GENETICA GENETICA = è la scienza che studia: STRUTTURA FUNZIONE EREDITARIETA’ del materiale genetico e della informazione genetica che esso porta. STRUTTURA = Qual è il supporto fisico (la base) dell’informazione genetica; equivale a dire com’è fatto il materiale che porta l’informazione genetica (MATERIALE GENETICO) FUNZIONE = Quale tipo di informazione porta il materiale genetico e con quali modalità questa informazione si esprime; INFORMAZIONE GENETICA CARATTERE EREDITARIETA’ = Come si trasmette l’informazione genetica: - da cellula a cellula ( trasversalmente); - da generazione a generazione ( verticalmente ). Osservazione di partenza: non tutti gli organismi sono uguali. Tra i diversi organismi è osservabile: variabilità interspecifica ( procarioti – eucarioti; vegetali – animali; funghi – piante superiori; piante arboree – piante erbacee; graminacee – leguminose; frumento – mais; frumento duro – frumento tenero ); variabilità intraspecifica ( anche tra individui strettamente imparentati come tra genitori e figli ); nell’insieme: esiste una diversità (variabilità) biologica di cui è responsabile la diversità (variabilità) dell’informazione genetica portata dai diversi organismi. Origine della variabilità genetica: modificazioni trasmissibili (ereditarie) e più o meno rilevanti del materiale genetico (informazione genetica) = mutazione; riassetto del materiale genetico (informazione genetica) da una generazione alla successiva (assortimento casuale e crossing over) = ricombinazione. Sulla variabilità che si origina agisce la selezione naturale innescando il processo della evoluzione. 1 Il materiale genetico deve quindi godere di alcune proprietà che devono essere compatibili con: continuità delle caratteristiche specifiche (continuità della specie); modificazioni evolutive. Il materiale genetico deve perciò: portare informazione biologicamente utile mantenuta in forma stabile (non deve essere soggetto a modificazioni frequenti); consentire il mantenimento e la trasmissione fedele dell’informazione (da cellula a cellula e da generazione a generazione); consentire che l’informazione genetica si esprima (possa essere tradotta) in carattere; poter variare per consentire l’evoluzione (mutazioni, anche se non frequenti, e ricombinazione). Fino agli anni ’40 si riteneva che le proteine potessero soddisfare a queste esigenze perché molecole complesse; questa loro caratteristica – la complessità strutturale – non era però sufficiente. CENNI SULLA STRUTTURA DELLE MOLECOLE PROTEICHE. AMINOACIDI = numero e tipo STRUTTURA delle PROTEINE primaria = sequenze aminoacidiche secondaria = elica; configurazione terziaria = legami H; forze di Van der Waals; legami disolfuro: - S – S- quaternaria = dimeri e strutture più complesse; gruppi prostetici Dalla configurazione assunta dalle molecole proteiche, determinata dalla loro struttura, dipende spesso la loro capacità di svolgere la funzione che è loro propria. Emblematico il caso delle proteine enzimatiche. Dopo un serie di esperimenti condotti tra il 1928 e il 1953 fu raggiunta la conclusione che IL MATERIALE GENETICO E’ COSTITUITO DAGLI ACIDI NUCLEICI E NON DALLE PROTEINE. 2 DNA: elementi essenziali 1 - molecola costituita da due strutture (eliche, nastri, filamenti) avvolte una sull’altra in una configurazione più complessa che e’ la doppia elica. 2 - ogni elica e’ un polinucleotide (polimero): e’ formata da più nucleotidi tenuti insieme dai legami fosforo – zucchero (legame covalente, stabile). 3 – un nucleotide è costituito da una molecola di zucchero a 5 atomi di carbonio (pentoso) che, nel DNA, è il deossiribosio, un gruppo fosfato legato in posizione 5’ e una base azotata portata in posizione 1’. 4 - la successione fosforo – zucchero costituisce l’ossatura del polinucleotide e si sviluppa, per ciascuna delle due eliche, con polarità 5’ - 3’ : le due eliche sono quindi antiparallele. Questo vuol dire che percorrendo una delle due eliche secondo una direzione (5’ 3’) l’altra viene percorsa nella direzione opposta (3’ 5’). 5 - su questa struttura, situata esternamente alla molecola, si inseriscono le basi azotate adenina, guanina (basi puriniche o purine), timina e citosina (basi pirimidiniche o pirimidine) le quali si affacciano verso l’interno della doppia elica. 6 - tra purine ( A o G ) e pirimidine ( T o C ) di un’elica e le pirimidine e le purine, rispettivamente, dell’elica antiparallela si stabiliscono dei legami a idrogeno che tengono unite le due eliche ( giustificazione della costanza del diametro della doppia elica). 7 – l’appaiamento tra purine e pirimidine non è casuale ma avviene secondo una corrispondenza ben precisa e costante : Adenina – Timina ( A = T ) e Guanina – Citosina ( G ≡ C ); il numero di legami è pari a due nel primo caso e a tre nel secondo; l’unione tra Adenina e Timina è quindi meno stabile di quella tra Guanina e Citosina e, per essere rotta, richiede un minore dispendio di energia. 8\ - per quanto detto, le due eliche sono complementari e la successione delle basi diun’elica determina la successione delle basi dell’altra. Questa rigida e, nello stesso tempo, variabile successione di basi (nucleotidi) lungo la molecola spiega sia la diversita’ dell’informazione genetica (determinata dalla successione delle basi lungo l’elica) sia la possibilita’ di mantenere inalterata tale informazione nel corso della divisione cellulare. _°_°_°_°_°_°_°_°_°_°_ 3 Duplicazione del DNA La duplicazione del DNA è definita semiconservativa in quanto ciascuna delle due eliche da cui è costituita la doppia elica funge da stampo per la sintesi dell’elica complementare, dando così luogo alla formazione di due molecole complete (due doppie eliche) ciascuna delle quali è costituita da un’elica vecchia e da un’elica di nuova sintesi. La duplicazione del DNA avviene secondo il modello sintetizzato qui di seguito: 1 – DENATURAZIONE E SVOLGIMENTO della doppia elica. Proteina iniziatrice + DNA elicasi Sequenza di origine idrolisi ATP energia per l’avanzamento Forse 2 elicasi, una per l’elica LEADING (guida) e una per l’elica LAGGING (lenta) 2 – STABILIZZAZIONE del DNA a singola elica nella forca replicativa. Proteine SSB (destabilizzatrici della doppia elica) (*) (*) SSB proteins = Single Strand Binding Proteins: si uniscono alla singola elica di DNA e ne stabilizzano la conformazione stesa in modo da renderla disponibile alla copiatura 3 – INIZIO DELLA SINTESI di un nuovo filamento di DNA DNA elicasi + Primasi Primosoma RNA Primer POLIMERASI III DNA La necessità di mantenere inalterata la polarità 5’ – 3’ delle due eliche di nuova formazione fa si che la direzione di sintesi sia diversa sui due filamenti stampo. Elica leading = sintetizzata nella direzione in cui si muove la forca di replicazione; Elica lagging = sintetizzata in direzione opposta ( sintesi discontinua). 4 – ALLUNGAMENTO delle eliche di DNA di nuova sintesi. La sintesi dell’elica leading avviene in maniera continua. La sintesi dell’elica lagging avviene fino a che è disponibile DNA stampo. A questo punto il processo riprende sul tratto di DNA che nel frattempo si è svolto, previa sintesi di un nuovo primer di RNA ad opera della primasi e successivo intervento della Polimerasi III 4 5 – GIUNZIONE dei frammenti di Okazaki dell’elica lagging per formare un filamento continuo; questa operazione avviene in due fasi: a) DNA Polimerasi I = continua l’azione della Polimerasi III che si è staccata e, contemporaneamente, rimuove dalla estremità 5’ del primer del frammento precedentemente formato i ribonucleotidi fino a lasciare un’interruzione di una base tra due nucleotidi adiacenti (azione esonucleasica 5’ – 3’ ) b) DNA Ligasi che opera la saldatura dando luogo alla formazione di una unica molecola di DNA. La trascrizione Trascrizione = consiste nel trasferimento dell’informazione genetica da una sequenza di basi nel DNA ad una sequenza di basi nell’RNA. E’ il primo dei due passi che costituiscono quello che Crick (1956) propose come Dogma Centrale della Biologia Molecolare: Trascrizione DNA Traduzione RNA PROTEINA La trascrizione è anche il primo passo di quel processo che consente all’informazione genetica contenuta in ben definite sequenze di basi di tradursi in caratteri. La trascrizione è quindi indispensabile per consentire l’espressione genica. La trascrizione interessa solamente una delle due eliche di DNA; per questo motivo, prima che la trascrizione inizi, la doppia elica di DNA si deve svolgere in una regione vicina al gene. L’elica di DNA che viene trascritta prende il nome di elica stampo Essa viene letta in direzione 3’ – 5’ in modo che il filamento di RNA possa essere sintetizzato in direzione 5’ – 3’. Elica stampo e filamento di RNA (trascritto) hanno quindi polarità inversa. L’RNA che viene sintetizzato ha invece la stessa polarità della seconda elica di DNA la quale prende il nome di elica codificante (5’ – 3’). La trascrizione avviene ad opera di un enzima (RNA-polimerasi) il quale ha il compito di scegliere tra i ribonucleosidi trifosfati (ribonucleotidi) disponibili (ATP, GDP, CTP, UTP) quello che, di volta in volta, deve essere inserito in base al criterio di complementarietà con le basi presenti sull’elica stampo. 5 Tale criterio è analogo a quello già visto per la duplicazione del DNA, con la variante che la pirimidina Timina (T), complementare alla purina Adenina (A), viene sostituita dalla pirimidina Uracile (U). Perciò: elica DNA stampo : 3’ – A T A C G A A G C – 5’ (trascritta) trascritto di RNA : 5’ – U A U G C U U C G – 3’ elica DNA codificante : 5’ – T A T G C T T C G – 3’ (non trascritta) Classi di RNA Con la trascrizione vengono prodotti quattro tipi di RNA: RNA messaggero (mRNA) RNA di trasferimento (tRNA) RNA ribosomale (rRNA) RNA piccolo nucleare (snRNA) (solamente negli eucarioti; coinvolto nel processamento dell’mRNA). Solamente l’RNA messaggero (mRNA) viene tradotto in proteina. Gli altri RNA sono da vedere come “strumenti” della traduzione e funzionano come tali, svolgendo nella cellula compiti diversi. L’mRNA deriva perciò dalla trascrizione dei cosiddetti “geni strutturali” o geni che codificano polipeptidi (PROTEINE). Trascrizione dei geni strutturali Un gene strutturale (che codifica per una proteina) può, in linea generale, essere suddiviso in: - sequenza promotore, in posizione adiacente al punto di inizio della trascrizione, interagisce con RNA-polimerasi e segnala l’inizio della trascrizione; - sequenza stampo, che viene trascritta dalla RNA-polimerasi in una sequenza di RNA a singola elica; - sequenza terminatore, adiacente alla fine della sequenza stampo e che segnala la fine della trascrizione. Il promotore è a monte e il terminatore è a valle del gene. La trascrizione, almeno nei suoi tratti essenziali, è simile nei procarioti e negli eucarioti. 6 N.B. : Parlando di trascrizione, vengono spesso utilizzati i termini “a monte” e “a valle” facendo riferimento alle regioni situate nelle vicinanze dell’estremità 5’ o 3’, rispettivamente, del trascritto. L’uso di questi termini è giustificato dal fatto che la sintesi di RNA avviene sempre in direzione 5’ 3’. Le regioni a monte e a valle dei geni sono sequenze di DNA che codificano per i corrispondenti segmenti 5’ e 3’ dei loro trascritti, rispetto ad uno specifico punto di riferimento. PROCARIOTI. Inizio della trascrizione. Nei procarioti sono identificabili 2 regioni a monte del punto di inizio: -35 = 5’ – TTGACA – 3’ -10 = 5’ – TATAAT – 3’ (Pribnow o TATA box) Per quanto detto nel N.B., queste due sequenze, definite anche come sequenze consenso, sono presenti in questa forma sull’elica codificante (non stampo) del DNA, mentre sull’elica stampo, che viene letta in direzione 3’ 5’, sono presenti come: -35 = 3’ – AACTGT – 5’ e -10 = 3’ – ATATTA – 5’ , rispettivamente. La sequenza a –35 viene anche definita come sequenza di riconoscimento. L’inizio della trascrizione si ha quando l’RNA-polimerasi si lega al promotore il quale comprende entrambe le sequenze consenso a –35 e a –10; l’operazione avviene in fasi successive: a) la RNA-polimerasi oloenzima (*) si lega in modo lasco alla sequenza –35. Il DNA è a doppia elica chiusa. b) la RNA-polimerasi si lega più strettamente al DNA. Si ha uno svolgimento di 17 coppie di basi della doppia elica (denaturazione) in corrispondenza della sequenza –10 che è tutta costituita da coppie di basi A=T con due legami. c) La RNA-polimerasi si orienta per iniziare la trascrizione del primo nucleotide situato a valle della sequenza promotore. (*) L’enzima RNA-polimerasi è formato da quattro catene polipeptidiche e da un quinto polipeptide (il fattore ) il quale ha la funzione specifica di riconoscere il promotore. N.B. = I promotori possono avere sequenze diverse. Come conseguenza, l’efficienza con la quale l’RNA-polimerasi si lega varia a seconda del promotore e il tasso di inizio della trascrizione non è costante. Ciò spiega perché geni diversi abbiano tassi di espressione differenti a livello di RNA. (Una sequenza 5’ – GATACT –3’ in –10 ha un tasso di trascrizione più basso rispetto a 5’ – TATAAT –3’) In E. coli, oltre a promotori diversi, sono anche stati individuati fattori differenti che intervengono nella regolazione dell’espressione genica. 7 Allungamento della catena di RNA. Alla bolla di trascrizione (DNA denaturato), dopo la polimerizzazione di 8 o 9 ribonucleotidi, il fattore si dissocia dal nucleo enzimatico e può essere riutilizzato in un’altra molecola di RNA-polimerasi. In corrispondenza del tratto di doppia elica denaturato si forma quello che viene chiamato un ibrido DNA – RNA per indicare la breve regione in fase di trascrizione, compresa nella bolla di trascrizione, nella quale l’elica stampo che viene trascritta e il filamento di RNA in fase di sintesi rimangono temporaneamente appaiate Il nucleo enzimatico (core) completa la trascrizione avanzando lungo la doppia elica di DNA. La molecola di RNA-polimerasi contiene sia l’attività svolgente sia quella riavvolgente il DNA. Essa svolge continuamente la doppia elica di DNA a valle del sito di polimerizzazione e riavvolge i filamenti di DNA complementari a monte, non appena si sposta lungo la doppia elica. In E. coli, la lunghezza media di una bolla di trascrizione è di 18 paia di basi e, in una catena di RNA in crescita, vengono incorporati circa 40 ribonucleotidi al secondo. La distensione (srotolamento) della doppia elica di DNA ad una estremità è compensata, all’altra estremità dal suo superavvolgimento negativo, provocato dalla topoisomerasi I. Terminazione della trascrizione La fine della trascrizione è segnalata da elementi di controllo detti terminatori dei quali, in E. coli, possono essere: dipendenti = vengono riconosciuti da un fattore (rho) (proteina con funzioni enzimatiche) che si associa al core della RNA-polimerasi e destabilizza l’ibrido DNA-RNA; indipendenti = vengono riconosciuti direttamente dal core dell’enzima. In entrambi i casi, la sintesi di RNA si blocca, l’RNA sintetizzato si allontana, l’RNApolimerasi si stacca dal DNA. Nei procarioti la sintesi di tutti i trascritti di RNA (mRNA, tRNA, rRNA) è opera di un’unica RNA-polimerasi. Le molecole di RNA appena trascritte (trascritti primari) non sono separate dal sito di sintesi proteica da una membrana nucleare. Quindi, una volta sintetizzata l’estremità 5’ di un mRNA, essa può essere subito utilizzata come stampo per la sintesi polipeptidica. In maniera analoga, una volta che la molecola di mRNA sia stata utilizzata per la traduzione, può essere demolita a partire dall’estremità 5’. Pertanto, la trascrizione, la traduzione e la demolizione dell’mRNA, nei procarioti, possono avvenire spesso contemporaneamente. 8 EUCARIOTI Negli eucarioti la trascrizione avviene per opera di 3 diversi tipi di RNA-polimerasi, localizzati diversamente e con funzione differenziata: RNA-polimerasi Localizzazione Prodotti I nucleolo RNA ribosomali (rRNA) 28S; 18S; 5,8S II nucleo Pre - mRNA nucleari+ alcuni snRNA III nucleo tRNA; rRNA 5S; i rimanenti snRNA N.B. = I valori numerici con i quali si distinguono i diversi tipi di rRNA indicano il numero di Unità Svedberg che servono ad indicare, sinteticamente, le dimensioni, il peso molecolare, la densità delle diverse molecole di rRna separate per centrifugazione in gradiente di saccarosio. Di tali frazioni si misura, cioè, il tasso di sedimentazione che viene opportunamente convertito in Unità Svedberg (o valore S) per mezzo di una formula. Le tre RNA polimerasi, per dare inizio alla trascrizione, richiedono l’intervento di altre proteine , dette fattori di trascrizione, le quali hanno il compito di riconoscere il promotore e, legandosi a questo, favorire l’aggancio dell’enzima. Regolazione della trascrizione La trascrizione , in particolare quella dei geni strutturali, è un processo regolato, che avviene sotto il controllo di molecole diverse che interagiscono con i cosiddetti elementi di regolazione: sequenze coinvolte nella regolazione della trascrizione facenti parte del gene strutturale e che possono essere situate sia a monte che a valle del punto d’inizio della trascrizione. Questi elementi regolatori possono essere organizzati in maniera peculiare per numero, tipo e disposizione sul DNA, in combinazioni di elementi regolatori positivi, che attivano la trascrizione, o negativi, che la reprimono. A questi elementi di regolazione possono legare fattori di trascrizione (TF) specifici, richiesti per l’inizio della trascrizione, e fattori di regolazione, cioè proteine coinvolte nell’attivazione o repressione della trascrizione. Questi elementi di regolazione sono generalmente localizzati entro poche centinaia di basi dal sito d’inizio della trascrizione, ma vi sono elementi regolatori posti anche a 1000 e fino a 30.000 paia di basi dal sito d’inizio. La regione regolatrice posta nelle immediate vicinanze del punto d’inizio della trascrizione costituisce il promotore, mentre quelle più lontane sono i cosiddetti enhancers (intensificatori). 