Contratti con effetti protettivi per i terzi

Contratti con effetti protettivi per i terzi
Cassazione civ., Sez. III, 22 novembre 1993, n. 11503. Pres. Scala, Rel. Nicastro Guglielmini (avv.
Petrini, avv. Fanelli) c. Unità Socio Sanitaria Locale USL TO IX già USL 1-23 TO (avv. Ottavi)
Contratto con effetti protettivi a favore del terzo - Contratto di ricovero ospedaliero della
gestante - Natura - Obbligazioni dell'ente ospedaliero - Inadempimento - Azione di
responsabilità contrattuale - Esperibilità da parte del soggetto nato - Tutela del nascituro diritto a nascere sani
FATTO
Con atto di citazione notificato il 19.4.1983 Guglielmini Graziella e Candoli Franco, agendo quali
legali rappresentanti del figlio minore Davide, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di
Torino, la U.S.L. 1-23 per ottenere il risarcimento del danno patito dallo stesso, concretatosi in una
cerebropatia irreversibile, determinata dall'errato trattamento praticato all'atto della nascita
(avvenuta il 5.11.1971) presso la clinica universitaria di Torino, ove la madre era stata ricoverata
qualche giorno prima per essere assistita nel parto.
La convenuta si costituiva contestando la responsabilità ed eccependo, comunque, la prescrizione
del diritto fatto valere.
Con sentenza del 18.1.1985-2.4.1986 il Tribunale affermava che l'evento lesivo, costituito da una
asfissia neonatale, non poteva che essersi verificato al momento in cui il feto diveniva soggetto
giuridico, sicché si era al di fuori della fattispecie regolata dall'art. 1 c.c.; riteneva quindi che nella
specie si verteva nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, in quanto il Candoli Davide,
prima della nascita, non avrebbe potuto stipulare alcun contratto, e respingeva la domanda per
intervenuta prescrizione, ex art. 2947 c.c., sul presupposto che i coniugi Candoli non avrebbero non
potuto rendersi conto della gravità ed irreversibilità delle lesioni subite dal figlio già in epoca
anteriore all'aprile del 1978.
Avverso la sentenza proponeva appello il Candoli e la Guglielmini, nella medesima qualità,
sostenendo che: a) la domanda era fondata anche sulla responsabilità contrattuale della U.S.L.:
proposta ed accettazione non debbono necessariamente estrinsecarsi in una manifestazione espressa
di volontà, potendo ben desumersi da fatti concludenti, quali la presentazione del paziente al
nosocomio ed il suo ricovero; b) il contratto stipulato dalla partoriente ha per oggetto prestazioni in
favore della stipulante e del nascituro, per il momento in cui verrà in vita; c) sotto quest'ultimo
profilo, si tratterebbe di un contratto a favore di terzo, in forza del quale il Candoli Davide avrebbe
acquistato un personale diritto alle prestazioni; d) la prescrizione del diritto al risarcimento del
danno da responsabilità contrattuale è quella ordinaria decennale di cui all'art. 2946 c.c.,
tempestivamente interrotta; e) il dies a quo doveva ritenersi, comunque, diverso da quello ritenuto
dal Tribunale.
Costituendosi nel giudizio di appello la U.S.L. si limitava a contestarne genericamente i motivi,
richiamando le precedenti difese e chiedendo il rigetto del gravame.
