Volume Milano - Uckmar Tax Digest

FONDAZIONE ANTONIO UCKMAR
I “Venerdì di Diritto e Pratica Tributaria”
Milano 11-12 ottobre 2013
La
a stabile organizzazione
Atti preparatori:
Amatucci F., Bini M., Boria P., Carbone S.M., Carinci A.,
Comelli A., Contrino A., Corasaniti G., Cordeiro Guerra
R., Corrado Oliva C.,
C de’Capitani di Vimercate P., Di
Pietro A., Fantozzi A., Filippi P., Fransoni G., Lovisolo A.,
Marcheselli A., Marino G., Melis G., Messina S.M.,
Miccinesi M., Roccatagliata F., Salvini
Salvin L., Sammartino S.,
Sgubbi F.
LA STABILE ORGANIZZAZIONE
Il convegno si prefigge di riunire i maggiori esperti della
fiscalità per l’approfondimento di un tema dei più suggestivi e
importanti nelle relazioni internazionali: la
stabile
organizzazione di un soggetto non residente, che nella fiscalità
internazionale costituisce il criterio di collegamento per
assoggettare ad imposizione i redditi prodotti nel territorio da
un’impresa straniera. Come testimoniano gli studi dell’Ocse e
le inchieste giornalistiche e parlamentari realizzate in Italia e in
altri Paesi, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni e il
potenziamento delle amministrazioni, vi sono ancora nodi
irrisolti nella individuazione dei presupposti impositivi per i
non residenti e tra questi il più importante è certamente la
stabile organizzazione. Pur a fronte di una definizione chiara e
condivisa, come testimonia la diffusione del Modello Ocse,
infatti, l’evoluzione delle imprese e dei commerci produce
continui sviluppi, non sempre di facile inquadramento nelle
categorie già conosciute. Così, per fare un esempio, è diffuso
nella prassi il ricorso da parte delle multinazionali a società del
gruppo che, su base locale o regionale, cooperano nella
distribuzione dei prodotti della controllante, con contratti di
servizio che rasentano in alcuni casi i rapporti di agenzia. In
questi casi, oltre al problema definitorio, si evidenzia anche il
difficile rapporto con la disciplina dei prezzi di trasferimento,
che anche nel caso della stabile organizzazione deve essere
tenuta in costante considerazione per i rapporti con la casa
madre. In Francia si è nominata una commissione di studio per
valutare nuovi meccanismi per la tassazione delle
multinazionali estere che raccolgono, senza corrispettivo,
“valuable data” in territorio francese. Novità si registrano inoltre
nel settore dei trasporti, e in particolare nel settore aereo.
Anche il diritto comunitario contribuisce alle novità, come
testimoniano le sentenze della Corte di Giustizia in materia di
exit taxation, espressamente riferite ormai anche allo
spostamento di asset della stabile organizzazione e ai cd
business restructurings.
Il panorama, insomma, è in rapida evoluzione, e il convegno si
propone di fissare la situazione ed individuare le possibili linee
evolutive.
PROGRAMMA
11 ottobre 2013
ore 08.30
Registrazione dei partecipanti
ore 09.00
Indirizzi di saluto
ore 09.30
Prof. Tesauro Francesco - moderatore
Prof. Carbone Sergio Maria - Recenti tendenze evolutive del diritto
internazionale, tutela delle situazioni soggettive e relativi effetti sulla nozione di
stabile organizzazione
Prof. Fantozzi Augusto - Relazione introduttiva sugli aspetti tributari
Prof. Roccatagliata Franco - Mercato unico UE e diritto di stabilimento della
stabile organizzazione: ossimoro o pleonasmo?
Prof. Di Pietro Adriano - La stabile organizzazione e la fiscalità del mercato
europeo
Prof. Melis Giuseppe - Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e
stabile organizzazione: problemi ancora aperti e possibili soluzioni
Prof. Amatucci Fabrizio - La stabile organizzazione nella giurisprudenza della
Corte di Giustizia U.E.
Prof. Miccinesi Marco – Stabile organizzazione e responsabilità
ore 13.00 - Buffet
ore 14.30 – ripresa dei lavori
Prof. De Mita Enrico – Moderatore
Prof. Fransoni Guglielmo – La determinazione del reddito della
stabile organizzazione
Prof. Bini Mauro - Aspetti contabili per la stabile organizzazione
Prof. Carinci Andrea - Stabile organizzazione ed utilizzo delle perdite
Prima tavola rotonda
Prof. Boria Pietro - L'individuazione della stabile organizzazione.
Avv. de’Capitani di Vimercate Paolo - Il rapporto tra stabile
organizzazione e transfer pricing in alcuni casi di distribuzione di
prodotti esteri in Italia
Prof. Lovisolo Antonio - La “funzione” della S.O. e i criteri generali
di determinazione del suo reddito, con particolare riferimento ai
rapporti con “la casa madre”
Prof. Marino Giuseppe - La “base” di vettore aereo: stabile
disorganizzazione o instabile organizzazione?
Prof. Salvini Livia - La stabile organizzazione nelle imposte sui
redditi e nell’iva: analogie e differenze
Prof. Sammartino Salvatore - Stabilimenti ed impianti in Sicilia di
imprese aventi sede fuori dal territorio della Regione
Coffee break
Seconda tavola rotonda
Prof. Contrino Angelo - Stabile organizzazione e credito per le
imposte estere
Prof. Corasaniti Giuseppe – La stabile organizzazione e l’exit
taxation
Prof. Cordeiro Guerra Roberto - Recenti
giurisprudenziali in tema di stabile organizzazione
orientamenti
Prof. Messina Sebastiano Maurizio - Stabile organizzazione e
consolidato fiscale
12 ottobre 2013
ore 09.00
Prof. Glendi Cesare – Moderatore
Terza tavola rotonda
Prof. Comelli Alberto - I rapporti, sotto il profilo dell’iva, tra stabile
organizzazione, casa madre e terzi
Avv. Corrado Oliva Caterina– Soggettività della stabile
organizzazione e soggezione all’attività accertativa
Prof.ssa Filippi Piera – Stabile organizzazione e diritto al rimborso
dell’Iva (sent. CGE c318-319/11 del 25.10.2012)
Prof. Marcheselli Alberto - La prova della stabile organizzazione, tra
diritto di difesa, equa ripartizione del prelievo e cooperazione tra gli
ordinamenti tributari.
Prof. Sgubbi Filippo - Considerazioni di un penalista sulla “stabile
organizzazione”
Prof. Glendi Cesare – Conclusioni
Chiusura dei lavori
INDICE
Prof. Fabrizio Amatucci "La stabile organizzazione nella giurisprudenza
della Corte di Giustizia UE” ................................................................... Pag. 9
Prof. Mauro Bini "Aspetti contabili per la stabile organizzazione” ........ » 19
Prof. Pietro Boria "L’individuazione della stabile organizzazione” ........ » 21
Prof. Sergio Maria Carbone "Recenti tendenze evolutive del diritto
internazionale, tutela delle situazioni soggettive e relativi effetti sulla
nozione di stabile organizzazione” ........................................................... » 41
Prof. Andrea Carinci "Stabile organizzazione ed utilizzo delle perdite” .. » 55
Prof. Alberto Comelli "I rapporti, sotto il profilo dell’iva, tra stabile
organizzazione, casa madre e terzi” ......................................................... » 63
Prof. Angelo Contrino "Stabile organizzazione e credito per le imposte
estere” ....................................................................................................... » 79
Prof. Giuseppe Corasaniti "La stabile organizzazione e l’ exit taxation” » 81
Prof. Roberto Cordeiro Guerra - Avv. Pietro Mastellone "Recenti
orientamenti giurisprudenziali in tema di stabile organizzazione” ......... » 103
Avv. Caterina Corrado Oliva "Soggettività della stabile organizzazione e
soggezione all’attività accertativa” ........................................................ » 137
Avv. Paolo de’Capitani di Vimercate "Il rapporto tra stabile organizzazione
e transfer pricing in alcuni casi di distribuzione di prodotti esteri in Italia”
.................................................................................................................. » 155
Prof. Adriano Di Pietro "La stabile organizzazione e la fiscalità del mercato
europeo” ............................................................................................. » 167
Prof. Augusto Fantozzi "Relazione introduttiva sugli aspetti tributari” .. » 169
Prof. ssa Piera Filippi "Stabile organizzazione e diritto al rimborso dell'IVA
(sentenza CGE c.318-319/11 del 25 ottobre 2012)” ............................... » 183
Prof. Guglielmo Fransoni "La determinazione del reddito delle stabili
organizzazioni” ....................................................................................... » 199
Prof. Antonio Lovisolo "La “funzione” della S.O. e i criteri generali di
determinazione del suo reddito, con particolare riferimento ai rapporti con
“la casa madre”” ................................................................................... » 215
Prof. Alberto Marcheselli "La prova della stabile organizzazione, tra diritto
di difesa, equa ripartizione del prelievo e cooperazione tra gli ordinamenti
tributari” ........................................................................................... Pag. 225
Prof. Giuseppe Marino "La “base” di vettore aereo: tanto rumore per
nulla?” .....................................................................................................» 269
Prof. Giuseppe Melis "Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e
stabile organizzazione:problemi ancora aperti e possibili soluzioni” ....» 289
Prof. Sebastiano Maurizio Messina "Stabile organizzazione e consolidato
fiscale” .....................................................................................................» 327
Prof. Marco Miccinesi "Stabile organizzazione e responsabilità” ..........» 329
Prof. Franco Roccatagliata "Mercato Unico UE e diritto di stabilimento della
stabile organizzazione: ossimoro o pleonasmo?” ...................................» 331
Prof.ssa Livia Salvini "La stabile organizzazione nelle imposte sui redditi e
nell’iva: analogie e differenze” ...............................................................» 357
Prof. Salvatore Sammartino "Stabilimenti ed impianti in Sicilia di imprese
aventi sede fuori dal territorio della Regione”.........................................» 365
Prof. Filippo Sgubbi "Relazione sui profili penali” .................................» 377
Appendice
Dott. Alberto Vanni "La stabile organizzazione. Gli orientamenti della
giurisprudenza dell’ultimo decennio” .....................................................» 379
Prof. Fabrizio Amatucci
Professore emerito Università Federico II di Napoli
La stabile organizzazione nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia UE
SOMMARIO: 1 Rilevanza nella giurisprudenza UE delle stabili organizzazioni - 2
Compatibilità con il diritto UE della normativa nazionale che disciplina le s.o. - 3 Le
stabili organizzazione in materia di IVA in ambito UE
1 Rilevanza nella giurisprudenza UE delle stabili organizzazioni
La rilevanza che assume la stabile organizzazione (s.o.) in ambito
comunitario è duplice in quanto essa risulta determinante, sia ai fini della
localizzazione o attrazione del reddito di tale soggetto in un paese UE, che
ai fini del trattamento fiscale e della determinazione della base imponibile
nei confronti di tale ente non residente che viene quasi equiparato in alcuni
ordinamenti ad un ente residente. Anche in ambito OCSE la stabile
organizzazione assume rilevanza ai fini della distribuzione del potere
impositivo tra Stati nelle convenzioni bilaterali sulla base di quanto stabilito
dall’art. 7 del Modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni e
per quanto riguarda le modalità di tassazione delle società non residenti
(come elemento di qualificazione) .
Il diritto dell’UE non prevede un concetto autonomo di s.o., né di sede fissa
di affari come quello utilizzato dal Modello OCSE, tuttavia esso è preso in
considerazione nell’applicazione del divieto di restrizione alla libertà di
stabilimento del Trattato UE in materia di imposte dirette nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia e nella direttiva 90/434 sulle fusioni
e nelle direttive in materia di IVA1. Mentre la stabile organizzazione
inizialmente era soltanto un termine di diritto convenzionale ed interno, oggi
è divenuto anche di diritto tributario comunitario. L’art. 49 TFUE fa
riferimento indirettamente alla s.o. in quanto si riferisce anche alle succursali
le quali, pur non avendo autonoma rilevanza nel diritto tributario, rientrano
nel concetto di stabile organizzazione previsto dall’art. 5 lett. B del Modello
OCSE insieme alla sede di direzione, officina, laboratorio ecc.
1
Cfr ROCCATAGLIATA , Nozione comunitaria di stabile organizzazione , Riv dir trib.,
int, 2002, 28. Per quanto riguarda il diritto tributario comunitario vigente, ritroviamo
il concetto di stabile organizzazione utilizzato in direttive importanti: si pensi ad
esempio all’articolo 9 della VI direttiva IVA, disposizione normativa determinante per
il luogo d’imposizione delle prestazioni di servizio o agli articoli 5 e 10 della Direttiva
90/434 che regolamenta (o meglio, dovrebbe regolamentare) gli aspetti fiscali delle
fusioni transnazionali. In entrambi i casi manca una precisa definizione di legge del
concetto oggi in esame, anche se, la Corte di Giustizia Europea ha avuto modo di
pronunciarsi a più riprese rimediando a tale carenza.
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
Decisivo è stato il contributo fornito dalla giurisprudenza della Corte di giust.
per identificare il trattamento ai fini della imposta sulle società delle stabili
organizzazioni in un Paese membro UE.
L’indagine giurisprudenziale riguarda prevalentemente la compatibilità con il
divieto di restrizione alla libertà di stabilimento del mancato riconoscimento
di un determinato trattamento fiscale da parte di un ordinamento nazionale
nei confronti di una stabile organizzazione di una società non residente. Tale
valutazione avviene quasi sempre attraverso una comparazione tra la diversa
situazione in cui versano le s.o rispetto alle società residenti che consente di
collocare tale struttura ad un livello diverso e non equiparabile a quello
delle altre società non residenti sprovviste di s.o. in uno Stato UE.
Secondo gli orientamenti della Corte europea la s.o., pur essendo considerata
avente in quanto non residente responsabilità fiscale limitata, può versare in
situazioni analoghe alle società residenti relativamente alla determinazione
della base imponibile ( caso Royal Bank of Scotland 29.4.1999 311-97, punto
29 ).
Tali orientamenti presuppongono la consacrazione di alcune s.o. quali centri
di imputazione soggettiva della tassazione societaria in ambito UE. Le s.o.,
potendo essere soggette alla stessa imposizione a livello mondiale delle
società residenti, manifestano secondo tale logica la stessa potenzialità
economica delle società che si trovano nello Stato della fonte e ciò incide sul
trattamento fiscale di tali enti .
Ciò appare ancora più chiaro nel caso St. Gobain del 21.9.1999, (causa C 307/97, Racc. C. Giust CE , 6161)2 ove è stato ritenuto che l’obbligo fiscale
nel Paese della fonte della società non residente (operante attraverso s.o.)
diventa teoricamente limitato qualora grava in tale Stato anche sui redditi
prodotti dalla stessa all’estero attraverso società collegate a quest’ultima.
La Corte di Giust. UE giunge in tale caso al punto di considerare estensibile
attraverso l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE, alle stabili
organizzazioni di imprese appartenenti a Paesi UE non contraenti, i benefici
fiscali previsti da convenzioni bilaterali stipulate con Paesi terzi e basate sulla
reciprocità.
Più di recente è stato altresì affermato dalla Corte di Giustizia, nel caso
Philips Electronicis del 6.9.20123 causa C-18/11, che la situazione di una
2
Sul problema della soggettività delle stabili organizzazioni si veda FIORENTINO,
Stabile organizzazione , centro di attività stabile e nozioni minime in tema di
soggettività tributaria in Dir e prat Trib., 2005, 871
3
Nel caso Philips Electronics C-18/11 del 19 aprile 2012 è stato sostenuto che
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi degli articoli 43 CE e
48 CE, il fatto che uno Stato membro vieti il trasferimento a una società residente,
mediante sgravio di gruppo, delle perdite subite in tale Stato membro da una stabile
organizzazione anch’essa ivi residente, appartenente a una società estera, se anche
solo una parte di tali perdite risulta detraibile ai fini di un’imposta estera, in
qualsivoglia esercizio contabile, dagli utili conseguiti dalla società o da un altro
soggetto, o se è in qualsivoglia maniera è possibile una compensazione con tali utili.
10
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
società non residente che possiede solo una stabile organizzazione (non
residente) nel territorio nazionale e quella di una società ivi residente, sono
oggettivamente comparabili per quanto concerne l’obiettivo di un regime
tributario come quello di compensazione di utili e perdite tra società di un
gruppo. La mancata concessione della compensazione nei confronti della s.o.
in assenza di precise condizioni non previste per società residenti ( sgravio di
gruppo UK) di uno stato membro , viola secondo la Corte di Giustizia UE la
libertà di stabilimento.
Si è accentuata dunque quella crisi del criterio impositivo di collegamento
della worldwide taxation in ambito comunitario basato sulla residenza
fiscale ( requisito mancante nelle s.o.) sul quale si fonda l’imposizione
intracomunitaria di persone fisiche e giuridiche e spesso la distinzione
interna tra diversi soggetti passivi.
2 Compatibilità con il diritto UE
disciplina le s.o.
della normativa
nazionale che
Gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia completano nel
nostro ordinamento quanto disposto dagli artt. 73 c I lett. d), 151, 152 e 153
TUIR in relazione alla soggettività ai fini IRES degli enti non residenti e
integrano in particolare le disposizioni concernenti il consolidato oltre a
limitare la portata dei regimi antielusivi.
Tali norme nazionali, che individuano nel nostro ordinamento gli enti non
residenti ai fini IRES , fissano i criteri per l’assoggettamento ad imposta, per
la determinazione del reddito prodotto da questi ultimi, ponendo requisiti e
vincoli particolari riconducibili essenzialmente all’esistenza di una stabile
organizzazione4 che dovranno essere tenuti presenti per il riconoscimento
della soggettività tributaria piena in capo a tali soggetti e del trattamento
fiscale agevolativo.
La richiesta della presenza di una stabile organizzazione come condizione
imposta ad un ente non residente per essere considerato contabilmente e
organizzativamente autonomo rispetto all’attività del soggetto estero, oltre a
costituire punto di riferimento attivo per la produzione di reddito 5 e
beneficiare del regime del consolidato nazionale prevista dal nostro TUIR
(determinazione del reddito complessivo delle società non residenti ex artt.
117 e 152), non sembra restrittiva ed in contrasto con la libertà di
Riguardo la finalità antielusiva (impedire il doppio utilizzo perdite) è stato osservato
dalla Corte europea che il rischio di doppio utilizzo non può in quanto tale
autorizzare l’esclusione dal beneficio fiscale.
4
In mancanza di stabile organizzazione secondo l’art. 152 TUIR II comma il reddito
è determinato secondo le disposizioni del Titolo che disciplina il reddito prodotto
dalle persone fisiche . Se dunque un ente non residente non possiede una s.o. in Italia,
è assoggettata ad imposizione diversamente rispetto all’ente residente.
5
FANTOZZI, La stabile organizzazione , in Riv.Dir. Trib., 2013, 103.
11
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
stabilimento garantita a livello UE in quanto consente a tale soggetto, in
presenza di un requisito minimo, di attrarre a tassazione il reddito di impresa
prodotto nel nostro territorio. Tale status inoltre può consentire, secondo la
giurisprudenza UE esaminata, alla società non residente il superamento di
ogni tipo di limitazione al beneficio fiscale prevista in uno Stato e consentire
talvolta l’equiparazione rispetto ad un ente residente in attuazione del divieto
di restrizione alla libertà di stabilimento.
La nostra giurisprudenza di Cassazione (Sent. n. 16106 del 22.7.20116 )
sembra apparentemente per alcuni aspetti essersi adeguata agli orientamenti
della Corte di Giustizia, chiarendo che si deve riconoscere piena autonomia
soggettiva tributaria alle stabili organizzazioni autonomamente accertabili
proprio in ragione della loro maggiore e più facile identificabilità..
E’ stato altresì precisato dalla Cass., nella sent. 20597 del 2011, che la
identificazione di tali soggetti dipende da elementi di tipo sostanziale più che
formale7 .
6
Nel caso in esame una società non residente Voith Paper s.r.l. - ancorchè autonoma
persona giuridica - fungeva da stabile organizzazione italiana del gruppo tedesco
Voith, a fondamento dell'accertamento, l'Agenzia assumeva l'indeducibilità, da parte
di detta società (come costi connessi alla produzione del reddito), delle somme versate
a titolo di royalties in favore delle società estere del gruppo. In quanto importi,
confluendo nel reddito d'impresa di società estera dotata di stabile organizzazione in
Italia, piuttosto che costi deducibili da imponibile, configuravano attività assoggettata
ad imposta nello Stato. L'autonoma piena soggettività giuridica che viene riconosciuta
secondo la Cass. non interferisce, invero,con l'imputazione, quale massa separata, dei
rapporti fiscali riferibili a soggetto non residente, restando i due profili evidentemente
autonomi e distinti, seppur in capo alla medesima entità (cfr. Cass. 9166/11, 3889/08,
17206/06, 6799/04, 7682/02). Difatti - ove la persona giuridica nazionale sia ad un
tempo stabile organizzazione di soggetto non residente - nulla osta a che
l'Amministrazione finanziaria indirizzi la propria pretesa impositiva e la propria
azione accertatrice, nei suoi diretti confronti, quanto ai redditi da essa prodotti con la
propria autonoma attività e, nei confronti della "stabile organizzazione", per ì redditi
costituiti in "massa separata" riferibile a soggetto non residente; con la peculiarità che,
per tali ultimi, l'applicazione dell'imposta avverrà secondo le regole proprie
dell'imposta sul reddito dei soggetti non residenti.
Alla luce degli esposti rilievi, può, dunque, concludersi che l'accertamento condotto
dall'Agenzia sul reddito d'impresa, prodotta nel territorio dello Stato da società non
residente tramite stabile organizzazione, deve essere svolta nei confronti di
quest'ultima e non nei diretti confronti della società non residente. E d'altro canto,
nell'ipotesi (quale quella di specie) in cui la stabile organizzazione del soggetto non
residente è rappresentata da società residente munita di personalità giuridica, il
criterio trova ulteriore conforto nel rilievo che in tal caso, per le precipue
caratteristiche del sistema legale descritto in precedenza, l'accertamento non può che
risolversi nella rettifica della dichiarazione di detto soggetto (ancorchè per la parte
afferente al reddito del soggetto non residente di cui costituisce stabile
organizzazione).
7
Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, secondo cui aveva
costituito una stabile organizzazione nel territorio dello Stato una società, con sede in
12
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
In tale ultima sentenza. la Cass. afferma dell'individuazione di una stabile
organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto non residente,
l'accertamento deve essere condotto sul piano formale, ma anche - e
soprattutto - su quello sostanziale, non essendo incompatibili con il concetto
di stabile organizzazione, né la personalità giuridica di cui sia eventualmente
fornita la struttura operante in Italia, siccome l'autonoma soggettività
giuridica non assume rilievo quanto alla imputazione dei rapporti fiscali, né
l'assenza, in capo a quest'ultima, della capacità di produrre reddito di per sé
ovvero dell'autonomia gestionale o contabile. Da ciò consegue l'irrilevanza
del dato formale della molteplicità di imprese nelle quali l'organizzazione si
articoli, allorché risultino sufficienti elementi oggettivi, desumibili dalle
modalità operative dei soggetti attivi sul territorio nazionale, il cui
significato sia, per di più, corroborato dall'esistenza di legami di natura
soggettiva.
In realtà è evidente che tale recente riconoscimento della soggettività in capo
alle s.o. da parte della nostra giurisprudenza è derivante esclusivamente
dalla finalità accertativa, antielusiva e di recupero a tassazione del reddito e
riguarda casi di stabile organizzazione occulta o strumentale costituta quale
organo operativo di un ente non residente al solo scopo di ottenere un
vantaggio8.
La soggettività tributaria di enti e società viene considerata invece come
esaminato dalla giurisprudenza UE in una prospettiva diversa, connessa
all’estensione del trattamento fiscale nazionale ( quasi sempre favorevole) di
tali soggetti ai fini della sua conformità al sistema comunitario, al divieto di
restrizione alla libertà di stabilimento ed a quello di aiuti di stato. Tale
concetto di soggettività passiva coincide con quello UE di responsabilità
fiscale (tax liability)9 e si avvicina alla nostra nozione di centro di
San Marino, che offriva servizi didattici per la preparazione "breve" di esami
universitari con il metodo "CEPU", avvalendosi di una molteplicità di società e
imprese individuali, le quali, da un lato, avevano la funzione di recapito della prima e
traevano i loro introiti non dai proventi dell'attività di assistenza didattica, ma dalle
provvigioni su vendite fatturate a questa, e, dall'altro, pur se formalmente distinte,
erano tuttavia economicamente integrate in una struttura unitaria, strumentale al
raggiungimento dello scopo commerciale in Italia della "casa madre" non residente
8
Tale orientamento è stato criticato da coloro ( Tesauro, Ist. Dir. trib. Parte speciale,
Milano, 20o2 , 179 ) che non ritengono esistente la soggettività dell s.o . in quanto si
osserva che l’applicazione delle stesse norme previste per le soc. residenti non
significa che vi sia uno sdoppiamento della personalità giuridica. In realtà ciò è
corretto dal punti di vista interno . Mentre in un ottica europea la s.o. resta pur
sempre una non residente e l’equiparazione di trattamento fiscale rispetto alla
residente deriva da uno status giuridico diverso riconosciuto a livello UE e dunque da
una sua maggiore autonomia rispetto agli altri enti non residente privi di s.o. . Per
certi versi ciò genera uno sdoppiamento con la casa madre.
9
Cfr. TERRA-WATTEL, European Tax Law, Kluwer , 2012, 545. Con il termine tax
liability utilizzato in ambito europeo si intende la responsabilità fiscale di un ente che
può essere illimitata o limitata a seconda che trattasi di residente o non residente La
13
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
imputazione in base alla manifestazione di capacità contributiva che può
essere limitata o illimitata, piena o parziale .
In ogni caso risulta conforme al diritto UE il riconoscimento alle s.o. della
deducibilità delle spese di regia da parte della nostra prassi e giurisprudenza .
La Cassazione, nella sentenze n. 11684 del 5.9.2000 e n. 1133 del 26.1.2001,
conformandosi all’art. 7 OCSE, ha ritenuto, con riferimento alle spese di
regia ( rappresentanti una quota si spese sostenute dalla società madre
imputabili alla s.o.), che il concetto di inerenza vada riferito, non ai ricavi,
ma all’attività dell’impresa. Non è necessario secondo diverse interpretazioni
ministeriali il diretto collegamento con i ricavi ( C.M 7.7.1983 n. 30/9/944 e
158/E del 28.10.1998) . Tale orientamento appare più coerente alla logica
della produzione del reddito d’impresa, a maggior ragione quando la
distribuzione dei costi avviene nell’ambito di un gruppo. L’impresa
capogruppo per le esigenze più svariate può mantenere strutture come le s.o
anche quando dalle stesse non conseguano ricavi in tempi brevi.
Il problema riguarda la ripartizione proporzionale delle spese e perdite tra
s.o. e casa madre applicato agli utili totali dell’impresa. Nelle sent. n. 1709
del 2007 e n. 4416 del 2009 la Cass ha ritenuto legittima la deduzione delle
spese da parte di una s.o. in Italia facente parte di un gruppo multinazionale
10
.
L’A .F. e la Cassazione si esprimono dunque favorevolmente riguardo il
riconoscimento delle spese di regia, ritenendo non irrazionale una ripartizione
di costi compresi quelli sostenuti dalla soc. madre secondo un rapporto tra
fatturato mondiale del gruppo e quello della s.o., ma ritengono necessario
verificare l’aderenza alle reali situazioni di fatto e la sussistenza della
congruità dei costi dedotti sulla base della documentazione fornita con
l’ausilio delle autorità straniere ( C.M. del 7.7.1983 e 21.10.1997 n. 271/E) .
In base a tale orientamento viene posto non più a carico del contribuente, ma
dell’A. F l’onere della prova della ragionevolezza delle spese dedotte. La
problematica è connessa alla soggettività delle s.o. .Se la stabile org. e la
casa madre assumono un autonoma rilevanza e sono da considerare autonomi
delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione delle discipline fiscali
favorevoli del consolidato ad es. si sono rivelate in contrasto con i principi
comunitari come la libertà di stabilimento qualora si basano sulla residenza. La Corte
di giustizia, nel caso Marks e Spencer C 446/03 del 13.12.2006, ha assunto una
posizione molto precisa sul punto stabilendo che, ai fini del riconoscimento della
soggettività passiva del gruppo di cui fanno parte controllate non residenti e dei
relativi benefici in alcuni Paesi ( sgravio di gruppo in UK), rileva la proporzionalità.
Misure restrittive antielusive che prevedano esclusioni dal regime del consolidato di
cui fanno parte non residenti ( appartenenti ad altri Paesi UE ) e che disconoscono
una unilmited tax liability sono consentite a livello UE da parte degli Stati membri se
non eccedono quanto necessario altrimenti diventano restrizioni in contrasto con la
libertà di stabilimento.
10
vedi inoltre sul punto Cass. sent 8808 del 2012 su inerenza e onere prova
incombente sul soggetto che ha ricevuto il servizio.
14
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
dal punto di vista impositivo, è possibile riconoscere alla s.o. una quota di
reddito e la relativa deducibilità.
Non è mancata qualche precisazione circa il rischio di abuso della
soggettività delle s.o ai fini della deducibilità delle spese di regia . Con la
CM del 1999 n. 52/E. l’AF ha infatti ritenuto non corretto il comportamento
del contribuente che ha operato sulla base dell’autonoma soggettività di
una s.o. per la detraibilità di tali spese .
La giurisprudenza CGCE , nella sent. Futura, causa 250/95 del 1997
richiama lo scambio di informazioni per superare il vincolo posto dalla
tenuta delle scritture contabili posto da uno stato membro ai fini del
riconoscimento della deducibilità delle spese di regia secondo la normativa
dello Stato fonte. Si ritiene che non dovrebbero limitarsi i trattamenti
favorevoli nei confronti delle s.o. compreso la deducibilità di oneri e di
perdite. Tra queste si afferma dovrebbero rientrare le spese sostenute dalla
società madre a beneficio della s.o.. ( c.d spese di regia).
La Corte di Giustizia, alla luce di quanto stabilito dall’art. 7 par. 1 del M.
OCSE, si sofferma non specificamente sulle spese di regia, quanto
sull’inerenza tra perdite subite e lo scopo perseguito dalla s.o intesa come
connessione economica diretta e indiretta tra onere ed attività svolta.
La Corte di Giust. nella sentenza Futura cit. al p. 21, reputa dunque
compatibile con il diritto comunitario la condizione di inerenza all’attività
svolta dalla s.o. delle perdite subite in altro ordinamento. Al punto 49 ritiene
inoltre che non è indispensabile che i mezzi con i quali il non residente
prova l’importo delle perdite, siano limitati a quelli della normativa dello
Stato della fonte.
E’ tuttavia necessario che l’ente non residente ( s.o.) dimostri in modo chiaro
e preciso tale importo e le Autorità in tal caso non possono negare la
deducibilità di perdite.
La Corte tuttavia non si sofferma sul problema della rilevazione a livello
della casa madre delle operazioni effettuate per conto della s.o., ma ritiene
che il metodo della ripartizione proporzionale dei redditi complessivi per il
calcolo delle perdite, per le incertezze che presenta, non determina un obbligo
da parte degli Stati di determinazione in base ad esso11.
Nella sentenza AMID del 14.12.2000, causa C-141/99 la Corte ha
evidenziato inoltre la stretta correlazione tra diritto convenzionale e diritto
UE e l’influenza delle norme convenzionali sul riparto dei ricavi e delle
perdite tra s.o e casa madre. Si chiedeva di neutralizzare – compensare le
perdite interne della casa madre a fronte di utili (considerati esenti dalla
convenzione bilaterale) conseguiti dalla s.o. in altro Stato membro. La
condizione prevista dalla Corte per il riconoscimento del riporto delle perdite
è che le stesse non potevano essere detratte dal reddito imponibile in alcuno
11
La proposta di direttiva del 1990 595/90, ritirata dalla Commissione, sulla
contabilizzazione delle perdite subite dalle s.o., non prevedeva l’obbligo del riporto
delle perdite nello Stato della fonte.
15
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
degli Stati membri e risultavano completamente indeducibili, mentre
sarebbero state deducibili se le s.o. fossero situate nello Stato in cui l’impresa
aveva la sede sociale. Tale orientamento dimostra una certa flessibilità del
diritto comunitario nel riporto di oneri sostenuti da imprese in altri Paesi a
vantaggio della s.o..
3 Le stabili organizzazione in materia di IVA in ambito UE
In materia di IVA, la s.o. viene in rilievo quale mezzo di collegamento di
un soggetto con il territorio di uno stato membro UE ed ha funzione di
localizzazione della singola operazione . Nella relazione illustrativa al Dlgs
del 2002 n. 191, l’AF ha invece escluso la soggettività ai fini IVA osservando
che, permanendo la unitarietà del soggetto non residente non possono
assumere rilevanza i rapporti interni posti in essere tra impresa non
residente e stabile organizzazione .
la Cass., nella sent. n. 6799/2004, nell’affrontare una fattispecie riguardante
servizi effettuati da una s.o. alla casa madre, ha riconosciuto autonoma
soggettività alla stessa12 .
La corte di giustizia, nella sent. C-16/93 del 3.3.1994, ritiene che una
prestazione di servizi può essere considerata imponibile ai fini IVA se vi sua
un rapporto giuridico con scambio di reciproche prestazioni in cui il
compenso corrisponda al controvalore effettivo del servizio prestato . Si
supera dunque ancora una volta il problema della soggettività e ciò che conta
è l’effettività dell’operazione . Con sent. Cass. n. 6310 del 2008 si è inoltre
12
POZZO Sull’autonoma soggettività IVA delle s.o., in RGT, 2004 . Con ord. N. 7851
del 2004 la Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla soggettività ai fini iva della
S.O., ha rinviato la questione alla corte di giustizia. La questione pregiudiziale
sollevata si basa sul fatto che "nel caso di specie vi è un elemento in più" rispetto agli
elementi sottoposti al giudice comunitario con i richiamati provvedimenti, "costituito
... dal fatto che la ragione per cui l'IVA era non dovuta risiedeva non già in una
norma... ma in una "prassi nazionale" (... circolari ...) che teorizzava la configurabilità
di "rapporti intersoggettivi" per prestazioni di servizi tra "casa madre" e "proprie filiali
estere", ovverosia "fattispecie in cui il cedente e il cessionario solo lo stesso soggetto
... ed in cui la dichiarata carenza di legittimazione del committente/ cessionario si
traduce in una definitiva locupletazione dell'erario italiano a spese della impresa
francese e della sua filiale italiana .Con Sent Corte Giust delle Comunità Europee
nella sentenza 23 marzo 2006 (procedimento C-210/04 ) - secondo cui "gli artt. 2, n.
1, e 9, n. 1, della sesta direttiva dei Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE" ("in
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte
sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme") "devono essere interpretati nel senso che un centro di attività stabile, che
non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro
Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non deve essere
considerato un soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte
di tali prestazioni" .
16
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
affermato che “In tema di IVA indebitamente versata, l'art. 38 ter del d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633 prevede il diritto dei soggetti domiciliati e residenti
negli Stati membri della CEE al rimborso dell'imposta soltanto nel caso in
cui essi siano privi di stabile organizzazione in Italia e di rappresentante
nominato ai sensi del secondo comma dell'art. 17 del medesimo d.P.R.; ne
consegue che, nel caso di servizi oggetto di cessione alla casa madre (società
con sede all'estero) da parte della filiale italiana (autonomo soggetto passivo
IVA e sede secondaria), non spetta alla prima (cessionaria) alcuna facoltà
quanto al predetto rimborso, tanto più che solo il prestatore (cedente), unico
abilitato alla richiesta, va considerato debitore dell'imposta nei confronti
delle autorità tributarie, fatta salva la possibile azione civilistica di
ripetizione dell'indebito esercitabile dal destinatario nei confronti del
prestatore.
I requisiti per riconoscere una s.o ai fini IVA sono abbastanza rigorosi e la
nozione di centro di attività stabile appare più ristretta rispetto a quella
prevista per le imposte dirette . In realtà non vi è molta differenza tra le due
nozioni e in quanto la funzione della s.o. è sempre quella di collegamento ai
fini impositivi a prescindere dagli obblighi strumentali e di versamento che
contraddistinguono la s.o. ai fini IVA. Il Reg. n. 282/2011 prevede infatti
un sufficiente grado di permanenza a disposizione del non residente
nell’altro stato ed una consistenza minima di mezzi umani che coincide con
quanto ribadito dalla giurisprudenza UE13. Tuttavia l’approccio recente della
Corte è particolare e meno restrittivo in alcune recenti sentenze ove si
afferma che, anche se assume rilevanza ai fini antielusivi la s.o.. non deve
diventare un requisito limitativo ai fini del riconoscimento di un diritto come
quello al rimborso IVA . Secondo una logica simile a quella esaminata nel
caso Philips eltronics, ai fini del rimborso IVA nei confronti di non
residenti, la CGCE ha ritenuto nel recente caso Daimler del 25.10.2012 C318/11 che non può essere preclusiva la mera presenza di un s.o, ma ciò che
conta è l’effettiva realizzazione di operazioni imponibili nello stato di
rimborso.
Nella sentenza di Cassazione Philip Morris n. 3368 del 7.3.2002 l’Ufficio
ritiene che non va dimenticato che il fenomeno delle stabili organizzazioni
occulte trova terreno favorevole all’interno dei gruppi multinazionali . La
Corte Suprema ritiene che una società di capitali con sede in Italia può
assumere il ruolo di s.o. plurima di società estere appartenenti allo stesso
gruppo e perseguenti una strategia unitaria. Viene disconosciuta in tale caso
la soggettività della s.o. che è considerata un soggetto interposto della
società estera.
Il riconoscimento della s.o. nel nostro ordinamento tributario fa pensare che
non sia necessaria la comunitarizzazione della disciplina nazionale di tali
soggetti
in quanto essa risulta
spontaneamente adeguata a quella
convenzionale e comunitaria.
13
Vedi sent. Aro Lease del 17/7/1997 , causa C 190/95.
17
LA STABILE ORGANIZZAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
GIUSTIZIA UE
Necessaria in conclusione appare la cooperazione rafforzata tra le A F per
evitare manovre elusive e abuso della soggettività della s.o ai fini agevolativi
che possono derivare ad es. dalla mancata verifica della coincidenza delle
spese di regia con somme effettivamente pagate dalla impresa madre.
Ciò risulta fondamentale ai fini del riconoscimento dello stesso trattamento
fiscale tra società residenti e s.o. . L’effettività dello svolgimento di attività
in altro Stato da parte di una s.o ed il maggior rigore nella identificazione di
tal strutture richiesto ai fini IVA, deve rilevare anche ai fini delle imposte
dirette e non ha senso una distinzione sulla base del tipo di imposta ( diretta
o IVA) che determina un’autonomia ed una soggettività alternata14 e
strumentale ai fini antielusivi. Le pronunce della nostra Cass. , salvo il caso
delle spese di regia, hanno ad oggetto la s.o. occulta e non possono essere
rilevanti ai fini del riconoscimento della soggettività che viene attribuita,
talvolta alla s.o talvolta al gruppo per il disconoscimento di un vantaggio
indebito. La giurisprudenza comunitaria considera diversamente la s.o in
una visione più ampia ai fini dello stesso trattamento fiscale riservato alle
società residenti, superando barriere interne, valutando e imponendo in
alcuni casi il riconoscimento di diritti come quello al rimborso, alla
deducibilità del spese e detraibilità dell’IVA ed operando come sempre sulla
base della proporzionalità e dell’effettività.
14
PENNE, La Corte di Giust. sul caso Daimler in RDT II, 2012, 80
18
Prof. Mauro Bini
Professore Università Bocconi di Milano
Aspetti contabili per la stabile organizzazione*
* La relazione, non pervenuta in tempo per l’inserimento nel volume, appena
disponibile verrà pubblicata sul sito www.uckmar.net
Pietro Boria
Professore Università di Foggia
L’individuazione della stabile organizzazione
1
Premessa. L’individuazione della stabile organizzazione è un
tema che riguarda essenzialmente la localizzazione del soggetto
tributario.
L’individuazione della stabile organizzazione è un tema giuridico che
riguarda essenzialmente il riconoscimento del soggetto tributario sul territorio
ovvero, per meglio dire, la localizzazione del soggetto che produce reddito di
impresa (o che pone in essere operazioni rilevanti ai fini Iva) in una
giurisdizione tributaria al fine di attribuire la potestà impositiva ad uno Stato
piuttosto che ad un altro (1).Il concetto di “stabile organizzazione” è definito
tipicamente nella disciplina delle imposte dirette dall’art. 162 TUIR (con
particolare riguardo ai criteri di imposizione adottati ai fini dell’IRES). A tal
riguardo va segnalato che tale nozione si allinea nella sostanza con la
formulazione del concetto nell’ambito delle convenzioni internazionali per
l’eliminazione delle doppie imposizioni (ed in particolare nell’art. 5 del
Modello OCSE); peraltro, eventuali scostamenti dalle accezioni accolte in
sede internazionale sono da ritenere comunque non determinanti stante la
prevalenza da attribuire al diritto interno ai fini della ricostruzione della
latitudine giuridica della “stabile organizzazione” nel diritto tributario
italiano (2). E’ appena il caso di rilevare che la nozione di stabile
organizzazione è utilizzata come criterio regolamentare anche ai fini di altre
imposte (ed in specie dell’Iva) (3), pur se con alcune diversità ricostruttive ed
applicative (4). Il dato di partenza per la definizione della nozione può essere
1
) In questo senso chiaramente si esprime FANTOZZI La stabile organizzazione, in
Riv. Dir. Trib. 2013, I, 99 ss. che ritiene la stabile organizzazione un criterio di
“apporzionamento del reddito complessivo tra diverse giurisdizioni”.
2
) Si veda GALLO F. La stabile organizzazione, in AA. VV. Il diritto tributario nei
rapporti internazionali, in Quaderni di rassegna tributaria, n. 2/1986, 149 ss.
3
) Nell’ambito Iva viene in rilievo in particolare il “centro di attività stabile” idoneo
a garantire la cura di affari nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato di
residenza. Vedi in specie l’art. 9 della Sesta Direttiva CEE in materia Iva del
17.5.1977 n. 77/388. Si segnala inoltre il Regolamento UE n. 282/2011 artt. 11, 22 e
53 che fornisce elementi per la ricostruzione della nozione di stabile organizzazione ai
fini Iva.
4
) E’ frequente in dottrina il rilievo che la medesima nozione di “stabile
organizzazione” può assumere diversi significati a seconda del peculiare contesto
impositivo. Sull’argomento si veda GALLO, F. Contributo all’elaborazione del
concetto di stabile organizzazione secondo il diritto unitario, in Riv. Dir. Fin. 1985, I,
385; LOVISOLO, Il concetto di stabile organizzazione nel regime convenzionale
contro la doppia organizzazione, in Dir. Prat. Trib. 1983, I, 1127; CARBONE, La
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
rintracciato nella funzione assunta nella logica dell’imposta sul reddito, e cioè
nella idoneità della “stabile organizzazione” a ricollegare una fattispecie
reddituale ad un soggetto estraneo all’ordinamento, atteggiandosi dunque
come vero e proprio “criterio di collegamento” del reddito ad una
giurisdizione tributaria (5). In altre parole, la “stabile organizzazione” vale ad
indicare che l’attività esercitata dal soggetto collettivo non residente si
localizza nel territorio straniero (inteso come territorio diverso rispetto allo
Stato di residenza) (6) in quanto svolta attraverso una organizzazione stabile e
continuativa. La nozione di “stabile organizzazione” richiama così la
presenza nel territorio di un soggetto collettivo non residente che opera ed
agisce secondo modi, cadenze e ritmi - e cioè quelli che connotano una
organizzazione stabile e continuativa dell’attività di impresa - comparabili
con quelli propri di un soggetto collettivo residente. La “stabile
organizzazione” non vale dunque a costituire un autonomo soggetto giuridico
bensì ad indicare una articolazione organizzativa di un soggetto collettivo già
esistente, pur se non residente nel territorio; l’individuazione di tale
articolazione organizzativa serve al fine di esprimere la riferibilità del reddito
da essa prodotto al territorio medesimo, in quanto la fattispecie impositiva è
riportata ad una figura riconoscibile dall’ordinamento come autonomo
soggetto giuridico (7). In questa prospettiva l’individuazione della stabile
organizzazione si collega intimamente con il tema della soggettività tributaria
in quanto impone di riconoscere gli elementi giuridici che permettono
l’identificazione del soggetto nella giurisdizione tributaria.
Va osservato peraltro che la stabile organizzazione, pur costituendo un
elemento riferibile astrattamente anche ad una impresa di tipo individuale,
costituisce un tratto identificativo tipicamente ricollegabile ai soggetti
collettivi che svolgono attività commerciali (e dunque a società di capitali,
società cooperative, società di persone, enti commerciali ovvero enti non
commerciali che svolgono in modo non prevalente attività commerciali). In
nozione di stabile organizzazione e la sua operatività nell’ordinamento italiano, in
AA. VV., Il reddito di impresa nel nuovo testo unico, Padova 1988, 731; PURI, La
stabile organizzazione nell’Iva, in Riv. Dir. Trib. 2001, I, 239.
In giurisprudenza sulla qualificazione di stabile organizzazione ai fini Iva cfr. Cass.
28.6.2012 n. 10802 e Cass. 30.11.2012 n. 21380.
5
) In tal senso CARBONE, La nozione di stabile organizzazione e la sua operatività
nell’ordinamento italiano, cit., 732; CARPENTIERI – LUPI – STEVANATO Il
diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano 2004, 215 s.
6
) Nel corso di questo lavoro si farà più volte riferimento al “territorio straniero” ad
indicare la giurisdizione tributaria in cui opera il soggetto collettivo non residente che
sia diversa rispetto allo Stato di residenza. Evidentemente, pertanto, per l’ordinamento
nazionale il territorio straniero del soggetto non residente è rappresentato dal territorio
italiano.
7
) Cfr. sull’argomento FANTOZZI – MANGANELLI, Qualificazione e
determinazione dei redditi prodotti da imprese estere in Italia: applicabilità della
normativa sui prezzi di trasferimento nei rapporti tra stabile organizzazione e casa
madre, in AA. VV. Studi in onore di V. Uckmar, Padova 1997, I, 401 ss.
