrome di Cushing endogena; questa forma è anche conosciuta come ACTH-indipendente o sindrome di Cushing surrenalica poiché queste ghiandole hanno funzione autonoma, svincolate dal controllo ipofisario. Nell’adulto, carcinoma ed adenoma surrenalico hanno la stessa frequenza, mentre nel bambino è più comune il carcinoma. L’iperplasia surrenalica autonoma è molto rara. La produzione di cortisolo è solitamente maggiore in caso di carcinoma che negli adenomi e nelle iperplasie. In caso di neoplasia solitaria monolaterale, la corticale residua omolaterale ed il surrene controlaterale vanno incontro ad atrofia, a causa della soppressione della secrezione di ACTH indotta dagli elevati livelli di cortisolo. Quindi, nella sindrome di Cushing a origine surrenalica, i livelli di cortisolo sono marcatamente elevati, pur in presenza di diminuiti livelli di ACTH circolante. La secrezione ectopica di ACTH da parte di neoplasie non ipofisarie costituisce la causa della sindrome di Cushing nella maggior parte dei restanti casi. Spesso, la neoplasia responsabile è un carcinoma polmonare a piccole cellule, anche se altre neoplasie, come i carcinoidi, i carcinomi midollari della tiroide ed i tumori a cellule insulari del pancreas possono essere associati a questa sindrome. Vi sono inoltre rari casi con produzione ectopica di fattore rilasciante la corticotropina, che a sua volta stimola la secrezione di ACTH e determina ipercortisolismo. Come nella variante ipofisaria, anche in questa forma i surreni vanno incontro ad iperplasia bilaterale, ma spesso il rapido declino del paziente a causa della neoplasia, impedisce che raggiungano notevoli dimensioni. Questa varietà di sindrome di Cushing è più frequente negli uomini fra la quinta e la sesta decade di età. I primi sintomi della patologia sono ipertensione ed aumento del peso corporeo. Nel tempo si rende visibile 7 il modello tipico di distribuzione centrale del tessuto adiposo, che porta ad obesità localizzata al tronco, faccia lunare e accumulo adiposo in regione cervicale e del dorso (gibbosità a bufalo). L’ipercortisolismo causa atrofia selettiva delle miofibre veloci (tipo II), il che porta a riduzione delle masse muscolari e debolezza della muscolatura prossimale degli arti. I glucocorticoidi stimolano la gluconeogenesi ed inibiscono la captazione cellulare del glucosio portando a iperglicemia, glicosuria e polidipsia. Gli effetti catabolici sulle proteine sono responsabili della perdita di collageno e riassorbimento osseo. Conseguentemente la cute è fragile, sottile e facilmente soggetta a ecchimosi; la cicatrizzazione è ritardata; l’addome è sede frequente di strie cutanee. Il riassorbimento osseo porta ad osteoporosi, a cui seguono lombalgie ed una maggiore predisposizione a fratture. I pazienti con sindrome di Cushing sono particolarmente esposti a varie infezioni per l’immunosoppressione causata dai glucocorticoidi. Fanno parte del quadro un certo numero di disturbi psichici, tra cui oscillazioni dell’umore, depressione e psicosi franca, come pure irsutismo e disturbi del ciclo mestruale. FIGURA 5: Effetti da eccesso di glucocorticoidi. 8 Iperaldosteronismo primario L’iperaldosteronismo primario (IAP) è un termine generico in cui sono comprese alcune rare sindromi strettamente correlate, caratterizzate dalla ipersecrezione cronica di aldosterone. Livelli eccessivi di aldosterone causano ritenzione di sodio e perdita di potassio, che portano ad ipertensione ed ipocaliemia. L’iperaldosteronismo può essere primario o secondario ad una causa extrasurrenalica. L’iperaldosteronismo primario consiste in una produzione eccessiva autonoma di questo ormone, a cui consegue perdita di funzione del sistema renina-angiotensina e diminuzione dell’attività reninica plasmatica. Questa condizione può derivare da una neoplasia surrenalica secernente aldosterone, solitamente un adenoma, o da un’iperplasia corticosurrenalica primaria. Nell’80% dei casi circa, l’iperaldosteronismo primario è sostenuto da un adenoma secernente monolaterale, condizione conosciuta come sindrome di Conn. Essa si verifica con frequenza circa doppia nelle donne di mezza età rispetto agli uomini. FIGURA 6: Azione dell’aldosterone sulle cellule epiteliali nella parte distale del nefrone. Nella forma secondaria, invece, l’aldosterone viene secreto in seguito all’inattivazione del sistema renina-angiotensina. Sono caratteristici alti livelli di renina plasmatica e la condizione è di comune riscontro in corso di insufficienza cardiaca congestizia, riduzione della perfusione renale (nefrosclerosi arteriolare, stenosi dell’arteria renale), ipoalbuminemia e gravidanza (per gli aumenti determinati dagli estrogeni dei substrati reninici del plasma). Le manifestazioni cliniche dell’aldosteronismo primario sono 9 rappresentate da ipertensione e ipocaliemia. I livelli sierici di renina, come accennato, sono bassi. L’ipocaliemia deriva da perdita renale di potassio e può causare una varia sintomatologia neuromuscolare, tra cui astenia, parestesie, disturbi visivi e, occasionalmente, tetania franca. La ritenzione di sodio comporta un aumento del sodio corporeo totale e un’espansione del volume extracellulare, producendo una concentrazione del sodio intracellulare con aumento della reattività vascolare. L’ipertensione è quindi in parte il risultato ultimo della ritenzione del sodio. Sia l’espansione del volume extracellulare che l’ipocaliemia impongono un sovraccarico di lavoro al cuore, talora causando modificazioni elettrocardiografiche e scompenso cardiaco. Sindromi adrenogenitali Le alterazioni della differenziazione sessuale, come la virilizzazione, possono conseguire ad affezioni primitive delle gonadi ed a parecchie affezioni primitive surrenaliche. Quest’ultimo gruppo comprende le neoplasie corticosurrenaliche ed un gruppo di entità denominate iperplasie surrenaliche congenite. Le neoplasie corticosurrenaliche associate a virilizzazione sono per lo più rappresentate da carcinomi surrenalici a secrezione androgena piuttosto che da adenomi; si tratta comunque di tumori morfologicamente identici ad altre neoplasie corticali. Le iperplasie surrenaliche congenite rappresentano un gruppo di patologie dovute ad errori metabolici congeniti, a trasmissione autosomica recessiva, caratterizzate dal deficit o dalla totale assenza di enzimi chiave nella sintesi degli steroidi, soprattutto del cortisolo. A causa del blocco nella sintesi di questo ormone, la steroidogenesi è convogliata verso altre vie, con il risultato di un aumento nella produzione di androgeni, responsabili della virilizzazione. Contemporaneamente il deficit di cortisolo induce un’iperproduzione di ACTH che stimola l’iperplasia della corteccia surrenale. In alcuni casi, il deficit enzimatico è a scapito anche della produzione di aldosterone, aggiungendo alla sindrome virilizzante i problemi di una massiva perdita di sali. In altri casi, il deficit di enzimi che si viene a creare è incompatibile con la vita, oppure può interessare solo la produzione di aldosterone, senza intaccare la sintesi del cortisolo. Esiste, quindi, un ampio spettro di sindromi cliniche possibili, in ognuna delle quali il deficit 10 enzimatico può essere tale da bloccare completamente o solo in parte una o più vie della steroidogenisi. Circa il 90% dei casi di iperplasia surrenalica congenita è dovuto ad un difetto nella conversione del progesterone in 11-desossicorticosterone da parte dell’enzima 21-idrossilasi. A seconda del tipo della mutazione, questo difetto può essere totale o parziale. Si distinguono tre diverse sindromi: l’adrenogenitalismo con perdita di sali, l’adrenogenitalismo virilizzante semplice e l’adrenogenitalismo non classico, che comprende le forme fruste, completamente asintomatiche o associate a manifestazioni da eccesso di androgeni solo durante la seconda infanzia e la pubertà. La sindrome con perdita di sali deriva dall’incapacità di convertire il progesterone in desossicorticosterone a causa del deficit totale di idrossilasi. La sintesi di mineralcorticoidi è virtualmente assente e contemporaneamente c’è un blocco nella conversione dell’idrossiprogesterone in desossicortisolo, con insufficiente sintesi di cortisolo. Durante la vita fetale, l’equilibrio elettrolitico è mantenuto dal rene materno, ma alla nascita la sindrome si rende subito manifesta con perdita di sali, iponatremia ed ipercaliemia, cui consegue acidosi, ipotensione, collasso cardiocircolatorio e, talora, morte. Contemporaneamente, il blocco nella sintesi del cortisolo e l’eccessiva produzione di androgeni induce virilizzazione, che nelle femmine può essere evidente già alla nascita o addirittura in utero, ma nei maschi è difficile da valutare. Nelle femmine si possono osservare vari gradi di virilizzazione, da una moderata ipertrofia del clitoride ad una completa fusione labioscrotale con ipertrofia clitoridea così marcata da inglobare l’uretra, con formazione di un organo simil-fallico. Nei maschi, la sindrome passa inizialmente inosservata finché, 5-15 giorni dopo la nascita, compare la crisi da perdita dei sali. La sindrome androgenitale virilizzante semplice senza perdita di sali, che si presenta come ambiguità genitale, si manifesta quando il deficit di 21idrossilasi è solo parziale. In tal caso, la produzione di minaralcorticoidi, anche se diminuita, è comunque sufficiente a garantire il riassorbimento dei sali; mentre il basso livello di glucocorticoidi è insufficiente a garantire un controllo inibitorio sulla secrezione di ACTH. Quindi, il livello di aldosterone è parzialmente ridotto, ma quelli di testosterone e ACTH sono entrambi aumentati, con conseguente iperplasia corticosurrenalica. Il virilismo 11 surrenalico non comune o ad insorgenza tardiva è molto più comune delle forme “classiche” appena descritte. Questi pazienti possono essere praticamente asintomatici o manifestare solo segni lievi di virilizzazione come l’irsutismo. FIGURA 7: Genitali ambigui con ingrossamento del clitoride e scrotalizzazione delle grandi labbra. 1.4.2 Ipofunzione surrenalica Insufficienza corticosurrenalica primaria (malattia di Addison) La malattia di Addison è una rara condizione causata da progressiva distruzione della corticale surrenalica. In generale, le manifestazioni cliniche dell’iposurrenalismo non si presentano fino a quando almeno il 90% del parenchima corticosurrenalico non risulti compromesso. Un gran numero di patologie possono colpire il surrene, tra cui linfomi, amiloidosi, sarcoidosi, emocromatosi, infezioni fungine ed emorragie, ma oltre il 90% dei casi di insufficienza cronica sono attribuibili alla surrenalite autoimmune, alla tubercolosi o a neoplasie metastatiche. La surrenalite autoimmune da sola è responsabile dal 60 al 70% dei casi, presentandosi in forma sporadica o familiare. Nella metà dei casi il surrene è l’unico organo colpito dal processo autoimmune, ma nei rimanenti concomitano affezioni analoghe in altri organi, come la tiroidite di Hashimoto, l’anemia perniciosa, il diabete mellito tipo I e l’ipoparatiroidismo idiopatico. In circa la metà dei casi di surrenalite autoimmune sono presenti anticorpi anti-surrene in circolo, così come anticorpi diretti contro altri organi e tessuti. 