USS Comunicazione, Relazioni esterne e Stampa Pubblicazione a cura di Emanuele Scataglini Redazione ed elaborazione: Marzia Steffani Progetto copertina Emanuele Scataglini, Marzia Steffani Testi: Emanuele Scataglini, Antonella Piovani, Marzia Steffani Organizzazione evento: Emanuele Scataglini, Donatella Modica Stampato presso il Centro Stampa del Consiglio regionale Rassegna musicale Nel Protagora, Platone sottolinea l'importanza dei maestri nell'educazione musicale, che non dovevano limitarsi ad un insegnamento tecnico dello strumento, questi infatti: “fanno si che i ritmi e le armonie diventino familiari alle anime dei fanciulli, perché siano più mansueti e, acquistati equilibrio e armonia, siano capaci di parlare e di agire bene”. Secondo il filosofo, quindi, l'insegnante di musica è un vero e proprio educatore, poiché si serve dello studio dell'arte dei suoni per trasmettere ai suoi alunni equilibrio e saggezza, virtù necessarie a rendere i giovani dei buoni cittadini. Questo pensiero, formulato nel IV secolo a.C., è ancora di grande attualità e per questo motivo il Consiglio regionale della Lombardia vuole, con la giornata di oggi, non solo offrire alla cittadinanza un bellissimo concerto, ma anche premiare un grande Maestro come Franco Cerri che ha dedicato parte della sua vita a trasmettere la passione per la musica jazz alle nuove generazioni. Questo pomeriggio musicale, realizzato in collaborazione con la Civica scuola di Musica Claudio Abbado, testimonia come l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, con la rassegna “Ragazzi che concerto!” giunta alla sua terza edizione, sia vicino ai cittadini, agli studenti, agli istituti musicali di prestigio della nostra Regione. Un particolare ringraziamento va alle famiglie che stimolano e assistono i propri figli nello studio della musica. Raffaele Cattaneo Presidente del Consiglio regionale della Lombardia 19 febbraio 2017 – ore 15.30 Omaggio a Franco Cerri Quintetto Marta Arpini, Andrea Candeloro, Andrea Ciceri, Fabrizio Carriero, Antonio Giuranna, Marco Forcione Franco Cerri - Copacabana George e Ira Gershwin - But not for me Antonio Carlos Jobim - Desafinado Duke Ellington - Don't get around much anymore Ary Barroso - Brasil Eric Maschwitz e Jack Strachey - These foolish things Toots Thielemans - Bluesette Franco Cerri - One more twelve bars Arrangiamenti di Franco Cerri Franco Cerri Considerato il chitarrista italiano più autorevole nel campo del jazz, nasce a Milano il 29 gennaio1926. La passione per la musica prende corpo a cavallo della seconda guerra mondiale e matura grazie al sodalizio con l’amico e pianista Giampiero Boneschi con il quale inizia ad approfondire la conoscenza del jazz. Comincia la sua carriera nel 1945, al fianco di Gorni Kramer con Bruno Martelli, Franco Mojoli, Carlo Zeme e il Quartetto Cetra, nel 1949 ha l'occasione di suonare con Django Reinhardt, la sua prima, vera, influenza chitarristica. Tra i musicisti stranieri con cui ha suonato ricordiamo Billie Holiday, Chet Baker, Dizzy Gillespie, Gerry Mulligan, Lee Konitz e Django Reinhardt. Ha suonato con quasi tutti i più grandi jazzisti italiani ed è stato alla testa di quartetti e quintetti propri, nei quali figurano anche talenti della scena italiana quali Gianluigi Trovesi e Tullio De Piscopo. Dagli anni Settanta comincia a sviluppare il lavoro di arrangiamento, riflettendo sulla partitura; nel 1980 inaugura il sodalizio con il pianista e compositore Enrico Intra, con il quale fonda e dirige i Civici Corsi di Jazz di Milano. I musicisti Marta Arpini Nata nel 1994, attualmente frequenta il terzo anno AFAM presso i Civici Corsi di Jazz di Milano. Negli ultimi tre anni ha partecipato a masterclass e seminari, tra cui le clinic del Berklee College of Music presso Umbria Jazz nel 2014, i seminari estivi di Nuoro Jazz nel 2015 e i seminari internazionali estivi di Siena Jazz nel 2016. Nel gennaio 2016 è in gara nella