9 Gli elementi del promotore in un gene strutturale eucariotico sono rappresentati da: TATA box (elemento TATA = Goldberg – Hogness box). Ha sequenza consenso 5’ – TATAAA – 3’ ed è posto a –30; CAAT . Ha sequenza consenso 5’ – CGCCAATCT – 3’ ed è generalmente situato a –80, ma funziona anche se situato in altri punti più o meno distanti; GC . Ha sequenza consenso 5’ – GGGCGG - 3’. Può essere presente in più copie orientate in maniera diversa. Se gli elementi promotori sono essenziali per l’inizio della trascrizione, gli enhancers sono importanti per intensificare la trascrizione stessa. Essi possono avere orientamento diretto o inverso rispetto al gene e possono essere collocati anche a notevole distanza dalla sequenza che deve essere trascritta Perché l’enhancer possa far sentire la sua azione, il DNA deve ripiegarsi, in modo che la sequenza enhancer si trovi vicina al promotore. Accanto agli elementi di intensificazione (enhancers) si riscontrano anche elementi silenziatori (silencers). Maturazione dell’mRNA Negli Eucarioti, la trascrizione produce una molecola di RNA (pre-mRNA o trascritto primario o m-RNA precursore) che è molto più lunga di quella che passerà dal nucleo al citoplasma per essere tradotta (mRNA maturo). Il pre-mRNA è infatti costituito dalla trascrizione di introni (sequenze non codificanti) e di esoni (sequenze codificanti). Per poter essere trasferito dal nucleo al citoplasma ed essere tradotto, il pre-mRNA deve andare incontro a modificazioni post-trascrizionali (maturazione o processamento) come di seguito indicato: - alla estremità 5’ viene aggiunto un cappuccio (CAP) mediante l’operazione di “capping”, cioè l’aggiunta di una GUANINA metilata e di due gruppi metilici (CH3) ai primi due nucleotidi; - alla estremità 3’ viene aggiunta una sequenza di 50 – 250 adenine (Poly A) in prossimità della sequenza AAUAAA posta 10 – 30 nucleootidi a monte del sito di attacco; - gli introni vengono eliminati mediante l’operazione di “splicing”, gli esoni adiacenti vengono legati insieme per formare la molecola continua di mRNA che sarà tradotta. Esone 1 I Esone 1 Esone 2 Esone 2 I Esone 3 Esone 3 I Esone 4 Esone 4 10 Nella molecola di mRNA si distinguono: - sequenza leader (sequenza guida) = è più o meno lunga a seconda della molecola di mRNA e contiene l’informazione letta dai ribosomi per orientare correttamente la lettura e la traduzione dell’mRNA; - sequenza codificante = contiene l’informazione che stabilisce la sequenza aminoacidica del polipeptide ed è più o meno lunga a seconda della lunghezza del polipeptide stesso; - sequenza trailer (coda) = non viene tradotta. La sintesi proteica: la traduzione Per la trattazione dettagliata di questo argomento alla cui comprensione può essere di molto aiuto, se non indispensabile, la visualizzazione, anche se schematica, della serie di eventi molecolari che la caratterizzano, si rimanda alla consultazione del testo: Snustad e Simmons, “Principi di genetica” , EDISES 2000; capitolo 13 (La traduzione ed il codice genetico) In questa sede vengono solamente elencati i punti salienti che, comunque, sono illustrati a lezione con l’aiuto di adeguate illustrazioni. Sintesi proteica = è il risultato della traduzione ed è rappresentata dalla serie di eventi che, partendo dalla molecola di mRna maturo, porta alla sintesi di una molecola costituita da una serie di aminoacidi la cui successione è determinata dalla successione delle basi sulla molecola di mRNA. In via normale, cioè, dalla traduzione non esce una molecola proteica funzionante, ma un polipeptide il quale, da solo o in associazione con altri polipeptidi ed eventualmente con molecole di altra natura, si struttura in vario modo così da assumere la configurazione di una molecola proteica dotata delle proprie funzioni strutturali o enzimatiche. La traduzione si verifica sui ribosomi, organelli presenti in abbondanza nel citoplasma e costituiti dalla associazione tra molecole di rRNA di diverso peso molecolare (diverso valore di S = sedimentazione) e molecole proteiche (proteine ribosomali). I ribosomi sono formati da due sub unità, piccola e grande, anch’esse caratterizzate da diversi valori di S, le quali sono normalmente separate e si riuniscono solamente nel momento in cui il ribosoma deve assumere la sua funzionalità completa. La sequenza nucleotidica di una molecola di mRna è tradotta nell’appropriata sequenza aminoacidica secondo le regole del Codice Genetico (vedi paragrafo seguente) Gli eventi che si succedono nel corso della traduzione e che portano alla sintesi proteica sono sinteticamente descritti qui di seguito. Quando la molecola di mRNA maturo è trasferita nel citoplasma per essere tradotta, la sua estremità 5’si lega alla sub-unità piccola del ribosoma per l’intervento di un fattore d’inizio. 11 Alla tripletta di basi AUG, sempre presente in prossimità dell’estremità 5’, si lega la molecola di tRNAfMet con l’anticodone UAC, che porta l’aminoacido formil-metionina (metionina formilata). Si forma così il cosiddetto “complesso di inizio”. Al complesso d’inizio si lega la sub-unità ribosomale grande la quale è provvista di tre siti: un sito A = aminoacilico, un sito P = peptidilico ed un sito E = di uscita. Nel momento in cui la sub-unità grande si unisce al complesso di inizio, il sito peptidilico viene occupato dalla molecola di tRNAfMet della formilmetionina (fMet) mentre i due siti A e E, posti ai lati, rimangono liberi. A questo punto il ribosoma inizia a scorrere lungo la molecola di mRNA percorrendola in direzione 5’ 3’ e in corrispondenza del sito A viene a trovarsi una nuova tripletta (codone) che codifica per un diverso aminoacido (es. CCU = Prolina) Il sito A viene occupato dalla molecola di tRNAPro contraddistinta dall’anticodone complementare (GGA) e che porta legato alla sua estremità 3’ l’aminoacido Prolina. Per l’intervento di un enzima specifico (peptidil transferasi), l’aminoacido fMet si lega alla Prolina portata dal tRnaPro che si trova al sito A lasciando libera, allo stesso tempo, la propria molecola di tRNA (tRNAfMet). Il ribosoma continua a scorrere lungo la molecola di mRNA in direzione 5’ 3’; come conseguenza, la molecola fRNAMet che era nel sito P si sposta nel sito E, la molecola tRNAPro che era nel sito A si sposta nel sito P trascinando le due molecole di aminoacido (fMet-Pro) che porta legate all’estremità 3’ e il sito A viene a trovarsi in corrispondenza di una terza tripletta (es. UCC = Serina) Nel sito A si inserisce la molecola tRNASer che porta legato l’aminoacido Serina al quale, sempre per azione dell’enzima peptidil transferasi, si legano i due aminoacidi portati dalla molecola di tRNAPro posta al sito P. La storia si ripete per tutte le triplette di cui è formata la sequenza che deve essere tradotta e, per ogni tripletta, la catena polipeptidica si allunga di un aminoacido fino a quando il ribosoma, continuando a scorrere lungo la molecola di mRNA, non viene a trovarsi con una delle tre triplette di STOP (UAA; UAG; UGA) in corrispondenza del sito A. A questo punto, poiché le triplette di STOP non codificano per alcun aminoacido, nel sita A si inserisce una molecola (fattore di rilascio) provocando l’interruzione della sintesi, l’uscita delle ultime molecole di tRNA utilizzate dai rispettivi siti (E e P) del ribosoma e la liberazione del polipeptide. Le due sub unità ribosomali si staccano e tornano libere nel citoplasma, pronte ad essere impiegate in un nuovo processo di sintesi. Il codice genetico Una volta accertato che la sequenza delle basi sulla molecola del DNA determinava la sequenza degli aminoacidi nei polipeptidi, è stato affrontato il problema di chiarire il 12 meccanismo molecolare mediante il quale la successione di quattro diversi nucleotidi (A;U;C;G) sulla molecola di mRNA fosse in grado di controllare la successione di un ventina di aminoacidi nella molecola polipeptidica. La prima considerazione fatta fu che con quattro basi prese singolarmente possono essere identificati, come massimo, quattro aminoacidi. Se le basi vengono considerate due a due in tutte le possibili combinazioni, come massimo possono essere identificati 16 aminoacidi, quattro in meno del numero di aminoacidi fondamentali. Per identificare tutti i 20 aminoacidi fondamentali è perciò necessario coinvolgere le 64 triplette di basi che si possono ottenere considerando le quattro basi prese a tre a tre in tutte le possibili permutazioni e immaginare che ogni aminoacido sia codificato da almeno una tripletta di basi. L’intera serie di 64 triplette fu identificata come “codice genetico” e alle singole triplette fu dato il nome di “codoni”. Furono quindi identificati i gruppi di tre basi (triplette o codoni) corrispondenti a ciascun aminoacido. Furono necessari più di dieci anni, dopo la pubblicazione di Watson e Crick sulla struttura del DNA, perché venisse definitivamente confermato che, in realtà, la corrispondenza tra la sequenza di basi nella molecola di mRNA e la sequenza degli aminoacidi nella molecola polipeptidica è determinata dalla successione dei codoni nella molecola di mRNA. Successivamente, si cercò di comprendere meglio il funzionamento del processo di traduzione e, alla fine, furono identificate le proprietà fondamentali del codice genetico così come elencate qui di seguito: - il C.G. è composto da triplette nucleotidiche. Tre nucleotidi di un mRNA specificano un aminoacido in un prodotto polipeptidico; ogni codone è quindi costituito da tre ribonucleotidi. - il C.G. non è sovrapposto. Ogni nucleotide dell’mRNA appartiene soltanto ad un codone (fanno eccezione rari casi di geni sovrapposti). - il C.G. è privo di interpunziioni. Non ci sono forme di punteggiatura nelle regioni codificanti: durante la traduzione i codoni sono letti consecutivamente. - il C.G. è degenerato. Tutti gli aminoacidi, eccetto due, sono specificati da più di un codone. - il C.G. è ordinato. I diversi codoni che specificano per lo stesso aminoacido o per aminoacidi con proprietà chimiche simili differiscono , disolito, per un singolo nucleotide. - il C.G. contiene codoni di inizio (AUG) e di termine (UAA; UAG; UGA). - il C.G. è quasi universale. Con pochissime eccezioni (mitocondri dei mammiferi, dei lieviti e di altri organismi), i codoni hanno lo stesso significato – specificano per lo stesso aminoacido – in tutti gli organismi viventi, dai virus agli esseri umani. 13 Regolazione dell’espressione genica La regolazione dell’espressione genica è il meccanismo attraverso il quale gli organismi viventi sono in grado di adeguare il proprio metabolismo alle modificazioni ambientali (in senso lato). La regolazione dell’espressione genica consiste infatti in una modificazione dell'attività dei geni di un organismo in modo che vengano sintetizzati prodotti genici adeguati a consentire all’organismo stesso di crescere e riprodursi in una diversità di situazioni ambientali. Non tutti i geni, tuttavia, si comportano allo stesso modo. Si suole infatti distinguere fra: - geni regolati = la cui attività è soggetta a controllo come risposta a specifiche esigenze della cellula e dell’organismo; - geni costitutivi = la cui attività porta alla sintesi di prodotti indispensabili alla vita della cellula e dell’organismo, indipendentemente dalle condizioni ambientali. In linea generale si può dire che la regolazione genica è la conseguenza di specifiche interazioni tra proteine (proteine regolatrici) e particolari sequenze di DNA. Nello studio della regolazione genica si fa distinzione tra procarioti ed eucarioti. Nei procarioti sono presenti sistemi semplici che controllano la sintesi coordinata di proteine con funzioni correlate (operoni). Negli eucarioti si fa distinzione fra: - regolazione a breve termine = riguarda geni che vengono accesi o spenti come risposta a cambiamenti ambientali o fisiologici repentini e costituisce un elemento di adattamento immediato; - regolazione a lungo termine = riguarda eventi regolativi su geni che devono essere accesi o spenti (attivati o disattivati) in relazione alla successione di eventi legati al differenziamento di organi particolari e allo sviluppo e dell’organismo. I livelli di controllo dell’espressione genica sono diversi e riguardano la fase: trascrizionale post – trascrizionale traduzionale post - traduzionale 14 Struttura del cromosoma eucariotico. Il cromosoma eucariotico è formato da : DNA, RNA e Proteine che, nell’insieme, costituiscono la cromatina. La suscettibilità della cromatina a colorarsi, se sottoposta ad opportuni trattamenti, ha consentito di osservare i cromosomi, di contarli, descriverli, misurarli e studiarne le anomalie. Le proteine associate al DNA sono di due tipi: basiche, denominate istoni o proteine istoniche, aventi all’incirca la medesima composizione in tutti gli eucarioti e presenti nella cellula in quantità uguale al DNA; acide o neutre (proteine non istoniche) che costituiscono l’intelaiatura del cromosoma. Sugli istoni, opportunamente arrangiati in ottameri di molecole uguali due a due, si avvolge la molecola di DNA dando luogo alla formazione dei nucleosomi che rappresentano il punto di partenza per la strutturazione del DNA nei cromosomi. I nucleosomi, infatti, uniti tra loro da un breve tratto di DNA, formano, nell’insieme, la cosiddetta “fibra di cromatina” ( 10 nm) che si confeziona in forme avvolte in maniera sempre più compatta fino a costituire il cromosoma. E’ con questo meccanismo che le lunghissime molecole di DNA (una sola molecola per ciascun cromosoma) riescono ad essere contenute in strutture molto piccole quali sono i cromosomi. A titolo di esempio si può osservare che la molecola di DNA che costituisce il cromosoma umano più grande (diametro di 0,5 m e lunghezza di 10 m) è lunga circa 85 mm e che l’intero DNA di una cellula somatica umana (2n = 46) copre una lunghezza di circa 2 metri. Numero e forma dei cromosomi Procarioti = unico cromosoma circolare. Eucarioti = più cromosomi lineari di dimensione diversa riuniti nel nucleodove sono presenti in forma estremamente rilassata, tanto da non essere visibili. In ogni cromosoma, quando venga osservato in una certa fase della divisione cellulare nella quale i cromosomi si rendono particolarmente evidenti e possono essere più facilmente osservati, presenta una costrizione (centromero) che, separandolo in due parti di lunghezza variabile, ne determina la forma. Il centromero è una zona nella quale la cromatina appare più addensata e rappresenta una regione molto importante del cromosoma in quanto ad essa si legano i microtubuli (fibre) del fuso durante le divisioni cellulari (mitosi o meiosi) promuovendone la migrazione verso i due poli. I cromosomi osservabili in una cellula somatica di un individuo ne costituiscono il cariotipo. 15 Il numero di cromosomi che costituiscono il cariotipo viene indicato con 2n e rappresenta il numero diploide. Il cariotipo di un individuo è costituito da due serie di cromosomi, uguali due a due per forma e dimensioni, una di derivazione materna e l’altra di derivazione paterna. Il cariotipo di un individuo è quindi costituito da tante coppie di cromosomi omologhi. Il numero di coppie di cromosomi omologhi è indicato con n e rappresenta il numero aploide che è proprio delle cellule sessuali (gameti). Il set di cromosomi che costituisce il numero aploide viene anche indicato come genoma aploide. Il numero di coppie di cromosomi omologhi è generalmente pari alla metà del numero di cromosomi che costituiscono il cariotipo. Considerando la cosa da un altro punto di vista, si può anche dire che il numero di cromosomi che costituiscono il cariotipo è generalmente pari al doppio del numero aploide. Questa affermazione non è sempre e comunque vera in quanto in alcune specie animali (es. le cavallette) le femmine hanno un cromosoma in più rispetto ai maschi. Questo cromosoma extra è stato chiamato cromosoma X. Le femmine di queste specie hanno due cromosomi X mentre i maschi ne hanno uno solo. l numero di cromosomi che costituiscono il cariotipo è molto diverso da specie a specie La disposizione ordinata per dimensione e forma dei cromosomi di un cariotipo costituisce il cariogramma. In un cariotipo il riconoscimento dei diversi cromosomi viene fatto in base a: forma, determinata dalla posizione del centromero. Si distinguono in Metacentrici Submetacentrici Acrocentrici Telocentrici dimensioni presenza di satelliti bandeggio Il genoma di una specie, vegetale o animale, può anche essere descritto in base alla quantità di DNA contenuto in una cellula aploide. Tale quantità viene indicata come “valore C” che è un valore relativo al quale vengono riferiti i contenuti di DNA di cellule della stessa specie a livello diverso di ploidia. Così, una cellula somatica avrà un contenuto pari a 2C, una cellula dell’endosperma (triploide = 3n) pari a 3C, e così via. Il valore C varia notevolmente da specie a specie, ma non è necessariamente correlato con la quantità o la complessità dell’informazione genetica che il genoma di una certa specie contiene. 