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Bruna Grasselli, Maria Matilde Nera
Cristiana Lucarelli, Daniela Consoni
POTENZIAMENTO
“ABILITANTE”
NEI DISTURBI SPECIFICI
DI APPRENDIMENTO
Monitoraggio e arricchimento
del linguaggio
e del desiderio della lettura
Armando
editore
Sommario
Introduzione
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Capitolo primo
I disturbi specifici di apprendimento.
Una lettura pedagogica della normativa
Nera Maria Matilde
Introduzione
1. Le premesse della legge 170/2010: uno sguardo alla
normativa scolastica generale e alle disposizioni ministeriali
2. Una legge specifica: obiettivi, implicazioni
pedagogico-didattiche, sinergie
3. Postulati per una progettazione creativa di qualità
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Capitolo secondo
Conoscenze, idee, immagini per la ricerca Bruna Grasselli
1. Consapevolezza, resilienza e apprendimento 2 Comunicazione, espressione e linguaggio 3. Smarrimento, resistenza, creatività 4. Abilitazione e potenziamento 5. Lingua, lettura, letteratura. Un patrimonio di immagini 51
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33
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Capitolo terzo
La comprensione della lettura.
Una competenza inclusiva per la scuola e per la vita
Daniela Consoni
1. Ascoltare con gli occhi. Comprensione del testo,
successo scolastico e competenze per la vita
2. Perdersi nel testo. Strumenti compensativi.
Una bussola per non naufragare.
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79
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Capitolo quarto
La specificità della scuola dell’infanzia: luogo privilegiato
per attività di monitoraggio e potenziamento delle abilità
di prerequisito per l’apprendimento della letto-scrittura
Cristiana Lucarelli
Introduzione
1. L’apprendimento della letto-scrittura
2. I prerequisiti strumentali nell’apprendimento
della letto-scrittura
3. La consapevolezza fonologica
4. Esperienze di potenziamento delle abilità strumentali
per l’apprendimento letto-scrittura
Trame conclusive
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102
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110
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143
Introduzione
Il testo affronta i temi dei disturbi specifici di apprendimento, in
particolare la dislessia, con uno sguardo aperto, pensoso e curioso.
Pur muovendosi nello scenario legislativo che riconosce diritti
e offre indicazioni operative, c’è il desiderio e il tentativo di aprire
nuovi spiragli e nuovi sentieri da esplorare al di là di confini rassicuranti e acquietanti.
L’idea che si vuole sostenere è, infatti, che la dislessia si affronta
certamente prendendo in considerazione le disposizioni normative e
mettendo in azione quanto la ricerca suggerisce, ma anche lasciandosi suggestionare dalle storie a lieto fine di chi ha vinto la sfida,
dalla immaginazione, dalla convinzione che in un ambiente d’apprendimento affettivamente denso si abilitano i diversi stili cognitivi
e di apprendimento, si implementa il patrimonio di parole, di immagini per accedere più agevolmente alla letto-scrittura e si potenzia la
consapevolezza delle proprie modalità di operazione e delle proprie
emozioni.
Nel primo capitolo si attraversa la legge 170/2010 declinata
nelle successive disposizioni, se ne coglie la portata culturale e
operativa, vi si rintracciano linee progettuali, itinerari abilitativi e
indicazioni metodologico-didattiche. Ad un tempo si allarga l’orizzonte oltre gli scenari rassicuranti della legge stessa per intravedere sentieri sempre più inclusivi. Il filo rosso che guida la riflessione
è l’ipotesi che in una proposta formativa verticale, ricca, articolata,
diversificata, ognuno, e quindi anche l’alunno con disturbo specifico di apprendimento (DSA), rintracci e selezioni i sentieri più
agevoli per apprendere.
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Il secondo capitolo traccia la cornice culturale della nostra ricerca. Si sposta l’attenzione sulla scoperta della parola e sulla concezione di potenziamento come miglioramento di condizioni affettive,
sociali e cognitive che integrano ogni intervento di comprensione.
