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T U T E L A D E L C O P Y R I G H T: N U O V O S C H E M A D I
REGOLAMENTO PROPOSTO DA AGCOM.
Il 25 luglio scorso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”) ha
presentato un nuovo schema di regolamento “[…] in materia di tutela del diritto d’autore
sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del Decreto
Legislativo 9 aprile 2003, n.70” con l’intento di offrire un nuovo strumento di tutela per le
violazioni del copyright in rete e sui servizi di media audiovisivi.
Lo schema di regolamento proposto, che segue simili iniziative, assunte ma poi
abbandonate dalla scorsa consiliatura dell’Autorità, si propone un obiettivo ambizioso:
accompagnare a misure di enforcement del diritto di autore, misure volte a promuovere
l’offerta legale di contenuti come efficacie strumento di contrasto alla pirateria, nel rispetto
dei diritti degli utenti coinvolti. In tale direzione appare significativa l’esclusione del peerto-peer e degli utenti dei servizi di comunicazione elettronica dal perimetro regolamentare
dell’Autorità.
L’AGCOM ha aperto una consultazione pubblica sullo schema di regolamento che si è
conclusa lo scorso 23 settembre al fine di raccogliere le opinioni degli stakeholder sul
provvedimento che nelle intenzioni dell’Autorità, salvo contrarie indicazioni o ripensamenti
all’esito della consultazione, dovrebbe essere approvato, in via definitiva, nel mese di
novembre per entrare in vigore il 3 febbraio 2014.
Lo schema di regolamento consta di 19 articoli suddivisi in 5 capi come segue: I - Principi
generali (artt. 1-2); II - Misure per favorire lo sviluppo e la tutela delle opere digitali (artt.
3-4); III - Procedure a tutela del diritto d’autore online ai sensi del decreto 9 aprile 2003, n.
70 (artt. 5-10); IV - Disposizioni relative alla tutela del diritto d’autore sui servizi di media
(artt. 11-15); V-Disposizioni finali (artt. 16-19).
Tra le misure per favorire lo sviluppo e la tutela delle opere digitali, l’AGCOM propone di
istituire il Comitato per lo sviluppo e la tutela dell’offerta legale di opere digitali, che avrà
tra l’altro la funzione di sviluppare forme di autoregolamentazione per la diffusione di
contenuti digitali legali, di monitorare l’applicazione del regolamento e di formulare
all’Agcom proposte di aggiornamento in relazione all’innovazione tecnologica e dei
mercati.
Il cuore del provvedimento proposto è, tuttavia, rappresentato dalle misure di enforcement
rispetto alle quali l’AGCOM intende offrire una via amministrativa alle violazioni del diritto
di autore in rete nel solco tracciato dal Decreto E-commerce. Via amministrativa che è
alternativa ma non sostitutiva a quella giudiziaria. E’ previsto, infatti, nello schema di
regolamento che l’AGCOM disponga l’archiviazione del procedimento nel caso in cui tra le
stesse parti e sul medesimo oggetto sia iniziata una procedura giudiziaria.
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Secondo lo schema proposto, AGCOM non può intervenire d’ufficio ma solo su specifica
richiesta del soggetto legittimato. Soggetto legittimato che prima di espletare la procedura
innanzi ad AGCOM deve aver avviato la procedura di autoregolamentazione innanzi al
gestore del sito web rilevante.
In particolare, all’articolo 6 dello schema di regolamento è stabilito che chi voglia
denunciare la diffusione su internet di un’opera in violazione del diritto d’autore o di un
diritto connesso debba previamente rivolgersi al gestore della pagina internet in questione,
inviandogli una specifica richiesta di rimozione.
Soltanto qualora non si faccia luogo a rimozione, il soggetto legittimato potrà chiederla
l’adozione di provvedimenti da parte dell’Autorità. Più specificamente ciò potrà avvenire
solo una volta che si siano concluse le procedure di autoregolamentazione adottate dal
gestore della pagina internet e, comunque, decorsi 7 giorni dal loro avvio o, in mancanza
di tali procedure, decorsi due giorni dall’invio della richiesta al gestore della pagina
internet.
E’ in ogni caso previsto che il soggetto legittimato possa chiedere direttamente all’Autorità
la rimozione dell’opera digitale qualora manchino le richieste procedure di
autoregolamentazione e/o non risulti possibile rivolgersi al gestore della pagina internet in
questione.