12 FIGURA 8: Autoanticorpi anti-corteccia surrenalica (ACA) determinati tramite immunofluorescenza indiretta. Nei pazienti affetti c’è una notevole incidenza di particolari antigeni di istocompatibilità, soprattutto HLA-B8 e DR-3, il che suggerisce l’esistenza di una predisposizione genetica. Le infezioni, in particolare tubercolare e micotica, possono a loro volta essere causa della malattia di Addison. La surrenalite tubercolare è ora molto rara grazie allo sviluppo di agenti antitubercolari. Il coinvolgimento surrenalico deriva quasi sempre dalla disseminazione di un focolaio primario polmonare o del tratto genitourinario. L’insufficienza cronica può essere causata anche da infezioni fungine diffuse, sostenute soprattutto dall’Histoplasma capsulatum e dal Coccidioides immitis. La localizzazione metastatica è una potenziale causa di insufficienza surrenalica. I surreni rappresentano una sede abbastanza comune di metastatizzazione in pazienti con carcinomi disseminati. Nonostante in tali pazienti la funzionalità sia per lo più conservata, le metastasi distruggono occasionalmente una quantità tale di parenchima da determinare un certo grado di insufficienza funzionale. Quelle di più frequente riscontro sono di origine polmonare e mammaria seguite da carcinomi gastrointestinali, melanoma maligno e neoplasie emopoietiche. La malattia di Addison inizia insidiosamente e non richiama l’attenzione finché oltre il 90% della corticale, bilateralmente, non è distrutta ed i livelli di steroidi circolanti non sono scesi notevolmente. Inizialmente si manifesta con facile affaticabilità e progressiva debolezza, sintomi ai quali non viene generalmente dato grande valore. Comuni sono i disturbi gastrointestinali, rappresentati da anoressia, nausea, vomito, perdita di peso e diarrea. Nei pazienti con malattia surrenalica primitiva, gli alti livelli circolanti di precursori dell’ACTH stimolano i melanociti, con conseguente iperpigmentazione cutanea, soprattutto 13 nelle zone fotoesposte e dei punti soggetti a pressione, come collo, gomiti, ginocchia e nocche delle dita. Al contrario, l’iperpigmentazione non si riscontra in pazienti affetti da insufficienza corticosurrenalica secondaria a malattie primitive della regione ipotalamoipofisaria. La riduzione dell’attività mineralcorticoide nell’insufficienza primaria porta a perdita di sodio e potassio, a cui segue ipercaliemia, iponatremia, diminuzione dei fluidi corporei ed ipotensione. Il cuore presenta spesso dimensioni ridotte, a causa dell’ipovolemia cronica. L’ipoglicemia è una conseguenza occasionale del deficit di glucocorticoidi e della diminuita gluconeogenesi. Gli stress costituiti da infezioni, traumi, manovre chirurgiche possono scatenare in tali pazienti una crisi surrenalica acuta, che si manifesta con vomito incoercibile, dolore addominale, ipotensione, coma e collasso vascolare. Questi pazienti vanno rapidamente incontro a morte a meno che non venga intrapresa immediatamente una terapia sostitutiva corticosteroidea. Insufficienza corticosurrenalica secondaria Una qualsiasi affezione dell’ipotalamo o dell’ipofisi, come una metastasi, un’infezione, un infarto o danni da radioterapia, che causi una diminuzione del rilascio di ACTH può condurre allo sviluppo di un iposurrenalismo molto simile alla malattia di Addison. Analogamente agisce la prolungata somministrazione di glucocorticoidi esogeni, sopprimendo la secrezione di ACTH e la funzione surrenalica. Tuttavia se l’iposurrenalismo è secondario, manca l’iperpigmentazione cutanea, poiché i livelli di ormone melanotropo restano bassi. Inoltre l’iposurrenalismo secondario è caratterizzato da deficit di cortisolo e di androgeni, ma la sintesi di aldosterone è nella norma. Quindi nell’iposurrenalismo secondario a insufficienza ipofisaria non c’è marcata iponatremia e ipercaliemia. Il deficit di ACTH si può manifestare da solo, anche se in molti casi rappresenta parte di un panipopituitarismo, associato a deficit multipli di altre tropine. Neoplasie corticali Le neoplasie surrenaliche funzionali possono sostenere una qualsiasi delle forme di ipersurrenalismo, anche se non tutte le neoplasie del corticosurrene elaborano ormoni steroidei. Gli adenomi corticosurrenalici sono per la maggior parte tumori non funzionanti 14 di riscontro incidentale. L’adenoma corticale classico è una lesione nodulare, ben circoscritta, fino a 2.5 cm di asse maggiore, che provoca aumento di dimensione del surrene. Alcuni adenomi protrudono dalla capsula, altri sono contenuti nello spessore corticale, altri sembrano inglobati nella midollare. I carcinomi corticosurrenalici sono neoplasie rare che insorgono ad ogni età. Sono più frequentemente funzionanti degli adenomi e pertanto spesso associati a virilizzazione o altre manifestazioni cliniche di iperfunzione surrenalica. Questi tumori sono generalmente molto voluminosi (fino a oltre 20 cm) al momento della diagnosi, e hanno un alto grado di malignità (3). 1.4.3 Incidentalomi Con questo termine si intendono masse surrenaliche riscontrate casualmente in occasione di esami per immagini eseguiti per motivi diversi, non inerenti a patologie del surrene. L’occasionale osservazione di tali masse è stata stimata essere dello 0.5-1.5% di tutti i pazienti sottoposti a TAC dell’addome superiore. Le dimensioni variano da pochi millimetri fino a 10 cm di diametro. Gli incidentalomi costituiscono attualmente la patologia surrenalica di più frequente riscontro clinico. Tali masse si rivelano essere adenomi (3353%) o carcinomi (fino al 18% dei casi) del surrene, feocromocitomi (0-23%), metastasi (0.5-21%), cisti (3-8%), semplici iperplasie (0-14%) (2). 1.5 Il carcinoma adrenocorticale Il carcinoma adrenocorticale (CAC) è una affezione rara, la cui incidenza è circa di 1-2 casi per milione all’anno (4). Insorge principalmente nei bambini sotto i 3 anni e negli adulti fra i 40 e i 50 anni, con una frequenza leggermente maggiore nel sesso femminile. Nonostante abbia solitamente origine sporadica, può far parte di patologie congenite o famigliari, come la Sindrome di Li-Fraumeni e la sindrome di Beckwith-Wiedemann. 15 FIGURA 9: CAC aderente al rene. 1.5.1 CAC associati ad iperfunzione I CAC ipersecretori sono comunemente caratterizzati da una secrezione aumentata combinata di glucocorticoidi ed androgeni. I glucocorticoidi sono responsabili della sindrome di Cushing, caratterizzata da obesità localizzata al tronco, perdita di proteine e conseguente formazione di strie cutanee, atrofia muscolare (miopatia) ed osteoporosi, aumentata suscettibilità alle infezioni, diabete, ipertensione, disturbi psichiatrici, disfunzioni gonadiche in uomini e donne. L’ipersecrezione di androgeni può essere alla base di una serie di cambiamenti nella donna, caratterizzati da irsutismo, anomalie mestruali, infertilità ed eventualmente virilizzazione franca, caratterizzata da calvizie, abbassamento della voce ed ipertrofia del clitoride. Possono essere ipersecreti anche altri steroidi biologicamente attivi. L’ipersecrezione di desossicorticosterone può portare ad un grave quadro clinico da eccesso di mineralcorticoidi, caratterizzato da ipertensione ed ipocaliemia. Eccezionalmente tumori con secrezione di estrogeni possono provocare ginecomastia nell’uomo e metrorragia dopo la menopausa nelle donne. Un significativo sottogruppo di CAC secerne solo o prevalentemente una singola classe di steroidi biologicamente attivi, molto spesso androgeni, ma anche cortisolo (6, 8, 9, 10). 1.5.2 CAC non associati ad iperfunzione Alcuni CAC non-ipersecretori non presentano un quadro clinico da eccesso ormonale, ma possono produrre precursori biologicamente inattivi di steroidi, come 1716 idrossiprogesterone. Solitamente tali tumori vengono diagnosticati come incidentalomi (8, 11), in occasione di esami per immagini eseguiti per motivi non correlati a patologia surrenalica. Frequentemente i CAC non associati ad iperfunzione vengono diagnosticati grazie a sintomi dovuti all’espansione del tumore. Essi riguardano manifestazioni locali, come dolore e palpazione della massa o metastasi a distanza, soprattutto a fegato, polmoni ed ossa. Il paziente può presentare febbre in concomitanza con la necrosi tumorale. Nella maggior parte dei casi lo stato generale del paziente non è deteriorato, perfino in presenza di una impressionante massa tumorale e di metastasi. Ciò spiega perché i CAC non associati ad ipersecrezione spesso vengano diagnosticati tardivamente (12). 1.5.3 Diagnosi di CAC Le indagini indicate per la diagnosi di CAC sono lo studio completo della funzionalità adrenocorticale e gli esami per immagini. Studio della funzionalità adrenocorticale L’indagine endocrinologica di routine valuta la secrezione di vari steroidi adrenocorticali. L’ipersecrezione di cortisolo ACTH- indipendente è facilmente valutabile. Essa porta all’aumento del cortisolo urinario, che non è sopprimibile con alte dosi di desametasone, associato a livelli plasmatici di ACTH non rilevabili. Anche i livelli plasmatici di 17-idrossiprogesterone sono elevati (di base e/o dopo stimolazione da ACTH), come lo sono quelli di deidroepiandrosterone solfato (DHEAS), androgeno surrenalico specifico, che portano all’aumento della concentrazione plasmatica di testosterone nelle femmine. Altri steroidi, come DOC, Delta-4-androstenedione e, raramente, estrogeni, possono essere prodotti in eccesso dal tumore. Eccezionalmente può verificarsi la produzione di aldosterone. Ciò diventa clinicamente importante per tumori sopra i 3 cm, a causa degli alti livelli plasmatici di aldosterone e della possibile associazione con la secrezione di cortisolo o altri steroidi, che escludono la diagnosi di adenoma di Conn. Il tipo e l’entità della secrezione ormonale non consentono la distinzione fra adenoma e carcinoma, ma sono utili dopo l'asportazione del tumore come marcatori di ripresa di malattia. La 17 valutazione della secrezione urinaria di adrenalina, noradrenalina, e dei loro metaboliti sono utili per la differenziazione da masse originanti dalla parte midollare del surrene. Diagnostica per immagini Per quanto riguarda la diagnostica per immagini si procede solitamente con ecografia associata a tomografia assiale computerizzata (TAC) o risonanza magnetica (RMN) addominale. I reperti tipici sono quelli di una massa, ben delimitata da una sottile capsula, che può presentare una zona centrale necrotico-emorragica e calcificazioni. La misurazione della massa è di particolare importanza perché grandi dimensioni sembrano essere predittive di malignità. È importante valutare il surrene controlaterale che può presentare una massa o un'ipotrofia, provocata dall'ipersecrezione controlaterale (13, 14). La TAC del surrene è il metodo di indagine più utilizzato (15). Tale tecnica è in grado di evidenziare i tipici caratteri che suggeriscono la malignità del tumore, rappresentati dalla disomogeneità del tumore con zone di necrosi, talvolta calcificazioni, margini irregolari. Nel tumore maligno la densità ai Raggi-X è alta (sopra 20 UG). Ciò indica un basso contenuto lipidico in opposizione a ciò che si evidenzia negli adenomi. La misurazione dinamica della densità mediante contrasto rappresenta la tecnica più sensibile per la distinzione fra lesione benigna e maligna. La TAC contribuisce inoltre alla evidenziazione di invasione locale e metastasi a distanza. L’invasione dei vasi locoregionali attraverso le vene renali e la vena cava inferiore può risalire fino all’atrio destro e causare embolismo metastatico polmonare (16). 