16 LA RIPRODUZIONE NEI VEGETALI Nei vegetali si può avere: - propagazione vegetativa, - propagazione apomittica, - propagazione sessuale (riproduzione propriamente detta). Propagazione vegetativa = è il processo attraverso il quale, per la presenza di strutture particolari (tuberi, rizomi, stoloni) da un unico individuo possono originarsi più individui geneticamente identici tra loro e all’individuo di partenza. La propagazione vegetativa, quindi, non prevede produzione di seme. Può essere realizzata artificialmente anche in specie non provviste di organi specifici impiegando tecniche particolari (talea radicata, margotta, innesto, propagazione “in vitro”). L’insieme degli individui che si ottengono mediante propagazione vegetativa costituisce un clone. Si definisce allora come clone un insieme di individui geneticamente identici tra loro e all’individuo dal quale si sono originati per propagazione vegetativa. Propagazione apomittica = è quel tipo di riproduzione al quale prendono parte le strutture fiorali e gli organi sessuali ad esse correlati ma nel quale si ha la formazione di seme senza che avvenga l’unione tra gameti e cioè, senza fecondazione. La si può anche definire una clonazione via seme. Propagazione sessuale = prevede la fusione di due gameti aploidi (cellule sessuali), uno maschile ( ♂ ) e uno femminile ( ♀ ) secondo quel processo indicato come fecondazione. Da questa fusione si origina un’unica cellula diploide che prende il nome di zigote. Lo zigote, per successive divisioni cellulari (mitosi) forma l’embrione, presente nel seme, dal quale, dopo la germinazione, con lo stesso meccanismo, prende forma l’organismo pluricellulare (sporofito). Lo sporofito, a sua volta, partendo da cellule 2n specializzate (macro e microsporociti) presenti negli organi riproduttivi (ovario e antera), forma, per meiosi, macrospore (♀) n e microspore (♂) n dalle quali, per mitosi, si originano, rispettivamente, ovuli maturi (gametofito ♀) e granuli pollinici maturi (gametofito ♂ ). Granuli pollinici maturi e ovuli maturi fanno parte di quella che viene definita “generazione gametofitica” che è rappresentata da cellule aploidi (n) e costituisce la “fase aploide” del ciclo vitale di una pianta. 17 L’unione di un gamete maschile con un gamete femminile (fecondazione) e la conseguente formazione dello zigote comporta il ripristino del numero diploide (2n) proprio della “generazione sporofitica” la quale rappresenta la “fase diploide” del ciclo vitale (ciclo ontogenetico). La propagazione o riproduzione sessuale implica perciò un’alternanza tra fase aploide (n) (generazione sporofitica) e fase diploide (2n) (generazione sporofitica) e il suo principale significato biologico sta nel fatto che essa produce ricombinazione genetica e cioè nuova variabilità ad ogni generazione. In un vegetale superiore che si riproduce per via sessuale la trasmissione dell’informazione genetica contenuta nel materiale ereditario avviene quindi secondo due modalità: da cellula somatica 2n a cellula somatica 2n, per mitosi, con la formazione di cellule diploidi, che a loro volta, dividendosi, danno luogo ad altre cellule diploidi per un numero indefinito di volte. Ogni cellula che si genera contiene la stessa informazione genetica, per quantità e qualità, presente nella cellula madre. Cellula madre e cellule figlie sono geneticamente identiche. da cellula madre della linea germinale 2n a cellule n, per meiosi, con la formazione di cellule aploidi (gameti) il cui destino è quello di unirsi per formare uno zigote diploide. Ogni cellula che si genera contiene una metà dell’informazione genetica presente nella cellula madre. Tale informazione, inoltre, è di solito diversa, o diversamente assemblata, rispetto a quella contenuta nelle due cellule n (gameti) dalla cui unione è derivato l’individuo al quale appartiene la cellula madre. La differenza tra gli esiti delle due modalità di trasmissione del materiale ereditario è determinata dalla successione di eventi che si verificano nel corso della mitosi e della meiosi. CICLO CELLULARE Per affrontare appropriatamente la trattazione della divisione cellulare è opportuno conoscere, almeno per sommi capi il ciclo cellulare. Quando si parla di “ciclo cellulare” si fa riferimento alle cellule somatiche e si intende di solito indicare la serie di eventi che portano una cellula a dividersi per dar luogo a due cellule figlie in quel processo di accrescimento di cui sono responsabili, in un vegetale, i tessuti meristematici. Nelle cellule somatiche il ciclo cellulare consta di due fasi fondamentali: Mitosi – riguarda gli eventi connessi con la divisione cellulare vera e propria; Interfase – riguarda gli eventi che accadono nell’intervallo di tempo che intercorre tra due divisioni cellulari successive. 18 L’interfase, a sua volta, è caratterizzata da tre tappe o sotto-fasi: G1 (Gap o intervallo 1) = è la sotto-fase di pre-sintesi durante la quale la cellula si accresce, si duplicano gli organelli cellulari e la cellula si predispone alla duplicazione del proprio DNA e alla sua strutturazione in cromosomi. In questa sotto-fase è individuabile il cosiddetto “punto di restrizione” che corrisponde al momento oltre il quale la cellula deve inevitabilmente dividersi. S (Sintesi) = è la sotto-fase di duplicazione del DNA e delle molecole proteiche necessarie alla usa strutturazione (istoni); G2 (Gap o intervallo 2) = è la sotto-fase di post-sintesi nella quale la cellula si predispone alla vera e propria divisione che avviene nella fase M (Mitosi). MITOSI: aspetti più significativi 1 – Nell’interfase ciascuna molecola di DNA si duplica per tutta la sua lunghezza, zone centromeriche incluse, insieme con le proteine che ne costituiscono la struttura portante. 2 – Ogni cromosoma, all’inizio della mitosi (profase), si presenta pertanto sotto forma di due filamenti separati (cromatidi fratelli) tenuti insieme dal centromero che è già duplicato, ma non diviso. 3 – Nella metafase, ciascun cromosoma, indipendentemente da tutti gli altri, si dispone sulla piastra equatoriale con i due cromatidi, uno da una parte e uno dall’altra della piastra, fluttuanti verso i due poli. 4 – Nell’anafase, i due cromatidi di ciascun cromosoma si separano e vengono trascinati uno verso un polo e l’altro verso il polo opposto, con la conseguenza che a ciascuno dei due poli migrano 2n cromatidi che ora, in quanto divisi, sono da considerare veri e propri cromosomi. 5 – Nella telofase, i due gruppi di cromosomi vengono racchiusi nella membrana nucleare e inizia a formarsi il fragmoplasto. 6 – Nella citocinesi si completa la formazione del fragmoplasto e le due cellule vengono separate dalla membrana e, in un momento successivo, dalla lamella mediana. La mitosi avviene con identiche modalità in cellule diploidi (2n) e in cellule aploidi (n) Significato genetico della mitosi: garantisce il mantenimento dell’informazione genetica inalterata dalla cellula madre alle due cellule figlie le quali, a loro volta, sono geneticamente identiche tra loro. 19 Meiosi e Sporogenesi: generalità. La meiosi è quel tipo particolare di divisione cellulare che caratterizza il processo di sporogenesi e si verifica ogni qual volta un organismo a propagazione sessuale deve produrre gameti. Si tratta perciò di un tipo di divisione cellulare comune a tutti gli organismi che, nel loro ciclo vitale, presentano una fase sessuale più o meno evidente. Nei vegetali la meiosi avviene in tessuti preventivamente differenziati, a partire da cellule particolari che, a seconda che siano situate negli organi riproduttivi femminili o maschili, prendono il nome, rispettivamente, di “megasporociti” o “cellule madri delle megaspore” (macrospore) e di “microsporociti” o “cellule madri delle microspore”. Prima di descrivere ciò che accade in meiosi è comunque opportuno ricordare quanto precedentemente detto a proposito del numero di cromosomi contenuti in cellule aploidi e diplidi ( pag. 51) MEIOSI: aspetti più significativi 1 - Analogamente a quanto visto per la mitosi, anche in questo caso è identificabile una fase preparatoria durante la quale avvengono fenomeni analoghi a quelli già descritti parlando del ciclo cellulare: in particolare, avviene la duplicazione del DNA (una sola duplicazione). 2 – La meiosi è costituita da due divisioni cellulari che avvengono in successione e che sono indicate come prima e seconda divisione meiotica (anche: meiosi 1 e meiosi 2). 3 – Ciascun cromosoma, all’inizio della meiosi, si presenta duplicato nei due filamenti (cromatidi fratelli) tenuti insieme dal centromero. 4 – Nel corso della profase 1, i cromosomi omologhi, ciascuno diviso nei due cromatidi, si appaiano molto strettamente, formando delle tetradi (strutture nelle quali sono individuabili i quattro cromatidi), e dispongono i loro centromeri, uno di origine materna ed uno di origine paterna, da una parte o dall’altra della piastra equatoriale in maniera del tutto casuale e completamente indipendente per le diverse coppie. 5 – Sulla piastra equatoriale si contano pertanto n tetradi, ciascuna formata da due centromeri, uno di origine materna ed uno di origine paterna, ai quali sono uniti, due a due, i quattro cromatidi. 6 – In questa fase, mentre i cromatidi dei due cromosomi omologhi di ciascuna coppia sono appaiati per tutta la loro lunghezza, si verifica quel fenomeno, denominato “crossing over” per mezzo del quale hanno luogo scambi di materiale genetico (di tratti di DNA) tra cromatidi di cromosomi omologhi. 7 – In anafase 1, n centromeri migrano ad un polo e n al polo opposto formando due cellule, ciascuna con n centromeri, assortiti casualmente tra materni e paterni, ognuno dei quali porta, ancora riuniti, due cromatidi. 20 8 – Si conclude così la prima divisione meiotica che, proprio perché comporta la riduzione a metà del numero di centromeri (da 2n a n), prende il nome di “divisione riduzionale”. 9 – A questo punto, le due cellule di nuova formazione vanno incontro alla seconda divisione meiotica che, conservando inalterato il numero di centromeri (da n a n) prende il nome di “divisione equazionale”. 10 – In ognuna delle due cellule, analogamente a quanto visto per la mitosi, gli n centromeri, in ciascuno dei quali sono riuniti i due cromatidi, si dispongono sulla piastra equatoriale in maniera indipendente. 11 – In anafase 2 i due cromatidi che sono riuniti in ciascun centromero si separano, migrano verso l’uno o l’altro dei due poli e si formano due cellule, ciascuna con n cromosomi. 12 – Non necessariamente gli n cromosomi di queste cellule sono tutti di origine materna o tutti di origine paterna. Alla metafase/anafase della prima divisione si è verificato infatti l’assortimento casuale dei centromeri di origine materna e paterna. Il numero di combinazioni di cromosomi materni e paterni che si originano dall’assortimento casuale è pari a 2 n. N.B. = In precedenza (pag. 51) si è identificato come valore C (contenuto di DNA di una cellula) la quantità di DNA di un genoma aploide. E’ opportuno osservare che nel corso del ciclo cellulare il valore C si modifica e può essere anche molto diverso a seconda della fase del ciclo e del tipo di divisione cellulare (mitosi o meiosi) alla quale ci si riferisce. Nella tabella riportata qui sotto si è cercato di analizzare, in maniera sintetica, questa relazione. CICLO 2n 2n MITOSI P M INTERFASE A M 4C T 2C 2n G1 2C MEIOSI 1 S G2 2C4C 4C 2n P M A MEIOSI 2 T 4C 2C 2n n P M A 2C T C n CICLO 2n n Relazione tra ciclo cellulare, tipo di divisione, fase della divisione, livello di ploidia e quantita’ di DNA (valore C) presente nella cellula. 21 Significato genetico della meiosi 1 – Nella meiosi si ha un’unica duplicazione del DNA che avviene nella fase S (Sintesi) premeiotica. Questo comporta che, partendo da una cellula diploide (2n), si giunga, dopo le due divisioni meiotiche, a quattro cellule aploidi (macro o microspore) dalle quali, per successive divisioni mitotiche, prenderanno origine i gameti. La fecondazione (unione tra gameti ♂ e ♀) ripristina, negli organismi a propagazione sessuale, la situazione diploide. In questo modo viene garantita la conservazione del numero cromosomico tipico della specie. 2 – Il Crossing-Over che si verifica durante la meiosi 1 provoca un riassetto dell’informazione genetica portata da ciascun cromosoma. Tale riassetto si verifica attraverso lo scambio fisico di tratti più o meno lunghi di cromatidio tra cromatidi di cromosomi omologhi. E’ per mezzo di questi scambi che avviene il fenomeno noto come “ricombinazione”. 3 – Nella metafase 1 i centromeri materni e paterni hanno uguale probabilità di situarsi da una parte o dall’altra della piastra metafasica. Le quattro cellule prodotte da ogni meiosi avranno pertanto cromosomi materni e paterni assortiti in modo casuale. E’ il fenomeno noto come “assortimento casuale”. Il Crossing Over (C.O.) e l’assortimento casuale dei centromeri sono pertanto alla base della ricombinazione genetica che caratterizza gli organismi a propagazione sessuale e costituiscono i mezzi fondamentali per il mantenimento della variabilità genetica nelle popolazioni naturali animali e vegetali. La conseguenza dei due eventi è infatti che le quattro cellule che si originano da ogni meiosi portano tutte un’informazione genetica diversa tra loro e da quella contenuta nella cellula madre dalla quale si sono originate. Il completamento della seconda divisione meiotica conclude il processo di sporogenesi dal quale si originano le megaspore, negli organi riproduttivi femminili, e le microspore in quelli maschili. Alla sporogenesi segue la gametogenesi 22 GAMETOGENESI e FECONDAZIONE: generalità Con il termine gametogenesi si indica il processo mediante il quale, in un individuo sessuato, si formano i gameti, cioè le cellule o i nuclei responsabili del processo di fecondazione. I gameti si originano a partire dalle megaspore e dalle microspore e, analogamente a quanto accade nella formazione di queste, i gameti ♀ e ♂ prodotti da un individuo portano un’informazione genetica sempre diversa tra loro e rispetto a quella contenuta nei gameti dalla cui unione quello stesso individuo si è generato. Si suole anche dire, perciò, che i gameti che entrano in una generazione portano un’informazione genetica diversa, o sono geneticamente diversi, rispetto a quelli che ne escono. Gametogenesi femminile = serie di eventi che portano alla formazione del gametofito femminile (ovulo maturo o embriosacco) entro il quale è situato il gamete femminile (cellula uovo): - una delle quattro megaspore – le altre tre degenerano – va incontro a tre successive divisioni mitotiche; - si forma una struttura (ovulo o sacco embrionale) all’interno della quale sono individuabili 8 cellule aploidi, o semplicemente 8 nuclei aploidi, che hanno nomi differenti e sono collocate in posizione diversa; - una cellula uovo (il vero e proprio gamete femminile), affiancata dalle due sinergidi, si colloca nelle immediate vicinanze del micropilo o foro micropilare, posto alla base dell’ovulo, dal quale entrano i due nuclei spermatici portati dal tubetto pollinico - tre cellule antipodali situate dalla parte opposta dell’ovulo - due cellule polari (nuclei polari), destinate a fondersi per formare una cellula 2n, situata al centro, che rappresenta il “nucleo secondario dell’endosperma” Gametogenesi maschile = serie di eventi che portano alla formazione del gametofito maschile (granulo pollinico bi- o trinucleato) entro il quale, in seguito ad una prima mitosi, si formano due nuclei: il nucleo vegetativo ed un secondo nucleo il quale, a sua volta, si divide per mitosi dando luogo a due nuclei generativi o spermatici, uno dei quali è il gamete maschile vero e proprio destinato ad unirsi con la cellula uovo. Quando si verifica l’unione del gamete maschile con il gamete femminile si ha la fecondazione o gamia. Nei vegetali superiori si verifica anche una seconda fecondazione che è data dall’unione del secondo nucleo generativo (n) portato dal gametofito maschile con il nucleo secondario dell’endosperma (2n) presente nel gametofito femminile. Si parla perciò di “doppia fecondazione”. A seconda che il gamete femminile e il gamete maschile che si uniscono nella fecondazione siano prodotti dallo stesso individuo oppure da individui diversi, si parla di autofecondazione o autogamia e di allofecondazione o fecondazione incrociata o allogamia. Il tipo di gamia è condizionato dal sistema riproduttivo di una specie e condiziona a sua volta la struttura genetica delle sue popolazioni. 23 MEGAGAMETOGENESI O GAMETOGENESI FEMMINILE NEGLI OVULI Cellula madre delle macrospore (2n) MEIOSI sporogenesi 4 macrospore gametogenesi 1 sopravvive mitosi 1 2 nuclei n mitosi 2 4 nuclei n mitosi 3 8 nuclei n 3 degenerano ovulo maturo o embriosacco = gametofito femminile Nel gametofito femminile sono riconoscibili: 1 cellula uovo (gamete femminile) situata in prossimità del micropilo 2 cellule (nuclei) sinergidi che affiancano la cellula uovo 2 nuclei polari al centro dell’ovulo 3 nuclei antipodali situati in posizione opposta alla cellula uovo Al momento della fecondazione: la cellula uovo, unendosi al primo nucleo spermatico, forma lo zigote (2n) dal quale, per successive divisioni mitotiche, si sviluppa l’embrione (sporofito); i due nuclei polari, fondendosi, danno origine al nucleo secondario dell’endosperma (2n) il quale, unendosi al secondo nucleo spermatico, forma un nucleo triploide (3n) dal quale, per mitosi, si sviluppa l’endosperma (tessuto di riserva). 24 MICROGAMETOGENESI O GAMETOGENESI MASCHILE NELLE ANTERE Tessuto archesporiale Cellule archesporiali sporogenesi Cellula madre delle microspore (2n) MEIOSI 4 microspore (n) (tetrade) gametogenesi separazione delle microspore nutrizione delle microspore ingrossamento (cellule del tappeto) mitosi 1 2 nuclei 1 nucleo vegetativo (n) accrescimento tubetto pollinico 1 nucleo generativo (n) mitosi 2 2 nuclei generativi (spermatici) (n) gamete maschile (1°nucleo spermatico) 2° nucleo spermatico FECONDAZIONE Seconda fecondazione (nucleo secondario) ZIGOTE (2n) Endosperma (3n) N.B. = Il granulo pollinico maturo (con 2 o 3 nuclei) rappresenta il gametofito maschile. 