finale del Concorso Nazionale Chicco Bettinardi per nuovi talenti del jazz Italiano, dove vince il premio del pubblico. Con numerosi concerti dal 2013 ad oggi, l’attività musicale l’ha portata a esibirsi anche all’interno di svariate rassegne (Microcosmi, Area M, JazzMi, Blue Noise, International Radio Festival, Crema Jazz Art Festival, Whitebird) e a collaborare con importanti formazioni e musicisti, come la Monday Orchestra del maestro Luca Missiti e il quartetto di Tony Arco. Attualmente è voce in diversi gruppi, tra cui 3AlBot Jazz Quartet, Deaf Kaki Chumpy, Arpini Caputo duo, Cherry Tree-O. Andrea Candeloro Nato nel 1995, dopo studi classici presso il liceo ad indirizzo musicale Paolina Secco Suardo di Bergamo, si avvicina al pianoforte jazz all’età di diciassette anni sotto la guida di Carlo Magni. Nel 2014 viene ammesso ai Civici Corsi di Jazz di Milano, dove studia tuttora seguendo i corsi di Franco D’Andrea, Franco Cerri, Marco Vaggi, Paolo Tomelleri, Lucio Terzano, Maurizio Franco, Paolo Peruffo, Luca Missiti e Gabriele Comeglio. Partecipa inoltre ad una masterclass tenuta da Barry Harris a Roma nel 2015 e ai seminari di Nuoro Jazz nell’estate del 2016. A diciannove anni decide di intraprendere lo studio dell’organo Hammond, partecipando in seguito a corsi tenuti da Alberto Gurrisi ed Alberto Marsico. Fabrizio Carriero All’età di 13 anni intraprende lo studio della batteria sotto la guida del Maestro Carlo Virzi. Contemporaneamente partecipa a diversi progetti musicali di diverso stampo, dal jazz al metal, dal pop alla classica. Nel 2014 completa gli studi presso i Civici Corsi di Jazz di Milano sotto la direzione del Maestro Tony Arco, prima con il diploma del triennio e successivamente con quello del biennio. Ha lavorato con Rinaldo Donati, Mino Fabiano, Paolo Tomelleri, Walter Thompson, Luciano Margorani, Raimond Wright, Franco Cerri, Fabio Concato e Chiara Civello. Tra i vari progetti spiccano i Ferrian’s Nutimbre con cui ha partecipato al festival Umbria Jazz 2012 e 2013, a cui sono seguiti due tour nell’Europa dell’est per la promozione di due produzioni discografiche, Electric! Electric!, NichelOdeon, My Eyes Wide Open e Psicosuono. E’ impegnato in attività di docenza e concertistiche con numerose formazioni. Antonio Giuranna Nasce a Manduria nel 1981 e sin da piccolo coltiva da autodidatta la passione per tutto ciò che è suono. Si trasferisce a Milano nel 2000 per frequentare la facoltà di Economia ma gli incontri con Gigi Cifarelli prima e Franco Cerri poi, lo portano alla decisione di ampliare i propri orizzonti e ad approfondire lo studio della musica. Andrea Ciceri Si avvicina allo studio della musica e del sax all’età di 10 anni. Si appassiona poi al jazz, mondo musicale verso cui decide di indirizzare la propria formazione. Prosegue gli studi per alcuni anni col Maestro Giorgio Robustellini e frequenta l’Accademia Internazionale della Musica Civici Corsi di Jazz di Milano conseguendo il diploma specialistico nel 2013. Partecipa a seminari e laboratori tra cui workshop con Steven Bernstein, Larry Schneider, David Liebman, seminari estivi di perfezionamento jazz al Centro Didattico Produzione Musica di Bergamo e al Creative Jazz Ensemble diretto dal Maestro Daniele Cavallanti. Inizia da subito la sua attività professionale con diverse formazioni (dal duo al quartetto, dal quintetto di sassofoni alla small band) e nell’ambito delle big band, con collaborazioni a tutt’oggi attive con la Civica jazz Band diretta dal Maestro Enrico Intra, la Swing Jazz Band del Maestro Paolo Tomelleri, la New talents Orchestra e Company Big Band dirette dal Maestro Gabriele Comeglio, la Monday Orchestra diretta dal Maestro Luca Missiti, la Tankio Band diretta dal Maestro Riccardo Fassi e Artchipel Orchestra diretta dal Maestro Ferdinando Faraò. Numerose le partecipazioni a rassegne e festival jazz, sia in ambito orchestrale che con piccoli gruppi, tra cui, Novara