RICONOSCIUTA CON D.M. DEL MURST DEL 02/01/1996 - ISCRITTA PREFETTURA DI MILANO N. 467 PAG. 722 VOL. 2° ANNO XI N° 39 QUADERNI DELLA MARZO 2015 PERIODICO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA - FONDATA NEL 1939 ISSN 2039-9561 1 EDITORIALE EDITORIALE Flavia Franconi F. Franconi 2 POSITION PAPER DELLA SIF REVISIONE DELLA POSIZIONE SUI FARMACI BIOSIMILARI DA PARTE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA: WORKING PAPER 2014 Approvata dal Consiglio Direttivo della SIF 5 SPESA SANITARIA FARMACEUTICA IN ITALIA: ALCUNE CONSIDERAZIONI Il primo articolo è un POSITION PAPER della SIF relativo ai Biosimilari, un argomento di grande interesse e che genera ancora molte discussioni. Il POSITION PAPER affronta anche la pratica dello switching tra il prodotto di riferimento ed il biosimilare. A seguire un articolo di Gianluca Trifirò, Valeria Pizzimenti, Achille Patrizio Caputi che discute di spesa farmaceutica evidenziando le diversità tra il centro/nord ed il sud Italia che dipendono almeno in parte da differenze nell’appropriatezza prescrittiva. Gli autori sottolineano anche che vi è una G.Trifirò, V. Pizzimenti, A. P. Caputi bassa aderenza alla terapia per malattie croniche che in alcuni casi, negli 9 over 85, arriva al 70% per quanto riguarda i farmaci antidiabetici. DA CHE COSA DIPENDE LA RICERCA INDIPENDENTE? G. Recchia, G.Gussoni, L. Monaco Poi un encomiabile articolo di Giuseppe Recchia, Gualberto Gussoni, Lucia Monaco sulla ricerca indipendente che in maniera esaustiva indica gli attori ed il nuovo scenario della ricerca e sviluppo del farmaco, facendo anche un 17 RICORDO DI EUGENIO E. MÜLLER L. Martini, D. Cocchi, V. Locatelli, S. Cella 18 I FARMACOLOGI NELL’UNIVERSITÀ ITALIANA G. Pepeu confronto tra la situazione italiana e quella di altri paesi. Poi, Luciano Martini, Daniela Cocchi, Vittorio Locatelli, Silvano Cella ricordano un grande maestro della Farmacologia: Eugenio E. MÜller. Infine, una disamina di Giancarlo Pepeu sulla dispersione dei Farmacologi in diversi Dipartimenti, spinti talvolta da interessi scientifici, spesso dall’appartenenza originaria a facoltà diverse o per problemi interpersonali. Buona lettura. Quaderni della SIF (2014) vol. 39-1 POSITION PAPER DELLA SIF Approvata dal Consiglio Direttivo della SIF REVISIONE DELLA POSIZIONE SUI FARMACI BIOSIMILARI DA PARTE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA: WORKING PAPER 2014 I farmaci biosimilari, negli ultimi 5 anni, sono stati al centro di un dibattito importante nel nostro paese, come nel resto dell’Europa. La comunità scientifica si è confrontata su questi temi attraverso vari strumenti. I position paper, che hanno avuto il pregio di esporre palesemente le problematiche e i dubbi, hanno avuto lo svantaggio di cristallizzare le opinioni formali delle diverse Società Scientifiche ad un periodo temporale definito, spesso quando le conoscenze e gli approfondimenti su temi specifici erano estremamente limitati. Alla luce di queste considerazioni, la Società Italiana di Farmacologia (SIF) ritiene di voler aggiornare la propria posizione sui farmaci biosimilari, pubblicata per la prima volta nel 2007, utilizzando le conoscenze e i dati acquisiti in questi anni. Vista la rapida evoluzione delle conoscenze sul tema e l’emergere sul mercato di molti nuovi biosimilari, ciascuno con le proprie peculiarità, la SIF è ben conscia che la posizione enunciata potrebbe non essere più accurata negli anni a seguire e il presente documento rappresenta quindi un working paper in evoluzione. Scopo di questo documento è evidenziare alcune criticità delle posizioni assunte sinora sui farmaci biosimilari in Italia, auspicando di aprire un dibattito che permetta un confronto propositivo tra gli attori del sistema. Per una descrizione analitica dei farmaci biosimilari, si rimanda ad un recente articolo scritto dai componenti del Biosimilar Working Party dell’EMA e ad un documento scritto sotto l’egida della Commissione Europea (1,2). 1) Definizione di farmaco biosimilare La definizione di farmaco biosimilare come farmaco simile ma non identico al prodotto biologico di riferimento, molto spesso utilizzata in termini comunicativi e sicuramente non sbagliata da un punto di vista formale, può essere fuorviante per i non addetti ai lavori e fonte di non corrette interpretazioni, strumentalizzazioni o generalizzazioni. La definizione che propone la Società Italiana di Farmacologia è “farmaco biologico, nella maggior parte dei casi biotecnologico, approvato dall’Agenzia Europea del Medicinali (EMA), attraverso un comparability exercise con il prodotto di riferimento commercializzato da un’altra azienda.” La commercializzazione di questo nuovo prodotto avviene solo alla scadenza della copertura brevettale (incluse eventuali estensioni o certificati complementari) del prodotto di riferimento. Quaderni della SIF (2014) vol. 39-2 2) Correttezza del comparability exercise Il comparability exercise è una procedura sperimentale, richiesta a fini regolatori, per cui il prodotto biosimilare viene confrontato da un punto di vista fisico-chimico (quality in termini regolatori), pre-clinico e clinico (nella maggior parte dei casi con studi di Fase III sull’indicazione principale usando hard-endpoints o end-points surrogati). Un biosimilare è il farmaco che si sia dimostrato sovrapponibile a tutti i livelli (per esempi dei comparability exercises richiesti, si veda la pagina dell’EMA dedicata; 3). Opinioni contrastanti sono emerse in questi anni sul comparability exercise da parte della comunità scientifica, anche alla luce del fatto che lo scopo di questo esercizio non è dimostrare efficacia e sicurezza del farmaco biosimilare, ma la dimostrazione di comparabilità, in termini di qualità, efficacia e sicurezza, con il farmaco di riferimento. È importante notare, però, che il comparability exercise non è una peculiarità del farmaco biosimilare, ma viene svolto dai prodotti di riferimento sia durante lo sviluppo clinico per confrontare i diversi prodotti utilizzati nelle diverse fasi di sperimentazione premarketing, sia dopo la commercializzazione (e sancito attraverso le linee guida ICH Q5E, antecedenti a quelle per i farmaci biosimilari). Per questo motivo la Società Italiana di Farmacologia ha piena fiducia nel comparability exercise per portare sul mercato in un tempo ragionevole farmaci sicuri ed efficaci e la ritiene quindi una scelta regolatoria più che corretta. Le recenti Linee Guida dell’AIFA (4), inoltre, sanciscono che il farmaco biosimilare, una volta approvato, da un punto di vista regolatorio potrebbe essere sovrapponibile al farmaco di riferimento. Questa sovrapponibilità regolatoria, d’altro canto, non necessariamente può essere traslata in una scelta clinica di accesso al mercato incondizionata. Può essere necessario e opportuno, in determinate circostanze, generare ulteriori evidenze prima che il farmaco possa essere definito assolutamente equivalente in tutti i suoi utilizzi. Inoltre, riteniamo che tale equivalenza non indichi necessariamente intercambiabilità tra biosimilare e prodotto di riferimento, per la quale ulteriori valutazioni o studi potrebbero essere necessari. 3) Diversità dei farmaci biotecnologici tra loro L’EMA ha giustamente deciso di affrontare caso-per-caso i diversi farmaci biosimilari che arrivano alla sua attenzione. Riteniamo questa una scelta molto oculata, poiché raramente i farmaci biotecnologici hanno complessità sovrapponibili. In questo periodo, molta enfasi è stata data alla diversa complessità tra proteine terapeutiche ed anticorpi monoclonali. Riteniamo questa distinzione troppo semplicistica e reputiamo che la complessità di un farmaco biotecnologico sia qualificata da: (i) il campo di utilizzo del farmaco; (ii) la capacità del clinico di valutare nel singolo paziente efficacia e sicurezza; (iii) il numero di indicazioni e la diversità di queste tra loro; (iv) le conoscenze attuali sul meccanismo d’azione; (v) l’immunogenicità nota del farmaco di riferimento; (vi) altri possibili fattori. Oltre a queste qualifiche, proprie del principio attivo, la complessità del corrispettivo biosimilare dovrà essere valutata anche attraverso la numerosità e la qualità degli studi clinici a supporto, i limiti di equivalenza utilizzati, la presenza di studi clinici relativi a più indicazioni, soprattutto ove diversi dosaggi siano utilizzati nelle diverse indicazioni od il meccanismo d’azione del farmaco sia incerto o diverso nelle diverse indicazioni (malgrado che, in questo ultimo caso, è plausibile che in assenza di tali studi l’EMA non dia l’estensione d’indicazione al farmaco biosimilare). Maggiore la complessità, minori dovranno essere le nostre aspettative di un vasto utilizzo nella prima fase di commercializzazione. È inoltre ovvio che qualunque sia la complessità di un farmaco biosimilare al momento dell’approvazione da parte delle Agenzie Regolatorie, il numero di pazienti che hanno assunto il farmaco in pratica clinica, gli studi PAES e studi PASS effettuati nonché gli studi clinici indipendenti potrebbero ridurre il differenziale progressivamente sino ad azzerarlo, accertandone o meno la sovrapponibilità clinica. Questo è il principale motivo per il quale le opinioni espresse nei position paper su singoli principi attivi o farmaci devono essere continuamente rivalutate nel tempo con l’accumularsi di nuove evidenze scientifiche. 4) I farmaci biosimilari attualmente in commercio Sono oramai trascorsi numerosi anni dalla commercializzazione dei primi farmaci biosimilari dell’ormone della crescita, dell’epoetina alfa e del filgrastim. Alla luce del fatto che: 1) gli studi spontanei pubblicati sino ad ora, sulla maggior parte delle indicazioni, non hanno mai suggerito una non-sovrapponibilità tra biosimilare e farmaco di riferimento; 2) vi è stato un crescente utilizzo di questi farmaci in Europa (incluso il nostro paese, seppur con variazioni territoriali) senza che siano emerse particolari problematiche; 3) sono stati eseguiti, e talvolta pubblicati, gli studi PASS obbligatori ed altre valutazioni di farmacovigilanza obbligatorie sono state condotte senza che l’EMA ritenesse opportuno intervenire per modificare le condizioni di commercializzazione dei singoli biosimilari; 4) sono stati sottomessi ed esaminati da parte dell’EMA diversi PSUR e non sono emerse criticità tali da far ravvisare all’EMA motivi per ritornare sulla sua posizione di sovrapponibilità; riteniamo che i biosimilari di questi 3 prodotti possano essere ritenuti a tutti gli effetti equivalenti terapeutici dei prodotti biologici di riferimento anche da un punto di vista clinico. Quindi riteniamo che si debba aprire un dibattito per valutare la possibilità di sollevare il clinico prescrittore dalla responsabilità di scegliere tra due farmaci sovrapponibili da un punto di vista regolatorio e clinico. 