Esaurita tale fase davanti al gestore della pagina internet, il soggetto legittimato come
anticipato può rivolgersi ad AGCOM attraverso uno specifico modulo per chiedere la
rimozione della pagina rilevante o la disabilitazione dall’accesso al sito nei casi di più
grave violazione.
La procedura innanzi ad AGCOM, che viene gestita in sede istruttoria dalla Direzione
servizi media, prende avvio con la comunicazione di avvio del procedimento diretta al
soggetto istante, all’uploader e al gestore della pagina internet, nonché, ove rintracciabili,
ai prestatori di servizi all’uopo individuati. In seguito alla ricezione della comunicazione,
che contiene le informazioni essenziali sul procedimento sarà possibile presentare
eventuali controdeduzioni, oppure procedere ad un adeguamento spontaneo entro 3 giorni
dalla ricezione della comunicazione stessa.
In mancanza di adeguamento spontaneo da parte del gestore della pagina internet, la
Commissione per i servizi e i prodotti dell’AGCOM, deputata alla fase decisoria del
procedimento, esaminati gli atti trasmessi dalla Direzione e comunque entro 45 giorni dalla
ricezione della domanda, potrà disporre l’archiviazione del procedimento ovvero ordinare
ai prestatori di servizi la rimozione selettiva delle opere diffuse in violazione del diritto
d’autore o la disabilitazione dell’accesso alle medesime.
La scelta tra le due misure sarà fondata, secondo quanto previsto nello schema di
regolamento, dalla gravità della violazione nel rispetto dei criteri di proporzionalità e
gradualità, tenendo anche conto della localizzazione dei relativi server.
In caso di disabilitazione dall’accesso l’AGCOM potrà ordinare ai prestatori di servizi di
procedere al reindirizzamento automatico verso una pagina internet redatta secondo le
modalità indicate dalla Autorità stessa, similmente a quanto oggi avviene per il contrasto al
gambling illegale o in ipotesi di pedopornografia.
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L’inosservanza degli ordini impartiti da AGCOM dà luogo all’irrogazione delle sanzioni
amministrative previste dall’articolo 1 comma 31 della legge istitutiva dell’AGCOM (Legge
31 luglio 1997 n. 249) che variano da EURO 20.000,00 ad EURO 250.000,00.
Accanto alla descritta procedura ordinaria, l’articolo 10 dello schema di regolamento
prevede, poi, un procedimento abbreviato nei casi in cui la direzione, da una sommaria
cognizione dei fatti oggetto dell’istanza ritenga che gli stessi configurino una grave lesione
dei diritti di sfruttamento economico di un’opera digitale. In tali ipotesi, i termini del
procedimento risultano più stringenti di quelli ordinari.
Così descritte le procedure che riguardano il mondo internet, giova rilevare come
l’AGCOM al Capo IV dello schema di regolamento abbia previsto delle procedure
espletabili in caso di violazione del diritto d’autore da parte dei fornitori di servizi di media
audiovisivi.
In questi casi il soggetto legittimato potrà trasmettere un’istanza all’ Autorità attraverso il
modulo di cui all’allegato 2 del regolamento. Il procedimento delineato al Capo IV
presenta alcune affinità con quello descritto precedentemente, inizia anch’esso con una
comunicazione d’avvio al fornitore di servizi di media ed il termine per presentare eventuali
controdeduzioni è di 7 giorni dal ricevimento della comunicazione.
Qualora la Direzione ritenga sussistente una violazione rilevante ai sensi dell’art. 32-bis
del Testo unico da parte di servizi di media audiovisivi, adotta nei confronti dei fornitori un
richiamo formale. In caso di mancata conformazione al richiamo, la Direzione procede alla
trasmissione degli atti alla Commissione proponendo l’ordine di far adottare ai destinatari
del richiamo ogni misura necessaria ad impedire la diffusione dei palinsesti o cataloghi
contenenti l’opera trasmessa in violazione del diritto d’autore.
All’infuori di questa specifica ipotesi prevista dall’art. 15 del regolamento e, quindi, quando
non sia ravvisabile la rilevante violazione di cui sopra, la Direzione trasmette gli atti alla
Commissione entro 20 giorni dalla comunicazione d’avvio del procedimento, formulando
una proposta di archiviazione oppure di adozione di provvedimenti di diffida o di ordine.