jazz, Break in Jazz, Jazz al Piccolo, Ritmo delle Città - Tales in Jazz, MITO, Jazz on the road (Porsche: giovani e jazz), Iseo Jazz, Jazz italiano per l’Aquila, Gallarate Jazz festival, JAZZMI e altre. Svolge attività didattica come insegnante di sassofono e collabora con il Maestro Marcella Carboni per corsi di musica d’insieme per arpa jazz. La Civica Scuola di Musica Claudio Abbado nasce nel 1862. Fondata con la funzione di formare strumentisti per la Civica banda e coristi per il Teatro alla Scala, profondamente radicata sul territorio, l’istituzione, che ha sede presso la cinquecentesca Villa Simonetta, ha assunto un ruolo di prima grandezza all’interno della vita musicale e formativa milanese. È inserita inoltre in prestigiosi programmi internazionali grazie all’alta percentuale di iscritti stranieri e ai diversi gruppi stabili che si sono costituiti, spesso invitati a tenere concerti in Italia e all’estero. Numerosissimi studenti che l’hanno frequentata sono ora affermati professionisti: Alessio Corti, Lorenzo Ghielmi, Enrico Onofri, Emilio Pomarico, Carlo Rizzi. Non meno importanti i docenti che si sono succeduti nel tempo e le altre personalità che con la Civica hanno collaborato, come Laura Alvini, Irvine Arditti, Cathy Berberian, Bruno Bettinelli, Paolo Borciani, Chick Corea, Franco Donatoni, Hugues Dufourt, Diamanda Galas, Gérard Grisey, Petre Munteanu, Terry Riley, Charles Rosen, Salvatore Sciarrino, Karlheinz Stockhausen, Maria Tipo. Il 17 dicembre 2012, per i 150 anni dalla fondazione, l’Orchestra e I Civici Cori della Scuola, diretti da Mario Valsecchi, hanno eseguito l’oratorio La Creazione di Franz Joseph Haydn al Teatro Dal Verme di Milano: occasione in cui il Sindaco Giuliano Pisapia ha conferito all’istituzione l’Ambrogino d’Oro e consegnato la medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica. La Scuola, intitolata con cerimonia ufficiale al maestro Claudio Abbado il 21 giugno 2014, ha ottenuto nel 2013 dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca l’autorizzazione a rilasciare il titolo di Alta Formazione Artistica e Musicale di primo livello, equipollente al titolo universitario. Civica Scuola di Musica Claudio Abbado - Fondazione Milano® Villa Simonetta - via Stilicone 36 - 20154 - Milano tel. 02.97.15.24 ufficio stampa 339.85.30.339 [email protected] www.fondazionemilano.eu/musica Le radici del jazz: dal commercio degli schiavi a Buddy Bolden Frederic Ramsey, Charles Edwars Smith e Rudi Blesh sono stati tra i primi a studiare le origini del jazz. La loro opera Jazzmen del 1939 mette in chiaro come questo stile musicale avesse le sue origini nelle tradizioni umili delle minoranze nere che abitavano a New Orleans. Qui venivano portati gli schiavi provenienti dall'Africa dal 1731 al 1743, data in cui attraccò l'ultima nave negriera francese. La maggior parte degli schiavi proveniva dal sud del Marocco e venivano messi a lavorare nelle piantagioni di tabacco, i cui proprietari erano per lo più ricchi signori di origine francese provenienti dal Canada. Buddy Bolden I Bambara una tribù che apparteneva alla regione che si estendeva dal Senegal al Gambia e al Mali, furono i primi schiavi a popolare la Louisiana. Nella zona che era stata la regione in cui era sorto l'Impero Mali abitavano diverse tribù che facevano parte dell'impero del Manden, fondato dai Mandinka e che si sviluppò dagli inizi del 1200 fino ad oltre la metà del 1600. Dal punto di vista musicale i Bambara suonavano una musica influenzata dalle cantilene delle preghiere coraniche, anche se molti di loro non erano di religione musulmana. I Bambara usavano strumenti a corda portatili, che permettevano loro di muoversi nella vasta regione africana in cui abitavano. Giunti in Louisiana questi uomini divenuti schiavi trovarono nella musica una forma di espressione che permetteva loro di rivivere la nostalgia della propria terra e allo stesso tempo di conoscere