Con la sentenza impugnata, del 3-24.3.1989, la Corte di Appello di Torino, respingeva l'appello. La
Corte riconosceva, anzitutto, che gli attori avevano agito per far valere tanto la responsabilità
aquiliana che la responsabilità contrattuale e rilevava, sotto il secondo profilo, che, con il ricovero
della paziente, l'ente ospedaliero aveva assunto l'obbligo di assistere la stessa durante il parto ed il
neonato dopo la nascita, non appena venuto in vita. Considerava peraltro irrilevante ogni indagine
circa il termine di prescrizione ed il dies a quo, essendo preminente il problema della titolarità
dell'azione, indagine che presupponeva l'altra, circa il momento in cui si era concretato l'evento
lesivo. Sulla base della documentazione medica prodotta, affermava quindi che nella specie il fatto
lesivo non si era prodotto all'atto della nascita, ma in precedenza, dacché il danno cerebrale era stato
causato da un errato trattamento ostetrico che, prolungando la permanenza del feto nel corpo
materno, laddove si rendeva necessario ricorrere al parto cesareo, ne aveva cagionato uno stato di
grave sofferenza per insufficiente ossigenazione. Il fatto lesivo si sarebbe quindi verificato allorché
il Candoli Davide non era ancora venuto ad esistenza ed ora, pertanto, privo di capacità giuridica,
con la conseguenza che nessuna azione per il risarcimento dei danni, né contrattuale né
extracontrattuale, poteva competergli, considerando (con riferimento anche alla decisione di questa
Corte del 28.12.1973, n. 3467) che per il diritto positivo la nascita costituisce non già condizione
bensì presupposto ineliminabile, o requisito essenziale della capacità giuridica.
Per la cassazione della sentenza ricorre la Guglielmini Graziella, nella qualità di tutore provvisorio
del figlio interdicendo, affidandosi ad un unico motivo, illustrato da una successiva memoria.
Resiste, con controricorso, la U.S.L. IX Torino (già U.S.L. 1-23 TO).
DIRITTO
1. - Con l'unico motivo la ricorrente denuncia la falsa applicazione dell'art. 1 c.c. e la violazione
degli artt. 1223 e 2043 c.c., precisando, peraltro, che non intende fare oggetto di censura la pur
discutibile affermazione secondo la quale il fatto lesivo si sarebbe verificato anteriormente alla
nascita, trattandosi di una valutazione di merito. Posta tale premessa, ed essendo pienamente
ammissibile che il danno si produca in epoca cronologicamente posteriore al fatto lesivo, la Corte di
merito non avrebbe fornito alcuna spiegazione circa la necessità logica, per la sua risarcibilità, che
anche il fatto lesivo si verifichi allorché il danneggiato sia già venuto ad esistenza, ove sussista pur
sempre un rapporto di causalità fra il fatto e l'evento. In altri termini, posti a) l'esistenza del danno;
b) l'esistenza di un fatto lesivo colposo (inadempimento contrattuale od illecito extracontrattuale);
c) un sicuro nesso di causalità tra fatto lesivo ed evento dannoso; non si rinverrebbe alcuna
motivazione logica per giustificare come la circostanza della nascita, collocata tra il fatto e l'evento,
possa agire da fattore interruttivo nel nesso eziologico, avendo gli stessi colpito quel soggetto che,
con la nascita, ha acquistato la piena capacità giuridica. Sulla base di criteri restrittivi e non più
attuali circa la tutela dei diritti del nascituro, si sarebbe creata l'aberrante fattispecie di un danno,
sicuramente esistente e collegato ad un fatto colposo, non risarcibile per l'ordinamento giuridico,
per la pretesa inesistenza di un soggetto legittimato all'esercizio dell'azione: non la madre, che non è
il soggetto danneggiato; non quest'ultimo, poiché non ancora separata dal corpo materno al
verificarsi del fatto lesivo.
2. - Il ricorso appare fondato.
Occorre sottolineare che mentre il Tribunale ha individuato il momento della verificazione
dell'evento lesivo, posto dopo la nascita, la Corte di Appello ha fatto riferimento, al fine di negare la
legittimazione, al diverso momento del fatto o comportamento colposo che ha cagionato il danno:
due profili diversi quindi, e non in contraddizione tra loro. La premessa appare necessaria poiché, in
mancanza di appello incidentale o, quanto meno, della riproposizione di una specifica eccezione in
proposito (essendo la U.S.L. la parte vincitrice), la Corte non avrebbe potuto riesaminare ex officio
il problema risolto dal Tribunale ed ormai coperto dal giudicato (interno).