Per questo la scuola può offrire nuovi linguaggi e nuove esperienze di educazione sensoriale, esperienze di libertà di espressione, di
arricchimento delle parole; un dialogo per liberare suoni, parole, segni, significati da una costrizione, da una immobilità che li soffoca e
cercare luoghi dove sentire che ogni espressione può essere ascoltata, rielaborata, integrata e dove curiosità e gioia di vivere connotano
l’apprendimento degli strumenti fondamentali della vita scolastica
nella storia personale, sociale e culturale di ogni bambino.
Il terzo capitolo porta al centro il valore della lettura e della competenza di comprensione non solo per facilitare l’inclusione scolastica di una larga fascia di studenti, ma per rendere possibile quella
capacità di apprendimento autonomo necessaria all’istruzione e alla
formazione lungo tutto l’arco della vita.
In questo senso l’abilitazione ed il potenziamento, il più possibile precoci, sono lo strumento significativo per combattere quelli
che sono i possibili effetti negativi a cascata del disturbo di lettoscrittura. Per abilitare e potenziare non basta, però, ricorrere agli
strumenti compensativi, intesi per lo più come ausili tecnologici
(scrittura al computer, sintesi vocale e quant’altro faciliti la capacità
strumentale di lettura). Si tratterebbe di un pericoloso riduzionismo,
poiché questi strumenti, importantissimi ed insostituibili, non solo
non esauriscono le strategie per compensare le difficoltà di accesso
al testo, ma un loro uso esclusivo rischierebbe di sminuire le modalità compensative che gli stessi alunni, se aiutati in modo congruente,
possono mettere in essere.
Per ridurre le difficoltà nell’apprendimento della letto-scrittura e
facilitare l’accesso al testo è necessario gettare le basi fin dalla scuola dell’infanzia potenziando, in particolare come ben si descrive nel
4° capitolo, le competenze metafonologiche, prevenendo il danno di
motivazione che può generarsi nel bambino dislessico fin dal primo
ciclo della scuola primaria a causa dei suoi ripetuti insuccessi.
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L’apprendimento della lettura e della scrittura non inizia, infatti,
nel primo anno della scuola primaria: in questo ciclo scolastico si
esplicita formalmente un processo cognitivo avviato nel corso degli
anni precedenti.
Un intervento educativo mirato alla rilevazione dei segnali di rischio e al potenziamento delle abilità di consapevolezza fonologica,
svolto nel corso della scuola dell’infanzia, agevola il percorso di
apprendimento della lingua scritta e per i bambini a rischio consente
di iniziare, con tempestività, un percorso specifico (come le ricerche
che si presentano descrivono) che ridurrà, negli anni successivi, le
difficoltà di accesso al codice alfabetico e, dunque, consentirà un
approccio alla lettura senza paura.
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Capitolo primo
I disturbi specifici di apprendimento.
Una lettura pedagogica della normativa
Introduzione
Sopra il foglio bianco si preparano al balzo
lettere che possono mettersi male,
un assedio di frasi che non lasceranno scampo.
(W. Szymborska)
Gli argomenti che si analizzano in questo contributo sono la legge
170/2010 che detta “Nuove norme in materia di disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolastico” e i successivi provvedimenti, non
senza, prima, gettare uno sguardo a norme generali che ne contenevano
le premesse e a note e ordinanze ministeriali che ne hanno preparato il
terreno.
La lettura diacronica di queste disposizioni ha, tra gli altri, lo scopo
di cogliere e mettere in luce il cambiamento culturale che esse hanno generato o contribuito ad affinare. La legge, in particolare, legittimando la presenza dei disturbi specifici di apprendimento nella scuola,
ha sgranato convinzioni e pregiudizi, ha aperto orizzonti inesplorati e
messo in moto percorsi formativi mirati e rinnovata progettualità.
Ripercorriamo, allora, questo cammino ultradecennale con uno
sguardo pedagogico che non indugia su aspetti clinici che lascia agli
esperti, quanto piuttosto mira ad intuire linee progettuali, immaginare itinerari abilitativi e pratiche didattiche plurali che coinvolgono il
singolo e, ad un tempo, l’intera classe.
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Il filo rosso che guida la riflessione è l’ipotesi che in una proposta
formativa verticale e una didattica ricca, articolata, diversificata, ognuno, e quindi anche l’alunno con disturbo specifico di apprendimento
(DSA), rintracci e selezioni i sentieri più agevoli per apprendere.