22
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
questo senso la stabile organizzazione viene usualmente considerata come
una forma giuridica attraverso la quale il soggetto collettivo esercita l’attività
in un territorio diverso da quello in cui è presente la propria sede legale
(ovvero il domicilio fiscale).
Ne consegue che la ricerca dei criteri utili ai fini dell’individuazione della
stabile organizzazione va effettuata tipicamente con riguardo ai modi ed alle
forme con cui si esprime la soggettività degli enti collettivi che svolgono
attività commerciali.
2 La soggettività degli enti collettivi va ricostruita secondo i
meccanismi della imputazione di fattispecie e/o effetti giuridici ad una
organizzazione sociale.
Come noto, in termini generali che il fenomeno della soggettività può essere
ricondotto essenzialmente alla utilizzazione di un meccanismo di
imputazione (8), mediante il quale si realizza il collegamento di una
fattispecie normativa con un determinato centro che si atteggi come "fattore
di unificazione" (9).
Al fine di avere un soggetto è necessario così che l'insieme di diritti ed
obblighi ed in genere di situazioni giuridiche soggettive attinenti alla
fattispecie da imputare venga riferito in modo unitario ad un destinatario (10).
Nel caso della persona fisica è l'unita biologica "uomo" a fungere
agevolmente da fattore di unificazione. Nel caso di un soggetto collettivo
l’identificazione di un fattore di unificazione appare più complessa in quanto
sono rinvenibili almeno due termini astrattamente eleggibili a centro di
imputazione normativa, ovverosia gli individui (e cioè i soci o gli associati) e
l’organizzazione complessiva in cui si sostanza il soggetto collettivo.
Evidentemente, il problema della soggettività degli enti collettivi non
riguarda l’esistenza di una realtà “pre-giuridica” (o “meta-giuridica”), quanto
8
) Il termine imputazione viene utilizzato nella dottrina “normativo – nominalistica”
come collegamento di una fattispecie normativa ad un soggetto. Per alcune
osservazioni su tale scelta terminologica si veda LOSANO Saggio introduttivo a
KELSEN La teoria generale del diritto, trad. ital., Milano 1954.
9
) Sul concetto di persona giuridica come tecnica normativa di imputazione di
fattispecie giuridiche si veda GALGANO Struttura logica e contenuto normativo del
concetto di persona giuridica, in Riv. Dir.Civ. 1965, I, 553 ss; ID. Delle persone
giuridiche, Roma - Bologna, 23 s; ZATTI Persona giuridica e soggettività,
Padova1975; ORESTANO Le persone giuridiche, in Il diritto privato nella moderna
società, 159 ss; SCARPELLI Contributo alla semantica del linguaggio normativo,
Torino 1966, 66.
In argomento, anche per un esame critico delle teorie tradizionali sulla fattispecie
giuridica con specifico riferimento alle persone giuridiche, vedi FERRO LUZZI I
contratti associativi, Milano 1972, 128 ss.
10
) Così espressamente KELSEN La teoria generale del diritto, cit..
23
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
piuttosto il riconoscimento del criterio adottato per l’imputazione normativa
(11): non si tratta perciò di capire se l’ente collettivo esista effettivamente
nella dimensione storica ovvero costituisca una mera finzione di diritto; è
piuttosto rilevante procedere al riconoscimento del criterio normativo di
imputazione di una fattispecie ad un centro soggettivo idoneo ad essere
titolare di situazioni giuridiche soggettive (12). In altre parole non si tratta di
verificare la corrispondenza della disciplina sui soggetti collettivi ad una
realtà pre-normativa, bensì di analizzare le "condizioni d'uso" di tale
disciplina (13). Il concetto di soggettività giuridica è stato così ridimensionato
ad un fenomeno prettamente normativo, attraverso una separazione decisa
dalla soggettività reale: soggetto di diritto viene pertanto inteso il centro di
riferibilità delle fattispecie giuridiche indipendentemente dalla sussistenza di
una determinata qualità soggettiva (14).
Accertato che il fulcro della questione non è tanto rappresentato dalla
identificazione di una particolare qualità rinvenibile nel mondo reale, bensì
dalla scelta di un peculiare meccanismo di imputazione nella disciplina
legislativa, occorre soffermarsi sui due termini dell'alternativa sopra
individuata.
11
) In ordine al procedimento logico – giuridico attraverso il quale si giunge alla
comprensione del fenomeno della soggettività giuridica cfr. D'ALESSANDRO
Persone giuridiche ed analisi del linguaggio, in Scritti giuridici in memoria di Tullio
Ascarelli, I, Milano 1969, 375 ed autonomamente pubblicato, Padova 1989, 146 ss.
12
) Cfr. in tal senso FERRO LUZZI I contratti associativi, Milano 1972, 155 ss.
Per chi volesse approfondire l'esame dei meccanismi di imputazione e particolarmente
la questione dell'imputazione degli atti o degli effetti richiamo, a puro titolo di
indicazione, FALZEA Il soggetto nel sistema dei rapporti giuridici, cit., 162 ss;
ROMANO S. Organi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano 1953, 154 ss;
MINERVINI Alcune riflessioni sulla teoria degli organi delle persone giuridiche, cit.,
62. Cfr. inoltre GIANNINI M.S. Istituzioni di diritto amministrativo, Milano 1981, 31
ss, per alcune rapide osservazioni sul percorso evolutivo delle figure giuridiche di
imputazione (dal munus romanistico alla rappresentanza ed alla organizzazione
entificata).
13
) In tal senso GALGANO Delle persone giuridiche, Delle persone giuridiche, in
Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca; Bologna - Roma 1969, 23. Sul punto cfr.
SCARPELLI Contributo alla semantica del linguaggio normativo, cit., 113 ss;
D'ALESSANDRO Persone giuridiche ed analisi del linguaggio, cit..
14
) E' interessante notare che anche in filoni dottrinali lontani dalla teoria “normativonominalistica” si è andata delineando una ricostruzione della soggettività come
fenomeno prettamente normativo. In questo senso si veda HAURIOU Teoria della
istituzione e della fondazione, trad. it., Milano ** che pur attribuendo una valore
centrale all'"idea comune" come fattore fondante della soggettività degli enti collettivi
ne riconosce l'essenziale natura di centro di imputazione di effetti giuridici. Cfr.
PASUCKANIS in AA.VV. Teorie sovietiche del diritto, che definisce il soggetto
come centro di titolarità di diritti o di obblighi e riconosce che la soggettività delle
società consiste nella riferibilità ad esse di norme.
24
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Cominciando con il fenomeno denominato appunto della "soggettività degli
enti collettivi" si è già avuto modo di rilevare che esso consiste in una
imputazione di fattispecie giuridiche ad un complesso di individui e beni
organizzato funzionalmente e, dunque in modo più sintetico, ad una
“organizzazione sociale” (15). Il termine "organizzazione" viene richiamato a
proposito degli enti collettivi dalla dottrina amministrativistica e civilistica,
senza peraltro che vi sia una visione unitaria del concetto (16).
15
) Nella dottrina l'attenzione va sempre più spostandosi dalla soggettività alla
organizzazione: l'analisi dell'assetto organizzativo viene infatti assunta come dato
fondante della disciplina normativa delle società, delle associazioni e degli enti
collettivi in genere. Non si tratta cioè più di stabilire se gli enti sono o meno soggetti,
quanto piuttosto se l'organizzazione presenta una attitudine oggettiva ad essere centro
di riferibilità autonomo delle fattispecie giuridiche.
In particolare è stata la dottrina amministrativistica che in Italia, nel corso degli anni
'60, ha proposto una ricostruzione unitaria dell'amministrazione pubblica incentrata
sul concetto di organizzazione: cfr. BERTI La pubblica amministrazione come
organizzazione, Padova 1968; SAITTA Premesse per uno studio delle norme di
organizzazione, Milano 1965.
In ambito privatistico si è osservato che l'organizzazione si trova in contrapposizione
antitetica al contratto nella ricostruzione della fattispecie societaria per sottolineare il
rilievo reale dell'atto costitutivo, vale a dire il porsi come centro di imputazione
giuridica. In tal senso FERRO LUZZI I contratti associativi, Milano 1972, 117 nota
33; SPADA La tipicità delle società, Padova 1974, 89 s.
16
) La percezione dell'organizzazione come "grandezza" giuridicamente rilevante è
avvenuta in principio nella dottrina amministrativistica italiana e tedesca in
correlazione al progressivo accentuarsi dello studio delle norme e dell'ordinamento in
senso oggettivo e de-ideologizzato. Sulla complessa vicenda di adattamento teorico
nel passaggio allo stato parlamentare e sulla spersonalizzazione del rapporto con
l'amministrazione si veda l'analisi di DI GASPARE Organizzazione amministrativa,
in Dig. IV, X, Sez. Dir. Pubbl., 4 ss dell'estratto. Sono peraltro individuabili due
indirizzi di fondo: un primo che assume l'organizzazione come dato giuridico ed un
secondo che, al contrario, ne ricerca i connotati sul terreno politico e sociologico
(SAITTA Premesse per uno studio delle norme di organizzazione, Milano 1965).
Peculiare appare la posizione di M.S. GIANNINI che per un verso sembra fornire una
ricostruzione del fenomeno organizzativo in termini di disegno normativo sulla
produzione e sulla imputazione di valori giuridici (Diritto amministrativo, Milano
1970, 137 s), per altro verso fa emergere una nozione non normativa di
organizzazione (Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl.
1958, 237).
L'idea che la realtà sottesa all'organizzazione non sia soltanto normativa, ma anche
fattuale appare peraltro radicata nella dottrina italiana: secondo PUGLIATTI Diritto
pubblico e diritto privato, in Enc. Dir., 723, l'organizzazione presenta una essenziale
dimensione storica che si integra con il valore giuridico. In senso sostanzialmente
analogo S. ROMANO L'ordinamento giuridico, Firenze 1967, 15 s; CALASSO
Medioevo del diritto, Milano 1954, 27.
Nella dottrina civilistica sembra peraltro accentuato il momento giuridico ai fini della
identificazione del concetto di organizzazione. In particolare in tema di società
l'organizzazione è stata definita come un concetto in contrapposizione a quello di
25
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Sul piano oggettivo si può notare che esistono vari profili sotto cui assume
rilevanza il fenomeno organizzativo: sono infatti ipotizzabili una
organizzazione di beni, una organizzazione di rapporti interni tra soggetti, ed
anche una organizzazione di attività. Il più delle volte questi diversi profili
dell'organizzazione tendono ad intrecciarsi tra di loro, ma è ad ogni modo
possibile pensare a fattispecie in cui rilevano singolarmente (17).
Ora, non ogni fenomeno oggettivo di organizzazione vale a porsi come
fattore di unificazione di diritti ed obblighi, e quindi ad assumere l'astratta
idoneità ad essere centro di imputazione di una fattispecie normativa. Ed
invero, appare determinante verificare che il complesso organizzato di
persone e mezzi non “appartenga” a terzi (e dunque si risolva in una mera
articolazione organizzativa di un altro soggetto), bensì disponga di effettiva
autonomia ed indipendenza.
contratto (AULETTA Il contratto di società commerciale, cit., 31 ss; ASCARELLI Il
contratto plurilaterale, cit., 277 ss; FERRI Le società, Torino 1971, I, 4.) oppure
come organizzazione dell'impresa (ROSSI Persona giuridica, proprietà e rischio
d'impresa, cit., 112) o come strumento giuridico dell'attività (FERRO-LUZZI I
contratti associativi, cit., 170 ss, 214 e 243), come punto di riferimento dell'attività
comune (SPADA La tipicità delle società, Padova 1973, 134 ss), come valore
giuridico dell'attività (ANGELICI La società nulla, Milano 1975) oppure ancora come
mezzo di realizzazione dell'essenziale esigenza contrattuale (OPPO Eguaglianza e
contratto nelle società per azioni, 654).
Una certa ambiguità semantica è peraltro rilevabile in alcuni autori che oscillano tra
una nozione di marca economicistica (riferendosi in sostanza alla organizzazione dei
fattori della produzione) ed una nozione giuridica (come ordinamento dei poteri
sociali): cfr. CASANOVA Società e impresa, in Nuova riv. dir. comm. 1949, I, 1 ss;
GASPERONI La trasformazione delle società, Milano 1952, 148 ss;
DALMARTELLO I contratti delle imprese commerciali, Padova 1962, 298 ss.
17
) Una organizzazione di beni in cui mancano gli ulteriori profili dell'organizzazione
di attività o di rapporti interni è costituito dal c.d. "patrimonio separato" oppure dai
fondi mobiliari o immobiliari ovvero ancora dai fondi speciali di istituti di credito o
fondi similari . Sul tema dei patrimoni separati e sulla relativa distinzione rispetto ai
"soggetti di diritto" si veda DONADIO I patrimoni separati, Città di Castello 1941;
BIONDI I beni, Torino 1953; MESSINEO Manuale di diritto civile e commerciale, I,
Milano 1957, 386;; NATOLI L'amministrazione dei beni ereditari, II, Milano 1969,
126 s; BIGLIAZZI GERI Patrimonio autonomo e separato, in Enc. Dir., XXXII,
Milano 1982, 285.
Fattispecie di mere organizzazioni di rapporti interni sono rappresentate
dall'associazione in partecipazione o dal contratto di cointeressenza e dalle unioni di
imprese (c.d. joint ventures non entificate). Rispetto alla società tali fattispecie si
distinguono per l'assenza di una gestione comune dell'attività: non si crea nessuna
riunione economico giuridica di beni e soggetti, ma soltanto una unione "algebrica" di
soggetti che rimangono separati. Cfr. GHIDINI Cointeressenza, in N.sso Dig. III,
Torino 1959, 437 ss; DE FERRA Associazione in partecipazione, in Enc. Giur.
Treccani, 9; BELLI CONTARINI Prime note sui profili tributari dei contratti di
cointeressenza, in Riv. Dir. Trib. 1993, I, 673 ss.
26
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Così nelle ipotesi di organizzazioni di beni o di rapporti la struttura
organizzativa è da ritenere inidonea a fungere da centro di riferibilità delle
fattispecie, in quanto esprime una funzione strumentale agli interessi di un
altro soggetto (regolazione di un patrimonio, ordinamento interno dei rapporti
etc.) e dunque è da considerare carente di autonomia (18).
L'elemento determinante ai fini della imputazione di fattispecie normative è
piuttosto rappresentato dalla organizzazione dell'attività, dalla costituzione
cioè di una struttura finalizzata al compimento di una determinata attività in
modo autonomo ed indipendente rispetto agli individui che ne fanno parte. In
questo caso, infatti, la struttura organizzativa non risponde soltanto ad
esigenze ordinative di un patrimonio o di rapporti negoziali, ma assume le
funzioni che spettano normalmente ai soggetti riconosciuti dall'ordinamento
giuridico, vale a dire il compimento di un'attività (19).
18
) Il discorso sul concetto di autonomia è sorto inizialmente nell'ambito del diritto
pubblico in ordine alla identificazione del "potere di darsi un ordinamento" degli enti
pubblici; successivamente si è esteso anche al diritto privato, venendo assimilato il
potere negoziale al potere normativo, con la conseguente elisione dei tratti originari
del concetto. L'autonomia venne così collegata non più soltanto al versante dei
pubblici poteri, bensì alla soggettività in genere. Vedi BETTI Autonomia privata, in
Nov.mo. Dig. It., I, Torino 1957, 1559; DE FINA Autonomia, in Enc. Giur. Treccani,
1.
Sulla essenzialità della "non appartenenza a terzi soggetti", e quindi della autonomia,
ai fini della identificazione di un centro di imputazione, si veda espressamente nella
dottrina tributaria NUZZO Questioni in tema di tassazione di enti non economici, in
Rass. Trib. 1985, I, 107 ss; POTITO Soggetto passivo di imposta, in Enc. Dir. XLII,
Milano 1990, 1242; GALLO La soggettività ai fini IRPEG, in AA.VV. Il reddito di
impresa nel nuovo testo unico, Padova 1988, 664; ID. I soggetti del libro primo del
codice civile e l'Irpeg: problematiche e possibili evoluzioni, in Riv. Dir. Trib. 1993, I,
346.
19
) D'altronde che il soggetto nel mondo giuridico sia visto soprattutto in quanto
autore di una determinata attività, da cui discendono obblighi e diritti, è un dato
riscontrabile come postulato di gran parte della dottrina che si è occupata
dell'argomento. Vedi tra gli altri D'ALESSANDRO Persona giuridica, cit., 124, che
espressamente afferma "che alla base della soggettività giuridica vi è una capacità di
comportamento"; BASILE - FALZEA Persona giuridica, in Enc. Dir., 240, per i
quali la "soglia minima di rilevanza giuridica" della soggettività suppone un minimo
di organizzazione per lo svolgimento di un'attività. Cfr. altresì BIANCA Diritto civile,
I, Torino 1980, 283 ss.
Per alcune considerazioni sul rapporto tra organizzazione ed attività come perno
logico della soggettività delle società si confronti FERRO LUZZI I contratti
associativi, Milano 1972, 242 ss e 300 ss ANGELICI La società nulla, Milano 1975,
88 ss.
Quanto alla dottrina tributaria si può riscontrare come siffatta impostazione fosse in
una qualche misura già prefigurata in VANONI Elementi di diritto tributario, in
Opere giuridiche, II, Milano 1962, 124 s; ANTONINI E. La soggettività tributaria,
Napoli 1965, 52 ss.
27
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
D’altronde il concetto stesso di autonomia ha subito uno slittamento logico in
direzione della "autodeterminazione" ovvero della "autoregolazione di attività
e di comportamenti" che ha fatto emergere la centralità del potere di
impostare la propria attività secondo criteri autonomamente determinati (e
non provenienti da altri soggetti) (20).
Nel regolamentare i "ritmi" della produzione dell'attività comune
(l'ordinamento dei poteri sociali, le regole di distribuzione di funzioni, le
modalità di azione) l'organizzazione sociale si presenta come una figura
unitaria di produttore di diritto che appare naturalmente predisposta a
ricevere gli effetti dell'attività medesima e dunque a fungere da centro di
imputazione giuridica (21).
Non bisogna pertanto confondere i profili oggettivi dell'organizzazione con
quelli soggettivi: soltanto ad uno di quelli, e cioè all'organizzazione di
attività, è attribuito il particolare "valore" dell’idoneità all'imputazione.
Resta da vedere quando ricorre in concreto una organizzazione dell'attività
che presenti connotati tali da configurare un centro di imputazione: si può
rilevare a questo proposito che gli elementi fondamentali della
organizzazione di attività sono rappresentati dall'esistenza di una comunità di
individui, di un fine comune e di un complesso di regole per la attribuzione di
funzioni agli individui così da unificare il gruppo e renderlo diverso da una
mera unione di individui (22); decisiva è poi la sussistenza di una autonomia
In senso sostanzialmente conforme alla tesi della organizzazione di attività come
elemento individuante della soggettività si veda NUZZO Questioni in tema di
tassazione degli enti non economici, in Rass. Trib. 1985, I, 128; ID. Organizzazione,
soggettività tributaria, eredità giacente, in Dir. Prat. Trib. 1986, II, 1065; ID.
Impresa multinazionale (dir. trib.), in Enc. Giur. Treccani, XVI, Roma 1989, 2, che
pur avverte come talora il criterio dell'imputazione dell'attività venga superato nelle
legislazioni più moderne onde evitare possibili elusioni di imposta (ad es. mediante
l'espediente di riferire il reddito alle c.d. "società di carta"); CROXATTO Redditi
delle persone giuridiche (imposta sui), in Nov.mo Dig. it. App., Torino 1989, 419;
ESPOSITO I fondi pensione ex art. 2217 C.C., in particolare sulla tassabilità degli
interessi corrisposti dall'ente costituente, in Riv. Dir. Trib. 1993, II, 428 ss; FICARI
Indici di soggettività tributaria ed art. 87 comma secondo TUIR n. 917/1986, in Riv.
Dir. Trib. 1994, II, 472. Su posizioni parzialmente diverse è ZIZZO Reddito delle
persone giuridiche (imposta sul), in Riv. Dir. Trib. 1994, I, 635, per il quale
l'organizzazione è da considerare piuttosto come il risultato dell'attività, che come una
attività.
20
) Il proprium dell'autonomia quale tratto caratteristico della soggettività viene così
individuato con riguardo al profilo della regolazione dell'attività. Cfr. sul punto DE
FINA Autonomia, cit., 2.
21
) Sul nesso che intercorre tra attività ed organizzazione all'interno dello schema
produzione/imputazione si vedano le acute osservazioni di SPADA La tipicità delle
società, cit., 134 ss. Cfr. inoltre ANGELICI La società nulla, cit., 91 ss, il quale
definisce l'organizzazione come il valore giuridico dell'attività.
22
) Sulla essenzialità di un interesse di gruppo e sulla posizione funzionale di chi
produce i singoli atti come connotato precipuo dell'attività di un ente collettivo si veda
SPADA La tipicità delle società, cit., 154 ss.
28
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
decisionale e di una autonomia programmatica nell'ambito del potere di
indirizzo dell'attività (23). Pertanto, quando l'ente presenta una struttura che è
obiettivamente idonea ad assumere decisioni relative all'andamento generale
dell'attività collettiva indipendentemente da altri soggetti, allora si può
ritenere che ricorra il requisito dell'organizzazione di attività, e che pertanto
sussistano le caratteristiche di una astratta idoneità ad essere centro di
riferibilità delle fattispecie (24).
Alla luce di quanto è stato detto, la soggettività degli enti collettivi può essere
descritta
in
una
dimensione
analitica
secondo
lo
schema
imputazione/organizzazione (25), vale a dire come un rapporto di imputazione
di fattispecie giuridiche in capo ad una organizzazione (da intendersi come
organizzazione di attività) (26).
Lo schema "imputazione/organizzazione" può essere così tradotto nello
schema "imputazione/modo di produzione di attività", che ancor di più
evidenzia il distacco da una rappresentazione individualistica dei fenomeni
giuridici. L'attività considerata nella sua autonomia si pone infatti, in
sostanza, come termine di riferimento delle fattispecie normative. Gli
individui rilevano solo come termini di riferimento secondari, o come
strumenti di produzione di singoli atti (rappresentanti, organi etc.), oppure
come destinatari del risultato finale dell'attività (e cioè come soci o associati)
(27).
23
) In senso sostanzialmente affine, pur se riferito specificamente agli enti pubblici,
LAVAGNA Istituzioni di diritto pubblico, Torino 1979, 879, per il quale l'autonomia
è da riconoscere nel "potere di condizionamento unilaterale di collettività".
24
) La connessione tra titolarità dei poteri decisionali ed eleggibilità del soggetto
passivo del tributo è stata evidenziata da FEDELE Possesso di redditi, capacità
contributiva ed incostituzionalità del "cumulo", cit., 2163 ss. il quale sostiene che in
tema di imposte dirette i poteri decisionali, rintracciabili non soltanto in situazioni
giuridiche soggettive, ma anche nella "libera disponibilità" del reddito, sono da
individuare in rapporto alle scelte sulla soddisfazione di bisogni e di interessi rese
possibili da un determinato reddito.
Per alcune osservazioni di senso analogo in riferimento all'impresa familiare, e
segnatamente alla "comunità organizzata" dei collaboratori familiari, si veda NUSSI
L'imputazione dei redditi dell'impresa familiare, in Riv. Dir. Trib. 1992, I, 916 ss.
25
) Per una più ampia ricostruzione del concetto di soggettività degli enti collettivi e
delle persone giuridiche secondo il meccanismo di imputazione/organizzazione
richiamo quanto detto in BORIA Il principio di trasparenza nell’imposizione delle
società di persone, Milano 1996; ID. Sistema tributario, Torino 2008.
26
) La soggettività delle persone giuridiche è da ritenersi "un'inammissibile
ipostatizzazione di un procedimento ausiliario della scienza del diritto al fine di
semplificare e chiarire l'esposizione di una complessa situazione giuridica": KELSEN
Teoria generale del diritto, cit., 202.
27
) Si noti che uno schema siffatto non è sconosciuto, pur sovente definito in termini
diversi, alla dottrina privatistica: vedi in particolare SPADA La tipicità delle società,
Padova 1974, 95 ss, che ricorre allo schema produzione/imputazione. Nella dottrina
amministrativistica cfr. GIANNINI M.S. Lezioni di diritto amministrativo, Milano
29
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Si tratta invero di un processo di imputazione complesso poiché le norme
vengono riferite in primo luogo all'ente, ma sono comunque destinate a
risolversi in capo a persone fisiche (28). L'imputazione al gruppo costituisce
dunque una imputazione indiretta (se guardata dal punto di vista degli
individui).
3 La nozione di stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette
richiama la presenza della organizzazione di attività.
Sulla base delle premesse sopra illustrate dovrebbe risultare evidente la
latitudine semantica della nozione di stabile organizzazione stabilita nella
disciplina delle imposte dirette (e dell’IRES in particolare).
Ed invero, va considerato a tal riguardo che:
i)
la stabile organizzazione non costituisce un soggetto giuridico a sé
stante, ma una semplice articolazione organizzativa di un soggetto non
residente; in questo senso si può dire che la stabile organizzazione costituisce
un modo di essere del soggetto non residente nel territorio straniero;
ii) l’individuazione della stabile organizzazione costituisce un criterio
logico per la localizzazione di un soggetto collettivo non residente in una
giurisdizione tributaria nazionale diversa rispetto al paese di residenza;
iii) il soggetto collettivo può essere descritto e/o riconosciuto
nell’ordinamento giuridico in base a meccanismi di imputazione di fattispecie
e/o effetti normativi sviluppati intorno al fattore di unificazione costituito da
una “organizzazione di attività”;
iv) quasi sillogisticamente, pertanto, l’individuazione di una stabile
organizzazione va effettuata assumendo come riferimento il riconoscimento
di una “organizzazione di attività” del soggetto collettivo non residente in un
determinato territorio nazionale (diverso rispetto al paese di residenza).
Così la nozione di stabile organizzazione può essere individuata tipicamente
nella formula della “organizzazione di attività”, quale criterio tipico di
riconoscimento del soggetto collettivo non residente in una giurisdizione
tributaria differente rispetto al paese di residenza (29).
1950, 121 s; VALENTINI La collegialità nella teoria dell'organizzazione, Milano
1968, 32 ss; BERTI La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova 1968,
217 ss.
28
) La dottrina “normativo-nominalistica” in particolare ha spiegato questo processo
con il concetto di imputazione in due tempi: le norme che si indirizzano all'ente sono
norme incomplete che stabiliscono solo l'elemento materiale del comportamento
imposto o vietato; è in base all'ordinamento interno dell'ente medesimo che viene poi
determinato l'elemento personale. Vedi KELSEN Teoria generale della legge e dello
Stato, Milano 1954, 101 e 348; D'ALESSANDRO Persone giuridiche e analisi del
linguaggio, Padova 1989, 11 s.
29
) In tal senso cfr. FANTOZZI La stabile organizzazione, cit., 102 s.
30
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
La stabile organizzazione non è dunque individuabile in presenza di un
assetto organizzativo di beni e/o di rapporti giuridici istituito da parte di un
soggetto collettivo non residente in un altro Stato (diverso rispetto allo Stato
di residenza). In tal caso, infatti, si assiste soltanto ad una ordinazione di
elementi patrimoniali o di rapporti negoziali, ma non si realizza alcuna
funzione propria di un soggetto giuridico (30).
Soltanto attraverso l’istituzione di una “organizzazione di attività” il soggetto
collettivo non residente pone in essere la funzione giuridica tipica di un
soggetto riconoscibile dall’ordinamento, e cioè il compimento di una attività
in modo definito e programmato. Attraverso “l’organizzazione di attività” si
realizza l’autonomia decisionale che consente l’identificazione del soggetto
collettivo nel contesto ordinamentale (e dunque il suo riconoscimento
giuridico), imponendo così un pari trattamento tributario (e dunque la piena
imposizione sui redditi prodotti nel territorio ovvero l’imponibilità ai fini Iva
delle operazioni ivi effettuate) rispetto agli altri soggetti collettivi residenti
(31).
In altre parole, l’individuazione di una “organizzazione di attività” sul
territorio vale a permettere il riconoscimento del soggetto collettivo non
residente secondo criteri logici corrispondenti a quelli utilizzati in genere per
la soggettività giuridica di società ed enti collettivi residenti (32).
In tale prospettiva il ricorso alla formula “stabile organizzazione” sembra
esprimere essenzialmente una endiadi rafforzativa: l’organizzazione di
attività, come accennato in precedenza, va riconosciuta laddove l’assetto
organizzativo mostra alcuni elementi che sono pressoché necessariamente
connessi ad una stabilità del modello organizzativo; così la sussistenza di un
complesso organizzato di beni e/o persone e/o rapporti giuridici in funzione
del perseguimento di un fine comune, secondo un programma imprenditoriale
ed un insieme di regole per la attribuzione di funzioni agli individui, acquista
un senso solo se è riconducibile ad un assetto organizzativo durevole nel
30
) Secondo quanto indicato in precedenza (al par. 2) la pura titolarità di beni ovvero
l’esistenza di rapporti negoziali sono elementi che non denotano l’idoneità a fungere
da “centro di imputazione” di fattispecie e/o effetti normativi e, in questo senso, non
esprimono la funzione specifica del soggetto giuridico (che si è detto consistere nel
compimento di una attività).
31
) La parificazione della stabile organizzazione rispetto ai soggetti collettivi residenti
ai fini dell’imposizione del reddito costituisce un elemento ricorrente nella dottrina
tradizionale, fondandosi su evidenti elementi di “appartenenza alla collettività” e
ragioni solidaristiche: cfr. UDINA Il diritto internazionale tributario, Padova 1949;
CARBONE, La nozione di stabile organizzazione e la sua operatività
nell’ordinamento italiano, cit., 732; CARPENTIERI – LUPI – STEVANATO Il
diritto tributario nei rapporti internazionali, cit., 215 s.
32
) Appare significativo a tal riguardo che ricorra frequentemente nella
giurisprudenza della Suprema Corte l’affermazione secondo cui la stabile
organizzazione costituisce “un autonomo centro di imputazione di rapporti tributari
riferibili ad un soggetto non residente”: cfr. Cass. 27.12.1987 n. 8815 e n. 8820; Cass.
22.7.2011 n. 16106.
31
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
tempo (e per l’appunto “stabile”) (33); lo stesso requisito – sopra segnalato –
della esistenza di una autonomia decisionale e di una autonomia
programmatica nell'ambito del potere di indirizzo dell'attività sono
prefigurabili sostanzialmente se posti in relazione ad una organizzazione di
attività stabile e consolidata. La stabilità (e cioè la persistenza nel tempo) e la
fissità (vale a dire il radicamento nel territorio straniero) sono da giudicare
pertanto corollari necessari della nozione di “organizzazione di attività”.
In base alle considerazioni qui formulate ne deriva pertanto che il sintagma
“stabile organizzazione” può essere agevolmente sostituito, in forma quasi
sinonimica, dalla semplice formula “organizzazione di attività”.
4 I tratti qualificanti della stabile organizzazione come “organizzazione
di attività”.
Alla luce della ricostruzione operata in precedenza, ne consegue che i tratti
essenziali del concetto di “stabile organizzazione” sono riconducibili alla
sussistenza di una “organizzazione di attività”, da intendersi come presenza
di un assetto organizzativo caratterizzato dall’idoneità a pianificare e
determinare in maniera autonoma l’attività da svolgere, anche solo
parzialmente, secondo un programma di impresa stabile e durevole nel
tempo.
A conferma di tale impostazione si può notare che nell’art. 162 TUIR la
“stabile organizzazione” è intesa come nozione che designa “una sede fissa di
affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in
parte la sua attività nel territorio dello Stato”. Ricorrono dunque nella
formula normativa i riferimenti propri della “organizzazione di attività”: ed
invero la “sede fissa degli affari” non sembra costituire altro che un assetto
organizzativo destinato stabilmente alla regolazione autonoma ed
indipendente del programma imprenditoriale nel territorio straniero.
Sulla base delle considerazioni enunciate in precedenza si può ritenere che
“l’organizzazione di attività” (e pertanto la “stabile organizzazione”) sia
riconoscibile in presenza di elementi che lasciano intendere l’esistenza di un
autonomo assetto organizzativo dell’attività di impresa.
A tal riguardo non appaiono decisivi tanto gli elementi materiali
dell’organizzazione (e dunque la presenza di beni mobili o immobili riferibili
33
) Il requisito della “stabilità” va accertato con riferimento ad una pluralità di
circostanze (quali la natura dell’attività, il mercato di riferimento, i caratteri
dell’organizzazione stessa), fermo rimanendo che tale requisito è da ricollegare non
tanto alla pura e semplice durata della permanenza nel territorio dello Stato estero,
quanto soprattutto alla complessiva organizzazione dell’impresa. In tal senso cfr.
Comm. Trib. Centr. n. 765/2001.
Va osservato peraltro che l’art. 162, comma 3, precisa che per talune attività (cantiere
di costruzione o di montaggio o di installazione) occorre che l’attività di impresa
abbia una durata superiore ai tre mesi.
32
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
al soggetto non residente), in quanto tali elementi possono esprimere
semplicemente una organizzazione di beni in funzione ordinativa di un
assetto patrimoniale. Né tantomeno appare rilevante la sussistenza di rapporti
negoziali, anche con carattere commerciale o industriale, con operatori
economici sul territorio, poiché tali rapporti possono essere riconducibili ad
una tipica logica contrattualistica di distribuzione delle funzioni tra il
soggetto non residente e soggetti ausiliari residenti che agiscono a loro volta
in modo autonomo e indipendente.
L’organizzazione di attività va ravvisata tipicamente laddove il soggetto
collettivo non residente pone in essere un complesso di atti ed attività sul
territorio straniero, regolato secondo una distribuzione di funzioni, supportato
eventualmente anche da beni e/o rapporti negoziali, e destinato al
perseguimento di un programma imprenditoriale ed al conseguimento di un
risultato economico sul territorio medesimo. In sostanza, pertanto, attraverso
l’assetto organizzativo istituito sul territorio straniero il soggetto non
residente svolge la propria attività, o perlomeno pone in essere un segmento
rilevante e significativo di tale attività (34). In tal senso si è sostenuto che
l’organizzazione deve essere strumentale ad una attività svolta abitualmente
nel territorio straniero da un soggetto non residente (35).
Tale organizzazione deve mostrarsi autonoma ed indipendente, in quanto
capace di regolare l’attività di impresa sul territorio secondo criteri e logiche
autodeterminate, riconducibili cioè al medesimo soggetto non residente (e
pertanto non stabilite da altri soggetti esterni o comunque terzi) (36); è
evidente che le decisioni ben possono essere prese in luoghi non collocati sul
territorio (ad es. presso la sede legale, la sede direzionale ovvero la sede
amministrativa collocata nel paese di residenza ovvero in altro Stato rispetto
a quello in cui opera la stabile organizzazione), ma comunque esse sono
riferibili essenzialmente ai vertici manageriali e direttivi del soggetto
collettivo e vengono attuate nel territorio attraverso la catena operativa e la
34
) Nel Commentario OCSE, art. 5 par. 24, è chiarito che l’attività realizzata sul
territorio straniero per il tramite della stabile organizzazione deve rappresentare “una
parte essenziale e significativa” dell’attività di impresa considerata unitariamente;
evidentemente tale precisazione vale ad escludere che possano ricondursi alla
“organizzazione di attività” gli atti preparatori o ausiliari, in quanto privi
dell’elemento di significatività e rilevanza rispetto all’attività di impresa svolta sul
territorio straniero.
35
) Cfr. Cass. 27.11.1987 n. 8815 e n. 8820; Cass. 7.3.2002 n. 3367 e n. 3368; Cass.
25.5.2002 n. 7682; Cass. 25.7.2002 n. 10925.
36
) Con particolare riguardo alla disciplina Iva il requisito dell’indipendenza della
stabile organizzazione – da intendersi come autonomia funzionale, e cioè come
capacità di fornire autonomamente beni e/o servizi - è un elemento ricorrente nella
giurisprudenza comunitaria: vedi Corte di Giustizia UE sentenza n. C-73/06 Planzer
Luxembourg (punti 58 – 62); sentenza C-318/11 e C-319/11 Daimler Widex.
Vedi i argomento anche Cass. 29.5.2012 n. 20676 e n. 20678 ove espressamente la
stabile organizzazione è riconosciuta in “un’organizzazione di uomini e mezzi idonea
operare in loco in piena autonomia gestionale”.
33
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
distribuzione delle funzioni proprie della “organizzazione di attività” istituita
nel territorio straniero (37). In questo senso la stabile organizzazione si
presenta come una struttura distinta rispetto alla casa-madre, “idonea
costituire punto di riferimento attivo riguardo alla produzione del reddito di
impresa” (38).
La “organizzazione di attività” si può esprimere nella forma di una
organizzazione essenzialmente materiale (fondata cioè su una organizzazione
di beni e/o mezzi strumentali al programma imprenditoriale) ovvero nella
forma di una organizzazione essenzialmente personale (in cui l’attività è
svolta attraverso il ricorso ad agenti o intermediari dipendenti dalla casa
madre). In ogni caso si tratta di varianti di un concetto fondamentalmente
unitario; ed invero in entrambe le formule l’attività di impresa del soggetto
non residente posta in essere nel territorio straniero va ricondotta alla
“organizzazione di attività” indipendentemente dalla qualità e/o dalle
dimensioni del modello organizzativo (39).
L’individuazione della “organizzazione di attività” va così rimessa alla
ricerca ed alla identificazione di un complesso funzionale di elementi che
consenta di riconoscere l’esistenza di un assetto organizzativo dell’attività di
impresa del soggetto collettivo non residente nel territorio straniero; non
rileva pertanto il singolo elemento, materiale o negoziale, presente sul
territorio e riferibile al soggetto non residente quanto piuttosto la connessione
funzionale alla attività di impresa e, soprattutto, l’idoneità ad esprimere un
assetto organizzativo volto alla regolazione del programma imprenditoriale
(40).
In ogni caso l’accertamento dei requisiti della stabile organizzazione va
effettuato non tanto con riguardo ai profili formali, bensì soprattutto in
relazione ai dati sostanziali espressi dall’assetto organizzativo presente nel
territorio, attraverso un’indagine da condurre caso per caso (41).
37
) Vale la pena a tal riguardo evidenziare come tradizionalmente l’amministrazione
finanziaria ha puntualizzato il requisito della “autonomia funzionale” della stabile
organizzazione rispetto alla casa-madre proprio per sottolineare l’attribuzione di
funzioni specifiche e autonome alla organizzazione di attività realizzata nel territorio
straniero. Vedi in tal senso Circ. Min. 17.3.1979 n. 12/12/345; Ris. Min. 1.2.1983 n.
9/2389.
38
) Vedi FANTOZZI La stabile organizzazione, cit., 103.
39
) Così FANTOZZI La stabile organizzazione, cit., 102 s.
40
) Cfr. FANTOZZI La stabile organizzazione, cit., 103.
41
) La prevalenza di un accertamento sostanziale dei requisiti nella individuazione
della stabile organizzazione costituisce un dato consolidato nella giurisprudenza di
legittimità: cfr. Cass. 25.7.2002 n. 10925; Cass. 6.4.2004 n. 6799; Cass. 7.10.2011 n.
20597, in Fisco 2011, 6689 ss.
34
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
5 Le principali casistiche della stabile organizzazione sembrano
confermare la centralità della “organizzazione di attività”.
La nozione di “stabile organizzazione” come “organizzazione di attività”
sembra peraltro trovare una significativa conferma nella casistica delineata
nella stessa formula normativa e poi recepita nella giurisprudenza tributaria.
Innanzitutto, nell’art. 162 comma 2 TUIR, è menzionata una serie di
fattispecie da ricomprendere espressamente nella nozione di stabile
organizzazione: sede di direzione, succursale, ufficio, officina, laboratorio,
cantiere di costruzione o di montaggio o di installazione, miniera o cava,
giacimento petrolifero. Si tratta di una presunzione legale assoluta attraverso
la quale si attribuisce il carattere di “stabile organizzazione” ad articolazioni
organizzative del soggetto non residente dotate di una evidente capacità di
regolazione e di attuazione del programma imprenditoriale sul territorio
straniero. Si può così sostenere che in queste fattispecie “l’organizzazione di
attività” è agevolmente presunta sulla base di elementi esterni ed oggettivi
(riconducibili a forme tipiche di installazione in un territorio), statisticamente
riconducibili ad un assetto organizzativo dedicato stabilmente alla
programmazione e/o esecuzione dell’attività di impresa sul territorio
straniero.
Va ricompresa nella nozione di stabile organizzazione anche l’esercizio
dell’attività da parte del soggetto non residente nel territorio straniero per il
tramite di agenti o intermediari che concludano abitualmente, in nome del
soggetto non residente, contratti diversi da quelli di acquisto dei beni (art.
162 comma 6). In tal caso l’esistenza di un rapporto di dipendenza
sostanziale tra l’agente o intermediario e il soggetto non residente vale ad
indicare la sussistenza di un assetto organizzativo, prevalentemente impostato
su base personale (e non materiale), idoneo a realizzare l’attività di impresa
secondo il programma imprenditoriale e le decisioni gestionali assunte dal
soggetto non residente (42). Si viene dunque a realizzare una “organizzazione
di attività” nel territorio straniero attraverso la quale il soggetto non residente
esercita autonomamente la propria attività di impresa nel territorio straniero.
Sempre nella medesima norma dell’art. 162 TUIR è formulata una
esemplificazione negativa della nozione di stabile organizzazione, venendo
previste alcune fattispecie che esprimono l’inidoneità della sede fissa ad
esercitare un’attività di impresa sul territorio straniero. Anche in questo caso
la delimitazione in negativo della nozione di stabile organizzazione vale ad
indicare la rilevanza concettuale della “organizzazione di attività”.
Innanzitutto è esclusa dalla nozione di stabile organizzazione l’utilizzazione
di una installazione: i) ai soli fini di deposito, di esposizione, di consegna o di
42
) Si è precisato in particolare che la dipendenza sostanziale dell’agente o
intermediario verso il soggetto non residente ricorre quando la conclusione di contratti
in nome del soggetto non residente (o comunque per questo vincolanti) è compiuta
sotto le istruzioni dettagliate e comunque in assenza di autonomia decisionale da parte
degli organi decisionali del soggetto non residente. Cfr. Cass. 9.4.2010 n. 8488.
35
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
trasformazione da parte di altra impresa; ii) ovvero allo scopo di acquistare
beni e merci ovvero di raccogliere informazioni e/o svolgere ricerche di
mercato; iii) oppure ancora laddove sia dedicata allo svolgimento di attività
preparatorie o ausiliarie rispetto a quelle precedentemente indicate (art. 162
comma 4). In queste fattispecie manca il collegamento con l’installazione
materiale di una attività significativa e rilevante del programma
imprenditoriale perseguito dal soggetto non residente; si è infatti ritenuto che
i servizi resi attraverso l’installazione siano “economicamente distanti”
rispetto alla attività di impresa unitariamente realizzata nel territorio straniero
dal soggetto non residente (43). Non si realizza dunque una “organizzazione
di attività”, poiché manca il collegamento con l’attività di impresa, ma si
realizza al più una organizzazione di beni e/o di rapporti (giuridicamente
inconferente rispetto al riconoscimento del soggetto nel territorio).
E’ altresì stabilito che non costituisce stabile organizzazione la disponibilità
di sistemi informatici funzionali alla raccolta ed elaborazione di dati
finalizzati al commercio di beni e servizi (art. 162 comma 5) Ciò vale ad
escludere la sussistenza di una “organizzazione di attività” in ragione della
mera presenza di un server utilizzabile ai fini del commercio elettronico (44);
al contrario può ravvisarsi una stabile organizzazione qualora il server, che
permanga per un adeguato periodo di tempo (configurando dunque il
requisito della fissità) venga utilizzato direttamente per lo svolgimento di una
attività di impresa (e dunque di una attività che non sia meramente
preparatoria o ausiliaria) (45).
Viene poi esclusa esplicitamente la presenza di una stabile organizzazione
quando il soggetto non residente esercita la propria attività nel territorio
straniero per il tramite di un mediatore, di un commissionario generale
ovvero di un altro intermediario indipendente che agiscano nell’ambito della
propria attività ordinaria (art. 162 comma 7). A tal riguardo è stato ritenuto
che il requisito di indipendenza impone non soltanto l’assenza di vincoli
negoziali e/o materiali tali da limitare l’autonomia operativa e gestionale
dell’intermediario (46), ma soprattutto richiede che il rischio imprenditoriale
incomba tipicamente sull’intermediario medesimo. In questa fattispecie
l’esclusione della stabile organizzazione si riconnette alla mancanza di un
collegamento diretto tra l’attività svolta sul territorio (riconducibile per
l’appunto ad un soggetto terzo ed autonomo) ed il soggetto non residente.
Evidentemente ricorre una tipica manifestazione della organizzazione di
43
) Vedi in tal senso il Commentario OCSE, art. 5 par. 23.
) In argomento vedi MAISTO Le prime riflessioni dell’OCSE sulla tassazione del
commercio elettronico, in Riv. Dir. Trib. 1998, IV, 52 ss; GALLI Brevi note in tema
di commercio elettronico e stabile organizzazione, in Riv. Dir. Trib. 2000, IV, 128 ss.
45
) Così Ris. Min. 28.5.2007 n. 119/E.
46
) Così va verificata l’estensione degli obblighi contrattuali imposti all’intermediario
nonché dei poteri di controllo attribuiti al soggetto non residente per accertare
l’effettiva indipendenza dell’intermediario stesso. Cfr. Commentario OCSE, art. 5 par.
38.3.
44
36
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
rapporti mediante la quale il programma imprenditoriale viene realizzato
attraverso una distribuzione di funzioni con soggetti esterni al soggetto non
residente.