25 RIASSORTIMENTO CASUALE DEI CENTROMERI Probabilità che alla meiosi di un organismo con numero cromosomico diploide 2n i centromeri di origine paterna e materna si assortiscano secondo determinati rapporti. ½ = probabilità che un determinato centromero paterno (o materno) vada ad un polo particolare; ½ è anche la probabilità che l’omologo materno (o paterno) vada al polo opposto; ½ x ½ = ¼ = (½)2 = 1/22 = probabilità che due particolari centromeri paterni (o materni) vadano allo stesso polo; (½)2 = 1/22 = è anche la probabilità che i due omologhi materni (o paterni) vadano al polo opposto; ½ x ½ x ½ x ………x ½ = (1/2)n = 1/2n = probabilità che tutti gli n centromeri paterni (o materni) vadano ad un certo polo; n volte (1/2)n = 1/2n = è anche la probabilità che gli n centromeri omologhi materni (o paterni) vadano al polo opposto. Se 2n = 8 la probabilità che ad uno stesso polo migrino tutti i 4 centromeri di origine paterna e al polo opposto vadano i 4 di origine materna è pari a 1/24 = 1/16 = 0,0625. Probabilità che su n centromeri, di origine materna (o paterna), k vadano ad un determinato polo e z vadano al polo opposto ( k+z = n). Può essere calcolata espandendo il binomio (a + b )2 dove a = b = ½ Se n = 1 (una sola coppia di cromosomi omologhi) la probabilità per ciascuno dei due centromeri di andare ad un certo polo è pari a ½ : ( a + b )1 = a + b ( ½ + ½ )1 = ½ + ½ Se n = 2 (due coppie di cromosomi omologhi): (a + b )2 = a2 + 2ab + b2 ( ½ + ½ )2 = ( ½ )2 + 2 x ½ x ½ + ( ½ )2 = ¼ + ½ + ¼ Se n = 4 (quattro coppie di cromosomi omologhi): ( a + b )4 = a4 + 4a3b + 6a2b2 + 4ab3 + b4 ( ½ + ½ )4 = ( ½ )4 + 4 x (½)3(½) + 6 x (½)2(½)2 + 4 x (½)(½)3 + (½)4 = 1/16 + 4 x 1/16 + 6 x 1/16 + 4 x 1/16 + 1/16 = 1,00 La parte frazionaria degli addendi è uguale; la somma dei vari addendi è uguale all’unità; la probabilità è allora determinata dai coefficienti dei vari addendi. 26 I diversi addendi rappresentano la probabilità che, rispettivamente: 4 centromeri paterni e 0 materni; 3 centromeri paterni e 1 materno; 2 centromeri paterni e 2 materni; 1 centromero paterno e 3 materni; 0 centromeri paterni e 4 materni vadano ad un determinato polo. I coefficienti si possono ricavare dallo sviluppo del triangolo di Tartaglia: n° coppie di omologhi (n° aploide) possibili assortimenti (*) 1 1 2 3 4 5 6 1 1 1 1 1 1 2 3 4 5 6 1 1 3 6 10 15 n 1 4 10 20 1 5 15 1 6 1 ecc. 2 = 21 4 = 22 8 = 23 16 = 24 32 = 25 64 = 26 2n (*) = n° di possibili assortimenti in base al numero di centromeri materni e paterni e alla loro qualità (Se sono tre di un genitore e uno dell’altro, possono essere 3 paterni e un materno oppure 3 materni e un paterno; nel primo caso, i tre paterni possono essere 123;124;134; 234 e il materno, rispettivamente, 4; 3; 2; 1.Analogamente, nel secondo caso, i tre materni possono essere: 123; 124; 134; 234 e il paterno, rispettivamente, 4; 3; 2; 1). Per n coppie di cromosomi omologhi è uguale a 2n e dà anche il numero di possibili gameti, sia maschili che femminili (cellule uovo e granuli pollinici). Ciascun gamete maschile ha uguali probabilità di unirsi con ciascun gamete femminile. In totale, quindi, in un individuo con 2n = 8 (n = 4) il numero di unioni possibili è uguale a 16 per ciascun gamete e a 16 x 16 per tutti i gameti; in generale, è 2n x 2n = 22n Delle possibili unioni, solamente una delle 16 relative a ciascun gamete avviene però tra gameti uguali. Il numero di unioni possibili tra gameti diversi, nel caso dell’esempio, è pertanto pari a 15 per ciascun gamete e, in totale, visto che i tipi di gameti sono 16, è pari a 16 x 15 = 240. In generale, per n coppie di omologhi, sarà: 2n x ( 2n – 1 ) = 22n – 2n Nel nostro esempio: 28 – 24 = 256 – 16 = 240 27 Sulla base di quanto detto, se un individuo AaBbCcDd si è originato dalla unione dei due gameti ABCD e abcd, solamente due, tra le 16 combinazioni possibili rintracciabili sia nei gameti maschili che in quelli femminili prodotti da tale individuo, sono uguali a quelle parentali, la altre 14 sono completamente nuove e si originano per assortimento casuale. Vale la pena notare che le 14 nuove combinazioni sono di gran lunga le più numerose. Vale anche la pena osservare che il numero di nuove combinazioni diventa tanto più elevato quanto maggiore è il numero di coppie di cromosomi omologhi coinvolte e che, per n coppie di cromosomi omologhi, è pari a 2n - 2. Solamente come conseguenza dell’assortimento casuale dei centromeri materni e paterni si genera perciò nuova variabilità genetica ad ogni generazione di riproduzione sessuata. Vi è però un’altra fonte di diversità tra le 16 combinazioni dell’esempio, sia tra loro che rispetto alle due combinazioni parentali. Nel corso della profase della prima divisione meiotica, durante l’appaiamento fra cromosomi omologhi (sinapsi), avviene quel fenomeno indicato come “crossing over” che consiste nello scambio di porzioni di DNA tra cromatidi di cromosomi omologhi. Come conseguenza, anche con riferimento alle 16 combinazioni viste in precedenza, i cromosomi che si assortiscono non sono identici a quelli parentali, ma rappresentano, rispetto a questi, dei riassetti più o meno sostanziali dell’informazione genetica a seconda della frequenza dei crossing over e, quindi, dell’entità degli scambi avvenuti. Questo spiega anche perché sia più corretto parlare di assortimento casuale dei centromeri (all’interno dei quali non avviene crossing over) piuttosto che dei cromosomi materni e paterni i quali, come tali, in seguito alla ricombinazione provocata dal crossing over, non esistono più. Iniziando a parlare di propagazione sessuata è stato detto che essa rappresenta un fonte continua di variabilità genetica perché, ad ogni generazione, durante il processo di sporogenesi che precede la formazione dei gameti, si verifica un riassetto dell’informazione genetica portata dagli individui che si riproducono. Tale riassetto viene normalmente indicato come “ricombinazione genetica”, anche se con questo termine dovrebbe essere indicato, più appropriatamente, lo scambio di materiale genetico che avviene in seguito al crossing over. Tanto l’assortimento casuale dei centromeri quanto il crossing over contribuiscono comunque, ad ogni generazione, alla formazione di nuova variabilità genetica sulla quale può intervenire la selezione naturale, nelle popolazioni naturali, o la selezione artificiale, nelle popolazioni segreganti appositamente costituite dall’uomo attraverso l’incrocio. Da ultimo, vale la pena osservare che tanto l’assortimento casuale quanto la ricombinazione propriamente detta (crossing over) provocano il riarrangiamento dell’informazione genetica, ma non danno luogo a variabilità genetica completamente nuova (nuove sequenze). La fonte primaria di variabilità genetica “ex novo” è infatti rappresentata dalle mutazioni che, attraverso meccanismi diversi, si originano costantemente in ogni specie. 28 GENI E CARATTERI Gene = sequenza codificante per un polipeptide. Carattere = manifestazione osservabile dell’azione svolta, da solo o in collaborazione (interazione) con altre molecole, da quel polipeptide. Genotipo = L’insieme dei geni portati da un individuo: la sua informazione genetica Fenotipo = può indicare o la manifestazione osservabile dell’azione di un gene e, allora, il suo significato coincide con quello di carattere, oppure l’insieme dei caratteri presentati da un individuo come risultante dell’espressione del suo genotipo. Ad ogni carattere possono essere associati uno o più geni. Non tutti i geni trovano corrispondenza in un carattere. Molti caratteri, la maggioranza, sono la conseguenza dell’interazione tra più polipeptidi, più proteine e, quindi, tra più geni. I caratteri per i quali vale la corrispondenza gene proteina carattere sono indicati come “caratteri monofattoriali”. Quanto più precise diventano le conoscenze sulla espressione dei geni, tanto più ci si rende conto che questa corrispondenza è quanto mai labile e che ogni carattere deve essere considerato come la risultante dell’azione contemporanea di più geni, tanto da poter essere considerato un “carattere polifattoriale”. Ogni gene può avere due o più alleli. Di questi, di solito, uno è il più diffuso in natura e viene indicato come “allele selvatico” o “wild type” ed è simboleggiato con “+”. Gli altri alleli vengono indicati come “mutanti”. Alleli = forme alternative dello stesso gene che non ne alterano la funzionalità ma ne modificano l’espressione. Locus (plurale: loci) = è la posizione (il sito) occupata dal gene sul cromosoma. Allo uno stesso locus dei due cromosomi omologhi di un organismo diploide, possono essere presenti: due alleli uguali = omozigote due alleli diversi = eterozigote. Tra i due diversi alleli presenti ad un locus vi può essere un rapporto di: dominanza = un allele sopprime l’espressione (la manifestazione )dell’altro; assenza di dominanza = la presenza dei due alleli dà luogo ad un fenotipo intermedio; codominanza = entrambi gli alleli si esprimono e vengono sintetizzati i prodotti genici (polipeptidi) codificati da entrambi. 29 GENETICA MENDELIANA Le leggi fondamentali dell’ereditarietà furono formulate per la prima volta da Gregorio Mendel (1865) e furono scoperte studiando il comportamento di una serie di caratteri monofattoriali (controllati da un solo gene) ciascuno dei quali era controllato da due alleli diversi tra i quali esiste un rapporto di dominanza. Mendel scelse come pianta il pisello (Pisum sativum L.), individuò sette coppie di caratteri alternativi e, per ciascuno di questi, si garantì, come prima cosa, di avere a disposizione una linea (ceppo, famiglia) stabile e cioè in grado di conservare il carattere da una generazione all’altra in seguito ad autofecondazione; in totale, perciò, aveva a disposizione 14 linee. Le sette coppie di caratteri alternativi erano le seguenti: Seme rotondo Seme con cotiledoni gialli Fiore purpureo Baccello rigonfio Baccello verde Fiori ascellari (sv. indet.) Fusto normale - Seme raggrinzito Seme con cotiledoni verdi Fiore bianco Baccello raggrinzito Baccello giallo Fiori apicali (sv. det.) fusto accorciato (nano) Eseguì tutti gli incroci, inclusi i reciproci – 14 in totale – tra linee portatrici dei caratteri alternativi. Esaminò la discendenza F1 di ciascun incrocio. Da ciascun individuo della generazione F1 ottenne, per autofecondazione, la generazione F2. P1 (seme giallo) X P2 (seme verde) F1 seme giallo F2 3 semi gialli : 1 seme verde DOMINANZA SEGREGAZIONE Da notare: L’azione di uno dei due alleli sopprime quella dell’altro Dominanza Il carattere scomparso in F1 riappare in F2 Segregazione I due alleli presenti in F1 si separano (ségregano) nei gameti e si riuniscono casualmente nel corso della fecondazione per dare la generazione F2. 30 Se una linea riproduce sé stessa in autogamia vuol dire che porta due fattori (alleli) uguali o, in altre parole, che è omozigote per quell’allele. I due fattori che controllano i due caratteri alternativi devono essere diversi. Quando si incrociano due omozigoti, si generano individui F1 nei quali sono presenti entrambi i fattori (alleli): si generano, cioè, individui eterozigoti. In questo caso, uno dei due alleli (allele dominante) impedisce la manifestazione (l’espressione) dell’altro (allele recessivo). Principio della Dominanza Quando un individuo F1 si riproduce, i due alleli si separano (sègregano) e si generano due tipi di gameti, sia maschili che femminili, ciascuno dei quali porta un fattore diverso. Principio della Segregazione Durante la fecondazione questi due tipi di gameti maschili e femminili si uniscono in maniera casuale e si generano genotipi omozigoti per un allele eterozigoti omozigoti per l’allele alternativo in rapporto 1 2 1 Poiché un allele è dominante sull’altro, il genotipo omozigote per il fattore dominante e quello eterozigote hanno fenotipo uguale. Nella generazione F2 i due fenotipi alternativi saranno perciò osservabili in un rapporto di 3 (fenotipo dominante) : 1 (fenotipo recessivo) Oltre che di segregazione tra alleli di una coppia, si parla perciò anche di segregazione dei caratteri Oltre a linee omozigoti per alleli che controllavano singole coppie di caratteri alternativi, Mendel si preoccupò di costituire e di mantenere linee omozigoti per due alleli dominanti o per due alleli recessivi di due coppie alleliche diverse. Analogamente a quanto fatto per le coppie di caratteri alternativi prese una alla volta, eseguì gli incroci tra linee omozigoti per due alleli di coppie alleliche diverse che, pertanto, presentavano, in maniera stabile, abbinamenti di caratteri alternativi ad altri abbinamenti (es. seme rotondo e con cotiledoni gialli vs. seme raggrinzito e con cotiledoni verdi). Eseguì le osservazioni sulla discendenza F1 di ciascun incrocio. Da ciascun individuo della generazione F1 ottenne, per autofecondazione, la discendenza F2 31 P1 (seme rotondo – cotiledoni gialli) X P2 (seme raggrinzito – cotiledoni verdi) seme rotondo – cotiledoni gialli F1 F2 9 s. rotondo cot. gialli : 3 s. rotondo cot. verdi 3 s.grinzoso cot. gialli 1 s. grinzoso cot. verdi Ciascuna delle due coppie di caratteri alternativi sègrega in rapporto 3 : 1. Infatti: (9 + 3) = 12 cotiledoni gialli : (3 + 1) = 4 cotiledoni verdi (9 + 3) = 12 seme rotondo : (3 + 1) = 4 seme grinzoso Quando un individuo F1 si riproduce, gli alleli alternativi che controllano una coppia di caratteri (cotiledoni gialli – cotiledoni verdi) si separano (sègregano) in maniera del tutto indipendente dagli alleli alternativi che controllano la seconda coppia di caratteri (seme rotondo – seme grinzoso). Si generano così 4 tipi di gameti ciascuno dei quali porta un allele che controlla un carattere di una coppia e un allele che controlla un carattere dell’altra coppia. Poiché il modo con il quale, nei gameti, gli alleli alternativi di una coppia si appaiano agli alleli alternativi dell’altra coppia è del tutto casuale, i quattro tipi di gameti si formano in proporzioni uguali e cioè, secondo il rapporto 1 : 1 : 1 : 1 . Di questi quattro tipi di gameti, due sono uguali ai gameti prodotti dai parentali della F1 (gameti parentali) e due son diversi (gameti ricombinanti) Il rapporto tra gameti parentali e gameti ricombinanti, in questo caso, è 1 : 1 Principio della Segregazione indipendente Nella fecondazione, questi quattro tipi di gameti si uniscono tra loro in modo del tutto casuale e si generano 16 combinazioni genotipiche le quali, per i rapporti di dominanza esistenti entro ciascuna coppia di alleli, danno luogo a 4 classi fenotipiche che sono tra loro in rapporto di 9 : 3 : 3 : 1 tra fenotipi dominanti per entrambi i caratteri (doppi dominanti), dominanti per un carattere e recessivi per il secondo, recessivi per il primo e dominanti per il secondo, recessivi per entrambi i caratteri (doppi recessivi). 32 In linea generale si può quindi affermare che in un diibrido (individuo eterozigote per due coppie alleliche) la segregazione indipendente prevede che i quattro tipi di gameti possibili si formino con uguale frequenza. Alla fecondazione, data la casualità con la quale è previsto che avvengano le unioni tra gameti maschili e gameti femminili, i diversi genotipi che si originano si formeranno con frequenza pari al prodotto delle frequenze gametiche. Come conseguenza, se tra i due alleli di ciascuna coppia vi è un rapporto di dominanza, nella generazione F2 si formeranno quattro classi fenotipiche in rapporto di 9 : 3 : 3 : 1. Esiste una procedura più immediata per verificare se due coppie alleliche sono indipendenti oppure no: è quella indicata come “reincrocio” o “incrocio di prova” oppure, con terminologia più tecnica, come “test cross”. Tale procedura consiste nell’incrocio tra il diibrido e l’omozigote doppio recessivo e, in caso di segregazione indipendente, porta alla formazione di una discendenza composta da quattro classi genotipiche (AaBb, Aabb, aaBb, aabb), alle quali corrispondono altrettante classi fenotipiche, tra loro in rapporto di 1 : 1 : 1 : 1 che riproduce esattamente il rapporto tra i quattro possibili tipi di gameti. Poiché tra le 4 classi gametiche si fa distinzione tra gameti parentali (uguali a quelli formati dai due parentali omozigoti del diibrido) e gameti ricombinanti (diversi da quelli formati dai due parentali omozigoti), è opportuno sottolineare che, stante la casualità con la quale i cromosomi omologhi si distribuiscono alla prima metafase meiotica, le classi gametiche parentali e quelle ricombinanti si formano con uguale frequenza. Vale anche la pena osservare che, date due coppie alleliche A/a e B/b, dove con A e B vengono indicati gli alleli dominanti e con a e b quelli recessivi, gli individui omozigoti per entrambe le coppie alleliche possono essere AABB e aabb ma anche AAbb e aaBB; indipendentemente dalle due situazioni, l’ibrido tra i due genitori omozigoti sarà sempre AaBb e i gameti che questo forma saranno sempre AB, Ab, aB, ab e, con segregazione indipendente, questi saranno sempre tra loro in rapporto di 1 : 1 : 1 : 1. Se le due coppie alleliche considerate sono indipendenti (situate su due coppie di cromosomi omologhi), il verificarsi del Crossing Over (C.O.) a carico dei cromatidi di una o di entrambe le coppie di omologhi non altera le frequenze delle quattro classi gametiche prodotte da un individuo. Tuttavia, è da osservare che in assenza di C.O. si originano due soli tipi di gameti da ogni meiosi, mentre in presenza di C.O. da ogni evento meiotico si originano quattro tipi di gameti, due parentali e due ricombinanti (vedi figura). INTERAZIONI GENICHE Tutte le considerazioni fatte fino ad ora presuppongono un rapporto di dominanza tra i due alleli di ogni coppia presa in esame: cotiledoni gialli cotiledoni verdi seme liscio seme grinzoso fiore purpureo fiore bianco polline allungato polline rotondo ecc. 33 Dopo la riscoperta delle leggi di Mendel prese così corpo l’idea che tra i due alleli di una coppia vi è una differenza funzionale in base alla quale uno dei due non svolge nessuna azione (recessivo) mentre l’altro fa tutto (dominante) Mano a mano che le ricerche genetiche progredivano, ci si rese conto che questa è un’estrema semplificazione. Vi possono infatti essere situazioni nelle quali le cose non vanno secondo quanto previsto da un normale rapporto di dominanza in base al quale un allele è definito come dominante se dà luogo alla stessa manifestazione fenotipica sia che si trovi in condizione omozigote oppure in condiozione eterozigote: GG = giallo Gg = giallo gg = verde LL = liscio Ll = liscio ll = grinzoso Gli scostamenti da questa situazione possono essere diversi. Dominanza parziale o incompleta = il fenotipo dell’eterozigote è diverso da quello dei due omozigoti. Se il fenotipo dell’eterozigote è intermedio tra quello dei due omozigoti si parla di Semidominanza o dominanza intermedia. Esempi: Colore del fiore nella bocca di leone Rosso (w+w+) x Bianco (ww) Rosa (w+w) F1 Rosa (w+w) F2 x Rosa (w+w) 1 Rosso (w+w+) : 2 Rosa (w+w) : 1 Bianco (ww) Colore del piumaggio nel pollo andaluso Bianco F1 Nero Nero azzurrato Nero azzurrato F2 x 1 Nero x Nero azzurrato 2 Nero azzurrato 1 Bianco Segregazione fenotipica in F2: 1 : 2 : 1 Spiegazione: L’intensità della pigmentazione è determinata dalla quantità di prodotto sintetizzato dal gene del colore che si traduce in quantità di pigmento. Se w+ lo produce e w no, gli omozigoti w+w+ hanno una quantità di prodotto doppia rispetto a quella degli eterozigoti w+w e quindi mostrano un colore più marcato. 