1. Le premesse della legge 170/2010: Uno sguardo alla
normativa scolastica generale e alle disposizioni ministeriali
La normativa scolastica, non solo recente, è attraversata dall’attenzione all’originalità di ciascun alunno così come dalla tensione
a far sì che le diversità non accentuino disuguaglianze, anzi siano
punto di partenza per programmare interventi educativi su misura
finalizzati – come recita la Costituzione – al pieno sviluppo della
personalità e alla partecipazione alla vita sociale.
In questa cornice si colloca il DPR 275/991 che proprio all’articolo 1 centra il focus sulla «realizzazione di interventi di educazione,
formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana,
adeguati ai contesti, alle domande delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo», mentre all’articolo 4 declina gli obiettivi nazionali
che le istituzioni scolastiche sono chiamate a concretizzare:
• realizzare il diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti
gli alunni
• riconoscere e valorizzare le diversità
• promuovere le potenzialità di ciascuno
• perseguire il successo formativo.
In vista di questi ambiziosi obiettivi, le Istituzioni scolastiche
autonome si sintonizzano con le domande formative degli alunni
inquadrati nel loro contesto di vita familiare e sociale; organizzano le attività nel modo più adeguato al tipo di studi, agli elementi distintivi che connotano i singoli alunni, ai loro stili e ritmi di
1 Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275 “Regolamento
recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21,
della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
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apprendimento; adottano forme di flessibilità opportune, regolano
i tempi di insegnamento; assicurano iniziative di recupero; favoriscono l’impiego delle tecnologie; utilizzano metodologie e strumenti didattici adeguatamente selezionati e coerenti con il piano
dell’offerta formativa (POF).
Nel DPR citato si individuano, pertanto, quelle indicazioni di percorso che attestano l’interessamento alle diversità di ciascuno e, dunque, anche dagli alunni con DSA che, come gli altri, esigono di essere
riconosciuti, di vedere prese in considerazione le loro esigenze specifiche, di esercitare il diritto ad apprendere e per questo possono reclamare tutte le forme di flessibilità opportune che vanno da una diversa pianificazione dei tempi a modalità operative adeguate alle loro difficoltà.
Un ulteriore passaggio, puntuale e stringente, si riscontra nella legge
n. 53/20032 e nel successivo decreto legislativo n. 59/20043 che introducono la personalizzazione delle attività educative (scuola dell’infanzia)
e dei piani di studio (scuola primaria e secondaria di I grado).
L’accento sulla personalizzazione intensifica quanto già il DPR
275 aveva preannunciato, anticipa e spiana la strada alla affermazione del relativo diritto che sarà avvalorato dalla legge 170/2010.
Nella normativa segnalata sono rintracciabili, dunque, i presupposti per riconoscere, accompagnare, sostenere, aiutare i ragazzi con
DSA a percorrere i sentieri dell’apprendimento e dell’inclusione
senza equivoci né aggiuntivi inciampi.
Eppure le storie scolastiche di tanti studenti con DSA, nonostante
l’emanazione di questa eloquente normativa, sono state ancora storie di sofferenza e di incomprensione per contraccolpo anche di una
diffusa disinformazione. Da una parte si è assistito all’assimilazione
dei DSA con le disabilità, dall’altra al loro disconoscimento inter2 Legge 28 marzo 2003, n. 53 “Delega al Governo per la definizione delle norme
generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione
e formazione professionale”, art. 2 lettera l. (G.U. n. 77 del 2 aprile 2003).
3 Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59 “Definizione delle norme generali
relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo
1 della legge 28 marzo 2003, n. 53”; artt. 3 c. 2; 7 c. 2; 10 c. 2. (G.U. n. 51 del 2 marzo
2004, suppl. ord. N. 31)
13
pretando le prestazioni incerte e inadeguate come risultato di cattiva
volontà e disimpegno da parte degli alunni interessati.
C’era pertanto bisogno di fare chiarezza. I genitori, in particolare,
lo chiedevano per i propri figli.
Proprio alle sollecitazioni dei genitori hanno inteso rispondere le numerose note ministeriali che hanno fatto da battistrada alla legge specifica.