le tradizioni occidentali. Gli schiavi inoltre si adattarono a suonare gli strumenti a corda locali: il violino europeo e soprattutto il banjo. Nel 1762 i francesi cedettero parte del territorio della Louisiana agli spagnoli, riprese così la politica schiavista con l'arrivo di nuova popolazione proveniente dall'Africa, in particolare dal Congo e dall'Angola, il territorio che più di altri ha pagato l'enorme contributo alla schiavitù, con una deportazione di circa il 40% della popolazione. La musica della Louisiana occidentale di conseguenza cambiò e gli strumenti a corda cedettero il passo ai tamburi e ai canti che si inserivano con brevi frasi nel tappeto percussivo poliritmico. La presenza degli spagnoli portò inoltre nel territorio la passione per la danza che si contaminò con i ritmi africani. Già la zarabanda, danza tipica spagnola che si ballava a Siviglia, era stata estrapolata dai ritmi bantu. La dominazione spagnola portò le influenze musicali della cultura caraibica a cui a fine secolo si unì anche la tradizione artistica di Saint-Domingue, (l'attuale Haiti). Agli schiavi locali, sottoposti durante il periodo spagnolo ad un regime severissimo con violente punizioni corporali, era concesso esprimersi solo la domenica pubblicamente con danze, balli e canti che erano particolarmente apprezzati dai bianchi. Nel 1801 i francesi recuperarono la Louisiana occidentale ma vi rimasero molto poco, poiché Napoleone la vendette agli Stati Uniti due anni dopo. All'inizio del XIX secolo il commercio di schiavi dall'Africa negli Stati Uniti era stato abolito ed era permesso solo il commercio interno. Gli schiavi venivano allevati, facendoli accoppiare tra loro e spesso venduti ad altri, in modo da avere sempre manodopera a basso costo. Questo movimento della popolazione nera e gli accoppiamenti forzati crearono disorientamento nelle nuove generazioni di schiavi che persero in gran parte i contatti con le proprie origini. Prima dell'abolizione della schiavitù nel 1863, erano i bianchi, come Thomas Rice con la canzone Jim Crow a portare nei teatri le influenze della musica nera. Queste canzoni diedero ad alcuni impresari l'idea di organizzare uno spettacolo legato al mondo dei neri: il Minstrel Show, un tipo di cabaret in cui i bianchi, con il viso dipinto di nero, alternavano canti, danze e brani comici che ridicolizzavano la cultura dei neri. Va detto anche che molto spesso gli stessi neri salivano sul palco, ma dovevano comunque tingersi il volto di nero. In questi anni nelle orchestre fece la sua apparizione il sassofono, oltre al banjo e alle chitarre. Fu Stephen Foster (1826 - 1864) il primo a parlare della cultura delle piantagioni senza ridicolizzarla componendo brani che rimandavano ai ritmi e alle melodie africane e che raccontavano la vita nei campi di cotone con tono nostalgico ed immaginario, seppure depurati dalla violenza e dalla sofferenza. Tra i primi artisti neri a diventare famosi vi furono James A. Bland (1850 – 1911) e Ernest Hogan (1865 – 1909) che dopo l'abolizione della schiavitù integrarono negli spettacoli le proprie tradizioni, raccontando al pubblico una vita legata alle piantagioni meno stereotipata. Un altro artista nero importante è Francis Johnson (1792 – 1844), il primo compositore afroamericano a cui venne pubblicata la musica. Le opportunità di esprimersi da parte degli artisti di colore migliorarono solo dopo la guerra civile. John Philip Sousa (1854-1932) divenne un apprezzato compositore di musica per marce che si diffusero in tutto il territorio americano creando un genere di ballo a camminata doppia. Nacque così il ragtime che divenne anche un genere pianistico. Questo stile era ricco di cromatismi e cambi ritmici che ricreavano la dimensione poliritmica originaria dell'Africa occidentale sui tasti del pianoforte. Il Missouri divenne il centro musicale del ragtime il cui artista più famoso fu Scott Joplin (1867 -1917) che con