Infine viene disposto che il controllo di un’impresa residente da parte di
un’impresa non residente non costituisce condizione sufficiente per
qualificare la seconda come stabile organizzazione della prima (art. 162
comma 9). Tale norma va ricollegata al fenomeno della distribuzione di
funzioni nel territorio straniero in un gruppo multinazionale attraverso il
ricorso a società controllate o collegate che operano sul territorio medesimo;
in questo caso, secondo la giurisprudenza italiana, la personalità giuridica (e
dunque l’autonoma soggettività) delle società operanti nel territorio non
costituisce un elemento impeditivo della qualifica di stabile organizzazione
del soggetto non residente qualora ricorrano elementi che denotano una
“organizzazione di attività” comune (c.d. stabile organizzazione “occulta”)
(47). In sostanza, l’autonomia giuridica della società operante italiana appare
essenzialmente formale, stante la riconducibilità del suo agire ai poteri
decisionali ed all’assetto organizzativo della casa-madre (48). Assume così
rilievo per il riconoscimento di una stabile organizzazione che la società
operante sul territorio svolga, anche solo in parte, l’attività imprenditoriale
riconducibile al soggetto non residente (con esclusione delle attività
puramente preparatorie o ausiliarie) sotto il controllo di quest’ultima
nell’ambito di una strategia unitaria. Evidentemente pertanto non è
sufficiente il semplice elemento del controllo societario (come stabilisce per
l’appunto l’art. 162 comma 9), ma occorre che si manifesti una vera e propria
“organizzazione di attività” per il tramite della società operante sul territorio
straniero (49).
47
) Rilevano in proposito le note decisioni della Suprema Corte sul caso “Philip
Morris”: Cass. 7.3.2002 n. 3767, n. 3768, n. 3769; Cass. 25.5.2002 n. 7682. In tali
decisioni si è precisato che la società operante nel territorio italiano, pur avendo
autonoma personalità giuridica, può assumere il ruolo di “plurima stabile
organizzazione di società estere” e che elemento determinante a tal fine è
rappresentato dal riconoscimento di una attività della società italiana che sia
dipendente dalla società estera nell’ambito di un programma di gruppo unitariamente
inteso. Sono state in particolare individuate alcune tipologie di attività della società
estera (in specie l’attività di controllo sulla esatta esecuzione di un contratto) ovvero
della società italiana (partecipazione di incaricati alla conclusione di contratti, la
gestione di contratti in qualità di management service) che sono state ritenute
indicative della organizzazione di attività.
48
) Cfr. CARPENTIERI – LUPI – STEVANATO Il diritto tributario nei rapporti
internazionali, cit., 230 ss.
49
) La posizione assunta dalla giurisprudenza italiana ha sollecitato un vivace
dibattito internazionale che ha portato ad alcune precisazioni inserite nel
Commentario OCSE dirette a precisare l’ambito dell’organizzazione di attività e, di
converso, i casi in cui il ruolo della casa madre non esubera dalla funzione di
controllo (e dunque non genera una stabile organizzazione). Per alcuni cenni a questa
vicenda rinvio a FANTOZZI La stabile organizzazione, cit., 108 ss.
37
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
6 La stabile organizzazione come espressione della soggettività
tributaria.
La stabile organizzazione rappresenta, come è stato più volte ribadito, un
centro di imputazione di fattispecie e/o effetti normativi nell’ordinamento
fiscale, atteggiandosi come un modo di essere del soggetto collettivo non
residente che ne consente il riconoscimento in una giurisdizione tributaria
diversa rispetto allo Stato di residenza.
Dovrebbe risultare evidente come la stabile organizzazione prevista
dall’ordinamento fiscale differisce rispetto alla sede secondaria prevista
dall’ordinamento civilistico (ed in specie dall’art. 2506 c.c.) in quanto viene
individuata in base a regole fiscali e, soprattutto, esercita una funzione
tipicamente riconducibile alla logica specifica della normativa tributaria.
Inoltre, la stabile organizzazione è una qualificazione tributaria di un centro
di imputazione autonomo che può coesistere con la personalità giuridica
(come avviene nel caso della stabile organizzazione riconosciuta in presenza
di una società di capitali che opera per conto del soggetto non residente,
secondo quanto indicato nel precedente paragrafo); la medesima entità
diventa così titolare di due diversi rapporti fiscali riferibili l’uno alla stabile
organizzazione del soggetto non residente e l’altro al soggetto residente (50).
In questa prospettiva si può sostenere che la stabile organizzazione
costituisca una manifestazione della c.d. “soggettività tributaria”, intesa come
tecnica di imputazione normativa adottata tipicamente nella disciplina fiscale
e differente rispetto a quella usualmente accolta nell’ordinamento civilistico
(51).
Ed invero, essendo stata “dissolta” la soggettività in figure di imputazione
normativa rimesse alla discrezionalità del legislatore, può considerarsi
pacifico che nell’ordinamento tributario vengano effettuate imputazioni di
fattispecie rispondenti ad una logica esclusivamente fiscale e come tali
autonome ed indipendenti rispetto a quelle effettuate in altri settori
ordinamentali.
Può a tal proposito notarsi che nella struttura delle fattispecie impositive il
dato soggettivo non acquisisce una rilevanza centrale, venendo piuttosto
privilegiato il dato oggettivo, il compimento del fatto ed in specie la
realizzazione del presupposto di imposta. In altri termini, si può sostenere che
50
) In tal senso chiaramente vedi Cass. 22.7.2011 n. 16106.
) Sulla nota questione vedi ANTONINI La soggettività tributaria, Napoli 1965; Id.
Personalità giuridica ed IRPEG, in Riv. Dir .Fin. 1978, I, 381 ss; GIARDINA La
capacità giuridica tributaria degli enti collettivi non personificati, in Riv. Dir. Fin.
1962, I, 269 ss e 399 ss; MICHELI Soggettività tributaria e categorie civilistiche, in
Riv. Dir. Fin 1977, I, 419; AMATUCCI Teoria dell'oggetto e del soggetto nel diritto
tributario, in Dir. Prat. Trib. 1983, I, 1902 ss.; BORIA Il principio di trasparenza
nella imposizione delle società di persone, Milano 1996.
51
38
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
il legislatore fiscale abbia come obiettivo primario l'individuazione del
presupposto inteso come accadimento storico, cioè come fatto, e solo in via
secondaria l'identificazione del centro di imputazione delle fattispecie
giuridiche, vale a dire del soggetto cui collegare il presupposto (52). Ne
consegue che la soggettività rilevante per il diritto tributario ha una funzione
prettamente strumentale rispetto al prelievo fiscale. E in questo si nota
indubbiamente una notevole diversità con il diritto civile, non tanto di
qualificazione del soggetto, quanto piuttosto di funzionalità generale della
soggettività rispetto al piano dei valori e degli interessi tutelati (53).
Proprio il carattere strumentale della soggettività sembra accentuare la facoltà
del legislatore tributario di procedere con una certa fluidità (se non addirittura
con una certa disinvoltura) nella individuazione dei centri soggettivi (54) in
base a valutazioni di opportunità e di tecnica fiscale che ben possono
cambiare in relazione alle finalità specifiche dei singoli tributi. Appare così
consolidato il convincimento che la soggettività di diritto tributario non
rappresenti “un mito”, costituendo piuttosto una "tecnica legislativa" idonea a
produrre effetti variabili da tributo a tributo (55).
Può pertanto sostenersi che la scelta di imputare le fattispecie tributarie ai
centri di riferibilità è indipendente dalla disciplina civilistica (56): e dunque è
52
) Vedi LAVAGNA Teoria dei soggetti e diritto tributario, in Riv. Dir. Fin. 1961, I,
8; PARLATO Il sostituto d'imposta, Padova 1969, 35; MICHELI Soggettività
tributaria e categorie civilistiche, in Riv. Dir. Fin. 1977, I, 48. Contra D'AMATI La
progettazione giuridica del reddito, cit., 196, nota 129, il quale sostiene che il
presupposto cui si riferisce la norma tributaria, in realtà non è altro che la situazione
giuridica e quindi include anche il soggetto.
Naturalmente è da osservare che in un'imposta personale la definizione degli elementi
oggettivi non può non incidere necessariamente anche su quelli soggettivi (il reddito
imponibile è il reddito di un soggetto); vedi sul punto FEDELE Possesso di redditi,
capacità contributiva ed incostituzionalità del "cumulo", in Giur. Cost. 1976, 2169 s.
53
) Nel diritto civile i soggetti rappresentano il centro della norma e vengono
considerati nella loro interezza, come titolari di diritti, obblighi, poteri e soggezioni.
Cfr. LAVAGNA Teoria dei soggetti e diritto tributario, cit..
54
) Cfr. VANONI Note introduttive per lo studio della capacità degli enti morali, cit.,
430, il quale, per mostrare alcune conseguenze concrete di una imposizione sulle
società piuttosto che di una sui soci, porta gli esempi del minimo vitale e della
progressività (per i quali riferire l'imposizione alla società piuttosto che ai soci
consente all'Erario di ottenere un maggior gettito).
55
) "La soggettività tributaria non è un mito, ma una tecnica che persegue differenti
finalità a seconda della struttura del tributo": MICHELI Soggettività tributaria, cit.,
437.
In tal senso vedi NUZZO Questioni in tema di tassazione degli enti non economici, in
Rass. Trib. 1985, I, 138; LUPI Lezioni di diritto tributario. Parte generale, Milano
1992, 302; SACCHETTO L'imposta sul reddito delle persone giuridiche, in AA. VV.
Trattato di diritto tributario, a cura di Amatucci, IV, Padova 1994, 82.
56
) ANTONINI La soggettività tributaria, cit., 183 s; MICHELI Soggettività
tributaria e categorie civilistiche, cit., 419 ss; FALSITTA Accertamento di utili
extrabilancio, cit., 188..
39
L’INDIVIDUAZIONE DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
da ritenere ben possibile individuare soggetti di diritto (o comunque centri di
imputazione normativa) ai fini fiscali che non assumono rilevanza specifica
ai fini del diritto civile (57).
La stabile organizzazione costituisce pertanto un centro di imputazione
normativa individuato secondo
esigenze ed interessi riconducibili
tipicamente all’ordinamento fiscale, come detto in funzione del
riconoscimento del soggetto non residente in una giurisdizione diversa
rispetto a quella dello Stato di residenza; pertanto tale centro di imputazione
presenta un propria specificità tributaria e non può essere confuso con altre
nozioni di diritto civile; ne deriva, a contrario, che “l’organizzazione di
attività” riconosciuta per l’individuazione della stabile organizzazione ai fini
fiscali non costituisce necessariamente anche un centro di imputazione anche
per altri settori dell’ordinamento (58).
Sulla inidoneità della sede tributaria ad affrontare o risolvere questioni di teoria
generale si veda NUZZO Questioni in tema di tassazione degli enti non economici,
cit., 107 ss.
57
) Un recente esempio di soggettività tipicamente tributaria riguarda i distretti
produttivi (fattispecie non regolata ai fini civilistici). Vedi in argomento BEGHIN
Prime considerazioni intorno alla disciplina fiscale dei distretti produttivi, in Riv.
Dir. Trib. 2006, I, 157 ss; ROSSI P. Prime considerazioni sulla disciplina fiscale
amministrativa e finanziaria riservata ai distretti produttivi, in Riv. Dir. Trib. 2006, I,
319 ss.
58
) Appare sufficientemente consolidato nella dottrina giuridica che nell'ambito di un
medesimo ordinamento un ente possa costituire centro di riferibilità di alcune
fattispecie e non di altre, non costituendo la soggettività "un blocco unico,
necessariamente presente nella sua interezza o, invece, totalmente assente". Cfr.
PELLIZZI Soggettività giuridica, Enc. Giurid. treccani, XXIX, Roma 1993, 4.
40
Prof. Sergio Maria Carbone
Professore Università di Genova
Recenti tendenze evolutive del diritto internazionale,
tutela delle situazioni soggettive
e relativi effetti sulla nozione di stabile organizzazione
SOMMARIO: 1 Recenti sviluppi della Comunità internazionale e inadeguatezza della
concezione territoriale del diritto - 2 L’efficacia diretta di fonti di origine
internazionale: la disciplina UE e la CEDU - 3 Le forme di tutela degli “effetti diretti”
in ambito UE e della CEDU - 4 Continua: la tutela degli effetti diretti della CEDU in
ambito UE - 5 L’interpretazione “internazionalmente orientata” delle norme
nazionali: il ruolo dei precedenti giurisprudenziali della Corte EDU - 6 Le recenti
tendenze interpretative delle norme internazionali - 7 In particolare, l’evoluzione della
portata delle nozioni adottate nel diritto internazionale convenzionale - 8 Continua:
l’importanza della interrelazione tra i vari istituti impiegati da norme di diritto
internazionale uniforme ai fini della loro applicazione nel settore fiscale con riguardo
alla stabile organizzazione - 9 In particolare, le caratteristiche della nozione di “centro
operativo” rilevante nella normativa internazionale di diritto uniforme - 10 Gli
sviluppi della “pratica internazionale” relativa ai confini dell’ambito dell’attività di
ricerca e sviluppo: sua rilevanza a fini fiscali.
1 Recenti sviluppi della Comunità internazionale e inadeguatezza della
concezione territoriale del diritto.
La più recente evoluzione della Comunità internazionale ha messo in
discussione le stesse fondamenta e gli equilibri macroeconomici alla base dei
rapporti economici internazionali e della loro localizzazione al fine
dell’esercizio della sovranità statale nei confronti dei loro effetti e dei
soggetti cui tali effetti sono riconducibili. Si assiste, infatti, ad una
asimmetria sempre più evidente fra attività non più riconducibili a, e fuggite
da, specifici confini nazionali e regole internazionali ancora fondate
sull’adeguatezza della sovranità statale a controllare e a governare gli effetti
di ogni fenomeno socio – economico che si manifesta nel suo ambito.
Quanto ora indicato sembra destinato a mettere in crisi anche tradizionali
principi di diritto internazionale tributario fondati sulla territorialità
dell’esercizio del potere tributario dello Stato nel rispetto del limite
primordiale che, secondo le celebri espressioni impiegate nel caso Lotus, “il
diritto impone allo Stato di escludere, salvo l’esistenza di una norma
permissiva contraria, qualsiasi esercizio del suo potere sul territorio di un
altro Stato”. Ed in questa logica l’accennata evoluzione della Comunità
internazionale rende più difficile inquadrare i precisi limiti entro cui opera
l’obbligo di non interferire nel rapporto di sudditanza tra lo Stato e la
EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
comunità che ad esso appartiene con esclusione di atti impositivi nei loro
confronti idonei a produrre tale effetto.
È appunto in questo difficile contesto che si tratta di stabilire quando sussiste
un effettivo “collegamento sociale” con lo Stato che esercita il potere
impositivo nei confronti dell’attività o di beni di “stranieri” garantendo al
tempo stesso che tale effettivo collegamento sia dotato di una sufficiente
intensità volta a volta rilevante al fine di evitarne la sottoposizione ad una
duplicazione impositiva o di condividerla con il suo Stato di appartenenza.
Inoltre, il diritto internazionale evolve in una direzione intesa a ricondurlo ad
un frammento di un diritto interindividuale nell’ambito del quale è garantita
la protezione dei diritti fondamentali delle imprese e degli individui
“governati” nei confronti degli Stati che li “governano”. Ne sono inequivoca
testimonianza la progressiva globalizzazione dell’attività economica e
l’affermazione dei diritti dell’uomo con corrispondenti forme di tutela
giurisdizionale anche in ambito internazionale o sovranazionale. Si afferma
in tal modo anche una prospettiva individualistica e pro-impresa della società
internazionale e della organizzazione sovranazionale. Si tratta, cioè, del
progressivo consolidarsi di sistemi normativi e giurisdizionali rivolti a
garantire, da un lato, la titolarità a favore degli individui e delle imprese di
situazioni giuridiche soggettive idonee a produrre effetti diretti nei loro
confronti e, dall’altro, la presenza di adeguati strumenti processuali capaci di
garantirne l’applicazione anche nei confronti degli Stati di appartenenza degli
stessi individui.
È appunto con riguardo a questa evoluzione che devono, pertanto, essere
inquadrati e riconsiderati gli istituti relativi all’esercizio dei poteri impositivi
da parte degli Stati e verificarne la legittimità ed i limiti secondo parametri e
principi sempre più sottratti alle esclusive determinazioni normative ed alle
sole garanzie giurisdizionali degli Stati.
2 L’efficacia diretta di fonti di origine internazionale: la disciplina UE
e la CEDU.
A quest’ultimo riguardo, l’evoluzione relativa all’ambito, agli effetti ed alla
gerarchia delle diverse normative internazionali, europee e nazionali nel
nostro ordinamento, è stata ben chiarita da due recenti decisioni della Corte
costituzionale che consolidano i risultati sino ad oggi maturati.
Da un lato, si è osservato che il rapporto dei diritti riconosciuti agli individui
dalla CEDU e dagli ordinamenti giuridici degli Stati “è un rapporto
variamente, ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale”
(sentenza n. 80 del 2011) che, per quanto riguarda l’ordinamento italiano,
trova la sua sede nella tutela degli obblighi internazionali prevista e regolata
dall’art. 117, 1 comma Costituzione. Tanto che in una sentenza di poco
precedente a quella innanzi citata non si è esitato a precisare che l’art. 117
Cost. nella formulazione novellata “ha colmato la lacuna della mancata
copertura costituzionale per le norme internazionali convenzionali ivi
42
EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
compresa la Convenzione di Roma dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), escluse dalla previsione dell’art. 10, primo comma
Cost.” (sentenza n. 227 del 2010).
Dall’altro lato, per quanto riguarda il diritto dell’Unione europea, nella
sentenza da ultimo citata si è ancora confermato che il riconoscimento dei
diritti a favore delle imprese e degli individui previsti da questo ordinamento
trova nell’ordinamento italiano “sicuro fondamento nell’art. 11 Cost.”
oltreché nel “limite all’esercizio della funzione legislativa imposto dall’art.
117, primo comma, Cost.”. Si tratta, quindi, di un doppio binario di tutela
costituzionale che viene garantito al diritto dell’Unione europea essendo in
grado di giovarsi non solo dell’art. 117, 1 comma Cost., ma anche della più
incisiva garanzia fornita dall’art. 11 Cost. Si intende in tal modo realizzare
anche “l’incorporazione dell’ordinamento italiano in un sistema più vasto”
(sentenza n. 348 del 2007), comprensivo di trasferimenti di sovranità e di
meccanismi di garanzia in esso previsti a tutela dell’effettività dei diritti
riconosciuti a favore degli individui e delle imprese al fine di una più
compiuta ed adeguata loro realizzazione nella consapevolezza che solo forme
integrate di organizzazione internazionale e comuni garanzie di attuazione
consentono di conseguirli pienamente.
Si è, comunque, escluso che meccanismi di garanzia specifici
dell’ordinamento dell’Unione europea possano essere estesi a favore delle
norme e dei principi della CEDU allorché operino al di fuori delle
attribuzioni proprie dell’UE e in difetto di una loro specifica rilevanza in tale
ambito. Si riconosce, peraltro, che anche norme e principi della CEDU
abbiano un effetto diretto a favore di posizioni giuridiche individuali dei
soggetti che ne risultano beneficiari, precisando che a tali loro effetti debba
essere fornita adeguata tutela rispetto a corrispondenti norme interne con essi
conflittuali, in virtù di meccanismi e di criteri propri dell’ordinamento
giuridico italiano. Pertanto, tali norme devono essere trattate alla stregua
delle situazioni in cui ci si trovi in presenza di disposizioni legislative
nazionali viziate da incostituzionalità.
3 Le forme di tutela degli “effetti diretti” in ambito UE e della CEDU.
Si delinea, quindi, un sistema nel quale, allorché ci si trovi in presenza di
norme di provenienza UE o CEDU a formulazione compiuta ed
immediatamente utilizzabile a favore dei relativi soggetti che ne risultano
destinatari, esse sono in grado di produrre con immediatezza “effetti diretti”
nell’ordinamento italiano consentendo al giudice interno di applicarle a loro
beneficio. Esse, pertanto, devono essere direttamente utilizzate dalle varie
giurisdizioni nazionali a favore di chi se ne può avvantaggiare, a prescindere
dalla loro appartenenza al diritto UE o alla CEDU. Peraltro, in presenza di
una normativa interna che si ponga in contrasto con esse, si avrà un regime
garantistico differente al fine di realizzare compiutamente tali effetti ed
43
EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
escludere qualsiasi interferenza al riguardo da parte di eventuali normative
nazionali con essi confliggenti.
Infatti, qualora il contrasto della disciplina interna riguardi norme dell’UE
dotate della ora indicata efficacia diretta, esse ne esigono la immediata
disapplicazione secondo parametri, principi e modalità riconducibili
all’ordinamento dell’UE nella sua qualità di ordinamento di origine di tali
norme e di loro appartenenza che, con tutte le sue caratteristiche e tutti i
meccanismi di garanzia in esso previsti, trovano diretta legittimazione ad
essere attuati come tali anche nell’ordinamento italiano in virtù di quanto
disposto dall’art. 11 Cost.: e cioè in virtù dei trasferimenti di sovranità da
esso consentiti.
Qualora, invece, il contrasto riguardi le disposizioni della CEDU operanti
all’esterno dell’ambito di applicazione dell’UE, la garanzia della loro diretta
applicazione si deve individuare, all’interno di ciascun ordinamento
nazionale, in quella maggiormente protettiva dei loro effetti diretti. In tale
ambito, pertanto, esse devono essere, volta a volta, inquadrate e disciplinate
senza che al riguardo rilevino esigenze di uniformità di trattamento con altre
modalità garantiste previste in altri ordinamenti. Per quanto riguarda in
particolare l’ordinamento italiano, così, tale garanzia si riscontra nel controllo
di costituzionalità rispetto al quale le disposizioni ed i principi della CEDU
assumono – come è noto – rilevanza quale parametro normativo interposto
rispetto ad altre norme nazionali con essi contrastanti.
Peraltro, la progressiva espansione delle funzioni assegnate alla Corte
Europea dei diritti dell’uomo ha, sotto un differente profilo, ulteriormente
ampliato la tutela degli effetti diretti ora indicati, con parziale erosione
dell’effettivo ed esclusivo ruolo riservato al riguardo alla Corte
costituzionale. Ne costituisce un esempio la circostanza per cui il previo
esaurimento dei ricorsi interni, al fine di far valere la lesione dei diritti
fondamentali della persona innanzi alla Corte EDU, sta assumendo una
nozione talmente ampia da ritenerlo soddisfatto, e non più preclusivo
dell’accesso dei privati di fronte a tale Corte, come di recente è stato
precisato, anche in presenza del solo riconoscimento da parte del governo
che, nell’ambito del suo ordinamento di appartenenza, la misura di cui si
richiede l’applicazione in attuazione di un diritto garantito dalla CEDU “est
interdite de manière absolue par la loi” (Corte EDU 28 agosto 2012 nel caso
54270/10, spec. parr. 38 e 73).
Di tale erosione, comunque, non vi è dubbio soprattutto allorché i principi
disciplinati dalla CEDU sono ricompresi a vario titolo, e sono destinati ad
operare, nell’ambito delle competenze assegnate al diritto UE. Tanto più sulla
scorta della tendenza – ben riprodotta nelle recenti conclusioni dell’avvocato
generale Bot (del 2 ottobre 2012, causa C-399/11, relativa al procedimento
penale a carico di Stefano Melloni) – in virtù della quale “non è possibile
ragionare soltanto in termini di livello più o meno elevato di protezione dei
diritti fondamentali senza tener conto delle esigenze legate all’attività
dell’Unione e della specificità del diritto dell’Unione” (par. 108). Con il
conseguente effetto che la specificità del diritto dell’Unione non consente di
44
EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
opporre, nell’ambito della sua applicazione, livelli più elevati di protezione
dei diritti fondamentali da parte degli ordinamenti nazionali allorché di essi
sia stata prevista una precisa definizione del grado di tutela loro accordato
con riferimento all’attuazione di un’azione dell’UE (Corte giust. UE, sent. 26
febbraio 2012, casa C-399/11). Di tal ché, nella situazione ora indicata,
allorché la disciplina CEDU relativa a diritti fondamentali risulta totalmente
assorbita nell’ambito del diritto UE, le garanzie relative alla sua applicazione
rispetto ad eventuali norme nazionali confliggenti viene sottratta alla
competenza della Corte costituzionale per essere regolata secondo i
meccanismi propri del diritto UE, con relativa disapplicazione della
normativa interna direttamente affidata ai giudici “comuni”.
4 Continua: la tutela degli effetti diretti della CEDU in ambito UE.
Sulla scorta di queste considerazioni, ad esempio, al “principio di non
discriminazione”, come precisato dalla Corte Europea per la tutela dei diritti
dell’uomo, dovranno essere riconosciuti in ambito UE effetti “diretti” che
consentono di ottenere la conseguente tutela dei relativi diritti dinnanzi agli
organi giurisdizionali degli Stati membri dell’UE. In particolare, si è
precisato che, in virtù del primato della immediatezza degli effetti del
principio di non discriminazione rispetto al diritto degli Stati membri e
dell’adeguatezza del suo contenuto anche sulla base della giurisprudenza ad
esso relativa in ambito CEDU, i giudici nazionali devono procedere alla
disapplicazione della normativa nazionale che contrasti con esso allorché si
tratti di materie attribuite o riconducibili all’UE. Si conferma, quindi, la
possibilità di invocare gli “effetti diretti” propri di, e caratterizzanti un,
principio previsto dalla Carta UE dei diritti fondamentali integrata dalla
CEDU nell’ambito del diritto dell’Unione europea senza che la sua
giustiziabilità debba dipendere dall’adozione di un’ulteriore normativa in tale
ordinamento e tanto meno da una sua più precisa disciplina di attuazione
delle eventuali direttive da parte degli ordinamenti nazionali. Ma non
soltanto. Tali principi risultano anche direttamente operativi ed azionabili,
essendo riconosciuta la loro idoneità a trovare applicazione ed a produrre
effetti diretti nell’ambito di rapporti interindividuali tutelati direttamente dai
giudici ordinari con eventuale disapplicazione delle norme interne con essi
confliggenti.
In ogni caso, quanto ora indicato consente, anche al di fuori delle competenze
comunitarie, un ampio margine di potenzialità applicative da parte dei giudici
nazionali di tutti i principi della CEDU dotati delle caratteristiche innanzi
accennate, e pertanto produttivi di “effetti diretti”, pur in mancanza di più
specifiche disposizioni rivolte a conferire ad essi una “espressione
maggiormente concreta”. Infatti, la compiuta azionabilità dei diritti che da
tali principi derivano non dipende dalla previa e più adeguata determinazione
dei loro contenuti. La loro eventuale più precisa identificazione, pur potendo
rafforzarne l’invocabilità e l’operatività, non deve, pertanto, rappresentare né
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
un vincolo né un limite alla loro azionabilità innanzi alle giurisdizioni
nazionali, azionabilità che dovrà essere valutata in funzione dei relativi
contenuti.
5 L’interpretazione “internazionalmente orientata” delle norme
nazionali: il ruolo dei precedenti giurisprudenziali della Corte EDU.
Nella ricostruzione dei contenuti normativi di tali principi, peraltro,
l’interprete si deve giovare dei risultati cui è giunta la giurisprudenza
elaborata direttamente dalla Corte EDU. È pertanto a tali risultati che, volta a
volta, ci si dovrà rivolgere per valutare se i diritti primari previsti dalla
CEDU invocati innanzi ai giudici nazionali possono considerarsi dotati di un
contenuto adeguato da consentire, senza ulteriori specificazioni normative, la
produzione di effetti giustiziabili. Naturalmente, nel valutare tale apporto
della Corte EDU, si dovrà tenere conto dei relativi effetti che la sua
giurisprudenza produce all’interno dei vari ordinamenti nazionali in funzione
delle loro specifiche caratteristiche. Peraltro, in senso ostativo a quanto ora
indicato, non rileva quanto dispone l’art. 46 CEDU. In realtà, è ben vero che
tale norma sembra limitare gli effetti delle sentenze della Corte EDU
prevedendo che esse vincolano soltanto gli Stati che sono parti delle relative
controversie “a conformarsi alle sentenze definitive della Corte”. Ma è
altrettanto vero che, in ogni caso, a tali sentenze è stata riconosciuta una
efficacia persuasiva di cui gli organi di tutti gli Stati contraenti della CEDU
non possono fare a meno di tenere conto anche se non coinvolti nel
procedimento in occasione del quale sono state pronunciate. Si è rilevato,
infatti, che gli esiti della giurisprudenza della Corte EDU indicano agli organi
degli Stati membri che una diversa soluzione eventualmente adottata da parte
dei loro giudici conduce all’accertamento di una violazione della CEDU.
In altri termini, sebbene le sentenze della Corte EDU non siano, di per sé,
dotate di efficacia erga omnes, si può affermare che esse rappresentano un
vincolo nei confronti dei giudici nazionali nella applicazione dei principi
della Convenzione di cui, di fatto con la loro autorità, impongono
l’operatività “nell’efficacia concretizzata dalla Corte”.
Tanto che la Corte costituzionale (nella sentenza n. 311 del 2009) ha
addirittura affermato che “al giudice nazionale, in quanto giudice comune
della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme
nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo alla quale questa
competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti”. Pertanto,
in caso di contrasto tra norme interne e norme della CEDU, si dovrà
procedere ad una interpretazione delle disposizioni nazionali “conforme a
quella convenzionale fino a dove ciò sia consentito dal testo delle
disposizioni a confronto”, in modo da rispettare la sentenza della
giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente.
In tal modo, nell’ordinamento italiano, si riconosce alla giurisprudenza della
Corte EDU una funzione determinante nella configurazione e negli effetti
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
relativi ai diritti tutelati dalla CEDU con una portata più rilevante di quanto
ad essa riconosciuto in altri ordinamenti. Infatti, ad esempio,
nell’ordinamento inglese ci si limita ad indicare (sect. 2 of Human Rights Act
1998) l’esigenza di “take into account relevant ECtHR jurisprudence when
determining a Convention right issue”. Anzi, al riguardo, la House of Lords
ha ritenuto di precisare e limitare tale esigenza nel senso che le sentenze della
Corte EDU non sono “directly binding as a matter of our domestic law on the
courts” (R. v. Lyons, 2003, 1AC 976).
Quindi, per un verso, solo se esiste una “clear and constant line of decisions
whose effect is not inconsistent with some fundamental or procedural aspect
of our law” alcuni ordinamenti “consider that it would be wrong ….not to
follow that line” (R. v. Special Adjudicator, 2004, 2 AC, 323). Per altro
verso, risulta anche che in tali ordinamenti i precedenti della Corte EDU non
sono vincolanti sia nei casi in cui “decisions of the European Court do not
speak with one voice” (o sono lacunose o ambigue), sia allorché le decisioni
non risultano “entirely convincing”. Ed al riguardo, si riconosce ai giudici
nazionali un ampio margine di discrezionalità osservando che è “for the
national authorities to decide for themselves” ed è possibile che “different
Member States may well give different answers” (In re P, 2008, 3 WLR, 76).
In ogni caso, il ruolo quanto meno “persuasivo” e fortemente “orientativo”
della giurisprudenza della Corte EDU nella configurazione erga omnes delle
situazioni giuridiche protette dalla CEDU che devono trovare concreta
attuazione e riconoscimento all’interno degli ordinamenti nazionali da parte
dei giudici ordinari, anche al di là dei limiti che caratterizzano il caso di
specie in concreto deciso, non è stato mai messo in discussione, se pur con
effetti più o meno accentuati, nonostante le apparenti limitazioni innanzi
indicate di cui all’art. 46 CEDU.
6 Le recenti tendenze interpretative delle norme internazionali.
Importanti novità sono anche maturate, in ambito internazionale, a proposito
di criteri interpretativi utilizzati in occasione dell’applicazione delle norme
previste in convenzioni di diritto uniforme, come tali direttamente operanti
anche nei confronti della normativa internazionale contro la doppia
imposizione e più in generale con riferimento alle nozioni impiegate in
convenzioni relative alla materia fiscale.
Anzitutto, grazie ai criteri interpretativi al riguardo impiegati, tali normative
devono, in ogni caso, essere caratterizzate da un ambito di applicazione
incomprimibile, e pertanto necessario, da determinarsi autonomamente sulla
base della stessa normativa di origine internazionale.
Tanto che, al riguardo, non si è esitato a precisare che questa tipologia di
normativa, proprio in virtù di tali caratteristiche, “prevale” sulle norme
interne e che tale “prevalenza” può essere giustificata in funzione sia della
particolare specialità delle norme in tal modo adottate (quale elemento
inerente proprio alla loro appartenenza a convenzioni di diritto uniforme) sia
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
delle caratteristiche di imperatività dei relativi contenuti normativi e delle
specifiche disposizioni dotate di tali effetti.Si può, pertanto, osservare che, in
virtù di una qualunque delle ragioni giustificative innanzi indicate, alle norme
contro la doppia imposizione previste in convenzioni internazionali viene
riconosciuta, sia in ordinamenti nei quali essi godono della “copertura
costituzionale” sia in ordinamenti che di tale copertura sono privi, una
sostanzialmente identica “prevalenza” sulle norme di diritto interno. A queste
ultime, pertanto, residua soltanto il compito di operare il completamento della
loro disciplina allorché essa risulti sfornita dei caratteri della completezza e
della esaustività.
Inoltre, la pratica riconosce sempre più significativi effetti a strumenti di soft
law come, ad esempio, le convenzioni-modello tra le quali si segnalano in
particolare i Modelli OCSE di convenzioni per evitare la doppia imposizione
sul reddito e sul patrimonio, cui si aggiungono i relativi Commentari
progressivamente aggiornati dal Comitato per gli affari fiscali della stessa
OCSE. La loro natura di soft law, come è noto, è stata normalmente
riconosciuta e ribadita anche nell’ordinamento italiano dalla Cassazione
(sent. 15 febbraio 2008, n. 3889). Quindi, tali strumenti, pur di per sé privi di
un vero e proprio carattere normativo con effetti vincolanti, assumono un
ruolo sempre più significativo nell’interpretazione ed applicazione delle
norme convenzionali di diritto fiscale internazionale. Ma non soltanto. Si
afferma, infatti, con sempre maggiore convinzione anche un ulteriore criterio
interpretativo, in virtù del quale anche le norme fiscali di origine
internazionale si debbono giovare di principi e criteri interpretativi più in
generale operanti a proposito delle norme di diritto uniforme relative al
commercio internazionale. Esse, in altri termini, devono essere interpretate ed
applicate anche in tale prospettiva privilegiando scelte dotate di caratteri tali
da essere condivise nei vari ordinamenti secondo modalità e criteri idonei a
garantire l’effettiva uniformità di trattamento dei rapporti del commercio
internazionale sulla base di comuni principi.
Risulta, quindi, la possibilità di interpretare ed integrare i contenuti delle
varie normative fiscali di origine internazionale non solo in virtù dei principi
da esse, volta a volta, specificamente e direttamente ricavabili, ma anche
sulla base dei più generali principi del commercio internazionale, in quanto
anch’essi devono essere considerati, se pur indirettamente, ricompresi nelle
varie normative relative al settore fiscale e tra gli strumenti essenziali per
garantire uniformità di tale disciplina in action nell’ambito dei vari
ordinamenti statali in cui devono essere applicate.
Ed è proprio nella ricognizione e nella precisa determinazione di tali principi
che assumono un particolare rilievo gli strumenti di soft law ed i precedenti
giurisprudenziali, tanto più rilevanti ed utilizzabili ai fini
interpretativi/integrativi nella misura in cui la loro autorevolezza e
condivisione emerga da una vera e propria “pratica applicativa”, soprattutto se
essa consente di precisarne ulteriormente i contenuti e/o di adeguarli alle
particolari esigenze delle rilevanti disposizioni relative alla specifica disciplina
uniforme, volta a volta rilevante. Tanto che a tali precedenti ci si dovrà
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
necessariamente uniformare anche se possono risultare non condivisibili.
Infatti, da più parti non si è esitato a mettere in evidenza che, nell’operazione
di integrazione dei contenuti del diritto uniforme secondo comuni principi,
deve essere privilegiata l'esigenza di seguire gli esiti di precedenti stranieri
allorché sono espressione di una vera e propria pratica applicativa di origine
giurisprudenziale, a prescindere dalla condivisione delle tecniche
interpretative in virtù delle quali i relativi risultati si sono affermati.
7 In particolare, l’evoluzione della portata delle nozioni adottate nel
diritto internazionale convenzionale.
Infine, si deve segnalare il progressivo ed importante ruolo relativo all’utilità
dei reciproci riferimenti, ed alla continua interazione, di cui occorre tener
conto in funzione dell’incessante evoluzione delle nozioni impiegate nelle
varie normative di origine internazionale e della progressiva svalutazione
dell’importanza dei c.d. lavori preparatori.
In questa prospettiva, sono particolarmente significative le indicazioni che, da
ultimo, emergono dalla decisione della Corte Internazionale di Giustizia (del
19 luglio 2009, nella controversia Costarica c. Nicaragua) in cui si precisano
con molta chiarezza le modalità attraverso le quali deve essere realizzata
l’interpretazione delle norme di origine internazionale che incidono sui
rapporti del commercio internazionale. Si evidenzia, in particolare, che le
espressioni ivi impiegate devono essere interpretate tenendo conto non solo
della loro portata letterale al momento della loro approvazione e dei lavori
preparatori, ma soprattutto del significato assunto al momento in cui sorge la
questione relativa alla loro applicazione. Infatti, si riconosce che, in una
disciplina uniforme di origine internazionale, alle espressioni impiegate deve
essere assegnato un significato non già cristallizzato al momento della loro
formazione, bensì suscettibile di modificarsi nel tempo sulla scorta
dell’evoluzione del loro contenuto e delle nozioni in esse impiegate che
progressivamente si affermano proprio in virtù della pratica e delle varie
normative che sono ulteriormente elaborate ed adottate in ambito
internazionale.
Pertanto, anche con specifico riferimento alle nozioni impiegate dalle varie
normative di diritto fiscale internazionale, si deve ritenere che esse debbano
essere interpretate secondo l’evoluzione maturata al momento della loro
applicazione, tenendo conto del significato da esse progressivamente assunto
anche nell’ambito delle varie discipline elaborate a proposito del commercio
internazionale e non già con esclusivo riferimento a quelle esistenti al
momento dell’elaborazione della relativa disciplina di appartenenza. Tali
indicazioni comportano, quindi, la conseguente perdita della rilevanza dei
“lavori preparatori” nella valutazione della portata e degli effetti di tali
normative di origine internazionale, contestualmente alla valorizzazione di
tutte le indicazioni emergenti dalle varie tipologie di normative di diritto
internazionale progressivamente adottate relativamente al commercio
49
EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
internazionale. Indicazioni che, pertanto, potranno utilmente trarsi anche in
virtù dell’evoluzione dei contenuti e delle definizioni delle varie espressioni e
nozioni volta a volta adottate nelle varie sedi internazionali relativamente alla
disciplina dei rapporti del commercio internazionale.
8 Continua: l’importanza della interrelazione tra i vari istituti
impiegati da norme di diritto internazionale uniforme ai fini della
loro applicazione nel settore fiscale con riguardo alla stabile
organizzazione.
Risulta, quindi, opportuno che, in particolare, sia conferita adeguata rilevanza
anche all'impiego di una proficua interrelazione tra gli esiti delle soluzioni che
in concreto sono state adottate nelle numerose disposizioni di diritto uniforme
previste nelle varie fonti di cognizione rilevanti al riguardo e nelle specifiche
codificazioni di usi normativi che, a diverso titolo, incidono sull’esecuzione
dei rapporti del commercio internazionale.
E proprio all’interno di questa evoluzione dei criteri interpretativi rivolti a
precisare le caratteristiche che in concreto qualificano la presenza di una
stabile organizzazione assumono una significativa importanza anche gli esiti
della pratica che si è maturata, più in generale, nell’ambito delle normative
relative al commercio internazionale. Tra questi merita una particolare
menzione l’evoluzione della normativa di origine internazionale relativa alle
nozioni di “succursale, agenzia o qualsiasi altra filiale” impiegate in ambito
europeo ed internazionale per giustificare l’esercizio della giurisdizione dello
Stato in cui sono localizzate e per verificare quale attività risulta a vario titolo
ad esse riconducibile. Al riguardo è particolarmente significativa l’evoluzione
vissuta in ambito europeo in occasione dell’applicazione della Convenzione
di Bruxelles del 1968, relativa all’esercizio della giurisdizione ed al
riconoscimento delle sentenze straniere, sino alla più recente formulazione
del Regolamento 1215/2012 ed alla relativa giurisprudenza comunitaria
oltreché in ambito internazionale delle norme sull’esercizio della
giurisdizione previste nella Convenzione di Montreal del 1999 relativa
all’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale.
In questa prospettiva, pertanto, allorché si tratta di valutare, da un lato, le
caratteristiche soggettive e, dall’altro, le attività e le funzioni riconducibili ad
un “centro operativo” al fine di qualificarlo come stabile organizzazione,
sono particolarmente significative le esperienze giurisprudenziali maturate in
ambito europeo in occasione della applicazione dell’art. 5, n. 5, Reg. 44/2001
(attuale art. 7.5 Reg. 1215/2012). Infatti, al riguardo si è precisato che, ai fini
di legittimare l’esercizio della giurisdizione, il “centro operativo” deve essere
materialmente organizzato in modo da poter intrattenere rapporti con terzi, al
di là della sua formale qualificazione ed iscrizione quale agenzia, succursale
o filiale dell’impresa sotto la cui direzione e sotto il cui controllo opera. Si è
ritenuto, cioè, che, mancando una nozione unitaria di centro operativo
rilevante ai fini in esame da parte dei vari ordinamenti statali appartenenti
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
alla UE, debba essere impiegata una nozione autonoma rispetto alle
qualificazioni al riguardo adottate nell’ambito degli Stati in cui tali centri
sono, volta a volta, localizzati. È stato, così, possibile impiegare utilmente il
criterio di collegamento dell’art. 7, n. 5, anche nei casi in cui si tratti di
controversie con imprese che hanno, nello Stato del foro adito, una semplice
presenza operativa che, al di là della sua formalizzazione, ha comunque
consentito lo svolgimento dell’attività sociale, attraverso un qualsiasi
modello organizzativo all’interno di detto Stato, benché esso abbia operato
con modalità tali da essere considerato alla dipendenza della casa-madre. A
tal fine, pertanto, è l’esercizio di un’attività aziendale in virtù di una presenza
in qualsiasi modo organizzata che rileva e non già la circostanza che il
relativo modello organizzativo abbia, o meno, i caratteri che consentano di
ricondurlo alle nozioni generali di sede secondaria, succursale, o di agenzia
impiegate dalle norme del foro.
In tal senso risulta svalutata la rilevanza della qualificazione, sulla base della
lex fori, di un determinato “centro operativo” come “agenzia”, “succursale” o
“filiale”; tanto più che, come accennato, non è risultato possibile ricondurre
tali nozioni ad un significato uniforme ai vari ordinamenti statali o ad una più
ampia ed unitaria qualificazione a livello comunitario idonea a realizzare
identici effetti in tutti i Paesi appartenenti all’UE. Pertanto si deve dare,
piuttosto, rilievo ad alcuni requisiti sostanziali, utilmente fruibili anche a fini
definitori della stabile organizzazione, relativi alle caratteristiche che
qualificano la presenza di una effettiva attività realizzata da, e/o riconducibile
a, un centro operativo di una impresa nello Stato della sua localizzazione,
senza preoccuparsi di una precisa razionalizzazione dogmatica del modello
organizzativo del “centro operativo”. Infatti, per quanto riguarda le
caratteristiche di tale centro, è sufficiente che si tratti di un’organizzazione
dotata di una minima struttura in grado di operare per conto dell’impresa alla
quale deve restare assoggettata e di cui rappresenta la minima unità operativa
cui imputare parte dell’attività della unica impresa. Non rileva, invece, come
tale centro operativo sia formalizzato purché esso operi nel senso e con le
modalità innanzi indicate.
9 In particolare, le caratteristiche della nozione di “centro operativo”
rilevante nella normativa internazionale di diritto uniforme.
La necessaria sottoposizione del centro operativo innanzi indicato alla
dipendenza, al sindacato ed al controllo della casa-madre ha indotto a
escludere l’applicabilità delle disposizioni in esame allorché essi siano dotati
di ampia autonomia organizzativa e di indipendenza (ad esempio, in virtù di
un management contract) con responsabilità della gestione di una specifica
attività anche se riconducibile ad una sola impresa come, ad esempio, avviene
per alcuni enti che operano in autonomia nell’ambito di una impresa
armatoriale. Infatti, pur essendo anche tali enti tenuti, da un lato, ad un
obbligo di rendiconto e, dall’altro, ad adeguatamente valorizzare le
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
indicazioni dell’impresa nel cui interesse operano, si ritiene che abbiano un
tale margine di discrezionalità ed autonomia nell’organizzazione e nello
svolgimento dei loro compiti con assunzione almeno parziale dei relativi
rischi da escludere che siano qualificabili come centro operativo rilevante ai
sensi dell’art. 7.5 Reg. 1215/2012 innanzi citato. Parimenti controversa, e
sempre dipendente dal margine di autonomia decisionale ed organizzativa
che ne caratterizza l’operatività, appare anche la possibilità di qualificare
come “succursale” il centro operativo in virtù del quale opera il
raccomandatario marittimo. In senso contrario, infatti, è stato valutato non
tanto il tipo rapporto che tali centri operativi hanno con l’impresa
armatoriale, ma soprattutto (allorché ne ricorrano i presupposti) la loro libertà
organizzativa e autonomia gestionale, la loro facoltà di agire per conto di una
pluralità di mandanti, nonché, in alcuni casi, il carattere occasionale del loro
incarico.
Ai fini dell’esercizio della giurisdizione, quindi, si sono affermati precisi
principi utilizzabili anche nel diritto tributario internazionale, sia per meglio
precisare i caratteri della stabile organizzazione sia per individuare l’attività
dell’impresa realizzata dai vari “centri operativi” o, comunque, ad essi
riconducibile che potrà rilevare a fini impositivi. Si dovrà trattare di attività
dotata di una sua percepibilità esterna nel senso ora indicato ed in grado di
essere intesa come dotata di effetti nei confronti dei terzi nell’interesse della
“casa madre”. Così, in particolare, tali circostanze si riscontrano secondo gli
esiti della pratica giurisprudenziale di cui alla disciplina comunitaria relativa
all’esercizio della giurisdizione, con riguardo: (i) agli impegni contrattuali
assunti in nome dell’impresa, siano essi da eseguirsi nel territorio dello Stato
in cui è presente tale “centro operativo” oppure altrove, purché riconducibili
ad esso; oltreché (ii) alle obbligazioni extracontrattuali relative all’esercizio
dell’agenzia, della filiale o della succursale, oppure (iii) a qualsiasi impegno
assunto relativamente o all’utilizzo dell’edificio in cui si svolge l’attività o
nei confronti del personale del “centro operativo”.