Con la prima di queste del 5 ottobre 20044, il termine dislessia entra ufficialmente nel linguaggio professionale degli insegnanti. Se ne
definisce il significato in quanto disturbo specifico dell’apprendimento
che coinvolge la letto-scrittura. Si precisa che i soggetti interessati sono
dotati di quoziente intellettivo nella norma; non presentano «handicap
di carattere neurologico o sensoriale o comunque derivanti da condizioni di svantaggio sociale», quanto piuttosto, secondo studi scientifici,
«particolarità di funzionamento delle aree cerebrali deputate al riconoscimento dei fonemi e alla traduzione di questi in grafemi nella forma
scritta e, infine, alla lettura della parola scritta». Si getta lo sguardo alla
possibile relazione tra dislessia e disagio emozionale e relazionale: l’andamento faticoso del percorso scolastico e i risultati deludenti non derivano da negligenza, scarso impegno o disinteresse come inopportune
convinzioni presenti nell’immaginario scolastico sostengono.
La nota, pertanto, alleggerisce fraintendimenti e interpretazioni
confuse; non si limita a dare delucidazioni pure urgenti e necessarie, bensì sottolinea la necessità di un impegno formativo dei
docenti e offre suggestioni operative introducendo la possibilità
del ricorso agli strumenti compensativi e alle misure dispensative.
Per la prima volta si dice ai docenti che possono permettere agli
allievi con DSA di usare tabelle, formule, calcolatrice, registratore,
programmi di video-scrittura con correttore ortografico e sintesi
vocale; che possono dispensarli – «valutando l’entità e il profilo
delle difficoltà, in ogni singolo caso…» – dalla lettura a voce alta,
dalla scrittura veloce sotto dettatura, dallo studio mnemonico delle
tabelline, e molto altro ancora.
4 Nota ministeriale del 5 ottobre 2004, prot. 4099/A/4 avente per oggetto: Iniziative
relative alla dislessia.
14
Il cammino verso un’appropriata e doverosa consapevolezza è
stato avviato.
Ma si sa, nella scuola, i cambiamenti non procedono dappertutto
con lo stesso passo e certo non basta una nota ministeriale che, se
pur offra una sponda a chi è concretamente interessato a questa problematica, finisce per essere sottovalutata da tutti gli altri. A fronte di
esperienze positive si sono continuate a registrare situazioni critiche,
specie in concomitanza delle valutazioni finali e degli esami di Stato
dove più accentuate apparivano le difficoltà dei ragazzi. Le prove di
verifica e/o d’esame, infatti, non tenevano conto delle particolarità
del disturbo per cui non erano previsti tempi aggiuntivi né era consentito di utilizzare strumenti che ne agevolassero lo svolgimento.
Proprio in ordine a quest’ultimo punto, il Ministero è intervenuto
con la nota del 5 gennaio 2005, prot. n. 26, precisando che «per l’utilizzazione dei provvedimenti dispensativi e compensativi possa essere
sufficiente la diagnosi specialistica di disturbo specifico di apprendimento e che tali strumenti debbano essere applicati in tutte le fasi del
percorso scolastico, compresi i momenti di valutazione finale».
Tale puntualizzazione viene ribadita con la nota del 1 marzo
20055, dove si invitano le Commissioni d’esame ad adottare le iniziative idonee a ridurre il più possibile le difficoltà degli studenti,
valutando l’opportunità di riservare alle prove tempi più lunghi di
quelli ordinari. Ulteriore conferma avviene con l’Ordinanza Ministeriale n. 26 del 15/3/2007 sugli esami di Stato che all’art. 12 c.7
raccomanda alla Commissione di tenere in debita considerazione «le
specifiche situazioni soggettive, relative ai candidati affetti da dislessia, sia in sede di predisposizione della terza prova scritta, che in
sede di valutazione delle altre due prove scritte, prevedendo anche la
possibilità di riservare alle stesse tempi più lunghi di quelli ordinari»
e di consentire al candidato l’utilizzazione di strumenti informatici
nel caso in cui fossero stati impiegati per le verifiche in corso d’anno.
Anche l’Invalsi ha, negli anni, adeguato e riorientato le modali5 Nota Ministeriale del 1 marzo 2005 prot. 1787 avente per oggetto: Esami di Stato
2004-2005 – alunni affetti da dislessia.