La Commissione, esaminati gli atti trasmessi, potrà disporre diversi provvedimenti a
seconda che ritenga sussistente o meno la violazione oggetto dell’istanza. Nel primo
caso, diffida i fornitori di servizi di media lineari dal trasmettere programmi in violazione
della Legge sul diritto d’autore oppure ordina ai fornitori di servizi di media a richiesta di
rimuoverli dal catalogo. In assenza di violazione, invece, l’organo collegiale dispone
l’archiviazione.
Lo schema di regolamento proposto da AGCOM, disponibile qui, ha suscitato, come era
prevedibile, un vivace dibattito in rete e non solo sull’efficacia delle misure proposte da
AGCOM e, più in generale, sul ruolo dell’Autorità in materia di violazioni del diritto d’autore
in rete.
In proposito riportiamo qui un commento a prima lettura a firma di Marco Bellezza
pubblicato sul sito di informazione giuridica dedicato a diritto e policy dei media in
prospettiva comparata www.medialaws.eu.
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INTERNET, FACEBOOK E PUBBLICITÀ DI ALCOLICI: IL CASO
UN RICARD, DES RENCONTRES.
Commentiamo di seguito una recente sentenza della Corte di Cassazione francese
relativa ad una campagna pubblicitaria di una nota bevanda alcolica, diffusa anche sulla
rete internet e attraverso Facebook.
Ci siamo già interrogati sulla questione della regolamentazione della pubblicità diffusa
attraverso i social media (v, in merito ai cd. tweet pubblicitari).
Poiché, fino ad oggi, il tema non è stato affrontato dalle corti italiane, è interessante
esaminare l’approccio della Corte francese in materia. La Corte si è soffermata, in
particolare, sulla questione della pubblicazione di elementi sul profilo Facebook dell’utente
da parte di applicazioni autorizzate dall’utente stesso, nonché sull’uso del cd. hashtag
(rappresentato dal simbolo #) attraverso internet.
Il caso
Nel 2011 Pernod-Ricard, azienda francese specializzata nella produzione e distribuzione
di bevande alcoliche, ha lanciato una campagna pubblicitaria intitolata “Un Ricard – Des
Rencontres” (ovvero, tradotto in italiano, “Un Ricard – Degli incontri”), diffusa attraverso la
stampa e internet. La pubblicità consisteva, in primo luogo, in quattro immagini raffiguranti
l’associazione della bevanda Ricard (alcolico a base di anice) con alcuni ingredienti
(acqua, ghiaccio, granatina e menta), rappresentata con le scritte, a seconda del tipo di
associazione, “Rencontre #1 Ricard/Eau”, “Rencontre #3 Ricard/Glace”, “Rencontre #34
Ricard/Grenadine”, “Rencontre #56 Ricard/Menthe”.
Qui un esempio delle immagini utilizzate:
Inoltre, la società aveva realizzato un video pubblicitario del medesimo tenore e alcune
applicazioni. In particolare, l’applicazione mobile gratuita Ricard Mix Code consentiva agli
utenti che disponevano di un account Facebook di pubblicare sulla propria bacheca
Facebook ricette di cocktails a base di Ricard. All’atto della condivisione della ricetta,
compariva sul profilo Facebook dell’utente un messaggio del seguente tenore: “Ho
scoperto l’Incontro #20 ATOMIC RICARD […]. Ottenete anche voi dei Mix Ricard con
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l’applicazione Ricard Mix Codes. Disponible sull’App store”. Occorre precisare che la
pubblicazione del messaggio in questione poteva avvenire soltanto a condizione che
l’utente avesse fornito il proprio consenso all’accesso ai propri dati personali nonché alla
pubblicazione di elementi sulla propria bacheca Facebook da parte dell’applicazione.
L’Associazione nazionale francese per la prevenzione di alcool e dipendenze (ANPAA) ha
convenuto Pernod-Ricard in giudizio al fine di ottenere la rimozione dello slogan “Un
Ricard – Des Rencontres” utilizzato nella pubblicità in questione. Secondo ANPAA, la
pubblicità si poneva in contrasto con le norme di legge in materia di pubblicità di bevande
alcoliche, che vietano la pubblicità, diretta o indiretta, di tali bevande attraverso internet
quando, per il suo carattere, la sua presentazione o il suo oggetto, essa appaia diretta
principalmente a giovani, o si presenti come “intrusiva” o “interstiziale” (articolo L3323-2
Code de la santé publique).