In tale prospettiva si è ritenuta anche adeguata, ai fini della qualifica di
“agente”, “succursale”, “filiale” e/o di centro operativo rilevante ai fini
dell’esercizio della giurisdizione, la presenza di un centro commerciale con
funzioni di ticket office purché gestito con il marchio e con il logo della casamadre per conto della quale vengono realizzate le corrispondenti operazioni.
Tanto più se, come spesso accade, il relativo ufficio è localizzato in spazi di
proprietà o presi in locazione direttamente da quest’ultima. Ed a conferma di
quanto indicato, proprio ai fini dell’esercizio della giurisdizione, depone
anche la formulazione del c.d. quinto criterio di giurisdizione adottato
nell’art. 33 della Convenzione di Montreal del 1999 relativa alla disciplina
del trasporto aereo. Di tali risultati, pertanto, secondo la logica ed i criteri
interpretativi innanzi indicati, si dovrà tenere conto anche ai fini di
individuare la presenza di una stabile organizzazione ed il reddito dell’attività
ad essa riconducibile a fini fiscali in presenza delle evidenti analogie della
disciplina di tali profili con quella alla base dell’esercizio della giurisdizione.
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
10 Gli sviluppi della “pratica internazionale” relativa ai confini
dell’ambito dell’attività di ricerca e sviluppo: sua rilevanza a fini
fiscali.
Gli accennati principi del commercio internazionale, inoltre, forniscono
anche un’autorevole conferma di alcune soluzioni indicate nel Commentario
OCSE al Modello di Trattato per evitare la doppia imposizione proprio con
riferimento a quanto in esso riportato a proposito della rilevanza ai fini fiscali
della “stabile organizzazione” ai sensi dell’art. 5.1 del citato Modello. Un
esempio particolarmente significativo è rappresentato dall’esigenza che il
“centro operativo” debba essere inteso e risultare come “fisso” nel senso di
essere dotato di una sufficiente permanenza e di una precisa localizzazione in
un determinato Stato. Infatti, anche ai fini dell’esercizio della giurisdizione,
la presenza del centro operativo di un’impresa in un determinato Stato è
risultata rilevante ai fini dell’esercizio della giurisdizione solamente se tale
centro è dotato di una “sede fissa”.
Utili riferimenti, inoltre, ai fini di stabilire se possano essere valutate come
attività industriale o commerciale di una impresa, ai fini di cui all’art. 5 par. 4
del Modello OCSE (e del relativo par. 23 del Commentario), le attività di un
suo “centro operativo” in cui siano svolte solamente funzioni di ricerca e
sviluppo funzionali al suo ciclo produttivo, sono ricavabili proprio dalla più
recente pratica relativa al commercio internazionale maturata in ambito
europeo. Infatti, in tale ambito, si è provveduto, secondo l’evoluzione che
caratterizza tale settore, a definire cosa debba intendersi in ambito
internazionale per “experimental development” e “industrial research” al fine
di individuare il momento in cui tale attività cessa di avere carattere
sperimentale e di ricerca per entrare a far parte del ciclo produttivo
dell’impresa. Si tratta delle precisazioni rese in occasione della definizione
dell’ambito di esenzione concesso agli incentivi ed ai finanziamenti alla
ricerca e sviluppo che si colloca all’esterno dell’attività produttiva: e cioè al
di fuori “from the actual realisation of profits” e pertanto con difficoltà “to
allocate any profit to the fixed place of business in question”. Una
indicazione, quindi, che presenta indubbia utilità anche ai fini
dell’applicazione della citata normativa tributaria internazionale.
Pertanto, l’attività di ricerca e sviluppo in quanto tale non dovrà più essere
confinata soltanto a quella “remota” dall’attività industriale e produttiva
secondo l’originaria formulazione del Commentario OCSE al Trattato Modello. In realtà, proprio la pratica vissuta in ambito internazionale ed
europeo ne identifica ora i confini in una zona sempre più prossima all’inizio
dell’attività industriale e produttiva. È stato proprio in occasione della pratica
innanzi citata che non si è avuta esitazione a precisare che l’attività di ricerca
e sviluppo comprende anche il c.d. experimental development, comprensivo
sia delle “activities aiming at conceptual definition, planning and
documentation of new products, process and services” sia della produzione di
prototipi e della realizzazione di test ed attività di validazione di nuovi
prodotti. Tanto che l’attività in esame è stata estesa sino a comprendere anche
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EVOLUZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, TUTELA DELLE SITUAZIONI
SOGGETTIVE E EFFETTI SULLA NOZIONE DI S.O.
“commercially usable prototypes” allorché la loro costruzione a soli fini
dimostrativi risulta eccessivamente costosa. Di tale evoluzione e di tali
principi emersi nella pratica del commercio internazionale, pertanto, non si
potrà fare a meno di tenere debito conto anche nell’interpretazione ed
applicazione dell’innanzi citato art. 5.4 del Modello OCSE e
nell’aggiornamento del relativo commentario.
Si conferma, quindi, da un lato, l’esigenza di tener conto della progressiva
evoluzione dei contenuti delle nozioni impiegate nei vari settori del diritto del
commercio internazionale e, dall’altro, l’importanza della reciproca
interazione delle pratiche applicative di cui si è progressivamente ampliato
l’ambito degli atti al riguardo rilevanti. Ma non soltanto. Infatti si è anche
riscontrato che l’effettività di tale evoluzione è garantita da strumenti
giurisdizionali sempre più numerosi, maggiormente aperti al loro accesso
diretto da parte dei privati e particolarmente sensibili a garantire “effetti
diretti” a favore dei privati di principi e norme di origine internazionale anche
in difetto di una intermediazione specificativa dei loro contenuti all’interno
dei vari ordinamenti statali.
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Prof. Andrea Carinci
Professore Università di Bologna
Stabile organizzazione ed utilizzo delle perdite
1 Introduzione.
Prima di affrontare il tema che mi è stato affidato, un chiarimento
metodologico s’impone. Oggetto delle riflessioni che seguiranno sarà il solo
tema delle perdite della stabile organizzazione e non pure quello delle perdite
della casa madre impiegate in compensazione dell’utile della stabile
organizzazione. Quest’ultima, difatti, è una questione che investe
essenzialmente il problema della determinazione del credito per imposte
assolte all’estero, oggetto di un’altra relazione.
Seppur così circoscritto, il tema presenta ugualmente molteplici profili di
interesse, essenzialmente riconducibili al più vasto argomento della
circolazione transnazionale delle perdite1.
2 La rilevanza delle perdite della stabile organizzazione.
Le perdite costituiscono (in negativo) un elemento indice di capacità
contributiva2. La perdita rappresenta invero il risultato negativo della
gestione d’impresa e si pone come speculare all’utile (rectius al reddito). Di
conseguenza, nella misura in cui l’utile è metro della capacità contributiva,
del pari lo sono (devono essere) le perdite. Del resto, se nella misurazione del
reddito imponibile sono rilevanti le componenti negative, lo devono essere le
perdite, che altro non sono che la risultante della prevalenza delle predette
componenti rispetto a quelle attive.
Al pari del reddito, quindi, anche le perdite sono un indice espressivo della
capacità economica del soggetto contribuente e, come tali, debbono poter
essere considerate nella determinazione della ricchezza in concreto tassabile.
La considerazione delle perdite può poi assumere una duplice connotazione.
La perdita può infatti essere valorizzata, ai fini della determinazione della
materia tassabile, evidentemente solo per ridurre la base imponibile ossia il
reddito; ebbene, ciò può essere in concreto operato secondo due modalità:
1
Tema questo che, evidentemente, non è esaurito dalle sole stabili organizzazioni, ma
coinvolge tutte le differenti modalità di insediamento in diversi paesi di parti tra loro
correlate.
2
In argomento, senza evidenti pretese di completezza, cfr. G. ZIZZO, Considerazioni
sistemiche in tema di utilizzo delle perdite fiscali, in Rass. trib., 2008, pag. 930; A.
GIOVANARDI, Il riporto delle perdite, in Giurisprudenza sistemica di diritto tributario.
Imposta sul reddito delle persone giuridiche (a cura di F. Tesauro), Torino, 1996, pag.
269.
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
mediante la cd. compensazione orizzontale, ossia impiegando la perdita per
ridurre gli altri redditi del soggetto passivo realizzati nel medesimo periodo,
ovvero mediante la cd. compensazione verticale, ovvero utilizzando la perdita
per diminuire il reddito tassabile di altri periodi d’imposta.
Con riferimento alle perdite delle stabili organizzazioni, entrambe queste
opzioni di impiego sono astrattamente ipotizzabili.
Preliminarmente va però osservato come, a stretto rigore, trattare di perdite di
una stabile organizzazione possa apparire un ossimoro. La stabile
organizzazione non costituisce un soggetto passivo autonomo rispetto alla
casa madre, bensì semplicemente un criterio di localizzazione dei redditi
comunque riferibili al soggetto non residente (la casa madre). Da ciò
consegue che la stabile organizzazione non dovrebbe ritenersi in grado di
produrre perdite ma, semmai, solo elementi negativi del reddito della casa
madre.
La possibilità di parlare di perdite della stabile organizzazione consegue
tuttavia alla presa d’atto che nella prassi, recepita e promossa dal modello di
Convenzione Ocse nonché dal relativo Commentario (cfr. sub artt. 5 e 7), la
stabile organizzazione è concepita come un’impresa autonoma rispetto alla
casa madre3. Un’impresa autonoma - non anche un soggetto autonomo idonea a realizzare un reddito tassabile ovvero una perdita, suscettibili di
distinta considerazione nello Stato ospitante ed (idealmente) destinati a
rifluire nel reddito dell’unico soggetto passivo, ossia la casa madre4.
La stabile organizzazione, quindi, pur sprovvista di soggettività può produrre
reddito tassabile ovvero una perdita, distinti ed autonomi rispetto alla casa
madre. Ebbene, una prima particolarità del tema delle perdite della stabile
organizzazione è che la loro valorizzazione può essere operata in momenti
diversi ed a livelli diversi nonché in entrambe le direzioni evocate (ossia sia
in senso orizzontale che verticale). Le perdite della stabile organizzazione,
difatti, possono essere utilizzate, a rigore, sia per compensare (verticalmente)
i redditi della medesima stabile organizzazione prodotti in esercizi differenti,
sia per compensare i redditi della casa madre (compensazione orizzontale),
ovvero entrambi. La rilevanza delle perdite della stabile organizzazione
dipende pertanto dalle soluzioni in concreto applicabili a ciascuna fattispecie
3
A. M. GAFFURI, La determinazione del reddito della stabile organizzazione, in Rass.
trib., 2002, pag. 86.
4
Per inciso, la questione dell’autonoma rilevanza della stabile organizzazione
prescinde dai criteri in concreto adottati per determinarne il reddito. Anche nel caso in
cui sia impiegato, in luogo del più tradizionale separate entity approach, il criterio del
relevant business activity approach, in ragione del quale il reddito della stabile
organizzazione è determinato come quota proporzionale di quello complessivo
realizzato dalla casa madre, il presupposto è che la stabile organizzazione è in grado
di realizzare un reddito (tassabile) ovvero una perdita. Entrambi i metodi, difatti, pur
sottintendendo un diverso grado di autonomia della stabile organizzazione,
presuppongono comunque la riferibilità in capo alla medesima di un reddito o di una
perdita distinti da quelli della casa madre.
56
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
in ragione delle regole (di diritto interno ovvero convenzionale) impiegabili.
Può così accadere che le perdite della stabile organizzazione assumano
rilevanza tanto nello Stato ospitante quanto in quello della casa madre, come
tipicamente accade nei casi in cui quest’ultimo contempli la tassazione del
reddito mondiale accordando il credito d’imposta per le imposte assolte
all’estero. Viceversa, può accadere che le perdite restino confinate nel solo
Stato in cui ha sede la stabile organizzazione, evenienza questa che si verifica
nel caso in cui lo Stato della casa madre ricorra, per evitare la doppia
imposizione, al meccanismo dell’esenzione5. La questione poi si complica in
ragione del fatto che l’ordinamento della stabile organizzazione e quello della
casa madre possono prevedere un trattamento differente delle perdite,
ammettendo o meno il riporto avanti o indietro delle stesse, ovvero
prevedendo soglie massime ovvero termini per la loro deducibilità. Inoltre, la
concreta quantificazione della perdita può differire tra Stato ospitante (quello
in cui si trova la stabile organizzazione) e Stato di origine (quello della casa
madre), nella misura in cui non corrispondono i rispettivi criteri di
determinazione del reddito. Ciò, fino al caso limite in cui una perdita della
stabile organizzazione non risulta tale per lo Stato della casa madre6 o,
viceversa, un utile della stabile organizzazione, secondo le regole dello Stato
ospitante, cui corrisponde una perdita nello Stato di origine7.
Proprio la varietà delle situazioni, che in concreto si possono configurare,
testimonia l’estrema delicatezza del tema. Vi è poi un altro profilo che
occorre considerare: come dinanzi evocato, il tema delle perdite della stabile
organizzazione si inserisce nel più vasto problema della circolazione
transnazionale delle perdite. Ebbene, questo significa che il tema attiene, in
5
Salvo il caso in cui sia previsto un modello ibrido in cui le perdite della stabile
organizzazione sono comunque considerate in capo alla casa madre, per essere in
seguito “recuperate” mediante la tassazione degli utili futuri della stabile
organizzazione.
6
Tale eventualità è espressamente presa in considerazione, ad esempio, nelle
istruzioni alla compilazione di Unico 2013, dove si prevede che non deve essere
compilata la sezione relativa all’imposta estera pagata per il reddito della stabile
organizzazione, nel caso in cui il reddito estero, come rideterminato in Italia, sia
inferiore o pari a zero. Ciò, anche in presenza di imposta pagata all’estero. Per effetto
della rideterminazione secondo le regole nazionali, il reddito estero non genera infatti
alcuna quota di imposta lorda italiana, sicché viene negato il credito, non
verificandosi una situazione di doppia imposizione.
7
Rileva il problema anche G. MELIS, Stabili organizzazioni, obblighi contabili e
riporto delle perdite: un'occasione perduta, in Riv. dir. trib., 1998, III, pag. 33; B.
GANGEMI, I progetti di armonizzazione all’esame del Consiglio CEE: le ritenute su
interessi e royalties e le perdite transnazionali, in Riv. dir. trib., 1993, I, pag. 838. La
questione è esaminata altresì nel Commentario al modello Ocse (sub art. 23, punti 39
e 62), dove si evidenzia che la differenza di regole per la misurazione del reddito può
determinare una divergenza tra reddito soggetto a tassazione nello Stato della fonte e
reddito preso a base per l’esenzione ovvero la determinazione del credito nello Stato
di residenza della casa madre.
57
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
ultima analisi, alle condizioni ed ai limiti con cui gli ordinamenti nazionali
acconsentono (ovvero debbono consentire) ad importare perdite maturate in
altri ordinamenti, in grado di erodere la materia tassabile e quindi le imposte
prelevabili.
Questo rappresenta certamente un tratto peculiare al tema delle perdite della
stabile organizzazione, che giustifica la tradizionale diffidenza manifestata
dagli ordinamenti nazionali: da un lato, infatti, la rilevanza delle perdite di
una stabile organizzazione si traduce, per lo Stato della casa madre, nel
rischio di una sistematica importazione di perdite maturate in altri
ordinamenti e, così, nella rilevanza di costi rispetto cui non è possibile quel
medesimo grado di controllo consentito all’interno del territorio nazionale;
dall’altro, porta con sé il rischio del doppio utilizzo (nello Stato ospitante ed
in quello di origine) delle suddette perdite8.
3 La risposta comunitaria al problema delle perdite della stabile
organizzazione.
Non è un caso, quindi, che i tentativi promossi in sede comunitaria per
giungere ad una disciplina uniforme delle perdite siano ad ora rimasti senza
seguito.
Il tema delle perdite della stabile organizzazione è stato oggetto di ripetuti
interventi in sede comunitaria, dove si è manifestata una compiuta
consapevolezza della centralità del problema per la realizzazione del Mercato
unico. Sennonché, tutti gli interventi fino ad ora messi in campo non hanno
sortito gli esiti auspicati.
Negli anni novanta è stata adottata una proposta di direttiva (n. 595/90) sulla
contabilizzazione delle perdite subite dalle stabili organizzazioni e dalle
affiliate situate in altri Stati membri. A tale proposta gli Stati avrebbero
dovuto conformarsi entro il 1° gennaio 19939. La proposta si caratterizzava
8
In ambito nazionale, la soluzione al doppio utilizzo delle perdite è stata trovata in
seno alle istruzioni alla compilazione delle dichiarazioni. Si è qui previsto che, con
riguardo alla fonte estera produttiva di perdite, il contribuente debba contabilizzare
un’eccedenza di imposta italiana di segno negativo, di misura corrispondente
all’imposta virtualmente riferibile al reddito domestico assorbito dalla perdita estera.
Ciò, con lo scopo di neutralizzare, fino a concorrenza, le eccedenze d’imposta italiana
effettivamente prelevate sulla stabile organizzazione nel periodo di sorveglianza
previsto dall’art. 165, co. 6 del TUIR (gli otto esercizi precedenti o successivi),
evitando che queste imposte si traducano in credito d’imposta (cfr. Assonime, Credito
per le imposte pagate all’estero, nelle ipotesi in cui il reddito di una o più stabili
organizzazioni concorra alla formazione dell’imponibile unitamente alle perdite di
casa madre o di altre stabili organizzazioni, Approfondimento n. 4/2012, pag. 8).
9
In argomento, cfr. G. MELIS, Perdite intracomunitarie, potestà impositiva e
principio di territorialità: unicuique suum?, in Rass. trib., 2008, pag. 1486 e ss.; B.
GANGEMI, I progetti di armonizzazione all’esame del Consiglio CEE: le ritenute su
interessi e royalties e le perdite transnazionali, cit., pag. 835, il quale peraltro
58
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
per la previsione di due distinti metodi cui gli Stati dovevano uniformarsi per
consentire alle proprie società residenti la valorizzazione delle perdite delle
stabili organizzazioni localizzate in altri Stati membri: il metodo della
imputazione, incentrato sul riconoscimento del credito per le imposte pagate
all’estero; il metodo dell’esenzione con detrazione delle perdite e successiva
loro reintegrazione, consistente nella deduzione delle perdite della stabile
organizzazione dagli utili della casa madre con recupero, nei successivi
periodi, degli utili della stabile in quelli della casa-madre fino a concorrenza
delle perdite dedotte. Tale proposta di direttiva è stata però ritirata nel 2004.
Nel 2006 la Commissione ha quindi presentato una comunicazione in tema di
trattamento fiscale delle perdite in situazioni transfrontaliere, dove veniva
affrontato anche il tema delle perdite delle stabili organizzazioni. Ebbene, qui
si prendeva espressamente atto dell’estrema disparità tra i vari regimi
nazionali, della coesistenza di legislazioni che ammettono il consolidamento
delle perdite con altre che invece lo escludono. Da ciò la raccomandazione e
l’auspicio della Commissione di «introdurre sistemi efficaci di
compensazione transfrontaliera delle perdite nell’Unione europea»10.
Sennonché, anche questa raccomandazione è rimasta, sostanzialmente, lettera
morta.
Nonostante questo, si può comunque dire che sia in atto un processo di
progressivo avvicinamento dei singoli regimi nazionali ad un modello
comune di trattamento delle perdite delle stabili organizzazioni. Il merito,
tuttavia, va ascritto all’opera della Corte di Giustizia, che, con una serie di
importanti pronunce, ha sindacato la compatibilità con il diritto dell’Unione
dei vari regimi nazionali, fissando importanti direttive cui debbono oggi
conformarsi le discipline nazionali11.
Innanzitutto, è assolutamente pacifico che la conformità con il diritto
comunitario dei regimi nazionali sulle perdite delle stabili organizzazioni va
apprezzata alla stregua della libertà di stabilimento, di cui agli artt. 43-48 del
Trattato della Comunità Europea, divenuti gli artt. 49-55 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea12. In questo contesto, poi, è suscettibile
di essere sindacato tanto il regime dello Stato ospitante, dove cioè è stata
insediata la stabile organizzazione, quanto quello di origine. Entrambi i
preconizzava un iter di approvazione veloce della Direttiva proprio con riferimento
alle perdite delle stabili organizzazioni.
10
Comunicazione della Commissione Com (2006) 824 def.
11
Per una rassegna delle pronunce della Corte di Giustizia sul tema, si vedano P.
MINUTOLI, Utilizzo transfrontaliero delle perdite d’impresa: l’orientamento della
Corte di giustizia, in Rass. trib., 2012, pag. 120; F. BOSCHI, Libertà di stabilimento e
libera circolazione delle “perdite” infragruppo nella giurisprudenza della Corte di
giustizia, in Dir. prat. trib., 2010, I, pag. 535.
12
CGE del 13 dicembre 2005, C-446/03, Marks & Spencer, punto 30; CGE del 15
maggio 2008, C-414/06, Lidl Belgium, punto 18; CGE del 25 febbraio 2010, C337/08, X Holding, punto 17; CGE del 6 settembre 2012, C-18/11, Philips Eletronics
UK, punto 12; CGE del 21 febbraio 2013, C-123/11, A Oy, punto 30
59
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
regimi, invero possono risultare in contrasto con la detta libertà, laddove
prevedano un trattamento delle perdite delle stabili organizzazioni
discriminatorio ovvero restrittivo13.
Una seconda indicazione che può dirsi parimenti pacifica è quella per cui le
perdite sono speculari all’utile, due facce della stessa medaglia14;
conseguentemente, la pretesa impositiva sull’utile deve accompagnarsi al
riconoscimento delle perdite. Altrimenti detto, se uno Stato pretende di
tassare il reddito di una stabile organizzazione, sia esso lo Stato ospitante
ovvero quello della casa madre, deve consentire parimenti la
contabilizzazione delle perdite15.
Ciò vale, tuttavia, anche in senso speculare: laddove uno Stato non vanta
alcuna pretesa impositiva sui redditi della stabile organizzazione, allora non è
del pari tenuto a dare rilevanza alle perdite della stessa. Così, se per effetto di
una convenzione contro le doppie imposizioni lo Stato della casa madre
esenta il reddito prodotto dalla stabile organizzazione, non è tenuto a
prendere in carico le perdite della stessa a decurtazione del reddito della casa
madre16.
Le perdite, per poter assumere rilevanza debbono comunque presentare un
collegamento con i redditi suscettibili di tassazione o, in ogni caso, con le
attività soggette alla potestà impositiva dello Stato17.
Ricorre nella giurisprudenza della Corte di Giustizia l’insegnamento secondo
cui il riparto della responsabilità tra Stato della fonte (quello della stabile
organizzazione) e Stato della residenza (quello della casa madre) in merito
alla rilevanza delle perdite va tracciato all’insegna della coerenza fiscale,
integrata qui dall’esigenza di assicurare una corrispondenza di trattamento tra
reddito e perdite della stabile organizzazione. Solo nei limiti della coerenza
fiscale così definita sono invero possibili trattamenti delle dette perdite
13
Sull’estensione anche allo Stato di origine dell’obbligo di non opporre restrizioni
alle libertà, CGE del 16 luglio 1998, C-264/96, ICI, punto 21.
14
CGE del 13 dicembre 2005, C-446/03, Marks & Spencer, punto 43.
15
La simmetria tra il diritto di tassare gli utili e la possibilità di dedurre le perdite è
stata rilevata da CGE del 15 maggio 2008, C-414/06, Lidl Belgium, punto 33; CGE
del 6 settembre 2012, C-18/11, Philips Eletronics UK, punto 26
16
CGE del 15 maggio 2008, C-414/06, Lidl Belgium, punto 54.
17
Il criterio del rapporto economico delle perdite con i redditi ottenuti nello Stato
membro che applica l’imposta è stato enunciato dalla Corte di Giustizia nella sentenza
del 15 maggio 1997, C-250/95, Futura Partecipations, punto 22. Nella medesima
sentenza, peraltro, la Corte ha chiarito che integra invece una restrizione non
compatibile con il Trattato la prescrizione di una contabilità speciale per la stabile
organizzazione quale condizione per la deduzione delle perdite, nella misura in cui il
contribuente sia in grado di provarne altrimenti l’effettività nonché la produzione
nello Stato; in argomento, G. MELIS, Stabili organizzazioni, obblighi contabili e
riporto delle perdite: un'occasione perduta, cit., pag. 22.
60
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
astrattamente restrittivi della libertà di stabilimento18.
In linea di principio, la stabile organizzazione va equiparata alla società
controllata, giacché non è possibile discriminare tra le diverse forme di
stabilimento19. Sennonché, la Corte ha chiarito che ai fini delle libertà del
Trattato tale equiparazione non può giungere ad alterare la coerenza fiscale
del singolo ordinamento. Sicché, dal momento che la potestà impositiva dello
Stato di origine sui redditi prodotti all’estero è diversa a seconda della forma
di stabilimento prescelta (generalmente sussiste per quelli della stabile
organizzazione, mentre è esclusa per quelli della controllata), è legittimo un
sistema che discrimina il trattamento delle perdite prodotte all’estero,
consentendo di recuperare solo quelle della stabile organizzazione e non pure
quelle della società controllata20.
Sempre in nome della coerenza fiscale è stato poi negato al pericolo di
doppio utilizzo delle perdite valore di giustificazione idonea a legittimare
l’effetto restrittivo di un dato regime rispetto alla libertà di stabilimento21. Lo
Stato della casa madre non può insomma invocare una siffatta ragione per
imporre un trattamento deteriore delle perdite prodotte dalla stabile
organizzazione, nel momento in cui rivendica una piena potestà impositiva
sui corrispondenti redditi22. Conseguentemente, il rischio di doppio utilizzo
delle perdite, in ossequio al principio di proporzionalità, può essere
contrastato, ma solo con modalità diverse dall’esclusione preventiva e
generalizzata della rilevanza delle perdite della stabile organizzazione.
Al contempo, però, se il rischio del doppio utilizzo non può essere invocato
per escludere la rilevanza delle perdite realizzate con una stabile
organizzazione, l’eventualità per il contribuente di non poterle più utilizzare
(cd. final losses) impone agli Stati di ammetterne, in ogni caso, la
contabilizzazione: altrimenti detto, se per svariate ragioni (es. cessazione
dell’attività) le perdite della stabile organizzazione non possono più essere
utilizzate nello Stato in cui questa ha sede, lo Stato di origine, in ossequio a
tale orientamento, deve consentirne la valorizzazione nella determinazione
del reddito della casa madre23.
18
CGE del 13 dicembre 2005, C-446/03, Marks & Spencer, punto 46; CGE del 15
maggio 2008, C-414/06, Lidl Belgium, punto 31; CGE del 25 febbraio 2010, C337/08, X Holding, punto 33; CGE del 21 febbraio 2013, C-123/11, A Oy, punto 41
19
CGE del 28 gennaio 1986, C-270/83, Commissione c. Francia, punto 22; CGE del
21 settembre 1999, C-307/97, Saint Gobain, punto 35.
20
CGE del 25 febbraio 2010, C-337/08, X Holding, punto 40.
21
In realtà, in un primo tempo il potere di opporsi alla doppia deduzione delle perdite
è stato indicato come causa di giustificazione da CGE del 13 dicembre 2005, C446/03, Marks & Spencer, punto 47.
22
CGE del 6 settembre 2012, C-18/11, Philips Eletronics UK, punto 27.
23
CGE del 13 dicembre 2005, C-446/03, Marks & Spencer, punto 56; CGE del 15
maggio 2008, C-414/06, Lidl Belgium, punto 47; CGE del 21 febbraio 2013, C123/11, A Oy, punto 49. Questa soluzione, peraltro, è stata affermata anche con
riguardo alle perdite delle società controllate. In argomento, E. DELLA VALLE,
61
STABILE ORGANIZZAZIONE ED UTILIZZO DELLE PERDITE
4 Indicazioni conclusive.
Grazie all’opera della Corte di Giustizia il regime delle perdite delle stabili
organizzazioni, almeno in ambito comunitario, sta progressivamente
assumendo caratteri omogenei. All’insegna della libertà di stabilimento, non
sono invero consentiti regimi in grado di pregiudicare la libertà di scelta degli
operatori circa la forma di organizzazione e stabilimento nei mercati degli
altri Stati membri.
La strada non di meno appare ancora lunga. Non solo occorre assicurare che
le perdite trovino una corretta e puntuale valorizzazione nel riparto delle
responsabilità tra Stato della fonte e Stato della residenza, trattandosi – come
detto – di un indice misuratore di capacità contributiva speculare ai redditi;
occorre altresì perseguire una tendenziale uniformità nei criteri di loro
determinazione. Solo così, infatti, è possibile conseguire la piena neutralità
nei modelli organizzativi e di insediamento24. Sennonché, questo con ogni
evidenza rappresenta ancora un obiettivo di difficile realizzazione, come
testimonia la difficoltà a realizzare il modello di base imponibile consolidata
comune per l’imposta sulle società (CCCTB), in ragione della perdurante
ritrosia degli Stati a cedere porzioni di sovranità in tema di tassazione dei
redditi. Non di meno, è evidente – come ricordato nella Comunicazione della
Commissione sopra citata - che «in mancanza di una compensazione
transfrontaliera delle perdite, queste sono generalmente compensate solo nei
limiti degli utili realizzati negli Stati membri in cui sono effettuati gli
investimenti. Ne consegue una distorsione delle decisioni delle imprese sul
mercato interno».
L’utilizzazione cross-border delle perdite fiscali: il caso Marks & Spencer, in Rass.
trib., 2006, pag. 994.
24
Sul diritto degli operatori di scegliere liberamente la forma giuridica appropriata per
l’esercizio della loro attività in un altro Stato membro, libertà questa che non può
essere limitata da disposizioni tributarie, CGE del 18 luglio 2007, C-231/05, Oy AA,
punto 40.
62
Prof. Alberto Comelli
Professore Università di Parma
I rapporti, sotto il profilo dell’iva, tra stabile organizzazione,
casa madre e terzi
SOMMARIO: 1 Considerazioni introduttive sulla ricerca, con particolare riferimento
all’attualità della tematica che ne occupa ed alla necessità di rinnovati
approfondimenti - 2 La stabile organizzazione, ai fini dell’iva, pur in assenza di una
vera e propria definizione nella direttiva n. 2006/112/CE - 3 L’individuazione del
concetto di centro di attività stabile e di stabile organizzazione alla luce della
giurisprudenza della Corte di giustizia europea ed il non condivisibile orientamento in
parte qua della Suprema Corte - 4 I rapporti tra la casa madre, soggetto passivo
stabilito in uno Stato membro e la sua stabile organizzazione situata in un altro Stato
membro: unicità del soggetto passivo, il quale coincide con la casa madre, alla luce
dell’arresto FCE Bank - 5 Le prestazioni di servizi tra la stabile organizzazione nel
territorio dello Stato ed i soggetti terzi, nell’ipotesi di effettivo e diretto
coinvolgimento della prima nell’espletamento delle operazioni, attive e passive. Il
problema del soggetto debitore dell’imposta verso l’erario, alla luce degli artt. 192 bis
della direttiva n. 2006/112 e 53 del regolamento n. 282/2011 - 6 Osservazioni
conclusive. La funzione primaria espletata dal concetto di stabile organizzazione,
sotto il profilo dell’iva, è riconducibile alla necessità di una ripartizione territoriale
uniforme tra gli Stati membri, fondata su criteri razionali e largamente oggettivi
1 Considerazioni introduttive sulla ricerca, con particolare riferimento
all’attualità della tematica che ne occupa ed alla necessità di
rinnovati approfondimenti
Sotto il profilo metodologico, è opportuno svolgere alcune considerazioni
preliminari. La presente ricerca sulla stabile organizzazione (1) sarà espletata
con esclusivo riferimento all’iva (2), senza prendere in considerazione il
medesimo concetto ai fini delle imposte sui redditi (3) e, segnatamente, le non
(1) Affermano, in modo provocatorio, S. MAYR, B. SANTACROCE, Stabile
organizzazione: tematiche e prospettive nel contesto nazionale e internazionale, in
Corr. trib., 2013, 1951, quanto segue: «la stabile organizzazione … che cos’è?» e
sottolineano che è stato versato un vero e proprio fiume d’inchiostro, al riguardo, da
parte della dottrina nazionale e internazionale.
(2) Cfr. A. BENOIT, A. MORAINE, L’instable notion d’établissement stable en
matière de TVA, in Revue de droit fiscal, n. 13/2013, 19 ss.
(3) Cfr., senza pretesa di esaustività, v. D. AVOLIO, G. FORT, Stabili organizzazioni
di banche estere: «fondo di dotazione figurativo» per dedurre gli interessi passivi, in
Corr. trib., 2012, 3015 ss.; D. AVOLIO, P. RUGGIERO, Le proposte di modifica al
commentario OCSE sulla stabile organizzazione, ivi, 2012, 1112 ss.; D. AVOLIO, B.
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
poco significative affinità, ma anche le differenze, tra la disciplina in parte
qua in materia di iva e quella relativa alle imposte sui redditi (che impedisce
un’automatica ed acritica osmosi, a livello di principi, da un settore all’altro
dell’imposizione) (4), per le quali si rinvia ratione materiae ad altre relazioni
presentate in questo convegno (5).
Inoltre, al fine di circoscrivere ulteriormente il perimetro di questa ricerca,
non saranno esaminate tutte le problematiche afferenti alle stabili
organizzazioni, sul versante dell’iva (6), ma esclusivamente quelle relative
SANTACROCE, Per la stabile organizzazione personale è necessario provare che
l’agente ha effettivamente concluso i contratti, in G.T.-Riv. giur. trib., 2012, 977 ss.;
ID., Stabile organizzazione materiale e distacco di personale nel secondo «Discussion
Draft» OCSE, in Corr. trib., 2012, 3628 ss.; E. CERIANA, Stabile organizzazione e
imposizione sul reddito, in Dir. prat. trib., 1995, I, 657 ss.; E. DELLA VALLE, La
nozione di stabile organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass. trib., 2004, 1597 ss.; ID.,
La soggettività tributaria della stabile organizzazione, in Libro dell’anno del diritto
2012, Roma, 2012, 580; G. FRANSONI, La determinazione del reddito delle stabili
organizzazioni, ivi, 2005, 73 ss.; A. M. GAFFURI, La determinazione del reddito
della stabile organizzazione, ivi, 2002, 86 ss.; ID., Principi generali di tassazione del
reddito d’impresa nei rapporti internazionali, in Corr. trib., 2002, 3396 ss.; A.
LOVISOLO, Il concetto di stabile organizzazione nel regime convenzionale contro la
doppia imposizione, in Dir. prat. trib., 1983, I, 1127 ss.; ID., Profili evolutivi della
«stabile organizzazione» nel diritto interno e convenzionale, in Corr. trib., 2004,
2739 ss.; M. MESSINA, Il consolidato «non prosegue» in caso di conferimento di
stabile organizzazione, ivi, 2007, 2215 ss.; F. PARADISI, Stabile organizzazione (dir.
trib.), in Enc. giur. Treccani, XXXIV, 1 ss.; M. PENNESI, Stabile organizzazione
occulta: tassazione del reddito per «massa separata», in Corr. trib., 2011, 3115 ss.;
ID., Contratti intercompany e stabile organizzazione: quando è possibile escludere il
rischio sanzioni, ivi, 2011, 2448 ss.; L. PERRONE, La stabile organizzazione, in
Rass. trib., 2004, 794 ss.; P. VALENTE, Attribuzione del reddito alla stabile
organizzazione: il Rapporto OCSE del 2010, in Fisco, 2010, 1-7000 ss.; ID., La
stabile organizzazione «occulta» nella giurisprudenza italiana, in Fisc. comm. int., n.
5/2012, 30 ss.
(4) In senso contrario, è favorevole ad una interpretazione uniforme del concetto di
stabile organizzazione, ai fini dell’iva e delle imposte sui redditi, anche alla luce della
pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia europea, E. D’ALFONSO, La
nozione di stabile organizzazione nelle imposte sui redditi e nell’iva, in Rass. trib.,
2003, 1279 ss e specialmente 1327. Si veda anche M. PROIETTI, Stabile
organizzazione occulta ed imposte dirette: profili critici in punto di soggettività
tributaria, ivi, 2012, 653 ss. e specialmente, sul versante dell’iva, 668 ss. e 676 ss.
(5) A. TOMASSINI, Stabili organizzazioni e commercio elettronico, in Corr. trib.,
2013, 1498, definisce le stabili organizzazioni di soggetti non residenti come «quelle
entità di fatto che costituiscono cento di imputazione di ricchezza, ancorché prive di
personalità giuridica e che vedono la loro caratteristica distintiva nel possesso delle
facoltà sufficienti a svolgere l’attività idonea al perseguimento dell’oggetto sociale del
soggetto straniero».
(6) Cfr. R. BAGGIO, I non residenti, in AA.VV. (a cura di), L’imposta sul valore
aggiunto, Torino, 2001, 212 ss.; P. PURI, La stabile organizzazione nell’iva, in Riv.
dir. trib., 2000, I, 239 ss.; oltre a C. BJERREGAARD ESKILDSEN, Pro Rata
64
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
alle operazioni espletate tra esse, le rispettive case madri ed i terzi, alla luce
del sistema dell’iva europea (7). A titolo esemplificativo, resterà sullo sfondo
la pur non trascurabile tematica del diritto al rimborso dell’iva,
eventualmente spettante ai soggetti passivi stabiliti in altri Stati membri, con
stabile organizzazione in Italia (8), mentre non saranno esaminati profili di
tipo processuale, i quali esulano dall’analisi in questione.
Trattasi di una indagine che si propone di collocare sotto la lente
d’ingrandimento una tematica di grande attualità (9) e sempre più ricca di
sfaccettature, con particolare riferimento all’individuazione precisa del luogo
di effettuazione delle prestazioni di servizi, laddove le numerose
problematiche, emergenti dall’esame della disciplina in parte qua, presentano
una notevole rilevanza, in egual misura, sul versante teorico e su quello
applicativo. Tutto questo induce ad approfondire ulteriormente la tematica in
esame, collocandola nel sistema dell’iva, quale imposta intrinsecamente
europea e si armonizza perfettamente con il programma dell’odierno
convegno, formandone un imprescindibile segmento del relativo percorso di
approfondimento.
Alla luce di questa impostazione, sarà approfondito, innanzi tutto, il concetto
di stabile organizzazione in considerazione della giurisprudenza della Corte
di giustizia europea e della Corte di cassazione. Successivamente, saranno
esaminati, in una duplice direzione, i profili più significativi delle operazioni
tra: (a) la casa madre stabilita in uno Stato membro e la sua stabile
organizzazione in altro Stato membro; (b) la stabile organizzazione nel
territorio dello Stato ed i soggetti terzi ivi stabiliti.
Dopo aver effettuato questo inquadramento di tipo sistematico, saranno tratti
i più immediati corollari, a titolo di conclusione del percorso di ricerca che ne
occupa.
Deduction by Entities Established in Several VAT Jurisdictions, in International VAT
Monitor, 2012, 27 ss.
(7) Cfr. F. ROSSI RAGAZZI, La stabile organizzazione dopo le direttive iva, in Corr.
trib., 2010, 821 ss.
(8) Si veda P. CENTORE, Il rimborso iva diretto è ammesso anche in presenza di una
stabile organizzazione, in Corr. trib., 2012, 3545 ss., quale commento all’arresto della
Corte di giustizia europea 25 ottobre 2012, Daimler, nelle cause riunite C-318/11 e C319/11; P. MASPES, Il recupero dell’iva per i soggetti non residenti con stabile
organizzazione in Italia, ivi, 2009, 2922 ss., che commenta la sentenza della Corte di
giustizia Commissione c. Repubblica italiana, 16 luglio 2009, nella causa C-244/08.
Da ultimo, v. M. PEIROLO, Rimborso iva per il soggetto estero con stabile
organizzazione in Italia, in Fisc. comm. int., 3/2013, 11 ss. V. anche M. GIORGI, Il
rimborso dell’iva a soggetti non residenti, in Rass. trib., 1999, 1231 ss.
(9) Si pensi, ad esempio, al convegno, organizzato dalla Confédération Fiscale
Européenne (CFE) il 7 aprile 2011 a Bruxelles, sul quale riferisce T. MKRTCHYAN,
CFE Forum 2011: Permanent Establishment in Direct and Indirect Tax, in European
Taxation, 2011, 256-258.
65
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
2 La stabile organizzazione, ai fini dell’iva, pur in assenza di una vera e
propria definizione nella direttiva n. 2006/112/CE
Non si riscontra, nel testo della direttiva n. 2006/112/CE, alcuna definizione
della stabile organizzazione. In particolare, negli articoli sulla soggettività
passiva (vale a dire dal 9 al 13), non vi sono riferimenti espliciti a tale
concetto. Tuttavia, alcune disposizioni di questa direttiva menzionano
espressamente le stabili organizzazioni (10) e, segnatamente, due articoli in
materia di principi generali afferenti al luogo delle prestazioni di servizi, vale
a dire gli artt. 44 e 45, oltre all’art. 192 bis (11), relativo ai debitori
dell’imposta verso l’erario, sotto il profilo del «soggetto passivo che dispone
di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui è
debitore di imposta» (12).
Alla luce di queste disposizioni, emerge che la direttiva n. 2006/112 postula il
concetto di stabile organizzazione, pur senza definirlo espressamente (13) ed i
relativi riferimenti, che saranno esaminati, non sono contenuti nelle
disposizioni sulla soggettività passiva, bensì, rispettivamente, ai fini della
precisa determinazione del luogo delle prestazioni di servizi (artt. 44 e 45) e
dei debitori dell’imposta verso l’erario (art. 192 bis). Ne consegue che la
stabile organizzazione, in via di principio, non configura un’autonoma entità,
caratterizzata da una propria soggettività passiva, separata e distinta
nettamente da quella della propria casa madre stabilita in un altro Stato
membro (ovvero in uno Stato terzo).
In altre parole, non è previsto espressamente un diaframma, vale a dire un
vero e proprio elemento di discontinuità, suscettibile di separare nettamente
la stabile organizzazione dalla relativa casa madre, sul piano della
soggettività passiva, operando, sotto questo profilo, una prospettiva di
continuità. All’interno di questa, i nodi da sciogliere sono collegati
prioritariamente alla necessità di individuare oggettivi criteri di imputazione,
sul versante territoriale, delle operazioni espletate, con particolare riferimento
alle prestazioni di servizi, oltre all’esatta individuazione del soggetto debitore
dell’imposta, in presenza di un soggetto passivo stabilito in uno Stato
(10) Cfr. P. CENTORE, La soggettività parziale ai fini iva della stabile
organizzazione, in Fiscalità comm. int., n. 1/2012, 14 ss.; E. DELLA VALLE, P.
MASPES, La stabile organizzazione nel sistema dell’iva, in Corr. trib., 2010, 942 ss.
(11) Inserito dall’art. 2, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 12 febbraio 2008, n.
2008/8/CE.
(12) Per completezza, il concetto di stabile organizzazione è citato anche negli artt. 38,
par. 1, 39, par. 2 e 58 della direttiva n. 2006/112, quest’ultimo relativo alle
«prestazioni di servizi elettronici a persone che non sono soggetti passivi».
(13) Per completezza, si sottolinea che cita la stabile organizzazione anche l’art. 3, par.
1, lett. a) della direttiva 2008/9/CE del Consiglio, pur senza definire il relativo
concetto. Questa direttiva stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’iva ai
soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato
membro.
66
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
membro, che ha una stabile organizzazione situata nel territorio di un altro
Stato membro, all’interno del quale è debitore dell’imposta.
Peraltro, il regolamento 15 marzo 2011, n. 282/2011, che contiene le
disposizioni di applicazione della direttiva n. 2006/112 (14), definisce «il
luogo in cui il soggetto passivo ha fissato la sede della propria attività
economica» (15), nonché il concetto di stabile organizzazione, ai fini degli
artt. 44, 45 e 192 bis di quest’ultima, secondo una prospettiva che va intesa in
senso restrittivo (16). Più precisamente, gli elementi che connotano la stabile
organizzazione sono riconducibili (17) alla sussistenza, da un lato, di «un
grado sufficiente di permanenza» e, dall’altro lato, di «una struttura idonea in
termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere», utilizzare (o
fornire) «i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta
organizzazione» (ovvero, «di cui assicura la prestazione»).
Ne consegue che il concetto di stabile organizzazione, ai fini del regolamento
n. 282/2011, si caratterizza sotto il duplice profilo della permanenza, che
deve presentare «un grado sufficiente» e dell’esistenza di una struttura, con
una combinazione di mezzi umani e tecnici, suscettibile di porla in grado di
ricevere e utilizzare i servizi che le sono forniti (ai fini dell’art. 44 della
direttiva n. 2006/112), ovvero di fornire i servizi di cui assicura la prestazione
(nella prospettiva dell’art. 45 della medesima direttiva) (18). Peraltro, se un
soggetto passivo dispone di un numero di partita iva in un altro Stato
(14) Cfr. per tutti R. RIZZARDI, Il regolamento di applicazione del sistema comune
iva: come e perché, in Corr. trib., 2011, 1373 ss. e, con specifico riferimento alla
stabile organizzazione, P. CENTORE, Rifusione delle regole iva europee sulla stabile
organizzazione, ivi, 2011, 497 ss.
(15) In virtù dell’art. 10, par. 1 del regolamento n. 282/2011, tale luogo coincide con
quello nel quale «sono svolte le funzioni dell’amministrazione centrale dell’impresa»,
tenendo conto del luogo nel quale sono prese le decisioni essenziali sulla gestione
generale dell’impresa, del luogo della sua sede legale, nonché del luogo nel quale si
riunisce la direzione (par. 2). Se l’applicazione di questi criteri non consente di
determinare con certezza il luogo della sede dell’attività economica, «prevale il
criterio del luogo in cui vengono prese le decisioni essenziali concernenti la gestione
generale dell’impresa». Tuttavia, l’indicazione di un indirizzo postale non è
suscettibile di far presumere, in assenza di altri elementi, che tale indirizzo
corrisponde al luogo nel quale il soggetto passivo ha stabilito la sede della propria
attività economica (par. 3).