l'opera Maple Leaf Rag fondò un vero e proprio modello compositivo. Un altro compositore da menzionare fu Joe Jordan Europe (1880 – 1919) che divenne uno dei più importanti direttori di ragtime con la sua orchestra di undici elementi, ben presto riconosciuto come il più importante direttore di sale da ballo degli Stati Uniti. Riuscì perfino ad esportare la sua musica in Europa creando un ensemble di artisti che affiancò l'esercito francese durante la Scott Joplin Prima guerra mondiale. Nel 1919 al ritorno in patria fu accolto trionfalmente e registrò un importantissimo disco The Menphis Blues le cui sonorità anticipano il nascente jazz. A New Orleans circolava musica di generi completamente diversi e tra il 1880 e il 1920, sotto l'urgenza dei cambiamenti sociali, musicisti di estrazione culturale e sociale differente si trovarono a collaborare sempre più. Il ragtime era sicuramente la base comune ma parte del repertorio che contribuì alla nascita del jazz fu sicuramente l'influenza dell'intonazione blues e le forme vocali del teatro d'opera. Infatti sebbene i neri non avessero accesso alle grandi sale da concerto, le sonorità del “bel canto” si diffondevano nella capitale della Louisiana dove il primo teatro era sorto già alla fine del 1700. Gli artisti di colore ebbero modo di percepire l'importanza della vocalità e del fraseggio unita alla capacità della melodia di esprimere i diversi sentimenti. Anche gli immigrati siciliani, arrivati in gran numero e considerati dai bianchi razzialmente allo stesso livello dei neri, di modo che ci poterono essere contatti tra le due culture, con le loro influenze orientali portarono al nascente stile musicale la passione per le intonazioni arabeggianti. A New Orleans i bianchi potevano ascoltare il ragtime nelle sale da ballo all'aperto, mentre i creoli (in genere i figli nati da unioni tra bianchi e indigeni, quindi mulatti, e neri) organizzavano serate in piccoli locali. E' in questa situazione che nacquero posti come il leggendario Storyville. Ogni club aveva la sua piccola orchestra e il suo stile. Ma gli artisti di colore non suonavano solo nei locali a luci rosse, erano attivi anche nelle comunità religiose e soprattutto si riunivano nei barbershop, vere e proprie botteghe in cui i diversi artisti si trovavano per le prove. La svolta si ebbe con Buddy Bolden (1877-1931), ancora oggi considerato il primo vero jazzista della storia. Suonava la cornetta nel suo club per intrattenere il pubblico pagante ma verso sera, quando le persone abituate al ballo e al ragtime erano tornate a casa, improvvisava melodie lente con un suono dolce e malinconico. Era il 1917 e accompagnato da clarinetti, trombe, chitarra e contrabbasso Bolden creava un suono melodico con un ritmo sincopato che subito si diffuse dal pubblico ristretto della notte al grande pubblico dei club. Della musica di Bolden non si hanno registrazioni dirette, nemmeno sui cilindri Edison e diversi sono gli autori che hanno cercato di riprodurre quello specifico sound che oggi viene ricondotto al brano classico Buddy Bolden's Blues (I Thought I Heard Buddy Bolden Say). (Emanuele Scataglini) CROMATISMI JAZZ – LE PAROLE BEBOP: forma jazzistica nata negli USA durante la seconda guerra mondiale, caratterizzata da un aperto richiamo al blues, dal ritmo spezzato e da una complessa elaborazione armonica. Di origine inglese, l'etimologia della parola vuole riprodurre il ritmo tipico di questa musica. BLUENOTE: nota musicale che viene abbassata o alzata di un semitono generando quella leggera dissonanza che caratterizza i generi blues e jazz. COOL JAZZ: stile di jazz, affermatosi agli inizi degli anni Cinquanta, dopo il tramonto del bebop, caratterizzato da una più raffinata concezione armonica con tendenza più marcata alla politonalità, e dalla ricerca di contaminazioni con forme musicali classiche. FREE JAZZ: locuzione inglese che tradotta significa jazz libero e che indica