5) Pratica dello switching tra prodotto di riferimento e biosimilare Molto si è detto negli ultimi anni per quanto riguarda la possibilità di prescrivere i farmaci biosimilari solo o prevalentemente ai pazienti naive. Questo tema è particolarmente importante soprattutto per quanto riguarda l’epoetina alfa in ambito nefrologico, in cui vi è un utilizzo cronico. Alla luce delle seguenti evidenze: (i) presenza negli studi clinici registrativi delle epoetine di valutazioni su switch tra farmaco di riferimento e biosimilare e viceversa; (ii) presenza in scheda tecnica delle epoetine medium- e long-acting di fattori di conversione tra epoetine short-acting e medium- e long-acting; (iii) presenza di una review della letteratura sugli effetti dello switch tra prodotto di riferimento e biosimilare (5); (iv) presenza nella letteratura di dimostrazioni che lo switch tra epoetine è più comune di quanto immaginato precedentemente nella pratica italiana e riguarda non solo lo switch tra prodotto di riferimento e biosimilare (o viceversa) ma anche e soprattutto lo switch tra differenti prodotti di riferimento (6,7); (v) assenza di razionale scientifico per ritenere che lo switch tra differenti prodotti di riferimento presenti rischi diversi rispetto allo switch tra farmaco di riferimento e biosimilare; (vi) assenza di evidenze scientifiche che suggeriscono un’aumentata presenza di effetti collaterali o una ridotta efficacia dei biosimilari rispetto ai prodotti di riferimento; riteniamo che l’affermazione che i biosimilari dell’epoetina alfa debbano essere utilizzati solo nei pazienti naive potrebbe essere limitativo. Riteniamo quindi che anche in questo caso si debba aprire un dibattito per valuQuaderni della SIF (2014) vol. 39-3 tare la possibilità di modificare la posizione della comunità scientifica in questo ambito. Con tale affermazione non si intende in ogni caso ledere il diritto del paziente alla continuità terapeutica o aprire alla possibilità di switch multipli, le cui conseguenze cliniche al momento non sono conosciute. 6) I farmaci biosimilari di recente o futura approvazione Nel 2013 l’EMA ha approvato un nuovo farmaco biosimilare a base di filgrastim, il primo farmaco biosimilare a base di follitropina alfa, il primo farmaco biosimilare a base di infliximab e sta valutando un’altra follitropina alfa e la prima insulina glargine. Attività di horizon scanning suggeriscono che sono in corso o si sono conclusi studi sui primi anticorpi monoclonali biosimilari per l’oncologia e l‘ematologia, che obiettivamente saranno estremamente complessi, se utilizziamo i parametri citati nei precedenti paragrafi. A questo proposito, riteniamo che, in assenza di nuove strategie, il percorso seguito sin qui dai primi farmaci biosimilari, con un utilizzo quasi azzerato dei farmaci a minor costo nella fase iniziale seguito da un consumo lentamente più cospicuo dettato da imposizioni Regionali si potrebbe riproporre, accentuando il conflitto all’interno della clinical governance. Il motivo per il quale è probabile che si riproponga una situazione analoga è dato dall’esperienza del clinico con il farmaco di riferimento, che rimarrà quindi la sua prima (e altamente prevalente) scelta, e la conseguente impossibilità di acquisire quell’esperienza sufficiente sul campo necessaria per un vasto utilizzo. PROPOSTE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA PER PROMUOVERE VIE ALTERNATIVE In alternativa, ricerca clinica anche indipendente potrebbe essere promossa per valutare il profilo rischio beneficio comparativo di prodotti di riferimento e biosimilari, prontamente dopo la commercializzazione dei biosimilari. Ad esempio, si potrebbe immaginare un percorso condiviso nel quale i Centri pre- scrittori si adoperino, in un percorso guidato, ad accumulare evidenze sul farmaco biosimilare, una volta commercializzato, aumentando rapidamente ed in maniera sistematica le conoscenze sull’efficacia e sicurezza in pratica clinica nelle differenti indicazioni approvate e conseguentemente l’utilizzo del farmaco a minor costo. Tale procedura, che potrebbe avere la forma di un registro o di uno studio clinico comparativo di Fase IV dovrebbe avere un disegno e una durata ragionevole per fugare lecite perplessità cliniche e come scopo di allineare senza ulteriori dubbi la sovrapponibilità regolatoria con quella clinica dei due farmaci. Non è escluso che, ove evidenze siano necessarie, saranno altri paesi Europei a raccoglierle (si veda il caso dell’infliximab in Norvegia, 8) o si possa raccoglierli con studi indipendenti internazionali. Da un punto di vista economico, le aspettative di risparmio nelle fasi iniziali dovrebbero essere probabilmente riviste al ribasso ma non sarebbero in ogni caso dissimili percentualmente da quelle acquisite nei primi anni di commercializzazione delle epoetine. D’altra parte, il periodo di latenza sarebbe inferiore e l’eventuale conclusione positiva dello/degli studio/i potrebbe portare a liberare risorse ben superiori di quelle aspettate. Secondariamente, la Società Italiana di Farmacologia apprezza l’apertura dell’Agenzia Regolatoria Europea per quanto riguarda la pubblicazione negli EPAR dei principali dati che hanno portato all’autorizzazione in commercio dei singoli farmaci, siano essi biosimilari, generici od innovativi. La pubblicazione di simili sunti degli PSUR (Rapporti periodici di aggiornamento sulla sicurezza che in base alla nuova normativa prevederà anche aggiornamenti sugli studi PAES e che includono anche dati di utilizzo) potrebbe altresì accelerare il processo di penetrazione nel mercato di farmaci biosimilari, portando l’esperienza dell’intera Comunità Europea. La Società Italiana di Farmacologia si adopererà a fare questa proposta in ambito EMA in una delle prossime consultazioni pubbliche dell’EMA sui farmaci biosimilari. A questo proposito, sarebbe altresì importante poter avere accesso ai dati di efficacia e sicurezza raccolti in altri paesi (ad esempio, la Norvegia, 8). BIBLIOGRAFIA 1. Weise M et al (2012) Biosimilars: what clinicians should know. Blood 120:5111-5117 2. http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/healthcare/files/docs/biosimilars_report_en.pdf 3. www.ema.europa.eu/ema/index.jsp?curl=pages/regulation/general/general_content_000408. jsp&mid=WC0b01ac058002958c 4. http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/determina_204_06032014.pdf 5. Ebbers HC. et al. (2012) The safety of switching between therapeutic proteins. Expert Opin BiolTher. 12:1473-85 6. Uomo I, Pastorello M (2012) Switching from originator to biosimilar erythropoetins. Hospital Nephrology Europe winter:17-19 7. Loiacono et al (2012) How much biosimilars are used in southern Italy? Biodrugs 26:113-120. 8. http://www.gabionline.net/Biosimilars/General/Norwegian-study-hopes-to-increase-biosimilarsuptake-in-Europe Quaderni della SIF (2014) vol. 39-4 GIANLUCA TRIFIRÒ, VALERIA PIZZIMENTI, ACHILLE P. CAPUTI SPESA SANITARIA FARMACEUTICA IN ITALIA: ALCUNE CONSIDERAZIONI Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia Università degli Studi di Messina Il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è attualmente alle prese con un complesso problema di sostenibilità economica. Nel corso dell’ultima decade, nonostante i numerosi provvedimenti presi da parte del Governo e delle Regioni, finalizzati al contenimento della spesa sanitaria pubblica, abbiamo assistito ad un’importante crescita della spesa sanitaria totale. Tale trend va attribuito da un parte all’invecchiamento della popolazione, con allungamento dell’attesa di vita media e conseguente incremento dell’impiego di risorse sanitarie, e dall’altra all’introduzione in commercio di farmaci innovativi ed estremamente costosi (1). FIGURA 1 CONTRIBUTO DELLA SPESA FARMACEUTICA PRIVATA E PUBBLICA ALLA SPESA SANITARIA TOTALE IN ITALIA NEL 2013. gestire”, ormai da numerosi anni sono pubblicati diversi report su spesa farmaceutica, quale quello dell’Osservatorio sull’Impiego dei Medicinali (OsMed), o su spesa sanitaria totale, come quello del Centro Studi di Federanziani “Sanità in cifre (SIC)”, che forniscono una fotografia aggiornata sull’uso delle risorse sanitarie nel nostro Paese e nello specifico sull’impiego dei farmaci a livello nazionale e regionale. Tali rapporti rappresentano un valido supporto informativo per la pianificazione di interventi di politica sanitaria volti alla razionalizzazione della spesa farmaceutica sia a livello centrale che loco-regionale. In particolare, nel 2013 la spesa farmaceutica totale è stata pari a 26,1 miliardi di euro, di cui il 75% rimborsato dall’SSN, corrispondente al 17,4% della spesa sanitaria totale (2) (Figura 1). All’insegna del principio che “ciò che non possiamo misurare, non possiamo valutare e ciò che non possiamo valutare, non possiamo La maggior parte della spesa farmaceutica è relativa a quella territoriale (quasi 20 miliardi nel 2013 ed in aumento di 1,7% rispetto all’anno precedente) che include sia la spesa per i farmaci erogati in regime di assistenza convenzionata, sia quella per i farmaci di classe A, erogati in distribuzione diretta e per conto (2). Quasi il 70% della spesa farmaceutica è a carico del SSN, con la restante quota pagata dai cittadini (3). Per quanto concerne l’andamento temporale della spesa farmaceutica territoriale, dai dati del rapporto OsMed 2013, emerge una sua notevole crescita dal 1985 al 2008, sia per quanto riguarda la spesa pubblica che privata, con una successiva stabilizzazione di tale trend nel corso degli anni seguenti (Figura 2). 100% 90% Spesa farmaceutica privata 80% 70% Spesa farmaceutica a carico SSN 60% 50% 40% Spesa sanitaria totale, esclusa farmaceutica 30% 20% 10% 0% FIGURA 2 ANDAMENTO SPESA FARMACEUTICA TERRITORIALE IN ITALIA NEL PERIODO 1985-2013. Spesa pubblica 14.000 Spesa privata 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 Quaderni della SIF (2014) vol. 39-5 2013 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 1988 1987 1986 0 1985 Milioni di Euro Tratto da OsMed 2013. 