18 FIGURA 10: CT scan: CAC destro con invasione contigua del fegato ed invasione della vena cava. La TAC del torace e la scintigrafia ossea sono raccomandate per escludere la presenza di metastasi polmonari e ossee. La scintigrafia del surrene con iodo-colesterolo non è essenziale, ma può aiutare in situazioni particolari di difficile diagnosi (17). La RMN e/o l’ecografia possono contribuire alla diagnosi di noduli epatici ed invasione venosa. Recenti studi hanno dimostrato che i CAC quasi sempre presentano una elevata captazione di 18fluorodesossiglucosio. Per tale motivo, la tomografia ad emissione di positroni con 18fluorodesossiglucosio (18FDG-PET scan) può permettere di distinguere tra tumore adrenocorticale maligno e benigno. Tale procedura non invasiva contribuisce inoltre alla valutazione della estensione della massa (18, 19, 20). Una volta dimostrata l’evidenza per CAC, è necessario procedere con la stadiazione e la valutazione prognostica, prima di decidere l’approccio terapeutico. Un tumore eterogeneo sopra i 6 cm, con ipersecrezione combinata di cortisolo e androgeni permette una facile diagnosi, con o senza evidenza di metastasi a distanza. Un tumore piccolo (4-5 cm) senza evidente secrezione di steroidi o disseminazione locale o a distanza può essere un problema diagnostico (21). In caso di dubbio, la presenza di un singolo indizio che faccia sospettare malignità è indicativo per l’intervento chirurgico. Un primo approccio per la stadiazione, e di conseguenza per la valutazione prognostica, è rappresentato dalle dimensioni del tumore e dalla presenza o assenza di metastasi a distanza. 19 1.5.4 Prognosi in pazienti con CAC La distinzione fra carcinoma e adenoma adrenocorticale è molto difficile. La dimensione del tumore è di per sé un eccellente indicatore di malignità (22). Mentre tumori sopra i 6 cm hanno il 25% di possibilità di essere maligni, tumori sotto i 4 cm hanno il 2% di possibilità di esserlo. Non vi è una singola caratteristica patologica che consenta di fare diagnosi di tumore adrenocorticale maligno. I patologi hanno elaborato paradigmi usando una combinazione di vari parametri istologici che rendono possibile stabilire un “punteggio” per un dato tumore. La scala più utilizzata è il punteggio di Weiss (23), che prende in considerazione nove differenti parametri: ad ognuno viene attribuito il valore 1 quando presente, 0 quando assente. Il punteggio finale si ottiene sommando i valori ottenuti per ogni parametro. Un punteggio superiore a 3 è solitamente associato a tumore maligno, nonostante ci sia una forte possibilità di associazione a malignità anche con valori inferiori (addirittura sotto 2). FIGURA 11: Criteri istopatologici proposti da Weiss per la diagnosi differenziale fra CAC e adenoma. 20 Ultimamente sono stati studiati molti marcatori molecolari come predittori di malignità nel CAC. Attraverso questi studi sono state evidenziate anomalie genetiche associate a prognosi sfavorevole: un’alta espressione di IGF-2 è presente nel 90% dei CAC, ma non negli adenomi. Uno specifico riarrangiamento del gene a livello del locus IGF-2 (11p15) può portare sia alla perdita dell’allele materno e alla duplicazione di quello paterno, sia alla perdita del normale imprinting materno, generando altre modifiche dell’espressione del gene che favoriscono la crescita cellulare (5, 24); la perdita dell’allele al locus 17p13 è presente nell’85% dei CAC e quasi mai negli adenomi con punteggio di Weiss inferiore a 1. Questo locus comprende il gene p53. Ciononostante, mutazioni di p53 sono state trovate in una piccolissima percentuale di CAC, suggerendo che in tale locus possa essere presente un non ancora identificato gene oncosoppressore. Uno studio prospettico ha inoltre evidenziato come la perdita di eterozigosi (LOH) in 17p13 sia un fattore predittivo indipendente di malignità del CAC (25); recentemente l’overespressione della Ciclina E nelle cellule tumorali è stata fortemente associata a fenotipo tumorale maligno (26). Poiché tali anomalie molecolari sono state evidenziate prevalentemente in tumori con punteggio di Weiss inferiore a 3 o addirittura 2, è chiaro che tale punteggio non ha un’ottimale sensibilità diagnostica. Per questo motivo è stata proposta una modifica del punteggio di Weiss, che prende in considerazione soltanto i parametri istologici più indicativi. Tali parametri sono l’indice mitotico (2 punti), la presenza di cellule chiare 25% (2 punti), le mitosi atipiche (1 punto), la necrosi (1 punto) e l’invasione vascolare (1 punto). Un punteggio superiore a 3 è solitamente associato a malignità. Le possibilità di guarigione sono legate all’estensione della malattia. La maggior parte degli anatomopatologi basa le prognosi sulla seguente stadiazione, derivante dalla modifica della stadiazione secondo il sistema Mac Farlane (27): 21 STADIO I T1 N0 M0: tumore localizzato, con dimensioni < 5 cm; STADIO II T2 N0 M0: tumore localizzato, con dimensioni > 5 cm; STADIO III T1-2 N1 M0 / T3-4 N1 M0: tumore di qualsiasi dimensione che abbia infiltrato tessuti ed organi adiacenti e/o presenti invasione linfonodale o dei vasi ematici; STADIO IV T1-4 M1: tumore con metastasi a distanza. Le probabilità di guarigione variano dal 15% al 70% in rapporto principalmente alla radicalità dell’asportazione chirurgica della massa ed alla presenza di metastasi. Altri fattori prognostici sono l’età (bambini < 3 anni sembrano avere prognosi migliore), la secrezione di cortisolo (tali CAC hanno una sopravvivenza ridotta e sono caratteristici dell’adulto; i CAC legati ad iperfunzione nei bambini presentano solitamente secrezioni di androgeni) e le dimensioni in peso e/o volume della massa asportata, dato importante anche per orientare la diagnosi differenziale fra adenoma e carcinoma. Una massa di piccole dimensioni orienta per una lesione benigna e questo rimane molto spesso l'unico criterio di distinzione benignità/malignità anche dopo l'asportazione. In genere neoplasie con volume < 200 cm3 o con dimensione massima < 5 cm hanno possibilità di guarigione dell'80-90%; neoplasie al di sopra di tali limiti hanno prognosi peggiore (possibilità di guarigione del 40-50%). Gli aspetti istologici non rappresentano nel bambino criteri prognostici affidabili (12). 1.5.5 Terapia in pazienti con CAC Il carcinoma adrenocorticale è una affezione con prognosi infausta (6, 21, 28). Ad oggi l’asportazione completa del tumore è l'unica modalità terapeutica che consente di ottenere la guarigione. In assenza di metastasi, l'asportazione rappresenta di regola l’unico trattamento. La massa dovrebbe essere rimossa intera, asportando tutte le aree sospette che la circondano ed i linfonodi regionali aumentati di volume. La migliore possibilità di cura si ha quando un tumore localizzato (stadio 1 o 2 del MacFarlane modificato) è soggetto a completa asportazione (chirurgia “curativa”). Purtroppo almeno al 50% dei pazienti viene fatta diagnosi di CAC in stadi avanzati (tumore invasivo o metastatico), con probabilità di 22 sopravvivenza a 5 anni pari a 0% per carcinoma metastatico. Anche in seguito a chirurgia “curativa” di tumori localizzati, in più del 50% dei pazienti vi è recidiva della malattia. Vi è quindi necessità di disporre di trattamenti per i casi di CAC avanzato e di trattamenti adiuvanti che impediscano la recidiva del tumore dopo asportazione chirurgica. L'impiego di trattamenti medici è di dubbia efficacia e di regola raccomandato solo nei casi con metastasi alla diagnosi, nei tumori localizzati ma inoperabili inizialmente o in caso di residui dopo l'asportazione della massa. È controversa l'utilità della terapia medica dopo l’asportazione completa di masse molto voluminose (superiori a 200 cm3) o localmente invasive. In letteratura sono descritti l'impiego di mitotane, di chemioterapia o loro combinazioni. Il mitotane Il mitotane (1,1dicloro-2(o-clorofenil)-2-(p-clorofenil)etano;o,p’DDD) è un isomero dell’insetticida p,p’DDD, chimicamente correlato al DDT. Più di 40 anni fa è stato descritto il primo efficace utilizzo di tale sostanza in pazienti con CAC metastatico, dimostrando la diminuzione dell’ipersecrezione di cortisolo e l’azione antitumorale del farmaco (29). FIG. 12: Mitotane (1,1dicloro-2(o-clorofenil)-2-(p-clorofenil)etano;o,p’DDD) Il meccanismo d'azione di questa molecola non è stato ancora completamente chiarito, nonostante l'esteso uso clinico. Esso possiede attività adrenolitica con specificità per la corteccia surrenalica, inibendo la conversione intramitocondriale del colesterolo a pregnenolone e dell’11-desossicortisolo a cortisolo (30). È inoltre in grado di causare necrosi surrenalica selettiva, anche a livello di localizzazioni secondarie, e di contrastare la 23 chemioresistenza del tumore riducendo la fuoriuscita cellulare di farmaci per inibizione, almeno in vitro, dell’espressione del gene MDR1 (31). L’azione citotossica si evidenzia in animali da esperimento con accumulo di lipidi ed atrofia della corteccia surrenalica, soprattutto a carico delle regioni fascicolata e reticolare (32); le alterazione a carico della glomerulare sono relativamente poco evidenti. Alla microscopia elettronica si osserva distruzione delle creste mitocondriali seguita da rigonfiamento mitocondriale, lisi e quindi morte della cellula già dopo 12 ore di trattamento (33). L’effetto inibitorio sulla steroidogenesi si esplica prevalentemente sulla conversione del colesterolo a pregnenolone, facendo presupporre un coinvolgimento dell’enzima citrocromo P450scc (Cholesterol Side Chain Cleaveage Enzyme) (34). Il farmaco inibisce anche altri enzimi citocromo P-450 dipendenti (11- e 18-β-idrossilasi) e non P-450 dipendenti (3-β-idrossisteroidodeidrogenasi) (35). Il mitotane viene routinariamente somministrato in compresse da 500 mg (Lysodren, Bristol Meyer Squibb) in base alla tollerabilità ed ai livelli sierici del farmaco. Per via dell’elevata tossicità, si consiglia di monitorare le concentrazioni ematiche del farmaco; livelli ematici superiori a 14 mg/l sono in grado di esprimere effetto antineoplastico. Valori superiori a 20 mg/l sono invece frequentemente associati ad effetti collaterali: solo pazienti che hanno raggiunto tali livelli sviluppavano tossicità neurologica di grado 3-4 (36). I livelli ematici non sono così chiaramente correlati alla dose somministrata e per questa ragione il monitoraggio può essere utile al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti. A causa della lunga emivita del o,p’DDD, i livelli considerati terapeutici in genere vengono raggiunti dopo alcuni mesi di terapia (37). L’uso di basse dosi per lunghi periodi, monitorandone i livelli plasmatici, rende inoltre il mitotane adatto alla terapia adiuvante (38), consentendo il raggiungimento di concentrazioni plasmatiche adeguate, sebbene non sia mai stato definito un valore soglia per l’efficacia dell’effetto antineoplastico del farmaco. È possibile che gli effetti terapeutici delle basse dosi possano rivelarsi migliori di quelli delle alti dosi grazie alla migliore compliance dei pazienti ad un trattamento continuativo. Il monitoraggio dei livelli plasmatici permette inoltre di raggiungere i livelli considerati terapeutici con dosi effettivamente più basse riducendo gli effetti collaterali ed 24 ottenendo una migliore tollerabilità. Gli effetti collaterali dipendono dalla dose e sono sostanzialmente di tipo gastroenterologico (diarrea, nausea, anoressia), frequenti a dosi pari a 12 g/die, o riguardanti il SNC (letargia, atassia, confusione, vertigini) (39, 40) e tendono a risolversi lentamente dopo la sospensione del farmaco (6, 41). La chemioterapia Per quanto riguarda la chemioterapia, i farmaci più frequentemente impiegati sono il cisplatino, l'etoposide, l’adriamicina (o doxorubicina), il 5-fluorouracile e la vincristina. Solo l’adriamicina ed il cisplatino hanno mostrato una qualche attività in monochemioterapia (42) 1.6 La chemioresistenza Il principale problema che si manifesta successivamente al trattamento dei pazienti affetti da diverse neoplasie endocrino-relate con chemioterapici è l’insorgenza della chemioresistenza. Questo fenomeno, che vanifica i trattamenti con sostanze normalmente utilizzate nella terapia contro il cancro, è dato dalla diminuzione, nel lume cellulare, della concentrazione dei chemioterapici ed è dovuto in massima parte all’aumentata espressione del gene Multidrug Resistance Type 1 (MDR1) localizzato sul cromosoma 7 e formato da 28 esoni. MDR1 codifica per la proteina Permeability Glycoprotein (P-gp), costituita da 1280 amminoacidi (43). P-gp è una glicoproteina transmembranaria appartenente alla superfamiglia dei trasportatori di membrana ATP Binding Cassette (ABC) di circa 170 chilodalton (44). P-gp è composta da 2 unità identiche ognuna costituita da sei domini transmembrana α-elica che formano la via di traslocazione ed un dominio citosolico che accoppia il legame con l’ATP alla traslocazione del substrato (45). 