Libretto - Consiglio Regione Lombardia

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USS Comunicazione, Relazioni esterne e Stampa
Pubblicazione a cura di Emanuele Scataglini
Redazione ed elaborazione: Marzia Steffani
Progetto copertina Emanuele Scataglini, Marzia Steffani
Testi: Emanuele Scataglini, Antonella Piovani, Marzia Steffani
Organizzazione evento: Emanuele Scataglini, Donatella Modica
Stampato presso il Centro Stampa del Consiglio regionale
Rassegna musicale
Nel Protagora, Platone sottolinea l'importanza dei maestri nell'educazione
musicale, che non dovevano limitarsi ad un insegnamento tecnico dello
strumento, questi infatti:
“fanno si che i ritmi e le armonie diventino familiari alle anime dei fanciulli,
perché siano più mansueti e, acquistati equilibrio e armonia, siano capaci
di parlare e di agire bene”.
Secondo il filosofo, quindi, l'insegnante di musica è un vero e proprio
educatore, poiché si serve dello studio dell'arte dei suoni per trasmettere ai
suoi alunni equilibrio e saggezza, virtù necessarie a rendere i giovani dei
buoni cittadini.
Questo pensiero, formulato nel IV secolo a.C., è ancora di grande attualità
e per questo motivo il Consiglio regionale della Lombardia vuole, con la
giornata di oggi, non solo offrire alla cittadinanza un bellissimo concerto,
ma anche premiare un grande Maestro come Franco Cerri che ha dedicato
parte della sua vita a trasmettere la passione per la musica jazz alle nuove
generazioni.
Questo pomeriggio musicale, realizzato in collaborazione con la Civica
scuola di Musica Claudio Abbado, testimonia come l'Ufficio di Presidenza
del Consiglio regionale, con la rassegna “Ragazzi che concerto!” giunta alla
sua terza edizione, sia vicino ai cittadini, agli
studenti, agli istituti musicali di prestigio della
nostra Regione.
Un particolare ringraziamento va alle famiglie
che stimolano e assistono i propri figli nello
studio della musica.
Raffaele Cattaneo
Presidente del Consiglio regionale della Lombardia
19 febbraio 2017 – ore 15.30
Omaggio a Franco Cerri
Quintetto
Marta Arpini, Andrea Candeloro, Andrea Ciceri,
Fabrizio Carriero, Antonio Giuranna, Marco Forcione
Franco Cerri - Copacabana
George e Ira Gershwin - But not for me
Antonio Carlos Jobim - Desafinado
Duke Ellington - Don't get around much anymore
Ary Barroso - Brasil
Eric Maschwitz e Jack Strachey - These foolish things
Toots Thielemans - Bluesette
Franco Cerri - One more twelve bars
Arrangiamenti di Franco Cerri
Franco Cerri
Considerato il chitarrista italiano più autorevole nel campo del jazz, nasce a
Milano il 29 gennaio1926.
La passione per la musica prende corpo a cavallo della seconda guerra
mondiale e matura grazie al sodalizio con l’amico e pianista Giampiero
Boneschi con il quale inizia ad approfondire la conoscenza del jazz.
Comincia la sua carriera nel 1945, al fianco di Gorni Kramer con Bruno
Martelli, Franco Mojoli, Carlo Zeme e il Quartetto Cetra, nel 1949 ha
l'occasione di suonare con Django Reinhardt, la sua prima, vera, influenza
chitarristica.
Tra i musicisti stranieri con cui ha suonato ricordiamo Billie Holiday, Chet
Baker, Dizzy Gillespie, Gerry Mulligan, Lee Konitz e Django Reinhardt.
Ha suonato con quasi tutti i più grandi jazzisti italiani ed è stato alla testa di
quartetti e quintetti propri, nei quali figurano anche talenti della scena
italiana quali Gianluigi Trovesi e Tullio De Piscopo.
Dagli anni Settanta comincia a sviluppare il lavoro di arrangiamento,
riflettendo sulla partitura; nel 1980 inaugura il sodalizio con il pianista e
compositore Enrico Intra, con il quale fonda e dirige i Civici Corsi di Jazz di
Milano.
I musicisti
Marta Arpini Nata nel 1994, attualmente frequenta il terzo anno AFAM
presso i Civici Corsi di Jazz di Milano.