16.000 Il ruolo dell’invecchiamento della popolazione Italiana, nell’incremento della spesa farmaceutica negli ultimi 30 anni, è deducibile dal fatto che il 65% del consumo di farmaci in Italia è a carico dei cittadini over 60. Un altro aspetto che viene confermato ancora una volta nel report annuale dell’OsMed per il 2013 è l’elevata variabilità Regionale dei consumi farmaceutici territoriali per i farmaci di classe A, con una più elevata spesa farmaceutica lorda pro-capite nelle regioni meridionali rispetto a quelle del Centro/Nord Italia. I due estremi sono rappresentati dalla Sicilia che registra una spesa lorda pro-capite di 235.9 euro e dalla Provincia Autonoma di Bolzano la cui spesa pro-capite è di 129.1 euro. La regione che mostra il più elevato consumo di farmaci, valutato come DDD per 1000 abitanti/die, è il Lazio (1.190), mentre i più bassi consumi si registrano anche in questo caso nella Provincia Autonoma di Bolzano (757). Tali divari possono essere spiegati in parte dalle differenze nell’organizzazione dei vari sistemi sanitari regionali, specialmente per quanto concerne i regimi di distribuzione dei farmaci (es. distribuzione diretta e per conto), ed in parte alle differenze nell’epidemiologia delle differenti patologie, in particolare quelle croniche, ma soprattutto a diversi atteggiamenti prescrittivi da parte degli operatori sanitari con differenze nel grado di appropriatezza d’uso dei farmaci (1). Alla luce di tutte queste informazioni è fondamentale che l’SSN metta a punto strategie per armonizzare la qualità delle cure tra le differenti Regioni così da contribuire da un lato a colmare, almeno parzialmente, l’attuale gap di almeno 3 anni nell’attesa di vita media esistente tra differenti Regioni (es. Trentino Alto Adige vs. Campania) e dall’altro a razionalizzare la spesa farmaceutica, sia tramite il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva che l’utilizzo di farmaci a minor costo (2). Una delle maggiori criticità che riguardano l’uso appropriato di farmaci cronici è rappresentato dalla limitata aderenza alle terapie farmacologiche. In generale, per aderenza alla terapia si intende il corretto comportamento del paziente nell’assumere la dose di farmaco prescritta, negli orari indicati e per il periodo di tempo necessario. In Europa si calcola che la percentuale di pazienti considerati aderenti alle terapie farmacologiche croniche prescritte sia pari a circa il 50% (4). In maniera lapalissiana possiamo dire che i farmaci non sortiscono gli effetti benefici attesi nei pazienti che non li assumono. Esistono numerose evidenze che mostrano come una bassa aderenza alle terapie farmacologiche croniche, ad esempio quelle per la prevenzione cardiovascolare quali statine, anti-ipertensivi ed antidiabetici, sia associata ad un aumentato rischio di eventi Quaderni della SIF (2014) vol. 39-6 maggiori cardiovascolari con ricadute negative sia sulla salute dei pazienti che sulle risorse economiche sanitarie (5). Recentemente sul Journal of Gerontology è stato pubblicato un articolo sull’aderenza ad alcune terapie farmacologiche croniche nei pazienti over 65 in Italia. In dettaglio, Onder et. al hanno valutato, tramite i dati elettronici di prescrizione a disposizione dell’OsMed per il 2011, l’aderenza dei pazienti anziani ai farmaci antiipertensivi, ipoglicemizzanti, antiosteoporotici ed antidepressivi nel corso del primo anno di trattamento. La bassa aderenza a tali terapie ha interessato dal 46% al 64% dei pazienti over 65 sulla base della classe farmacologica considerata. Tale percentuale aumentava linearmente con l’età, raggiungendo il 70% degli over 85 per quanto riguarda i farmaci antidiabetici (6). Alla luce di tutto ciò è indispensabile mettere a punto delle strategie che possano incidere positivamente sulla spesa farmaceutica. Di certo una delle soluzioni potrebbe essere incentivare maggiormente la prescrizione dei farmaci a più basso costo, inclusi gli equivalenti ed i biosimilari, che rappresentano una buona opportunità di risparmio per l’SSN. Così facendo, le risorse economiche risparmiate possono essere investite per l’acquisto di farmaci innovativi per la prevenzione e la cura di patologie croniche di grande rilevanza sociale (es. nuovi farmaci per l’eradicazione dell’epatite C ed oncologici) e possibilmente per promuovere la ricerca no-profit dedicata allo studio di farmaci in differenti patologie, incluse le malattie rare, i cosiddetti farmaci orfani, su cui generalemente non sono investiti ingenti risorse (7). L’utilizzo di farmaci a brevetto scaduto ha rappresentato nell’anno 2013 il 64% dei consumi farmaceutici totali in regime di assistenza convenzionata, in lieve crescita rispetto al 61% dell’anno precedente. Dall’anno 2010 all’anno 2013 è stato registrato inoltre un aumento del 14% di spesa pro-capite per i farmaci a brevetto scaduto. Più nello specifico, oggi i farmaci equivalenti rappresentano il 14,9% del totale della spesa, in crescita rispetto al 13,4% del 2012. Anche i biosimilari rappresentano un’opportunità forse ancora più importante per la razionalizzazione della spesa sanitaria e per la sostenibilità dell’SSN. Per farmaci biosimilari (gli Americani li definiscono probabilmente in maniera meno ambigua “follow-on products”) si intendono farmaci “simili” al farmaco biologico di riferimento, ma comparabili in termini di qualità, sicurezza ed efficacia, e con costi d’acquisto inferiori fino al 30-40%. In realtà, l’uso della terminologia “biosimilare” ha alimentato dubbi infondati sulla reale comparabilità tra i farmaci biologici di riferimento ed i biosimilari per cui, dopo diversi anni dalla loro commercializzazione, non è stata mostrata alcuna differenza nel profilo beneficio-rischio rispetto ai corrispondenti farmaci biologici originator. In Italia sono ad oggi disponibili i biosimilari di epoetina alfa, somatropina e filgrastim ed a brevissimo anche di infliximab. Inoltre, numerosi farmaci biotecnologici ad alto costo (45 entro il 2015) perderanno il brevetto e saranno affiancati in commercio dai rispettivi biosimilari (8). Ad oggi esiste però una notevole eterogeneità loco-regionale nella penetrazione dei biosimilari in pratica clinica, con notevole ricaduta sulla spesa per alcuni farmaci biologici, come conseguenza dell’emanazione di differenti decreti Regionali ed altri provvedimenti sanitari. In generale, tali provvedimenti hanno incentivato l’uso dei biosimilari in pazienti naive (mai trattati o la cui esposizione precedente è talmente distante nel tempo da far considerare il paziente come un nuovo trattato), mentre si raccomandava la continuità terapeutica in pazienti già efficacemente in trattamento. Nel 2012 è stato pubblicato su BioDrugs un’analisi retrospettiva sul pattern prescrittivo di epoetine nell’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina durante gli anni 2010-2011. Dai dati di dispensazione è stato possibile misurare in maniera sorprendente però un’elevata frequenza di switch tra le varie epoetine (22% degli utilizzatori di epoetine nel corso del primo anno). Lo switch dal prodotto di riferimento ai biosimilari era tuttavia raro (< 2% degli utilizzatori di epoetine di riferimento), mentre lo switch tra i due biosimilari e soprattutto quello tra biosimilari/prodotti di riferimento ed altri prodotti di riferimento era molto più frequente (9) (Figura 3). Tali dati devono far riflettere sul concetto di continuità terapeutica che dovrebbe essere preservata, quando possibile, nel caso in cui si sostituisca un farmaco biologico sia con un biosimilare che con un altro biologico di riferimento. Nel 2009 la Federal Trade Commission (FTC) ha pubblicato un’analisi sulla penetrabilità nel mercato da parte dei biosimilari, sottolineando che le dinamiche di mercato che riguardano tali farmaci sono differenti rispetto a quelle dei generici. L’immissione in commercio di farmaci equivalenti determina una rapida erosione del mercato dei branded attribuibile a diversi fattori fra loro interdipendenti, quali l’ampia disponibilità di prodotti, la marcata riduzione del prezzo e la possibilità di una sostituzione automatica fra i due prodotti. Secondo la FTC, questo scenario cambia radicalmente nel caso dei biosimilari dove i prodotti concorrenti sono certamente molto meno, in quanto lo sviluppo e la produzione di biologici richiede ingenti investimenti. Quindi è ragionevole aspettarsi due o tre biosimilari al massimo per ogni biologico che perde la copertura brevettuale (10). disponibili e crescente domanda di salute, al di là dei possibili provvedimenti sanitari che le nostre Regioni potranno prendere nei prossimi anni per razionalizzare la spesa farmaceutica, è opportuno sottolineare come il ruolo del medico e degli altri operatori sanitari è fondamentale non solo nella cura del paziente, ma anche nel contenimento dei costi. L’impiego di farmaci equivalenti e biosimilari rappresenta un’importante potenziale opportunità di risparmio di risorse economiche, cui potrebbe conseguire una grande possibilità di reinvestimento nell’innovazione tecnologica in campo sanitario. Tali opportunità vanno considerate attentamente e non sprecate. Una sinergia tra istituzioni, operatori sanitari, pazienti e ricercatori risulta quindi fondamentale per identificare le migliori strategie per la sostenibilità delle cure sanitarie. FIGURA 3 SWITCH FARMACOLOGICO TRA DIFFERENTI EPOETINE DI RIFERIMENTO E BIOSIMILARI NELL’AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI MESSINA NEGLI ANNI 2010-2011. Adattato da BioDrugs. 2012 Apr 1; 26 (2): 113-20. La dimensione dei nodi è proporzionale al numero di utilizzatori; la dimensione delle frecce è proporzionale al numero di switch. Nel grafico sono stati raffigurati solo gli switch con frequenza >5%. Nel contesto attuale in cui continua ad accrescersi il divario fra risorse economiche Quaderni della SIF (2014) vol. 39-7 BIBLIOGRAFIA 1. La spesa farmaceutica nel 2013. Andamento della spesa farmaceutica convenzionata a livello nazionale e regionale. Federfarma, Aprile 2014. Disponibile al seguente link: http://www.federfarma. it/Spesa-e-consumi-farmaceutici-SSN/La-spesa-farmaceutica-nel-2013.aspx 2. Agenzia Italia del Farmaco. L’uso dei Farmaci in Italia - Rapporto Nazionale Anno 2013 (online). Disponibile al seguente link: http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/luso-dei-farmaciitalia-rapporto-osmed-2013 3. Bernardini A.C, Spandonaro F. “Assistenza farmaceutica: accesso all’innovazione, sostenibilità e selettività”. In: Federico Spandonaro (Editore). 10° Rapporto Sanità. Investimenti, Innovazione e selettività: scelte obbligate per il futuro del SSN. CREA Sanità, 2014;493 4. European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations. Patient Adherence– 50% of patients don’t take their medicine properly. Disponibile al seguente link: www.efpia.eu/topics/ people-health/patient-adherence 5. Tosolini F. et al. Aderenza e persistenza alla terapia con ipolipemizzanti in relazione agli esiti clinici in una popolazione in prevenzione cardiovascolare nella Regione Friuli Venezia Giulia. G Ital Cardiol 2010; 11: 85S-91S 6. Onder G et al. High Prevalence of Poor Quality Drug Prescribing in Older Individuals: A Nationwide Report From the Italian Medicines Agency (AIFA). J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2014;69:430-7 7. Agenzia italiana del Farmaco – OsMed. Monitoraggio della Spesa Farmaceutica Regionale: Gennaio-Dicembre 2013 8. Assogenerici Biosimilari. Disponibile al seguente link: http://www.assogenerici.org/2011/biosimilari. asp?s=2&p=1&modulo=biosimilari 9. Loiacono C. et al. How Much are Biosimilars Used in Southern Italy? A Retrospective Analysis of Epoetin Utilization in the Local Health Unit of Messina in the Years 2010–2011. BioDrugs 2012;26:113-20 10.Casadei G. Biosimilari e sostituibilità: a che punto siamo? G Ital Farmacoecon Farmacoutiliz 2013; 2: 11-19 Quaderni della SIF (2014) vol. 39-8 GIUSEPPE RECCHIA Direttore Medico & Scientifico, GSK Verona GUALBERTO GUSSONI DA CHE COSA DIPENDE LA RICERCA INDIPENDENTE?1 Direttore Scientifico Fondazione FADOI, Milano LUCIA MONACO Direttore Scientifico Fondazione Telethon, Milano Giornata di Studio “La sperimentazione clinica no-profit in Italia: criticità, opportunità, prospettive” AFI e Regione Lombardia, 10 dicembre 2014 1 TABELLA 1 DESCRITTORI DELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA DEL FARMACO. La sperimentazione clinica consente lo sviluppo dei nuovi medicinali ai fini della loro immissione nella pratica medica e l’approfondimento di caratteristiche, efficacia comparativa e valore terapeutico nelle fasi successive alla loro commercializzazione. I dati generati dalla sperimentazione clinica informano i processi decisionali dell’impresa farmaceutica, dei ricercatori, dei medici e dei decisori sanitari in merito ad evoluzione dello sviluppo, definizione del place in therapy, inserimento nelle linee guida terapeutiche, giustificazione del prezzo, classificazione di rimborso e prescrizione. Il tradizionale sviluppo clinico del farmaco – articolato in sperimentazioni distribuite su 3 fasi pre-autorizzative (esplorative le prime, confirmativa la terza) condotte in via esclusiva dall’impresa farmaceutica originatrice del composto ed una fase post-autorizzativa (nota, soprattutto in passato come “Fase 4”), nella quale intervenivano anche promotori non industriali in assenza di un rapporto collaborativo con l’impresa – è oggi in gran parte superato. La crescente complessità della sperimentazione clinica sta progressivamente ampliando il divario tra i bisogni informativi richiesti da una dottrina sanitaria in cui tutte le decisioni dovrebbero essere idealmente basate sulle migliori prove e la disponibilità effettiva di tali prove per la pratica medica reale, nella quale la generazione di informazioni tempestive e di valore pratico incontra ostacoli sempre più rilevanti (1). L’incremento di costi e tempi e la difficoltà di applicare in modo sistematico i risultati degli studi clinici a popolazioni più ampie rispetto a quelle testate sono solo alcune delle sfide che la sperimentazione clinica si trova oggi ad affrontare. Lo scenario della ricerca e sviluppo del farmaco sta evolvendo in modo più rapido e profon- do rispetto alle previsioni di alcuni anni fa (2): • in grande parte dei casi, il composto non viene più scoperto dall’impresa che lo sviluppa (3); • l’accademia sta diventando un soggetto primario per la scoperta di composti (4); • stanno emergendo soggetti no-profit, quali Fondazione Telethon in Italia, che intervengono nel processo di ricerca, scoperta e sviluppo precoce di composti (Venture Philantropy) (5, 6); • la nuova era dei ATMP – Advance Therapeutics Medicinal Products prevede modalità di sviluppo e di gestione dei nuovi composti assai diverse rispetto alle tradizionali molecole chimiche e biologiche; • i soggetti acquirenti di prodotti farmaceutici (SSN, SSR, altri) intervengono in modo diretto sui processi di ricerca clinica allo scopo di verificare se le caratteristiche terapeutiche ed il valore clinico documentati nello sviluppo pre-autorizzativo sono confermati anche nei contesti di utilizzo specifici dell’acquirente, attraverso la promozione di ricerca in contesti diversi da quelli tradizioni (Real Life) ed il ricorso a database e registri (7). Questi diversi fattori intervengono sui processi di ricerca, scoperta e sviluppo del farmaco modificando modalità e modelli della loro progettazione ed esecuzione, determinando una profonda evoluzione della sperimentazione clinica ed una progressiva obsolescenza di alcune delle norme che la regolano. 1. Sperimentazione Clinica no Profit ed Industria Farmaceutica La sperimentazione clinica del farmaco può essere descritta in base ad una serie di elementi, alcuni dei quali riportati in tabella 1. CARATTERISTICA DESCRITTORI PROMOTORE industriale o commerciale, non industriale o commerciale SOSTENITORE industriale o commerciale, non industriale o commerciale DISEGNO sperimentale, osservazionale FINALITÀ esplorativa, confermativa, valutativa CONTESTO controllato, vita reale ENDPOINT surrogato, esito MISURE osservate dal medico, riferite dal paziente Con riferimento al promotore (o sponsor), definito quale società, istituzione oppure organismo che si assume la responsabilità di avviare, gestire ed eventualmente finanziare la sperimentazione clinica, la normativa europea ed italiana (8) identifica 2 categorie: Quaderni della SIF (2014) vol. 39-9 1. sperimentazioni a fini industriali o a fini commerciali sperimentazioni promosse da industrie o società farmaceutiche o comunque da strutture private a fini di lucro, fatta eccezione per gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico privati, i cui risultati possono essere utilizzati nello sviluppo industriale del farmaco o a fini regolatori o a fini commerciali; 2. sperimentazioni non a fini industriali o non a fini commerciali sperimentazioni cliniche che presentino i requisiti di cui all’articolo 1, comma 2, lettere a), b), c) e d) del decreto del Ministro della salute in data 17 dicembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22 febbraio 2005. FIGURA 1 SCOPERTA E SVILUPPO COLLABORATIVO DEL FARMACO SECONDO IL MODELLO DI FONDAZIONE TELETHON. L’impegno dei diversi portatori d’interesse nelle fasi dello sviluppo del farmaco è rappresentato dalle barre orizzontali; le frecce rappresentano le attività di collaborazione messe in atto dalla Fondazione Telethon. Per raggiungere efficacemente l’obiettivo. La sperimentazione clinica a fini industriali (profit) e non a fini industriali (non profit) sono state spesso descritte e discusse in termini di contrapposizione, talora con connotazioni valoriali ed etiche basate su ideologia piuttosto che su basi sperimentali o empiriche. Al contrario, le modalità di gestione ed esecuzione della sperimentazione clinica del farmaco sono indipendenti dalla natura dello sponsor, ispirate dai medesimi valori e guidati dalle medesime politiche e procedure. Tutti gli studi devono porsi obiettivi di rilievo ed essere condotti in modo da tutelare i soggetti coinvolti e garantire l’accuratezza dei dati raccolti, delle analisi statistiche, delle pubblicazioni, essere comunicati in modo Il riconoscimento del valore e della complementarietà della ricerca no profit con i propri programmi di ricerca clinica ha condotto numerosi gruppi farmaceutici negli ultimi anni a dotarsi di infrastrutture per supportare le sperimentazioni cliniche ed ad aumentare progressivamente le risorse umane ed economiche destinate al supporto di tale ricerca (10). I maggiori gruppi industriali internazionali hanno attivato accessi basati sul web per raccogliere, valutare e gestire le richieste di Quaderni della SIF (2014) vol. 39-10 trasparente sia registrando la sperimentazione nei registri che pubblicando i risultati su registri e riviste. I dati clinici relativi ai singoli pazienti coinvolti nella sperimentazione infine dovrebbero essere resi accessibili a tutti i ricercatori interessati, secondo le modalità che tutelano la riservatezza dei pazienti e la integrità dei dati già utilizzate per alcuni studi profit. Tale concezione dicotomica si è modificata negli ultimi anni con lo sviluppo di modelli collaborativi – sia nella scoperta dei composti che nel loro sviluppo – con la ricerca accademica e con i nuovi attori della sperimentazione clinica. L’ingresso di organizzazioni no profit nel processo di scoperta e sviluppo con l’intendo di renderli rapidamente disponibili a pazienti con malattie rare o neglette comporta la revisione del concetto di “sviluppo industriale” dei farmaci e del significato delle attività no – profit. Il nuovo modello collaborativo di ricerca, del quale un esempio paradigmatico è rappresentato in Italia dalla collaborazione tra Fondazione Telethon, Ospedale San Raffaele e GlaxoSmithKline per lo sviluppo di 7 composti di terapia genica, prevede che organizzazioni senza finalità di lucro possano avviare le fasi iniziali della sperimentazione clinica e dello sviluppo clinico che successivamente viene completato dall’impresa farmaceutica (9) (Figura 1). supporto dei promotori di sperimentazione clinica no-profit, definiti in vario modo secondo la prospettiva dell’industria come ISS – Investigator Sponsored Study, IIR – Investigator-Initiated Research, ISR – Investigator-Sponsored Research (11, 12, 13). Tali siti descrivono il programma di supporto alla ricerca no-profit, forniscono le indicazioni per rivolgere la richiesta e descrivono le condizioni per la erogazione del supporto. Il sito di GlaxoSmithKline ad esempio riporta che un ISS – Investigator Sponsored Study ovvero uno studio è un’attività di ricerca nel quale il promotore è il ricercatore stesso oppure una istituzione sanitaria o un gruppo di ricercatori esterni a GSK che cerca il supporto di GSK per realizzare la propria ricerca. Tale supporto può essere rappresentato da finanziamento e/o materiali di studio (compresi i prodotti dell’azienda, gli adiuvante per i vaccini, il placebo o altri farmaci necessari per la ricerca). In circostanze eccezionali in cui lo studio richieda, per realizzare una determinata attività (ad esempio test nel caso di vaccini oppure ricerche su biomarcatori), competenze e capacità specializzate che lo sponsor non ha e che non trova da fornitori, l’azienda può realizzare la specifica attività come parte del supporto. Il ruolo della società farmaceutica è quello di fornire il supporto approvato come indicato nel contratto legale, in tempi rapidi e di fornire tutte le informazioni di natura scientifica e medica al ricercatore-sponsor in qualsiasi momento in merito alla proposta, al protocollo o a qualsiasi aspetto della conduzione dello studio qualora GSK avesse delle preoccupazioni o riserve sull’integrità scientifica dello studio o sul benessere del paziente (11). 