25 FIGURA 13: Permeability Glycoprotein (P-gp). L’espressione di questo gene è in grado di conferire il fenotipo chemioresistenza a cellule normalmente sensibili al trattamento con chemioterapici (46). P-gp conferisce infatti alle cellule tumorali la capacità di resistere a dosi letali di farmaci citotossici, pompando attivamente i farmaci al di fuori delle cellule e riducendone quindi la citotossicità. P-gp necessita dell’energia derivante dall’idrolisi dell’ATP per espletare la sua funzione di pompa. I livelli di chemioresistenza alle differenti sostanze possono essere alterati da mutazioni spontanee del gene MDR1 (47). P-gp è omologa ad un gruppo di proteine di trasporto ATP-dipendenti associate alla membrana presenti nei batteri (48). Tale proteina ha la capacità di permettere il trasporto di sostanze diverse tra loro in composizione chimica, carica e dimensioni ed è implicata nel conferimento del fenotipo chemioresistenza in cancro, malaria ed infezioni batteriche (49, 50, 51). I substrati dei P-gp possono essere endogeni (ormoni steroidei, citochine) o xenobiotici (farmaci citostatici) (52). P-gp trasporta farmaci citotossici, allo stesso modo di sostanze esogene, come la digossina, gli oppioidi, gli idrocarburi policiclici aromatici, il tecnezio sestamibi e la rodamina 123. Questi ultimi due composti vengono utilizzati per visualizzare la funzione della nelle cellule normali e tumorali. È stato dimostrato che la proteina è maggiormente espressa nelle neoplasie derivanti da tessuti che esprimono normalmente MDR1, come le cellule del colon, del rene, del surrene, del pancreas e del fegato, dove trasporta attivamente gli xenobiotici lipofili. L’espressione di P-gp è costitutiva, ma può essere anche indotta da varie sostanze. La 26 modulazione dell’espressione di questa proteina può quindi influenzare l’attività e la biodisponibilità dei farmaci a livello cellulare. Nell’intestino la modulazione di P-gp può controllare il grado di assorbimento di vari farmaci. Presso la barriera emato-encefalica la proteina può influenzare la captazione dei substrati a livello cerebrale: un’elevata espressione di P-gp può limitare la captazione di quantità sufficienti di farmaci nell’encefalo, mentre un’attività ridotta della stessa può portare ad un accumulo abnorme di farmaci a livello cerebrale e ad effetti collaterali (53). La P-gp umana è una proteina analoga ai trasportatori ABC dei batteri. Analogamente ad essi è formata da quattro distinti domini: due domini integrali di membrana altamente idrofobici e due domini idrofilici che legano i nucleotidi localizzati sulla faccia citoplasmatica della membrana. P-gp è formata da due subunità identiche, ciascuna composta da un dominio integrale di membrana e da un dominio che lega i nucleotidi; la sequenza amminoacidica delle due subunità è strettamente correlata, suggerendo una pseudo-simmetria della struttura della proteina. Le due metà sono separate da una regione di legame che è fosforilata in diversi siti dalla proteina chinasi C. La fosforilazione di questa regione non sembra essere necessaria per il trasporto attivo dei substrati, ma modula la capacità di P-gp di regolare i canali ionici eterologhi (54). I domini integrali di membrana di P-gp hanno due ruoli centrali nel processo di trasporto. In primo luogo essi formano il canale all’interno del quale i soluti sono traslocati attraverso la membrana; in secondo luogo essi forniscono i residui amminoacidici che interagiscono direttamente con il substrato e formano i siti di legame per esso. Ogni dominio integrale di membrana della P-gp consta di sei α-eliche separate da residui idrofilici, per un totale di dodici α-eliche per molecola (Figura 13). I due domini di legame dei nucleotidi di P-gp condividono il 30-40% della sequenza amminoacidica tra di loro e con gli equivalenti domini di altri trasportatori ABC. Questi domini legano ed idrolizzano l’ATP ed accoppiano l’idrolisi dell’ATP alla traslocazione dei soluti attraverso la membrana. È stato dimostrato che la superfamiglia dei trasportatori di membrana ATP-dipendenti trasloca un’ampia gamma di substrati, tra i quali gli zuccheri, gli amminoacidi, gli ioni metallici, i peptidi e le proteine, composti idrofobici e metaboliti attraverso le membrane extracellulare ed 27 intracellulare. I geni che codificano per questi trasportatori sono fondamentali per molti processi nelle cellule. Mutazioni a loro carico possono infatti determinare o favorire molti disordini genetici umani, tra i quali la fibrosi cistica, disordini neurologici, degenerazione retinica, difetti di trasporto del colesterolo e della bile, anemia ed alterata risposta ai farmaci (55). Il trasporto delle sostanze attraverso la membrana plasmatica è molto complesso e coinvolge interazioni allosteriche tra diversi siti di riconoscimento delle sostanze traslocate e i due siti che legano l’ATP (NBDs) (56). Il meccanismo di trasduzione dell’energia è ancora sconosciuto, ma probabilmente esso coinvolge cambiamenti conformazionali indotti dall’idrolisi dell’ATP. Se osservata dalla superficie extracellulare della membrana la proteina è a forma circolare, con un anello proteico del diametro di circa 10 nm che circonda un largo poro centrale. L’anello della proteina ha due importanti funzioni: è dotato di simmetria e può essere presente un gap che rappresenta probabilmente l’accesso tra il poro centrale e la fase lipidica (56). La proteina cambia conformazione al passaggio delle sostanze. Esistono infatti una forma aperta ed una forma chiusa (57). A fronte dei progressi nel trattamento delle neoplasie, la chemioresistenza multifarmacologica rappresenta la principale causa di fallimento terapeutico. Essa è un fenomeno per cui le cellule tumorali, sottoposte ad un trattamento con un agente citotossico, sviluppano una reattività crociata nei confronti di un gruppo di composti non correlati né strutturalmente, né funzionalmente. Quando le cellule sono resistenti non rispondono a nessun agente antitumorale e quindi ogni trattamento risulta inefficace. Alcune neoplasie sono inizialmente resistenti alla maggior parte degli agenti antineoplastici mentre altre, inizialmente sensibili agli agenti citotossici, sviluppano frequentemente resistenza nei confronti di un elevato numero di agenti chemioterapici, compresi quelli utilizzati nel trattamento primario. Questo fenomeno è dovuto all’autoinduzione del gene MDR1 (58). La chemioresistenza di cellule tumorali è il risultato dell’overespressione dei trasportatori di membrana, quali P-gp. Quest’ultima determina un aumentato efflusso di farmaci citotossici dalle cellule tumorali, riducendone quindi la concentrazione intracellulare. Inoltre, P-gp è espressa in alcune neoplasie in assenza di una precedente esposizione ad agenti 28 chemioterapici. L’espressione e la funzionalità del prodotto del gene MDR1 può influenzare direttamente l’effetto terapeutico di questi farmaci. Ciò è importante soprattutto nella terapia delle neoplasie dove l’elevata espressione ed attività di MDR1 rendono le cellule tumorali refrattarie al trattamento con molti farmaci che sono substrati di P-gp. I farmaci citotossici che sono più frequentemente associati a P-gp sono prodotti naturali idrofobici, anfipatici, come taxani, alcaloidi della vinca (vincristina, vinblastina), antracicline (doxorubicina, epirubicina, daunorubicina), epipodofillotossine (etoposide, teniposide), topotecano, dactinomicina e mitomicina C (59). Nel corso degli anni sono stati identificati molti agenti che modulano la funzione della P-gp. Questi modulatori possono aumentare l’accumulo dei farmaci nelle neoplasie che esprimono P-gp e nei tessuti normali. Essi comprendono i bloccanti dei canali del calcio, gli antagonisti della calmodulina, gli steroidi, gli inibitori della protein-chinasi C, i farmaci immunosoppressori, gli antibiotici ed i surfattanti. I modulatori di prima generazione sono stati identificati negli anni ottanta e comprendono il verapamile, la ciclosporina, il tamoxifene e molti antagonisti della calmodulina. Essi presentano una bassa affinità di legame; perciò sono necessarie dosi elevate, che danno luogo a tossicità, per poter restituire sensibilità alle cellule dotate di resistenza multifarmacologica che overesprimono P-gp (60). Molti di questi farmaci sono essi stessi substrati per P-gp e quindi competono con i composti citotossici per l’efflusso della pompa. Infine, essendo molti di essi substrati anche per altri trasportatori e sistemi enzimatici, si possono evidenziare interazioni farmacologiche imprevedibili in presenza di agenti chemioterapici (60). Gli agenti modulatori di P-gp di seconda generazione comprendono il dexverapamile, la dexniguldipina, il valspodar e il biricodar. Questi agenti sono più potenti di quelli di prima generazione ed anche meno tossici, possedendo un miglior profilo farmacologico. Essi inibiscono però il metabolismo e l’escrezione degli agenti citotossici, comportando quindi tossicità. Gli inibitori di terza generazione (tariquidar XR9576, zosuquidar LY335979, laniquidar R101933 e ONT-093) possiedono elevata affinità e specificità per P-gp. Finora, però, non è stato dimostrata alcuna interazione farmacologica clinicamente rilevante con i comuni agenti chemioterapici. Il continuo sviluppo di questi 29 agenti potrebbe rappresentare un potenziale trattamento delle neoplasie chemioresistenti (60). Ad oggi sono stati scoperti più di 50 polimorfismi di un singolo nucleotide (SNPs) a carico di MDR1. FIGURA 14: Localizzazione dei polimorfismi in relazione alla struttura degli esoni di MDR-1 e alla probabile disposizione di P-gp. Studi hanno evidenziato come, tra questi, uno SNP sinonimo nell’esone 26 (C3435T), uno SNP sinonimo nell’esone 12 (C1236T) ed uno SNP non-sinonimo nell’esone 22 (G2677T/A) siano spesso associati ad una alterata attività di P-gp. Molti studi si sono focalizzati sugli effetti individuali di C3435T, soprattutto in relazione alla variazione della chemioresistenza (61). Gli individui omozigoti TT per C3435T dimostrano in vivo diminuzione dell’attività di P-gp, ridotta funzione delle proteine nelle cellule di sangue periferico, aumento dei livelli plasmatici di digossina, diminuzione dell’efflusso di rodamina 123 e minor livello di espressione dell’mRNA di MDR1 nei leucociti, rispetto ai genotipi CT e CC. Quindi, l’attività della proteina P-gp sembrerebbe essere elevata nei soggetti omozigoti CC, moderata nei soggetti eterozigoti CT e ridotta nei soggetti omozigoti TT. Infatti, gli individui omozigoti TT mostrano una espressione quattro volte minore di Pgp rispetto agli individui omozigoti CC e, come risultato, pazienti di questo tipo rivelano un alto livello plasmatico di digossina dopo somministrazione orale. Siccome una overespressione della proteina P-gp è stata associata ad alterazione dell’assorbimento dei 30 farmaci, tale SNP potrebbe offrire un utile approccio per individuare la corretta terapia. Per facilitare l’applicazione clinica, 1280 soggetti provenienti da 10 differenti gruppi etnici sono stati studiati per questo SNP attraverso la tecnica RFLP PCR (reazione a catena della polimerasi- polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione) e, per ogni gruppo, sono state accertate la frequenza allelica e genotipica. Sono state riscontrate marcate differenze nella frequenza allelica ed in quella genotipica fra le popolazioni Africane e quelle Asiatiche/Caucasiche. Il primo gruppo presenta una frequenza media dell’81% per l’allele C, rispetto ad una frequenza media del 49% per il secondo gruppo. L’elevata frequenza dell’allele C nelle popolazioni Africane implica una overespressione di P-gp e può avere importanti implicazioni terapeutiche e prognostiche per l’utilizzo di farmaci P-gpdipendenti in individui con tale caratteristica (62). 