Negli ultimi tre anni ha partecipato a masterclass e seminari, tra cui le clinic
del Berklee College of Music presso Umbria Jazz nel 2014, i seminari estivi
di Nuoro Jazz nel 2015 e i seminari internazionali estivi di Siena Jazz nel
2016.
Nel gennaio 2016 è in gara nella finale del Concorso Nazionale Chicco
Bettinardi per nuovi talenti del jazz Italiano, dove vince il premio del
pubblico.
Con numerosi concerti dal 2013 ad oggi, l’attività musicale l’ha portata a
esibirsi anche all’interno di svariate rassegne (Microcosmi, Area M, JazzMi,
Blue Noise, International Radio Festival, Crema Jazz Art Festival,
Whitebird) e a collaborare con importanti formazioni e musicisti, come la
Monday Orchestra del maestro Luca Missiti e il quartetto di Tony Arco.
Attualmente è voce in diversi gruppi, tra cui 3AlBot Jazz Quartet, Deaf Kaki
Chumpy, Arpini Caputo duo, Cherry Tree-O.
Andrea Candeloro Nato nel
1995, dopo studi classici presso il
liceo ad indirizzo musicale Paolina
Secco Suardo di Bergamo, si
avvicina al pianoforte jazz all’età
di diciassette anni sotto la guida di
Carlo Magni.
Nel 2014 viene ammesso ai
Civici Corsi di Jazz di Milano,
dove studia tuttora seguendo i corsi di Franco D’Andrea, Franco Cerri,
Marco Vaggi, Paolo Tomelleri, Lucio Terzano, Maurizio Franco, Paolo
Peruffo, Luca Missiti e Gabriele Comeglio.
Partecipa inoltre ad una masterclass tenuta da Barry Harris a Roma nel
2015 e ai seminari di Nuoro Jazz nell’estate del 2016.
A diciannove anni decide di intraprendere lo studio dell’organo Hammond,
partecipando in seguito a corsi tenuti da Alberto Gurrisi ed Alberto Marsico.
Fabrizio Carriero All’età di 13 anni intraprende lo studio della batteria sotto la
guida del Maestro Carlo Virzi. Contemporaneamente partecipa a diversi progetti
musicali di diverso stampo, dal jazz al metal, dal pop alla classica. Nel 2014
completa gli studi presso i Civici Corsi di Jazz di Milano sotto la direzione del
Maestro Tony Arco, prima con il diploma del triennio e successivamente con
quello del biennio.
Ha lavorato con Rinaldo Donati, Mino Fabiano, Paolo Tomelleri, Walter
Thompson, Luciano Margorani, Raimond Wright, Franco Cerri, Fabio Concato e
Chiara Civello.
Tra i vari progetti spiccano i Ferrian’s Nutimbre con cui ha partecipato al festival
Umbria Jazz 2012 e 2013, a cui sono seguiti due tour nell’Europa dell’est per la
promozione di due produzioni discografiche, Electric! Electric!, NichelOdeon, My
Eyes Wide Open e Psicosuono.
E’ impegnato in attività di docenza e concertistiche con numerose formazioni.
Antonio Giuranna Nasce a Manduria nel 1981 e sin da piccolo coltiva da
autodidatta la passione per
tutto ciò che è suono.
Si trasferisce a Milano nel
2000 per frequentare la facoltà
di Economia ma gli incontri con
Gigi Cifarelli prima e Franco
Cerri poi, lo portano alla
decisione di ampliare i propri
orizzonti e ad approfondire lo
studio della musica.
Andrea Ciceri Si avvicina allo studio della musica e del sax all’età di 10
anni. Si appassiona poi al jazz, mondo musicale verso cui decide di
indirizzare la propria formazione.
Prosegue gli studi per alcuni anni col Maestro Giorgio Robustellini e
frequenta l’Accademia Internazionale della Musica Civici Corsi di Jazz di
Milano conseguendo il diploma specialistico nel 2013.
Partecipa a seminari e laboratori tra cui workshop con Steven Bernstein,
Larry Schneider, David Liebman, seminari estivi di perfezionamento jazz
al Centro Didattico Produzione
Musica di Bergamo e al Creative
Jazz Ensemble diretto dal Maestro
Daniele Cavallanti.