2. Sperimentazioni non a fini industriali o non a fini commerciali in Italia L’Italia vanta esperienze significative nella sperimentazione clinica no-profit, sia per la presenza di gruppi collaborativi che per i programmi promossi da AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco. Uno degli esempi più significativi interessa gli studi del Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto miocardico (GISSI), che ha valutato la sopravvivenza del paziente dopo infarto miocardico acuto. Gli studi GISSI hanno impiegato protocolli adattati alla pratica clinica, che hanno permesso la partecipazione di oltre 60.000 pazienti e quasi l’80% delle unità coronariche esistenti al momento in Italia. La capillare partecipazione di un tale numero di ricercatori è ritenuto un fattore determinante per la rapida adozione nella pratica medica dei risultati degli studi GISSI. AIFA ha definito tra i propri obiettivi strategici la promozione della ricerca indipendente, finalizzata a produrre conoscenze in grado di contribuire al miglioramento della salute pubblica in aree che potrebbero risultare marginali o di scarso interesse commerciale (14). Tale ricerca è finanziata da AIFA attraverso uno specifico fondo, previsto dalla legge istitutiva dell’AIFA (L. 326/2003), costituito dal contributo del 5% delle spese promozionali versato dalle aziende farmaceutiche. Le aree di interesse sono rappresentate da studi comparativi tra diverse strategie terapeutiche per problemi rilevanti per la salute pubblica e per il SSN, da studi su popolazioni (bambini, donne in gravidanza, anziani con polipatologia, pazienti con malattie rare) e su temi (quali i confronti diretti tra farmaci o con farmaci fuori brevetto, la definizione del place-in-therapy in una strategia terapeutica, il follow-up a lungo termine) poco rappresentati nelle sperimentazioni farmaceutiche, da progetti dedicati ad approfondire le conoscenze sulla sicurezza dei farmaci e sulle strategie per migliorare l’appropriatezza delle cure. I bandi di ricerca, rivolti alle strutture del SSN, agli Istituti di ricerca, alle Università e alle Associazioni no-profit sulle tematiche considerate prioritarie, hanno tuttavia subito una notevole riduzione negli ultimi anni (15). L’evoluzione più recente della sperimentazione clinica con sponsor no-profit in Italia presenta tuttavia alcune caratteristiche singolari e specifiche del nostro paese, relativamente a: 1. fasi di sviluppo; 2. prevalenza. a. Fasi della sperimentazione clinica no-profit in Italia Tra gli obiettivi principali della sperimentazione clinica no-profit, secondo le intenzioni dei suoi promotori, rientra la valutazione comparativa sperimentale di opzioni farmacologiche alternative in contesti di cura propri della vita reale (Comparative Effectiveness) (16). In Italia le sperimentazioni cliniche condotte da sponsor no profit sono così distribuite tra le diverse fasi (17, 18): • Fase 2 nel 50,0% del casi • Fase 3 nel 30,0% dei casi • Fase 1 nel 1,3% dei casi • Fase 4 nel 18,7% dei casi Si tratta di un profilo assai simile a quello dell’impresa farmaceutica, con elevata rappresentazione di fase esplorative (oltre il 50% delle sperimentazioni) e pre-autorizzative (oltre 80%) e limitata presenza di ricerca post-autorizzata (meno del 20%). Poiché la normativa italiana prevede che i risultati della sperimentazione indipendente non possano essere usati per lo sviluppo industriale del farmaco (19) e le sperimentazioni cliniche che presentano i requisiti dell’articolo 1 comma 2 del DM 2004 senza essere volte al miglioramento della pratica clinica sono pressoché assenti, non è chiaro come i risultati delle sperimentazioni cliniche di fase 2, che rappresentano pertanto studi di generazione di ipotesi, possano essere utilizzati ai fini del miglioramento della pratica clinica, quale parte integrante della assistenza sanitaria. Più in generale, rimane un aspetto di ordine generale che necessita probabilmente di attenta riflessione: come è pensabile che, come stabilito dal DM 2004, uno studio, promosso da un ricercatore-istituzione no-profit e che ottenga risultati clinicamente rilevanti, non possa essere utilizzato per lo sviluppo industriale del farmaco o comunque generi un valore di carattere economico? b. Prevalenza della sperimentazione clinica no-profit in Italia La tabella 1 riporta il numero delle sperimentazioni cliniche registrate al 2013 nel database EudraCT (20). Quaderni della SIF (2014) vol. 39-11 PAESE STUDI CLINICI PROFIT STUDI CLINI NO PROFIT TOTALE % NO PROFIT TOTALE PAESE % PROFIT TOTALE UE Francia 4.863 1.581 6.464 24,5 8,1 Germania 8.611 1.810 10.450 17,3 14,4 Italia 4.185 2.480 6.677 37,4 7 Spagna 4.517 1.422 5.965 23,9 7,6 Regno Unito 6.935 2.359 9.351 25,2 11,6 TOTALE UE-5 22.111 9.652 38.907 – – TOTALE UE 59.696 15.749 75.840 20,9 59.696 TABELLA 2 CONFRONTO DEL NUMERO COMPLESSIVO DI SPERIMENTAZIONI CLINICHE REGISTRATE AL 2.2013 TRA I 5 MAGGIORI PAESI EUROPEI SECONDO LA NATURA DELLO SPONSOR. ANNO Rispetto ad una media europea del 21%, l’Italia presenta una media di studi clinici no-profit superiore al 37%, doppia rispetto alla Germania e superiore di oltre il 50% al tutti gli altri maggiori paesi europei. Al contrario, la percentuale di studi for-profit risulta la più bassa tra tutti i maggiori paesi europei. PROFIT SC Tale situazione è cambiata in modo significativo nel 2013, che evidenzia una riduzione rilevante sia in numeri assoluti (pari a 86 sperimentazioni cliniche) che percentuale (pari ad oltre il 38%) degli studi con sponsor non commerciale (21) (Tabella 3). NON PROFIT % SC TOTALE % SC % 2009 443 58,2 318 41,8 761 100,0 2010 431 64,3 239 35,7 670 100,0 2011 441 65,2 235 34,8 676 100,0 2012 472 67,7 225 32,3 697 100,0 2013 444 76,2 139 23,8 583 100,0 2.231 65,9 1.156 34,1 3.387 100,0 TOTALE TABELLA 3 NUMERO DI SPERIMENTAZIONI CLINICHE AVVIATE IN ITALIA PER ANNO E PER NATURA DELLO SPONSOR. Una possibile spiegazione per una presenza di sperimentazione clinica con sponsor no-profit in Italia anomala rispetto agli altri paesi può derivare dalla elevata prevalenza di ricerca su farmaci oncologici ed immunomodulatori, che rappresentano il 49,4% delle sperimentazioni su farmaci nel 2013 (21) e presentano la percentuale più elevata tra tutti i paesi europei (22). Al contrario dovranno essere meglio chiarite le ragioni dell’acuta riduzione del 2013 (21). 3. Fonti di finanziamento della ricerca no – profit in Italia Il 12^ Rapporto Nazionale AIFA sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali in Italia (23) relativo all’anno 2012 riporta 225 sperimenQuaderni della SIF (2014) vol. 39-12 tazioni cliniche con sponsor no-profit. Uno studio empirico condotto nel 2014 su 9 tra le prime 12 aziende farmaceutiche in Italia indica che il supporto di fonte industriale per gli studi clinici no profit avviati nel 2012 possa essere compreso tra 132 e 195 (24). Ciò indica che l’impresa farmaceutica ha un ruolo fondamentale nel finanziamento e nel supporto alla sperimentazione clinica con sponsor no-profit in Italia. Per tale è necessario che sia garantita chiarezza e trasparenza nei rapporti tra le parti e nei finanziamenti di tale ricerca. La ricerca non profit è attività di ricerca per l’ente non profit, mentre per l’impresa farmaceutica il sostegno economico erogato può rappresentare • finanziamento di attività altrui e pertanto una erogazione di contributo/donazione oppure • compenso per accesso e sfruttamento dei risultati della ricerca altrui. Ne consegue pertanto che se lo studio no profit che l’impresa intende supportare: a. è fondato sul DM 17.12.2004, l’impresa del farmaco opera nel campo dei contributi/donazioni, in quanto tale decreto riporta esplicitamente che i risultati appartengono esclusivamente allo sponsor istituzionale e non possono essere utilizzati per fini di profitto industriale; b. è fondato su un accordo collaborativo diverso da DM17/12/04, si tratta di compensi a fronte di diritti di accesso e sfruttamento dei risultati dell’attività (acquisto e non donazione) attraverso contratto collaborativo di ricerca. Poiché una quota rilevante delle sperimentazioni cliniche con sponsor no-profit condotte in Italia è supportata da imprese farmaceutiche ed interessa indicazioni non autorizzate, non è agevole ritenere che l’unico portatore di interessi in tale ricerca sia l’istituzione pubblica e che l’azienda non abbia alcun ruolo se non quello di erogare risorse con intento liberale. 4. Evoluzione della sperimentazione clinica no-profit in Italia Come la sperimentazione clinica industriale, anche quella no profit è condizionata dai medesimi fattori di sviluppo, propri di un contesto globale e competitivo, nel quale l’accesso alle risorse dipende dalla attrattività del contesto nel quale viene svolta la specifica attività. Considerare la sperimentazione clinica come attività locale ad esclusivo finanziamento istituzionale, rappresenta oggi una valutazione errata e potenzialmente dannosa per lo sviluppo della ricerca, della economia e della società del nostro paese. L’Italia è uno dei pochi paesi che ha approvato una norma sulla sperimentazione clinica no-profit (20), che ha generato vantaggi in una prima fase di applicazione, ma che nel nuovo scenario della ricerca e sviluppo del farmaco potrebbe ora rappresentare elemento di ostacolo. Tale scenario rende sempre più rilevante ed importante per l’impresa del farmaco la collaborazione con l’accademia, le rappresentanze dei pazienti, i ricercatori. Operando in un contesto globale, tali attività risultano sempre più competitive tra i diversi paesi interessati a tale attività ed all’accesso alle fonti di finanziamento, sempre più internazionali e globali. sponsorship per la sperimentazione clinica e consente di differenziare l’intensità della attività di supervisione dello studio sulla base del livello di rischio atteso. L’Italia deve aumentare la propria attrattività per la sperimentazione clinica, tra le più basse in Europa per la ricerca (25); l’adeguamento della normativa sulla sperimentazione clinica no-profit ai nuovi scenari della ricerca rappresenta una opportunità ed una necessità per aumentare la attrattività del nostro paese per la sperimentazione clinica dei farmaci a livello internazionale. Nel nuovo scenario della ricerca e sviluppo, è prevedibile che la sperimentazione clinica condotta con il ruolo di sponsor da soggetti no profit – nei confronti della quale l’impresa farmaceutica assume il ruolo di supporto e sostenitore – sia destinata ad un progressivo sviluppo, soprattutto a livello di: • ricerca esplorativa, per identificare nuove opportunità di sviluppo di farmaci in commercio o in sviluppo; • ricerca valutativa, per selezionare le terapie più vantaggiose in termini clinici ed economici tra le opzioni farmacologiche alternative. La complessità della gestione della sperimentazione clinica ha progressivamente selezionato anche in Italia i gruppi interessati a tale ricerca e richiesto l’adeguamento di competenze ed infrastrutture (anche attraverso l’intervento di CRO) a standard non dissimili da quelli delle imprese. Gruppi di ricerca quali Penta (26), Gimema (27), QoL-One (28) hanno dimostrato capacità di coordinare e condurre attività di sperimentazione anche a livello internazionale e di concorrere ai finanziamenti dei programmi internazionali di sviluppo della ricerca. Per assicurare una nuova fase di sviluppo della sperimentazione clinica no-profit in Italia è tuttavia necessario un aggiornamento della infrastrutture ed una revisione della normativa esistente. Il documento “Ricerca Clinica da Promotori No Profit in Italia – Una Proposta per la Competitività in 10 Punti” (29) elaborato da un gruppo di lavoro promosso da FADOI identifica una serie di aree di intervento e propone delle raccomandazioni operative per aumentare la attrattività dell’Italia per la sperimentazione clinica no-profit e la competitività nei confronti di altri paesi. È pertanto prevedibile che a livello internazionale la sperimentazione clinica del farmaco aumenti progressivamente, grazie anche ad un ruolo di supporto e collaborativo della impresa del farmaco ed al nuovo Regolamento Europeo che prevede la possibilità di doppia Quaderni della SIF (2014) vol. 39-13 RACCOMANDAZIONE 1 TABELLA 4 RICERCA CLINICA DA PROMOTORI NO PROFIT IN ITALIA – UNA PROPOSTA PER LA COMPETITIVITÀ IN 10 PUNTI. Eliminare dal Decreto, o comunque rimodulare in maniera più dettagliata, quanto riportato all’Articolo 1, lettera d) (“….che la sperimentazione non sia finalizzata né utilizzata allo sviluppo industriale del farmaco o comunque a fini di lucro”). RACCOMANDAZIONE 2 Alleggerire gli