La numerazione babilonese Ecco i simboli per i numeri interi, di origine akkadica: La notazione era posizionale in base 60. Ad esempio, il numero si leggeva 1· 602 + 0 · 60 + 4 = 3604, quindi i Babilonesi, molti secoli prima che gli Arabi inventassero lo zero, avevano già un simbolo per indicare l’assenza di un numero. C’è da osservare, però, che questo simbolo non veniva mai usato in ultima posizione, al posto delle unità. La notazione posizionale si estendeva anche alle frazioni. Ad esempio, il simbolo indicava 21/60, o anche 20/60 + 1/602. Questa non è l’unica ambiguità della numerazione babilonese. Nel trasferire la scrittura babilonese alla notazione moderna, useremo il punto e virgola per separare le unità dai sessantesimi, mentre separeremo con la virgola i numeri relativi a diverse potenze sessagesimali. Così, ad esempio, la scrittura 1;24,51,10 indicherà 1 + 24/60 + 51/602 + 10/603 . Come nella numerazione egizia alcune frazioni venivano denotate con simboli speciali: 1/2 1/3 2/3 I Babilonesi si avvalevano, per i loro calcoli, di molte tavole numeriche, tra cui le tavole contenenti i reciproci dei numeri interi. In queste mancano i reciproci dei numeri 7, 11, 13, 14,…, che non ammettono una rappresentazione sessagesimale finita. L’addizione era indicata semplicemente accostando i numeri, mentre esistevano appositi segni per la sottrazione: e per la moltiplicazione: Quest’ultimo segno era chiamato a-rá, che significa “andare”. La base sessagesimale perviene ai Babilonesi dalla tradizione sumerica, cui vengono fatti risalire anche molti termini relativi alla matematica. I simboli usati erano i seguenti: Ed in base 60 è scritto anche il più antico problema algebrico che si conosca: si tratta di un’iscrizione su di una tavoletta d’argilla rinvenuta nel 1964 da una spedizione archeologica italiana presso l’antica città di Ebla, e risale al 2500 a.C.. È un quesito posto dallo scriba Išma–Ja proveniente dalla cittadina sumera di Kiš. Secondo Viola l’enunciato sarebbe il seguente: Qual è quel numero che moltiplicato per 60 dà 600 (oppure 3.600, 36.000, 360.000, 360.000·6)? Se l’adozione di un sistema di numerazione in base 10 trova, anche secondo Vitruvio, una spiegazione molto naturale, molte sono le tesi formulate a proposito dell’origine del sistema sessagesimale. Teone di Alessandria, come anche John Wallis, credeva che la scelta del numero 60 fosse dovuta al fatto che è il più piccolo numero naturale avente un così elevato numero divisori: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 10, 12, 15, 20, 30, 60. Come osservò Neugebauer, un numero siffatto presentava indiscutibili vantaggi se veniva posto alla base di un sistema di misure: molte frazioni, tra cui le più comuni, come 1/2, 1/3, 1/4, sarebbero risultate facili da calcolare. Moritz Cantor invece azzardò l’ipotesi che i popoli mesopotamici fossero arrivati al 60 dopo aver constatato che, secondo le loro osservazioni astronomiche, l’anno aveva una durata di 360 giorni. Ciò li avrebbe spinti a suddividere il cerchio in 360 parti: poi si sarebbero accorti che riportando la lunghezza del raggio sulla circonferenza, questa veniva suddivisa in 6 parti uguali, di ampiezza 60 ciascuna (è questa la costruzione con riga e compasso dell’esagono regolare). D’altra parte Tolomeo, nel suo Almagesto, svolge molti calcoli sessagesimali. Secondo altri la base 60 sarebbe scaturita come combinazione della base 10 e della base 6, allo stesso modo in cui, secondo Vitruvio, è comparsa la base 16. Ma l’esistenza di un sistema in base 6 è una mera congettura: non esistono testimonianze storiche a riguardo. La numerazione babilonese, al contrario di quella egizia, non è sempre additiva. Si può osservare che la base sessagesimale comporta, a volte, un numero elevato di simboli per scrivere un singolo numero. Ad esempio, il numero 2360 in notazione sessagesimale si scrive come 39; 20, che, nella notazione sumerica, assai povera di segni, equivale a ben 14 segni: 9 unità e 5 decine. Un modo per abbreviare la notazione è quello di rappresentare il numero dato come differenza di quantità, anziché come somma. Nel riquadro in alto a sinistra della tavoletta sumerica risalente al 2650 a.C., leggiamo È una rappresentazione di 2360 che contiene solo 9 segni.