34 Codominanza = il fenotipo dell’eterozigote mostra entrambi i fenotipi dei due omozigoti. Esempio: Reazione antigene – anticorpo nel controllo del gruppo sanguigno dell’uomo (Sistema M / N). Il tipo di segregazione fenotipica è uguale a quello della dominanza incompleta. Allelia multipla = un gene possiede alleli differenti dei quali, nello stesso genotipo, possono esserne presenti solamente due per volta allo stesso locus. Il fenotipo dell’eterozigote può essere uguale o diverso rispetto a quelli degli omozigoti a seconda degli alleli coinvolti. Esempi: Colore della pelliccia nel coniglio himalayano (4 alleli coinvolti) Reazione antigene – anticorpo nei gruppi sanguigni dell’uomo (sistema A / B / 0): tre alleli coinvolti. Il gene C, come il gene I, prendono il nome di “geni polimorfici”. Gli alleli del gene C o del gene I formano una “serie allelica” Negli alleli di una serie allelica è quasi sempre riconoscibile l’allele selvatico, di solito il più diffuso, indicato con il simbolo +. Gli altri alleli rappresentano delle mutazioni dell’allele selvatico e, di solito, sono recessivi rispetto a questo. La dominanza e le sue varianti sono da interpretare come “interazioni intra-locus” o interalleliche. Vi sono però manifestazioni fenotipiche che sono da vedere come la risultante di interazioni tra geni diversi (interazioni inter-locus): si parla di “azioni geniche complementari” e/o di “epistasia”. Esempi: Forma della cresta dei polli Colore del fiore del pisello Capacità cianogenetica del trifoglio bianco Forma del frutto della zucca Colore del frutto della zucca Forma della siliqua della Capsella Pleiotropia = un gene svolge più di una funzione. Esempio: Colore del fiore e dell’ipocotile della soia 35 LA RICOMBINAZIONE Definizioni: - E’ definita come generazione F1 la discendenza di un incrocio tra due individui omozigoti. - E’ definita come generazione F2 la discendenza ottenuta per autofecondazione da un individuo F1 o per incrocio tra due individui della generazione F1. - E’ definito come test-cross l’incrocio tra un individuo F1 e un individuo omozigote recessivo; il test-cross può perciò essere visto anche come l’incrocio di un individuo F 1 con il parentale recessivo e, per questo, viene anche indicato come “reincrocio”. -°-°-°-°-°-°Aspetti significativi della ricombinazione: 1 Due geni posti su cromosomi diversi segregano in maniera indipendente: F2 = 9 : 3 : 3 : 1 Test-cross = 1 : 1 : 1 : 1 (Reincrocio) 2 Si formano 4 classi fenotipiche, due delle quali con fenotipo uguale ai parentali e due con fenotipo nuovo. 3 Le prime vengono identificate come “classi parentali”, le seconde come “classi ricombinanti”. 4 La ricombinazione tra geni materni e paterni, e quindi tra i caratteri da essi controllati, è dovuta, in questo caso, al riassortimento casuale dei centromeri alla metafase della prima divisione meiotica. 5 Il numero di classi fenotipiche che si formano nella segregazione di una generazione F 2 oppure di un test-cross dipende dal numero di coppie alleliche coinvolte e, se n è il numero di coppie alleliche, il numero di classi fenotipiche è pari a 2n 6 Due geni che in F2 , oppure che con il test-cross, danno rapporti di segregazione significativamente diversi dal rapporto 9 : 3 : 3 : 1 oppure, rispettivamente, dal rapporto 1 : 1 : 1 : 1, sono situati sullo stesso cromosoma (fanno parte del medesimo gruppo di associazione o di concatenazione) e vengono indicati come “geni associati” o “geni concatenati”. 7 La ricombinazione (in senso proprio) è dovuta, in questo caso, al verificarsi del Crossing over (C. O.) tra i due geni (loci) considerati. 8 Lo scostamento rispetto al rapporto di 9 : 3 : 3 : 1 (o di 1 : 1 : 1 : 1) si manifesta con due classi fenotipiche più numerose e due meno numerose del dovuto; nel caso del test-cross, rispettivamente > di ¼ e < di ¼. 36 9 Nel caso del test-cross, le quattro classi fenotipiche sono comunque ugualmente numerose due a due: le due più numerose sono le classi “parentali”; le due meno numerose sono le classi “ricombinanti”. 10 Lo scostamento rispetto al rapporto di segregazione di 1 : 1 : 1 : 1, tipico del test-cross, è dovuto al fatto che il C.O. non si verifica in tutte le meiosi; infatti, poiché da ogni meiosi nella quale avviene il C.O. si ottengono due gameti parentali e due ricombinanti, se il C.O. avvenisse in tutte le meiosi si dovrebbe avere il 50% di gameti parentali e il 50% di gameti ricombinanti. Viceversa, poiché il C.O. non si verifica in tutte le meiosi, i gameti parentali si formano con frequenza maggiore rispetto ai ricombinanti. In questo caso è pertanto evidente che si formeranno con maggior frequenza combinazioni che coinvolgono i gameti parentali rispetto a quelle nelle quali entrano i gameti ricombinanti. 11 La frequenza con la quale avviene il C.O. tra due loci ne determina la frequenza di ricombinazione la quale è misurata dal rapporto tra la somma dei ricombinanti e il totale degli individui esaminati e non può mai superare il 50%. 12 La frequenza di ricombinazione tra due loci concatenati è caratteristica di quei due loci e dipende dalla loro distanza; altrettanto, la frequenza di ricombinazione tra più geni associati presi due a due dipende dalla loro posizione reciproca. 13 E’ possibile misurare la distanza tra due geni associati utilizzando la frequenza di ricombinazione (due loci ricombinano con frequenza tanto maggiore quanto più sono lontani). 14 Come unità di misura della distanza tra due loci viene assunta quella distanza per la quale la frequenza di ricombinazione tra i due loci è pari all’1%; a questa unità viene dato il nome di centimorgan (cm). 15 Le distanze tra una serie di loci concatenati sono additive; è quindi possibile stabilire una successione logica e una posizione relativa dei diversi loci sul cromosoma in base alla loro frequenza di ricombinazione relativa (A/B = 20%; B/C = 5%; A/C = 15%; la posizione relativa è A---------------C-----B e le distanze relative saranno 15 cm tra A e C, 5 cm tra C e B e 20 cm tra A e B). 16 Questa operazione prende il nome di mappatura e consente di costruire le mappe genetiche nelle quali, per ciascun cromosoma, sono indicate le posizioni dei geni rispetto al centromero e tra loro. 17 Lo strumento fondamentale per la costruzione delle mappe genetiche è il test-cross il quale può essere applicato ad una serie di geni prendendoli in considerazione due per volta: il test-cross viene anche indicato, in questo caso, come “test a due punti”. 18 Con il test a due punti si arriva, come massimo, a misurare una distanza di 50 cm corrispondente ad una frequenza di ricombinazione del 50% (il C.O. avviene in tutte le meiosi). 37 Test del chi quadrato (2) Il test del 2 è un test statistico di dispersione o di scostamento che, applicato all’analisi genetica, mette a confronto una serie di valori osservati con una serie corrispondente di valori attesi. Un test statistico è una procedura che consente di calcolare la probabilità in favore dell’ipotesi che le differenze (fra valori osservati e valori attesi, fra una serie di valori, fra un valore e una serie di altri) siano dovute unicamente al caso (ipotesi nulla); in base al valore della probabilità così calcolata si decide se rifiutare o accettare l’ipotesi nulla. Applicato all’analisi genetica, il test del 2 è da vedere come un test di significatività e viene utilizzato per verificare se un certa segregazione fenotipica, osservata in un test cross o in una generazione F2, sia in accordo con la segregazione attesa in base all’assortimento casuale dei centromeri materni e paterni (segregazione indipendente= ipotesi nulla) oppure se debba essere attribuita al fatto che i loci considerati sono associati. La necessità di ricorrere ad un test statistico per stabilire questo, deriva dal fatto che, per solo effetto del caso, i valori osservati in una segregazione indipendente non coincidono mai con quelli attesi e si scostano da questi in maniera più o meno evidente. In presenza di una segregazione che si scosta da quella attesa, le domande alle quali rispondere sono allora: - siamo autorizzati a ritenere tale scostamento come dovuto esclusivamente al caso oppure lo dobbiamo attribuire al fatto che i geni coinvolti sono associati? oppure: qual è il livello di probabilità rispetto al quale possiamo ritenere lo scostamento dovuto solamente al caso? oppure, ancora: quanto grande deve essere lo scostamento tra valori attesi e valori osservati perché lo si possa ancora ritenere dovuto solamente al caso? In altri termini, queste domande possono anche essere formulate nel modo seguente: - siamo autorizzati a ritenere valida, e quindi ad accettare, l’ipotesi nulla? qual è il livello di probabilità rispetto al quale possiamo ritenere valida l’ipotesi nulla? quanto grande deve essere lo scostamento tra valori attesi e valori osservati perché l’ipotesi nulla possa essere ritenuta ancora valida? Quando i valori osservati coincidono con i valori attesi il valore del 2 è uguale a 0 (2 = 0). A mano a mano che aumenta la differenza fra valori osservati e attesi, il valore di 2 aumenta. Per decidere se i valori osservati sono in accordo con quelli attesi, cioè se l’ipotesi nulla può essere accettata, è necessario confrontare il 2 calcolato con una serie di valori tabulari relativi alla sua distribuzione teorica calcolata per un numero diverso di gradi di libertà e per livelli diversi di probabilità. 38 Gradi di libertà (g.l.) = numero di confronti indipendenti che possono essere fatti tra due serie di dati o di valori. Es. = Nella segregazione di un test cross condotto su un diibrido si osservano i valori: 375; 75; 85; 365; totale = 900. Se si trattasse di segregazione indipendente, i valori attesi sarebbero: 225; 225; 225; 225; totale = 900. Se ora si mettono a confronto le due serie di valori e si calcolano le differenze algebriche tra le prime tre coppie, si ha: 375 225 = 150; 75 225 = 150; 85 225 = 140. Poiché le somme delle due serie di valori sono uguali, la somma delle differenze tra i valori di una serie e i valori dell’altra deve essere uguale a 0. E’allora evidente che la differenza tra i valori dell’ultima coppia deve essere uguale a 140; infatti: 365 225 = 140. L’ultima differenza è quindi predeterminata nel momento in cui si conoscano le altre tre; il numero di confronti indipendenti, in questo caso, è pari a tre e tre è anche il numero di gradi di libertà. I valori tabulari (teorici) di 2 sono quelli che, per puro effetto del caso, si verificano, per un determinato numero di gradi di libertà, con una probabilità del 5% o dell’1%. Questi due livelli di probabilità sono quelli ai quali si fa di solito riferimento nell’analisi genetica. Il valore tabulare 2 = 11,341 relativo a 3 g.l. per un livello di probabilità dell’1% sta perciò ad indicare che valori di 2 11,341 sono osservabili per puro effetto del caso solamente in 1 caso su 100, mentre in 99 casi su 100 sono osservabili in virtù di una reale mancanza di aderenza tra valori osservati e valori attesi. Un valore di 2 11,341 è cioè troppo raro perché si verifichi per puro caso; l’ipotesi in base alla quale i valori osservati sono conformi a quelli attesi (ipotesi nulla) è pertanto da scartare. Viceversa, se 2 < 11,341, vi è più dell’1% di probabilità che lo scostamento tra valori attesi e valori osservati sia dovuto al caso. E’ forse opportuno osservare che i livelli di probabilità indicati nella tabella qui sotto riportata sono da interpretare come la probabilità che si ha di sbagliare scartando l’ipotesi nulla con valori di 2 uguali o superiori a quelli tabulari. Valori teorici di 2 Gradi di libertà (g.l.) 1 2 3 4 5 6 Probabilità Gradi di libertà (g.l.) 5% 1% 3,841 5,991 7,815 9,488 11,070 12,592 6,635 9,210 11,341 13,277 15,086 16,812 7 8 9 10 20 30 Probabilità 5% 1% 14,067 15,507 16,919 18,307 31,410 43,770 18,475 20,090 21,666 23,209 37,570 50,890 (xoss. xatt.)2 2 = xatt. 39 MUTAZIONI Viene definito come mutazione qualunque cambiamento stabile, e perciò ereditabile, del materiale genetico e dell’informazione genetica che esso porta, non causato da ricombinazione. Un individuo, mono o pluricellulare, che porti una mutazione è un mutante. Ogni mutazione stabile di un gene che ne modifichi la manifestazione fenotipica ma che non ne alteri la funzionalità rappresenta un allele di quel gene. In linea generale, le mutazioni di un gene rappresentano alleli recessivi del gene selvatico. Una mutazione recessiva si verifica quando un gene perde la sua funzione originaria o, meglio, quando il polipeptide che esso produce non è più in grado di svolgere la propria funzione originaria. La mutazione recessiva è pertanto un tipico allele “perdita di funzione”. Al contrario, una mutazione dominante si verifica quando un gene acquisisce una nuova funzione o, meglio, quando il polipeptide che esso produce è in grado di svolgere una funzione diversa da quella originaria. La mutazione dominante è pertanto un tipico allele “acquisto di funzione”. I mutanti sono quindi estremamente utili nello studio della funzione dei geni. Se la mutazione si ripercuote direttamente sul carattere controllato da un certo gene e non altera la vitalità dell’individuo che la porta, se ne può studiare l’ereditarietà secondo i normali rapporti di segregazione fenotipica previsti dalla genetica mendeliana. Vi sono però mutazioni che alterano più o meno profondamente il metabolismo di un organismo compromettendone più o meno radicalmente la capacità di riproduzione o di sopravvivenza. Di queste mutazioni è evidentemente difficile, se non impossibile, seguire l’ereditarietà sulla base dei normali rapporti di segregazione in quanto gli omozigoti e, a volte, gli eterozigoti per la mutazione si sottraggono all’osservazione. Sulla base di queste considerazioni si può allora fare una distinzione tra: Mutazioni visibili = alterano un aspetto del carattere che controllano Forma del seme (carattere) liscio - grinzoso (aspetto) Colore dei cotiledoni (carattere) giallo - verde (aspetto) Colore dell’occhio (carattere) colori diversi (aspetto) Mutazioni sterili = esercitano un’azione negativa sulle capacità riproduttive degli individui mutanti i quali presentano fertilità ridotta o nulla. 