Dal canto suo, Pernod-Ricard sosteneva che, poiché il 64% degli utilizzatori di iPhone e il
58% degli utenti Facebook hanno più di 25 anni, la pubblicità contestata non poteva
essere considerata “diretta ai giovani” ai sensi delle disposizioni sopra citate. Inoltre,
secondo la società, il termine “incontri”, impiegato nella pubblicità, si riferiva
esclusivamente alla miscela di ingredienti impiegati per realizzare i cocktails.
In primo grado, il giudice ha accolto le istanze dell’ANPAA, ordinando la rimozione dello
slogan, ritenendo che quest’ultimo costituisse un’incitazione a consumare alcool. La
pronuncia è stata poi confermata dalla Corte d’Appello di Parigi con sentenza del 23
maggio 2012.
Con sentenza del 3 luglio 2013 la Corte di Cassazione, nel confermare la decisione resa
in appello, ha ritenuto che lo slogan contestato non si riferiva soltanto alla miscela formata
da anice e, rispettivamente, acqua, ghiaccio, menta, granatina. Secondo la Corte,
nell’ottica del consumatore, l’uso del termine “incontro” si riferisce in genere alla
connessione tra persone e non ad una miscela di ingredienti, o ad un cocktail e, pertanto,
“l’associazione della bevanda alcolica con la possibilità di stabilire relazioni inaspettate e
fortuite con altre persone costituisce una pubblicità illecita […] nella misura in cui
costituisce una incitazione diretta a consumare Ricard per vivere momenti di convivialità”.
E’ interessante inoltre osservare che, secondo la Corte, l’uso dell’hashtag “#” nella
pubblicità della bevanda, aveva lo scopo di “attirare l’attenzione del consumatore e, in
particolare, quella del consumatore giovane sensibile alle nuove tecnologie”. Quindi,
secondo la Corte, l’uso dell’hashtag da parte di Pernod-Ricard aveva l’effetto di
targetizzare specificamente il pubblico dei giovani.
Con specifico riferimento poi all’applicazione Facebook Ricard Mix Code, la Corte di
Cassazione ha confermato l’analisi svolta dalla Corte d’appello nella misura in cui essa ha
ritenuto i messaggi pubblicitari pubblicati dall’applicazione sulla bacheca Facebook
dell’utente, a nome di quest’ultimo, come “intrusivi” e, in quanto tali, vietati, poiché essi
apparivano in modo “inaspettato e sistematico”. A tale riguardo, la Corte di Cassazione ha
ritenuto irrilevante la circostanza per cui i messaggi in questione venivano pubblicati sui
profili Facebook degli utenti soltanto con il consenso di questi ultimi.
Inoltre, secondo la Corte, la natura pubblicitaria del suddetto messaggio non veniva
esclusa dal fatto che il messaggio in questione venisse inoltrato da più utenti che
utilizzano le loro “reti di amici” su Facebook.
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La società è stata quindi condannata alla rimozione dello slogan contestato, con sanzione
fissata a 10.000 euro per ogni giorno di ritardo nel conformarsi alla decisione.
Le argomentazioni della Corte di Cassazione francese sopra succintamente riportate
possono essere o meno condivise (ad esempio, si può discutere sul fatto che l’uso
dell’hashtag – divenuto oramai di uso comune su Twitter e Facebook e, più in generale,
nel gergo di internet – sia da considerare “diretto” ad una determinata cerchia di persone
individuate sulla base dell’età). La relativa novità delle questioni affrontate rende
comunque tali argomentazioni meritevoli di attenzione e riflessione.
Seguiremo con curiosità l’evolversi del panorama giurisprudenziale sul tema. La sentenza
in commento è disponibile al seguente link (in lingua francese).
MISURE TECNOLOGICHE DI PROTEZIONE SU CONSOLE PER
VIDEOGIOCHI: CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
UE.
L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Eleanor Sharpston ha reso, in data 19
settembre 2013, le proprie conclusioni con riferimento alle disposizioni della Direttiva
2001/29/CE (Direttiva sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti
connessi nella società dell’informazione) concernenti i limiti della tutela offerta dalla legge
sul diritto d’autore a misure tecnologiche di protezione (“MTP”) (causa 355/12, Nintendo
Co., Ltd and a./PCBox S.r.l. and 9Net S.r.l.).