oneri legati alla copertura assicurativa per gli studi, attraverso alcune misure specifiche a. Esentare dalla necessità della copertura assicurativa le sperimentazioni in cui i trattamenti siano somministrati in indicazioni e con posologie registrate e le procedure diagnostiche e di follow-up siano sovrapponibili a quelle attuate nella comune pratica clinica. b. Introdurre l’obbligo della valutazione del rischio effettivo dello studio, in rapporto alle esperienze terapeutiche comparabili disponibili ed ai relativi dati statistici esistenti. Tale valutazione del rischio dovrebbe altresì riguardare i requisiti di copertura postuma, la cui durata minima stabilita dal Decreto del luglio 2009 (24-36 mesi) può risultare eccessiva per sperimentazioni in patologie a prognosi infausta e in tutti i casi in cui la probabilità di danno a distanza di tempo sia ragionevolmente bassa. Queste indicazioni di gerarchizzazione del rischio sembrano coerenti con l’indicazione, presente nel Regolamento Europeo recentemente emanato, di selezionare fra le sperimentazioni cliniche quelle “a basso livello di intervento”. Il regolamento Europeo prevede per queste ricerche norme meno severe per quanto riguarda per esempio il monitoraggio, tuttavia ritiene debbano essere soggette alle medesime procedure di domanda di autorizzazione applicabili a qualunque altra sperimentazione clinica. spettivi non di carattere genetico, fermo restando che: a. il protocollo di studio venga sottomesso alla valutazione di un Comitato Etico (nel caso di uno studio multicentrico quello del Centro Coordinatore) e ottenga dallo stesso un parere positivo; b. venga rispettato il principio di non eccedenza e di confidenzialità (esclusione di dati non strettamente necessari ai fini degli obiettivi dello studio e adozione di modalità che preservino al massimo la riservatezza circa l’identità degli interessati); c. permanga l’obbligo di informare l’interessato e di richiederne il consenso qualora, durante l’esecuzione dello studio, intervenga un contatto con il paziente; d. i promotori comunichino all’Autorità Garante della Privacy lo svolgimento delle ricerche di tipo retrospettivo, anche al fine di consentire eventuali verifiche ispettive. RACCOMANDAZIONE 5 Favorire strategie di presa in carico, da parte del Sistema Sanitario Nazionale, della copertura assicurativa per gli studi no-profit, per esempio attraverso l’adeguamento delle polizze di Aziende Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere laddove inappropriate. I Comitati Etici dovrebbero essere obbligati a prevedere che l’elenco di documenti e la modulistica da presentare da parte dei Promotori siano omogenei, prendendo come riferimento il Decreto del Ministero della Salute del 21 dicembre 2007 “Modalità di inoltro della richiesta di autorizzazione all’Autorità competente, per la comunicazione di emendamenti sostanziali e la dichiarazione di conclusione della sperimentazione clinica e per la richiesta di parere al comitato etico” o le norme Comunitarie vigenti all’atto della richiesta. È necessaria la definizione e l’adozione, su scala nazionale, di un modello condiviso di accordo economico tra la struttura commerciale che eroga un contributo per supportare lo studio e un promotore non commerciale (in modo da ridurre al minimo le possibili controversie interpretative in sede di valutazione da parte del Comitato Etico), così come di un modello-tipo di convenzione tra Promotore no-profit e Centri partecipanti. In tal modo dovrebbe essere favorito il rispetto, da parte delle Amministrazioni Ospedaliere, delle tempistiche di stipula degli accordi economici, come previsto dal “Decreto Balduzzi” di fine 2012. RACCOMANDAZIONE 4 RACCOMANDAZIONE 6 RACCOMANDAZIONE 3 Adeguamento delle previsioni del Garante per la Protezione dei Dati Personali alla Determinazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco del 20 marzo 2008 “Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci” al fine di esentare dal consenso dei pazienti i trattamenti di dati clinici a fini di ricerca per studi retroQuaderni della SIF (2014) vol. 39-14 I fondi raccolti dai Comitati Etici attraverso il pagamento, da parte dei Promotori profit, delle tariffe per la valutazione degli studi, devono in gran parte rimanere in capo ai Comitati Etici stessi, ed essere utilizzati per migliorarne la capacità gestionale e la qualità del contributo al processo di ricerca (es. Segreteria del Comitato Etico), così come per ottimizzare i percorsi di ricerca (es. creazione di Units per l’assistenza ai ricercatori nei Presidi di competenza). RACCOMANDAZIONE 7 Le Autorità Sanitarie nazionali, regionali e locali, dovrebbero agire in maniera coordinata per garantire un programma di finanziamento della ricerca, con particolare riguardo a quella di tipo clinico. Tale programma dovrebbe prevedere un incremento complessivo e una razionalizzazione degli investimenti, che consentano anche il finanziamento di progetti (pur in numero contenuto) di rilevante impegno economico ma di potenziale significativo impatto scientifico. La disponibilità di fondi istituzionali, e una ragionevole regolarità della loro distribuzione, sono requisiti indispensabili per il mantenimento e l’auspicabile sviluppo delle istituzioni e delle reti di ricerca nazionale. In tale ottica, si auspica in particolare che AIFA possa riprendere l’attività di promotore e finanziatore della ricerca indipendente, nei modi e nei tempi in precedenza efficientemente applicati, e che possa essere rapidamente completata la fase di assegnazione dei fondi relativi al più recente bando AIFA per la ricerca indipendente (anno 2012). Nei limiti delle competenze e delle finalità istituzionali dei diversi Enti che sostengono bandi di finanziamento per progetti di ricerca indipendente (Ministero della Salute, MIUR, AIFA, Regioni etc.), appare auspicabile che vi siano condizioni di opportunità e regole di attribuzione dei fondi adatte a tutte le diverse tipologie di Promotori no-profit. L’attività di ricerca clinica (quantità assoluta e variazione incrementale, per numero di studi e di pazienti arruolati in questi ultimi) dovrebbe essere compresa fra i primi 5 criteri di valutazione per i Direttori Generali delle Azienda Sanitarie e degli IRCCS. A tali raccomandazioni, sarà opportuno prevedere nel prossimo aggiornamento del documento l’aggiunta di una undicesima, per assicurare la massima chiarezza e dare trasparenza a tale modalità collaborativa, sia per evitare che la ricerca indipendente possa essere percepita come ricerca con sponsor TABELLA 5 RACCOMANDAZIONE SULLA TRASPARENZA DEI RUOLI TRA SPONSOR E SOSTENITORE NELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA NO-PROFIT. RACCOMANDAZIONE 8 È fortemente auspicabile la creazione di strutture professionali istituzionali in grado di supportare i ricercatori no-profit nelle applications per bandi di ricerca internazionale e nella successiva gestione dei finanziamenti eventualmente ricevuti (e relativi requirements). Più in generale, andrebbero favorite le iniziative finalizzate alla diffusione della cultura della metodologia della ricerca clinica e delle problematiche scientifiche ed organizzative ad essa correlate, sia nei percorsi scolastici universitari che per quanto riguarda programmi formativi specialistici promossi da Istituzioni con consolidata esperienza nella realizzazione di studi clinici. RACCOMANDAZIONE 9 Una misura di possibile utilità diretta per la ricerca riguarda la realizzazione (attraverso l’Anagrafe, o l’Istituto Nazionale di Statistica) di database nazionali ai quali i ricercatori possano rivolgersi (previa una selezione della congruità dei progetti) per acquisire informazioni funzionali alle proprie ricerche (es. survival status disponibile a livello nazionale). La disponibilità di dati nazionali appare di particolare importanza, così come l’opportunità di armonizzare le modalità di raccolta a livello regionale dei dati amministrativi, rendendoli così maggiormente fruibili a fini di ricerca. RACCOMANDAZIONE 10 Dovrebbero essere previsti incentivi fiscali per le strutture no-profit che assumano figure professionali da impegnare nella ricerca (ricercatori, data managers, study coordinators, research nurses, quality teams, professionisti specificamente formati per ottemperare alle disposizioni normative vigenti in tema di farmacovigilanza etc.). A corredo di ciò, potrebbe risultare appropriato un riconoscimento professionale di figure quali data manager / clinical research coordinator e research nurse, di particolare utilità per l’efficienza e la qualità della ricerca clinica. farmaceutico non trasparente, che per riconoscere in modo formale all’azienda sostenitrice un ruolo e conseguentemente dei diritti (di sviluppo delle nuove conoscenze e di utilizzo a fini brevettuali/registrativi) a fronte dei costi che le vengono richiesti e che è chiamata a sostenere (Tabella 5). RACCOMANDAZIONE 11 È necessario definire con chiarezza e massima trasparenza (a) i limiti e le caratteristiche del ruolo dell’azienda farmaceutica sostenitrice (b) la possibilità che i risultati dello studio siano utilizzati a fini registrativi/brevettuali magari anche attraverso compensi (royalty) a Istituzione sponsor. Quaderni della SIF (2014) vol. 39-15 BIBLIOGRAFIA 1. Institute Of Medicine. Large Simple Trials and Knowledge Generation in a Learning Health System. Washinghton DC, 2013 2. Bodini R, Ercolani M, Grassi B, Recchia G, Stragliotto E. Quale ricerca farmaceutica negli anni della Grande Glaciazione? Tendenze Nuove, 2013 3. Young J. More drugs originate outside the industry than it claims. BMJ 348, 4.2.2014 4. Linker H et al. Where do new medicines originate from in the EU? Nat Rew Drug Disc 13: 92-3, 2014 5. De Vrueh RL et al. Roles and strategies for health foundations in public-private partnerships. Nat Rew Drug Disc 13: 406-7, 2014 6. Cohen D. Paying twice: questions over high cost of cystic fibrosis drug developed with charitable funding . BMJ 348, 12.2.2014 7. Patarnello F, Recchia G. Ricerca post-autorizzativa, registri e sviluppo del farmaco. Recenti Prog Med 104: 275-279, 2013 8. Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 200, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 9.11.2007 9. 