40 Mutazioni letali = alterano drasticamente una funzione vitale e determinano la morte degli individui omozigoti per la mutazione. Una misura quantitativa delle mutazioni può essere fornita da: tasso di mutazione = è la probabilità che un determinato evento di mutazione avvenga in un determinato tempo; di solito si fa riferimento alle generazioni, per cui si parla di numero di mutazioni per gene (o per coppia di nucleotidi, o per sequenza) per generazione. frequenza di mutazione = è il numero di eventi di un particolare tipo di mutazione espresso come quota di individui o di cellule mutanti nella popolazione di riferimento; si parla perciò di 1 x 105 1 x 107 individui o cellule. Rispetto alla localizzazione si fa la distinzione tra: Mutazione somatica = interessa esclusivamente cellule somatiche; dà luogo ad aree (tessuti, organi) mutate, le cosiddette “chimere”. Mutazione della linea germinale = interessa le cellule dalle quali si origineranno i gameti i quali ne saranno portatori e la trasmetteranno sia alle cellule somatiche sia a quelle germinali degli individui che da essi si originano. Rispetto all’origine, si fa distinzione tra: Mutazioni spontanee = insorgono naturalmente, generalmente come conseguenza di modificazioni delle normali situazioni fisiologiche della cellula che possono provocare alterazioni nei meccanismi di duplicazione o di riparazione del DNA. Mutazioni spontanee possono anche insorgere per azione di sequenze particolari (elementi trasponibili o trasposoni). Gli elementi trasponibili sono tratti di DNA che possono muoversi autonomamente da un sito ad un altro all’interno del genoma integrandosi con questo e provocando modificazioni nell’espressione e nell’attività dei geni localizzati nel sito di inserzione o nei siti adiacenti. Secondo il tipo, un traspostone che si inserisce in una nuova posizione può lasciare una copia di se tesso nel sito di origine oppure può escindersi direttamente. Nel sito di inserzione, gli elementi integrati sono fiancheggiati da sequenze duplicate del DNA del sito bersaglio. Poiché gli elementi trasponibili provocano riarrangiamenti cromosomici più o meno estesi, è evidente che essi possono interferire sia con l’espressione del gene nel quale si inseriscono, sia con l’attività dei geni adiacenti al sito di inserzione. Si ritiene che gli elementi trasponibili abbiano dato un notevole contribuito all’evoluzione del genoma, in generale e di quello vegetale in maniera particolare. Mutazioni indotte = derivano dal trattamento di cellule o tessuti con agenti mutageni chimici o fisici che danneggiano in misura più o meno rilevante il DNA: la mutazione insorge per la mancata riparazione di tale danno. La conseguenza di un trattamento mutageno è un incremento significativo del tasso naturale di mutazione di una certa specie o di un certo gene. I mutageni chimici possono agire con meccanismi diversi: provocando una sostituzione di basi, modificando chimicamente le basi, intercalandosi nella sequenza delle basi. 41 I mutageni fisici sono generalmente rappresentati da radiazioni ad alta energia caratterizzate da potere penetrante più o meno elevato e in grado, quindi, di provocare alterazioni più o meno pesanti nella struttura del genoma. Da questo punto di vista, viene fatta una netta distinzione fra radiazioni non ionizzanti (radiazioni ultraviolette) e radiazioni ionizzanti (raggi X, radiazioni β o radiazioni γ) Rispetto all’entità della modificazione, si è soliti distinguere tra: Mutazione genica = qualunque alterazione della sequenza codificante, inclusa la sostituzione, l’inserzione o la delezione di una o più coppie di basi all’interno di una sequenza codificante. Se l’alterazione riguarda un’unica coppia di basi, si parla di mutazione puntiforme Mutazione o aberrazione cromosomica = interessa un cambiamento nell’organizzazione di uno o più cromosomi. Mutazione genomica = riguarda un cambiamento del numero di cromosomi che costituiscono il genoma di una specie. Mutazioni puntiformi o geniche Possono essere dovute a sostituzioni, inserzioni o delezioni di coppie di basi. Nelle sostituzioni si fa distinzione tra: mutazioni per transizione, quando una coppia purina-pirimidina è sostituita da un’altra coppia purina-pirimidina ( AT GC; GC AT; TA CG; CG TA). mutazioni per transversione, quando una coppia purina-pirimidina è sostituita da una coppia pirimidina-purina (AT TA e viceversa, GC CG e viceversa, AT CG e viceversa GC TA e viceversa. Le mutazioni per sostituzione possono avere effetto fenotipico diverso a seconda dell’entità dell’errore di lettura che esse provocano. mutazioni missenso = il cambiamento di una coppia di basi nel DNA provoca un cambiamento nel codone dell’RNA con il risultato che nel polipeptide viene inserito un aminoacido diverso da quello originario (selvatico). La mutazione può provocare allora la sintesi di un polipeptide alterato e, quindi, di una proteina funzionalmente diversa e meno efficiente. E’ ciò che accade in seguito alla sostituzione di una coppia di nucleotidi nella sequenza del gene per la -globina; tale fatto provoca la sostituzione di un acido glutammico con la valina in posizione 6 della molecola della proteina. L’individuo omozigote per questa mutazione ha le molecole di -emoglobina alterate ed è affetto da anemia falciforme (globuli rossi di forma alterata anziché normale). La mutazione missenso può anche non avere alcun effetto se la sostituzione di un aminoacido con un altro lascia inalterata la funzionalità della proteina; si parla in questo caso di mutazione neutra 42 La mutazione può anche non avere effetto fenotipico se: a – la sostituzione di un aminoacido con un altro non comporta una profonda alterazione funzionale nella proteina (può essere assimilata ad una mutazione neutra). b – la sostituzione di una coppia di basi con un’altra provoca la formazione di un codone che codifica per lo stesso aminoacido (degenerazione del codice genetico). SI parla, in questo caso, di mutazione silente. Mutazione nonsenso = si verifica quando la modificazione di una coppia di basi porta alla formazione di un codone che non codifica per alcun aminoacido e cioè per un codone di stop. In questo caso, com’è evidente, la sintesi del polipeptide si interrompe e si ha la formazione di una proteina non funzionale. Mutazioni frameshift = si verificano quando, per l’inserzione o la delezione di una coppia di basi, si verifica uno scivolamento della fase di lettura che comporta inevitabilmente la lettura di codoni diversi da quelli corretti. Se la mutazione interessa una sequenza codificante per un polipeptide, questo significa che si possono generare polipeptidi più corti o più lunghi del dovuto e, comunque, non funzionanti. Esempio: THE FAT CAT ATE THE BIG RAT THE FTC ATA TET HEB IGR AT A deleto THE FAT CAT ATT ETH EBI GRA T T inserito La frase, dal punto di delezione o da quello di inserzione in poi, non ha più alcun senso. Gli effetti di una mutazione genica possono regredire (revertire o essere annullati) sia per ripristino della sequenza modificata al suo stato originale (reversione vera), sia come conseguenza di un nuovo evento di mutazione in un sito diverso da quello nel quale è avvenuta la prima mutazione (mutazione soppressore). Mutazioni cromosomiche Sono cambiamenti della struttura dei cromosomi rispetto alla condizione normale. La delezione comporta la perdita di un tratto di cromosoma e può essere provocata da calore o da radiazioni, in particolare da quelle ionizzanti. Le sue conseguenze dipendono dal tipo di geni o dalle parti di geni che vengono perduti. Un individuo eterozigote per una delezione può essere normale se il cromosoma non alterato porta un allele normale, ma se porta un allele recessivo con effetto negativo l’effetto può essere letale. Se la delezione interessa la zona del centromero, si forma un cromosoma acentrico che verrà perso nel corso della meiosi. La duplicazione implica il raddoppiamento di un tratto di cromosoma (in posizione diversa o a tandem) con conseguente alterazione dell’appaiamento tra cromosomi omologhi nel corso della meiosi. In linea di massima si ritiene che le duplicazioni siano sopportate meglio delle delezioni e sembra accertato che abbiano avuto un ruolo importante 43 nell’evoluzione dei geni multipli che svolgono funzioni correlate (famiglie geniche). Un esempio può essere quello dei geni dell’emoglobina nell’uomo. L’inversione può essere pericentrica (include il centromero) o paracentrica (non comprende il centromero). In linea generale l’inversione non comporta la perdita di materiale genetico, anche se può comportare delle conseguenze se la rottura del cromosoma avviene all’interno di un gene. L’inversione può essere omozigote oppure eterozigote. Nel primo caso non vi sono conseguenze a livello meiotico, in quanto l’appaiamento tra omologhi avviene normalmente. Nel secondo caso, invece, la presenza dell’inversione provoca appaiamento irregolare, con formazione di cromosomi acentrici e dicentrici che vanno persi, e assenza di ricombinazione nel segmento invertito, tanto che l’inversione viene anche identificata come un soppressore della ricombinazione. La traslocazione comporta il cambiamento di posizione di tratti di cromosoma, senza aumento o perdita di materiale genetico, analogamente all’inversione. Si possono verificare due tipi di traslocazione: - traslocazione intracromosomica = implica lo spostamento di un tratto cromosomico da un punto all’altro dello stesso cromosoma; - traslocazione intercromosomica = comporta lo spostamento di un tratto cromosomico da un cromosoma ad un altro; in questo caso si fa distinzione fra: - traslocazione reciproca, quando due cromosomi si scambiano porzioni di cromosoma; - traslocazione non reciproca, quando lo spostamento avviene in una sola direzione. Le conseguenze delle mutazioni o aberrazioni cromosomiche si riflettono, in linea generale, sulla gametogenesi e, quindi, sulla fertilità degli individui che ne sono affetti. Tali conseguenze, tuttavia, in particolare per quelle mutazioni che non comportano la perdita di informazione genetica (duplicazioni, inversioni , traslocazioni) sono sostanzialmente diverse a seconda che la mutazione sia in condizione omozigote oppure eterozigote. Nel primo caso, a meno di interruzioni di sequenze nei siti di rottura del cromosoma, l’informazione genetica non viene né persa né alterata e la mutazione può anche non avere conseguenze dannose. Nel secondo caso, invece, la mutazione comporta sempre difficoltà di appaiamento tra cromosomi omologhi durante la meiosi e, quindi, un’alterazione più o meno marcata nella produzione dei gameti (gameti non funzionanti, gameti sbilanciati), che può significare o una riduzione netta della fertilità dell’individuo mutato oppure la manifestazione di alterazioni fenotipiche più o meno importanti nella sua discendenza. 44 Mutazioni genomiche Un organismo o una cellula sono definiti euploidi quando presentano un assetto cromosomico completo o un multiplo esatto di assetti cromosomici completi. Questa condizione è definita come euploidia. Un organismo o una cellula sono definiti aneuploidi quando presentano un assetto cromosomico incompleto, o ridondante, per la mancanza o la presenza in eccesso di uno o più cromosomi singoli.La condizione è definita come aneuploidia. Variazioni nel numero di cromosomi che portano ad una situazione di aneuploidia possono verificarsi per mancata o irregolare disgiunzione di una o più coppie di cromosomi omologhi in prima o seconda divisione meiotica nel corso della gametogenesi. Le situazioni aneuploidi che si possono verificare sono diverse e qui di seguito ne sono indicate alcune. Diploidia (2n) = situazione normale 1 2 3 4 Monosomia (2n – 1) = perdita di un singolo cromosoma da una qualunque coppia di cromosomi omologhi Nullisomia (2n – 2) = perdita di una coppia di cromosomi omologhi 1 2 3 4 Trisomia (2n + 1) = acquisizione di un singolo cromosoma. Vi sono 3 copie dello stesso cromosoma 1 2 3 4 Doppia Monosomia (2n + 1 + 1) = perdita di un cromosoma da ciascuna didue coppie di cromosomi omologhi. 1 2 3 4 Tetrasomia (2n + 2) = acquisizione di due cromosomi di una stessa coppia di omologhi. Vi sono 4 copie dello stesso cromosoma 1 2 3 4 ecc. 45 Tutte le forme di aneuploidia sono letali o sub-letali per gli animali, mentre sono molto meglio sopportate dalle piante nelle quali sono state utilizzate, in passato, come un importante mezzo di ricerca per studiare la funzione dei geni situati su singoli cromosomi. Forme aneuploidi sono anche osservabili, più frequentemente che in quelle animali, nelle popolazioni naturali di diverse specie vegetali. Un organismo o una cellula vengono definiti euploidi quando presentano uno o più assetti cromosomici in eccesso rispetto alla situazione diploide normale. Si fanno ricadere tra gli euploidi anche le situazioni monoploidi nelle quali è presente un unico assetto cromosomico aploide (n). A titolo di esempio sono indicate qui di seguito alcune tra le situazioni euploidi più comuni. Assetto normale (diploide = 2n) 1 2 3 4 Monoploidia (n) coincide con l’aploidia (*) 1 2 3 4 Triploidia (3n) 1 2 3 4 Tetraploidia (4n) 1 2 3 4 ecc. (*) = Il termine “aploide” è di solito usato per descrivere la situazione dei gameti, nei quali è presente un numero di cromosomi pari alla metà di quello proprio delle cellule somatiche. La situazione monoploide è rara e, tra gli animali, è presente in api, vespe, formiche, in individui provenienti da uova non fecondate. Nelle piante, individui monoploidi possono essere ottenuti artificialmente mediante la coltura di antere o di microspore oppure di ovuli non fecondati. Gli individui monoploidi 46 (aploidi) possono essere vantaggiosamente utilizzati per ottenere i cosiddetti aploidi diploidizzati, o diplo-aploidi, mediante trattamento con colchicina dell’apice vegetativo, caratterizzato dalla presenza di cellule meristematiche in attiva divisione, e conseguente raddoppiamento del numero cromosomico (n 2n). Il trattamento con colchicina, alcaloide inizialmente identificato nella specie Colchicum autunnale, ha infatti l’effetto di bloccare la formazione del fuso mitotico nel corso della divisione cellulare. In questo modo si possono ottenere individui completamente omozigoti anche partendo da piante eterozigoti. La situazione polipoide è invece molto comune nelle specie vegetali dove ha rappresentato uno strumento di notevolissima importanza dal punto di vista evolutivo. Circa la metà dei generi di piante conosciute contiene specie polipoidi e sono polipoidi i due terzi delle graminacee. La moltiplicazione del genoma è perciò da ritenere un evento mutazionale piuttosto comune tra le angiosperme ed ha contribuito in modo marcato alla speciazione, soprattutto tra le specie arboree. Una conseguenza abbastanza generalizzata della poliploidia è l’aumento delle dimensioni cellulari che, in generale, si traduce in un aumento di dimensioni dell’organismo. Le specie polipoidi tendono ad essere più grandi delle loro omologhe diploidi e questo implica, di solito, la tendenza a produrre semi, frutti, radici, foglie di maggiori dimensioni e, quindi, a fornire una più consistente produzione utile. E’ presumibilmente per questo motivo che esempi di poliploidia sono molto frequenti tra le specie coltivate le quali, per circa due terzi, sono da ritenersi polipoidi (2n > 18). Tra le piante coltivate è inoltre abbastanza agevole rintracciare quelle che sono individuate come “serie polipoidi” che comprendono specie con numeri di cromosomi che, per ciascuna serie, sono multipli di uno stesso numero cromosomico di base. In qualche caso si tratta di specie a diverso grado di evoluzione o a diverso tipo di utilizzazione e che raccordano molto chiaramente le specie coltivate attuali con quelle di più antica domesticazione o con le specie ancestrali. A seconda dell’origine degli assetti cromosomici, si fa distinzione tra: autopoliploidia = quando tutti gli assetti cromosomici derivano dalla medesima specie; allopoliploidia = quando gli assetti cromosomici derivano da specie diverse. Nei poliploidi non sono rari fenomeni più o meno accentuati di sterilità in quanto, alla meiosi, possono formarsi gameti scompensati (n ± 1) che, unendosi o tra loro o con gameti normali, possono formare zigoti scarsamente vitali, o completamente non in grado di sopravvivere, oppure sterili. La sterilità è particolarmente frequente negli autopoliploidi nei quali, la presenza di serie di cromosomi uguali comporta difficoltà di appaiamento degli omologhi alla prima divisione meiotica che possono causare anche perdita di tratti di uno o più cromosomi con perdita di informazione genetica e la conseguente formazione di gameti non vitali. In molte specie (es. graminacee) questi fenomeni sono superati o con la propagazione vegetativa oppure con meccanismi che comportano la formazione di semi senza che vi sia unione tra gameti (apomissia). 47 GAMETOGENESI NORMALE GAMETOGENESI ALTERATA gameti ridotti (n = 5) gameti non ridotti (2n = 10) AUTOPOLIPLOIDIA OMOZIGOTE genitore diploide gameti non ridotti 2n = 10 autotetraploide omozigote 2n = 10 4n = 20 AUTOPOLIPLOIDIA ETEROZIGOTE genitore 1 (2n= 10)q gameti non ridotti (2n = 10) genitore 2 (2n=10) gameti non ridotti (2n = 10) autopoliploide eterozigote (4n = 20) 48 Tra gli autopoliploidi, inoltre, è opportuno distinguere fra omozigoti e eterozigoti (vedi figura). In questo caso, il termine “omozigote” sta ad indicare che nella costituzione genetica dell’autopoliploide non vi è unione tra gameti di individui diversi. Il termine “eterozigote” indica invece che la situazione polipoide si è generata con il contributo di individui diversi. I due termini non fanno quindi riferimento al tipo di alleli presenti nel polipoide. autopoliploidi omozigoti = si originano per unione di gameti non ridotti prodotti dallo stesso individuo oppure in seguito a duplicazione del numero di cromosomi in cellule somatiche (meristematiche) di un individuo originatosi per autofecondazione, come conseguenza di irregolarità nella mitosi analoghe a quelle indotte dal trattamento con colchicina. autopoliploidi eterozigoti = si originano dall’unione di gameti non ridotti prodotti da individui diversi della stessa specie, oppure in seguito a duplicazione del numero di cromosomi in cellule somatiche (meristematiche) di un individuo originatosi per incrocio. Livelli di poliploidia particolari (3n, 5n, 6n e superiori si sono probabilmente originati per unione di gameti non ridotti (2n) con gameti normali (n) o per duplicazione di livelli di ploidia intermedi: 2n + n = 3n; 3n + 2n = 5n; 3n x 2 = 6n, ecc. Una annotazione a parte meritano gli autopoliploidi in quanto presentano un particolare modello di ereditarietà che è indicato come “eredità tetrasomica” per distinguerlo da quello osservabile in una specie diploide e che è indicato come “eredità disomica”. Vale anche la pena ricordare che nei vegetali esistono e sono stati identificati geni che controllano l’appaiamento cromosomico alla meiosi e dalla cui espressione può quindi dipendere la possibilità della regolare formazione dei gameti. I poliploidi di nuova formazione, sia omozigoti che eterozigoti, presentano generalmente un’accentuata variabilità per la maggior parte delle loro caratteristiche morfologiche e fisiologiche e, proprio per questo, sono generalmente caratterizzati da una maggiore capacità adattativa rispetto ai corrispondenti diploidi da cui derivano. E’ ovvio che tale variabilità sarà tanto più elevata quanto maggiore è la diversità genetica dei genomi che si uniscono. Come si è detto, gli allopoliploidi si originano per unione di gameti prodotti da individui di specie diverse. Anche in questo caso l’unione può essere tra gameti maschili e femminili non ridotti oppure tra un gamete non ridotto di una specie e un gamete normale dell’altra, oppure, ancora, per unione di gameti normali delle due specie e successivo raddoppiamento del numero di cromosomi dell’ibrido interspecifico sterile. In ogni caso, gli allopoliploidi presentano un livello di fertilità superiore a quello degli autopoliploidi in quanto ciascuno dei due assetti cromosomici provenienti dalle due specie ha la possibilità di appaiarsi normalmente alla meiosi. Non è quindi casuale che tra le specie coltivate i casi di autopoliploidia siano estremamente rari mentre, al contrario, l’allopoliploidia è di gran lunga la più diffusa e ad essa è riconosciuto un ruolo estremamente importante per la loro evoluzione. 