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tà di svolgimento delle prove riferite ad allievi con DSA. Già nell’a.s.
2004-2005, nel manuale del coordinatore della scuola secondaria di I
grado al p. 4.5, si diceva: «Per gli studenti dislessici, la somministrazione dovrà avvenire seguendo tutti gli accorgimenti tenuti durante il
percorso scolastico dallo studente cercando di non sottoporlo a nessun
tipo di stress. Dunque sarà possibile utilizzare tutti i sussidi didattici necessari (lettore, registratore,CD, tabelle pitagoriche, calcolatrice, tabelle
dei mesi, dell’alfabeto ecc…)». In caso di grado di dislessia severo sarà
possibile assegnare un tempo di somministrazione superiore di 10 minuti rispetto al tempo previsto o una compilazione parziale del fascicolo.
Tali suggerimenti sono stati confermati anche successivamente6.
Si intuisce facilmente che accorgimenti quali disporre di un tempo aggiuntivo, della riduzione quantitativa del compito da eseguire,
della figura di un lettore, sono tutte indicazioni utili a consentire agli
alunni con DSA di affrontare con maggiore tranquillità le prove e
dunque a favorirne la riuscita.
Nel tempo si susseguono altre note ministeriali che aggiungono,
di volta in volta, nuovi elementi di riflessione e di azione: la nota ministeriale del 27/7/2005, prot.4798, richiama ancora una volta l’attenzione sull’utilizzo degli strumenti compensativi e dispensativi; la
nota del 10 maggio 2007, prot. 4674 asserisce che in sede d’esame di
Stato, se pur non è possibile dispensare gli alunni dalle prove scritte di
lingua straniera, è opportuno compensare le oggettive difficoltà mediante l’assegnazione di tempi adeguati e procedere alle valutazioni
prestando attenzione ai contenuti piuttosto che alla forma7.
Pur tuttavia tali raccomandazioni ministeriali, se pur autorevoli,
non avevano la forza che ha invece una legge e, dunque, il rischio
che venissero trascurate era sempre possibile.
6 Nel manuale del somministratore per l’a.s. 2006-2007 si affermava “Solo nel
caso di studenti dislessici è consentito l’uso degli strumenti compensativi e quindi è
permesso, se necessario, anche l’uso della calcolatrice tascabile. Nel caso siano presenti
alunni dislessici si può concedere, solo a loro, 10 minuti di tempo in più.”
7 “In tutti i casi in cui le prove scritte interessino lingue diverse da quella materna e
non si possono dispensare gli studenti dalla loro effettuazione, gli insegnanti vorranno
riservare maggiore considerazione per le corrispondenti prove orali come misura
compensativa dovuta”. (nota del 10 maggio 2007, prot. 4674).
16
Una svolta di grande significato si ha con il DPR n. 122 del 22
giugno 2009 che coordina le norme per la valutazione degli alunni. Il
regolamento dedica, infatti, un apposito spazio, l’art. 10, alla valutazione degli alunni con difficoltà di apprendimento. Vi si legge: «Per
gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento adeguatamente
certificate, la valutazione e la verifica degli apprendimenti, comprese quelle effettuate in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni; a tali
fini, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove di esame,
sono adottati, […], gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei. Nel diploma finale rilasciato
al termine degli esami non viene fatta menzione delle modalità di
svolgimento e della differenziazione delle prove».
Con quest’ultima disposizione il verbo ‘possono’ utilizzato nelle note
ministeriali che lasciava margini di discrezionalità, cede il posto al verbo
‘devono’, ovvero ad un obbligo per la scuola di adottare ogni misura
idonea a contenere le difficoltà attenuando le conseguenze del disturbo.
La strada per una legge specifica che ricomponesse i frammenti
sparsi in tante disposizioni e completasse il quadro era stata tracciata.
2. Una legge specifica: obiettivi, implicazioni pedagogicodidattiche, sinergie
“Il mio principale punto debole è stato la cattiva memoria,
specialmente la cattiva memoria per le parole e i testi.” 8
(A. Einstein)
Dopo diverse proposte che si sono succedute dal 2006 in poi, si
è giunti alla emanazione della legge 8 ottobre 2010 n.170 che detta
“Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in
ambito scolastico”.