31 2. Scopo dello studio Caratteristica del CAC è quella di essere fortemente chemioresistente, per cui risulta difficile trovare una terapia farmacologica efficace per tale affezione. La chemioresistenza, in tali cellule tumorali, è legata ad una iperespressione di MDR1, con conseguente aumento di sintesi della proteina P-gp. Studi precedenti hanno inoltre dimostrato che il mitotane è di grado di modulare l’espressione di MDR1, contrastando così la resistenza del tumore (32). Scopo del nostro studio è stato quello di valutare il genotipo per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 in una casistica di pazienti affetti da CAC, confrontandola con una popolazione di soggetti non affetti da tale neoplasia, e verificare se la risposta alla terapia potesse variare in base alla presenza del polimorfismo. Inoltre, sulle cellule di una linea cellulare continua di CAC umano, le NCI-H295, sono stati valutati: il genotipo per il polimorfismo C3435T di MDR1, l’espressione di MDR1, la resistenza a comuni chemioterapici. 32 3. Materiali e metodi 3.1 Soggetti studiati In collaborazione con l’Istituto di Medicina Interna dell’Università di Torino (Prof. Massimo Terzolo) sono stati raccolti campioni di sangue venoso periferico (addizionati di anticoagulante) provenienti da 31 pazienti affetti da CAC. PAZIENTE SESSO ETÀ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 M F F M F F M F M M M M F F F F F F F M M M M F M M F M F M F 47 62 43 34 33 42 24 71 52 33 33 31 35 58 44 34 36 53 31 56 31 36 59 41 35 46 44 75 55 37 37 RESPONSIVITÀ ALLA CHEMIOTERAPIA PROGRESSIONE MALATTIA MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA PROGRESSIONE MALATTIA MAI ESEGUITA PROGRESSIONE MALATTIA RISPOSTA PARZIALE MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA RECIDIVA RECIDIVA MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA DATI NON DISPONIBILI MAI ESEGUITA PROGRESSIONE MALATTIA MAI ESEGUITA PROGRESSIONE MALATTIA MAI ESEGUITA MAI ESEGUITA PROGRESSIONE MALATTIA MAI ESEGUITA DATI NON DISPONIBILI MAI ESEGUITA MALATTIA STABILE MAI ESEGUITA RISPOSTA COMPLETA MAI ESEGUITA RESPONSIVITÀ ALLA TERAPIA CON MITOTANE PROGRESSIONE MALATTIA RECIDIVA RISPOSTA COMPLETA PROGRESSIONE MALATTIA RISPOSTA COMPLETA NON VALUTABILE PROGRESSIONE MALATTIA PROGRESSIONE MALATTIA RISPOSTA COMPLETA RISPOSTA COMPLETA RECIDIVA MALATTIA STABILE RISPOSTA COMPLETA RISPOSTA COMPLETA RECIDIVA RISPOSTA COMPLETA DATI NON DISPONIBILI RISPOSTA COMPLETA NON VALUTABILE RECIDIVA NON VALUTABILE RISPOSTA COMPLETA RISPOSTA COMPLETA PROGRESSIONE MALATTIA NON VALUTABILE DATI NON DISPONIBILI RISPOSTA COMPLETA MALATTIA STABILE RISPOSTA COMPLETA RISPOSTA COMPLETA MAI ESEGUITA TABELLA 1: Notizie cliniche dei pazienti affetti da CAC. Sono state inoltre raccolte informazioni cliniche relative alla terapia medica a cui i pazienti sono stati sottoposti dopo l’intervento chirurgico, nonché la risposta all’eventuale terapia. Tali pazienti sono stati infatti sottoposti ad asportazione chirurgica del CAC e, a seconda dei casi, sono stati trattati con vari protocolli chemioterapici (Epirubicina-Adriamicina-Platino, 33 streptozotocina, taxani, gemcitabina+xeloda o gemcitabina+capecitabina) e/o con mitomane (Tabella 1). PAZIENTE 97 98 99 100 101 104 105 121 122 124 126 127 128 142 143 148 149 168 170 171 179 180 181 182 186 193 194 200 203 214 249 SESSO M F M M M F F M M F F M M M F M M M M M M F M F F M F F M M F ETÀ 19 53 22 80 51 47 25 45 52 60 37 29 32 69 53 29 22 73 24 77 45 41 46 46 27 54 44 48 46 18 76 DIAGNOSI TRAUMA CRANICO ICTUS ISCHEMICO TRAUMA CRANICO ICTUS ISCHEMICO TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO ICTUS ISCHEMICO ICTUS ISCHEMICO TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO EMORRAGIA CEREBRALE ICTUS ISCHEMICO EMORRAGIA CEREBRALE TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO ICTUS CEREBRALE TRAUMA CRANICO ICTUS ISCHEMICO TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO TRAUMA CRANICO ICTUS CEREBRALE ICTUS ISCHEMICO TRAUMA CRANICO ICTUS CEREBRALE ICTUS CEREBRALE ICTUS ISCHEMICO TRAUMA CRANICO ICTUS EMORRAGICO TABELLA 2: Soggetti non affetti da tumore. La stessa indagine è stata eseguita su una seconda popolazione di controllo, composta sempre da 31 individui, scelti all’interno di un gruppo di pazienti non presentanti neoplasie (Tabella 2), i cui campioni di sangue venoso periferico sono conservati nell’emoteca della Sezione di Endocrinologia dell’Università degli Studi di Ferrara. 3.1.1 Estrazione del DNA da sangue Da un’aliquota del campione di sangue intero raccolto per ciascun paziente è stato estratto il DNA, al fine di poter effettuare l’analisi genotipica. L’estrazione del DNA è stata 34 eseguita utilizzando il kit QIAamp DNA Blood (Qiagen S.p.A. Milano), seguendo le istruzioni del protocollo standard. Il processo di estrazione prevede diverse fasi di purificazione del materiale estratto, volte ad eliminare tutte le componenti cellulari e proteiche che possono interferire con le analisi successive. In un primo passaggio, ad un volume standard di 200 µl di sangue, sono stati aggiunti 20 µl di proteasi K, la cui azione serve a degradare il materiale proteico, e 200 µl del tampone di lisi AL, necessario per la degradazione delle membrane biologiche. Il tutto è stato agitato per pochi secondi ed incubato in bagnetto termostatato a 56° C per 10 minuti. Al termine dei 10 minuti, la provetta contenente la miscela di reazione è stata centrifugata ad 8000 rpm per 20 secondi. A questo punto sono stati aggiunti 200 µl di etanolo assoluto, che consentono la precipitazione del DNA, ed il tutto è stato agitato per pochi secondi. Il campione è stato poi centrifugato a 8000 rpm per 20 secondi. La soluzione così ottenuta è stata applicata ad una colonnina QIAamp, costituita da una resina silicea che interagisce col DNA, bloccandolo nella colonna. Tale colonnina è stata posta all’interno di uno specifico tubo di raccolta da 2 ml e centrifugata a 8000 rpm per 1 minuto. Al termine della centrifugazione, essa è stata recuperata ed inserita in un nuovo tubo di raccolta, mentre il materiale eluito è stato eliminato. Cominciano a questo punto una serie di lavaggi successivi volti a purificare il DNA estratto: alla colonnina sono stati applicati 500 µl di tampone di lavaggio AW1, ed il tutto è stato sottoposto a nuova centrifugazione a 8000 rpm per 1 minuto. La colonnina è stata nuovamente recuperata e posta su un nuovo tubo di raccolta da 2 ml, mentre il materiale eluito è stato ancora una volta eliminato. Sono stati applicati alla colonna 500 µl di un altro tampone di lavaggio, AW2, ed il campione è stato centrifugato a massima velocità per 3 minuti. Per il recupero del DNA, la colonnina è stata posta su una provetta con chiusura di sicurezza da 1,5 ml e su di essa sono stati applicati 200 µl di tampone AE. La colonna è stata lasciata a temperatura ambiente per circa 5 minuti e successivamente centrifugata a 8000 rpm per 1 minuto. A questo punto, il DNA estratto si trova in soluzione nella provetta da 1,5 ml. Il DNA è stato posto alla temperatura di –20°C, mentre una piccola 35 aliquota necessaria alle operazioni di genotipizzazione è stato conservato a 4°C per non più di un mese. 3.1.2 Quantificazione del DNA allo spettrofotometro Il DNA è stato quantificato allo spettrofotometro (Wallac Victor, Perkin Elmer) mediante una lettura alla lunghezza d’onda di 260 nm (per DNA a doppia elica 1 OD a 260 nm corrisponde ad una concentrazione di 50 µg). Una seconda lettura a 280 nm è stata inoltre eseguita per valutare la possibile contaminazione da proteine. Il DNA viene considerato di buona qualità quando il rapporto lettura a 260nm/lettura a 280 nm è uguale a 1.8. 3.1.3 Reazione a catena della polimerasi (PCR) La PCR (Polimerase Chain Reaction) è una tecnica che permette di ottenere copie multiple di uno specifico segmento di DNA. Per questa reazione sono necessari primers o inneschi (Forward e Reverse) per delimitare la regione da amplificare e permettere l’attacco dell’enzima, deossiribonucleotidi per la costituzione del nuovo filamento di DNA e l’enzima DNA polimerasi per la sua sintesi. Questi reagenti vengono addizionati a MgCl2 (Mg+ stabilizza le molecole di DNA cariche negativamente per la presenza dei gruppi fosfato (PO43-) ed è cofattore della DNA polimerasi) ad un tampone ottimale per l’attività dell’enzima ed, ovviamente, al DNA genomico da amplificare. Il volume finale della miscela di amplificazione è di 50 µl (Tabella 3). REAGENTI DNA 100 ng VOLUME VEDI QUANTIFICAZIONE PCR Buffer 10x 5 µl 50 mM MgCl2 1 µl 10 mM dNTPs 1 µl Primer FOR 1:100 1 µl Primer REV 1:100 1 µl Taq DNA polimerasi 0,2 µl H2O molecular grade PORTO A VOLUME (50 µl) TABELLA 3: Reazione di PCR. 36 Le sequenze della coppia di primers usati per lo studio dello SNP C3435T sono le seguenti: GENE MDR1 PRIMERS For: 5’- AGTGGCTCCGAGCACACCT - 3’ Rev: 5’- TGCTCCCAGGCTGTTTATTTG - 3’ Tm 59°C FRAMMENTO ATTESO 201 bp TABELLA 4: Primers utilizzati per la genotipizzazione. La reazione di PCR è stata condotta in termociclatori GeneAmp 9700 (Applera Italia), in grado di variare ciclicamente, secondo un programma prestabilito, la temperatura della reazione. Generalmente, la reazione di PCR prevede una fase di denaturazione, necessaria alla separazione dei due filamenti, una fase di appaiamento, per permettere ai primers di appaiarsi in maniera complementare al DNA stampo, ed una fase di estensione, in cui la DNA polimerasi amplifica la sequenza di interesse. Ciascun ciclo di denaturazioneappaiamento-estensione viene ripetuto più volte, al fine di ottenere un elevato numero di copie. TEMPO 7’ 30’’ 1’ 30’’ 5’ ∞ TEMPERATURA 95°C 95°C 57°C 72°C 72°C 4°C DESCRIZIONE CICLI DENATURAZIONE INIZIALE DENATURAZIONE ANNEALING ESTENSIONE ESTENSIONE FINALE CONSERVAZIONE 1 35 1 1 TABELLA 5: Condizioni termiche e tempi della reazione di PCR. Contemporaneamente ai campioni contenenti i DNA dei pazienti sono stati amplificati, nella stessa seduta, un controllo positivo ed un controllo negativo. Il primo, contenente DNA di un paziente il cui prodotto PCR era stato precedentemente analizzato con successo, permette di evidenziare possibili errori dovuti alla mancata aggiunta o alla degradazione di un reagente; il secondo, non contenente DNA ma un uguale volume di acqua, permette di evidenziare eventuali contaminazioni da DNA non di interesse. 