49 Emblematica, da questo punto di vista, è la storia evolutiva dei generi Triticum, Brassica e Fragaria. Anche gli allopoliploidi possono essere costituiti artificialmente facendo ricorso alla ibridazione interspecifica tra individui 2n. Da questa è possibile ottenere un ibrido il quale, pur essendo in molti casi in grado di sopravvivere e vegetare regolarmente, risulta però sterile proprio per l’impossibilità dei cromosomi delle due specie di appaiarsi regolarmente nel corso della meiosi. Il trattamento con colchicina dell’apice vegetativo, inducendo il raddoppiamento del numero di cromosomi, ripristina la regolarità del processo meiotico e,quindi, anche la fertilità dell’ibrido. Esistono anche almeno due esempi di specie nuove costituite artificialmente con questa procedura, Triticale e Tritordeum derivate, rispettivamente dall’incrocio Triticum x Secale e Triticum x Hordeum. Un fenomeno diverso, che ha contribuito moltissimo all’evoluzione di alcune specie coltivate e che implica comunque l’ibridazione interspecifica è l’introgressione. Con questo processo, ad una iniziale ibridazione interspecifica tra due specie più o meno lontane fa seguito una serie di ulteriori incroci dell’ibrido su una delle due specie parentali con conseguente ricostituzione della maggior parte del genoma della specie ricorrente e con l’acquisizione di una parte più o meno rilevante del genoma dell’altra. Esempi di questo si hanno nel mais (Zea mais) e nel girasole (Helianthus annuus). GAMETOGENESI NORMALE (gameti ridotti) Specie A pianta 2 Specie A pianta 1 Specie B pianta 1 GAMETOGENESI ALTERATA (gameti non ridotti) Autotetraploide eterozigote Allotetraploide 50 IL SISTEMA RIPRODUTTIVO NEI VEGETALI Il sistema riproduttivo dei vegetali può essere definito come “insieme di strutture e di processi che predispongono ad un certo tipo di impollinazione e determinano il tipo di gamia” Si parla di autoimpollinazione quando il polline prodotto dall’organo maschile (antera) di un fiore cade, o viene portato, sull’organo femminile (pistillo) dello stesso fiore o di un altro fiore dello stesso individuo. Si parla invece di alloimpollinazione quando il polline di un fiore cade, o viene portato, sul pistillo del fiore di un individuo diverso da quello sul quale il polline è maturato. Analogamente, si parla di autofecondazione o di autogamia quando si uniscono gameti maschili (♂) e femminili (♀) prodotti dallo stesso individuo e di allofecondazione o fecondazione incrociata o allogamia quando si uniscono gameti ♂ e ♀ prodotti da individui diversi. Il fiore di una pianta può essere completo o incompleto e, in relazione alla presenza o meno di tutti gli organi demandati a svolgere la funzione riproduttiva, un fiore può essere classificato come ermafrodita (♀) = se è provvisto di stami e pistilli; staminato o maschile (♂) = se è provvisto solamente di stami; pistillato o femminile (♀) = se è provvisto solamente di pistilli. Con la stessa terminologia vengono indicati, rispettivamente, gli individui e le popolazioni di individui anche se, in questo caso, la classificazione si complica con denominazioni nuove. Singola pianta: ermafrodita = solamente con fiori ermafroditi monoica = con fiori maschili e femminili androica = solamente con fiori maschili ginoica = solamente con fiori femminili andromonoica = con fiorio ermafroditi e maschili ginomonoica = con fiori ermafroditi e femminili trimonoica = con fiori ermafroditi, maschili e femminili Gruppo di piante (popolazione o specie): ermafrodita = solamente con piante ernmafrodite monoica = solamente con piante monoiche dioica = con piante androiche e ginoiche androdioica = con piante ermafrodite e androiche ginodioica = con piante ermafrodite e ginoiche subdioica = con piante ermafrodite, androiche e ginoiche 51 Una delle classificazioni adottabili per le specie a fiore, che mette in relazione il tipo di struttura fiorale con il tipo di gamia, può essere la seguente: Specie dioiche = fiori unisessuati I fiori ♂ e ♀ sono portati da individui diversi (es. canapa, spinacio, luppolo, asparago) Allogamia esclusiva; autogamia impossibile Specie monoiche dicline = fiori unisessuati (♂ e ♀) sullo stesso individuo (es. mais, ricino) Allogamia prevalente; autogamia possibile monocline = fiori ermafroditi (specie ermafrodite). Vengono distinte in: dicogame = stigmi e antere dello stesso fiore maturano in tempi diversi protandre (proterandre) = le antere maturano prima degli stigmi protogine (proterogine) = gli stigmi maturano prima delle antere Allogamia favorita; autogamia non esclusa omogame = stigmi e antere dello stesso fiore maturano contemporaneamente casmogame = fiori aperti alla maturazione del polline e dello stigma Autogamia favorita cleistogame = fiori chiusi alla maturazione del polline e dello stigma Autogamia esclusiva Fatta eccezione per le specie dioiche, in tutte le altre situazioni possono verificarsi casi di autoincompatibilità e/o maschiosterilità che possono condizionare più o meno il tipo di gamia al quale la pianta è predisposta in base alla sola struttura fiorale e ai tempi di maturazione degli organi sessuali. 52 POPOLAZIONI ALLOGAME: Generalità ALLOGAMIA = è il sistema riproduttivo in base al quale la fecondazione avviene tra gameti maschili e femminili prodotti da individui diversi. Si definisce come allogama una specie nella quale il sistema riproduttivo abituale è l’allogamia. Se si ammette che in una popolazione di una specie allogama l’unione tra gameti maschili e femminili avvenga in maniera casuale, vuol dire che ogni gamete femminile ha uguali probabilità di unirsi con ogni gamete maschile in circolazione al momento della impollinazione. Questo vuole anche dire che ogni individuo ha uguali probabilità di unirsi con ciascuno degli altri individui della popolazione o, in altre parole, che non vi sono limiti alla casualità delle unioni. Questa situazione corrisponde a quella che, con termine appropriato, viene indicata come panmissia e rappresenta la situazione di riferimento per ricavare indicazioni sulla struttura genetica di una popolazione allogama. Se si considera un locus con due alleli alternativi A1/A2, in una popolazione saranno presenti, con frequenza diversa, individui che, a quel locus, potranno essere di genotipo A1A1, A1A2, A2A2. Quando questa popolazione si riproduce, la frequenza con la quale, nella popolazione, vengono prodotti gameti A1 e A2 dipenderà dalla frequenza con la quale i genotipi A1A1, A1A2, A2A2 sono presenti nella popolazione stessa. La frequenza con la quale, al momento della riproduzione, avvengono le unioni tra gameti A1, tra gameti A1 e A2, o tra gameti A2, dipenderà perciò dalla frequenza con la quale i gameti A1 e A2 vengono prodotti e, in definitiva, dalla frequenza dei genotipi A1A1, A1A2, A2A2. Si può perciò anche dire che la frequenza con la quale, in una generazione, sono presenti genotipi A1A1, A1A2, A2A2 dipende dalla frequenza con la quale, nella generazione precedente, si sono formati gameti A1 e A2 e, quindi, dalla frequenza con la quale quegli stessi genotipi erano presenti. Questa situazione ha conseguenze genetiche importanti in quanto: - condiziona la struttura genetica delle popolazioni allogame naturali determinandone, nel contempo, la risposta adattativa alle sollecitazioni della selezione naturale e, quindi, l’evoluzione; - determina le modalità con le quali la selezione artificiale deve intervenire per modificare geneticamente tali popolazioni così da migliorarne il comportamento come risposta ai fattori colturali. 53 Prendiamo in considerazione una coppia all’elica A/a e immaginiamo di realizzare l’incrocio tra due individui omozigoti AA e aa. P1 AA x F1 Aa P2 aa Dall’incrocio otteniamo una popolazione di individui tutti di genotipo Aa. Se ora immaginiamo di allevare questa popolazione e di lasciare che si riproduca in allogamia, cosa succede? Tutti gli individui della popolazione produrranno gameti A e gameti a, sia maschili che femminili e, per quanto visto parlando di meiosi, i due tipi di gameti saranno prodotti in uguali proporzioni: 50% A e 50% a. Se ora indichiamo con p = frequenza dei gameti A q = frequenza dei gameti a p = f(A) q = f(a) possiamo anche dire che tanto i gameti maschili quanto quelli femminili conterranno gameti A e a con uguale frequenza e cioè: p = q = 0,5 per cui, p+q=1 In allogamia , questi gameti si uniranno in modo casuale e il risultato sarà il seguente: gameti ♂ gameti ♀ A p = 0,5 a q = 0,5 A p = 0,5 AA p2 = 0,25 Aa pq = 0,25 a q = 0,5 Aa pq = 0,25 aa q2 = 0,25 Dall’unione casuale dei gameti maschili e femminili si origina perciò una popolazione nella quale i genotipi AA, Aa, aa sono presenti con frequenza 0,25 AA + 0,5 Aa + 0,25 aa = 1,00 o, usando i simboli p e q, p2 + 2pq + q2 = 1 54 Esempio numerico Prendiamo in considerazione sempre la coppia allelica A/a. 1) - A = “fiore rosso”; a = “fiore bianco” 2) - assenza di dominanza; questo significa che l’osservazione fenotipica consente di riconoscere i genotipi Aa che saranno a “fiore rosa”. 3) - prendiamo in considerazione 120 individui estratti a caso dalla popolazione. La classificazione di questi 120 individui in base al colore del fiore porta al seguente risultato: 60 individui con fiore rosso AA 48 individui con fiore rosa Aa popolazione (1) 12 individui con fiore bianco aa Ipotesi: Queste sono frequenze fenotipiche assolute alle quali corrispondono uguali frequenze genotipiche assolute. Calcolo delle frequenze fenotipiche e genotipiche relative: 60 / 120 = 0,5 = f(AA) = P fiore rosso 48 / 120 = 0,4 = f(Aa) = H fiore rosa 12 / 120 = 0,1 = f(aa) =Q fiore bianco Se questa poopolazione si riproduce, produce gameti A e a; con quale frequenza? 60 individui AA 120 loci 120 loci A 168 loci A 48 loci A 48 individui Aa 96 loci 48 loci a 72 loci a 12 individui aa 120 individui 24 loci 240 loci 24 loci a 240 loci La frequenza con la quale saranno prodotti gameti A e a sarà allora data da: frequenza dei loci A = 168 / 240 = 7 / 10 = 0,7 = frequenza dei gameti A = f(A) = p frequenza dei loci a = 72 / 240 = 3 / 10 = 0,3 = frequenza dei gameti a = f(a) = q Poiché ogni locus è occupato da un gene, si può anche dire che frequenze geniche e frequenze gametiche coincidono. Allo stesso risultato si sarebbe giunti utilizzando le frequenze genotipiche assolute: (60 + 24) / 120 = 84 / 120 = 0,7 = f(A) = p ; (12 + 24) / 120 = 36 / 120 = 0,3 = f(a) = q oppure le frequenze genotipiche relative: 0,5 + (0,4 / 2) = P + ( H / 2) = 0,7 = f(A) = p ; 0,1 + (0,4 / 2) = Q + (H / 2) = 0,3 = f(a) = q 55 Date queste frequenze gametiche (geniche), la probabilità di unione tra due gameti A, un gamete A e un gamete a o due gameti a sarà data dal prodotto delle frequenze con le quali i gameti A e a sono presenti sulla totalità dei gameti prodotti dalla popolazione. Allora: gameti ♂ gameti ♀ A a A p = 0,7 a q = 0,3 p = 0,7 p2 AA = 0,49 Aa pq = 0,21 q = 0,3 Aa pq = 0,21 aa q2 = 0,09 Dall’unione casuale dei gameti maschili e femminili si origina pertanto una popolazione nella quale i tre genotipi AA, Aa, aa sono presenti con frequenza: 0,49 AA + 0,42 Aa + 0,09 aa = 1,00 (popolazione 2) o, usando i simboli p e q, p2 AA + 2pq Aa + q2 aa = 1,00 Se ora si calcolano le frequenze geniche (gametiche) in questa popolazione, si ha: p = f(A) = 0,49 + ½ 0,42 = 0,49 + 0,21 = 0,7 q = f(a) = 0,09 + ½ 0,42 = 0,09 + 0,21 = 0,3 Questo vuole dire che, passando dalla popolazione 1 alla popolazione 2 si sono modificate le frequenze genotipiche, ma non si sono modificate le frequenze geniche e quindi, se questa popolazione si riproduce, si forma un’altra popolazione nella quale le frequenze genotipiche saranno sempre: 0,49 (AA) + 0,42 (Aa) + 0,09 (aa) = 1,00 dove p = 0,7 e q = 0,3 In generale, si può allora dire che se in una popolazione nella quale le unioni avvengono a caso (popolazione panmittica) sono presenti due alleli, A e a con frequenze, rispettivamente, p = f(A) e q = f(a) tali che p + q = 1,00, le frequenze genotipiche sono: p2 (AA) + 2pq (Aa) + q2 (aa) = 1,00 Questa situazione, definita come “situazione di equilibrio” viene raggiunta in un’unica generazione di riproduzione e si mantiene indefinitamente finché permangono le condizioni di unioni casuali, di assenza di mutazioni e di migrazioni preferenziali e di assenza di selezione. La popolazione è indicata come “popolazione in equilibrio Hardy-Weimberg”. 56 POPOLAZIONI AUTOGAME: Generalità AUTOGAMIA = è il sistema riproduttivo in base al quale la fecondazione avviene tra gameti maschili e femminili prodotti dallo stesso individuo. Si definisce come autogama una specie nella quale il sistema riproduttivo abituale è l’autogamia. In una popolazione autogama ciascun individuo si riproduce pertanto in maniera indipendente dagli altri individui della popolazione. Questa situazione ha conseguenze genetiche importanti in quanto determina un progressivo spostamento della popolazione verso lo stato di completa omozigosi. Questo significa che una popolazione autogama, non essendovi, almeno in linea teorica, alcuno scambio di materiale genetico tra gli individui che la costituiscono, si avvicina progressivamente alla situazione nella quale tutti gli alleli presenti sono fissati in condizione omozigote e, quindi, tutti gli individui possono essere considerati degli omozigoti completi. Come punto di partenza si può immaginare una popolazione di individui F1 ottenuti dall’unione tra due parentali omozigoti per due alleli alternativi: AA e aa. Da tale unione si originerà una popolazione di tutti individui Aa: 100% eterozigoti Se questa popolazione si riproduce in autogamia, ogni individuo genera una discendenza F2 nella quale individui AA, Aa, aa sono presenti in rapporto 1 : 2 : 1. Nel complesso, quindi, la popolazione F1 genera una popolazione F2 nella quale saranno presenti individui AA, Aa, aa in rapporto di 1 : 2 : 1 e nella quale individui omozigoti ed eterozigoti saranno presenti in uguali proporzioni: ½ omozigoti e ½ eterozigoti. Immaginiamo ora che questa popolazione F2 vada incontro ad una successiva generazione di riproduzione in autogamia e che tutti gli individui della popolazione, indipendentemente dal loro genotipo, siano ugualmente fertili. Ogni individuo AA originerà una discendenza F3 tutta composta di individui AA, ogni individuo aa originerà una discendenza F3 di tutti individui aa e ogni individuo Aa originerà una discendenza F3 nella quale individui AA, Aa, aa saranno presenti in rapporto di 1 : 2 : 1. Poiché la fertilità degli individui viene supposta uguale, la quota di popolazione che si origina dagli individui omozigoti (pari a ½) sarà comunque costituita da individui omozigoti (1/2 omo), mentre la quota di popolazione che si origina dagli individui eterozigoti (pari a ½) sarà a sua volta costituita da una metà, pari a ¼ del totale, di individui omozigoti (1/4 omo) e da una metà, pari a ¼ del totale, di individui eterozigoti (1/4 etero). Nell’insieme, si origina quindi una popolazione F3 nella quale individui omozigoti ed eterozigoti saranno presenti in rapporto di 3 : 1: ¾ omozigoti e ¼ eterozigoti. Se questo ragionamento viene ripetuto passando dalla generazione F3 alla generazione F4 con un’ulteriore generazione di autogamia, sempre supponendo un’uguale fertilità degli individui indipendentemente dal loro genotipo, ci si rende conto che i ¾ della popolazione che si originano dagli individui omozigoti saranno comunque costituiti da individui omozigoti (3/4 = 6/8 omo), mentre ¼ della popolazione che si origina dagli individui eterozigoti sarà costituito da una metà, pari a 1/8 del totale, di individui omozigoti (1/8 omo) e da una metà, pari a 1/8 del totale, di individui eterozigoti (1/8 etero). Nell’insieme si origina quindi una popolazione F4 nella quale individui omozigoti ed eterozigoti saranno presenti in rapporto di 7 : 1: 7/8 omozigoti e 1/8 eterozigoti. 