(16) Come afferma espressamente il quinto considerando del regolamento n. 282/2011,
in relazione a tutte le disposizioni di applicazione della direttiva n. 2006/112 ivi
contenute, espressamente definite come «norme specifiche in risposta a determinate
questioni» applicative, non estensibili ad altri casi, nella prospettiva di «introdurre un
trattamento uniforme in tutto il territorio dell’Unione».
(17) Ai sensi dell’art. 11, par. 1 e 2 del regolamento n. 282/2011.
(18) Le disposizioni di questo regolamento che fanno un esplicito riferimento al
concetto di stabile organizzazione sono numerose: senza pretesa di esaustività, si
vedano gli articoli 20, 21, 22 e 53 del regolamento n. 282/2011.
67
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
membro, tale fatto non è sufficiente per assumere che abbia in quest’ultimo
una stabile organizzazione (19).
Questo approccio al concetto di stabile organizzazione si caratterizza per
essere non poco pragmatico e suscettibile di valorizzare gli elementi di fatto
delle singole fattispecie, come senza dubbio dimostrano i riferimenti al grado
di permanenza ed alla struttura dotata di mezzi umani e tecnici. Alla luce di
tale definizione, pertanto, sembrano prevalere i profili fattuali ed oggettivi,
nella prospettiva di svincolare l’individuazione della stabile organizzazione
da una valutazione soggettiva, filtrata dal grado di esperienza, da parte di
colui che apprezza, di volta in volta, l’esistenza o meno, in concreto, di tale
figura. Essa, peraltro, nonostante la definizione in esame, in teoria piuttosto
precisa e lineare, sembra avere un perimetro concettuale non privo di ampi
margini di incertezza, in sede applicativa, per la presenza di numerose
sfumature, che richiedono una valutazione oculata ed oggettiva (oltre che
imparziale).
Sotto altro profilo, il regolamento n. 282/2011, in punto di definizione
dell’istituto che ne occupa, sembra aver recepito gli indirizzi interpretativi
della Corte di giustizia europea, evidenziando, in parte qua, una innegabile (e
financo prevedibile) linea di continuità tra l’esperienza giurisprudenziale e le
norme regolamentari che tale giurisprudenza hanno cristallizzato e
ulteriormente precisato nella loro portata applicativa.
In particolare, esse hanno contribuito a chiarire il luogo in cui si considerano
espletate le operazioni imponibili, nella prospettiva di determinare
quest’ultimo in modo uniforme, secondo criteri razionali e, al tempo stesso,
vincolanti, evitando conflitti di competenza tra le autorità fiscali degli Stati
membri dell’UE che sarebbero oltremodo pregiudizievoli, in caso di doppia
imposizione, per i soggetti che svolgono attività economiche in più Stati
membri, ovvero potrebbero provocare, al contrario, un fenomeno di non
imposizione. In entrambi i casi, peraltro, sarebbe pregiudicato l’ordinario
meccanismo di funzionamento del tributo in questione, con particolare
riferimento al principio della sua neutralità, che è la vera stella polare di
questa imposta. (20)
(19) In virtù dell’art. 11, par. 3 del regolamento n. 282/2011 (contra, ai fini del
rimborso dell’iva, Cass. 30 novembre 2012, n. 21380, secondo cui dall’attribuzione
della partita iva ad un soggetto che ne abbia fatto richiesta deriva, per ragioni di
ordine logico-giuridico, la presunzione relativa dell’esistenza di una stabile
organizzazione. In questa prospettiva, colui che agisce per ottenere il rimborso deve
offrire la dimostrazione della mancanza in concreto degli elementi di ordine personale
e materiale, che connotano la nozione di stabile organizzazione).
(20) Funditus, v. A. COMELLI, Iva comunitaria e iva nazionale. Contributo alla
teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, 302 ss.
68
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
3 L’individuazione del concetto di centro di attività stabile e di stabile
organizzazione alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia
europea ed il non condivisibile orientamento in parte qua della
Suprema Corte
Passando all’analisi della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia
europea (21), come hanno sottolineato sia la sentenza 4 luglio 1985, Berkholz
(22), sia l’arresto 20 febbraio 1997, DFDS (23), è necessario, affinché un
centro di attività stabile, diverso dalla sede dell’attività economica (24), possa
essere preso in considerazione, ai fini dell’individuazione del luogo delle
prestazioni di servizi, che esso dimostri «una consistenza minima», per la
«presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per determinate
prestazioni di servizi».
Nel confermare tale assunto, la sentenza 17 luglio 1997, ARO Lease (25)
sottolinea che il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria
attività economica si estrinseca nel luogo cui fare riferimento a titolo
preferenziale, ai sensi dell’art. 9, par. 1 della sesta direttiva n. 77/388. Difatti,
il centro di attività stabile, a partire dal quale viene espletata la prestazione di
servizi, va considerato esclusivamente qualora il riferimento alla sede non sia
suscettibile di condurre ad una soluzione razionale sul piano fiscale, ovvero
crei conflitti tra Stati membri. Per essere preso in considerazione, sia pure in
via residuale, un centro di attività deve presentare «un grado sufficiente di
permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a
rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate» (26),
(21) Cfr. P. CENTORE, Iva europea. Percorsi commentati della giurisprudenza
comunitaria, Milano, 2012, passim.
(22) Causa C-168/84, in Racc., 1985, 2257 ss. Si veda C. CORRADO OLIVA, Le
disposizioni fiscali nel diritto dell’Unione europea, in V. UCKMAR, G.
CORASANITI, P. DE’ CAPITANI DI VIMERCATE, C. CORRADO OLIVA,
Diritto tributario internazionale. Manuale, Padova, 2012, 171.
(23) Causa C-260/95, in Riv. dir. trib., 1997, II, 579 ss., con nota di S. ARMELLA, Il
regime iva delle agenzie di viaggi.
(24) In virtù dell’art. 9, par. 1, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n.
77/388, successivamente rifusa nella direttiva n. 2006/112, il quale considera il luogo
delle prestazioni di servizi, che viene stabilito nel «luogo in cui il prestatore ha fissato
la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a
partire dal quale la prestazione di servizi viene resa», mentre, in assenza di tale sede o
di tale centro di attività stabile, si considera «il luogo del suo domicilio o della sua
residenza abituale».
(25) Causa C-190/95, in Riv. dir. trib., 1998, III, 3 ss., con nota di S. ARMELLA, Il
regime iva delle operazioni di leasing dei mezzi di trasporto in ambito comunitario.
La sentenza (unitamente a quella denominata Berkholz) è citata nel recente arresto
della Suprema Corte 17 gennaio 2013, n. 1103.
(26) La Corte afferma che, se una società di leasing, come nel caso di specie, non
dispone in un altro Stato membro di personale proprio e nemmeno di una struttura
avente un sufficiente grado di stabilità, nell’ambito della quale possano essere redatti
contratti, ovvero prese decisioni amministrative, tale struttura non è suscettibile di
rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi in questione
69
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
essendo il principio generale di cui all’art. 9, par. 1, in esame «un criterio
sicuro, semplice e concretamente attuabile», il quale tiene «conto della realtà
economica».
Nel solco tracciato da questo arresto si colloca la sentenza 7 maggio 1998,
Lease Plan (27), secondo cui «un’impresa stabilita in uno Stato membro che
concede in locazione o in leasing un certo numero di autoveicoli a clienti
stabiliti in un altro Stato membro, non dispone, per il solo fatto di tale
concessione in locazione, di un centro di attività stabile nell’altro Stato
membro», in assenza in quest’ultimo di proprio personale e di una struttura
avente un sufficiente grado di stabilità.
La successiva sentenza 23 marzo 2006, FCE Bank (28), confezionata per
effetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di
cassazione italiana (29), ha esaminato il caso di una sede secondaria, situata in
Italia, di una società (30) stabilita nel Regno Unito, il cui oggetto sociale
consisteva nello svolgimento di attività finanziarie. La succursale italiana
aveva ricevuto alcune prestazioni di servizi da parte della casa madre
relativamente alle materie della consulenza, gestione, formazione del
personale, del trattamento di dati, e di fornitura e gestione di servizi di
software.
La succursale aveva chiesto il rimborso dell’iva assolta su queste prestazioni
ricevute, le quali erano state «autofatturate» e l’amministrazione finanziaria
aveva opposto il silenzio rifiuto, la cui impugnazione aveva dato luogo ad un
giudizio, che la Corte di cassazione ha ritenuto di sospendere, sottoponendo
tre questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia europea.
Quest’ultima, nell’arresto citato, afferma che la succursale non sopporta i
rischi economici collegati all’esercizio dell’attività creditizia, tra i quali, a
titolo meramente esemplificativo, il mancato rimborso di prestiti da parte di
alcuni clienti. La banca, quale persona giuridica, sopporta tali rischi ed è
soggetta, nello Stato membro di origine, ad un controllo di solidità finanziaria
e di solvibilità. La succursale stabilita in Italia non ha un proprio fondo di
dotazione ed è giuridicamente dipendente dalla casa madre, con la quale
forma un unico soggetto passivo e, quale corollario, l’accordo per la
(riconducibili essenzialmente alla locazione di veicoli in leasing, compresa la
negoziazione, la stesura, la sottoscrizione e la gestione dei relativi contratti) e non può
essere qualificata come un centro di attività stabile in tale Stato, in virtù dell’art. 9,
par. 1 della sesta direttiva n. 77/388.
(27) Nella causa C-390/96, in Riv. dir. trib., 1999, III, 3 ss., con nota di P. PISTONE,
Centro di attività stabile e stabile organizzazione: l’iva richiede un’evoluzione per il
XXI secolo?, relativa ad una società di leasing, come la causa ARO Lease sopra citata.
(28) Nella causa C-210/04, in G.T.-Riv. giur. trib., 2006, 651 ss., con commento di P.
CENTORE, «Centro stabile» e «stabile organizzazione» ai fini iva.
(29) Trattasi dell’ordinanza della Suprema Corte 23 aprile 2004, n. 7851, in Riv. dir.
trib. int., 2004, 1181 ss., con nota di R. SUCCIO, Rimessa alla Corte di giustizia CE
la soggettività giuridico-tributaria, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, della
stabile organizzazione.
(30) La FCE Bank.
70
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
ripartizione dei costi non è stato negoziato da soggetti tra loro indipendenti,
vale a dire distinti ed autonomi.
Proseguendo questa breve ricognizione giurisprudenziale, l’arresto 28 giugno
2007, Planzer Luxembourg (31), sottolinea nuovamente che il centro di
attività stabile presuppone «una consistenza minima, data la presenza
permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per determinate prestazioni
di servizi» e, conseguentemente, «un grado sufficiente di permanenza ed una
struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in
modo autonomo le prestazioni di servizi considerate» (32).
Alla luce di questa sintetica ricognizione nella giurisprudenza della Corte di
giustizia, emerge che il concetto che ne occupa è largamente differenziato,
sul versante dell’iva, rispetto alla stabile organizzazione ai fini delle imposte
sui redditi, come risulta dal modello di convenzione dell’OCSE (33).
Al punto che potrebbe sussistere una stabile organizzazione per uno dei due
settori dell’imposizione, ma non per l’altro, secondo una combinazione
fattuale che può presentare, in concreto, una molteplicità di sfaccettature. La
sovrapposizione dei relativi concetti, pertanto, non è consentita, laddove tale
approccio interpretativo, che privilegia l’individuazione di una categoria
unitaria e unificante, ma che unitaria non è, può condurre a risultati
ermeneutici non poco discutibili e financo fuorvianti.
Per queste ragioni, non può essere condiviso l’orientamento della Suprema
Corte (34), secondo cui, «in tema di iva, la nozione di stabile organizzazione
di una società straniera va desunta dall’art. 5 del modello di convenzione
OCSE contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i
requisiti prescritti dall’art. 9 della sesta direttiva CEE n. 77/388 del Consiglio
del 17 maggio 1977 per l’individuazione di un centro di attività stabile» (35).
Quest’ultimo, secondo tale prospettiva, può estrinsecarsi in «un’entità dotata
di personalità giuridica, alla quale la società straniera abbia affidato anche di
fatto la cura di affari», sia pure con l’esclusione delle attività di carattere
(31) Nella causa C-73/06, massimata in Corr. trib., 2007, 2605, con commento di P.
CENTORE.
(32) In negativo, afferma la sentenza in esame che «non costituisce un centro di attività
stabile un’istallazione fissa utilizzata ai soli fini di effettuare, per conto dell’impresa,
attività di carattere preparatorio o ausiliario quali l’assunzione del personale o
l’acquisto dei mezzi tecnici necessari allo svolgimento delle attività dell’impresa».
(33) Cfr. D. AVOLIO, B. SANTACROCE, Il difficile rapporto della giurisprudenza di
merito con le indicazioni fornite dall’OCSE, in G.T.-Riv. giur. trib., 2010, 1080 ss.
(34) Sentenza 29 maggio 2012, n. 20678, in Corr. trib., 2012, 2263 ss., con commento
di D. AVOLIO, B. SANTACROCE, Per la stabile organizzazione basta
l’affidamento degli affari.
(35) Nello stesso senso, cfr. Cass. 28 giugno 2012, n. 10802; Cass. 21 aprile 2011, n.
9166; Cass. 15 febbraio 2008, n. 3889, in Rass. trib., 2008, 750 ss., con commento di
P. CENTORE, La rilevanza (parziale) della stabile organizzazione ai fini dell’iva;
Cass. 28 luglio 2006, n. 17206; con riferimento esplicito al concetto di stabile
organizzazione, che va espunto dal modello OCSE, opportunamente integrato, ai fini
dell’iva, con quello più restrittivo previsto dall’ordinamento comunitario, v. Cass. 25
luglio 2002, n. 10925.
71
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
preparatorio o ausiliario come, ad esempio, la fornitura di know how (36). Al
fine di provare l’espletamento di tale attività da parte del soggetto nazionale,
secondo l’orientamento della Suprema Corte, occorre fare riferimento agli
elementi indicati nell’art. 5 del modello di convenzione OCSE, oltre che ad
«elementi indiziari, quali l’identità delle persone fisiche che agiscono per
l’impresa straniera e per quella nazionale, ovvero la partecipazione a
trattative o alla stipulazione di contratti, indipendentemente dal conferimento
di poteri di rappresentanza» (37). «Si ha stabile organizzazione di una società
straniera in Italia quando questa abbia affidato, anche di fatto, la cura dei
propri affari in territorio italiano ad altra struttura munita o no di personalità
giuridica».
Al riguardo, la commistione tra gli elementi ricavabili dall’art. 5 del modello
di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni ed i requisiti previsti per
l’esistenza di un centro di attività stabile, ai sensi dell’art. 9 della direttiva n.
77/388, non coglie affatto nel segno, laddove non considera la netta
differenza settoriale tra le imposte sui redditi e l’iva. L’approccio della
Suprema Corte, in altre parole, sembra pervenire ad una nozione eclettica di
stabile organizzazione, che attinge simultaneamente da più fonti del tutto
eterogenee e non è suscettibile di valorizzare appieno le peculiarità (ed i
principi generali) del sistema dell’iva.
4 I rapporti tra la casa madre, soggetto passivo stabilito in uno Stato
membro e la sua stabile organizzazione situata in un altro Stato
membro: unicità del soggetto passivo, il quale coincide con la casa
madre, alla luce dell’arresto FCE Bank
Come già sottolineato in relazione all’arresto FCE Bank, la Corte di giustizia
europea ha statuito che la sede secondaria in Italia di una società stabilita nel
Regno Unito, esercente l’attività bancaria, «costituisce un soggetto passivo
unico», laddove la filiale non sopporta i rischi economici connessi
all’esercizio di tale attività e non dispone di un proprio fondo di dotazione.
(36) V. le sentenze n. 10802/2012, 9166/2011, 3889/2008 e 17206/2006, cit. nella nota
precedente.
(37) In senso sintonico, cfr. Cass. 7 ottobre 2011, n. 20597, in Corr. trib., 2011, 4015
ss., con commento di M. PENNESI, Le sedi plurime a direzione unitaria sono stabile
organizzazione; Cass. 9166/2011, cit. Si veda anche P. VALENTE, La stabile
organizzazione nelle disposizioni interne e convenzionali e nella sentenza della Corte
di Cassazione n. 20597/2011, in Fisco, 2011, 1-6831 ss. Sottolinea l’arresto n.
20597/2011, cit., che l’accertamento della sussistenza dei requisiti del centro di
attività stabile o della stabile organizzazione dev’essere condotto non solamente sul
piano formale, ma anche e soprattutto su quello sostanziale. Con riferimento alle
imposte sui redditi, v. Cass. 9 aprile 2010, n. 8488, in Corr. trib., 2010, 2159 ss., con
commento di D. AVOLIO, B. SANTACROCE, C’è stabile organizzazione anche se
l’agente segue le direttive della società, relativamente all’art. 5 della Convenzione
italo-svizzera contro le doppie imposizioni, ratificata con legge n. 943/1978.
72
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
Conseguentemente, il ribaltamento di costi tra la casa madre stabilita in uno
Stato membro ed un centro di attività stabile situato in un altro Stato membro,
«in materia di consulenza, gestione, formazione del personale, trattamento di
dati, nonché di fornitura e gestione di servizi di software», non è suscettibile
di far assumere a tale centro di attività stabile la qualifica di soggetto passivo
autonomo rispetto alla casa madre (38).
Alla luce di tale fondamentale arresto, sotto il profilo delle prestazioni di
servizi, non opera una vera e propria frattura, sul versante soggettivo, tra la
casa madre ed il centro di attività stabile o la stabile organizzazione, ma
semmai sussiste una linea di continuità, correlata alla unicità del soggetto
passivo (39). Tale assunto, peraltro, è confermato dalle seguenti disposizioni:
a) l’art. 10 del regolamento n. 282/2011, con riferimento
all’individuazione dei criteri generali, per stabilire il luogo delle operazioni
imponibili, ai fini dell’applicazione degli artt. 44 e 45 della direttiva n.
2006/112;
b) l’art. 17, par. 1 di quest’ultima direttiva, il quale assimila ad una
cessione di beni, espletata a titolo oneroso, il trasferimento di beni mobili
materiali, mediante spedizione o trasporto da parte del soggetto passivo o per
suo conto, in un altro Stato membro, «per le esigenze della sua impresa».
Tale assimilazione sembra necessaria proprio in virtù della negazione del
requisito della terzietà del soggetto (ivi compresa la stabile organizzazione
stabilita in uno Stato membro) che riceve il bene mobile materiale, rispetto al
soggetto che invia il bene medesimo, vale a dire la casa madre, stabilita in un
altro Stato membro (40).
Conseguentemente, è del tutto condivisibile quanto affermato da
un’autorevole dottrina (41), secondo cui «l’esistenza della stabile
organizzazione non determina una soluzione di continuità nella soggettività
del soggetto non residente, essa è solo una struttura operativa che, nei limiti
ricavabili dal sistema delle disposizioni della direttiva 2006/112/CE del 28
novembre 2006, e successive modificazioni, assume una rilevanza quale
(38) Sul sistema delle regole doganali, sotto il profilo dei rapporti tra stabile
organizzazione e casa madre, cfr. S. MAYR, B. SANTACROCE, Stabile
organizzazione: tematiche e prospettive, cit., loc. cit., 1958 s., i quali sottolineano
l’approccio dualistico, che implica una distinzione tra la stabile organizzazione e la
casa madre, con una serie di corollari sia sul versante identificativo, sia su quello
accertativo.
(39) Per tali motivi, è condivisibile l’assunto di P. CENTORE, La stabile
organizzazione è un normale «taxpayer» ai fini iva?, in Corr. trib., 2013, 1884,
secondo cui «la stabile organizzazione iva non ha una forza attrattiva come quella ai
fini reddituali, nel senso che ad essa vanno imputate le operazioni effettivamente
effettuate, in senso attivo e passivo, e vanno in ogni caso esclusi i rapporti con la casa
madre, rimanendo la stabile organizzazione una filiale, priva di alterità rispetto alla
sede centrale».
(40) In senso sintonico, cfr. P. CENTORE, La nuova iva europea e nazionale.
L’evoluzione verso il regime definitivo, Milano, 2011, 148.
(41) Precisamente da M. BASILAVECCHIA, Novità in tema di detrazione e di stabile
organizzazione, in Corr. trib., 2009, 3262.
73
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
centro di imputazione di alcuni effetti giuridici connessi all’applicazione
dell’iva, senza peraltro assurgere a soggetto autonomo e distinto rispetto al
soggetto cui “appartiene”».
Tuttavia, si dovrebbe pervenire ad una diversa conclusione qualora la stabile
organizzazione agisca con un elevato grado di autonomia, rispetto alla casa
madre, suscettibile di frantumare l’assenza di terzietà, che ordinariamente
governa i rapporti in questione. In questa ipotesi, la stabile organizzazione
assumerebbe la veste giuridica della soggettività passiva, in considerazione
dell’ampia definizione contenuta nell’art. 9 della direttiva n. 2006/112 e,
lungi dall’essere una mera «scatola vuota», sarebbe autonomamente soggetta
ad imposta (42), vale a dire potrebbe espletare operazioni rilevanti, ai fini
dell’iva, indipendentemente dalla casa madre, in quanto soggetto terzo
rispetto a quest’ultima (43).
5 Le prestazioni di servizi tra la stabile organizzazione nel territorio
dello Stato ed i soggetti terzi, nell’ipotesi di effettivo e diretto
coinvolgimento della prima nell’espletamento delle operazioni, attive
e passive. Il problema del soggetto debitore dell’imposta verso
l’erario, alla luce degli artt. 192 bis della direttiva n. 2006/112 e 53 del
regolamento n. 282/2011
Non richiede particolari approfondimenti di tipo sistematico la fattispecie
nella quale il soggetto stabilito in un altro Stato membro effettui
un’operazione verso terzi, sia nell’ipotesi in cui non abbia istituito una stabile
organizzazione in Italia, sia in quella che l’abbia istituita, a condizione che
tale stabile organizzazione non sia coinvolta, in senso attivo o passivo,
nell’operazione medesima, vale a dire a condizione che sia estranea rispetto a
tale operazione.
Al contrario, occorre soffermarsi sull’ipotesi inversa, vale a dire qualora
sussista un effettivo e diretto coinvolgimento della stabile organizzazione
nell’effettuazione delle operazioni, attive e passive. Le problematiche non
poco delicate emergenti in tale fattispecie sono duplici, laddove, da un lato,
occorre individuare con precisione il luogo delle prestazioni di servizi, al fine
di eliminare il potenziale conflitto territoriale tra Stati membri e, dall’altro
lato, dev’essere esaminata la tematica del soggetto debitore dell’imposta
verso l’erario, alla luce degli artt. 192 bis della direttiva n. 2006/112 e 53 del
regolamento n. 282/2011.
Sotto il primo profilo, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 44 e
45 della direttiva n. 2006/112. Il luogo delle prestazioni di servizi rese a una
stabile organizzazione del soggetto passivo coincide col luogo in cui è
stabilita quest’ultima e non con quello nel quale tale soggetto passivo ha
(42) In senso sintonico, cfr. Corte di giustizia europea 25 ottobre 2012, Daimler, nelle
cause riunite C-318/11 e C-319/11, cit.
(43) Nello stesso senso, cfr. P. CENTORE, La stabile organizzazione è un normale
«taxpayer» ai fini iva?, cit., loc. cit., 1884 s.
74
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
fissato la sede della propria attività economica (44). Come già anticipato nel
precedente paragrafo 2 di questa ricerca, il concetto di stabile organizzazione,
ai fini dell’applicazione degli artt. 44 e 45 da ultimo citati, è precisamente
individuato dall’art. 11, par. 1 e 2 del regolamento n. 282/2011.
Ne consegue che sussiste un assetto ordinamentale sufficientemente chiaro
con riferimento, sia alle regole relative all’esatta individuazione del luogo
delle prestazioni di servizi, sia ai fini della nozione di stabile organizzazione,
in considerazione dell’esperienza giurisprudenziale della Corte di giustizia
europea, la quale, come è già stato sottolineato, ha stabilito alcuni importanti
principi (45). A tale riguardo, risultano precisati con apprezzabile rigore i
profili rispettivamente territoriale e soggettivo, nonostante la sovrapposizione
di norme collocate in fonti diverse, laddove gli artt. 44 e 45 della direttiva n.
2006/112 postulano l’implementazione negli ordinamenti domestici degli
Stati membri, contrariamente all’art. 11 del regolamento n. 282/2011, che
non richiede tale recepimento.
Conseguentemente, la stessa fattispecie risulta in parte qua disciplinata da
norme che si collocano in tre tipologie di atti normativi, vale a dire a livello
di direttiva (n. 2006/112), regolamento (n. 282/2011) e disciplina interna di
implementazione della prima, con la necessità di confrontare, sul versante
metodologico, ogni singolo comma della disciplina domestica con quella
contenuta nella medesima direttiva, alla luce delle disposizioni regolamentari
e della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia europea.
Sotto il profilo del soggetto debitore dell’imposta verso l’erario, occorre
considerare l’art. 192 bis della direttiva n. 2006/112, la cui ratio è quella di
chiarire e semplificare l’applicazione del sistema di inversione contabile (vale
a dire, del reverse charge) (46), in presenza di un soggetto passivo stabilito in
uno Stato membro identificato anche in un altro Stato membro, in cui è
debitore d’imposta, attraverso una stabile organizzazione, per effetto
dell’espletamento di cessioni di beni, ovvero di prestazioni di servizi (47). Più
precisamente, l’art. 192 bis risolve la questione della precisa individuazione
del debitore dell’imposta verso l’erario, laddove distingue opportunamente se
l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi imponibile) è espletata
da o nei confronti del soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato
membro in questione, ovvero della sua stabile organizzazione localizzata nel
territorio di quest’ultimo Stato, nel quale è debitore di imposta.
Difatti, se la controparte è un soggetto passivo non stabilito nel territorio
dello Stato membro in cui è debitore dell’imposta o, al contrario, è ivi
stabilito, rileva in modo non poco significativo.
(44) In tal senso dispone l’art. 44 della direttiva n. 2006/112. Ai sensi del successivo
art. 45, se una stabile organizzazione effettua prestazioni di servizi a persone che non
sono soggetti passivi, il luogo delle prestazioni di tali servizi è quello nel quale è
situata la stabile organizzazione e non quello in cui è fissata la sede dell’attività
economica della casa madre.
(45) Si veda, in proposito, il paragrafo 3 di questa ricerca.
(46) Cfr. P. CENTORE, La nuova iva europea e nazionale, cit., 150 ss.
(47) Al riguardo, cfr. gli artt. 193 e seguenti della direttiva n. 2006/112.
75
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
Nel primo caso, è applicabile, in via di principio, il regime del reverse charge
(48), vale a dire l’integrazione della fattura (da parte del cessionario del bene
o del committente del servizio) emessa senza iva dal soggetto passivo
stabilito in un altro Stato membro (49). Nel secondo caso, invece, la disciplina
applicabile sarà quella ordinaria, secondo cui «l’iva è dovuta dal soggetto
passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi
imponibile» (50) e, com’è noto, dovrà essere emessa la fattura con addebito
dell’iva da parte del cedente il bene o del prestatore del servizio.
In questa prospettiva, l’art. 192 bis in esame è caratterizzato da un
formulazione a dir poco oscura e di non facile comprensione, oltre che da una
collocazione infelice, sul versante sistematico.
Tale articolo, tuttavia, ha il pregio di risolvere la problematica in questione
affermando che un soggetto passivo (casa madre), il quale dispone di una
stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui è debitore
dell’imposta, è considerato soggetto passivo ivi non stabilito, al verificarsi
delle seguenti due condizioni: (a) esso effettua in tale Stato una cessione di
beni, ovvero una prestazione di servizi imponibile; (b) la stabile
organizzazione non partecipa all’operazione di cui alla precedente lettera a).
Nell’ipotesi in esame, si rende applicabile la disciplina dell’inversione
contabile (reverse charge), mentre, a parità di altre condizioni, se la stabile
organizzazione partecipa all’effettuazione dell’operazione imponibile, si
applica il meccanismo ordinario e non quello dell’inversione contabile (51).
6 Osservazioni conclusive. La funzione primaria espletata dal concetto
di stabile organizzazione, sotto il profilo dell’iva, è riconducibile alla
necessità di una ripartizione territoriale uniforme tra gli Stati
membri, fondata su criteri razionali e largamente oggettivi
Alla luce di quanto affermato, possono essere tratti i più immediati corollari.
Innanzi tutto, la tematica della stabile organizzazione, ai fini dell’iva (52), si
configura come un concetto sempre più ricco di sfaccettature (53).
(48) Secondo le condizioni di applicazione stabilite dagli Stati membri, in
considerazione dell’art. 194 della direttiva n. 2006/112.
(49) Sul meccanismo del reverse charge, cfr. M. MERKX, Fixed Establishments and
VAT Liabilities under EU VAT – Between Delusion and Reality, in International VAT
Monitor, 2012, 22 ss. e specialmente 24 ss.
(50) Così dispone l’art. 193 della direttiva n. 2006/112.
(51) Cfr., in senso sintonico, P. CENTORE, Iva europea. Percorsi commentati, cit.,
319.
(52) Sull’esistenza di una stabile organizzazione, ai fini dell’iva, v. anche Comm. trib.
prov. Milano 12 settembre 1997, in Riv. dir. trib., 1998, IV, 96 ss., con nota di P.
ADONNINO, L’individuazione della stabile organizzazione e la prova della sua
esistenza e in Giur. it., 1998, 829 ss., con nota di M. CERRATO, Considerazioni in
tema di stabile organizzazione ai fini dell’iva e delle imposte sui redditi; Comm. trib.
prov. Milano 25 marzo 1999, in Riv. dir. trib., 1999, IV, 189 ss., con nota dello stesso
76
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
L’assetto della disciplina ut supra analizzato, sia pure in modo
necessariamente sintetico, lascia emergere una nozione non poco divergente
da quella prevista ai fini delle imposte sui redditi, con particolare riferimento
al modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni. Di
conseguenza, palesa una forzatura, sul versante ricostruttivo, l’orientamento
della Suprema Corte finalizzato a valorizzare, sul piano dell’iva, la disciplina
della stabile organizzazione ai fini delle imposte sui redditi, laddove non
dev’essere affatto obliterata la specificità che caratterizza il sistema dell’iva
europea, quale tributo largamente armonizzato nell’alveo del diritto
dell’Unione Europea, rispetto alla sfera dell’imposizione sui redditi, dove la
sovranità degli Stati membri resta tuttora non poco ampia.
D’altro canto, manca una vera e propria definizione di stabile organizzazione
nel testo della direttiva n. 2006/112, mentre utili elementi, sul versante
ricostruttivo, possono essere ricavati dal testo degli artt. 11 e 53 del
regolamento n. 282/2011. Da essi scaturisce un concetto largamente ancorato
al duplice profilo del sufficiente grado di permanenza della struttura e
dell’idoneità di quest’ultima, mediante una combinazione di mezzi umani e
tecnici, a ricevere o espletare prestazioni di servizi e/o cessioni di beni.
Questa impostazione lascia trasparire un approccio pragmatico alla tematica
che ne occupa e consente di enfatizzare i profili fattuali della singola
fattispecie, riconducibile (o meno) alla stabile organizzazione, nella
prospettiva di affrancare largamente quest’ultima da apprezzamenti di
carattere soggettivo, dipendenti dalle conoscenze tecniche e dall’esperienza
maturata dal soggetto valutatore.
Sono state affrontate, inoltre, le problematiche afferenti alle cessioni di beni
ed alle prestazioni di servizi poste in essere tra il soggetto passivo stabilito in
uno Stato membro e la sua stabile organizzazione di cui dispone lo stesso
soggetto in un altro Stato membro, considerando l’unicità del soggetto
passivo medesimo, sul versante dell’iva, sia pure con alcune eccezioni.
Più complesso appare l’inquadramento delle operazioni espletate tra il
soggetto passivo (casa madre), la sua stabile organizzazione stabilita in un
altro Stato membro e gli operatori nazionali situati in quest’ultimo Stato,
sotto il profilo dell’applicazione o meno del meccanismo dell’inversione
contabile (reverse charge). Al riguardo, gli artt. 192 bis della direttiva n.
2006/112 (nonostante la sua formulazione tutt’altro che chiara e la sua
collocazione infelice) e 53 del regolamento n. 282/2011 offrono all’interprete
Autore, La stabile organizzazione nelle imposte dirette e nell’iva tra irrilevanza del
controllo societario e coincidenza con il concetto di centro di attività stabile.
(53) Cfr. C. CLÉMENT, La notion d’établissement stable en matière de TVA, in Revue
de Jurisprudence fiscal, 1997, 296 ss.; A. FIORELLI, A. SANTI, Specificità del
concetto di “stabile organizzazione” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, in Rass.
trib., 1998, 367 ss.; P. LUDOVICI, Il regime impositivo della stabile organizzazione
agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1998, I, 67 ss.; ID.,
Recenti orientamenti di prassi amministrativa in merito all’applicazione dell’iva nei
rapporti internazionali, ivi, IV, 249 ss.; G. SMUSSI, A. PERANI, Il concetto di
stabile organizzazione ai fini iva, in Corr. trib., 1999, 2783 ss.
77
I RAPPORTI, SOTTO IL PROFILO DELL’IVA, TRA STABILE
ORGANIZZAZIONE, CASA MADRE E TERZI
gli strumenti fondamentali per risolvere, caso per caso, il problema che ne
occupa, la cui soluzione è strettamente collegata all’eventuale partecipazione
effettiva e concreta della stabile organizzazione all’effettuazione della singola
cessione di beni o prestazione di servizi.
Se sussiste la partecipazione in questione si realizzano le condizioni per
l’applicazione del meccanismo ordinario di funzionamento del tributo,
mentre se la stessa partecipazione non ha luogo, l’operazione si considera
svolta con un soggetto passivo non stabilito nello Stato in cui quest’ultimo è
debitore dell’imposta ed opera il sistema dell’inversione contabile (reverse
charge), con integrazione della fattura, a cura del cessionario del bene o del
committente del servizio.
L’assetto della disciplina in questione appare largamente collegato
all’individuazione dei criteri definitori della partecipazione della stabile
organizzazione all’effettuazione della cessione di beni e/o della prestazione di
servizi, suscettibile di determinare l’applicazione o la non applicazione del
regime dell’inversione contabile (reverse charge), con tutte le conseguenze
che ne scaturiscono, sul versante applicativo.
Più in generale, la funzione essenziale espletata dal concetto di stabile
organizzazione, sotto il profilo dell’iva, è riconducibile alla necessità di una
ripartizione territoriale uniforme tra gli Stati membri (54), fondata su criteri
razionali e largamente oggettivi. Difatti, occorre evitare potenziali conflitti di
competenza territoriale tra gli Stati medesimi, qualora un soggetto passivo
stabilito in uno Stato membro svolga la propria attività economica in un altro
Stato membro, mediante una stabile organizzazione.
I suddetti criteri sono finalizzati a stabilire quali regole domestiche (ancorché
largamente armonizzate in tutta l’Unione europea) devono essere applicate
alle operazioni espletate, anche in relazione all’eventuale criterio
dell’inversione contabile (reverse charge), con tutti i corollari che
discendono da questa precisa e razionale individuazione.
(54) Di vere e proprie «ramificazioni territoriali» dei gruppi multinazionali, i quali si
comportano come un’impresa unica a livello mondiale, parla A. TOMASSINI, Stabili
organizzazioni, cit., loc. cit., 1498.
78
Prof. Angelo Contrino
Professore Università Bocconi di Milano
Stabile organizzazione e credito per le imposte estere*
* La relazione, non pervenuta in tempo per l’inserimento nel volume, appena
disponibile verrà pubblicata sul sito www.uckmar.net
Prof. Giuseppe Corasaniti
Professore Università degli Studi di Brescia
La stabile organizzazione e l’ exit taxation
SOMMARIO: 1 Introduzione - 2 La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul
trasferimento di residenza delle società: il caso National Grid Indus BV. -2.1 (segue)
Il caso Commissione c. Spagna - 2.2 (Segue) Il caso Commissione c. Danimarca. 2.3 (Segue) Il caso pendente DMC - 3 La normativa italiana sul trasferimento
all’estero della residenza dei soggetti esercenti attività di impresa commerciale: l’art.
166 TUIR. - 3.1 Il decreto attuativo di cui all’art. 166, comma 2-quinquies, TUIR - 4
Conclusioni.
1 Introduzione.
Al fine di contrastare possibili fenomeni evasivi salvaguardando al contempo
la coerenza del proprio sistema fiscale interno, numerosi Stati membri
dell’Unione Europea hanno introdotto disposizioni volte ad assoggettare ad
imposta i valori latenti maturati da imprese residenti che, trasferendosi
all’estero, finirebbero col realizzare tali plusvalori nel nuovo Stato di
residenza ove risulterebbero imponibili, frustrando così la potestà impositiva
dello Stato di origine.
Coerentemente con tale ratio, il regime della cd. exit tax non si applica
allorquando i beni o i fondi in sospensione di imposta confluiscono in una
stabile organizzazione del soggetto che si trasferisce1.
Tale misura, oltre a suscitare preoccupazione tanto nelle singole imprese
quanto nei grandi gruppi societari, ha attirato l’attenzione degli organi
europei (in particolare della Commissione e della Corte di Giustizia UE), che,
pur condividendo la ratio sottostante il regime in commento, ne hanno di
fatto dichiarato l’incompatibilità con l’ordinamento europeo nei limiti in cui
esso ostacola la libertà di stabilimento di attività economiche nel territorio
dell’Unione e dello Spazio economico europeo anche nell’ambito di
operazioni di riorganizzazione societaria.
Già a partire dal 2006 il tema della compatibilità della exit tax con
l’ordinamento europeo è al centro dell’attenzione degli organi europei
quando, con la COM(2006)825, la Commissione europea, alla luce di quanto
1
Cfr. V. Uckmar, G. Corasaniti, P. De’ Capitani di Vimercate, C. Corrado Oliva,
Diritto tributario internazionale, Manuale, seconda edizione, Padova, 2012, 241 ss; J.
Van Hoorn jr, Il trasferimento di sede di società alla luce del diritto comunitario, in
Dir. prat. trib., 1989, II, 383; L. Miele, “Exit Tax” sul trasferimento della residenza
fiscale all’estero, in Corr. Trib., 6, 2010, 434 ss; T. O’Shea, European Tax
Controversies: A British –Dutch Debate: Back to Basics and Is the ECJ Consistent?,
in World Tax Journal, February 2013, 100 ss.
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
disposto nella sentenza De Lasteyrie du Salliant2 in cui la Corte di Giustizia
ha dichiarato incompatibile con la libertà di stabilimento la exit tax francese
sui plusvalori latenti in capo ad una persona fisica all’atto di trasferirsi in uno
Stato membro diverso da quello di origine, aveva individuato nella disciplina
relativa alla exit tax una possibile area di coordinamento normativo europeo,
senza tuttavia che tale auspicio trovasse accoglimento nelle legislazioni dei
singoli Stati membri.
È stata pertanto la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE a dover
colmare tale mancanza di coordinamento e adeguamento normativo,
definendo i confini di una disciplina che risulta oggi notevolmente
ridimensionata e proporzionata al contesto europeo.
Lo stesso legislatore italiano, preso atto degli orientamenti espressi dalla
Corte di Giustizia nonché dei rilievi mossi dalla Commissione Europea, ha
introdotto delle modifiche nella propria normativa interna che tuttavia, in
assenza di una disciplina attuativa che ne definisca i contorni, non consente
agli operatori di cogliere appieno quanto il legislatore nazionale abbia
recepito degli orientamenti espressi in sede europea.
2 La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul trasferimento di
residenza delle società: il caso National Grid Indus BV.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha come detto sostanzialmente
riscritto la disciplina di numerosi Stati membri in materia di exit tax dapprima
definendone i limiti con riferimento alle persone fisiche e successivamente
con riferimento a quelle giuridiche.
Se in materia di persone fisiche, con le sentenze 11 maggio 2004, causa C09/02, Lasterye du Saillant e 7 settembre 2006, causa C – 470/04, N3, la
Corte di Giustizia ha avuto modo di dichiarare incompatibili con la libertà di
stabilimento le misure nazionali che, pur essendo dettate dall’esigenza di
prevenire il rischio di evasione, introducono un meccanismo di imposizione
delle plusvalenze latenti in caso di trasferimento del domicilio fiscale al di
fuori dello Stato4, in materia societaria5 il leading case è rappresentato dalla
sentenza National Grid Indus6.
2
Sentenza 11 marzo 2004, C – 9/02, in GT - Riv. giur. trib., 6, 2004, 505, con
commento di M. Muscolino.
3
Cfr., S. Boers, Attualità ed esperienza nella exit tax olandese, in Rass. Trib., 4,
2006, 1401.
4
L’art. 167-bis del Code général des impots dispone che: “I contribuenti fiscalmente
domiciliati in Francia per un periodo di almeno sei anni nel corso degli ultimi dieci
anni sono soggetti ad imposizione fiscale, alla data del trasferimento del loro
domicilio al di fuori della Francia, per le plusvalenze accertate sui diritti societari
menzionati dall’art. 160”.
L’art. 160 dispone che “Qualora un socio, azionista, accomandatario, o portatore di
quote beneficiarie cede, nel corso della durata della società, tutti o parte dei propri
diritti societari, l’eccedenza del prezzo di cessione di tali diritti rispetto al prezzo di
acquisto (…) è imputata esclusivamente all’imposta sul reddito al tasso del 16%. In
82
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
Il caso era quello di una società a responsabilità limitata di diritto olandese
che aveva trasferito la propria sede amministrativa dai Paesi Bassi al Regno
Unito senza lasciare nei Paesi Bassi una stabile organizzazione in cui far
confluire i beni su cui fossero nel frattempo maturati plusvalori latenti7.
La normativa olandese allora vigente prevedeva che tali plusvalenze latenti si
sarebbero dovute considerare realizzate nel periodo d’imposta in cui la
società aveva cessato di produrre redditi imponibili nei Paesi Bassi,
trasferendo all’estero la sua sede.
La contestazione mossa nei confronti della società da parte
dell’Amministrazione finanziaria olandese per il mancato assolvimento
dell’imposta in Olanda era stata impugnata e, in secondo grado, il giudizio
era stato sospeso al fine di sottoporre alla Corte di Giustizia la questione
pregiudiziale concernente la compatibilità del regime olandese in materia di
exit tax con la libertà di stabilimento di cui all’art. 43 CE (oggi art. 49
TFUE).
La Corte, dopo aver verificato la compatibilità della legislazione nazionale
con la libertà di stabilimento alla luce dei principi elaborati nelle sentenze
Daily Mail e Cartesio8, ha osservato come [l]a normativa nazionale di cui
alla causa principale non riguarda la determinazione delle condizioni
richieste da uno Stato membro ad una società, costituita conformemente alla
sua legislazione, affinché possa mantenere il proprio status di società di tale
Stato membro dopo il trasferimento della propria sede amministrativa
effettiva in un altro Stato membro. Al contrario, la suddetta normativa si
caso di cessione di uno o più titoli appartenenti ad una serie di titoli della medesima
natura acquistati a prezzi diversi, il prezzo d’acquisto da considerare è dato dalla
media ponderata del valore d’acquisto dei titoli stessi (…).
L’imposizione della plusvalenza così realizzata è subordinata alla sola condizione che
i diritti detenuti direttamente o indirettamente negli utili societari dal cedente o dal suo
coniuge, dai loro ascendenti o discendenti, abbiano superato complessivamente il 25
per cento dei benefici stessi in un momento qualsiasi nel corso degli ultimi cinque
anni. Tuttavia qualora sia consentita la cessione a favore di uno dei soggetti indicati al
presente comma, la plusvalenza è esente se i suddetti diritti societari, entro cinque
anni, non vengono rivenduti totalmente, o in parte, ad un terzo. In caso contrario, la
plusvalenza viene assoggettata ad imposta a nome del primo cedente, nell’anno in cui
è stata effettuata la vendita a terzi”.
5
G. Melis, Profili sistematici del trasferimento della residenza fiscale delle società, in
Dir. prat. trib. int., 2004, 13 ss.
6
Sentenza 29 novembre 2011, National Grid Indus contro Inspecteur van
Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam, C-371/10. Cfr., in dottrina H. van den
Broek, G. Meussen, National grid Indus Case: Re-Thinking Exit Taxation, in
European Taxation, April 2012, 18 ss.; F. Baccaglini, National Grid Indus: aspetti
sistematici delle exit taxes, in Dir. prat. trib. int., 3, 2012, 275; R. Kok, Exit Taxes for
Companies in the European Union after National Grid Indus, in EC Tax Review, 4,
2012, 200.
7
In realtà l’unico plusvalore latente riguardava la differenza di cambio di un
finanziamento infragruppo che la National Grid Indus BV vantava nei confronti della
consociata inglese National Grid Company plc.
8
Cfr., M. A., Alan, M., Cartesio: diritto comunitario e “tassazione in uscita, in Fisc.
Int., 3, 2009, 221 ss.
83
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
limita a ricollegare ad un trasferimento di sede tra Stati membri, per le
società costituite conformemente al diritto nazionale, conseguenze fiscali,
senza che un tale trasferimento di sede incida sul loro status di società dello
Stato membro in oggetto9.
Successivamente la Corte, richiamando i principi elaborati nelle sentenze
Lasteyrie du Saillant ed N., ha rilevato come [n]ella causa principale occorre
constatare che una società di diritto olandese che intenda trasferire la
propria sede amministrativa effettiva fuori dal territorio di tale Stato,
nell’ambito dell’esercizio del diritto garantitole dall’art. 49 TFUE, subisce
uno svantaggio finanziario rispetto ad una società analoga che mantenga la
propria sede amministrativa effettiva nei Paesi Bassi. Ai sensi della
normativa nazionale di cui alla causa principale, il trasferimento della sede
amministrativa effettiva di una società di diritto olandese in un altro Stato
membro comporta infatti l’immediata tassazione delle plusvalenze latenti
relative agli attivi trasferiti, mentre siffatte plusvalenze non sono tassate
qualora una siffatta società trasferisca la propria sede all’interno del
territorio olandese. Le plusvalenze relative agli attivi di una società che
effettui un trasferimento di sede all’interno dello Stato membro interessato
saranno tassate solo se e nella misura in cui siano state effettivamente
realizzate. Tale disparità di trattamento relativa alla tassazione delle
plusvalenze è tale da scoraggiare una società di diritto olandese dal
trasferire la propria residenza in un altro Stato membro10.