Le questioni pregiudiziali sono state sollevate dal Tribunale di Milano in data 26 luglio
2012 (si veda, sul punto, Newsletter 11/2012. Il caso che ha originato il rinvio pregiudiziale
vede opposta la società Nintendo, attiva nel mercato delle console e dei videogiochi, alla
società PCBox S.r.l., produttrice di mod chips e game copiers, dispositivi che, se applicati
ad una console, consentono di interagire con il suo sistema operativo in modo da renderlo
interoperabile con i videogiochi prodotti da terzi (cioè, da soggetti diversi rispetto al
produttore delle console su cui tali dispositivi vengono applicati).
Nintendo aveva dotato le proprie console e i propri giochi di MTP al fine di impedire che
copie non autorizzate dei giochi Nintendo, o con licenza Nintendo, potessero essere
utilizzate su tali console. La PCBox sosteneva che l’effettiva finalità delle MTP utilizzate da
Nintendo fosse quella di (i) impedire l’uso di software realizzati da sviluppatori indipendenti
(cd. produzioni homebrew), estranei al settore delle copie illecite di videogiochi, e (ii)
compartimentare i mercati, rendendo i giochi acquistati in una zona geografica
incompatibili con le console acquistate in un’altra zona.
Con il rinvio pregiudiziale, il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire
se l’articolo 6 della Direttiva 2001/29/CE, relativo alla tutela delle MTP e al divieto di
commercializzazione di dispositivi immessi nel mercato principalmente allo scopo di
aggirare, o facilitare l’aggiramento, di MTP, alla luce del principio di proporzionalità
affermato dalla stessa Direttiva:
•
debba interpretarsi nel senso che la protezione di MTP applicate su opere o
materiali protetti dal diritto d’autore possa estendersi anche ad un sistema prodotto
e commercializzato dalla stessa impresa in cui nell’hardware sia installato un
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dispositivo atto a riconoscere sul distinto supporto contenente l’opera protetta
(videogioco prodotto dalla medesima impresa oltre che da soggetti terzi, titolari
delle opere protette) un codice di riconoscimento, in mancanza del quale detta
opera non potrà essere visualizzata ed utilizzata nell’ambito di tale sistema, così
integrando detto apparato un sistema chiuso all’interoperabilità con apparati e
prodotti complementari non di provenienza dell’impresa produttrice del sistema
stesso;
•
laddove debba procedersi a valutare se l’uso di un prodotto o componente con
finalità elusive di una MTP sia o meno prevalente rispetto ad altre finalità o usi
commercialmente rilevanti, possa interpretarsi nel senso che il giudice nazionale
debba ricorrere a criteri di valutazione di tale profilo che diano risalto alla peculiare
destinazione attribuita dal titolare dei diritti al prodotto in cui è inserito il contenuto
protetto o in via alternativa o concorrente a criteri di natura quantitativa attinenti
all’entità degli usi in comparazione o a criteri di natura qualitativa, afferenti cioè alla
natura e rilevanza degli usi stessi.
L’Avvocato Generale suggerisce alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste
dal Tribunale di Milano come segue:
•
l’espressione “misure tecnologiche”, ai sensi dell’articolo 6 della Direttiva 2001/29/
CE, deve essere interpretata nel senso che essa può comprendere misure
incorporate non solo nelle stesse opere protette, ma anche in dispositivi destinati a
consentire l’accesso a dette opere;
•
al fine di stabilire se le misure di tale tipo beneficino di protezione, ai sensi
dell’articolo 6 della Direttiva 2001/29/CE, allorché hanno l’effetto di impedire o
limitare non solo atti che richiedono l’autorizzazione del titolare dei diritti ai sensi di
tale Direttiva, ma anche atti che non richiedono siffatta autorizzazione, il giudice
nazionale deve verificare se le misure rispettino il principio di proporzionalità e,
segnatamente, deve considerare se, allo stato attuale della tecnologia, il primo
effetto possa essere ottenuto senza produrre il secondo, o producendolo in misura
ridotta;
•
al fine di stabilire se debba essere accordata protezione contro la fornitura di
dispositivi, prodotti, componenti o servizi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della
Direttiva 2001/29/CE costituisce un elemento rilevante la misura in cui i dispositivi, i
prodotti, componenti o servizi contro i quali è richiesta protezione sono utilizzati, o
possono esserlo, per finalità legittime diverse da quella di consentire atti che
richiedono l’autorizzazione del titolare dei diritti.