Inizia da subito la sua attività
professionale con diverse formazioni
(dal duo al quartetto, dal quintetto di
sassofoni alla small band) e
nell’ambito delle big band, con
collaborazioni a tutt’oggi attive con la
Civica jazz Band diretta dal Maestro
Enrico Intra, la Swing Jazz Band del
Maestro Paolo Tomelleri, la New talents Orchestra e Company Big Band
dirette dal Maestro Gabriele Comeglio, la Monday Orchestra diretta dal
Maestro Luca Missiti, la Tankio Band diretta dal Maestro Riccardo Fassi e
Artchipel Orchestra diretta dal Maestro Ferdinando Faraò.
Numerose le partecipazioni a rassegne e festival jazz, sia in ambito orchestrale
che con piccoli gruppi, tra cui, Novara jazz, Break in Jazz, Jazz al Piccolo,
Ritmo delle Città - Tales in Jazz, MITO, Jazz on the road (Porsche: giovani
e jazz), Iseo Jazz, Jazz italiano per l’Aquila, Gallarate Jazz festival, JAZZMI
e altre.
Svolge attività didattica come insegnante di sassofono e collabora con il
Maestro Marcella Carboni per corsi di musica d’insieme per arpa jazz.
La Civica Scuola di Musica Claudio Abbado nasce nel 1862. Fondata con
la funzione di formare strumentisti per la Civica banda e coristi per il Teatro
alla Scala, profondamente radicata sul territorio, l’istituzione, che ha sede
presso la cinquecentesca Villa Simonetta, ha assunto un ruolo di prima
grandezza all’interno della vita musicale e formativa milanese. È inserita
inoltre in prestigiosi programmi internazionali grazie all’alta percentuale di
iscritti stranieri e ai diversi gruppi stabili che si sono costituiti, spesso invitati
a tenere concerti in Italia e all’estero.
Numerosissimi studenti che l’hanno frequentata sono ora affermati
professionisti: Alessio Corti, Lorenzo Ghielmi, Enrico Onofri, Emilio Pomarico,
Carlo Rizzi.
Non meno importanti i docenti che si sono succeduti nel tempo e le altre
personalità che con la Civica hanno collaborato, come Laura Alvini, Irvine
Arditti, Cathy Berberian, Bruno Bettinelli, Paolo Borciani, Chick Corea, Franco
Donatoni, Hugues Dufourt, Diamanda Galas, Gérard Grisey, Petre Munteanu,
Terry Riley, Charles Rosen, Salvatore Sciarrino, Karlheinz Stockhausen, Maria
Tipo.
Il 17 dicembre 2012, per i 150 anni dalla fondazione, l’Orchestra e I Civici Cori
della Scuola, diretti da Mario Valsecchi, hanno eseguito l’oratorio La Creazione
di Franz Joseph Haydn al Teatro Dal Verme di Milano: occasione in cui il
Sindaco Giuliano Pisapia ha conferito all’istituzione l’Ambrogino d’Oro e
consegnato la medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica.
La Scuola, intitolata con cerimonia ufficiale al maestro Claudio Abbado il 21
giugno 2014, ha ottenuto nel 2013 dal Ministero dell’Istruzione, Università e
Ricerca l’autorizzazione a rilasciare il titolo di Alta Formazione Artistica e
Musicale di primo livello, equipollente al titolo universitario.
Civica Scuola di Musica Claudio Abbado - Fondazione Milano®
Villa Simonetta - via Stilicone 36 - 20154 - Milano tel. 02.97.15.24
ufficio stampa 339.85.30.339 [email protected]
www.fondazionemilano.eu/musica
Le radici del jazz: dal commercio degli schiavi a
Buddy Bolden
Frederic Ramsey, Charles Edwars Smith
e Rudi Blesh sono stati tra i primi a
studiare le origini del jazz. La loro opera
Jazzmen del 1939 mette in chiaro come
questo stile musicale avesse le sue origini
nelle tradizioni umili delle minoranze nere
che abitavano a New Orleans. Qui
venivano portati gli schiavi provenienti
dall'Africa dal 1731 al 1743, data in cui
attraccò l'ultima nave negriera francese.
La maggior parte degli schiavi proveniva
dal sud del Marocco e venivano messi a
lavorare nelle piantagioni di tabacco, i cui
proprietari erano per lo più ricchi signori di
origine francese provenienti dal Canada.