A tutt'altra conclusione si deve pervenire in ordine alla responsabilità extracontrattuale, riconosciuta
dal Tribunale, il quale ha rigettato la domanda esclusivamente sotto il profito della prescrizione del
diritto al risarcimento, sul presupposto, quindi, della sussistenza di tale forma di responsabilità. Può
ritenersi ormai pacifico che la parte totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado non ha l'onere
di proporre impugnazione incidentale per chiedere ed ottenere il riesame delle domande e delle
eccezioni dedotte in prime cure e respinte o rimaste assorbite con la sentenza impugnata, essendo a
tal fine sufficiente che tali domande od eccezioni siano riproposte al giudice di secondo grado in
una delle difese o comunque in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. 16.11.1985, n. 5626;
Cass. 15.3.1986, n. 1769; Cass. 10.6.1986, n. 3837; Cass. 2.3.1992, ric. n. 1138-89, ric. Jet
Werberverlag; Cass. 8.10.1992, n. 10975, etc.). Nella specie la parte vittoriosa - la U.S.L. - non
aveva riproposto alcuna eccezione in ordine alla propria responsabilitaà extracontrattuale, sicché la
Corte di Appello non avrebbe potuto riesaminare la relativa questione: la preclusione, come è noto,
ben può essere rilevata anche di ufficio in questa Corte.
3. - Non è inopportuno, tuttavia, formulare qualche precisazione anche sul merito della pronuncia,
in quanto idonea a risolvere alcune delle problematiche relative alla responsabilità contrattuale. È
ricordato anche dalla sentenza impugnata come questa Corte, in una lontana decisione del
20.12.1973, n. 3467, abbia ritenuto che "la risarcibilità del danno presuppone che il soggetto
danneggiato sia già venuto ad esistenza al momento del fatto lesivo, per cui la relativa azione non
spetta al soggetto che si pretenda leso da fatti dannosi verificatisi anteriormente alla sua nascita". In
quell'occasione la Corte ha esaminato, in realtà, la specifica fattispecie della risarcibilità del danno
non patrimoniale subito da una minore per la morte del padre avvenuta anteriormente alla sua
nascita.
Il problema impone, comunque, una rimeditazione.
Il principio già affermato, come la tesi della Corte piemontese (smentita dalla stessa con quella
immediatamente precedente dell'8.12.1988, in causa Tirrena c. Zucchetto), si fondano sulla
interpretazione dell'art. 1 c.c., che, dopo aver affermato che "la capacità giuridica si acquista dal
momento della nascita" (c. 1 ), aggiunge che "i diritti che la legge riconosce a favore del concepito
sono subordinati all'avento della nascita" (c. 2 ). Con la richiamata sent. n. 3467-1973 si è chiarito
che - come sottolinea la controricorrente - trattasi di norma di carattere eccezionale e, come tale, di
stretta interpretazione.
La questione è tuttavia, sotto tale profilo, mal posta.
Esaminando le varie norme è facile rilevare che trattasi di disposizioni che attribuiscono
direttamente al nascituro determinati diritti o capacità: la possibilità di essere riconosciuto dal
genitore naturale (art. 254 c.c.), la capacità di succedere attribuita a chi è solo concepito al momento
dell'apertura della successione (art. 462 c.c.; e, addirittura, ai figli di una determinata persona
vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti), la revocazione delle
disposizioni a titolo universale o particolare per sopravvenienza di figli, anche soltanto concepiti
(art. 687 c.c.), la subordinazione della divisione alla nascita del concepito (art. 715 c.c.), la
donazione a favore del solo concepito (art. 784 c.c.), etc. Nella specie si tratta, viceversa, di un
danno che incide immediatamente e direttamente su un soggetto venuto ad esistenza, sia pure per
effetto di un fatto colposo commesso anteriormente alla nascita. Si è quindi al di fuori della
previsione dell'art. 1 c. 2 c.c.: lapalissiano che la mancata nascita (per un procurato aborto o per
altro accidente) avrebbe escluso in radice ogni diritto risarcitorio, al di fuori di quelli eventualmente
competenti alla madre od al padre, né potrebbe essere riguardata alla stregua della mancata
verificazione di una condizione. Il danno di cui si chiede il risarcimento non ha inciso
esclusivamente sulla vita intrauterina, ma è immediatamente collegabile alla nascita. All'esclusione
del diritto al risarcimento sul solo presupposto che il fatto colposo si sia verificato anteriormente
alla nascita è sottesa l'erronea concezione che, al fine del risarcimento del danno extracontrattuale,
sia necessaria la permanenza di un rapporto intersoggettivo tra danneggiante e danneggiato, che non
può essere affatto condivisa. Non è tanto, infatti, il rapporto intersoggettivo che consente la tutela
(di un interesse), quanto, viceversa, l'esistenza stessa di un centro di interessi giuridicamente
tutelato, che non può essere legittimamente contestato al concepito. Lo conferma tutta una serie di
norme. Già la Corte Cost., con la sent. 18.2.1975, n. 27, dichiarando costituzionalmente illegittimo
l'art. 546 c.p. nella parte in cui non prevedeva che la gravidanza potesse essere interrotta quando la
sua prosecuzione implicasse danno o pericolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti
evitabile, per la salute della madre, ha precisato che anche la tutela del concepito ha "fondamento
costituzionale" nell'art. 31 c. 2 cost., che “impone espressamente la protezione della maternita” e,
più in generale, nell'art. 2, che "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali non
può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del
concepito". La successiva l. 22.5.1978, n. 194, significativamente intitolata “norme per la tutela
sociale della maternita”, oltre che "sull'interruzione volontaria della gravidanza", proclama, all'art.