37 3.1.4 Elettroforesi su gel di agarosio Il risultato delle PCR è stato controllato mediante elettroforesi su gel di agarosio. Tale tecnica permette la separazione dei frammenti amplificati di DNA in base alla loro dimensione: applicando un campo elettrico continuo i frammenti di lunghezza minore migreranno più velocemente poiché meno ostacolati dalle maglie del gel, mentre i frammenti più lunghi migreranno più lentamente. Grazie alla presenza dei gruppi fosfato (PO43-), il DNA risulta carico negativamente e migrerà quindi verso il polo positivo con velocità diversa in base alla dimensione. La separazioni elettroforetica dei campioni di DNA amplificato è stata eseguita su gel di agarosio al 2%, preparato sciogliendo l’agarosio in TAE 1x (Tris acetato EDTA). L’individuazione delle bande di DNA sul gel è stata possibile grazie all’aggiunta, prima della solidificazione, di Gel Star 10000x (Lonza Group Ltd., Switzerland). Tale colorante fluorescente ad alta sensibilità permette l’evidenziazione degli acidi nucleici dopo la corsa illuminando il gel con luce ultravioletta a 302 o 312 nm. Sono stati quindi miscelati 10 µl della reazione di amplificazione a 2 µl di loading buffer 6X (Qiagen S.p.A., Milano), colorante di caricamento che permette la visualizzazione della corsa, e caricati su gel di agarosio al 2%. La corsa è stata eseguita per 20 minuti applicando un voltaggio pari a 110 Volt. Il gel è stato poi analizzato su transilluminatore U.V. Gel Doc utilizzando Quantity One software (Bio-Rad Laboratories). Marker ct- ct+ paz. 4 paz. 3 paz. 2 paz. 1 Marker 1000bp 750bp 500bp 300bp 150bp 50bp FIGURA 15: Corsa elettroforetica dei prodotti PCR su gel di agarosio al 2% colorato con Gel Star 10000x. 38 3.1.5 Purificazione dei prodotti PCR Questa procedura viene eseguita per eliminare tutti i prodotti PCR secondari, non utilizzati nella reazione di purificazione, come i dimeri di primer (primer dimers), gli oligonucleotidi, i dNTPs ed i sali. Per fare ciò è stato utilizzato il kit NucleoSpin (MakereyNagel, Deutschland), il cui principio si basa sull’adsorbimento momentaneo del DNA, dopo centrifugazione, sulla membrana di una apposita colonnina. Il DNA adsorbito verrà poi rilasciato in un secondo momento utilizzando il corretto tampone di eluizione. 100 µl di prodotto PCR sono stati miscelati a 200 µl di soluzione NT e la soluzione è stata caricata sulla colonnina, centrifugando per 1 minuto a 11000 rpm. L’eluito è stato scartato, sono stati aggiunti alla colonnina 600 µl di soluzione NT3 e la miscela è stata centrifugata per 1 minuto a 11000 rpm. L’eluito è stato nuovamente scartato e sono stati aggiunti 50 µl di soluzione NE (tampone di eluizione). Dopo 1 minuto di incubazione a temperatura ambiente il campione è stato nuovamente centrifugato per 1 minuto a 11000 rpm, eluendo il DNA dalla colonnina. 3.1.6 Reazione di sequenza Per la reazione di sequenza è stato utilizzato il BigDye Terminator V3.1 Cycle Sequencing Kit (metodo di Sanger). In tale reazione il DNA viene esteso da una polimerasi che utilizza, oltre ai deossiribonucleotidi, i dideossiribonucleotidi (ddNTPS). Questi, una volta incorporati, bloccano l’estensione, non avendo il sito 3’ libero per l’aggiunta di altri nucleotidi. Si ottengono così tanti frammenti di DNA la cui estensione si è bloccata a livelli diversi. I ddNTPS sono marcati con fluorocromi (diversi per ognuno dei quattro nucleotidi), e ciò permette la rivelazione della sequenza di nucleotidi durante il sequenziamento. La reazione avviene in un volume di 10 µl (Tabella 6). 39 REAGENTI VOLUMI 1-10 ng prodotto PCR purificato VEDI QUANTIFICAZIONE 3.2 pmoli Primer Forward o Reverse 1 µl DI PRIMER 2,5 µM 10X Terminator Ready Reaction Mix 1 µl 5X BigDye Sequencing Buffer 2 µl H2O molecular grade PORTO A VOLUME (10 µl) TABELLA 6: Miscela di reagenti per reazione di sequenza. La reazione è stata caricata su un termociclatore GenAmp 9700 (Applera Italia) e sottoposta al seguente programma termico: 45 cicli a 96°C 10 sec, 60°C 4 min. 3.1.7 Rimozione dei Dye Terminators e sequenziamento Per eliminare i Dye Terminators sono state utilizzate le Centri-Sep Spin Columns (Princeton Separations, Inc.). In una colonnina precedentemente idratata sono stati caricati 10 µl di reazione di sequenza seguendo le specifiche del kit ed il tutto e stato centrifugato 2 minuti a 2000 rpm. 5 µl dell’eluito sono stati denaturati insieme a 10 µl di HDI Formamide (Sigma- Aldrich, Inc) per 2 minuti a 96 °C e subito messi in ghiaccio per mantenere la denaturazione. La reazione di sequenza è stata quindi caricata sullo strumento 3130 Genetic Analyzer (Applera Italia). La macchina, attraverso elettroforesi capillare, permette il passaggio delle sequenze denaturate a livello di un laser che eccita i fluorocromi legati ai nucleotidi terminali in 3’. I segnali di emissione vengono captati da un fotomoltiplicatore e tradotti in elettroferogrammi dal Sequecincig Analysis Software 5.2 (Apllera Italia). Tali elettroferogrammi sono stati infine confrontati con la sequenza di controllo, ottenuta dalla banca dati NCBI (National Center of Biotechnology Information), per valutare il polimorfismo C3435T del gene MDR1. 40 FIGURA 16: Elettroferogramma che evidenzia il polimorfismo C3435T del gene MDR1 in Forward. FIGURA 17: Elettroferogramma che evidenzia il polimorfismo C3435T del gene MDR1 in Reverse. 3.2 Linea cellulare NCI-H295 e trattamenti 3.2.1 Linea cellulare NCI-H295 La linea cellulare NCI-H295 è stata ottenuta da un campione di CAC di una paziente di colore di 48 anni. Tali cellule tumorali hanno morfologia epiteliale e producono ormoni steroidei. La linea cellulare NCI-H295 è stata acquistata dall’American Type Culture Collection (Manassas, VA, USA) ed è stata mantenuta in coltura a 37°C in atmosfera umidificata con 5% CO2 in un mix 1:1 di Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium e Ham’s F12 Medium con 2,5Mm L-glutammina (EuroClone Ltd, Torquay, UK). A tale terreno di coltura sono stati aggiunti 5 µg/ml di insulina, 0,01 mg/ml di transferrina, 30 nM di sodio selenite, 10 nM di idrocortisone, 10 nM di 17-β estradiolo (Sigma-Aldrich, Inc) e 2 mM di L-glutammina extra (EuroClone Ltd, Torquay, UK). Sono stati inoltre aggiunti 2% di siero fetale bovino (FBS, ATCC, Manassas, VA, USA), 100 U/ml penicillina e 0.1 mg/ml 41 streptomicina (EuroClone Ltd, Torquay, UK). Le cellule della linea cellulare NCI-H295 crescono in adesione e, una volta raggiunta la confluenza di fiasca, vengono rimosse meccanicamente tramite scraper e messe in coltura ad una diluizione 1:3. 3.2.2 Genotipizzazione Le cellule di una fiasca T25 a confluenza (3 milioni circa) della linea cellulare NCIH295, dopo essere state rimosse con scraper e centrifugate per 7 minuti a 120 x g, sono state raccolte e utilizzate per l’estrazione del DNA con Wizard Genomic DNA Purification Kit (Promega Italia srl, Milano). Il pellet cellulare è stato trasferito in una provetta da 1,5 ml e centrifugato per 10 secondi a 16000 rpm. Rimosso il surnatante, il nuovo pellet è stato risospeso in 200 µl di soluzione fisiologica e nuovamente centrifugato alle stesse condizioni. A questo punto il contenuto della provetta è stato ben miscelato a 600 µl di Nuclei Lysis Solution ed a 3 µl di RNase Solution. Il tutto è stato incubato prima a 37°C per 30 minuti, poi a temperatura ambiente per 5 minuti. Al termine delle incubazioni sono stati aggiunti 200 µl di Protein Precipitation Solution. La provetta è stata agitata vigorosamente per 20 secondi, posta in ghiaccio per 5 minuti e successivamente centrifugata per 4 minuti a 16000 x g, in modo da creare una ripartizione in fasi che vede la formazione di un anello proteico bianco che separa il DNA contenuto nel surnatante dal resto delle componenti cellulari. Il surnatante è stato quindi trasferito in una provetta da 1,5 ml e miscelato a 600 µl di isopropanolo (Carlo Erba Reagents, Milano) a temperatura ambiente, fino alla visualizzazone di filamenti bianchi di DNA. Il tutto è stato centrifugato per 1 minuto a 16000 rpm ed il surnatante è stato scartato. Il pellet di DNA ottenuto è stato lavato con etanolo al 70% (Carlo Erba Reagents, Milano), centrifugato come descritto sopra e fatto asciugare per circa 20 minuti. Esso è stato infine risospeso in 100 µl di DNA Rehydratation Solution ed incubato overnight a 4°C. Il DNA così ottenuto ha seguito, per la valutazione del polimorfismo C3435T, lo stesso iter del DNA dei soggetti precedentemente analizzati. 42 3.2.3 Valutazione dell’espressione di MDR1 Le cellule di una fiasca T75 a confluenza (10 milioni circa) della linea cellulare NCIH295, dopo essere state rimosse con scraper e centrifugate per 7 minuti a 120 x g, sono state raccolte ed utilizzate per l’estrazione dell’RNA totale con Trizol (Life Technologies, Milano). Estrazione RNA totale con Trizol Il pellet ricavato dalla centrifugazione delle cellule raccolte è stato incubato per 5 minuti a temperatura ambiente con 1 ml di Trizol (Life Technologies, Milano). Il Trizol è composto da isotiocianato di guanidina, inibitore delle RNasi, e fenolo, denaturante delle proteine, ed è in grado di dissociare i complessi nucleo-proteici. Sono stati aggiunti 0,2 ml di cloroformio (Carlo Erba Reagents, Milano) ed il tutto è stato agitato vigorosamente per inversione e successivamente incubato 3 minuti a temperatura ambiente. La provetta è stata centrifugata a 12000 rpm per 15 minuti a 4°C, per ottenere una ripartizione del contenuto in 3 fasi dove la fase inferiore contiene le componenti cellulari, l’interfaccia DNA e proteine ed il surnatante RNA. Quest’ultimo è stato trasferito in un’altra provetta in cui erano stati aggiunti 0,5 ml di isopropanolo (Carlo Erba Reagents, Milano) ed incubato 10 minuti a temperatura ambiente. La provetta è stata poi centrifugata a 12000 rpm per 10 minuti a 4°C, permettendo la precipitazione dell’RNA sul fondo. Dopo eliminazione del surnatante, il pellet ottenuto è stato lavato aggiungendo 1 ml di etanolo 75% in acqua DEPC (dietilpirocarbonato, inibisce le RNasi) e agitando vigorosamente. Dopo aver centrifugato il tutto a 7500 rpm per 5 minuti a 4°C, il surnatante è stato eliminato ed il pellet è stato lasciato ad asciugare per 5 minuti. A questo punto l’RNA depositato sul fondo della provetta è stato risospeso in 20 µl di acqua DEPC ed incubato a 55°C per 10 minuti. L’RNA totale così ottenuto è stato conservato a -80°C. Quantificazione dell’RNA totale L’RNA ottenuto è stato quantificato mediante il sistema Experion (Bio-Rad Laboratories), che applica la tecnologia microfluidica per automatizzare l’elettroforesi su 43 gel. I chip microfluidici hanno la capacità di alloggiare fino a 12 campioni per seduta e di rilevare RNA in quantità nell’ordine di ng (RNA Std Sens Kit) e pg (RNA High Sens Kit). La soluzione gel-stain è stata preparata centrifugando 600 µl di RNA gel, contenuto nell’ RNA Std Sens Kit, in uno spin filter a 4500 rpm per 10 minuti. 