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MÜLLER La scomparsa di Eugenio Müller, Professore Emerito dell’Università di Milano, priva la comunità scientifica internazionale di una grande e fertile presenza e di una importante, originalissima voce. Eugenio era un ricercatore moderno, ricco di nuove idee e pieno di straordinarie e vivaci intuizioni. Lascia, in tutte le persone che lo hanno conosciuto, una traccia profonda e una immagine da imitare, che, ne siamo certi, sarà molto fruttuosa nel futuro se i più giovani fra noi sapranno mettere a frutto il suo magistero. Gli sopravvivono comunque, come una traccia indelebile, le sue numerose pubblicazioni. Nato nel 1933, si laureò nel 1958 presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano ottenendo la votazione massima. Dobbiamo ritenere che fosse uno studente attento e diligente dato che, nel corso dei sei anni precedenti, aveva frequentato, come Studente Interno, prima l’istituto di Anatomia e poi il Padiglione Sacco dell’Ospedale Policlinico sede dell’Istituto di Patologia Speciale Medica. Una volta conseguito il diploma di Laurea, accettò di entrare come Assistente Straordinario (un modo elegante per dire senza stipendio!) presso l’Istituto di Farmacologia allora diretto dal Professore Emilio Trabucchi. Non sembra abbia avuto dubbi prendendo la decisione di abbandonare la medicina pratica, anche se avrebbe avuto in suo Padre, medico affermato, un ottimo esempio da seguire. L’ingresso in Farmacologia sarà per lui il punto di approdo dal quale non si sarebbe più distaccato. Non appare oggi strano, dato che le sue ricerche saranno poi indirizzate principalmente al settore endocrino, che immediatamente dopo la laurea si fosse iscritto alla Scuola di Specializzazione in Endocrinologia della Facoltà Medica di Torino conseguendone il relativo diploma; allora questa Scuola di Specializzazione non esisteva a Milano. Entrando nel nuovo Istituto, Eugenio iniziò la propria attività associandosi a Luciano Martini e ad Antonio Pecile con i quali condivise da subito l’amarezza che nasceva dal fatto che la ricerca sperimentale godeva, nel nostro paese, di pochissimi appoggi: mancava ogni tipo di finanziamento e le apparecchiature scientifiche erano ovviamente minime, arretrate e obsolete. Però, accanto all’amarezza, c’era un grande entusiasmo di cui egli fu immediatamente compartecipe. Già alla fine del suo primo anno di attività Eugenio darà alle stampe il suo primo lavoro: naturalmente su una rivista italiana e nella nostra lingua come era allora tradizione per un principiante. Però, ben presto, nel 1965, poteva passare a pubblicare un articolo di grande prestigio, in inglese, su una rivista di alto valore scientifico: Endocrinology, organo ufficiale della Società di Endocrinologia degli Stati Uniti. Il lavoro riferiva che, nell’ipotalamo del ratto, esistevano uno o più fattori capaci di stimolare la liberazione, da parte dell’ipofisi, dell’ormone della crescita. Non solo: il lavoro dimostrava anche che queste sostanze diminuivano con il progredire dell’età dell’animale fino a scomparire del tutto una volta raggiunta la vecchiaia. Erano gli anni in cui, a livello internazionale, era iniziata la corsa per verificare la correttezza dell’ipotesi formulata da Geoffrey W. Harris che l’ipotalamo controllasse l’ipofisi anteriore sintetizzando dei particolari principi, specifici per ogni singolo ormone, che poi venivano trasportati alla ghiandola attraverso il sistema portale ipofisarico. Erano già noti, anche se non erano ancora stati caratterizzati dal punto di vista della loro struttura chimica, i neuro-ormoni che favorivano la secrezione dell’ormone adrenocorticotropo, dell’ormone tireotropo e dell’ormone luteinizzante. Per sottolineare l’assoluta priorità dei risultati riportati nel primo lavoro internazionale di Eugenio, confermati e ampliati in una serie di pubblicazioni immediatamente successive, ricordiamo che il principio attivo in questione venne isolato e sequenziato molti anni dopo, nel 1982, da Wylie W. Vale, che gli diede il nome definitivo di Growth Hormone Releasing Hormone (GHRH). Fu il successo internazionale di quella serie di articoli a far scegliere a Eugenio il “suo” ormone, per l’appunto l’ormone della crescita, del quale si occuperà precipuamente per tutta la sua carriera scientifica di ricercatore attento e moderno. Secondo le tradizioni dell’epoca, nel 1965 egli conseguì la Libera Docenza in Farmacologia, che rappresentava una tappa importante per chi voleva seguire una carriera universitaria. Alla Libera Docenza in Farmacologia aggiungerà pochi anni dopo anche quella in Endocrinologia. La carriera universitaria di Eugenio inizierà però veramente con la nomina ad Assistente Ordinario che, nel 1967, lo faceva entrare nel rango dei futuri docenti di Farmacologia garantendogli anche, dopo tanti anni di volontariato, uno stipendio non ricchissimo ma sicuro. Dopo le sue prime pubblicazioni a livello internazionale non gli fu difficile ottenere una borsa di studio dal National Institute of Health degli Stati Uniti (il favoloso NIH di Bethesda). Per il suo periodo di lavoro in America come “postdoctoral fellow” scelse gli Endocrine and Polypeptides Laboratories di New Orleans fondati e diretti da Andrew V. Schally. Durante il suo relativamente breve soggiorno in Louisiana – un anno – Eugenio pubblicherà più di una decina di lavori. Questa pluralità nasce da due condizioni locali che si sommano fra loro. Prima di tutto vanno considerate le dimensioni di spazio, il numero dei tecnici di laboratorio, e la qualità delle attrezzature di quella fucina statunitense alla quale, fra l’altro, molte Fondazioni pubbliche e private americane offrivano in abbondanza danaro da spendere per la ricerca. La seconda ragione è legata al fatto che Andrew era un chimico che, in quel momento, non aveva approfondite conoscenze di biologia e aveva quindi la necessità di appoggiarsi a biologi sperimentali per condurre le proprie ricerche. Eugenio, per conoscenza della diQuaderni della SIF (2014) vol. 39-17 sciplina, per bravura personale e per quella fantasia che è indispensabile per uscire dalle scoperte casuali dominate dalla “serendipity”, superava probabilmente i due colleghi americani tradizionali collaboratori di Schally. Ricordiamo che Andrew Schally riceverà il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1978, condividendolo con Roger Guillemin. La motivazione spiega che esso veniva assegnato ai due ricercatori per aver identificato rispettivamente la formula dell’ormone ipotalamico che stimola la secrezione dell’ormone luteinizzante (all’epoca non era chiaro se il principio ipotalamico favorisse anche la secrezione dell’ormone follicolostimolante) e del TSH. Rientrato in Italia Eugenio riprende con rinnovate energie la sua attività di ricercatore. Ormai è un vero caposcuola e riesce a circondarsi di collaboratori appassionati e giustamente devoti. Il suo curriculum scientifico si arricchisce di numerose altre scoperte. Continua anche la sua attività di didatta. Nel 1975 viene chiamato a ricoprire, dopo aver vinto un regolare concorso, la cattedra di Farmacologia presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Cagliari. Si sottopone così, per 5 anni, al duplice faticoso compito di educare gli studenti sardi e, simultaneamente, di tener viva la sua struttura milanese. Rientra definitivamente a Milano nel 1980 come Professore Ordinario di Chemioterapia e poco dopo di Farmacologia della Facoltà di Medicina della nostra Università. Dal 1988 al 1994 avrà sulle proprie spalle anche la Direzione del Dipartimento di Farmacologia Chemioterapia e Tossicologia Medica, nato sulle ceneri del precedente glorioso Istituto. In quegli anni il gruppo di ricerca di Eugenio diviene punto d’attrazione per numerosi giovani ricercatori italiani e stranieri che contribuiscono a ottenere importanti risultati sul ruolo esercitato dai neurotrasmettitori ipotalamici nel controllo della secrezione degli ormoni antero ipofisarici. Conoscitore profondo delle necessità mediche collegate alle sue ricerche biologiche, cercherà di trasferire al paziente ogni nuova acquisizione ottenuta nell’animale da esperimento, collaborando incessantemente con numerosi clinici. I suoi studi sul controllo della secrezione della prolattina sono rilevanti per la caratterizzazione del ruolo inibitorio esercitato dall’ipotalamo su questo ormone e del meccanismo d’azione dei farmaci dopaminergici utilizzati nel trattamento delle iperprolattinemie. Di grande interesse è anche l’osservazione che i farmaci dopaminergici, che stimolano la secrezione di GIANCARLO PEPEU Professore Emerito, Università degli Studi di Firenze ormone somatotropo nel soggetto normale, la inibiscono nei pazienti acromegalici. Questa originale osservazione pone le basi della terapia con farmaci dopamino-agonisti degli adenomi ipofisarici secernenti l’ormone della crescita. Eugenio era stato anche tra i primi, in Italia, a proporre il trattamento con ormone somatotropo dei bambini con difetti staturali contribuendo a creare una “Banca delle Ipofisi” per facilitare la raccolta di ghiandole umane da cui estrarre l’ormone per finalità terapeutiche. Alle patologie della crescita ha continuato a dedicare molte delle sue ricerche che portarono all’elaborazione di test neurofarmacologici innovativi per la diagnosi dei difetti della secrezione dell’ormone somatotropo. Sempre in ambito clinico, ricordiamo anche i suoi studi sulle alterazioni endocrine presenti nei pazienti con malattie psichiatriche (in particolare con disturbi alimentari) e in quelli con patologie neurodegenerative che portarono a identificare marker biologici utili per la diagnosi precoce di queste malattie. Egli servì la categoria dei malati anche assumendo e mantenendo per molti anni la Presidenza dell’importante Comitato Etico della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta. Nel corso della sua lunga carriera Eugenio ha vivacemente interagito con molte Società Scientifiche italiane e straniere contribuendo a fondare la Società Italiana di Neuroscienze e l’Associazione Italiana per la Ricerca sull’Invecchiamento Cerebrale. Infaticabile redattore di articoli scientifici ed editore di numerosi volumi scientifici internazionali ha sempre dimostrato profondo interesse per la divulgazione di argomenti di ricerca e socio-sanitari su giornali ad ampia diffusione collaborando direttamente con importanti quotidiani nazionali. Ma il suo compito più amato rimarrà sempre quello di accrescere e di rendere più fruttuoso il legame con i suoi allievi e collaboratori. Molti di loro, per merito proprio e del loro Maestro, ricoprono oggi ruoli importanti in diverse Università. Come vedete Eugenio Müller era un uomo di rare qualità, che dedicò la sua vita alla ricerca scientifica e alle Istituzioni Accademiche con una capacità lavorativa non comune, che lo portava a trascorrere in Dipartimento tutti i giorni dell’anno, ivi compresi quelli festivi. Uno scienziato e un personaggio della statura di Eugenio non scomparirà mai veramente perché rimarrà nel ricordo di chi lo aveva assunto come mentore ed esempio da imitare. I FARMACOLOGI NELL’UNIVERSITÀ ITALIANA La Legge 30 Dicembre 2010 n° 240 “Norme in materia di organizzazione dell’Università…”, meglio nota con il nome di Riforma Gelmini, ha cambiato radicalmente la struttura delle Università. In particolare sono scomparse le Facoltà, compresa la “Facoltà di Medicina e Chirurgia”, sostituita da Scuole cui sono stati dati Quaderni della SIF (2014) vol. 39-18 nomi diversi, di Medicina, di Scienze Mediche, di Scienze della Salute e sono state attribuite ai Dipartimenti le funzioni relative alla ricerca scientifica, alla didattica, e al reclutamento dei docenti, precedentemente svolte dalle facoltà. Non è mio intendimento analizzare gli sviluppi della riforma entrata in vigore nel 2013 an- che perché una valutazione