8 Citazione da M. Wolf, Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge, Milano, Vita e Pensiero, 2009, p. 218.
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Con questa legge si è operata una scelta di campo non scontata,
quella di dettare norme riguardanti espressamente i disturbi specifici
di apprendimento. Altri Paesi non hanno fatto lo stesso; hanno invece riservato uno spazio ai DSA all’interno di leggi più ampie sulla
disabilità.
La decisione di una legge distinta ha avuto il pregio di precisare
da subito che i DSA non sono una disabilità, almeno non lo sono secondo l’accezione presente nell’immaginario collettivo né secondo
la definizione contenuta nella legge 104/929 e dunque non rientrano
nelle garanzie di questa.
Che i disturbi specifici di apprendimento non siano propriamente
una disabilità lo dice la ricerca scientifica; lo manifestano le persone
con DSA che, seppur con percorsi scolastici faticosi, hanno trovato
autonomamente modalità compensative e ottenuto risultati eccellenti nello studio e nella vita sociale10; lo dimostrano tanti personaggi
famosi di ieri e di oggi11. E ora lo avvalora la forza della legge generando inedite convinzioni, nuovi atteggiamenti, inesplorati orizzonti
progettuali.
I Disturbi specifici di apprendimento, declinati in dislessia (lettura poco fluente e/o scorretta), disgrafia (tratto irregolare, segni poco
riconoscibili), disortografia (errori ricorrenti) e discalculia (difficoltà
nella transcodifica numerica e nel calcolo), «si manifestano – precisa
la legge – in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di
patologie neurologiche e di deficit sensoriali ma possono costituire una
limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana». Come
puntualizzano le Linee Guida, essi «hanno una componente evolutiva
9 Legge 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, art. 1. p. 3 “è persona handicappata colui
che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva,
che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e
tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
10 Si vedano le storie di Nicola, di Simona, in B. Grasselli, Leggere la dislessia.
Resilienza, riconoscimento, competenze, Roma, Armando, 2013.
11 In R.D. Davis, Il dono della dislessia, Roma, Armando, 2008, p. 21, troviamo
un elenco di dislessici famosi,tra cui Winston Churchill, Walt Disney, Albert Einstein,
Generale George Patton, Henry Ford.
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che comporta la loro manifestazione come ritardo e/o atipia del processo di sviluppo, definito sulla base dell’età anagrafica e della media
degli alunni o degli studenti presenti nella classe».12
Si può parlare, pertanto, di disturbo specifico di apprendimento quando un alunno, in condizioni personali e ambientali adeguate per acquisire buone competenze, coinvolto in attività mirate, manifesta difficoltà
reiterate nello specifico ambito delle abilità strumentali scolastiche13.
Tuttavia i DSA – come ha sottolineato la Consensus Conference –
possono «costituire una limitazione importante per alcune attività
quotidiane» 14.
è su queste limitazioni e sulla possibilità di cambiamento favorevole che occorre puntare l’attenzione per compensarle e attenuarle
così da evitare una accentuazione delle difficoltà e ricadute negative
sul piano personale e sociale.
Le finalità dell’azione della scuola tratteggiate nella legge in questione riecheggiano quelle già indicate nel DPR 275/99: diritto all’istruzione; successo scolastico; formazione adeguata, sviluppo delle
potenzialità.
Per favorire la realizzazione di queste finalità la scuola è chiamata a perseguire i seguenti obiettivi:
• rilevare i segnali di rischio
• favorire la diagnosi precoce
• attivare percorsi didattici su misura
• adottare forme di verifica e di valutazione adeguate
• formare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori
• incrementare la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari
• a ssicurare uguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito
sociale e professionale.
12 Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento allegate al decreto ministeriale 12 luglio 2011, p. 2.
13 Un discorso a parte sono i disturbi in comorbilità. “È frequente infatti accertare
la compresenza nello stesso soggetto di più disturbi specifici dell’apprendimento o la
compresenza di altri disturbi neuropsicologici (come l’ADHD, disturbo dell’attenzione
con iperattività) e psicopatologici (ansia, depressione e disturbi della condotta)”. Consensus Conference – 2010.
14 Consensus Conference, Roma, 6/7 dicembre, 2010.
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