65 µl del gel così filtrato sono stati miscelati ad 1 µl del reagente RNA stain in una provetta da microcentrifuga RNase-free. Per quanto riguarda la preparazione dei campioni, 1 µl di una diluzione 1:10 di RNA estratto dalla linea cellulare è stato mescolato a 3 µl di RNA ladder in provetta da microcentrifuga e denaturato per 2 minuti a 70°C in termoblocco. Il tutto è stato poi posto in ghiaccio per 5 minuti. A questo punto 9 µl della soluzione gel-stain sono stati caricati nel pozzetto GS del chip di lettura, 9 µl di gel filtrato nel pozzetto G, 5 µl del reagente loading buffer nei pozzetti da 1 a 12 e nel pozzetto L. 1 µl del ladder denaturato è stato aggiunto nel pozzetto L, mentre 1 µl del campione denaturato è stato caricato nel pozzetto 1. Poiché tutto il chip deve essere completo per poter procedere con la lettura, è stato aggiunto 1 µl di TE buffer in ogni pozzetto non utilizzato. FIGURA 18: Chip e reagenti dell’RNA Std Sens Kit Experion (Bio-Rad). Lo strumento valuta la fluorescenza emessa dai campioni e, comparandola al marker interno, è in grado di fornire la concentrazione del campione in ng/µl e la qualità dell’RNA analizzato. Più alto è l’indice di qualità (QI), migliore è la condizione del nostro RNA. Un QI intorno a 10 è da considerarsi molto buono. Retrotrascrizione Utilizzando un kit per la sintesi di DNA complementare a singolo strand (cDNA) (SuperScript II Reverse Transcriptase, Invitrogen Corporation), sono stati trascritti 3 µg di 44 RNA totale. Inizialmente i 3 µg di RNA (corrispondenti nel nostro caso a 3 µl) sono stati posti in una provetta da 200 µl contenente 1 µl di DNasi per ogni µg di RNA, 2 µl di Reaction Buffer 10x e acqua DEPC fino a raggiungere un volume di reazione di 20 µl. La provetta è stata incubata 30 minuti a 37°C. Tutte le incubazioni sono avvenute in termociclatore GeneAmp 9700 (Applera Italia). Dopo aver aggiunto 2 µl di Stop Reaction per bloccare le DNasi, la provetta è stata incubata a 65°C per 10 minuti. Il volume totale della miscela di reazione è stato diviso equamente in tre provette, ognuna contenente 1 µl di Random Examer, 1 µl di dNTPs e acqua fino ad un volume finale di 10 µl. Le provette sono state incubate 5 minuti a 65°C e successivamente sono state poste in ghiaccio per 1 minuto. Per la retrotrascrizione vera e propria sono stati aggiunti ad ogni provetta 9 µl di una mix composta da 10x Buffer RT, MgCl2 25 mM, dTT 0,1 mM ed RNasi out (Tabella 7). REAGENTI 10x Buffer RT VOLUME 2 µl MgCl2 25 mM 4 µl dTT 0,1 mM 2 µl RNasi out 1 µl VOLUME TOTALE PERCAMPIONE 9 µl TABELLA 7: Miscela di reagenti per retrotrascrizione. I tre campioni, contenenti un volume totale di 19 µl, sono stati incubati 2 minuti a 25°C. Al termine di tale incubazione è stato aggiunto 1 µl di Superscript II a due delle tre provette ed i campioni sono stati sottoposti ad un ciclo di incubazione a tre diverse temperature: TEMPO 10’ TEMPERATURA 25°C 30’ 42°C 15’ 70°C TABELLA 8: Condizioni termiche di retrotrascrizione. Infine, dopo aver aggiunto 1 µl di RNasi H ad ogni provetta, il tutto è stato incubato per 20 minuti a 37°C. A questo punto, nelle due provette a cui è stata aggiunta la Superscript, si avrà cDNA, mentre la provetta in cui il reagente non è stato aggiunto rappresenta il 45 controllo negativo. Per verificare che l’RNA totale sia stato effettivamente retrotrascritto, è stata allestita una PCR di controllo utilizzando il kit della MasterMix (Promega, Milano). A 2 µl di ogni campione, sono stati addizionati 48 µl di una miscela contenente Master Mix 2x, acqua molecular grade e la coppia di oligonucleotidi per l’amplificazione della β-actina, gene house-keeping costitutivamente espresso in ogni tipo di cellula umana (Tabella 9). REAGENTI Retrotrascritto VOLUME 2 µl Master Mix 2x 25 µl Primer Forward β-actina 1:100 1 µl Primer Reverse β-actina 1:100 1 µl H2O molecular grade PORTO A VOLUME: 50 µl TABELLA 9: Miscela di PCR di controllo per RT-PCR. Valutazione dell’espressione di MDR1 Il cDNA ottenuto è stato amplificato mediante reazione di PCR utilizzando primers oligonucleotidici disegnati all’interno dell’esone 26 di MDR1. Primers, condizioni di reazione e dimensioni attese dei frammenti amplificati sono illustrate nella Tabella 10 (Figura 19): Gene MDR1 Primers For: 5’- TTGCCTATGGAGACAACAGCC - 3’ Rev: 5’- ACGAGCTATGGCAATGCGTT - 3’ Denaturazione Annealing Estensione Cicli Frammento 94°C, 30” 55°C, 45” 74°C, 45” 45 97 bp TABELLA 10: Primers e condizioni di PCR per l’amplificazione di MDR-1. 3.2.4 Immunofluorescenza Le cellule NCI-H295 sono state seminate, ad una concentrazione di 104 cellule/pozzetto, in vetrini sterili per colture cellulari da 8 pozzetti (Lab-Tek Chamber Slide System, Nalgene Nunc International, Naperville, IL, USA). Successivamente le cellule sono state ibridate con un anticorpo monoclonale di topo anti P-gp diluito 1:500 (Sigma) per 30 minuti a 37°C, fissate in metanolo-acetone 1:1 per 10 minuti a -20°C, reidratate con Phosphate Buffered Saline (PBS) per 10 min e bloccate con PBS contenente il 5% di siero dell’animale da cui è stato prodotto l’anticorpo secondario. Dopo 3 lavaggi di 10 minuti a 46 temperatura ambiente con PBS, le cellule sono state ibridate con l’anticorpo secondario anti-IgG di topo diluito 1:100 (Santa Cruz), marcato con TRITC e sviluppato in capra. L’incubazione è avvenuta al buio per 1 ora a temperatura ambiente. Successivamente a tre lavaggi di 10 minuti con PBS al buio, i vetrini sono stati montati con ProLong Gold antifade reagent (Invitrogen Molecular Probes) contenente il colorante nucleare 4’,6’-diamidino-2phenylindole (DAPI) sotto il vetrino coprioggetto, mantenuti al buio per 24 ore a temperatura ambiente ed osservati con microscopio a fluorescenza Nikon Eclipse TE2000-U con obiettivo 60 X ad immersione. Le cellule sono state fotografate con fotocamera digitale DS-5M Nikon colour CCD e le foto sono state analizzate mediante il Multi-Analyst software (Bio-Rad). 3.2.5 Saggi di vitalità cellulare Per verificare la resistenza delle cellule NCI-H295 al trattamento con comuni chemioterapici, esse sono state trattate con doxorubicina (Sigma, Milano) ad un range di concentrazioni tra 10 nM e 1 µM, per un periodo di 3 e 7 giorni. Per i saggi sono state utilizzate piastre da 96 pozzetti (Nunc-Thermo Fisher Scientific, Roskilde). La prima colonna di ogni piastra non è stata seminata e ad ogni pozzetto sono stati aggiunti 100 µl di medium completo (bianco). Le colonne successive sono state seminate con 2 x 104 cellule per pozzetto. La prima colonna seminata è stata trattata solamente con medium (controllo), mentre le successive colonne sono state trattate con concentrazioni crescenti di doxorubicina per un volume di 100 µl. Di ogni colonna, solo i sei pozzetti centrali sono stati utilizzati per l’esperimento, mentre quelli periferici sono stati riempiti con 100 µl di soluzione fisiologica (Fresenius Kabi, Verona), che ha la funzione di proteggere i trattamenti da agenti esterni (luce, temperatura, ecc). Le variazioni del numero di cellule dovute ai trattamenti sono state valutate con il kit TACS MTT Cell Proliferation Assay (Trevigen Inc., Gaithersburg). Il mattino successivo al termine di ogni trattamento sono stati aggiunti ad ogni pozzetto, tranne a quelli periferici, 10 µl di soluzione MTT. Tale soluzione contiene sali di tetrazolio che vengono ridotti da enzimi mitocondriali in formazani, precipitati insolubili di colore blu. 47 La formazione di tali precipitati è direttamente proporzionale al numero di cellule vive. Dopo 4 ore di incubazione sono stati aggiunti agli stessi pozzetti 100 µl di soluzione SS (soluzione di solubilizzazione). Essa permette di solubilizzare i precipitati e di rendere il colore del surnatante omogeneo per la lettura colorimetrica. La mattina seguente le piastre sono state valutate al Wallac Victor 1420 Multilabel Counter (Perkin Elmer, Monza) ad una lunghezza d’onda di 560 nm. I trattamenti a 3 e 7 giorni sono stati ripetuti in triplicato. 3.2.6 Saggi di sintesi del DNA La valutazione della proliferazione delle cellule NCI-H295 durante trattamento con doxorubicina (Sigma, Milano) ad un range di concentrazioni tra 10 nM e 1 µM è stata condotta mediante la tecnica di incorporazione di timidina triziata (3H-timidina) che misura i livelli di sintesi di DNA. Per i trattamenti sono state utilizzate piastre da 24 pozzetti (Nunc-Thermo Fisher Scientific, Roskilde). Tutti i pozzetti della piastra, tranne quelli dell’ultima riga, sono stati seminati con 5 x 104 cellule in un volume di 1 ml. I pozzetti seminati della prima colonna sono stati trattati con 1 ml di medium completo contenente 1,5 µl di timidina triziata 2 Ci/mmol (Amersham Pharmacia Biotech, Inc.) (controllo), mentre i pozzetti seminati dalla seconda alla quinta colonna sono stati trattati rispettivamente con doxorubicina 10 nM, 50 nM, 100 nM, 500 nM ed 1 µM in medium completo contenente 1,5 µl di timidina triziata 2 Ci/mmol. Tre pozzetti non seminati dell’ultima riga sono stati riempiti con 1 ml di medium completo contenente 1,5 µl di timidina triziata 2 Ci/mmol. I trattamenti sono stati ripristinati ogni 2 giorni e dopo tre e sette giorni le cellule di ogni pozzetto sono state raccolte in 300 µl di soluzione fisiologica (Fresenius Kabi, Verona) mediante rimozione meccanica. Esse sono state poi trasferite in una piastra da 96 pozzetti, facendo corrispondere ad ogni pozzetto della piastra da 24 pozzetti, 3 pozzetti di quella da 96 (100 µl per pozzetto). Tre pozzetti di quest’ultima sono stati riempiti con 100 µl di soluzione fisiologica contenente 1,5 µl di timidina triziata 2 Ci/mmol per ml (bianco). Le cellule ed il surnatante sono poi state filtrate attraverso uno strumento (“cells harvester”) che permette di bloccare in una apposita piastra da 96 pozzetti con filtro soltanto il DNA 48 (Perkin Elmer, Monza). Dopo aver fatto asciugare il filtro per qualche ora sono stati aggiunti ad ogni pozzetto 30 µl di liquido di scintillazione e la piastra è stata isolata superiormente ed inferiormente con pellicole plastificate (Wallac B&W Isoplate, Perkin Elmer, Monza). Il filtro è stato successivamente inserito in uno scintilloscopio o contatore di particelle β: la quantità di timidina triziata incorporata sarà proporzionale al segnale captato dallo scintilloscopio. Il saggio è stato ripetuto in triplicato. FIGURA 19: strumento per la raccolta di cellule coltivate ("Harvester")(Perkin Elmer, Monza). 3.3 Analisi statistica Sono stati utilizzati i test statistici t di Student per valutare la significatività della differenza fra le medie, Chi2 per valutare la significatività della differenza fra le percentuali e Odd Ratio per valutare l’esistenza di una associazione fra due variabili e quantificare il rischio relativo. 49 4. Risultati 4.1 Genotipizzazione casi e controlli 4.1.1 Descrizione dei campioni Inizialmente è stata valutata la distribuzione di età, sesso e genotipo fra i pazienti affetti da CAC (casi) ed i pazienti sani (controlli). L’età media per i casi è risultata essere 43,5 ± 13 (range 24-75 anni), mentre per i controlli di 44,8 ± 18 anni (range 18-80 anni). Applicando il test t di Student si è valutata la differenza fra le medie. Essendo il valore di p superiore a 0,05 il test è stato considerato non significativo. Ciò significa che la distribuzione delle età nei due gruppi è omogenea. Per valutare la diversa distribuzione di sesso e genotipo fra casi e controlli è stato applicato il test Chi2. Essendo il valore di p non significativo, la distribuzione di sesso e genotipo nei due gruppi è omogenea (Tabelle 11, 12 e 13 e Figure 20, 21 e 22). I campioni rappresentanti i casi e quelli rappresentanti i controlli sono risultati quindi omogenei per età, sesso e genotipo e perciò confrontabili fra loro. Il fatto che in essi i 3 possibili genotipi siano distribuiti nello stesso modo ci suggerisce inoltre che il genotipo per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 ed il CAC siano fra loro non correlati. GRUPPO F M Totale CASI 16 15 31 CONTROLLI 12 19 31 Totale complessivo 28 34 62 Chi2=0.58 p=0.44 TABELLA 11: Distribuzione maschi/femmine fra casi e controlli. 50 DISTRIBUZIONE SESSO PER GRUPPO 20 19 CASI 16 CONTROLLI 15 15 12 10 5 0 F M FIGURA 20: Istogramma della distribuzione maschi/femmine fra casi e controlli. Frequenze GRUPPO CC CT TT Totale CASI 9 14 8 31 CONTROLLI 10 16 5 31 Totale complessivo 19 30 13 62 Chi2=0.87 p=0.11 TABELLA 12: Distribuzione del genotipo fra casi e controlli in valori assoluto. FIGURA 21: Istogramma della distribuzione del genotipo fra casi e controlli in valori assoluti. 