dei risultati potrà essere fatta solo fra qualche anno. I Dipartimenti sono diventati le strutture principali dell’Università e ciascuna sede universitaria si è articolata su un numero di Dipartimenti che le autorità accademiche di ogni singola sede hanno ritenuto più adatto, tenendo conto del numero degli studenti, dei docenti e delle complesse dinamiche interne alle scomparenti Facoltà. La legge impone solo il numero minimo di docenti che devono formare un Dipartimento, da 35 a 40 a seconda delle dimensioni dell’Ateneo e l’orientamento in quasi tutte le sedi è stato di limitare il numero di Dipartimenti obbligando all’aggregazione i Dipartimenti di minori dimensioni istituiti circa 30 anni fa con la legge 21 Febbraio 1980 n° 28. Nel corso della mia lunga vita accademica, che mi ha portato da “assistente straordinario” (oggi diremo “postdoc”) nel 1954 a professore emerito nel 2005, con la fortuna di essere ancora moderatamente attivo dopo 10 anni di pensione, ho assistito e, in piccola misura, partecipato a questa radicale trasformazione dell’Università Italiana che ha, ovviamente, coinvolto anche i farmacologi universitari. Nel 1950 i soci della SIF erano meno di 200, due terzi dei quali erano docenti universitari e lavoravano in piccoli istituti con una rigida gerarchia che attribuiva un potere accademico assoluto al direttore. Nei decenni successivi lo sviluppo della Farmacologia è stato imponente e oggi i soci della SIF sono 1501. Questo scritto, che mi è stato suggerito dal Prof. Francesco Rossi, attuale Presidente della SIF, ha lo scopo di descrivere come sono “incardinati”, per usare il termine burocratico, i farmacologi nei nuovi dipartimenti dei diversi atenei, nati in seguito alla riforma, e sotto quali denominazioni, per valutare che visibilità abbia la Farmacologia nell’Università Italiana nel 2015. Ho cercato le informazioni nel sito http//cercauniversità.cineca.it del Ministero dell’Università e della Ricerca. Ho considerato farmacologi che lavorano nell’Università, gli appartenenti al Settore Concorsuale Farmacologia, Farmacologia Clinica e Farmacognosia, Area Biologia 05, Macrosettore Scienze Farmacologiche Sperimentali e Cliniche. Alla data del 15 gennaio 2015, essi erano 825 dei quali 141 sono professori ordinari, 169 professori associati, 270 ricercatori e 242 assegnisti. Ad essi vanno aggiunti i dottorandi e i borsisti il cui numero è difficile da calcolare. La maggior parte dei farmacologi che lavorano nell’Università sono soci della SIF. I farmacologi svolgono attività didattica e di ricerca in 49 delle 96 sedi universitarie elencate dal Ministero e la loro distribuzione numerica è molto irregolare in funzione della storia, delle dimensioni delle diverse sedi e dei loro corsi di laurea. Nelle Università di Basilicata (Potenza), di Foggia, del Molise, del Sannio a Benevento, di Trento, al San Raffaele a Milano, a Roma Tre, al Campus Biomedico di Roma vi sono 1 o 2 farmacologi di ruolo che lavorano, in genere con la collaborazione di laureandi, dottorandi e/o borsisti in un laboratorio di Farmacologia afferente a Dipartimenti con funzioni didattiche, orientamenti di ricerca e quindi denominazioni le più diverse. Un caso a sé è costituito dalla SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste, istituto di formazione dottorale nel quale i farmacologi sono inseriti nell’area di neuroscienze. Nella maggior parte delle sedi universitarie vi sono numerosi farmacologi di ruolo e in qualche sede essi sono rimasti o si sono aggregati in un unico Dipartimento. Fra queste l’Università di Roma Sapienza, che ha istituito un Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia, cui è stato dato il nome di Vittorio Erspamer, uno dei più noti farmacologi italiani dell’ultimo secolo, e la sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (UCSC) in Roma sono le uniche due sedi nelle quali la parola Farmacologia è stata mantenuta nel nome del dipartimento o dell’Istituto. Altre sedi nelle quali i farmacologi formano un unico gruppo sono Brescia, Camerino, Catanzaro, Salento, Trieste, Urbino, ma essi afferiscono a Dipartimenti dai nomi più diversi quali Medicina Molecolare e Translazionale a Brescia, Scienze della Vita a Trieste, Scienze Biomolecolari a Urbino, nei quali non è facile immaginare che ci sia anche la farmacologia. In tutte le altre sedi universitarie i farmacologi di ruolo afferiscono a più Dipartimenti, spinti talvolta da interessi scientifici, spesso dall’appartenenza originaria a facoltà diverse o per problemi interpersonali. L’insegnamento di Farmacologia e delle discipline affini, quali la Chemioterapia, la Tossicologia, la Farmacologia Clinica veniva impartito nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia, di Farmacia, di Scienze e di Biotecnologie da docenti appartenenti alle diverse Facoltà che in poche sedi stavano in un solo Dipartimento. Uno dei pochi casi era il Dipartimento di Farmacologia Preclinica e Clinica “Mario Aiazzi Mancini” dell’Università di Firenze. Nella maggior parte delle Università i docenti di Farmacologia delle Facoltà di Medicina, di Farmacia e di Scienze afferivano a Istituti e Dipartimenti appartenenti alle diverse Facoltà e hanno quindi seguito le vicende seguite alla loro abolizione. Ad esempio, in alcune sedi le Facoltà di Farmacia si sono trasformate in un unico dipartimento che include anche i farmacologi. Nelle Università di Chieti, Genova, Napoli Federico II, Parma, Pisa e del Salento esso si chiama Dipartimento di Farmacia , a Bari si chiama di Farmacia – Scienze del Farmaco, nell’Università della Calabria di Farmacia e Scienza della Salute e Nutrizione e a Bologna di Farmacia e Biotecnologie. Il nome Dipartimento di Scienze del Farmaco o di Scienze Farmacologiche è stato scelto dalle Università di Camerino, Catania, Messina, Milano, Padova, Pavia, Piemonte Orientale e Torino. Il Dipartimento di Scienze del Farmaco e Biomolecolari di Milano, con 42 farmacologi di ruolo, è il più grande in Italia seguito a distanza dal Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia di Roma Sapienza con 28 farmacologi. I nomi dipartimento di Farmacia o di Scienza del Farmaco possono richiamare alla mente la Farmacologia, ma facilitano la confusione fra farmacia e farmacologia fatta spesso dai profani. La parola farmaco si ritrova anche nel nome di uno dei due dipartimenti nei quali si sono suddivisi i farmacoQuaderni della SIF (2014) vol. 39-19 logi dell’Università di Firenze e in particolare nel Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco, Salute del bambino, abbreviato in NEUROFARBA, nel quale lavorano 22 dei 32 farmacologi fiorentini delle scomparse Facoltà di Medicina, di Farmacia e di Scienze. Gli altri 10 farmacologi fiorentini fanno parte del Dipartimento di Scienze della Salute, un nome “ombrello” sotto il quale troviamo farmacologi anche a Catanzaro, a Milano, a Milano Bicocca e all’Università del Piemonte Orientale. Altri nomi di dipartimenti che comprendono le più diverse discipline, compresa la Farmacologia, sono Scienze della Vita, Scienze Biomediche, Scienze Cliniche e Biologiche, Dipartimento di Medicina Sperimentale (Napoli, Seconda Università), per fare alcuni esempi, ma la varietà dei nomi è illimitata ed essi non permettono sempre di capire se includano anche la Farmacologia. La scomparsa della parola “Farmacologia” dai nomi dei Dipartimenti nell’Università italiana è indicativa della crisi di identità della Farmacologia, più sul piano scientifico che didattico, non solo in Italia ma anche all’estero. La progettazione e lo studio preclinico di nuovi farmaci utilizza tecniche di biologia molecolare e sono spesso considerati parte di questa disciplina, la ricerca sui farmaci attivi sul sistema nervoso rientra nelle neuroscienze, i lavori di farmacologia clinica vengono fatti in collaborazione con i clinici, la chemioterapia, soprattutto quella antitumorale è strettamente legata all’oncologia. Tuttavia, il primo capitolo “Principi di Farmacologia” nel trattato di “Farmacologia Generale e Molecolare” di F. Clementi e G. Fumagalli (2012) ben definisce ciò che rende la farmacologia una disciplina specifica che utilizza conoscenze e tecniche mutuate da molti campi della biologia e medicina, ma ha una sua precisa identità didattica: insegnare a prescrivere e utilizzare correttamente i farmaci e i loro effetti nell’uomo, negli animali, sull’ambiente e sulla società. Per questa ragione all’estero la parola Farmacologia continua ad indicare i Dipartimenti nei quali si studiano e si insegnano i farmaci. Negli Stati Uniti quasi tutte le grandi università hanno un Dipartimento di Farmacologia, Yale, Columbia, Michigan, Arizona, per citare università che conosco. Harvard University ha un Department of Biological Chemistry and Molecular Pharmacology, nome che indica un preciso orientamento della ricerca farmacologica. Pittsburg University ha un Department of Pharmacology and Biological Chemistry, Duke un Department of Pharmacology and Cancer Biology a dimostrazione della stretta commistione di discipline diverse nello studio e l’insegnamento dei farmaci. In Europa, Cambridge e Oxford conservano i loro storici Dipartimenti, l’Università di Mainz ha un Dipartimento di Farmacologia nella Facoltà di Medicina e un Dipartimento di Farmacologia e Tossicologia nella Facoltà di Chimica, Farmacia e Scienze della Terra, l’Università di Bordeaux ha un Dipartimento di Farmacologia, il Karolinska Institutet ha un Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia e questo elenco potrebbe continuare perché nella grande maggioranza delle Università nel mondo i luoghi dove si fa ricerca sui farmaci e si insegna la Farmacologia hanno una loro chiara identificazione. Sappiamo bene che l’importanza didattica e scientifica della Farmacologia nell’Università italiana è valutata sul numero dei crediti ad essa attribuita nei diversi corsi di laurea e sulla produzione scientifica più che sulla presenza o meno della parola Farmacologia negli elenchi telefonici delle università, ma forse una migliore visibilità sarebbe utile per lo sviluppo della nostra disciplina. CONSIGLIO DIRETTIVO QUADERNI DELLA SIF Pubblicazione iscritta Presidente: Francesco Rossi Direttore Responsabile: Flavia Franconi Presidente Eletto: Giorgio Cantelli Forti Comitato di Redazione: Sandra Brunelleschi Pier Luigi Canonico Ida Ceserani Giuseppe Cirino Giovan Battista Leproux Giuseppe Recchia Francesco Rossi Marco Scatigna Segretario Giuseppe Cirino SOCIETÀ ITALIANA DI FARMACOLOGIA Viale Abruzzi, 32 20123 Milano [email protected] [email protected] www.sifweb.org Past President Pier Luigi Canonico Consiglieri: Salvatore Cuzzocrea Romano Danesi Monica Di Luca Armando Genazzani Giovan Battista Leproux Luca Steardo nel Registro Stampa Tribunale di Milano in data 20 settembre 1997 N° 528 Stampa: MediaPrint s.r.l Via G. Gozzano, 7 - 57121 Livorno 0586 tel. 403023 - fax 409414 e-mail: [email protected] Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro:“Poste Italiane s.p.a Spedizionein abb. post. 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