Buddy Bolden
I Bambara una tribù che apparteneva alla
regione che si estendeva dal Senegal al Gambia e al Mali, furono i primi
schiavi a popolare la Louisiana. Nella zona che era stata la regione in cui
era sorto l'Impero Mali abitavano diverse tribù che facevano parte
dell'impero del Manden, fondato dai Mandinka e che si sviluppò dagli inizi
del 1200 fino ad oltre la metà del 1600. Dal punto di vista musicale i
Bambara suonavano una musica influenzata dalle cantilene delle preghiere
coraniche, anche se molti di loro non erano di religione musulmana. I
Bambara usavano strumenti a corda portatili, che permettevano loro di
muoversi nella vasta regione africana in cui abitavano.
Giunti in Louisiana questi uomini divenuti schiavi trovarono nella musica
una forma di espressione che permetteva loro di rivivere la nostalgia della
propria terra e allo stesso tempo di conoscere le tradizioni occidentali. Gli
schiavi inoltre si adattarono a suonare gli strumenti a corda locali: il violino
europeo e soprattutto il banjo.
Nel 1762 i francesi cedettero parte del territorio della Louisiana agli
spagnoli, riprese così la politica schiavista con l'arrivo di nuova popolazione
proveniente dall'Africa, in particolare dal Congo e dall'Angola, il territorio
che più di altri ha pagato l'enorme contributo alla schiavitù, con una
deportazione di circa il 40% della popolazione.
La musica della Louisiana occidentale di conseguenza cambiò e gli
strumenti a corda cedettero il passo ai tamburi e ai canti che si inserivano
con brevi frasi nel tappeto percussivo poliritmico.
La presenza degli spagnoli portò inoltre nel territorio la passione per la
danza che si contaminò con i ritmi africani. Già la zarabanda, danza tipica
spagnola che si ballava a Siviglia, era stata estrapolata dai ritmi bantu. La
dominazione spagnola portò le influenze musicali della cultura caraibica a
cui a fine secolo si unì anche la tradizione artistica di Saint-Domingue,
(l'attuale Haiti). Agli schiavi locali, sottoposti durante il periodo spagnolo ad
un regime severissimo con violente punizioni corporali, era concesso
esprimersi solo la domenica pubblicamente con danze, balli e canti che
erano particolarmente apprezzati dai bianchi.
Nel 1801 i francesi recuperarono la Louisiana occidentale ma vi rimasero
molto poco, poiché Napoleone la vendette agli Stati Uniti due anni dopo.
All'inizio del XIX secolo il commercio di schiavi dall'Africa negli Stati
Uniti era stato abolito ed era permesso solo il commercio interno. Gli
schiavi venivano allevati, facendoli accoppiare tra loro e spesso venduti
ad altri, in modo da avere sempre manodopera a basso costo. Questo
movimento della popolazione nera e gli accoppiamenti forzati crearono
disorientamento nelle nuove generazioni di schiavi che persero in gran
parte i contatti con le proprie origini.
Prima dell'abolizione della schiavitù nel
1863, erano i bianchi, come Thomas Rice
con la canzone Jim Crow a portare nei
teatri le influenze della musica nera.
Queste canzoni diedero ad alcuni
impresari l'idea di organizzare uno
spettacolo legato al mondo dei neri: il
Minstrel Show, un tipo di cabaret in cui i
bianchi, con il viso dipinto di nero,
alternavano canti, danze e brani comici
che ridicolizzavano la cultura dei neri. Va
detto anche che molto spesso gli stessi neri salivano sul palco, ma
dovevano comunque tingersi il volto di nero. In questi anni nelle orchestre
fece la sua apparizione il sassofono, oltre al banjo e alle chitarre.
Fu Stephen Foster (1826 - 1864) il primo a parlare della cultura delle
piantagioni senza ridicolizzarla componendo brani che rimandavano ai ritmi
e alle melodie africane e che raccontavano la vita nei campi di cotone con
tono nostalgico ed immaginario, seppure depurati dalla violenza e dalla
sofferenza.
Tra i primi artisti neri a diventare famosi vi furono James A. Bland (1850 –
1911) e Ernest Hogan (1865 – 1909) che dopo l'abolizione della schiavitù
integrarono negli spettacoli le proprie tradizioni, raccontando al pubblico
una vita legata alle piantagioni meno stereotipata.
Un altro artista nero importante è Francis Johnson (1792 – 1844), il primo
compositore afroamericano a cui venne pubblicata la musica.
Le opportunità di esprimersi da parte degli artisti di colore migliorarono solo
dopo la guerra civile. John Philip Sousa (1854-1932) divenne un
apprezzato compositore di musica per marce che si diffusero in tutto il
territorio americano creando un genere di ballo a camminata doppia.