un genere di musica jazz sorto negli anni Sessanta, inteso a svincolarsi dagli schemi jazzistici precedenti e dalla cultura dei bianchi, affermando in special modo contenuti antirazzisti. JAZZ: origine e significato di questa parola sono sempre stati controversi. E' apparsa certamente sulla carta stampata, nell’espressione ragtime e jazz, in un giornale di San Francisco, The Bulletin, nel numero del 6 marzo 1913, in un articolo che parlava di una partita di baseball nella quale una squadra avrebbe dimostrato di avere del jazz, e cioè del “pepe”, dell’entusiasmo: jazz it up, jazz ‘em up! (metteteci un po’ di pepe, un po’ più di ritmo!). Un tale Chapman, ha però assicurato di aver visto con i suoi occhi un manifesto vecchio di oltre cent' anni (stampato intorno al 1860) in cui appariva la parola jass. Però, fra le poche cose di cui nessuno dubita è che il vocabolo, al tempo in cui cominciò ad essere usato dalle orchestrine arrivate a Chicago da New Orleans tra il 1915 e il 1916, aveva una chiara connotazione di volgarità, se non di oscenità. Secondo il trombonista Tom Brown, jass era allora semplicemente una parolaccia usata nel quartiere dei bordelli di Chicago senza alcun riferimento ad un genere musicale. Per altri, jazz sarebbe la corruzione del nome di persona: un certo Jasbo Brown, un musicista nero di cui Music Trade Review aveva dato notizia nel 1919, pubblicando una corrispondenza secondo la quale Brown suonava una musica selvaggia e bizzarra quando era ubriaco. “Ancora Jasbo!”, “Ancora Jas!”, dicevano i clienti, dandogli da bere per avere in cambio l'eccitante musica. RAGTIME: voce inglese composta di rag (brandello) e time (tempo) vale a dire “tempo a pezzi”, definisce uno stile musicale, soprattutto pianistico, che si è sviluppato tra i neri degli Stati Uniti d’America diffondendosi negli ultimi decenni del secolo XIX; caratterizzato da forte sincopazione ritmica, è considerato un’anticipazione del jazz. STANDARD JAZZ: Viene comunemente definito come standard un tema musicale molto noto che col tempo è divenuto un classico della musica jazz. Originariamente erano delle semplici canzoni scritte da compositori in diverse circostanze (per Broadway e per i suoi musical) e per diverse opere musicali e teatrali, che col tempo sono entrate nel patrimonio musicale di tutti i musicisti, andando ben oltre la loro epoca per merito delle loro intramontabili idee musicali e per le continue esecuzioni. In genere ogni esecutore (jazzista) ripropone la propria versione di uno standard secondo il criterio della variazione armonica, melodica e ritmica (anche separate), e della improvvisazione, stravolgendo totalmente un brano o apportando a questo graduali variazioni. In tempi più recenti, esiste una sovrapposizione tra il termine standard e quello di cover (comune in ambito rock). Il secondo termine porta tuttavia un aspetto di occasionalità che il primo tende ad escludere (nessuno, jazzista o no, dirà mai che 'Round Midnight o Take Five hanno avuto centinaia di cover). Inoltre il termine cover si applica anche a brani molto recenti, cosa normalmente non comune per gli standard. SWING: il termine che deriva da to swing (oscillare, dondolare, ruotare). Nel vocabolario musicale indica un elemento soggettivo dell’esecuzione jazz, che si identifica con la tensione ritmica del brano ed è espresso dal gioco delle accentuazioni, degli anticipi e dei ritardi | stile jazzistico che precede il be-bop. L'utilizzo di questa parola in ambito sportivo significa: sventola (nel pugilato) invece nel golf indica il movimento che il giocatore imprime al bastone per colpire la palla. Antonella Piovani Prossimi appuntamenti 12 marzo 2017 – ore 15,30 Concerto dell'Istituto Giacomo Puccini di Gallarate musiche di Bach, Mozart, Llobet ed esibizione del coro polifonico Seguici sui social www.consiglio.regione.lombardia.it 20124 Milano, Via Fabio Filzi 22 Tel +39.0267486358 [email protected]