1, che "lo Stato .... riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana del suo inizio",
che, come si evince dal combinato disposto con gli articoli successivi, va riferito al momento del
concepimento (e non tanto, o non solo allo scadere del novantesimo giorno dal concepimento, cui fa
riferimento il successivo art. 4). L'interruzione della gravidanza è quindi ammessa solo entro i primi
novanta giorni (art. 4) ed allorché la sua prosecuzione, il parto o la maternità comporterebbero "un
serio pericolo per la ... salute fisica o psichica" della madre, attraverso quel bilanciamento degli
interessi già individuati dalla Corte Cost. con la citata sent. 18.2.1975, n. 27. Solo eccezionalmente
è consentita l'interruzione anche oltre i novanta giorni (art. 6). È sanzionata penalmente, inoltre,
anche l'interruzione della gravidanza per colpa o la determinazione per colpa di un parto prematuro
(art. 17), senza il consenso della donna (art. 18), o al di fuori dei casi e delle modalità consentiti (art.
19). Lo stesso diritto alla salute, che trova fondamento nell'art. 32 cost. - per il quale la tutela della
salute è garantita "come fondamentale diritto dell'individuo" (oltre che "interesse della collettivita")
-, non è limitato alle attività che si esplicano dopo la nascita od a questa condizionato, ma deve
ritenersi esteso anche al dovere di assicurare le condizioni favorevoli nel periodo che la precedono,
volte a garantire l'integrità del nascituro. Numerose norme prevedono, del resto, forme di assistenza
sanitaria alle gestanti ed assicurano ad esse i necessari congedi dal lavoro - l. 30.12.1971, n. 1204,
d.p.r. 25.11.1976, n. 1026, l. 9.12.1977, n. 903, etc. -, non al solo fine di garantire la salute della
donna, ma altresì al fine di assicurare il migliore sviluppo e la salute stessa del nascituro. Attraverso
tali norme non viene ovviamente attribuita al concepito la personalità giuridica, ma dalle stesse si
evince chiaramente che il legislatore ha inteso tutelare l'individuo sin dal suo concepimento,
garantendo se non un vero e proprio diritto alla nascita, che sia fatto il possibile per favorire la
nascita e la salute. Una volta accertata, quindi, l'esistenza di un rapporto di causalità tra un
comportamento colposo, anche se anteriore alla nascita, ed il danno che sia derivato al soggetto che,
con la nascita, abbia acquistato la personalità giuridica, sorge e dev'essere riconosciuto, in capo a
quest'ultimo, il diritto al risarcimento.
3. - Diverso il problema della responsabilità contrattuale. Il riferimento al contratto a favore di
terzo, contenuto nel ricorso, presenta, indubbiamente, notevoli difficoltà. È stato osservato in
proposito che l'art. 1441 c.c. non pone limitazioni al riguardo, sottolineandosi che il contratto si
perfeziona in ogni caso con l'incontro delle volontà degli stipulanti, mentre l'adesione del terzo
assolve alla sola funzione di rendere irrevocabile la pattuizione (Cass. 4.2.1988, n. 1136, etc.); che,
inoltre, il nascituro rimane terzo rispetto al contratto. Questa Corte ha avuto modo, del resto, di
riconoscere la validità di un contratto a beneficio di un soggetto non ancora giuridicamente
esistente, quale una società da costituirsi su iniziativa degli stessi contraenti, che venga ad
acquistare i diritti derivanti dal contratto medesimo solo al momento della sua costituzione (Cass.