La misura in cui i dispositivi della PCBox possono di fatto essere utilizzati a fini diversi da
quello di consentire la violazione di diritti esclusivi costituirà, dunque, un fattore da tenere
presente per decidere non solo se detti dispositivi rientrino nella sfera di applicazione della
Direttiva 2001/29/CE, ma anche se le MTP di Nintendo soddisfino il test di proporzionalità.
Si attende ora la pronuncia della Corte di Giustizia. Le conclusioni presentate
dall’Avvocato Generale non sono vincolanti per il giudizio finale della Corte. Tuttavia, in
considerazione della loro autorevolezza, esse sono generalmente seguite nella stesura
della sentenza.
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BREVISSIME
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE: SONO VIETATE INDIPENDENTEMENTE
DALLA VERIFICA DEL CONTRASTO CON LE NORME DI DILIGENZA
PROFESSIONALE
Con sentenza resa in data 19 settembre 2013, nella causa C−435/11, la Corte di Giustizia
dell’Unione europea si è pronunciata sull’interpretazione di talune disposizioni della
direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei
consumatori nel mercato interno.
Su richiesta della corte austriaca di ultima istanza, chiamata a dirimere una controversia
tra due agenzie di viaggi austriache, la Corte ha chiarito che, secondo la citata direttiva, il
carattere ingannevole di una pratica commerciale scorretta dipende unicamente dalla
circostanza che essa non sia veritiera, in quanto contenga informazioni false, o che, in
generale, possa ingannare il consumatore medio in relazione alla natura o alle
caratteristiche principali di un prodotto o servizio e che, per tale motivo, sia idonea a
indurre detto consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che
altrimenti non avrebbe preso.
Pertanto, gli elementi costitutivi di una pratica commerciale ingannevole sono concepiti
essenzialmente nell’ottica del consumatore quale destinatario delle pratiche commerciali
sleali. Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte, quando ricorrono tali caratteristiche, la
pratica deve essere considerata ingannevole e, quindi, sleale e vietata, senza che sia
necessario verificare la sussistenza di un contrasto di tale pratica con le norme di diligenza
professionale.
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI: INTRODOTTI TRA I REATI
PRESUPPOSTO ANCHE I “DELITTI” IN MATERIA DI PRIVACY
Il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, recante “Disposizioni urgenti in materia di
sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e
di commissariamento delle province”, in vigore dal 17 agosto e attualmente in attesa di
conversione, ha, tra i numerosi interventi previsti, introdotto nuove fattispecie nei cataloghi
dei reati presupposto della responsabilità degli enti di cui all’art. 24 bis (Delitti informatici e
trattamento illecito di dati) del D.lgs. n. 231/2001.
Segnaliamo qui in particolare l’introduzione dei delitti in materia di violazione della privacy
previsti dal D.lgs. n. 196/2003 (Codice Privacy) e cioè le fattispecie di:
a) trattamento illecito dei dati (art. 167 Codice Privacy),
b) falsità nelle dichiarazioni notificazioni al Garante (art. 168 Codice
Privacy), e
c) inosservanza dei provvedimenti del Garante (art. 170 Codice Privacy).
Sul piano applicativo, la compliance in tema di privacy assume adesso rilevanza anche in
tema di valutazione dei rischi e aggiornamento del modello organizzativo, dalla nomina di
responsabile e incaricati del trattamento, a temi quali trattamento dati del lavoratore, uso di
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Internet e posta elettronica, comunicazione di dati personali, gestione segnalazioni degli
illeciti.
DIVIETO DI PUBBLICITÀ PER LE SIGARETTE ELETTRONICHE
L’art. 11, comma 23 del Decreto legge 28 giugno 2013 n.76, convertito con modificazioni
dalla legge 9 agosto 2013, n.99, ha previsto il divieto pubblicitario e promozionale per i
prodotti succedanei dei prodotti da fumo (cosiddette “sigarette elettroniche”). A tali
prodotti, in virtù della norma sopra richiamata, si applicheranno le disposizioni vigenti per i
tabacchi lavorati e, quindi, il divieto di qualsiasi forma di comunicazione commerciale
audiovisiva previsto dall’art. 36 bis del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e
radiofonici (D. Lgs 31 luglio 2005, n. 177 e s.m.i.).
I numeri precedenti sono disponibili online sul sito.
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