La Corte è giunta altresì ad escludere che tale disparità risultasse in alcun
modo giustificata da motivi imperativi di interesse generale ovvero ancora
dalla necessità di garantire un’equilibrata ripartizione del potere impositivo
tra gli Stati membri11.
Anche in materia di proporzionalità tra normativa olandese e diritto europeo,
la Corte ha introdotto una distinzione tra la determinazione dell’importo del
prelievo e la sua riscossione12 riconoscendo proporzionato che lo Stato
membro di provenienza, allo scopo di tutelare l’esercizio della propria
9
Cfr. punto 31, sentenza C-371/10, National Grid Indus BV.
Cfr. punto 37, sentenza C-371/10, National Grid Indus BV. Si vedano le sentenze
de Lasteyrie du Saillant, punto 46, e N., punto 35.
11
La sentenza afferma infatti che “[i]l giudice del rinvio ritiene inoltre che una
tassazione del tipo di cui alla causa principale costituisca un ostacolo alla libertà di
stabilimento. Il provvedimento nazionale che dà origine a tale tassazione potrebbe
tuttavia risultare giustificato dallo scopo di garantire l’equilibrata ripartizione del
potere impositivo tra gli Stati membri, conformemente al principio della territorialità
fiscale legata ad una componente temporale. A tal fine, il giudice del rinvio spiega che
l’art. 16 della Wet IB si fonda sull’idea secondo cui la totalità dell'utile generato da
una società residente dev’essere tassata nei Paesi Bassi. Qualora, in seguito al
trasferimento della sede amministrativa effettiva della società interessata, essa cessi di
essere soggetta ad imposizione nei Paesi Bassi, le plusvalenze latenti relative agli
attivi di tale società non ancora tassati nei Paesi Bassi dovrebbero essere considerate
utili realizzati ed essere pertanto tassate” punto 18, sentenza C-371/10, National Grid
Indus BV.
12
Cfr. punto 51, sentenza C-371/10, National Grid Indus BV.
10
84
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
competenza fiscale, determini l’imposta dovuta sulle plusvalenze latenti
originate sul proprio territorio nel momento in cui il suo potere impositivo
nei confronti della società interessata cessa di esistere, nel caso di specie nel
momento del trasferimento in un altro Stato membro della sede
amministrativa effettiva di tale società13 e risolvendo la questione della
determinazione dell’importo dell’exit tax nel senso per cui non osta ad una
normativa di uno Stato membro ai sensi della quale l’importo del prelievo
sulle plusvalenze latenti relative agli elementi patrimoniali di una società è
fissato in via definitiva – senza tener conto delle minusvalenze né delle
plusvalenze che possono essere realizzate successivamente – nel momento in
cui la società, a causa del trasferimento della propria sede amministrativa
effettiva in un altro Stato membro, cessa di percepire utili tassabili nel primo
Stato membro. È irrilevante a tale riguardo che le plusvalenze latenti tassate
si riferiscano a profitti sul cambio che non possono essere espressi nello
Stato membro ospitante, tenuto conto del sistema fiscale in esso vigente14.
Nel caso National Grid Indus, sebbene la Corte abbia giudicato la disciplina
olandese in materia di exit tax sproporzionata, in quanto la riscossione al
momento dell’effettivo realizzo delle plusvalenze costituirebbe una misura
meno coercitiva rispetto a quella prevista dalla normativa di cui alla causa
principale e non metterebbe a rischio la ripartizione del potere impositivo tra
gli Stati membri15, la stessa ha anche sottolineato come nel caso di specie non
fosse per contro obbligatorio scontare una riscossione differita, essendo
opportuno che la persona giuridica abbia la possibilità di scegliere l’opzione
da essa ritenuta più favorevole16 .
Pertanto, secondo la Corte, mentre risultano incompatibili con il diritto
dell’Unione quelle normative nazionali che impongono una riscossione
immediata ed inderogabile di eventuali imposte sulle plusvalenze latenti nel
momento del trasferimento della sede amministrativa effettiva, dall’altro lato
forme di imposizione in uscita che non prevedano una riscossione immediata
o che richiedano la prestazione di una garanzia non si pongono di per sé in
conflitto con l’esercizio della libertà di stabilimento.
Il principio espresso dalla sentenza nel caso National Grid Indus è stato
successivamente ampliato nella sentenza Commissione c. Portogallo17 la
13
Vedi punto 52, sentenza C-371/10, National Grid Indus BV.
Cfr. punto 64, sentenza C-371/10, National Grid Indus BV.
15
Cfr. punto 65, sentenza C-371/10, National Grid Indus BV.
16
“Tuttavia – aggiunge la Corte - occorre tener conto anche del rischio di mancata
riscossione dell’imposta, che aumenta con il passare del tempo. Tale rischio può
essere preso in considerazione dallo Stato membro di cui trattasi, nell’ambito della
propria normativa nazionale applicabile al pagamento differito dei debiti d’imposta,
con misure quali la costituzione di una garanzia bancaria” punto 73, sentenza C371/10, National Grid Indus BV.
A questo proposito, la Corte menziona altresì le possibilità dischiuse dalla Direttiva
2008/55/CE in materia di assistenza alla riscossione.
17
Cfr., L. Cerioni, The “Final Word” on the Free Movement of Companies in Europe
following the ECJ’s VALE Ruling and a Further Exit Tax Case?, in European
Taxation, 2013, 53, 7.
14
85
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
quale ha riguardato il regime di exit tax portoghese applicabile nel caso di
trasferimento di attivi di una stabile organizzazione da uno Stato membro ad
un altro.
In tale sentenza si afferma che la medesima conclusione (contenuta nella
sentenza National Grid Indus) (…) si impone per quanto riguarda la
tassazione delle plusvalenze latenti relative agli attivi di una stabile
organizzazione ubicata nel territorio portoghese trasferiti verso un altro
Stato membro. L’osservazione (…) della sentenza National Grid Indus (…),
secondo la quale gli «attivi di una società sono (…) direttamente utilizzati
per attività economiche atte a generare un utile» e della quale la Repubblica
portoghese si è avvalsa, è stata fatta non già nell’ambito dell’esame del
carattere restrittivo della normativa nazionale pertinente nella causa di cui
trattasi, ma nell’ambito dell’analisi della sua proporzionalità, in quanto
rifiutava di prendere in considerazione le minusvalenze generatesi
successivamente al trasferimento di sede della direzione effettiva di una
società in un altro Stato membro. Orbene, non si può pertanto, (…), trarre
da tale considerazione della Corte la conseguenza che, da un lato, la fine del
collegamento degli attivi di una stabile organizzazione ad una qualsiasi
attività economica in uno Stato membro e, dall’altro, il trasferimento di tali
attivi in un altro Stato membro in occasione della cessazione dell’attività
della suddetta stabile organizzazione nel primo Stato membro siano
situazioni comparabili.
Salvo questa precisazione, la Corte ha confermato i criteri interpretativi
espressi nella sentenza National Grid Indus sia con riguardo all’assenza di
proporzionalità di una exit tax a riscossione necessariamente immediata e
della proporzionalità di un’eventuale norma interna che preveda interessi coi
quali rivalutare il quantum della riscossione differita.
Occorre osservare come la sentenza National Grid Indus sia stata oggetto di
critiche in dottrina laddove afferma che, per attenuare il rischio di mancata
riscossione (potenzialmente destinata ad aumentare con il passare del tempo),
gli Stati membri possano prevedere l’obbligo della prestazione di una
garanzia bancaria; questa disposizione, si è osservato, contrasta con quanto
affermato dalla stessa Corte nel caso N., ove espressamente si è esclusa una
simile possibilità18.
Sempre la sentenza National Grid Indus si differenzia dalla precedente
relativa al caso N. laddove esclude l’obbligo, per lo Stato membro di origine,
di tener conto delle eventuali perdite di valore degli attivi trasferiti a seguito
del trasferimento, essendo l’imposta sulle plusvalenze latenti determinata al
momento del trasferimento.
Attribuire rilevanza alle perdite di valore di beni atti a produrre reddito
(definizione, questa, eccessivamente generica e non circostanziata dalla
Corte) che si siano verificate successivamente al trasferimento
significherebbe, secondo la Corte, non solo mettere in discussione la
ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, ma anche a
portare a doppie imposizioni o a doppie deduzioni di perdite.
18
Cfr. sent. N., punto 36
86
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
Un tema decisamente controverso è quello concernente il regime degli
interessi da applicare sull’imposta determinata tanto all’atto del trasferimento
di sede che al momento del realizzo; in tal modo, infatti, sarebbe riconosciuto
un trattamento discriminatorio tra chi trasferisce la residenza all’estero
subendo la rivalutazione della plusvalenza imponibile e chi invece non si
trasferisce, che resterebbe pertanto escluso da siffatta rivalutazione.
Infine, occorre sottolineare come sebbene (e condivisibilimente) la sentenza
National Grid Indus abbia sancito il principio della legittimità della exit tax,
purché a riscossione differita, la stessa abbia omesso di precisare quando tale
imposta possa dirsi esigibile.
2.1
(segue) Il caso Commissione c. Spagna.
Un caso analogo a quello affrontato nella sentenza National Grid Indus è
rappresentato dalla sentenza 25 aprile 2013, causa Commissione c. Spagna,
C-64/1119.
In base alla normativa spagnola sull’imposta sulle società, le plusvalenze non
realizzate risultavano incluse nella base imponibile dell’esercizio fiscale
qualora la residenza o gli attivi di una società stabilita in Spagna fossero
trasferiti in un altro Stato membro ovvero ancora nel caso in cui cessasse la
stabile organizzazione spagnola20.
Secondo la Commissione, tale regime risultava discriminatorio in
considerazione del fatto che analoghe operazioni, qualora eseguite all’interno
del territorio spagnolo, non avrebbero prodotto alcuna conseguenza fiscale
immediata.
La Corte, ad eccezione del caso della cessazione della stabile organizzazione
spagnola, ha ritenuto che l’immediata imposizione delle plusvalenze in
occasione del trasferimento della residenza o degli attivi dalla Spagna ad un
19
Occorre richiamare altresì la sentenza 6 settembre 2012, Di.Vi Finanziaria, C380/11. In realtà questo caso rappresenta una ulteriore specificazione del tema exit tax
in quanto riguardava un’agevolazione fiscale concessa dalla legislazione
lussemburghese sull’imposta sul patrimonio delle società a condizione che
mantenessero per almeno 5 esercizi successivi la residenza nel Granducato del
Lussemburgo. Nel caso di specie, la società Di.Vi Finanziaria aveva fruito del regime
in questione solo per i primi 3 periodi d’imposta; a seguito del trasferimento della
residenza, la società aveva poi perso retroattivamente l’agevolazione.
Di fronte alla richiesta, avanzata dall’amministrazione finanziaria lussemburghese per
il recupero dell’imposta, il contribuente aveva presentato ricorso al Tribunal
Administratif che a sua volta aveva rinviato la questione alla Corte di giustizia che
dichiarò la normativa lussemburghese come idonea a generare una disparità di
trattamento ingiustificata.
Peraltro, poiché il caso di specie ruotava attorno alla revoca di un’agevolazione la
Corte aveva ritenuto di dover valutare l’esistenza “di un nesso diretto tra il vantaggio
fiscale di cui trattasi e la compensazione di tale vantaggio tramite un prelievo fiscale
determinato che, non individuato, ha portato la Corte a dichiarare la non conformità
della norma lussemburghese col diritto dell’Unione.
20
Cfr., art. 17, Legge delle imposte sulle società, lett. a) e b) e c). In dottrina A.M.
Jimenez e J.M. Calderon Carrero, Le exit taxes e il diritto comunitario: l'esperienza
spagnola, in Studi Tributari Europei, 1, 2009.
87
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
altro Stato membro fosse idonea a generare una disparità di trattamento tra
operazione interna ed operazione transnazionale.
Secondo la Corte, infatti, il diritto dell’Unione garantisce il diritto a che le
legislazioni nazionali salvaguardino la propria competenza tributaria ma, a
condizione che siffatte misure rispettino in ogni caso il principio di
proporzionalità.
Ciò posto, la Corte ha osservato come l’ordinamento spagnolo avrebbe
potuto perseguire l’obiettivo di tutelare la propria potestà impositiva
prevedendo l’assoggettamento della plusvalenza realizzata a seguito del
trasferimento operando come se la società interessata non si fosse mai
trasferita all’estero, potendo i meccanismi di scambio di informazione tra gli
Stati fornire un controllo di veridicità sulle dichiarazioni rese dalle società
che decidessero di optare per il pagamento differito.
A diversa conclusione si sarebbe potuto giungere qualora le plusvalenze
latenti fossero state assoggettate ad imposizione nel momento in cui, secondo
la legislazione dello Stato di origine, le stesse si fossero dovute assoggettare
ad imposizione anche in mancanza del trasferimento transnazionale.
Lo stesso governo spagnolo, infatti, aveva sostenuto che l’art. 65 della Ley
General Tributaria consentiva alla società contribuente trasferente di ottenere
un differimento del termine di pagamento dell’imposta, con la possibilità di
usufruire della rateazione della stessa al fine di rendere maggiormente
sostenibile questo tipo di imposizione.
Questa misura non è stata tuttavia considerata proporzionata dalla Corte in
quanto concessa in situazioni di temporanea illiquidità della società
contribuente e non finalizzata a consentire l’effettiva sospensione del prelievo
sulle plusvalenze latenti al momento del trasferimento.
2.2
(Segue) Il caso Commissione c. Danimarca.
Anche il regime di exit tax danese è stato oggetto di contestazione da parte
della Commissione che, dopo aver inutilmente invitato il governo danese a
rendere la propria normativa coerente con il diritto europeo, ha adito la Corte
di Giustizia per una pronuncia giurisdizionale sul punto.
Ai sensi della normativa tributaria danese, il trasferimento di elementi
patrimoniali di un’impresa residente al fine di impiegarli fuori dal territorio
del Regno, veniva considerato una vendita e pertanto veniva assoggettato ad
imposta; al contrario, l’attività dell’impresa entro i confini dello Stato si
considerava cessata solo nel momento in cui gli elementi patrimoniali della
stessa non fossero stati effettivamente venduti.
Pertanto, qualora un’impresa avesse trasferito degli elementi patrimoniali tra
diversi centri di attività all’interno del territorio danese, la stessa non sarebbe
stata assoggettata ad imposta sul valore di tali elementi patrimoniali in
relazione a detto trasferimento. Viceversa, nel caso in cui la stessa impresa
avesse trasferito gli elementi patrimoniali ad un centro di attività fuori dal
territorio danese, tali valori sarebbero stati immediatamente assoggettati ad
imposta come se fossero stati venduti.
Secondo la Commissione, non vi sarebbe stata alcuna giustificazione per il
recupero immediato delle plusvalenze non realizzate al momento del
88
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
trasferimento di elementi patrimoniali dalla Danimarca ad un altro Stato
membro; più precisamente, il Regno di Danimarca, secondo la Corte, avrebbe
potuto sì determinare il valore delle plusvalenze non realizzate sulle quali
intendeva conservare la propria giurisdizione fiscale, senza tuttavia
pretendere l’immediata esigibilità dell’imposta su di esse dovuta. La Corte di
Giustizia, con la sentenza 18 luglio 201321, ha così ulteriormente precisato
che [l]a circonstance que des solutions choisies dans d’autres Etats membres
puissent etre differentes de celle que le Royaume de Danemark est
susceptible de retenir est sans incidence sur la possibilite, pour celui-ci, de
percevoir, apres le transfert d’un actif dans un autre Etat membre, l’impot
sur les plus-values latentes afferentes a ces actifs, des lors que
l’etablissement definitif du montant de l’impot est determine au moment dudit
transfert22
Ciò posto, secondo la Corte [i]l resulte de l’ensemble des considerations qui
precedent qu’il convient de constater que, en adoptant et en maintenant en
vigueur l’article 8, paragraphe 4, de la loi relative a l’impot sur les societes,
et, partant, un regime fiscal qui prevoit la taxation immediate des plus-values
latentes afferentes a un transfert d’actifs, realise par une societe etablie au
Danemark, vers un autre Etat membre de l’Union ou vers un Etat tiers partie
a l’accord EEE, le Royaume de Danemark a manque aux obligations qui lui
incombent en vertu des articles 49 TFUE et 31 de cet accord23.
2.3
(Segue) Il caso pendente DMC.
Anche l’ordinamento tedesco in materia di exit tax potrebbe rilevare dei
profili di incompatibilità europea. Il Tribunale fiscale di Amburgo24, infatti,
ha richiesto alla Corte di Giustizia un’interpretazione pregiudiziale di
compatibilità con il diritto europeo in relazione alla normativa sulla exit tax
tedesca applicabile ratione temporis, che prevedeva l’assoggettamento ad
imposta delle plusvalenze latenti derivanti dal conferimento in una società di
capitali tedesca di partecipazioni in una società di persone tedesca
(equiparabile ad una stabile organizzazione), quando i redditi derivanti dalla
eventuale e futura cessione delle partecipazioni emesse a servizio del
conferimento stesso non fossero rientrati nella potestà impositiva tedesca,
essendo il soggetto non residente in Germania.
In particolare, ha sottolineato l’organo remittente, [s]econdo la
giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia devono considerarsi
come restrittive della libertà di stabilimento tutte le misure che impediscono
l’esercizio di tale libertà, lo ostacolano o lo rendono meno attraente
21
Commissione contro Regno di Danimarca, Causa C-261/11.
Cfr. punto 38.
23
Cfr., punto 48
24
Il Tribunale, nell’ordinanza di remissione, solleva altresì un dubbio di
proporzionalità della normativa oggetto di contestazione nonché sulla idoneità della
stessa laddove prevede la possibilità di rateizzare il versamento dell’imposta a fronte
della prestazione di una garanzia, potendo anche tale previsione costituire un’ulteriore
elemento di restrizione alla libertà di cui all’art. 49 TFUE.
22
89
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
(giurisprudenza costante, si veda, ad esempio, Corte di Giustizia 29
novembre 2011, C-371/10, National Grid Indus).
La S GmbH e la K GmbH, per il solo fatto di avere la residenza fiscale in
Austria e non in Germania, hanno subito lo svantaggio di dover pagare
immediatamente le imposte sulla plusvalenza latente sui beni conferiti, come
riflessa nelle partecipazioni acquisite per effetto del conferimento, quando se
invece avessero avuto la residenza in Germania tali plusvalenze sarebbero
state assoggettate al prelievo soltanto in occasione dell’effettivo realizzo.
Questo diverso trattamento della tassazione delle plusvalenze può dissuadere
le società austriache dall’assumere partecipazioni in società tedesche e
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento.
La ratio della exit tax allora vigente, era quella di impedire che il
conferimento sottraesse alla potestà impositiva della Germania i beni “di
primo grado” appartenenti alla propria giurisdizione tributaria, spostando la
rilevanza fiscale dell’operazione sulle partecipazioni di nuova emissione, le
quali risultavano sottratte all’imposizione tedesca in forza di una
Convenzione contro le doppie imposizioni invocabile dal soggetto
conferente.
Tale Convenzione, nel caso di specie, era quella tra Austria e Germania, per
cui le partecipazioni in una società in accomandita tedesca detenute da
soggetti residenti in Austria costituivano una stabile organizzazione degli
stessi in Germania.
Sennonché, ai sensi dell’art. 13, ultimo par., del Modello OCSE è il Paese di
residenza dei soci (nel caso di specie l’Austria) ad avere la potestà impositiva
esclusiva in relazione ai redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni
sociali.
Secondo l’Amministrazione finanziaria tedesca, poiché per effetto del
conferimento di queste partecipazioni a una società di capitali tedesca vi
sarebbe stata una fuoriuscita dei beni dalla propria giurisdizione fiscale, il
disposto normativo che contemplava il realizzo figurativo delle plusvalenze
sui beni come riflesse nelle partecipazioni di nuova emissione era stato
legittimamente applicato, sebbene gli assets conferiti avessero continuato ad
essere assoggettati ad imposta in Germania, essendo stati conferiti ad una
società di capitali ivi residente.
In realtà occorre precisare come la questione della compatibilità europea di
tale misura abbia perso di attualità, avendo il legislatore tedesco modificato,
nel 2006, la UmsStG (legge tributaria sulle fusioni) con efficacia retroattiva,
di modo che il prelievo sulla plusvalenza da conferimento è destinato ad
operare unicamente nel caso in cui le partecipazioni ricevute dal conferente
siano alienate entro sette anni dal conferimento stesso (con deduzione di un
settimo per ogni anno trascorso tra il conferimento e l’evento realizzativo).
Tale regime, che si applica sia in riferimento ai conferimenti domestici sia a
quelli eseguiti da un conferente non residente, prevede inoltre che l’eventuale
imposizione sulla plusvalenza determini la rivalutazione del costo fiscale dei
beni oggetto di conferimento in capo alla società conferitaria.
Pertanto, fermi restando i limiti normativi di cui sopra, anche la disciplina
sulla exit tax tedesca ratione temporis applicabile concorrerà probabilmente a
90
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
consolidare la giurisprudenza della Corte di Giustizia sul tema della non
proporzionalità della exit tax ad imposizione immediata.
3 La normativa italiana sul trasferimento all’estero della residenza dei
soggetti esercenti attività di impresa commerciale: l’art. 166 TUIR.
La sentenza National Grid Indus oltre a costituire il leading case in materia
di exit tax ha assunto primaria importanza anche per l’ordinamento italiano,
essendone stato inserito il principio in essa contenuto all’interno dell’art. 166,
co. 2-quater, TUIR da parte dell’art. 91, co. 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1,
conv. in l. 24 marzo 2012, n. 2725.
Tale articolo del decreto ha altresì previsto l’inserimento di un nuovo comma
2-quinquies che demanda ad un successivo decreto non regolamentare del
Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione, tra l’altro, delle
fattispecie che determinano la decadenza della sospensione, i criteri di
determinazione dell’imposta dovuta e le modalità di versamento. Nella
Gazzetta Ufficiale del 12 agosto è stato pubblicato il decreto 2 agosto 2013
del ministro dell’Economia e delle Finanze, recante le disposizioni attuative
dell’art. 166, comma 2-quater,Tuir.
Sul tema occorre, infatti, sottolineare come la Corte di Giustizia abbia
ritenuto di dover in ogni caso demandare alla potestà impositiva dello Stato
membro di “uscita” circa le modalità di determinazione della plusvalenza
latente da assoggettare ad imposizione al momento dell’effettivo realizzo ed
unicamente fino al momento del trasferimento della residenza.
L’emanazione di tale decreto, in definitiva, non solo consente di tutelare gli
interessi finanziari dello Stato italiano, ma consente altresì di evitare che
misure restrittive alla libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE vengano
ulteriormente applicate.
La modifica apportata all’art. 166, TUIR si è resa necessaria a seguito della
denuncia, presentata il 1° marzo 2009 da parte dell’Associazione Nazionale
Dottori Commercialisti di Milano alla Commissione europea, dove si
sosteneva la natura penalizzante del regime di exit tax allora vigente, che
aveva determinato l’avvio di una procedura di infrazione nei confronti
dell’Italia26.
In particolare, la denuncia presentata dalla Commissione aveva definito la
norma di cui all’art. 166 TUIR, eccessiva sia rispetto allo scopo di contrastare
le pratiche intese esclusivamente ad eludere l’imposta normalmente dovuta
sul reddito di impresa che rispetto allo scopo di dare efficacia ai controlli
fiscali, in quanto idonea a colpire indiscriminatamente tutti quei contribuenti
italiani che avrebbero voluto lasciare l’Italia per insediarsi in altro Stato
comunitario nonché sproporzionata, in quanto, con la tassazione delle
25
Cfr. sul tema dell’incompatibilità della normativa di cui all’art. 166, TUIR ante
modifiche con l’ordinamento comunitario, V. Ficari, Trasferimento della sede
all'estero, continuità della destinazione imprenditoriale e contrarietà al Trattato
dell'exit tax sulle plusvalenze latenti , in Rass. trib., 2004, 2129.
26
Cfr., procedura n. 2010/4141.
91
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
plusvalenze latenti immediatamente nel periodo di imposta del trasferimento
della sede della società, non si sarebbe tenuto conto né dell’onere finanziario
per l’impresa e né del fatto che le plusvalenze latenti si sarebbero potute nel
tempo ridursi o anche annullarsi.
Alla luce degli sviluppi giurisprudenziali in materia ed al fine di evitare
sanzioni da parte della Commissione, il legislatore nazionale ha così
introdotto nell’art. 166, TUIR una disciplina alternativa al regime di cui al
comma 1 del medesimo articolo27.
Come noto, ai sensi di tale comma Il trasferimento all’estero della residenza
dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita
della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore
normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che
gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel
territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i
componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello
Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore
normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero. Per le
imprese individuali e le società di persone si applica l'articolo 17, comma 1,
lettere g) e l).
Il secondo comma prevede che I fondi in sospensione d'imposta, inclusi
quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio prima del
trasferimento della residenza, sono assoggettati a tassazione nella misura in
cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della predetta stabile
organizzazione.
Ai sensi del successivo comma 2bis Le perdite generatesi fino al periodo
d'imposta anteriore a quello da cui ha effetto il trasferimento all'estero della
residenza fiscale, non compensate con i redditi prodotti fino a tale periodo,
sono computabili in diminuzione del reddito della predetta stabile
organizzazione ai sensi dell'articolo 84 e alle condizioni e nei limiti indicati
nell'articolo 181”, mentre il comma 2ter dispone che “Il trasferimento della
residenza fiscale all'estero da parte di una società di capitali non dà luogo di
per sé all'imposizione dei soci della società trasferita.
Il nuovo comma 2-quater riconosce, per i trasferimenti effettuati
successivamente al 24 gennaio 2012, la facoltà di optare per la sospensione
degli effetti del realizzo a chi sposta il domicilio fiscale in Stati appartenenti
27
Sulla cui legittimità anche l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione del 30 ottobre
2008, n. 409/E aveva affermato che costituisce principio immanente nell'ordinamento
interno che la perdita della residenza fiscale da parte dell'imprenditore comporta
necessariamente la tassazione delle plusvalenze latenti medio tempore generatesi sui
componenti patrimoniali costituenti l'azienda, essendo tale fattispecie assimilata
dall'ordinamento all'estromissione dei cespiti dal regime d'impresa o alla
destinazione degli stessi a finalità estranee all'impresa. Nel rispetto di tale assunto,
l'articolo 166, comma 1, del T.U.I.R., ad esempio, prevede che il trasferimento
all'estero della società cui consegue anche la perdita della residenza fiscale
costituisce per la società , al valore normale, dei componenti dell'azienda o del
complesso aziendale, "salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile
organizzazione situata nel territorio dello Stato.
92
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
all’UE ovvero in Stati aderenti allo SEE inclusi nella white list di cui al
decreto (non ancora) emanato ai sensi dell’art. 168-bis, co. 1, TUIR e con i
quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia
di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla
direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010.
Il regime in materia di exit tax presuppone la residenza fiscale in Italia. In via
preliminare occorre ricordare come la stessa, ai sensi degli artt. 2 e 73, TUIR
ricorre allorquando siano rispettati per la maggior parte del periodo di
imposta i requisiti previsti da tali due articoli e che il trasferimento di
residenza effettuato nella seconda parte di tale periodo non sottrae il
contribuente dalla potestà impositiva italiana per tale periodo in quanto il
collegamento con l’ordinamento italiano si deve considerare come già
cristallizzato.
Sul tema del trasferimento della residenza fiscale, occorre segnalare un
possibile problema applicativo allorquando, ad esempio, si debbano
riconciliare con il trasferimento comportamenti fiscali che fino a quel
momento erano (ovviamente) disciplinati in base alla disciplina prevista per i
soggetti residenti: si pensi al caso dei redditi corrisposti a soggetti non
residenti che, in quanto tali, sono assoggettati ad imposta sostitutiva mediante
applicazione della ritenuta alla fonte.
Sempre in tema di residenza fiscale, il d.lgs. n. 199 del 2007, recependo la
Direttiva 2005/19/CE, ha previsto che il trasferimento della residenza di una
società di capitali all’estero non comporta l’assoggettamento ad imposizione
dei suoi soci, non avendo tuttavia specificato se tale regime si applichi anche
nel caso di società di persone o di enti trasparenti.
Tornando alla disciplina domestica, essa dunque prevede che, salvo
l’esercizio dell’opzione di cui al comma 2quater, allorquando un
imprenditore individuale, una società o un ente trasferisce la propria
residenza o la sede legale all’estero, questo evento costituisce
automaticamente il presupposto impositivo per l’assoggettamento ad
imposizione delle eventuali plusvalenze sui beni (o diritti) componenti
l’azienda o del complesso aziendale “trasferito” determinate sulla base di un
“valore normale”28 e salvo (e nella misura in cui) gli stessi non confluiscano
in una stabile organizzazione in Italia.
28
Ai sensi dell'art. 9, commi 3 e 4, TUIR, “Per valore normale, salvo quanto stabilito
nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente
praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera
concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in
cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel
luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in
quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e,
in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe
professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a
disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”.
“4. Il valore normale è determinato:
a) per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o
esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese;
93
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
Questa regola, si applica, sempre salvo il comma 2-quater, anche nel caso di
trasferimento della residenza fiscale della Societas europea (SE)29 o di una
Società cooperativa europea30 qualora siano trasferiti anche gli attivi e ciò
anche a seguito degli emendamenti apportati alla Direttiva fusioni
90/434/CEE dalla Direttiva 2005/19/CE del Consiglio del 17 febbraio 2005.
3.1
Il decreto attuativo di cui all’art. 166, comma 2-quinquies, TUIR.
Ai fini dell’ambito oggettivo il comma 1 del citato decreto attuativo di cui
all’art. 166, comma 2-quinquies, TUIR del 2 agosto 2013 chiarisce che la
disciplina relativa al regime di sospensione (opzionale) della riscossione
dell’imposta sui redditi (exit tax) è applicabile soltanto ai soggetti esercenti
attività di impresa commerciale che trasferiscono la residenza fiscale in Stati
appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo (See),
inclusi nella lista di cui all’art. 168-bis, comma 1, TUIR, che consentano lo
scambio di informazioni e che abbiano stipulato con l’Italia un accordo per la
reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari (Islanda e
Norvegia), comparabile a quella assicurata dalla direttiva 2010/24/UE del
Consiglio del 16 marzo 201031.
Tale previsione riproduce sostanzialmente quanto previsto nel comma 2quater dell’articolo 166 del TUIR, salva la precisazione contenuta nell’ultimo
periodo del comma 1 del decreto, con la quale si estende la disciplina in
oggetto all’ipotesi del trasferimento all’estero di una stabile organizzazione
situata nel territorio dello Stato. Tale chiarimento è in linea con
l’orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE espresso
nelle sentenze C-38/10 e C-64/11, rispettivamente in materia di exit tax
b) per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di
partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del
patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova
costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti;
c) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a) e b),
comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati
in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi
determinabili in modo obiettivo”.
29
Regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio dell'8 ottobre 2001. Cfr. D.
Schmidtmann, The European Company (Societas Europaea – SE) Caught between
Cross – Border Mobility and Lock –In Effect – An Empirical Analysis on the Influence
of Exit Taxation upo Cross – Border Mergers and Seat Location Decisions, in World
Tax Journal, February, 2012, 34 ss.
30
Regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio del 22 luglio 2003.
31
Per un primo commento al Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del
2 agosto si vedano M. Piazza, Trasferimento all’estero con prelievo sospeso, in Il Sole
24 ore, 13 agosto 2013, 19; V. Calculli e M. Salvi, La “exit tax” diventa più europea:
in Gazzetta le norme attuative, in FiscoOggi, 13 agosto, 2013; G. Albano-L. Miele,
Exit tax “congelata” fino al realizzo, in Il Sole 24 ore, 26 agosto 2013, i quali hanno
correttamente sottolineato che il decreto ministeriale non si applica ai trasferimenti di
sede che avvengono mediante operazioni straordinarie, ma anche quest’ultima
normativa dovrà essere modificata in quanto la fattispecie è analoga a quella prevista
dall’art. 166 TUIR.
94
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
portoghese e spagnola, con le quali sono state estese le conclusioni raggiunte
nel caso National Grid Indus anche al caso del trasferimento, in altro Stato
UE, di una parte o di tutti i componenti di una stabile organizzazione,
indipendentemente dalla circostanza che questa derivi o meno da un
precedente trasferimento di residenza.
Ai fini della determinazione della plusvalenza il decreto statuisce,
conformemente alla ratio dell’art. 166 TUIR che considera la perdita della
residenza fiscale come un evento realizzativo, che la plusvalenza
unitariamente determinata in base al valore normale dei componente
dell’azienda o del complesso aziendale, che non siano confluiti in una stabile
organizzazione situata nel territorio dello Stato, debba includere anche il
valore dell’avviamento, nonché quello delle funzioni e dei rischi propri
dell’impresa sulla base dell’ammontare che imprese indipendenti avrebbero
riconosciuto per il loro trasferimento. Quindi sono stati superati i dubbi circa
la tassazione dell’avviamento e dei beni immateriali in caso di trasferimento
della residenza fiscale32.
Probabilmente motivi di semplificazione sono sottesi alla previsioni del
comma 2 dell’art. 1 del citato decreto attuativo, che esclude dalla facoltà di
sospensione della riscossione dell’imposta relativa a taluni componenti
reddituali, come: i plusvalori relativi ai beni merce, considerata la rapida
sostituzione delle attività correnti è stato ritenuto opportuno evitare il
differimento dell’imposizione; le riserve in sospensione d’imposta non
ricostituite nel patrimonio contabile della stabile organizzazione situata nel
territorio dello Stato, in ragione della difficoltà di “monitoraggio” all’estero
delle riserve costituite secondo la legislazione italiana; gli altri componenti
positivi e negativi che concorrono a formare il reddito dell’ultimo periodo
d’imposta di residenza in Italia, ivi compresi quelli relativi a esercizi
precedenti, e non attinenti ai cespiti trasferiti, la cui deduzione o tassazione
sia stata rinviata in conformità alle disposizioni del TUIR. In tal modo è
prevista la rilevanza fiscale, in sede di trasferimento, delle posizioni fiscali
soggettive (fondi rischi tassati, oneri deducibili in più esercizi, plusvalenze
rateizzate) nello stesso periodo di imposta in cui avviene il trasferimento33.
Coerentemente con il consolidato orientamento della Corte di giustizia UE, il
comma 3 dell’art. 1 del decreto prevede che le imposte sui redditi, relative
alla plusvalenza realizzata nel periodo in cui avviene il trasferimento e della
quale è sospesa la tassazione, sono determinate in via definitiva, senza tener
conto delle minusvalenze e/o delle plusvalenze realizzate successivamente al
trasferimento stesso. Sono dunque irrilevanti le vicende reddituali successive
al trasferimento, essendo di esclusiva competenza dello Stato UE o See di
destinazione.
Il comma 4 dell’art. 1 del decreto stabilisce che le perdite di esercizi
precedenti non ancora utilizzate compensano prioritariamente il reddito
dell’ultimo periodo di imposta di residenza in Italia, comprensivo dei
componenti per i quali non si applica il regime opzionale di sospensione della
32
33
In tal senso G. Albano-L. Miele, Exit tax “congelata” fino al realizzo, cit.
Cfr. G. Albano-L. Miele, op. ul. cit.
95
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
riscossione delle imposte sui redditi di cui al comma 2 del decreto.
L’eventuale eccedenza, unitamente alla perdita di tale periodo, compensa la
plusvalenza dì cui al comma 1 da assoggettare all’exit tax. Per le eventuali
perdite ancora residue resta ferma l’applicazione dell’art. 166, comma 2-bis
TUIR. E’ stato correttamente osservato che l’eventuale perdita per
compensare la plusvalenza latente deve rispettare le limitazioni previste
dall’art. 84 TUIR e quindi al di fuori dei casi di perdite generate nei primi tre
periodi di imposta dalla data di costituzione della società, la perdita può
essere computata in diminuzione in misura non superiore all’80 per cento
della stessa34.
Diversamente, nel caso in cui a seguito del trasferimento di residenza,
l’impresa non lasci in Italia una stabile organizzazione, le perdite residue non
saranno più compensabili e in base alla costante giurisprudenza della Corte di
Giustizia35 sarà lo Stato di destinazione UE o SEE che ne dovrà tenere conto
nella determinazione complessiva del reddito.
A seguito della sentenza National Grid Indus ci si poneva il dubbio se la
riscossione al momento del realizzo dovesse implicare un rinvio alle
fattispecie ordinarie di realizzo previste nell’ordinamento interessato oppure
fossero ammissibili modalità di riscossione differita diversamente modulata
(ad esempio, rateale). A tal riguardo il decreto attuativo prevede due modalità
alternative tra sospensione e pagamento rateale, la cui scelta è rimessa al
libero apprezzamento del contribuente.
In particolare il comma 6 dell’art. 1 del decreto dispone la riscossione delle
imposte sui redditi oggetto di sospensione nell’esercizio in cui si considerano
realizzati, in base alle disposizioni ordinarie del TUIR, gli elementi
dell’azienda o del complesso aziendale trasferito. Per le partecipazioni che
costituiscono immobilizzazioni la riscossione avviene non soltanto in
occasione della cessione, ma anche in caso di distribuzione degli utili o delle
riserve di capitali. Tale precisazione appare motivata da intenti antielusivi. Il
regime della sospensione implica un obbligo di monitoraggio annuale dei
componenti aziendali trasferiti mediante dichiarazione o apposite
comunicazioni.
Invece il comma 7 dell’art.1 del decreto in commento prevede, in alternativa
al pagamento immediato e alla modalità di sospensione della riscossione di
cui al comma 6, il versamento dell’exit tax in dieci quote annuali di pari
importo a partire dall’esercizio in cui ha efficacia il trasferimento.
Ovviamente in tale circostanza il contribuente non è tenuto ad alcun obbligo
di monitoraggio.
Il comma 5 dell’art. 1 del decreto stabilisce che l’opzione del regime di
sospensione può essere esercitata distintamente per singoli beni. Pertanto, il
contribuente potrebbe optare per il pagamento immediato dell’imposta per
taluni cespiti, per il regime di sospensione della riscossione per altri
34
In tal senso G. Albano-L. Miele, Exit tax “congelata” fino al realizzo, cit.
Da ultimo cfr. la sentenza del 21 febbraio 2013, causa C-123/11. Per una
ricostruzione sistematica delle sentenze della Corte di Giustizia in tema di
compensazioni delle perdite in ambito europeo cfr. P. Stizza, La rilevanza delle
perdite nel diritto tributario. Contributo allo studio, Padova, 2011.
35
96
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
componenti e per la rateizzazione decennale dell’imposta relativamente ad
altri elementi trasferiti.
Nonostante nella sentenza National Grid Indus la Corte di giustizia Ue abbia
statuito la legittimità, in caso di applicazione della sospensione della
riscossione, della richiesta di interessi moratori e di garanzie conformemente
alla legislazione nazionale dell’ordinamento interessato, il decreto in
commento dispone che le garanzie sono dovute sia in caso di sospensione
della riscossione sia in caso di pagamento rateale dell’exit tax, ma sempre in
misura proporzionale all’importo dell’imposta sospeso. Viceversa gli
interessi nella misura prevista dall’art. 20 d. lgs. n. 241 del 1997 sono dovuti
soltanto nell’ipotesi di pagamento rateale dell’exit tax. Probabilmente si è
ritenuto che gli interessi possano essere pretesi soltanto a seguito
dell’effettivo realizzo della plusvalenza, che nella riscossione rateizzata si
considera immediato.
Il comma 8 dell’art. 1 del decreto prevede le ipotesi di decadenza dal
beneficio della sospensione, nei casi in cui non sia ravvisabile l’esercizio
della libertà di stabilimento, come nelle ipotesi di liquidazione o estinzione
del soggetto estero, nonché in caso di trasferimento di sede in uno Stato
diverso dagli Stati appartenenti all’Unione Europea o aderenti allo See (white
list), nonché di conferimento, fusione o scissione che comportino il
trasferimento dei beni a soggetti fiscalmente residenti in Stati diversi da
quelli sopra richiamati.
Infine il comma 9 del decreto in commento rinvia ad uno o più
provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate l’individuazione delle
modalità di esercizio dell’opzione di sospensione della riscossione e di
rateizzazione; di prestazione e rilascio delle garanzie; di monitoraggio
annuale delle plusvalenze nel caso di sospensione della riscossione fino al
realizzo e delle ulteriori cause di decadenza connesse al venir meno delle
garanzie o alla mancata presentazione delle dichiarazioni o comunicazioni
relative al monitoraggio annuale delle plusvalenze.
4 Conclusioni.
L’intervento del legislatore italiano volto a modificare il regime sul regime
fiscale applicabile alle plusvalenze latenti in caso di trasferimento di azienda
idoneo a generare la perdita di qualsiasi collegamento con lo Stato di origine,
sebbene totalmente condivisibile, non manca di suscitare una serie di dubbi di
carattere operativo.
In primo luogo il decreto non regolamentare del 2 agosto 2013, attuativo
della disciplina dell’art. 166, comma 2-quater, TUIR, prevede l’emanazione
di altri provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate per
l’individuazione delle modalità di esercizio dell’opzione di sospensione della
riscossione, del versamento rateale, delle prestazioni di garanzia e delle
modalità di monitoraggio annuale delle plusvalenze in sospensione. Pertanto
la nuova disciplina, nonostante sia anche la conseguenza di una procedura di
97
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
infrazione avviata dalla Commissione Europea contro l’Italia (procedura n.
2010/4141), non è ancora operativa.
In secondo luogo occorre osservare come il nuovo testo dell’art. 166, co. 2quater, TUIR riconosca ai contribuenti, in alternativa a quanto previsto dal
comma 1, la facoltà di chiedere la sospensione degli effetti del realizzo,
mentre il testo della sentenza National Grid Indus, (punto 73) è di tutt’altro
tenore, attribuendo ai contribuenti il diritto di chiedere la sospensione degli
effetti del realizzo; come correttamente osservato dall’AIDC nella lettera
inviata alla Commissione Europea il 9 aprile 2012, un conto è attribuire un
diritto, un altro è concedere “benevolmente”una facoltà ai contribuenti.
In terzo luogo, il decreto attuativo, pur specificando le sorti
dell’avviamento36, delle minusvalenze latenti e delle riserve in sospensione di
imposta e confermando la possibilità di utilizzare le perdite pregresse ai fini
della determinazione della base imponibile, introduce fattispecie di realizzo
di plusvalenze, alternative alla cessione, che non sono espressamente
contemplate nelle disposizioni ordinarie del TUIR.
Infine, occorre osservare come l’art. 91 del d.l. n. 1 del 2012 preveda
espressamente che le modifiche da esso introdotte si applichino a decorrere
dall’entrata in vigore del decreto stesso, lasciando pertanto la normativa
pregressa (laddove fosse stata oggetto di impugnazione) esposta a tutti dubbi
di compatibilità europea già evidenziati.
Per quanto concerne l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina di cui
all’art. 166, TUIR, se da un lato appare possibile sostenere la sua potenziale
applicabilità alle ipotesi di fusione inversa, qualora oggetto
dell’incorporazione sia una società holding residente in Italia detentrice di
una partecipazione nella propria controllata non residente37, così non può
dirsi nel caso di conferimento di una stabile organizzazione italiana di una
società residente in altro Stato membro Ue in una società residente in Italia.
In una simile circostanza, infatti, non potrebbe sostenersi che il conferimento
della stabile organizzazione possa beneficiare della neutralità fiscale
limitatamente agli assets oggetto di conferimento (i.e. la stabile
organizzazione stessa) lasciando che le partecipazioni ricevute dalla società
conferente in cambio del predetto conferimento risultino assoggettate ad
imposizione in base al valore di mercato.
Per poter sostenere ciò, infatti, si dovrebbe partire dal presupposto che a
seguito del conferimento le nuove azioni emesse dalla società conferitaria
siano destinate a fuoriuscire definitivamente dalla potestà impositiva italiana.
Questo presupposto, tuttavia, risulta smentito dal fatto che, ai sensi
dell’articolo 23, comma 1, lettera f), TUIR, le plusvalenze realizzate dalla
36
Cfr., risoluzioni Agenzia delle Entrate, 7 novembre 2006, n. 124/E e 27 gennaio
2009, n. 21/E.
37
A livello comparato esiste in Germania una disposizione di exit taxation in caso di
fusione inversa tra due società di capitali ivi residenti, qualora il socio della
controllante incorporata non sia residente in Germania. Si veda a tal proposito M.
Ruhlmann, German tax pitfalls fro cross-border mergers, in Tax Notes International,
2013, 567 ss.
98
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
cessione della partecipazione detenuta dal socio non residente continuano a
considerarsi realizzate in Italia.
D’altro canto, tale potere impositivo risulta precluso per l’Italia dall’articolo
13, ultimo paragrafo, del Modello OCSE di convenzione, ai sensi del quale la
potestà impositiva sulle plusvalenze realizzate dalla cessione di
partecipazioni spetta esclusivamente allo Stato di residenza dell’alienante.
In ogni caso occorre sottolineare come l’assoggettamento ad imposizione di
una riorganizzazione societaria intracomunitaria sarebbe, oltre che non
previsto dalla normativa italiana e quindi contrario alla riserva di legge di cui
all’art. 23, Cost, anche contrario allo spirito ed alla lettera della Direttiva
434/90/CEE38 (oggi Direttiva 2009/133/CE).
Un ulteriore argomento a sostegno dell’assoggettabilità ad imposta delle
plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di azioni di nuova
emissione potrebbe fondarsi sul fatto che queste ultime, secondo il principio
di coerenza, uscirebbero dal regime della tassazione dei redditi d’impresa per
entrare nel regime di tassazione dei redditi diversi.
Anche questa argomentazione, tuttavia, non può essere condivisa laddove si
consideri che le azioni di nuova emissione rappresentano un quid novi
estraneo alla potestà impositiva dello Stato d’origine.