30.3.1982, n. 1990). Ad estendere il principio al nascituro non sarebbe di ostacolo l'art. 1411 c. 3
c.c., che consolida gli effetti del contratto ("la prestazione") in capo allo stipulante, "in caso di
revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne", il quale trova un limite oltre che nella
diversa volontà delle parti, nella natura stessa del contratto. È piuttosto l'oggetto dello specifico
preteso contratto a favore del terzo che ne costituisce un insormontabile ostacolo. Nulla questione,
ovviamente, per le prestazioni a favore del neonato, per le quali, anziché al contratto a favore di
terzo, occorrerebbe piuttosto far riferimento ai principi della rappresentanza di cui all'art. 320 c.c.
(che, di per sé, lo escluderebbero). Il problema sorge, piuttosto, per le specifiche prestazioni a
favore del nascituro, in ordine alle quali questi non potrebbe giammai assumere la posizione di
creditore, difettando ancora in lui la personalità giuridica. Né potrebbe soccorrere il richiamato art.
320 c.c., per il quale i genitori rappresentano i figli "nati e nascituri", poiché la rappresentanza
troverebbe pur sempre, in tal caso, il limite dei diritti richiamati dall'art. 1 c. 2 c.c.
È stato posto in rilievo, tuttavia, come numerosi contratti abbiano ad oggetto una pluralità di
prestazioni, in cui, accanto ed oltre il diritto alla prestazione principale, è garantito e rimane
esigibile un ulteriore diritto a che non siano arrecati danni a terzi estranei al contratto. Si parla di
"contratti con effetti protettivi a favore dei terzi", nell'ambito dei quali, in caso di inadempimento
della prestazione accessoria, può agire non solo la controparte, nella quale permanga un interesse
attuale, ma anche e soprattutto il soggetto a protezione del quale è posta quella previsione. Col
ricovero della gestante l'ente ospedaliero si obbliga non soltanto a prestare alla stessa le cure e le
attività necessarie al fine di consentirle il parto, ma altresì ad effettuare, con la dovuta diligenza e
prudenza, tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sì da garantirne la nascita,
evitandogli - nei limiti consentiti dalla scienza (da valutarsi sotto il profilo della perizia) - qualsiasi
possibile danno. La controparte del contratto rimane sempre la partoriente, o, comunque, colui che
lo abbia stipulato, ma il terzo, alla cui tutela tende quell'obbligazione accessoria, non è più il
nascituro, bensì il nato, anche se le prestazioni debbono essere assolte, in parte, anteriormente alla
nascita. È quindi il soggetto che, con la nascita, acquista la capacità giuridica, che può agire per far
valere la responsabilità contrattuale per l'inadempimento delle obbligazioni accessorie cui il
contraente sia tenuto in forza del contratto stipulato col genitore o con terzi, a garanzia e protezione
di uno suo specifico interesse, anche se le prestazioni debbano essere assolte, in parte,
anteriormente alla sua nascita. Né può obiettarsi - come si è fatto - che il feto è parte del corpo
materno sicché non potrebbe ipotizzarsene una tutela riflessa. L'affermazione è, anzitutto, destituita
di fondamento giuridico, dacché le norme prima esaminate dimostrano che trattasi, sin dal
concepimento, di una entità distinta, tutelata anche contro gli eventuali attentati che provengano
dalla stessa madre (aborto al di fuori delle ipotesi previste). Da quanto si è detto risulta, soprattutto,
che la tutela riflessa non concerne tanto il feto quanto il nato ed il suo diritto ad essere e rimanere
integro, anche se attraverso le prestazioni da effettuarsi anteriormente alla nascita. La sentenza
impugnata dev'essere, pertanto, cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte
di Appello di Torino.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, ad altra
sezione della Corte di Appello di Torino.