Nacque così il ragtime che divenne anche un genere pianistico. Questo
stile era ricco di cromatismi e cambi ritmici che ricreavano la dimensione
poliritmica originaria dell'Africa occidentale sui tasti del pianoforte. Il
Missouri divenne il centro musicale del
ragtime il cui artista più famoso fu Scott
Joplin (1867 -1917) che con l'opera
Maple Leaf Rag fondò un vero e proprio
modello compositivo.
Un altro compositore da menzionare fu
Joe Jordan Europe (1880 – 1919) che
divenne uno dei più importanti direttori di
ragtime con la sua orchestra di undici
elementi, ben presto riconosciuto come il
più importante direttore di sale da ballo
degli Stati Uniti. Riuscì perfino ad
esportare la sua musica in Europa
creando un ensemble di artisti che
affiancò l'esercito francese durante la Scott Joplin
Prima guerra mondiale. Nel 1919 al
ritorno in patria fu accolto trionfalmente e registrò un importantissimo disco
The Menphis Blues le cui sonorità anticipano il nascente jazz.
A New Orleans circolava musica di generi completamente diversi e tra il
1880 e il 1920, sotto l'urgenza dei cambiamenti sociali, musicisti di
estrazione culturale e sociale differente si trovarono a collaborare
sempre più. Il ragtime era sicuramente la base comune ma parte del
repertorio che contribuì alla nascita del jazz fu sicuramente l'influenza
dell'intonazione blues e le forme vocali del teatro d'opera. Infatti
sebbene i neri non avessero accesso alle grandi sale da concerto, le
sonorità del “bel canto” si diffondevano nella capitale della Louisiana
dove il primo teatro era sorto già alla fine del 1700. Gli artisti di colore
ebbero modo di percepire l'importanza della vocalità e del fraseggio
unita alla capacità della melodia di esprimere i diversi sentimenti. Anche
gli immigrati siciliani, arrivati in gran numero e considerati dai bianchi
razzialmente allo stesso livello dei neri, di modo che ci poterono essere
contatti tra le due culture, con le loro influenze orientali portarono al
nascente stile musicale la passione per le intonazioni arabeggianti.
A New Orleans i bianchi
potevano
ascoltare
il
ragtime nelle sale da ballo
all'aperto, mentre i creoli (in
genere i figli nati da unioni
tra bianchi e indigeni,
quindi mulatti, e neri)
organizzavano serate in
piccoli locali. E' in questa
situazione che nacquero
posti come il leggendario
Storyville. Ogni club aveva
la sua piccola orchestra e il suo stile. Ma gli artisti di colore non
suonavano solo nei locali a luci rosse, erano attivi anche nelle comunità
religiose e soprattutto si riunivano nei barbershop, vere e proprie
botteghe in cui i diversi artisti si trovavano per le prove.
La svolta si ebbe con Buddy Bolden (1877-1931), ancora oggi considerato
il primo vero jazzista della storia. Suonava la cornetta nel suo club per
intrattenere il pubblico pagante ma verso sera, quando le persone abituate
al ballo e al ragtime erano tornate a casa, improvvisava melodie lente con
un suono dolce e malinconico. Era il 1917 e accompagnato da clarinetti,
trombe, chitarra e contrabbasso Bolden creava un suono melodico con un
ritmo sincopato che subito si diffuse dal pubblico ristretto della notte al
grande pubblico dei club.
Della musica di Bolden non si hanno registrazioni dirette, nemmeno sui cilindri
Edison e diversi sono gli autori che hanno cercato di riprodurre quello specifico
sound che oggi viene ricondotto al brano classico Buddy Bolden's Blues (I
Thought I Heard Buddy Bolden Say).
(Emanuele Scataglini)
CROMATISMI JAZZ – LE PAROLE
BEBOP: forma jazzistica nata negli USA durante la seconda guerra
mondiale, caratterizzata da un aperto richiamo al blues, dal ritmo spezzato
e da una complessa elaborazione armonica. Di origine inglese, l'etimologia
della parola vuole riprodurre il ritmo tipico di questa musica.
BLUENOTE: nota musicale che viene abbassata o alzata di un
semitono generando quella leggera dissonanza che caratterizza i generi
blues e jazz.