51 Percentuali GRUPPO CC CT TT CASI 29% 45% 25% 100% 32,3% 51,6% 16,1% 100% CONTROLLI Totale TABELLA 13: Distribuzione del genotipo fra casi e controlli in percentuali. FIGURA 22: Istogramma della distribuzione del genotipo fra casi e controlli in percentuali. 4.1.2 Genotipo e risposta ai farmaci Dei 31 soggetti affetti da CAC e sottoposti a rimozione chirurgica del tumore, 11 sono stati trattati con chemioterapici (Epirubicina-Adriamicina-Platino, streptozotocina, taxani, gemcitabina + xeloda o gemcitabina + capecitabina) e 24 con mitotane. RISPOSTA ALLA CHEMIOTERAPIA PROGRESSIONE MALATTIA CC CT TT Totale 4 3 1 8 1 1 STABILITÀ MALATTIA RISPOSTA PARZIALE 1 1 RISPOSTA COMPLETA 1 1 Totale 4 5 2 TABELLA 14: Risposta alle chemioterapia e genotipo. 52 11 RISPOSTA AL MITOTANE PROGRESSIONE MALATTIA CC CT TT Totale 3 5 1 9 1 1 2 STABILITÀ MALATTIA RISPOSTA COMPLETA 3 6 4 13 Totale 6 12 6 24 TABELLA 15: Risposta al mitotane e genotipo. Per poter ottenere una miglior elaborazione statistica dei dati, le possibili risposte ai chemioterapici ed al mitotane sono state suddivise in 2 gruppi: responsivi e non responsivi alla terapia. Il primo gruppo riguarda i casi di risposta completa e parziale alla terapia ed i casi di stabilità di malattia, mentre il secondo comprende i pazienti che hanno dimostrato progressione della malattia. A questo puntro, in base ai genotipi, sono stati messi a confronto i pazienti responsivi e non per entrambe le terapie ( Tabelle 16 e 17; Figure 23 e 24): RISPOSTA ALLA CHEMIOTERAPIA(%) CC CT TT NON RESPONSIVI 100 60 50 0 40 50 100 100 100 RESPONSIVI Totale TABELLA 16: Risposta alla chemioterapia e genotipo. FIGURA 23: Risposta alla chemioterapia e genotipo. 53 RISPOSTA AL MITOTANE (%) CC CT TT NON RESPONSIVI 50 41,7 16,7 RESPONSIVI 50 58,3 83,3 Totale 100 100 100 TABELLA 17: Risposta al mitotane e genotipo. . FIGURA 24: Risposta al mitotane e genotipo. Sulla totalità dei pazienti con genotipo CC trattati con chemioterapia, il 100% è risultato non responsivo, mentre per i pazienti con genotipo CT e TT così trattati, sono risultati non responsivi rispettivamente il 60 ed il 50%. Sulla totalità dei pazienti con genotipo CC trattati invece con mitotane, il 50% è risultato non responsivo, mentre per i pazienti con genoptipo CT e TT così trattati, sono risultati non responsivi rispettivamente il 41,7 ed il 16,7%. Poichè il CAC una affezione molto rara (1-2 casi per milione all’anno), non è stato per noi possibile accumulare un’ampia casistica di campioni utile ai fini di ottenere una significatività statistica. Avendo a disposizione un numero esiguo di dati su cui lavorare non si sono potute applicare su questi risultati elaborazioni statistiche che potessero dimostrare una significativa correlazione fra il genotipo per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 e la risposta alle varie terapie. Nonostante ciò, procedendo con una analisi descrittiva dei dati percentuali, è possibile ipotizzare che pazienti con genotipo omozigote CC vadano più 54 frequentemente incontro a progressione della malattia, rispetto agli omozigoti TT. I soggetti che possiedono almeno un allele C sembrano infatti essere meno responsivi alla terapia con chemioterapici e a quella con mitotane (Tabelle 16 e 17 e Figure 23 e 24). Essendo così pochi i pazienti trattati con chemioterapici, anche a causa della elevata chemioresistenza delle cellule di CAC, si è cercato di correlare la risposta al mitotane col genotipo per il polimorfismo C3435T di MDR1 utilizzando l’Odds Ratio: RISPOSTA AL MITOTANE RESPONSIVI Totale ODDS RATIO CC NON RESPONSIVI 3 3 6 1 INTERVALLO DI CONFIDENZA CT 5 7 12 1,4 (0.19-10.03) TT 1 5 6 5,0 (0.34-72.77) Totale 9 15 24 TABELLA 18: Correlazione genotipo del paziente con risposta al mitotane utilizzando l’Odds Ratio. Tale test evidenzia che i pazienti con genotipo eterozigote CT e quelli con genotipo omozigote TT, hanno una risposta al mitotane superiore di 1,4 e 5 volte rispetto ai pazienti con genotipo omozigote CC. Tuttavia, non è stata raggiunta la significatività statistica. Ciò è da imputarsi molto probabilmente all’esiguo numero di campioni disponibili. 4.2 Linea cellulare NCI-H295 4.2.1 Genotipizzazione Le cellule di CAC umano della linea cellulare NCI-H295 sono risultate omozigote per C per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 (Figure 25 e 26): FIGURA 25: Elettroferogramma che evidenzia l’omozigosi per C per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 nelle cellule NCI-H295 in Forward. 55 FIGURA 26: Elettroferogramma che evidenzia l’omozigosi per C per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 nelle cellule NCI-H295 in Reverse. 4.2.2 Valutazione della espressione di MDR1 L’espressione di MDR1 è stata valutata mediante RT-PCR nella linea cellulare NCIH295, che risulta esprimere tale gene. Marker ct- ct+ cDNA 600bp 500bp 400bp 300bp 200bp 100bp FIGURA 27: Corsa elettroforetica dei prodotti PCR su gel di agarosio al 2% colorato con Gel Star 10000x. 4.2.3 Immunofluorescenza L’espressione di P-gp è stata valutata mediante immunofluorescenza nella linea cellulare NCI-H295, che risulta esprimere la proteina sia a livello di membrana plasmatica che, in minor misura, a livello citoplasmatico. Le cellule sono state fotografate attraverso una fotocamera digitale DS-5M Nikon colour CCD utilizzando filtri per il colorante nucleare DAPI e per il fluorocromo TRITC, con cui gli anticorpi secondari sono marcati. Utilizzando il Multi-Analyst software (Bio-Rad) è stato possibile elaborare le immagini, associando ai nuclei cellulari il rispettivo risultato di espressione di P-gp in TRITC (Figura 28). 56 DAPI TRITC sovrapposizione 10 µm 10 µm 10 µm 10 µm 10 µm 10 µm 10 µm 10 µm 10 µm FIGURA 28: Espressione di P-gp nelle cellule NCI-H295. 4.2.4 Valutazione della chemioresistenza e della proliferazione cellulare La resistenza al trattamento con comuni chemioterapici è stata valutata con saggi di vitalità cellulare, in cui le cellule NCI-H295 sono state trattate con doxorubicina in un range di concentrazioni tra 10 nM ed 1 µM per un periodo di 3 e 7 giorni. I dati sono stati espressi come media ± errore standard (SE). È stato utilizzato il test t di Student per valutare le differenze individuali fra le medie e valori di P < 0.05% sono stati considerati significativi. Tali cellule risultano resistenti al trattamento con doxorubicina fino alla concentrazione 50 nM, mentre concentrazioni maggiori riducono la vitalità cellulare (Figure 29, 30 e 31). 57 FIGURA 29: Effetto della doxorubicina sulla vitalità delle cellule NCI-H295 a 3 giorni (* P < 0,005; ** P < 0,001). FIGURA 30: Effetto della doxorubicina sulla vitalità delle cellule NCI-H295 a 7 giorni (* P < 0,005; ** P < 0,001). FIGURA 31: Time course della vitalità delle cellule NCI-H295 trattate a concentrazioni crescenti di doxorubicina per 3 e 7 giorni. 58 Per quanto riguarda i saggi di incorporazione di timidina triziata, le cellule NCIH295 sono state trattate con doxorubicina in un range di concentrazioni tra 10 nM ed 1 µM per un periodo di 7 giorni. La valutazione a 3 giorni non ha riportato risultati significativi a causa del lungo tempo di replicazione di tali cellule (circa 4 giorni). Questi saggi dimostrano come la sintesi del DNA nelle cellule NCI-H295 non sia significativamente modificata dal trattamento con doxorubicina fino ad una concentrazione 50 nM, mentre concentrazioni maggiori riducono la sintesi del DNA (Figura 32). FIGURA 32: Effetti della doxorubicina sulla sintesi del DNA nelle cellule NCI-H295 a 7 giorni (* P < 0,005; ** P < 0,001). 59 5. Discussione Diversi studi hanno evidenziato come l’iper-espressione del gene MDR1 sia alla base della chemioresistenza in diverse neoplasie, tra cui il CAC (46). Recentemente è stato dimostrato che il polimorfismo C3435T a carico dell’esone 26 del gene MDR1 è in grado di alterare l’attività di P-gp. Soggetti con genotipo omozigote TT per tale polimorfismo hanno evidenziato una espressione quattro volte minore di P-gp rispetto agli individui omozigoti CC (61). Le cellule NCI-H295, che mostrano una elevata espressione di MDR1, presentano infatti genotipo omozigote CC, ovvero quello maggiormente associato alla chemioresistenza. Sebbene il nostro studio non dimostri correlazione fra il genotipo per lo SNPs C3435T del gene MDR1 e lo sviluppo di CAC, una sua valutazione può essere importante ai fini della scelta terapeutica. I dati, ottenuti dalla genotipizzazione di 31 soggetti affetti da CAC e trattati con chemioterapia e/o mitotane, evidenziano che pazienti con genotipo omozigote CC vanno più frequentemente incontro a progressione della malattia, rispetto a quelli omozigoti TT (Tabelle 16 e 17 e Figure 23 e 24). Nonostante l’esiguo numero di casi a nostra disposizione non abbia permesso il raggiungimento della significatività statistica, l’analisi dei dati ottenuti mostra che i pazienti con genotipo eterozigote CT e quelli con genotipo omozigote TT hanno una risposta al mitotane superiore di 1,4 e 5 volte rispetto ai pazienti con genotipo omozigote CC (Tabella 20). Essendo il CAC fortemente chemioresistente, risulta difficile trovare una terapia farmacologica efficace per tale affezione. Ad oggi il mitotane, da solo o associato a chemioterapia, risulta essere la scelta terapeutica più efficacie per il trattamento di CAC in stadi avanzati. Esso è infatti in grado di inibire l’espressione di MDR1, diminuendo la chemioresistenza delle cellule neoplastiche. La condizione di omozigosi CC per il polimorfismo C3435T del gene MDR1 implica una overespressione di P-gp ed i nostri dati dimostrano che soggetti con tale genotipo rispondono meno alla terapia con mitotane, evidenziando una più frequente progressione della malattia, rispetto ai genotipi CT e TT. La genotipizzazione per lo SNP C3435T del gene MDR1 può avere quindi importanti implicazioni terapeutiche e 60 prognostiche per l’utilizzo di farmaci substrati di P-gp. In base al genotipo per il polimorfismo C3435T del gene MDR1, sarebbe quindi possibile esaminare i pazienti affetti da CAC, individuando i soggetti che verosimilmente risponderanno alla terapia con chemioterapici e/o mitotane prima di iniziarla. Si eviterebbe così di sottoporre ad inutili terapie tutti quei pazienti che hanno una minore probabilità di rispondere positivamente al trattamento farmacologico con chemioterapici, che hanno molteplici ed a volte gravi effetti collaterali. Il nostro modello sperimentale, la linea cellulare di CAC umano NCI-H295, esprime MDR1 (Figura 27) e la proteina da esso codificata, P-gp, è presente sia a livello di membrana plasmatica che, in minor misura, a livello citoplasmatico (Figura 28). Saggi di vitalità cellulare e di incorporazione di timidina triziata dimostrano inoltre che le cellule NCI-H295 non solo sono resistenti ad elevate concentrazioni di doxorubicina (50 nM), ma continuano a proliferare nonostante il trattamento chemioterapico. Tali risultati suggeriscono che la linea cellulare NCI-H295 rappresenti un buon modello per lo studio della chemioresistenza del CAC. Inoltre, ci proponiamo di utilizzare tale modello in vitro per individuare nuove strategie farmacologiche per cercare di ridurre il fenotipo chemioresistenza del CAC e permettere un prolungamento della sopravvivenza nei pazienti affetti da tale patologia. 61 Bibliografia 1. 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