Per comprendere ciò è importante ricordare come il soggetto conferente sia la
società non residente, essendo la stabile organizzazione (oggetto del
conferimento) destinata a non sopravvivere al (suo) conferimento disposto a
favore di una società residente39.
38
Il cui obiettivo è quello di garantire che le operazioni di riorganizzazione societaria
avvengano in regime di neutralità fiscale, tutelando al contempo il potere impositivo
dello Stato di origine.
Questo obiettivo, nel caso di fusioni, scissioni o conferimenti viene perseguito con il
trasferimento dei valori fiscali in capo a una stabile organizzazione, in modo che fino
a che i beni siano distolti dalla stessa o ceduti, lo Stato d’origine potrà continuare a
tassarne i redditi e le plusvalenze (art. 4, comma 1, lett. b, della direttiva).
Questa previsione, tuttavia, nel caso di conferimento di una stabile organizzazione,
non può essere applicata, semplicemente perché a seguito di tale operazione gli assets
(nel caso, la stabile organizzazione) saranno attribuiti – in continuità di valori fiscali ad una società residente pienamente soggetta a imposizione in quel paese, la cui
sovranità sarà pertanto pienamente garantita.
Semmai la domanda che potrebbe porsi è quella relativa al diritto, per lo Stato ove è
collocata la stabile organizzazione, di sottoporre ad imposizione anche le plusvalenze
latenti sulle partecipazioni emesse a seguito del conferimento della stabile
organizzazione stessa effettuato dal soggetto residente in altro Stato membro Ue.
Sebbene la risposta debba essere affermativa in teoria ed in ogni caso solo al
momento dell’effettivo realizzo, in pratica la risposta deve essere negativa per
l’operare, come detto, dell’art. 13, ult. par. del Modello OCSE di Convenzione.
39
Ciò è confermato dalla Direttiva 434/90/CEE, che contempla espressamente il
conferimento “di una stabile organizzazione” nella rubrica del titolo IV e all’art. 10.
In tal senso si veda anche A. Fantozzi, “La stabile organizzazione”, in Riv. Dir.
Trib.,2/2013, 111.
99
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
Per altro, è opportuno sottolineare come l’assoggettamento ad imposta dei
redditi d’impresa continui a sussistere in relazione ai redditi prodotti dalla
stabile organizzazione incorporata - società conferitaria.
Un ulteriore elemento idoneo a negare l’applicabilità del prelievo italiano
sulle plusvalenze in questione, è fornito da quanto previsto dall’articolo 176,
co. 2 bis, TUIR, ai sensi del quale le plusvalenze realizzate dal conferimento
e successiva cessione delle partecipazioni dell’unica impresa da parte
dell’imprenditore individuale sono assoggettate al regime dei redditi diversi,
con un valore fiscalmente riconosciuto uguale a quello dell’unica azienda
conferita.
Un ulteriore argomentazione a sostegno dell’assoggettabilità ad imposta in
Italia delle plusvalenze in commento, riguarda la presunta applicabilità
dell’articolo 176, comma 4, TUIR, ai sensi del quale le aziende acquisite in
dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo
si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di
possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che
hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di
cui all’articolo 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte
come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni
dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le
partecipazioni date in cambio.
Questa disposizione attribuisce al conferente, per le partecipazioni ricevute, il
medesimo trattamento contabile nonché l’holding period dell’azienda
conferita sul presupposto che le partecipazioni ricevute continueranno a
concorrere alla formazione dei redditi di impresa anche ai fini del regime
PEX.
La ratio di tale disposizione, pertanto, è unicamente quella di prevedere il
roll over contabile e dell’holding period senza alcuna previsione circa il fatto
che tali partecipazioni debbano essere necessariamente attribuite alla stabile
organizzazione.
È vero che l’art. 176, comma 4, TUIR, richiama il successivo art. 178
dedicato alle riorganizzazioni UE di cui alla Direttiva 434/90/CEE, ma è
anche vero che ciò non significa che tutti gli elementi di tale norma debbano
essere applicati alle riorganizzazioni UE a prescindere dalle differenze
oggettive che le connotano.
In conclusione, la fattispecie disciplinata dall’art. 176, co. 4, TUIR è quella
del conferimento d’azienda italiana, da parte di una società residente in Italia,
ad un società residente in altro Stato membro UE e non anche quella di
richiedere l’applicazione della exit taxation al caso opposto di
“incorporazione” della stabile organizzazione italiana di una società UE,
essendo la neutralità di tale fattispecie prevista dall’art. 10 della Direttiva
fusioni, ai sensi del quale, a seguito del conferimento di una stabile
organizzazione le azioni di nuova emissione risultano imponibili come redditi
d’impresa unicamente nello Stato di residenza del soggetto conferente e non
alla fonte dove, in assenza di una convenzione contro la doppia imposizione,
100
LA STABILE ORGANIZZAZIONE E L’EXIT TAXATION
la plusvalenza da cessioni di azioni è suscettibile di imposizione unicamente
come reddito diverso (art. 67, comma 1, lett. c, Tuir)40.
In ogni caso, anche laddove si giungesse teoricamente ad ammettere
l’esistenza della potestà impositiva italiana sulle plusvalenze in questione, per
effetto di quanto disposto dalla costante giurisprudenza delle Corte di
Giustizia citata, si dovrebbe comunque optare per un differimento della
riscossione dell’imposta.
In conclusione, la cd. “incorporazione” di una stabile organizzazione non può
giustificare, in Italia, l’imposizione delle plusvalenze in base al valore di
mercato delle azioni di nuova emissione ricevute dal soggetto conferente non
residente, in quanto ciò sarebbe contrario allo spirito e alla lettera della
direttiva 434/90/CEE e non sarebbe nemmeno previsto da alcuna
disposizione fiscale italiana.
Come detto, sebbene teoricamente l’Italia mantenga il potere di assoggettare
ad imposta le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso delle
azioni in base al principio di territorialità di cui all’art. 23, comma 2, lett. f),
TUIR, tale diritto non risulta di fatto esercitabile a causa di quanto disposto
dall’articolo 13, comma 4, del Modello di Convenzione OCSE, ai sensi del
quale gli utili derivanti dall’alienazione di ogni altro bene diversi da quelli
menzionati nei paragrafi precedenti del medesimo articolo, sono imponibili
unicamente nello Stato di residenza del soggetto alienante.
40
Cfr. M. Gusmeroli, The Conversion of a Branch into a Subsidiary under the EC
Merger Directive: Still “Rarely Pure and Never Simple”, in European Taxation,
2009, 567 ss; P. Baccaglini, La Corte di Giustizia delinea i limiti alla libertà di
stabilimento nel trasferimento di sede. Le conseguenze sulla exit taxation, in Dir.
Prat. Trib. Int., 2, 2011, 522.
101
Prof. Roberto Cordeiro Guerra*
Professore Università di Firenze
Avv. Pietro Mastellone**
Dottore di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea
(Università di Bergamo)
Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di stabile
organizzazione
SOMMARIO: 1 Genesi del concetto di stabile organizzazione nell’ambito delle
convenzioni internazionali contro la doppia imposizione. - 2 I due approcci utilizzati
dagli Stati per attribuire i profitti alle stabili organizzazioni. - 3 La stabile
organizzazione nel diritto tributario italiano. - 3.1 La stabile organizzazione nelle
imposte sul reddito. - 3.2 La stabile organizzazione nell’IVA.- 3.3 La giurisprudenza
antecedente alla modifica del 2003. - 3.4 La giurisprudenza successiva alla modifica
del 2003. - 4 L’elaborazione del concetto di stabile organizzazione “occulta”. - 4.1 Il
recente e discutibile orientamento della Corte di Cassazione in tema di stabile
organizzazione “occulta” e stabile organizzazione “plurima”: la decisione n.
16106/2011. - 5 Alcune considerazioni conclusive.
1 Genesi del concetto di stabile organizzazione nell’ambito delle
convenzioni internazionali contro la doppia imposizione.
Il concetto di stabile organizzazione (in inglese, permanent establishment) è
stato elaborato nell’ambito delle convenzioni contro la doppia imposizione e
rappresenta un vero e proprio compromesso nell’evoluzione del diritto
tributario internazionale, in quanto permette ad uno Stato contraente di
esercitare la propria potestà impositiva sui profitti generati da un’impresa
residente nell’altro Stato contraente solo se svolge nel primo la propria
attività commerciale palesando così un legame economico stabile.1 La stabile
*
Ordinario di Diritto tributario nell’Università di Firenze e Avvocato in Firenze e
Milano. L’Autore ha curato i paragrafi 3, 3.1., 3.2., 3.3., 3.4. e 5.
**
Dottore di ricerca in Diritto pubblico e tributario nella dimensione europea
(Università di Bergamo) e Avvocato in Firenze e Milano. L’Autore ha curato i
paragrafi 1, 2, 4 e 4.1.
1
In tal senso, cfr. CORABI, G., Analisi storica della stabile organizzazione attraverso i
modelli di convenzioni internazionali, in Fiscalia, vol. 1, n. 3/2000, p. 254 ss.;
CORDEIRO GUERRA, R., Le fattispecie con elementi di estraneità, in CORDEIRO
GUERRA, R. (a cura di), Diritto tributario internazionale. Istituzioni, Padova, 2012,
pp. 44-45; FANTOZZI, A., La stabile organizzazione, in Rivista di Diritto Tributario,
vol. 23, n. 2/2013, Parte I, p. 99 ss. Recentemente, OWENS, J., The taxation of
multinational enterprises: an elusive balance, in Bulletin for International Taxation,
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
organizzazione, dunque, costituisce il criterio di collegamento «pressoché
universalmente accolto come “presupposto per l’imposizione di una attività
economica svolta, in un dato paese, da uno straniero”».2
La prima formulazione di stabile organizzazione risale addirittura al Trattato
internazionale trilaterale stipulato da Austria, Ungheria e Prussia il 22 giugno
1899, considerato dalla dottrina il più antico esempio di convenzione contro
la doppia imposizione che si avvicina alla struttura delle convenzioni c.d.
moderne.3
Nei primi due modelli di convenzione contro la doppia imposizione elaborato
dalla League of Nations in Città del Messico nel 1943 e a Londra nel 1946, la
definizione venne maggiormente circoscritta alle sedi di svolgimento di
attività economiche in cui prevale il carattere produttivo. Nei Modelli di
convenzione contro la doppia imposizione elaborati dall’OCSE negli Anni
’60 veniva abbandonato il riferimento al carattere produttivo della stabile
organizzazione e, ispirandosi all’esperienza delle convenzioni bilaterali
stipulate fra gli Stati, la stabile organizzazione veniva identificata con la
«sede fissa d’affari».
Attualmente, l’art. 5 del Modello OCSE definisce stabile organizzazione
qualsiasi «sede fissa d’affari per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto
o in parte la sua attività».4 La definizione elaborata dall’OCSE ha condotto
ad una sostanziale armonizzazione del concetto di stabile organizzazione, la
cui presenza è connotata da quattro elementi essenziali:
a) l’esistenza di una installazione di affari (e.g. un ufficio);
vol. 67, n. 8/2013, p. 444, ha ribadito che «the permanent establishment (PE) concept
is the basic nexus/threshold rule for determining whether or not a country has taxing
rights with regard to the business profits of a non-resident taxpayer, although some
types of profits may be taxed in a country even though there is no PE (for example,
profits derived from collecting insurance premiums). Business profits of a nonresident that may be taxed by a country are only those that are attributable to a PE».
2
Così LOVISOLO, A., Il concetto di stabile organizzazione nel regime convenzionale
contro la doppia imposizione, in Diritto e Pratica Tributaria, vol. 54, n. 4/1983, Parte
I, p. 1127. Secondo BAGGIO, R., Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà
tributaria, Milano, 2009, p. 192, «l’effetto più importante che scaturisce dalla
presenza di una stabile organizzazione in territorio altrui è quello di derogare al
principio della tassazione esclusiva degli utili d’impresa da parte dello Stato cui
appartiene l’impresa che ha dato vita alla stabile organizzazione. In altri termini, la
presenza, in uno Stato contraente, di una stabile organizzazione di un’impresa
dell’altro Stato contraente consente al primo Stato di assoggettare ad imposizione gli
utili prodotti per mezzo di detta stabile organizzazione, mente il secondo Stato – pur
mantenendo di regola il potere di tassare quegli stessi utili – ha l’obbligo di applicare
il meccanismo convenzionale (solitamente il credito d’imposta) per evitare che
l’impresa subisca la doppia imposizione sugli utili medesimi».
3
Così EASSON, A., Do we still need tax treaties?, in Bulletin for International Fiscal
Documentation, vol. 54, n. 12/2000, p. 619.
4
Art. 5, par. 1, OECD, Model Tax Convention on Income and on Capital 2010
(updated 2010), Paris, 2012. Traduzione libera.
104
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
b) la stabilità (geografica e temporale) di tale installazione;
c) la riconducibilità all’ordinario esercizio dell’impresa;
d) la sua idoneità a generare reddito.
Il primo elemento è ravvisabile sia in presenza di una stabile organizzazione
c.d. materiale sia in presenza di una stabile organizzazione c.d. personale.
La stabile organizzazione materiale, esemplificata al paragrafo 2 della norma,
implica la presenza fisica in uno Stato contraente dei mezzi organizzati
dell’imprenditore residente nell’altro Stato contraente.5 Al riguardo, l’art. 5,
par. 2 contiene un’elencazione non tassativa di elementi idonei a radicare una
stabile organizzazione materiale: sede di direzione, succursale, ufficio,
laboratorio, miniere e giacimenti, cave e zone di estrazioni di gas e petrolio.
Diversamente, la stabile organizzazione personale si configura in presenza di
specifici soggetti che svolgono l’attività economica per conto
dell’imprenditore non residente. Il Modello OCSE conteneva due distinte
ipotesi:
- la presenza di un «agente dipendente» (art. 5, par. 5), cioè un
soggetto che opera in nome e per conto dell’impresa non residente con
il potere di concludere i contratti in maniera continuativa ed abituale;6
e
- la presenza di un «agente indipendente» (art. 5, par. 6), cioè un
soggetto che opera in nome proprio, ma per conto dell’impresa non
residente con il potere di concludere i contratti per quest’ultima
vincolanti.
Solo nella prima delle summenzionate ipotesi potrà configurarsi una stabile
organizzazione personale, ma la valutazione dell’indipendenza o meno
dell’intermediario che agisce nell’altro Stato contraente è talvolta tutt’altro
che agevole.7 Al riguardo, un indice di solito determinante per tale analisi è
5
L’art. 5, par. 2, del Modello OCSE prevede che la stabile organizzazione «includes
especially: a) a place of management; b) a branch; c) an office; d) a factory; e) a
workshop, and f) a mine, an oil or gas well, a quarry or any other place of extraction
of natural resources». Così, OECD, Model Tax Convention on Income and on Capital
2010 (updated 2010), Paris, 2012.
6
Nel Commentario all’art. 5, si sottolinea che, comunque, deve essere applicato un
criterio di prevalenza della sostanza sulla forma con la conseguenza che «the phrase
“authority to conclude contracts in the name of the enterprise” does not confine the
application of the paragraph to an agent who enters into contracts literally in the
name of the enterprise; the paragraph applies equally to an agent who concludes
contracts which are binding on the enterprise even if those contracts are not actually
in the name of the enterprise».
7
Per esempio, in Comm. Trib. Prov. Como, Sez. IV, 20 giugno 2012, n. 66, in GT –
Rivista di Giurisprudenza Tributaria, vol. 19, n. 12/2012, p. 975 ss., con nota di
AVOLIO, D. – SANTACROCE, N., Per la stabile organizzazione personale è necessario
provare che l’agente ha effettivamente concluso i contratti, ivi, p. 977 ss., i giudici
tributari di prime cure escludevano la configurabilità di una stabile organizzazione in
riferimento ad un cittadino italiano incaricato da una società svizzera di contattare
clienti italiani, posto che non risultava adeguatamente dimostrato il fatto che
105
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
l’effettiva indipendenza economica dell’agente: è evidente, infatti, che un
agente, seppur formalmente indipendente, non potrà considerarsi tale ai sensi
dell’art. 5, par. 6, se, di fatto, opera esclusivamente per un’impresa.8
La stabilità dell’installazione è un requisito che deve essere interpretato sia
sotto il profilo temporale (i.e. esercizio dell’attività d’impresa per un
apprezzabile lasso di tempo di almeno 12 mesi) sia sotto quello geografico
(i.e. collegamento fra la stabile organizzazione d’impresa e il territorio dello
Stato contraente in cui l’imprenditore non ha la propria residenza). La
giurisprudenza internazionale ha avuto modo di chiarire che per essere
“stabile”, l’installazione non deve essere necessariamente radicata al suolo: in
tal senso, per esempio, la Suprema Corte dei Paesi Bassi ha qualificato come
stabile organizzazione uno yacht sul quale si svolgevano continuativamente
attività produttive di reddito riconducibili all’imprenditore non residente.9
In relazione alla riconducibilità della stabile organizzazione all’ordinario
esercizio dell’impresa si ritiene comunemente che l’installazione debba
essere destinata ad «un’attività rientrante nel quadro normale degli affari
realizzati dall’imprenditore estero e, purché tale attività sia in relazione di
servizio rispetto agli obiettivi globali dell’impresa».10
Infine, è necessario che l’installazione risulti idonea a contribuire alla
produzione del reddito,11 con la conseguenza che non possono costituire una
stabile organizzazione tutte quelle attività di carattere meramente ausiliario e
preparatorio e, in quanto tali, insuscettibili di produrre reddito.12
l’effettivo potere di rappresentanza da parte di tale cittadino italiano fosse stato
«esercitato in Italia in via abituale».
8
In tal senso, cfr. LOVISOLO, A., La stabile organizzazione, in UCKMAR, V.
(coordinato da), Diritto tributario internazionale, 3a ed., Padova, 2005, p. 459,
secondo cui in tale ipotesi l’agente «potrà difficilmente dirsi indipendente ai sensi del
par. 6, in quanto dal punto di vista economico il suo grado di dipendenza
dall’impresa sarà molto vicino a quello di un impiegato».
9
Così, Hoge Raad, 13 ottobre 1954, n. 11 908 (BNB 1954/336). Analogamente, rileva
NAVARRINI, F., Il trattamento delle singole categorie reddituali, in CORDEIRO
GUERRA, R. (a cura di), Diritto tributario internazionale. Istituzioni, Padova, 2012, p.
384, nt. 14, che «non è necessaria la materiale fissazione al suolo delle strutture o dei
materiali, e dunque può dar luogo a stabile organizzazione, ad esempio, pure una
compagnia di spettacolo itinerante».
10
In questi termini, cfr. LOVISOLO, A., La stabile organizzazione, in UCKMAR, V.
(coordinato da), Diritto tributario internazionale, 3a ed., Padova, 2005, p. 443.
11
Tale assunto trova, peraltro, conferma nel Commentario all’art. 5, ove si specifica
che «the establishment must have a productive character, i.e. contribute to the profits
of the enterprise. In the present definition this course has not been taken. Within the
framework of a well-run business organisation it is surely axiomatic to assume that
each part contributes to the productivity of the whole». Così OECD, Model Tax
Convention on Income and on Capital. Condensed Version, Paris, 2010, par. 3, p. 92.
12
Questo argomento è supportato anche dal fatto che l’art. 5, par. 4, lett. e), Modello
OCSE esclude dal novero di stabile organizzazione «the maintenance of a fixed place
of business solely for the purpose of carrying on, for the enterprise, any other activity
of a preparatory or auxiliary character».
106
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
La nozione di stabile organizzazione contenuta nel Modello OCSE è stata
adottata anche dal Modello ONU, sebbene la formulazione contenuta nell’art.
5 di tale ultimo strumento contenga alcune significative differenze.13
2 I due approcci utilizzati dagli Stati per attribuire i profitti alle stabili
organizzazioni.
Il principio di distribuzione pattizia della potestà impositiva sul reddito
d’impresa transnazionale è dettato dall’art. 7, par. 1, Modello OCSE, secondo
cui «i profitti di un’impresa di uno Stato Contraente sono tassati solo in tale
Stato a meno che l’impresa svolga la propria attività nell’altro Stato
Contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi stabilita. Se l’impresa
svolge un’attività come sopra detto, i profitti che sono imputabili alla stabile
organizzazione in virtù delle disposizioni del paragrafo 2 possono essere
tassati in tale altro Stato».14
Gli Stati appartenenti all’OCSE ricorrono a due interpretazioni differenti
dell’art. 7, comma 1, del Modello, al fine di attribuire i profitti alle stabili
organizzazioni:
a) Approccio dell’entità funzionalmente separata (c.d. “functionally
separate entity” approach). Questa impostazione, che è preferita
anche dalla stessa OCSE,15 si limita a stabilire i limiti quantitativi
dei profitti che possono essere tassati dallo Stato Contraente che
ospita la stabile organizzazione.16 Pertanto, i profitti imputati e
tassati alla stabile organizzazione sono quelli che ci si potrebbero
aspettare se si trattasse di una distinta e separata impresa che opera
in maniera del tutto indipendente rispetto all’impresa di cui fa
parte.
b) Approccio dell’attività d’impresa rilevante (c.d. “relevant business
activity” approach). Siffatto approccio, invece, considera profitti
dell’impresa solo i profitti dell’attività commerciale in cui una
stabile organizzazione ha una determinata partecipazione attiva.
13
Per esempio, l’art. 5 del Modello ONU prevede un test di 6 mesi (c.d. six-month
test), invece di 12 così come previsto dal Modello OCSE, per considerare un edificio
od un cantiere quali stabile organizzazione. Si veda UNITED NATIONS, Model Double
Taxation Convention between developed and developing Countries, New York, 2011,
p. 97.
14
Traduzione libera.
15
Per tale ragione, questo approccio è definito «authorised OECD approach».
16
L’OCSE chiarisce che l’ipotesi secondo cui una stabile organizzazione viene
trattata come un’impresa funzionalmente distinta e separata costituisce una mera fictio
juris necessaria al fine di determinare i redditi d’impresa di tale porzione di attività
imprenditoriale. Così, OECD; Report on the attribution of profits to permanent
establishments. Parts I (General considerations), II (Banks) and III (Global trading),
Paris, 2006, p. 13, par. 14.
107
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
In altre parole, in base al primo approccio è necessario identificare le funzioni
che la stabile organizzazione svolge nell’ambito dell’impresa e,
conseguentemente, attribuire ad essa i beni, il rischio ed il capitale
dell’impresa relativi a tali funzioni. Adottando il secondo approccio, invece, i
profitti della stabile organizzazione sono limitati a quelli effettivamente
guadagnati dall’impresa: quindi, se l’impresa nel suo complesso è in una
situazione di perdita, allora la stabile organizzazione risulta
proporzionalmente in perdita. L’OCSE considera che il “relevant business
activity” approach rimuova qualsiasi applicazione del principio di attrazione,
dal momento che tende ad isolare la stabile organizzazione dal resto
dell’attività dell’impresa.
L’interpretazione e l’applicazione dell’art. 5 del Modello OCSE hanno
sempre generato incertezze sulla ripartizione della potestà impositiva fra gli
Stati Contraenti in presenza di stabile organizzazione e l’esigenza di un
approccio unitario ha condotto l’OCSE ad intervenire a più riprese con delle
specifiche raccomandazioni e proposte di modifica, le ultime delle quali nel
201117 e nel 2012.18
3 La stabile organizzazione nel diritto tributario italiano.
La definizione di stabile organizzazione elaborata in ambito convenzionale ha
per decenni reso superflua la presenza di definizioni “interne” contenute nelle
discipline domestiche. Conseguentemente, prima dell’enunciazione
nell’ordinamento domestico del concetto di stabile organizzazione la dottrina
e la prassi italiana tendevano a ricostruirne i confini proprio sulla base delle
convenzioni contro la doppia imposizione e, in particolare, sulla base della
definizione fornita dall’art. 5 del Modello OCSE,19 sebbene alcuni studiosi
17
OECD, Interpretation and application of Article 5 (Permanent establishment) of the
OECD Model Tax Convention, Paris, 12.10.2011.
18
OECD, OECD Model Tax Convention: Revised proposals concerning the
interpretation and application of Article 5 (Permanent establishment), Paris,
19.10.2012. Per alcune considerazioni, cfr. AVOLIO, D. – RUGGIERO, P., Le proposte di
modifica al Commentario OCSE sulla stabile organizzazione, in Corriere Tributario,
vol. 35, n. 15/2012, p. 1112 ss.
19
In questo senso, cfr. LOVISOLO, A., Il concetto di stabile organizzazione nel regime
convenzionale contro la doppia imposizione, in Diritto e Pratica Tributaria, vol. 54,
n. 6/1983, Parte I, p. 1132; CERIANA, E., Stabile organizzazione e imposizione sul
reddito, in Diritto e Pratica Tributaria, vol. 66, n. 3/1995, Parte I, p. 660. In tal senso,
era orientata anche l’Amministrazione finanziaria: cfr. MINISTERO DELLE FINANZE –
DIR. II.DD., Circolare 30 aprile 1977, n. 7/1496 («occorre fare riferimento all’unica
fonte disponibile in materia desumibile dagli accordi internazionali per
l’eliminazione della doppia imposizione», cioè «alla definizione che della stabile
organizzazione fornisce l’art. 5 del modello di Convenzione adottato dall’OCSE cui si
ispirano le corrispondenti clausole degli accordi stipulati dall’Italia»); MINISTERO
DELLE FINANZE – DIR. II.DD., Circolare 17 marzo 1979 (prot. n. 12/345), n. 12;
MINISTERO DELLE FINANZE – DIR. TT.AA., Risoluzione 7 dicembre 1991, n. 501504.
108
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
sostenessero che il concetto interno di stabile organizzazione fosse sì ispirato
a quello convenzionale, ma sostanzialmente autonomo.20
3.1
La stabile organizzazione nelle imposte sul reddito.
In Italia una vera e propria definizione “interna” di stabile organizzazione
nell’ambito delle imposte dirette è stata recepita solo con la riforma tributaria
del 2003, la quale ha introdotto l’art. 162 all’interno del D.P.R. 22 dicembre
1986 (d’ora in avanti, TUIR).21 La norma in questione è intervenuta sulla
20
Cfr. in particolare GALLO, F., Contributo all’elaborazione del concetto di “stabile
organizzazione” secondo il diritto interno, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza
delle Finanze, vol. 45, n. 3/1985, Parte I, p. 385 ss., il quale comunque evidenzia «il
mero valore di fatto (e non certo vincolante e di diritto)» del concetto di “stabile
organizzazione” elaborato nel Modello OCSE, il quale riveste la funzione di «canone
interpretativo – quasi come una guide-line» per l’applicazione della disciplina interna
(p. 400). In senso analogo, si veda anche CERRATO, M., La definizione di “stabile
organizzazione” nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in SACCHETTO,
C. – ALEMANNO, L. (coordinati da), Materiali di diritto tributario internazionale,
Milano, 2002, p. 96, il quale evidenzia che alla nozione convenzionale di “stabile
organizzazione” «fanno anche generalmente riferimento la dottrina, la
giurisprudenza e l’amministrazione finanziaria italiana per dare corpo al concetto di
stabile organizzazione previsto dalla normativa interna quale criterio di collegamento
per sottoporre a tassazione nel territorio dello Stato i redditi d’impresa prodotti da
non residenti».
21
«1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 169, ai fini delle imposte sui
redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo
15 dicembre 1997, n. 446, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede
fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in
parte la sua attività sul territorio dello Stato.
2. L’espressione “stabile organizzazione” comprende in particolare:
a)
una sede di direzione;
b)
una succursale;
c)
un ufficio;
d)
un’officina;
e)
un laboratorio;
f)
una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una
cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali, anche in zone situate al di
fuori delle acque territoriali in cui, in conformità al diritto internazionale
consuetudinario ed alla legislazione nazionale relativa all’esplorazione ed
allo sfruttamento di risorse naturali, lo Stato può esercitare diritti relativi al
fondo del mare, al suo sottosuolo ed alle risorse naturali.
3. Un cantiere di costruzione o di montaggio o di installazione, ovvero l’esercizio di
attività di supervisione ad esso connesse, è considerato “stabile organizzazione”
soltanto se tale cantiere, progetto o attività abbia una durata superiore a tre mesi.
4. Una sede fissa di affari non è, comunque, considerata stabile organizzazione se:
a)
viene utilizzata una installazione ai soli fini di deposito, di
esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa;
b)
i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai
soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;
109
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
base delle generose indicazioni contenute nella Legge delega n. 80/200322 ed
ha adottato una soluzione normativa che attinge direttamente alla definizione
contenuta nell’art. 5 del Modello OCSE.23 Nonostante la definizione interna
c)i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini
della trasformazione da parte di un’altra impresa;
d)
una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare beni o
merci o di raccogliere informazioni per l’impresa;
e)viene utilizzata ai soli fini di svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attività
che abbia carattere preparatorio o ausiliario;
f) viene utilizzata ai soli fini dell’esercizio combinato delle attività menzionate
nelle lettere da a) ad e), purché l’attività della sede fissa nel suo insieme,
quale risulta da tale combinazione, abbia carattere preparatorio o ausiliario.
5. Oltre a quanto previsto dal comma 4 non costituisce di per sé stabile
organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi
impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni
finalizzati alla vendita di beni e servizi.
6. Nonostante le disposizioni dei commi precedenti e salvo quanto previsto dal comma
7, costituisce una stabile organizzazione dell’impresa di cui al comma 1 il soggetto,
residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in
nome dell’impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni.
7. Non costituisce stabile organizzazione dell’impresa non residente il solo fatto che
essa eserciti nel territorio dello Stato la propria attività per mezzo di un mediatore, di
un commissionario generale, o di ogni altro intermediario che goda di uno status
indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro
ordinaria attività.
8. Nonostante quanto previsto dal comma precedente, non costituisce stabile
organizzazione dell’impresa il solo fatto che la stessa eserciti nel territorio dello
Stato la propria attività per mezzo di un raccomandatario marittimo di cui alla legge
4 aprile 1977, n. 135, o di un mediatore marittimo di cui alla legge 12 marzo 1968, n.
478, che abbia i poteri per la gestione commerciale o operativa delle navi
dell’impresa, anche in via continuativa.
9. Il fatto che un’impresa non residente con o senza stabile organizzazione nel
territorio dello Stato controlli un’impresa residente, ne sia controllata, o che
entrambe le imprese siano controllate da un terzo soggetto esercente o no attività
d’impresa non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di
dette imprese una stabile organizzazione dell’altra». Per un approfondimento, cfr.
ARAMINI, F. – BALLANCIN, A. – LUPI, R. – STEVANATO, D., Le modifiche al concetto di
stabile organizzazione: alcuni commenti, in Dialoghi di Diritto Tributario, vol. 2, n.
6/2004, p. 863 ss.; DELLA VALLE, E., La nozione di stabile organizzazione nel nuovo
Tuir, in Rassegna Tributaria, vol. 47, n. 5/2004, p. 1597 ss.; GAFFURI, A.M., La
stabile organizzazione nella nuova Ires, in MARINO, G. (a cura di), La nuova imposta
sul reddito delle società, Milano, 2004, p. 279 ss.; PERRONE, L., La stabile
organizzazione, in Rassegna Tributaria, vol. 47, n. 3/2004, p. 794 ss.
22
Più precisamente, l’art. 4, comma 1, lett. a), Legge 7 aprile 2003, n. 80, prevedeva
che il legislatore delegato dovesse elaborare una «definizione della nozione di stabile
organizzazione sulla base dei criteri desumibili dagli accordi internazionali contro le
doppie imposizioni».
23
Come evidenzia TESAURO, F., Aspetti internazionali della riforma fiscale, in
Fiscalità Internazionale, vol. 1, n. 5/2003, p. 433, «le novità del decreto delegato
110
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
di stabile organizzazione sia modellata su quella contenuta nelle convenzioni
internazionali, l’art. 169 TUIR sancisce espressamente che la prima possa
prevalere sulla seconda solo nella misura in cui risulti più favorevole per il
contribuente.24
3.2
La stabile organizzazione nell’IVA.
In ambito IVA la stabile organizzazione è richiamata dalla disciplina
contenuta nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.25 In particolare, l’art. 17
prevede la necessità di nomina di una rappresentante fiscale ai fini IVA per
tutti quei soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in Italia che
cedono merci o prestano servizi anche in maniera solo occasionale, al fine di
adempiere agli obblighi e di esercitare i diritti per suo tramite.
Trattandosi però di un tributo armonizzato occorre intraprendere l’analisi
dalla disciplina europea,26 la quale per lungo tempo ha fatto riferimento più
che alla “stabile organizzazione” al “centro di attività stabile” quale criterio
per l’identificazione del luogo della prestazione dei servizi,27 sebbene la
dottrina ritenesse che tali locuzioni dovessero considerarsi coincidenti.28
superano il vaglio della conformità della delega solo se sono riconducibili ad un
criterio già presente nelle convenzioni».
24
L’art. 169 TUIR (Accordi internazionali) statuisce, infatti, che «le disposizioni del
presente testo unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga
agli accordi internazionali contro la doppia imposizione». L’Amministrazione
finanziaria ha precisato che in tale caso «è rimessa al contribuente la possibilità di
invocare l’eventuale trattamento più favorevole della norma interna rispetto a quanto
previsto dagli Accordi internazionali». Così, AGENZIA DELLE ENTRATE, Circolare 16
giugno 2004, n. 25/E, par. 6.3.
25
Per esempio, l’art. 7 in tema di territorialità dell’imposta stabilisce che per
“soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato” debba intendersi «un soggetto
passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il
domicilio all’estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di
soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni da essa rese
o ricevute».
26
Al riguardo, rileva acutamente TESAURO, F., Appunti sulla “illegittimità
comunitaria” delle norme Iva relative agli enti pubblici, in Bollettino Tributario, vol.
54, n. 23/1987, p. 1757, nt. 1, che «un’imposta come l’Iva […] andrebbe studiata
esaminando prima le norme comunitarie e poi le norme interne (interpretando le
seconde alla luce delle prime, e facendo prevalere le prime in caso di contrasto)».
27
L’art. 9, comma 1, Direttiva n. 77/388/CEE, prevedeva che «si considera luogo di
una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria
attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la
prestazione di servizi viene resa o , in mancanza di tale sede o di tale centro di
attività stabile , il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale». In dottrina,
cfr. LUDOVICI, P., Il regime impositivo della stabile organizzazione agli effetti
dell’imposta sul valore aggiunto, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 8, n. 1/1998,
Parte I, p. 67 ss.
28
Cfr., per tutti, GIORGI, M., La stabile organizzazione nel sistema dell’imposta sul
valore aggiunto, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 10, n. 1/2000, Parte I, p. 64.
111
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Nel caso ARO Lease BV del 1997, la Corte di Giustizia UE ha ritenuto che
«allorché una società di leasing non dispone in uno Stato membro né di
personale proprio né di una struttura che presenti un sufficiente grado di
stabilità, nell’ambito della quale possano essere redatti contratti o prese
decisioni amministrative, struttura che sia quindi idonea a rendere possibili
in modo autonomo le prestazioni di servizi in questione, essa non può essere
considerata disporre di un centro di attività stabile in tale Stato».29 I requisiti
minimi per poter identificare un centro di attività stabile di un soggetto
passivo IVA in un altro Stato membro sono, dunque:
a) presenza di personale proprio;30 oppure
b) presenza di una struttura che palesi un sufficiente grado di
stabilità, nella quale possano essere stipulati contratti o adottate
decisioni amministrative.
Nella giurisprudenza domestica, il problema della configurabilità della stabile
organizzazione ai fini IVA si è posto con particolare riguardo alla disciplina
del rimborso ex art. 38-bis, D.P.R. n. 633/1972.31 Più precisamente, si
profilavano spesso controversie originate dalla richiesta da parte dell’impresa
non residente di rimborso dell’IVA maturata dalla stabile organizzazione
localizzata in Italia, richiesta che frequentemente veniva rigettata dagli Uffici.
Prima di addentrarsi in tale questione, occorre preliminarmente inquadrare gli
elementi essenziali che connotano la stabile organizzazione e gli aspetti
relativi al riparto dell’onere della prova fra contribuente ed Amministrazione
finanziaria.
Nella prova dell’esistenza della stabile organizzazione in Italia di un’impresa
non residente, i giudici di merito non considerano determinante il fatto che
una società italiana risulti interamente controllata da una società estera:32 in
altre parole, perché possa ravvisarsi una stabile organizzazione all’interno
29
CGUE, Sez. VI, 17 luglio 1997, causa C-190/95 ARO Lease BV, in Racc. p. I-4399,
par. 19. Nello stesso senso, cfr. CGUE, Sez. V, 7 maggio 1998, causa C-390/96 Lease
Plan Luxembourg SA, in Racc. p. I-2571, parr. 21 ss., con nota di PISTONE, P., Centro
di attività stabile e stabile organizzazione: l’Iva richiede un’evoluzione per il XXI
secolo?, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 9, n. 1/1999, Parte III, p. 12 ss.
30
Ai fini IVA, a differenza della stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette,
«è sempre richiesta la presenza dell’elemento umano». Così, TOMASSINI, A., Stabili
organizzazioni e commercio elettronico, in Corriere Tributario, vol. 36, n. 19/2013, p.
1499.
31
Sul tema, cfr. ALTIERI, E., Orientamenti della giurisprudenza della Sezione
Tributaria della Cassazione in materia di rapporti tra diritto nazionale comunitario e
convenzioni, nozione di stabile organizzazione di società straniere, in Rassegna
Tributaria, vol. 46, n. 1-bis/2003, p. 408 ss.
32
Si ricorda, tuttavia, che la giurisprudenza più risalente faceva conseguire in via
presuntiva la sussistenza di una stabile organizzazione operante in Italia sulla base di
elementi quali il controllo totalitario di una società estera sulla società italiana o il
fatto che la controllata italiana e la controllante estera svolgessero la medesima
attività. In questo senso, si veda Comm. Trib. Centr., Sez. V, 29 maggio 1979, n.
7046, in Bollettino Tributario, vol. 47, n. 13/1980, p. 878 ss., con nota critica di
MAYR, S., ivi.
112
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
della partecipata italiana, quest’ultima non deve avere un “carattere
indipendente” (e.g. deve disporre del potere esercitato abitualmente di
concludere contratti in nome della controllante).33 Anche nel settore delle
imposte dirette il fatto che una società residente nello Stato A controlli o sia
controllata da una società residente nello Stato B non è un elemento
sufficiente a far considerare una società come stabile organizzazione
dell’altra:34 in tali ipotesi, occorrerà effettuare un’analisi caso per caso.
L’inquadramento delle caratteristiche sostanziali della stabile organizzazione
di un soggetto non residente è particolarmente importante al fine di stabilire
la rilevanza o meno dei servizi intra-gruppo. In linea di massima, la stessa
Commissione Europea ha da tempo adottato un approccio volto a considerare
irrilevanti ai fini IVA i passaggi di beni e servizi fra diverse articolazioni
territoriali del medesimo soggetto passivo. Più precisamente, l’art. 6, par. 6
della Proposta di direttiva del 2003 statuiva che «se una singola persona
giuridica ha costituito varie stabili organizzazioni, i servizi resi tra queste
sedi non sono considerati prestazioni di servizi».35 In sostanza, i servizi
prestati nell’ambito dello stesso soggetto passivo IVA (e.g. prestazione di un
servizio dalla sede principale ad una filiale) non sono considerati rientranti
nel campo di applicazione oggettivo dell’IVA sia in un’ipotesi meramente
interna ad uno Stato membro sia, a maggior ragione, in una situazione in cui
le sedi siano situate in due o più Stati membri. Di converso, sono considerate
“prestazioni” ai sensi della disciplina europea sull’IVA i servizi prestati a
titolo oneroso fra persone giuridiche distinte (e.g. fra sede principale e
consociata interamente controllata).36
Nel 2003, la Suprema Corte recepiva l’orientamento tracciato dai giudici
europei nel summenzionato caso ARO Lease BV ritenendo che «il riferimento
di una prestazione di servizi a un centro di attività diverso dalla sede viene in
considerazione solo se tale centro d’attività presenti un grado sufficiente di
33
Cfr. Comm. Trib. Prov. Milano, Sez. I, 25 marzo 1999, n. 512, in Diritto e Pratica
Tributaria, vol. 71, n. 2/2000, Parte III, p. 104 ss., con nota di DE RINALDIS, A., Sulla
soggettività tributaria della stabile organizzazione, ivi, p. 109 ss.
34
Tale regola è prevista espressamente sia dall’art. 5, comma 7, Modello OCSE, sia
dall’art. 169, comma 9, TUIR.
35
Al riguardo, cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Proposta di Direttiva del Consiglio che
modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di
servizi, COM(2003) 822 def., Bruxelles, 23.12.2003, par. 9 della Relazione
illustrativa, si sottolineava «che i servizi prestati tra filiali diverse di una società o tra
una filiale e la sede principale (cioè, sedi diverse), purché facenti capo alla stessa
persona giuridica, non rientrino normalmente nel campo di applicazione dell’IVA.
Questo principio è valido nei casi in cui le sedi siano situate nello stesso Stato
membro o in più paesi»
36
In questo senso, cfr. ASSONIME, Circolare 28 marzo 2002, n. 29, secondo cui
«attesa la nozione unitaria del soggetto passivo d’imposta […] nonché la definizione
di operazioni imponibili, che per la loro onerosità, presuppongono uno scambio di
beni o servizi tra due soggetti, è difficile immaginare che la casa madre e stabile
organizzazione, per i rapporti interni tra loro intercorrenti, possano considerarsi, ai
fini dell’Iva, come due soggetti distinti».
113
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
stabilità e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a
rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di cui trattasi».
Nella logica dell’imposta sul valore aggiunto, l’esistenza di una stabile
organizzazione in uno Stato membro costituisce una struttura operativa che
costituisce un centro di imputazione di taluni effetti giuridici, ma non può
sicuramente costituire un soggetto autonomo e distinto rispetto allo
stabilimento principale non residente.37 Al riguardo, a seguito di un rinvio
pregiudiziale effettuato dalla Corte di Cassazione,38 i giudici europei
sancivano nettamente che «un centro di attività stabile, che non sia un ente
giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato
membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non dev’essere
considerato soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a
fronte di tali prestazioni».39
Il problema interpretativo di fondo rimaneva, comunque, la difficile
conciliabilità del concetto di “stabile organizzazione” previsto dall’art. 5 del
Modello OCSE ed utilizzato ai fini delle imposte dirette, con il diverso
concetto di “centro di attività stabile” presente nell’art. 2, Dir. n.
77/388/CEE. Nel 2008 la giurisprudenza di legittimità ha prospettato
un’interpretazione volta a superare tale dicotomia, ritenendo che «la nozione
di stabile organizzazione in Italia di una società straniera ai fini Iva […]
deve essere tratta dall’art. 5 del modello di convenzione OCSE contro la
doppia imposizione e dal suo commentario, integrata, con i requisiti di
“centro di attività stabile”, di cui all’art. 2 della Sesta Direttiva Iva
(77/388/CEE), definito dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza delle
Cotte di Giustizia 17 luglio 1997, C-190/95 ARO Lease) come struttura
37
In questo senso, cfr. anche AGENZIA DELLE ENTRATE, Direzione Regionale della
Lombardia, Risoluzione 31 ottobre 2003, ove si accoglieva la ricostruzione
prospettata dal contribuente rilevandosi che «il rapporto intercorrente tra la società
istante e la propria casa madre» rappresentava «un mero passaggio interno di somme
di denaro, irrilevante agli effetti dell’IVA». Nello stesso senso, cfr. Agenzia delle
Entrate, Risoluzione 22 agosto 2002, prot. n. 2002/135/102. Per un commento a tali
orientamenti dell’Amministrazione finanziaria, cfr. RAGUSA, M. – GIORGI, M., I
rapporti tra la casa madre straniera e la propria stabile organizzazione alla luce di
due recenti pronunce ministeriali, in Dialoghi di Diritto Tributario, vol. 1, n. 3/2003,
p. 489 ss.
38
Cfr. Cass. civ., Sez. Trib., ordinanza 23 aprile 2004, n. 7851, in Rivista di Diritto
Tributario, vol. 14, n. 10/2004, Parte II, p. 515 ss., con note di DELLA VALLE, E., Si va
verso una soluzione definitiva del problema relativo alla rilevanza o meno, ai fini Iva,
dei servizi interni resi dalla casa madre alla sua stabile organizzazione (e viceversa),
ivi, p. 526 ss., di FRANSONI, G., Spunti sulla nozione di “consumo” di beni e di servizi
nell’IVA con particolare riferimento alle operazioni internazionali, ivi, p. 543 ss., e di
GIORGI, M. – LUPI, R., Prestazioni di servizi tra casa madre e stabile organizzazione,
tra assenza di dualità civilistica e “simmetrie fiscali”, in Dialoghi di Diritto
Tributario, vol. 2, n. 10/2004, p. 1415 ss.
39
Così, CGUE, Sez. II, 23 marzo 2006, causa C-210/04 FCE Bank plc, in Racc. p. I2825, par. 41, con nota di CENTORE, P., ‘Centro stabile’ e ‘stabile organizzazione’ ai
fini IVA, in GT –Rivista di Giurisprudenza Tributaria, vol. 13, n. 8/2006, p. 655 ss.
114
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
dotata di risorse materiali ed umane».40 In sostanza, la Suprema Corte ha
cercato di individuare un’interpretazione di stabile organizzazione ai fini IVA
fondata sulla nozione convenzionale ma, al contempo, rispettosa dei criteri
previsti dalla Sesta Direttiva.