57 Le considerazioni ora fatte possono essere generalizzate e sintetizzate nella tabella seguente: Tab. 1: Modificazione delle frequenze genotipiche in seguito a successive autofecondazioni di una popolazione originatasi da un individuo eterozigote per una coppia allelica. Genotipi Eterozigoti Omozigoti 1/2 - 1 1 - 1 - 1/4 1/2 1/4 1/2 1-1/2 = 1/2 F3 1/4+1/8 1/4 1/4+1/8 1/4=1/22 1-1/22 = 3/4 F4 3/8+1/16 1/8 3/8+1/16 1/8=1/23 1-1/23 = 7/8 F5 7/16+1/32 1/16 7/16+1/32 1/16=1/24 1-1/24 = 15/16 . . . . . . . . . . . . Fm+1 1/2 (1-1/2m) 1/2m 1/2(1-1/2m) 1/2m 1-1/2m=(2m-1)/2m Generazione A1A1 A1A2 A2A2 P 1/2 - F1 - F2 Sulla base di queste considerazioni è allora possibile esprimere i rapporti di segregazione tra omozigoti ed eterozigoti nella forma indicata alla colonna 3 della tabella alla pagina successiva (Tabella 2). Si può cioè concludere che, ad ogni generazione, la popolazione è composta da individui omozigoti ed eterozigoti che stanno tra loro in rapporto (2m-1) : 1 su una popolazione di dimensioni pari a (2m-1) + 1 = 2m. Da qui la conferma che la frequenza degli omozigoti nella popolazione dopo m generazioni di autofecondazione è pari a (2m-1)/2m come indicato nella tabella 1. I rapporti suindicati possono essere verificati direttamente a livello fenotipico se ci si trova in condizioni di assenza di dominanza (additività), dominanza parziale, o sovradominanza, cioè quando, comunque, la classe fenotipica corrispondente agli individui eterozigoti è individuabile. 58 In condizioni di dominanza completa, in corrispondenza delle diverse generazioni il rapporto di segregazione fenotipica si modificherà come risulta dalla tabella 2. E’ evidente che, in tale tabella, la differenza tra le due classi, che è pari a (2m + 1) - (2m - 1) = 2, rimane costante come valore assoluto ma va via via diminuendo come valore relativo, all’aumentare delle generazioni di autogamia. In altri termini, al crescere delle generazioni di autofecondazione, la frequenza degli eterozigoti tende a 0 e, parallelamente, il rapporto tra individui con fenotipo dominante e quelli con fenotipo recessivo tende a 1. Tab. 2 : Modificazione dei rapporti di segregazione genotipica tra omozigoti ed eterozigoti e di segregazione fenotipica in condizioni di assenza di dominanza e di dominanza completa a seguito di successive autofecondazioni di una popolazione F2 originatasi da un individuo eterozigote per una coppia allelica. Generazione n° gener. autof. Rapporto di segregazione genotipica Rapporti di segregazione fenotipica Totale Omo : Etero - 1 Assenza di dominanza Dominanza completa Dom. Int. Rec. Dom. Rec. - 1 - 1 - Totale F1 - F2 1 1 = 21-1 : 1 21 1 : 2 : 1 3 : 1 22 F3 2 3 = 22-1 : 1 22 3 : 2 : 3 5 : 3 23 F4 3 7 = 23-1 : 1 23 7 : 2 : 7 9 : 7 24 F5 4 15 = 24-1 : 1 24 15 : 2 : 15 17 : 15 25 F6 5 31 = 25-1 : 1 25 31 : 2 : 31 33 : 31 26 F7 6 63 = 26-1 : 1 26 63 : 2 : 63 65 : 63 27 . . . . . . . . . Fm+1 m 2m-1 . . . : 1 2m 2m-1 : 2 . . . : 2m-1 2m+1 : . 2m-1 2m 59 Ciò significa che se si prende in considerazione la popolazione che si origina per successive autofecondazioni partendo da un unico individuo F1(A1A2) generato dall’ unione tra due individui omozigoti per due alleli alternativi (A1A1 x A2A2), tale popolazione, dopo m generazioni (con m sufficientemente grande) sarà composta da tutti individui omozigoti i quali, se i due alleli A1 e A2 sono indifferenti ai fini della sopravvivenza (non conferiscono una diversa fitness agli individui che li portano) tenderanno a ripartirsi in misura uguale tra i due possibili genotipi A1A1 e A2A2. Analoghe considerazioni possono essere svolte se il discorso viene esteso a due o più coppie alleliche. In questo caso, tuttavia deve essere fatta una netta distinzione tra coppie alleliche indipendenti e coppie alleliche associate. Se le coppie alleliche coinvolte sono due (A1A2 e B1B2) e sono tra loro indipendenti (sono situate su due coppie di cromosomi omologhi), ad ogni generazione di autogamia nella discendenza compaiono, oltre agli omozigoti completi (A1A1B1B1, A1A1B2B2, A2A2B1B1, A2A2B2B2), anche gli omozigoti o eterozigoti parziali (A1A2B1B1, A1A2B2B2, A1A1B1B2, A2A2B1B2) e gli eterozigoti (A1A2B1B2). Volendo calcolare il rapporto con il quale omozigoti completi, omozigoti/eterozigoti parziali e eterozigoti sono presenti nella popolazione con il procedere delle generazioni di autofecondazione, è necessario partire dalla considerazione che, per una coppia allelica, il rapporto tra omozigoti ed eterozigoti dopo m generazioni di autofecondazione è pari a (2m-1) : 1. Poiché le due coppie alleliche sono indipendenti, è evidente che la quota di omozigoti per una coppia potrà essere indifferentemente omozigote o eterozigote per l’altra. La frequenza con la quale si formeranno omozigoti completi, omozigoti/eterozigoti parziali ed eterozigoti completi, dipenderà allora dalla frequenza relativa con la quale le due situazioni genotipiche (omo o etero) relative a ciascuna coppia saranno presenti nella popolazione e cioè dalla casualità con la quale i 2m-1 omozigoti e l’1 eterozigote di una coppia si assortiranno con i 2m-1 omozigoti e con l’1 eterozigote dell’altra coppia. Tale frequenza è allora pari al prodotto tra i due rapporti omo/etero relativi alle due coppie e cioè all’espressione: [(2m –1) : 1]2 che, sviluppata, è pari a: (2m –1)2 : 2(2m –1) : 1 Su questa base si può allora ricavare un’espressione generale che consenta di calcolare la composizione della popolazione dopo m generazioni di autofecondazione allorché siano coinvolte n coppie alleliche. Come si è già visto parlando di una sola coppia allelica, la composizione della popolazione dopo m generazioni di autofecondazione è data dalla espressione [(2m-1) + 1] che vale per ciascuna coppia allelica. 60 La composizione della popolazione rispetto a due coppie alleliche indipendenti sarà allora data da: [(2m-1) + 1] [(2m-1) + 1] = (2m-1)2 + (2m-1) + (2m-1) + 1 = (2m-1)2 + 2(2m-1) + 1 = [(2m-1) + 1]2 Tab. 3: Modificazione delle frequenze genotipiche in seguito a successive autofecondazioni di una popolazione F2 originatasi da un individuo eterozigote per due coppie alleliche. Generazione N° generazioni di autogamia Omozigoti completi Rapporti Omozigoti parziali F1 Totale Eterozigoti - 0 0 1 1 F2 1 1 2 1 22 F3 2 9 6 1 (22)2 F4 3 49 14 1 (23)2 F5 4 225 30 1 (24)2 . . . . . . . . . . . . Fm+1 m (2m-1)2 2(2m-1) 1 (2m)2 Ammettendo segregazione indipendente, entro ciascuno dei due gruppi più frequenti (omozigoti completi e omozigoti/eterozigoti parziali) i quattro genotipi possibili saranno presenti con uguale frequenza pari, rispettivamente, a ¼ della frequenza propria di ciascun gruppo. Anche in questo caso, comunque, vale quanto precedentemente detto a proposito di una coppia allelica: se si prende in considerazione la popolazione che si origina per successive autofecondazioni partendo da un unico individuo F1(A1A2B1B2) generato dall’unione tra due individui omozigoti per due coppie indipendenti di alleli alternativi (A1A1B1B1 x A2A2B2B2), tale popolazione, dopo m generazioni (con m sufficientemente grande), sarà composta da tutti individui omozigoti i quali, se gli alleli A1, A2, B1 e B2 sono indifferenti ai fini della sopravvivenza (non conferiscono una diversa fitness agli individui che li portano) tenderanno a ripartirsi in misura uguale fra i quattro possibili genotipi A1A1B1B1, A1A1B2B2, A2A2B1B1, A2A2B2B2. 61 100 80 60 40 omo comp 20 0 omo parz F1 F2 eterozigoti F3 F4 F5 Fig. 1: Variazione del rapporto percentuale tra genotipi omozigoti completi, omozigoti/eterozigoti parziali e eterozigoti completi al procedere delle generazioni di autofecondazione partendo da un ibrido eterozigote per due coppie alleliche. Se le due coppie alleliche controllano due coppie di caratteri alternativi, la distribuzione fenotipica della popolazione rispetto ai due caratteri considerati dipenderà, anche in questo caso, dal grado di dominanza espresso entro ciascuna coppia allelica. Se, infatti, per ciascuna delle due coppie alleliche vale un rapporto di dominanza completa (A1>A2 e B1>B2), la popolazione si suddividerà in quattro classi fenotipiche: una sarà la classe di maggior frequenza e sarà rappresentata dal fenotipo doppio dominante; due saranno mediamente frequenti, saranno presenti con frequenze tra loro uguali e saranno rappresentate, rispettivamente, dal fenotipo dominante per il carattere controllato dalla prima coppia e quello recessivo per il carattere controllato dalla seconda o viceversa; la quarta classe sarà la meno frequente e sarà rappresentata dal fenotipo doppio recessivo. Se, invece, tra gli alleli entro ciascuna delle due coppie considerate vi è una situazione d'assenza di dominanza (additività), dominanza parziale, o di sovradominanza, nella popolazione saranno individuabili nove classi fenotipiche, quattro delle quali attribuibili ai quattro omozigoti completi (A1A1B1B1; A1A1B2B2; A2A2B1B1; A2A2B2B2), quattro ai quattro omozigoti (eterozigoti) parziali (A1A1B1B2; A1A2B1B1; A1A2B2B2; A2A2B1B2) e una all’eterozigote completo (A1A2B1B2). Le stesse considerazioni valgono per un numero indefinito di coppie alleliche indipendenti. Se, infatti, si prendono in considerazione 3 coppie alleliche e si ripete il ragionamento, è evidente che la frequenza con la quale si formeranno genotipi omozigoti completi, omozigoti parziali ed eterozigoti completi dipenderà dalla frequenza con la quale i (2 m – 1) omozigoti e l’1 eterozigote per ciascuna coppia si assortiranno con i (2m –1) e l’1 eterozigote di ciascuna delle altre due coppie. 62 La composizione della popolazione sarà allora data da: [(2m-1) + 1]3 e per n coppie alleliche indipendenti l’espressione generale che ci consente di calcolare la composizione della popolazione dopo m generazioni di autofecondazione è data da: [(2m-1) + 1]n (1) Questa espressione, se opportunamente utilizzata, non consente solamente di calcolare il rapporto tra omozigoti completi, omozigoti parziali ed eterozigoti, ma anche di calcolare, ad ogni generazione, la composizione della popolazione relativamente alla frequenza di ciascuna classe di omozigoti parziali per n-1, n-2, n-3,.......n-(n-1) coppie alleliche e il livello di omozigosi ( frequenza dei loci in condizione omozigote ) raggiunto, nel suo insieme, dalla popolazione. Questa possibilità può essere illustrata con un esempio. Esempio. Supponiamo di voler calcolare, dopo 5 generazioni di autofecondazione, la composizione della popolazione che si origina da una generazione F1 eterozigote per 4 coppie alleliche indipendenti; perciò, m = 5 e n = 4. Applicando l’espressione (1), si ha: [(25-1) + 1]4 = (25-1)4 + 4(25-1)3 + 6(25-1)2 + 4(25-1) + 1 = 314 + 4x313 + 6x312 + 4x31 + 1 = = 923521 + 4x29791 + 6x 961 + 4x31 + 1 = 923.521 + 119.164 + 5.766 + 124 + 1 = 1.048.576 In questo polinomio, ciascun membro si riferisce ad una determinata situazione genotipica ed esprime la frequenza con la quale tale situazione è presente all’interno della popolazione. Così: (25 – 1)4 = 314 = 923.521 omo. per 4 coppie all’eliche (c.a.) 4(25 – 1)3 = 4 x 313 = 119.164 omo. per 3 c.a.; etero. per 1 c.a. 6(25 – 1)2 = 6 x 312 = 5.766 omo. per 2 c.a.; etero. per 2 c.a. 4(25 – 1) = 4 x 31 = 124 omo. per 1 c.a.; etero. per 3 c.a. 1 = Totale = (25)4 = 1 etero. per 4 coppie alleliche __________ 1.048.576 individui = 4.194.304 loci 63 Il livello di omozigosi o di eterozigosi (quota di loci in condizione omozigote o eterozigote, rispettivamente) della popolazione nel suo insieme può essere allora calcolato moltiplicando il numero di genotipi presenti in ciascuna classe per il numero di loci omozigoti o eterozigoti proprio di ogni classe e sommando tra loro i valori così ottenuti: n° loci omozigoti 923.521 x 4 = 3.694.084 n° loci eterozigoti - 119.164 x 3 = 357.492 119.164 x 1 = 119.164 5.766 x 2 = 11.532 5.766 x 2 = 11.532 124 x 1 = 124 __________________ 4.063.232 124 x 3 = 372 1x4= 4 ___________________ 131.072 Complessivamente, dei 4.194.304 loci disponibili nella popolazione, 4.063.232, pari al 96.875% sono perciò in condizione omozigote e solamente 131.072, pari al 3.125%, sono in condizione eterozigote. Il valore del 96.875% rappresenta quindi il livello di omozigosi della popolazione nella quale è presente una quota di individui omozigoti completi pari all’ 88.078%. Le considerazioni svolte fino a questo momento sugli effetti genetici dell’autogamia porterebbero a concludere che una popolazione autogama, lasciata a sé stessa, si sposta gradualmente verso una situazione di completa omozigosi e che, pertanto, essa può essere considerata come costituita da un insieme di individui omozigoti. Ora, è necessario precisare che si definisce come “linea pura”, la discendenza omozigote ottenuta per autofecondazione da un individuo omozigote. Una linea pura è pertanto costituita da individui tutti geneticamente identici tra loro e all’individuo che li ha generati. Poiché un individuo omozigote che si riproduce per autogamia genera una discendenza di individui tutti omozigoti, geneticamente identici tra loro e all’individuo che li ha generati, è evidente che quando in una popolazione un individuo ha raggiunto la situazione omozigote, esso genera una linea pura. Poiché questo accade per tutti gli individui della popolazione, una popolazione autogama può allora essere considerata come costituita da tante linee pure che convivono nella popolazione senza scambiarsi materiale genetico. Questa situazione, vera in linea teorica, non trova riscontro nella realtà per almeno tre motivi: l’insorgenza di mutazioni spontanee, il tasso naturale di incrocio, la presenza di loci associati. 64 Come si è detto parlando di mutazioni, ogni gene è caratterizzato da un determinato tasso di mutazione (probabilità che si verifichi un certo tipo di mutazione in funzione del tempo; es. ad ogni generazione) e ogni popolazione è caratterizzata da una certa frequenza di mutazione (numero di eventi di mutazione di un certo tipo che si verificano in una popolazione di cellule o di individui). Una volta che un certo genotipo abbia raggiunto la situazione omozigote in seguito a ripetute autofecondazioni, non è detto che in tale situazione rimanga in perpetuo. Quando si è parlato di relazione tra strutture fiorali e tipo di gamia si è inoltre visto che l’allogamia e l’autogamia assolute rappresentano delle eccezioni e che la maggior parte delle specie vegetali è caratterizzata da strutture fiorali che consentono sempre, anche se in diversa misura, tanto l’autofecondazione quanto la fecondazione incrociata. Ciò significa che anche in una specie ad autogamia prevalente esiste sempre la possibilità che si verifichino unioni tra individui diversi con la conseguente formazione di individui eterozigoti che daranno luogo a generazioni segreganti. Nel considerare gli effetti genetici dell’autogamia si è fatto riferimento a coppie alleliche indipendenti per le quali la segregazione dipende dall’assortimento casuale dei cromosomi (centromeri) materni e paterni nella profase della prima divisione meiotica. Sappiamo tuttavia che questa non è la situazione generale e che esistono loci associati la cui ricombinazione dipende dalla loro distanza sul cromosoma e cioè dalla frequenza con la quale, fra tali loci, avvengono eventi di Crossing Over. Un individuo eterozigote per due o più coppie alleliche genera pertanto una discendenza nella quale individui omozigoti saranno presenti in misura inferiore rispetto a quanto previsto dalla segregazione indipendente. Una popolazione di una specie autogama la possiamo quindi considerare caratterizzata da un elevato tasso di omozigosi, ma anche da una frequenza più o meno elevata di eterozigosi in relazione alla frequenza di mutazione, al controllo esercitato dalla struttura fiorale sul tipo di gamia ed alla frequenza di ricombinazione o, in altri termini, all’intensità del linkage tra loci associati. Il considerare una popolazione autogama come costituita da linee pure conviventi è quindi un’astrazione del tutto teorica anche se molto conveniente specialmente quando si devono elaborare strategie di miglioramento genetico. Se una popolazione è caratterizzata da un certo livello di autogamia, si dice che essa presenta anche un certo livello di inbreeding. L’inbreeding può infatti essere definito come quel sistema di unione o quella procedura riproduttiva che prevede l’unione tra individui imparentati o, detto in termini genetici, che presentano alleli comuni. Il livello di inbreeding è infatti misurato dal “Coefficiente di inbreeding”, che è indicato con F e che rappresenta la probabilità che ad una certa generazione si formino individui omozigoti per alleli identici (repliche dello stesso allele). E’ allora evidente che la forma più stretta di inbreeding è data dall’autofecondazione di individui omozigoti nella quale i gameti maschili e femminili prodotti dallo stesso individuo sono tra loro identici e, unendosi, danno luogo ad un inbreeding pari a 1. La presenza, in una popolazione di un livello di autogamia più o meno elevato comporta quindi, per quella stessa popolazione, un corrispondente livello di inbreeding che, ad una certa generazione, possiamo indicare con F. 65 Si può dimostrare che in una popolazione panmittica nella quale sussista un livello di inbreeding pari ad F e ad un locus siano presenti due alleli alternativi A e a con frequenza rispettiva p e q, tale che p + q =1, gli omozigoti si formano con frequenza maggiore di quanto previsto dalla legge di Hardy-Weimberg, tale incremento è proporzionale ad F ed è pari a pqF per ciascuno dei due alleli alternativi presenti a quel locus. L’espressione di pag 56 relativa alla situazione di equilibrio può quindi essere riscritta nel modo seguente: (p2 + pqF) AA + (2pq – 2pqF) Aa + (q2 + pqF) aa = 1 Questa espressione rappresenta la situazione generale di equilibrio in base alla quale, se F = 0 (panmissia), nella popolazione saranno presenti i tre genotipi AA, Aa, aa con frequenza rispettiva di p2, 2pq, q2 e, se F = 1(autogamia assoluta di materiale omozigote), nella popolazione saranno presenti solamente genotipi AA e aa con frequenza rispettiva di (p2 + pqF) e (q2 + pqF). In un caso e nell’altro le frequenze con le quali i diversi genotipi sono presenti nella popolazione dipendono dai valori di p e q e cioè dalla frequenza dei due alleli. 66