COOL JAZZ: stile di jazz, affermatosi agli inizi degli anni Cinquanta,
dopo il tramonto del bebop, caratterizzato da una più raffinata
concezione armonica con tendenza più marcata alla politonalità, e dalla
ricerca di contaminazioni con forme musicali classiche.
FREE JAZZ: locuzione inglese che tradotta significa jazz libero e che
indica un genere di musica jazz sorto negli anni Sessanta, inteso a
svincolarsi dagli schemi jazzistici precedenti e dalla cultura dei bianchi,
affermando in special modo contenuti antirazzisti.
JAZZ: origine e significato di questa parola sono sempre stati controversi.
E' apparsa certamente sulla carta stampata, nell’espressione ragtime e jazz,
in un giornale di San Francisco, The Bulletin, nel numero del 6 marzo 1913,
in un articolo che parlava di una partita di baseball nella quale una squadra
avrebbe dimostrato di avere del jazz, e cioè del “pepe”, dell’entusiasmo: jazz
it up, jazz ‘em up! (metteteci un po’ di pepe, un po’ più di ritmo!).
Un tale Chapman, ha però assicurato di aver visto con i suoi occhi un
manifesto vecchio di oltre cent' anni (stampato intorno al 1860) in cui appariva
la parola jass.
Però, fra le poche cose di cui nessuno dubita è che il vocabolo, al tempo in
cui cominciò ad essere usato dalle orchestrine arrivate a Chicago da New
Orleans tra il 1915 e il 1916, aveva una chiara connotazione di volgarità, se
non di oscenità. Secondo il trombonista Tom Brown, jass era allora
semplicemente una parolaccia usata nel quartiere dei bordelli di Chicago
senza alcun riferimento ad un genere musicale.
Per altri, jazz sarebbe la corruzione del nome di persona: un certo
Jasbo Brown, un musicista nero di cui Music Trade Review aveva dato
notizia nel 1919, pubblicando una corrispondenza secondo la quale
Brown suonava una musica selvaggia e bizzarra quando era ubriaco.
“Ancora Jasbo!”, “Ancora Jas!”, dicevano i clienti, dandogli da bere per
avere in cambio l'eccitante musica.
RAGTIME: voce inglese composta di rag (brandello) e time (tempo) vale a
dire “tempo a pezzi”, definisce uno stile musicale, soprattutto pianistico, che
si è sviluppato tra i neri degli Stati Uniti d’America diffondendosi negli ultimi
decenni del secolo XIX; caratterizzato da forte sincopazione ritmica, è
considerato un’anticipazione del jazz.
STANDARD JAZZ: Viene comunemente definito come standard un
tema musicale molto noto che col tempo è divenuto un classico della
musica jazz. Originariamente erano delle semplici canzoni scritte da
compositori in diverse circostanze (per Broadway e per i suoi musical) e
per diverse opere musicali e teatrali, che col tempo sono entrate nel
patrimonio musicale di tutti i musicisti, andando ben oltre la loro epoca per
merito delle loro intramontabili idee musicali e per le continue esecuzioni. In
genere ogni esecutore (jazzista) ripropone la propria versione di uno
standard secondo il criterio della variazione armonica, melodica e ritmica
(anche separate), e della improvvisazione, stravolgendo totalmente un
brano o apportando a questo graduali variazioni.
In tempi più recenti, esiste una sovrapposizione tra il termine standard e
quello di cover (comune in ambito rock). Il secondo termine porta
tuttavia un aspetto di occasionalità che il primo tende ad escludere
(nessuno, jazzista o no, dirà mai che 'Round Midnight o Take Five
hanno avuto centinaia di cover). Inoltre il termine cover si applica anche
a brani molto recenti, cosa normalmente non comune per gli standard.
SWING: il termine che deriva da to swing (oscillare, dondolare, ruotare).
Nel vocabolario musicale indica un elemento soggettivo dell’esecuzione
jazz, che si identifica con la tensione ritmica del brano ed è espresso
dal gioco delle accentuazioni, degli anticipi e dei ritardi | stile jazzistico
che precede il be-bop.
L'utilizzo di questa parola in ambito sportivo significa: sventola (nel
pugilato) invece nel golf indica il movimento che il giocatore imprime al
bastone per colpire la palla.
Antonella Piovani
Prossimi appuntamenti
12 marzo 2017 – ore 15,30
Concerto dell'Istituto
Giacomo Puccini di Gallarate
musiche di Bach, Mozart, Llobet
ed esibizione del coro polifonico
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