Più di recente, la Corte di Giustizia UE è tornata ad occuparsi dell’argomento
in un caso relativo al diritto di rimborso dell’IVA ad un soggetto passivo
residente in un altro Stato membro o in uno Stato extra-UE, ma con un centro
di attività stabile in Italia. In base all’art. 38-ter del D.P.R. n. 633/1972,
l’Italia negava la detrazione dell’IVA a credito a tali soggetti passivi con
centro di attività stabile italiano nelle ipotesi in cui l’acquisto per cui era
domandato il rimborso era effettuato non tramite il centro di attività stabile,
ma direttamente dallo stabilimento principale di tale soggetto passivo.41
Questo approccio era stato in più occasioni avallato dall’Amministrazione
finanziaria, la quale riteneva operante un vero e proprio divieto per il
soggetto non residente di recuperare il credito IVA maturato in capo alla
precedente posizione IVA aperta dalla stabile organizzazione localizzata nel
territorio italiano.42 Ebbene, secondo la Corte di Giustizia UE con tale
normativa l’Italia era venuta meno agli obblighi assunti a livello europeo, dal
momento che i soggetti passivi residenti in altro Stato membro o in Stato
extra-UE con centro di attività stabile in Italia hanno il diritto di chiedere il
rimborso dell’IVA secondo le procedure previste dagli artt. 1 delle Direttive
n. 79/1072/CEE e n. 86/560/CEE piuttosto che tramite il meccanismo della
detrazione: «stando alla finalità di tali articoli, essi limiterebbero il ricorso
40
Così, Cass. civ., Sez. Trib., 15 febbraio 2008, n. 3889, in Rivista di Diritto
Tributario, vol. 19, n. 1/2009, Parte V, p. 1 ss., con nota di CERRATO, M., La rilevanza
del Commentario Ocse ai fini interpretativi: analisi critica dei più recenti indirizzi
giurisprudenziali, ivi, p. 11 ss.
41
Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria riteneva che il c.d. principio della
“forza di attrazione” della stabile organizzazione, «per effetto del quale il soggetto
non residente con stabile organizzazione nel territorio dello Stato deve procedere alla
fatturazione, registrazione e dichiarazione, vale esclusivamente per quelle operazione
materialmente effettuare dalla stabile organizzazione e non anche per quelle
realizzate direttamente dalla casa madre estera». Così, AGENZIA DELLE ENTRATE,
Risoluzione 9 gennaio 2002, n. 4/E. Sull’operatività di tale principio alla luce del
nuovo art. 162 TUIR, cfr. per tutti LOVISOLO, A., La “forza di attrazione” e la
determinazione del reddito della stabile organizzazione, in MARINO, G. (a cura di), I
profili internazionali e comunitari della nuova imposta sui redditi delle società,
Milano, 2004, p. 69 ss.
42
Cfr. AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 30 luglio 2008, n. 327/E, in cui veniva
sancito che «la circostanza che le prestazioni effettuate tra la casa madre e la stabile
organizzazione siano fuori campo Iva, nulla toglie alla natura commerciale
dell’attività svolta dalla stabile organizzazione che, pertanto, è da considerare
soggetto passivo ai fini Iva; d’altronde non esistono limiti a che la stabile
organizzazione svolga anche operazioni nei confronti di soggetti terzi che dovrebbero
essere regolarmente fatturate e registrate. Ne consegue, quindi, che la stabile
organizzazione deve essere munita di partita Iva e deve adempiere a tutti gli obblighi
previsti dalla normativa in materia».
115
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
alla procedura di rimborso dell’IVA ai soli casi in cui una detrazione di tale
imposta risulti impossibile. In presenza di un centro di attività stabile che
compie operazioni attive, nulla osterebbe a che si proceda alla detrazione
dell’IVA secondo le norme previste dall’art. 18 della sesta direttiva».43
A seguito di tale decisione della Corte di Giustizia UE, l’Italia si adeguava
introducendo l’art. 11, D.L. n. 135/2009, che, modificando l’art. 17, D.P.R. n.
633/1972, riconosce un ruolo parzialmente assorbente44 alla stabile
organizzazione in Italia del soggetto passivo IVA non residente che può
avvalersi della detrazione dell’IVA gravata sugli acquisti effettuati dalla sede
centrale non residente.45 Due anni dopo anche l’Amministrazione finanziaria
superava definitivamente l’approccio seguito in precedenza ammettendo «la
possibilità di far confluire nella stabile organizzazione di una società non
residente le posizioni debitorie e creditorie riferibili alla precedente
posizione IVA di identificazione diretta, senza ricorrere, quindi, alla
procedura di rimborso dell’eccedenza del credito IVA maturata dalla
medesima posizione di identificazione diretta».46
Le incertezze interpretative legate al concetto di stabile organizzazione in
ambito IVA sono state definitivamente sgombrate con l’approvazione del
Reg. (UE) n. 282/2011,47 il cui art. 11, comma 1, stabilisce espressamente
che quest’ultima «designa qualsiasi organizzazione […] caratterizzata da un
grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi
umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le
sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione».48
43
CGUE, Sez. VIII, 16 luglio 2009, causa C-244/08 Commissione c. Italia, in Racc.
p. I-00130, par. 14.
44
Per questa espressione, cfr. BASILAVECCHIA, M., Novità in tema di detrazione e di
stabile organizzazione, in Corriere Tributario, vol. 32, n. 40/2009, p. 3261 ss., il
quale evidenzia efficacemente che dopo la novella legislativa «appare chiaro che la
posizione del soggetto non residente, che abbia stabile organizzazione in Italia,
conduce ad un tendenziale assorbimento delle attività in Italia del soggetto stesso da
parte della stabile organizzazione, dato che la presenza di quest’ultima costituisce un
«modo di essere» della soggettività del non residente, che lo differenzia dalle ipotesi
prive del centro stabile di imputazione» (p. 3262).
45
Sul punto, cfr. anche CENTORE, P., Detrazione e rimborso per i soggetti non
residenti, in L’IVA, vol. 9, n. 10/2009, p. 5 ss.
46
Cfr. AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 24 novembre 2011, n. 108/E. Per un
primo commento, cfr. CERATO, S., Recupero del credito Iva maturato da un soggetto
non residente identificato direttamente e con stabile organizzazione, in Il Fisco, vol.
35, n. 46/2011, p. 2-7555 ss.
47
Regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 del Consiglio del 15 marzo 2011
recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema
comune di imposta sul valore aggiunto (rifusione), in GUUE del 23 marzo 2011, L 77,
p. 1 ss.
48
Come rileva Così, TOMASSINI, A., Stabili organizzazioni e commercio elettronico,
in Corriere Tributario, vol. 36, n. 19/2013, p. 1499, tale definizione di stabile
organizzazione ai fini IVA «non fa altro che recepire i principi elaborati dalla Corte
di giustizia sul concetto di centro di attività stabile».
116
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Nonostante tali chiarimenti da parte del legislatore europeo, la giurisprudenza
degli Stati membri (non solo italiana) continua ad adottare interpretazioni
discutibili che ostacolano il pieno esercizio del diritto al rimborso ai soggetti
non residenti.49 Questo filone, in particolare, considera che la mera
attribuzione della partita IVA ad un soggetto non residente che ne abbia fatto
richiesta costituisce un elemento indiziario che faccia presumere l’esistenza
di una stabile organizzazione: sebbene si tratti di una presunzione relativa,
tale orientamento subordina la richiesta di rimborso ex art. 38-bis, D.P.R. n.
633/1972 alla dimostrazione da parte del contribuente dell’assenza nel
territorio italiano di elementi di ordine personale e materiale che connotano la
stabile organizzazione.50 Qualora, però, il soggetto non residente effettui nel
territorio dello Stato esclusivamente un’operazione immobiliare occorrerà
valutare caso per caso se sussistono le caratteristiche della stabile
organizzazione: in tale ipotesi, mentre l’eventuale apertura di una partita IVA
non sarà in grado di configurare una stabile organizzazione in Italia,51 ai fini
delle imposte dirette andrà verificato in concreto se lo sfruttamento
economico dell’immobile rientra o meno nell’ordinaria attività d’impresa.52
49
Per un’ampio excursus sul tema, cfr. da ultimo BUCCICO, C., Il rimborso dell’Iva
assolta da soggetti passivi non residenti, in Rassegna Tributaria, vol. 53, n. 4/2010, p.
1043 ss.
50
In questo senso, cfr. Cass. civ., Sez. Trib., 13 aprile 2005, n. 7703, in Corriere
Tributario, vol. 28, n. 27/2005, p. 2163, con nota di IAVAGNILIO, M., Dall’attribuzione
della partita IVA non deriva la presunzione assoluta di stabile organizzazione, ivi, p.
2166; Comm. Trib. Reg. Roma, Sez. I, 6 giugno 2006, n. 120, in banca dati
Fisconline; Cass. Cass. civ., Sez. Trib., ord. 20 luglio 2012, n. 12633, in Corriere
Tributario, vol. 35, n. 44/2012, p. 3391 ss., con nota di CENTORE, P., La «tormentata»
identificazione dei soggetti non residenti ai fini del rimborso dell’IVA, ivi, p. 3387 ss.;
Cass. civ., Sez. Trib., ord. 30 novembre 2012, n. 21380, in banca dati Fisconline, con
nota di SIRRI, M. – ZAVATTA, R., Stabile organizzazione presunta e negazione del
rimborso IVA ai soggetti non residenti, in L’IVA, vol. 13, n. 3/2013, p. 13 ss.
51
Sul punto, cfr. Comm. Trib. I grado Roma, Sez. X, 15 novembre 1988, n.
88100505, in banca dati Fisconline, secondo cui «il fatto di aver denunciato la
propria presenza in Italia ed aver effettuato l’iscrizione di una partita Iva, da solo,
non è elemento sufficiente per ritenere l’esistenza di una stabile organizzazione in
Italia, in quanto tale requisito deve risultare dall’esistenza di una sede, di eventuali
dipendenti, dalla presentazione dei modelli 760 ai fini Irpeg e Ilor, nonché
dall’iscrizione nei registri della cancelleria commerciale e della C.c.i.a.a.».
52
Sul punto, cfr. MINISTERO DELLE FINANZE – DIR. TT.AA., Risoluzione 13 dicembre
1989, n. 460196, ove si legge che «per l’esistenza di una stabile organizzazione
occorre la effettiva istituzione di una autonoma e funzionale struttura nazionale
rispetto alla società estera. L’autonomia deve manifestarsi sia sul piano gestionale
che sul piano contabile e deve costituire sul piano imprenditoriale una entità
economica operativa dotata di autonomia di gestione, non essendo sufficiente che la
installazione produca comunque una qualche attività per l’impresa. La struttura
immobiliare non sembra, quindi, concretizzare una stabile organizzazione, trattandosi
di un bene patrimoniale non avente distinzione organizzativa e contabile dalla casa
madre. Non sembra pertanto possibile individuare una precipua funzione attiva svolta
dalla struttura in Italia per la produzione di reddito, essendo questo di fatto prodotto
117
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
La stessa giurisprudenza di legittimità continua a propugnare
un’interpretazione della stabile organizzazione ai fini IVA attingendo alla
definizione convenzionale europeisticamente adattata ai principi contenuti
nelle Direttive IVA.53
A testimonianza del fatto che la stabile organizzazione in ambito IVA (ma
non solo) rappresenta un concetto magmatico ed in continua evoluzione, è
opportuno segnalare una delle ultime pronunce europee sul punto, la quale –
sempre in una controversia relativa al rimborso – ha escluso la configurabilità
di una stabile organizzazione di un soggetto passivo residente in un altro
Stato che eserciti un controllo totale sulla prima, nell’ipotesi in cui detta
stabile organizzazione svolga esclusivamente prove tecniche o attività di
ricerca.54
Si segnala, infine, che recentemente anche la legislazione tributaria rumena è
finita al vaglio della Corte di Giustizia UE. Il 5 luglio 2012 veniva, infatti,
fatto un rinvio pregiudiziale nel caso E. On Energy Trading con il quale si
chiedeva alla CGUE «se un soggetto passivo avente sede principale in uno
Stato membro dell’Unione europea diverso dalla Romania, che ha
identificato ai fini IVA un rappresentante fiscale in Romania, sulla base delle
disposizioni di legge interne in vigore prima dell’adesione della Romania
all’Unione europea, possa essere considerato “soggetto passivo non
residente all’interno del paese”, ai sensi dell’articolo 1 dell’ottava direttiva
79/1072/CEE».
da un complesso organizzativo che opera al di fuori dello Stato». Contra LOVISOLO,
A., Il concetto di stabile organizzazione nel regime convenzionale contro la doppia
imposizione, in Diritto e Pratica Tributaria, vol. 54, n. 4/1983, Parte I, p. 1135, il
quale evidenzia che «ciò che assume rilevanza è la connessione, in rapporto di
strumentalità o di oggetto dell’attività commerciale, con l’esercizio di impresa.
Connessione, che, peraltro, nell’ipotesi di locazione del bene immobile si qualifica
soprattutto da punto di vista della strumentalità immobile all’esercizio dell’impresa».
53
Si veda, in particolare, Cass. civ., Sez. Trib., 21 aprile 2011, n. 9166, in banca dati
Fisconline. Sul tema, cfr. CENTORE, P., La soggettività parziale ai fini IVA della
stabile organizzazione, in Fiscalità e Commercio Internazionale, vol. 2, n. 1/2012, p.
14 ss.
54
CGUE, Sez. VIII, 25 ottobre 2012, cause riunite C-318/11 e C-319/11 Daimler e
Widex c. Skatteverket, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 23, n. 3/2013, Parte IV, p.
57 ss., con nota di PENNESI, M., La Corte di Giustizia europea sul caso Daimler: la
stabile organizzazione non rileva ai fini del rimborso Iva diretto, ivi, p. 66 ss., in cui i
giudici del Lussemburgo stabilivano che «non può ritenersi che un soggetto passivo
IVA, stabilito in uno Stato membro e che effettui, in un altro Stato membro,
unicamente prove tecniche o attività di ricerca, ad esclusione di operazioni
imponibili, disponga, in detto altro Stato membro, di un «centro di attività stabile dal
quale sono svolte le operazioni», o di una «stabile organizzazione dalla quale [sono
state] effettuate operazioni» ai sensi dell’articolo 1 dell’ottava direttiva e
dell’articolo 3, lettera a), della direttiva 2008/9» (par. 44).
118
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
3.3
La giurisprudenza antecedente alla modifica del 2003.
Prima dell’introduzione nel nostro ordinamento di una definizione di stabile
organizzazione, le varie norme fiscali che disciplinavano gli obblighi formali
e sostanziali in capo ai contribuenti relativamente a IRPEF,55 IRPEG, ILOR e
IVA, non contenevano «la definizione degli elementi essenziali della stabile
organizzazione di soggetto non residente ciò in quanto la materia fiscale
contro le doppie imposizioni è regolata da Convenzioni bilaterali stipulate
con i diversi Paesi stranieri».56
La giurisprudenza più risalente tendeva addirittura a ricondurre la nozione
fiscale di stabile organizzazione a quella di “sede secondaria” prevista
dall’art. 2506 c.c.,57 ma tale orientamento è stato avversato dalla dottrina che
lo riteneva «restrittivo in senso antifisco».58
In tale confuso scenario, la dottrina si è a lungo interrogata sulla possibilità o
meno di considerare unitariamente il concetto di stabile organizzazione sia ai
fini delle imposte dirette sia ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Al
riguardo, alcuni studiosi, facendo leva sul principio di unitarietà
dell’ordinamento tributario e constatando la mancanza di specifiche
55
Art. 19 (Applicazione dell’imposta ai non residenti), D.P.R. 29 settembre 1973, n.
597, secondo cui «si considerano prodotti nel territorio dello Stato, ai fini
dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti: […] 2) i redditi di
capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da
stabili organizzazione nel territorio stesso di soggetti non residenti; […] 5) i redditi di
impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili
organizzazioni».
56
Così, Comm. Trib. I grado di Novara, Sez. III, 1 ottobre 1984, n. 807, in Corriere
Tributario, vol. 8, n. 7/1985, p. 508 ss. In tale decisione, si rilevava altresì che «il
concetto di stabile organizzazione non va delineato in astratto, ma deve «riguardare
in concreto l’attività svolta dal soggetto non residente, ricercando, tra gli elementi
esemplificativi proposti nella Convenzione, quelli effettivamente sussistenti. Al
riguardo la Commissione ritiene determinante, per la soluzione del problema, la
presenza dei due sottostanti elementi:
l’assenza di qualsiasi potere di rappresentanza rivolto a
concludere contratti a nome dell’impresa […];
la qualificazione di accessorietà, sicuramente attribuibile alle
operazioni di carico e scarico svolte in Italia, rispetto alla prestazione
principale consistente nel trasporto internazionale».
57
Cfr. ex pluribus Cass. civ., 4 ottobre 1954, n. 3232, in Diritto Marittimo, vol. 57, n.
1/1955, p. 217 ss.; Cass. civ., 15 novembre 1960, n. 3041, in Diritto Marittimo, vol.
64, n. 1/1962, p. 12 ss.; Cass. civ., 9 luglio 1975, n. 2672, in Bollettino Tributario,
vol. 77, n. 4/1975, p. 1633 ss. In tale ultima decisione, la Suprema Corte evidenziava
che «la stabile organizzazione italiana della società estranea, pur non avendo rispetto
a questa una distinta soggettività giuridica, costituisce sul piano imprenditoriale, una
entità economica operativa dotata di autonomia di gestione, tanto da costituire il
requisito di identificazione oggettiva della società estera nel nostro ordinamento e da
produrre risultati suscettibili di essere bene espressi in scritture contabili autonome».
58
Così, GALLO, F., Contributo all’elaborazione del concetto di “stabile
organizzazione” secondo il diritto interno, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza
delle Finanze, vol. 45, n. 3/1985, Parte I, p. 385 ss. e, in particolare, p. 397.
119
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
definizioni di stabile organizzazione ai fini delle singole imposte,
pervenivano alla conclusione che «ciò che configura stabile organizzazione
ai fini delle imposte dirette deve configurare stabile organizzazione anche
agli effetti Iva (e viceversa); specularmente, ciò che non configura stabile
organizzazione ai fini delle imposte dirette non deve configurare stabile
organizzazione neppure agli effetti Iva (e viceversa)».59
L’approccio della giurisprudenza antecedente all’introduzione di espresse
indicazioni normative relative al concetto di stabile organizzazione ha per lo
più seguito tale impostazione dottrinale.
Ai fini delle imposte dirette, per esempio, la Corte di Cassazione faceva
espressamente rinvio alla «definizione contenuta in numerose Convenzioni
contro le doppie imposizioni, stipulate in conformità allo schema elaborato
dall’OCSE», statuendo che «il requisito della stabile organizzazione in Italia
di società estere […] doveva essere ritenuto esistente quando l’ente straniero
svolgesse abitualmente attività nel territorio nazionale avvalendosi di una
struttura organizzativa materiale e/o personale, qualunque ne fosse la
dimensione, purché non avesse carattere precario o temporaneo e
costituisse, quindi, un centro di imputazione di rapporti e situazioni
giuridiche riferibili al soggetto straniero».60
Successivamente, la stessa Suprema Corte chiariva che la stabile
organizzazione si configura in presenza di «situazioni di fatto che, pur
insuscettibili di essere ricondotte alla nozione di sede secondaria delineata
dall’art. 2506 del codice civile, si rivelino, tuttavia, idonee a denotare il fine
di quei soggetti di esercitare in Italia una attività imprenditoriale,
caratterizzandosi, oltre che per un collegamento non occasionale con luoghi
del territorio nazionale e con persone qui operanti, per un effettivo impiego
di beni ed attività lavorative coordinati in funzione della produzione e/o dello
scambio di beni e servizi, e per una effettiva, ancorché limitata, autonomia
funzionale».61 Questo primo orientamento, pertanto, riteneva configurabile la
59
Così, LUDOVICI, P., Il regime impositivo della stabile organizzazione agli effetti
dell’imposta sul valore aggiunto, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 8, n. 1/1998,
Parte I, pp. 72-73.
60
Così, Cass. civ., Sez. I, 27 novembre 1987, n. 8815, in Diritto e Pratica Tributaria,
vol. 59, n. 6/1988, Parte II, p. 1468 ss., con nota di LANTERI, N., Anstalt, possesso di
immobile in Italia e stabile organizzazione, ivi, p. 1468 ss.; Cass. civ., Sez. I, 27
novembre 1987, n. 8820, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze,
vol. 47, n. 4/1988, Parte II, p. 105 ss., con nota di MEDICI, M., Società ed associazioni
estere operanti in Italia e stabile organizzazione, ivi, p. 105 ss. e di PETRECCA, S., Il
concetto di stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette: la definizione della
Suprema Corte, in Bollettino Tributario, vol. 55, n. 10/1988, p. 806 ss. Nella prima
delle summenzionate decisioni, la Suprema Corte considerava configurabile la stabile
organizzazione nel caso di acquisto di terreni di rilevante interesse turistico,
considerando tale operazione un indice idoneo dell’esistenza di un piano di
sfruttamento dell’area acquistata.
61
Così, Cass. civ., Sez. I, 19 settembre 1990, n. 9580, in Diritto e Pratica Tributaria,
vol. 63, n. 2/1992, Parte II, p. 322 ss., annotata (insieme a Comm. Trib. Centr., Sez.
120
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
stabile organizzazione ogniqualvolta vi fosse la simultanea sussistenza di un
collegamento “umano” e di un collegamento “materiale” con il territorio
dello Stato diverso da quello di residenza. La definizione si sganciava,
inoltre, da una qualificazione meramente giuridica, prediligendo le situazioni
di fatto che esprimono un effettivo collegamento fra il soggetto non residente
e l’esercizio dell’attività commerciale nel territorio di un altro Stato.
Solo nelle pronunce più recenti, la Corte di Cassazione è pervenuta alla
conclusione che per poter configurare una stabile organizzazione occorre che
sussistano alternativamente le predette caratteristiche “umane” e
“materiali”.62
Nel settore dell’IVA, ferme le considerazioni fatte supra § 3.2.,
l’orientamento prevalente tendeva a mutuare il concetto di stabile
organizzazione dall’ambito delle imposte dirette, in cui il punto di riferimento
era l’art. 5 del Modello OCSE.63 L’Amministrazione finanziaria sposava tale
tesi ed escludeva la configurabilità di una stabile organizzazione ai fini IVA
qualora in Italia il soggetto non residente svolgesse attività meramente
promozionali.64 In un interessante caso affrontato dalla Commissione
Tributaria Provinciale di Milano, i giudici ricostruivano il concetto di stabile
organizzazione ai fini IVA richiamandosi all’art. 5 del Modello OCSE e
rilevavano che «per sua natura, una stabile organizzazione in Italia, così
come individuata dal legislatore italiano in materia fiscale e così come
individuata nel regime delle convenzioni contro la doppia imposizione, ha le
caratteristiche di una unità aziendale. Come tale ne vanno individuati i beni
che compongono l’azienda e i rapporti contrattuali (di lavoro e di acquisto di
beni e servizi) che ne costituiscono la struttura dei costi. Solo in tale modo è
XIII, 9 marzo 1990, n. 1887) da TUNDO, F., In tema di stabile organizzazione e IVA,
ivi, p. 322 ss.
62
In un caso concernente l’applicazione della Convenzione fra Italia e Svizzera, la
Cassazione evidenziava che il relativo art. 5 «deve essere interpretato nel senso della
non necessità, al fine dell’esistenza di una stabile organizzazione, di una compresenza
dell’elemento oggettivo (c.d. stabile organizzazione materiale) e di quello soggettivo
(c.d. stabile organizzazione personale), consistente nella presenza stabile in Italia di
un soggetto non indipendente avente il potere di concludere contratti». Così, Cass.
civ., Sez. Trib., 9 aprile 2010, n. 8488, in Rivista di Diritto Tributario Internazionale,
vol. 12, n. 1/2010, p. 455 ss., con nota di DI NUNZIO, L., I concetti di stabile
organizzazione materiale e personale in una recente pronuncia della Corte di
Cassazione, ivi.
63
Contra FIORELLI, A. – SANTI, A., Specificità del concetto di “stabile
organizzazione” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, in Rassegna Tributaria, vol.
41, n. 2/1998, p. 367 ss. e, in particolare, p. 385, i quali dall’analisi della
giurisprudenza europea rilevano che il concetto di stabile organizzazione ai fini IVA
risulta più circoscritto rispetto a quello descritto all’art. 5 del Modello OCSE e
concludono che «nell’attuale fase interpretativa la nozione di stabile organizzazione
ai fini Iva non collima perfettamente con quella ritenuta valida ai fini delle imposte
sul reddito».
64
Cfr. MINISTERO DELLE FINANZE – DIR. TT.AA., Risoluzione 7 dicembre 1991, n.
501504.
121
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
possibile concludere che esiste una stabile organizzazione in Italia di un
soggetto non residente. In assenza di ciò, l’affermazione risulta del tutto
immotivata e non provata; lo stesso accertamento dei soli ricavi, risulta,
comunque, un accertamento errato, non essendo possibile l’esistenza di una
stabile organizzazione (unità aziendale) capace di generare solo ricavi,
senza sopportare costi».65
3.4
La giurisprudenza successiva alla modifica del 2003.
A seguito dell’introduzione nel TUIR di una definizione “interna” di stabile
organizzazione, la giurisprudenza e la prassi sono state dotate di un criterio di
riferimento utilizzabile ogniqualvolta non fosse applicabile una convenzione
bilaterale stipulata dall’Italia. La nuova definizione normativa risulta
particolarmente ampia e per l’imponibilità del reddito d’impresa prodotto dal
non residente è necessaria:
a) una presenza che sia incardinata nel territorio dell’altro Stato
contraente e dotata di una certa stabilità;
b) una sede di affari in grado, anche solo in via potenziale, di
produrre reddito;
c) un’attività autonoma rispetto a quella svolta dalla casa madre,
«dovendo aggiungersi che, ai fini dell’applicazione delle imposte
dirette, la relativa indagine deve essere condotta non solo sul
piano formale, ma anche – e soprattutto – su quello sostanziale».66
Un aspetto particolarmente problematico ai fini di tale verifica consiste nelle
difficoltà legate all’identificazione di una stabile organizzazione nel Paese in
cui è localizzato un server. Al riguardo, sempre più spesso i gruppi
multinazionali svolgono attività di commercio elettronico per mezzo del
quale cedono beni o prestano servizi: questa inevitabile conseguenza della
globalizzazione ha notevoli implicazioni dal punto di vista fiscale. L’ecommerce può essere esercitato in modo “diretto”, quando l’oggetto della
transazione è un bene immateriale (e.g. un software) che viene ceduto in via
telematica,67 o in modo “indiretto”, quando l’oggetto della transazione è un
bene materiale (e.g. capi di abbigliamento) e la consegna avviene per
corrispondenza.68
65
In questo senso, cfr. Comm. Trib. Prov. Milano, Sez. I, 12 settembre 1997, n. 238,
in Giurisprudenza Italiana, vol. 150, n. 4/1998, p. 829 ss., annotata da CERRATO, M.,
Considerazioni in tema di stabile organizzazione ai fini dell’IVA e delle imposte sui
redditi, ivi, e da PISTONE, P., Stabile organizzazione ed esistenza di società figlia
residente, in Diritto e Pratica Tributaria, vol. 69, n. 2/1998, Parte II, p. 361 ss.
66
Così, da ultimo, Cass. civ., Sez. Trib., 17 gennaio 2013, n. 1103, in banca dati
Fisconline.
67
Sul punto, cfr. SALLUSTIO, C., Commercio elettronico diretto e imposizione sul
reddito, Roma, 2012, passim.
68
Senza pretesa di completezza, sul tema si rinvia a MAISTO, G., Le prime riflessioni
dell’Ocse sulla tassazione del commercio elettronico (nota a Committee on Fiscal
Affairs – Electronic commerce: the challenges to tax authorities and taxpayers), in
Rivista di Diritto Tributario, vol. 8, n. 1/1998, Parte IV, p. 47 ss.; MARELLO, E., Le
122
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Il primo dato normativo che deve essere preso in considerazione è proprio
l’art. 162, comma 5, TUIR, secondo cui «non costituisce di per sé stabile
organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e
relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati
ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi». La previsione
nazionale recepisce parzialmente quando suggerito dall’OCSE nel
Commentario all’art. 5 del Modello, cioè che l’attrezzatura informatica
(computer equipment) installata in un determinato Stato può costituire una
stabile organizzazione in presenza di determinate circostanze (i.e. fissità,
stabilità e continuità).69 Più precisamente:
- un sito internet non costituisce un bene materiale e, pertanto, non ha
un luogo che può identificare un luogo di attività;
- un server (i.e. l’attrezzatura informatica necessaria per far
funzionare un sito internet) può, invece, configurare una stabile
organizzazione perché costituisce un bene materiale e può pertanto
costituire una sede fissa d’affari dell’impresa che gestisce tale
server.70
categorie tradizionali del diritto tributario ed il commercio elettronico, in Rivista di
Diritto Tributario, vol. 9, n. 6/1999, Parte I, p. 595 ss.; CORABI, G., Il concetto di
stabile organizzazione nel commercio elettronico, in Corriere Tributario, vol. 23, n.
28/2000, p. 2042 ss.; GALLI, C., Brevi note in materia di commercio elettronico e
stabile organizzazione, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 10, n. 4/2000, Parte IV, p.
113 ss.; HINNEKENS, L., Le implicazioni del commercio elettronico sulla tassazione
all’origine, e in particolare sui paradigmi di determinazione della stabile
organizzazione e l’attribuzione dei profitti senza favoritismi commerciali, in Rivista di
Diritto Tributario Internazionale, vol. 3, n. 2/2001, p. 9 ss.; RINALDI, R. (a cura di),
La fiscalità del commercio via internet: attualità e prospettive, Torino, 2001;
URICCHIO, A. – GIORGI, M., Commercio elettronico e vendita telematica di servizi
finanziari: prime considerazioni dopo la direttiva comunitaria n. 31/2000, in Diritto e
Pratica Tributaria, vol. 72, n. 2/2001, Parte 1, p. 267 ss.; GALEOTTI FLORI, M.A.,
Commercio elettronico e fisco, Torino, 2002; FICARI, V., Regime fiscale delle
transazioni telematiche, in Rassegna Tributaria, vol. 46, n. 3/2003, p. 870 ss.; FICARI,
V. (a cura di), Il regime fiscale delle transazioni telematiche, Torino, 2004;
MERCURIO, V., Il commercio elettronico. Profili di diritto internazionale tributario,
comunitario e interno, Bologna, 2009; TOMASSINI, A., Stabili organizzazioni e
commercio elettronico, in Corriere Tributario, vol. 36, n. 19/2013, p. 1498 ss.
69
Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che «il server, essendo dotato di una
consistenza fisica, può configurare, in presenza di determinate circostanze, una sede
fissa d’affari. Ai fini della configurabilità, come individuata dal Commentario OCSE,
di una stabile organizzazione, l’impresa non residente deve esercitare la propria
attività per mezzo di un server che sia nella sua piena disponibilità, la quale sussiste
qualunque sia il titolo giuridico che la determina (proprietà, locazione ecc.). Inoltre,
affinché il server costituisca base fissa, deve considerarsi decisivo il fatto che
l’apparecchiatura permanga in un luogo specifico per un tempo sufficiente ad essere
considerata tale». Così, AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 28 maggio 2007, n.
119/E.
70
Cfr. OECD, Model Tax Convention on Income and on Capital 2010 (updated
2010), Paris, 2012, parr. 42.1.–42.10, p. C(5)-24 ss.
123
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Il recepimento, come rilevato poc’anzi, risulta parziale perché a differenza
del Commentario OCSE la norma domestica fa esclusivamente riferimento al
server “fisico”, ma non contempla l’ipotesi in cui il sito internet per mezzo
del quale l’impresa eserciti in un altro Stato la propria attività sia ospitato sul
server di un c.d. Internet Service Provider (ISP).71
Nonostante il dato normativo, i giudici di merito hanno recentemente stabilito
che un server può configurare una stabile organizzazione anche se corredato
da uno specifico software idoneo a gestire il processo di commercializzazione
dei prodotti della società non residente.72 Quello che, comunque, rimane
indiscusso è l’impossibilità che un sito internet configuri una stabile
organizzazione: questa scelta operata sia dall’OCSE che dal legislatore
nazionale implica che il c.d. commercio elettronico “indiretto” non possa
mai configurare una stabile organizzazione, conclusione ritenuta discutibile
da parte della dottrina secondo cui «si potrebbe operare, nel campo dell’ecommerce, in un Paese stabilendosi fiscalmente in un altro. […]
l’«esclusione» del sito web, propugnata in sede OCSE e accolta dal nostro
legislatore, non sembra in nessun modo tener in considerazione le
potenzialità di alcuni siti internet, che si sostituiscono in tutto e per tutto ai
negozi tradizionali».73
4 L’elaborazione del concetto di stabile organizzazione “occulta”.
L’individuazione di una stabile organizzazione così come definita nelle
previsioni convenzionali, europee e domestiche, è pur sempre frutto di una
verifica case by case che deve tenere conto della situazione concreta.74
71
Tale divergenza fra normativa domestica e stabile organizzazione ai sensi del
Modello OCSE implica che, per esempio, «potrà essere considerato stabile
organizzazione ai sensi della normativa domestica il server collocato nel territorio
nazionale che dia ospitalità ad un sito (di proprietà del possessore del server o di un
terzo) organizzato per vendere beni o servizi al pubblico attraverso il quale è
possibile perfezionare immediatamente la transazione, ponendo in essere lo scambio
della merce in forma digitale contro il prezzo; inoltre, si potrà ravvisare la presenza
di una sede fissa di affari quando, oltre a disporre di un elaboratore nel quale è
ospitato il web site, in Italia l’impresa straniera possegga ulteriori mezzi di supporto
per l’esecuzione dell’affare». Così, TOMASSINI, A., Stabili organizzazioni e
commercio elettronico, in Corriere Tributario, vol. 36, n. 19/2013, p. 1500.
72
Così, Comm. Trib. Reg. Marche, Sez. II, 24 giugno 2011, n. 44, in GT – Rivista di
Giurisprudenza Tributaria, vol. 18, n. 10/2011, p. 895 ss., con nota di TUNDO, F.,
Ancora controverso il concetto di stabile organizzazione tra obiettiva incertezza,
personalità giuridica e cooperazione internazionale, ivi, p. 901 ss.
73
Così, TOMASSINI, A., Stabili organizzazioni e commercio elettronico, in Corriere
Tributario, vol. 36, n. 19/2013, p. 1501.
74
Come rileva giustamente AMATUCCI, F., Principi e nozioni di diritto tributario, 2a
ed., Torino, 2011, p. 129, nt. 24, «non esiste uno schema standard di stabile
organizzazione. Per individuarla, infatti, è necessario valutare la realtà
124
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Nell’ambito dei gruppi societari multinazionali, la giurisprudenza italiana ha
ammesso la possibilità di ravvisare una stabile organizzazione in Italia di una
o più società estere facenti parte del medesimo gruppo: si tratterebbe, quindi,
di una stabile organizzazione plurima di una o più società estere appartenenti
al medesimo gruppo che perseguono una strategia unitaria.75
A prescindere dal carattere plurimo o univoco della stabile organizzazione
presente sul territorio italiano, la giurisprudenza ha adottato
un’interpretazione “antielusiva” finalizzata ad identificare anche la c.d.
stabile organizzazione “occulta”.76 Con tale termine di creazione puramente
giurisprudenziale si indica «una sede fissa di affari a cui un’impresa estera
esercita, in tutto o in parte, la sua attività, in forma consapevole o
inconsapevole – attraverso una organizzazione di uomini e mezzi ovvero per
il tramite di un soggetto il quale agisce in qualità di agente
dipendente/indipendente – senza tuttavia dichiarare, all’autorità fiscale del
Paese in cui è localizzata, i relativi proventi dalla stessa generati e ad essa
direttamente imputabili».77
Dunque, può configurarsi una stabile organizzazione materiale o personale
anche in presenza di installazioni occultate o dissimulate dal contribuente.78
Il caso di scuola in tema di stabile organizzazione occulta è senza dubbio il
caso Philip Morris del 2002.79 Il colosso del tabacco, diretto dalla sede di
imprenditoriale del soggetto non residente che si avvale di risorse materiali e
personali in Italia».
75
Per approfondimento, cfr. PENNESI, M., Le sedi plurime a direzione unitaria sono
stabile organizzazione, in Corriere Tributario, vol. 34, n. 48/2011, p. 4012 ss.
76
Per una rapido excursus, cfr. VALENTE, P., La stabile organizzazione «occulta»
nella giurisprudenza italiana, in Fiscalità e Commercio Internazionale, vol. 2, n.
5/2012, p. 30 ss.
77
Così, VALENTE, P. – MATTIA, S. – SCHIPANI, P., Il concetto di “stabile
organizzazione occulta”, in VALENTE, P. – VINCIGUERRA, L. (a cura di), Stabile
organizzazione occulta. Profili applicativi nelle verifiche, Milano, 2013, p. 10.
78
Già da tempo la giurisprudenza di merito evidenziava che l’assoggettamento ad
imposizione in Italia di un soggetto non residente deve essere subordinato alla «prova
concreta e giudizialmente attendibile della sussistenza de facto di una stabile
organizzazione (attraverso uffici, stabilimenti, ecc.) effettivamente operante in
territorio italiano». Così, Comm. Trib. Centr., 7 novembre 1978, n. 14990, in banca
dati Fisconline.
79
Cfr. Cass. civ., Sez. Trib., 7 marzo 2002, n. 3367, in GT – Rivista di
Giurisprudenza Tributaria, vol. 9, n. 7/2002, p. 607 ss., con nota di SUCCIO, R.,
Sull’ammissibilità della stabile organizzazione di un gruppo di società non residenti,
ivi, p. 621 ss.; Cass. civ., Sez. Trib., 7 marzo 2002, n. 3368, in banca dati Fisconline;
Cass. civ., Sez. Trib., 25 maggio 2002, n. 7682, in banca dati Fisconline, annotata da
BALLANCIN, A., La nozione di “stabile organizzazione di gruppo” in una recente
pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, in Diritto e Pratica Tributaria
Internazionale, vol. 2, n. 3/2002, p. 953 ss., e da STEVANATO, D. – MASSIMILIANO, G.
– LUPI, R., Una società controllata può “nascondere” una stabile organizzazione? Ci
sono differenze tra profili IVA e imposte sui redditi?, in Dialoghi di Diritto
Tributario, vol. 1, n. 1/2003, p. 35 ss.; Cass. civ., Sez. Trib., 25 luglio 2002, n. 10925,
in Il Fisco, vol. 26, n. 32/2002, p. 1-5200 ss.
125
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
New York, si articolava in una ramificata struttura multinazionale di società
controllate e collegate, e «pur svolgendo in Italia una considerevole attività,
né la capo-gruppo, né le società ad essa collegate hanno ivi istituito una
stabile organizzazione».80
I verificatori ritenevano che la Philip Morris avesse de facto una stabile
organizzazione nel territorio italiano, la quale era stata occultata:
conseguentemente, ai fini IVA veniva contestata la violazione degli obblighi
di fatturazione e dichiarazione, nonché il mancato versamento dell’IVA per
quanto concerne le importazioni del tabacco dagli Stati Uniti e le royalties
pagate dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato (AAMS)
dovute sulla base di contratti di licenza in relazione alla produzione e vendita
delle sigarette in Italia. Inoltre, la società italiana all’interno della quale i
verificatori ritenevano occultata la stabile organizzazione svolgeva un’attività
di produzione e vendita di filtri per articoli da fumatori.
Ai fini delle imposte sul reddito, invece, veniva contestata l’omessa
contabilizzazione dei corrispettivi che erano stati erogati dall’AAMS per la
fornitura di tabacco greggio, di materiali diversi e di sigarette marchiate
Philip Morris in forza dei contratti di distribuzione: tutti questi proventi
«avrebbero dovuto essere assoggettati a tassazione ordinaria in quanto
conseguiti tramite una plurima, sebbene occulta, stabile organizzazione
presente sul territorio italiano».81 La scelta di avvalersi di una stabile
organizzazione occulta nel territorio dello Stato era, pertanto, frutto di un
«disegno unitario di sottrazione all’imposizione diretta e indiretta dei
proventi derivanti dalle attività in Italia».82 Quindi, nonostante la società
italiana controllata apparisse formalmente autonoma ed indipendente, in
realtà rivestiva un ruolo essenziale nella produzione del reddito della
controllante non residente, tant’è che i vari contratti per la promozione della
vendita di sigarette in aree duty free, alle compagnie aeree, alle ambasciate e
in ogni altro luogo autorizzato all’acquisto di tali prodotti in regime di
parziale o totale esenzione fiscale «erano stati posti in essere al solo fine di
dissimulare l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia» della
controllante non residente e di altre società del gruppo.83
Dal punto di vista probatorio, la sussistenza della stabile organizzazione
plurima e occulta in Italia veniva desunta da una serie di documenti di natura
“confessoria”, fra cui un documento programmatico del 1976 dal quale
emergeva la decisione della direzione del gruppo di costituire in Italia una
società formalmente autonoma «per sfuggire alle conseguenze fiscali di una
stabile organizzazione».84
In sintesi nel caso Philip Morris la Suprema Corte:
a) ammette la configurabilità della stabile organizzazione “plurima”,
dal momento che più società del medesimo gruppo internazionale
80
Così, Cass. civ., Sez. Trib., 7 marzo 2002, n. 3368, cit.
Così, Cass. civ., Sez. Trib., 25 maggio 2002, n. 7682, cit.
82
Così, Cass. civ., Sez. Trib., 7 marzo 2002, n. 3368, cit.
83
Così, Cass. civ., Sez. Trib., 7 marzo 2002, n. 3368, cit.
84
Così, Cass. civ., Sez. Trib., 25 maggio 2002, n. 7682, cit.
81
126
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
esercitavano un’attività di gestione attraverso una struttura fissa
operante nello Stato della fonte: la struttura fissa in questione può
essere individuata anche in seno ad una società di capitali con sede
in Italia;
b) ammette la configurabilità della stabile organizzazione “occulta”
in seno ad una società residente in Italia e controllata da una o più
società non residenti appartenenti al medesimo gruppo, posto che
«il fenomeno delle stabili organizzazioni occulte trova un più
favorevole terreno di coltura all’interno dei gruppi multinazionali,
nei quali la strategia unitaria del gruppo può assumere forme di
utilizzazione delle società controllate talmente penetranti da far
diventare queste ultime, pur dotate di uno status di soggetti
autonomi, vere e proprie strutture di gestione dell’impresa
esercitata da altre società»;85
c) considera che l’attività di controllo sulla regolare esecuzione dei
contratti di distribuzione di articoli da tabacco in Italia non possa
considerarsi “ausiliaria” né “preparatoria” ex art. 4, comma 4,
Modello OCSE, con conseguente configurabilità di una stabile
organizzazione: in altre parole, lo svolgimento di una tale attività
da parte di una struttura italiana nell’interesse di un soggetto non
residente è sufficiente a qualificare la prima come stabile
organizzazione ai fini delle imposte dirette e come centro di
attività stabile ai fini IVA;
d) adottando un’interpretazione antielusiva in applicazione della c.d.
substance-over-form doctrine, rileva che non possono considerarsi
“indipendenti” le strutture aventi il potere di concludere contratti
in nome del soggetto non residente ex art. 5, comma 5, Modello
OCSE:86 questo approccio è stato di recente ribadito nel caso
CEPU;87
85
Così, testualmente, Cass. civ., Sez. Trib., 25 luglio 2002, n. 10925, in Il Fisco, vol.
26, n. 32/2002, p. 1-5200 ss.
86
A tale riguardo, la Suprema Corte mette in luce il fatto che «autorevole dottrina
internazionale non ha mancato di sottolineare che l’espediente di separare la
materiale attività di conclusione di contratti da quella di formale stipulazione degli
stessi (split-up of business responsibilities on the hand and legal authority on the
other) può essere considerata come elusione fiscale (tax circumvention), dovendosi
ritenere prevalente, per l’applicazione del paragrafo 5, la sostanza sulla forma. In
altre parole, l’accertamento del potere di concludere contratti deve essere riferito
alla reale situazione economica, e non alla legge civile, e lo stesso può riguardare
anche singole fasi, come le trattative, e non necessariamente comprendere anche il
potere di negoziare i termini del contratto». Così, Cass. civ., Sez. Trib., 25 maggio
2002, n. 7682, cit.
87
Cfr. Cass. civ., Sez. Trib., 7 ottobre 2011, n. 20597, in Il Fisco, vol. 35, n. 41/2011,
p. 1-6689 ss., con commenti di VALENTE, P., La stabile organizzazione nelle
disposizioni interne e convenzionali e nella sentenza della Corte di Cassazione n.
20597/2011, in Il Fisco, vol. 35, n. 42/2011, p. 1-6831 ss.
127
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
e) considera soggetta ad IVA la prestazione di servizi effettuata nel
territorio italiano qualora vi sia un nesso diretto ed immediato con
il corrispettivo ricevuto, con la conseguenza che devono essere
espletati in Italia tutti gli obblighi di fatturazione (o autofatturazione), dichiarazione e versamento dell’IVA, senza che
rilevi il fatto che tale prestazione sia fatta nell’ambito di un
contratto che preveda altre prestazioni nell’interesse di un non
residente con centro di attività stabile in Italia.
4.1
Il recente e discutibile orientamento della Corte di Cassazione in
tema di stabile organizzazione “occulta” e stabile organizzazione
“plurima”: la decisione n. 16106/2011.
La giurisprudenza Philip Morris ha indubbiamente rappresentato
un’importantissima evoluzione del concetto di stabile organizzazione nel
nostro ordinamento, estendendo tale nozione fino ad abbracciare le ipotesi di
stabile organizzazione “plurima” e/o “occulta”, ma non si è spinta fino ad
attribuire una vera e propria soggettività tributaria alla stessa.88 A lungo,
infatti, questa circostanza non è mai stata messa in discussione.89
88
In tema, cfr. in particolar modo FIORENTINO, S., Stabile organizzazione, centro di
attività stabile e “nozioni minime” in tema di soggetti passivi e soggettività tributaria,
in Diritto e Pratica Tributaria, vol. 76, n. 4/2005, Parte I, p. 871 ss. Si veda anche
PURI, P., I soggetti, in FANTOZZI, A. (a cura di), Diritto tributario, 4a ed. (prima
ristampa), Torino, 2013, pp. 431-432, secondo cui «la stabile organizzazione di
imprese estere in Italia non è un soggetto distinto, ma solo un insieme di beni e di
persone, in relazione al quale determinare separatamente la quota di reddito prodotto
(e quindi imponibile) nel territorio statale. Il soggetto passivo rimane il non
residente; la stabile organizzazione non è dunque un soggetto benché qualificando il
collegamento di tipo oggettivo o materiale del presupposto d’imposta con il territorio
italiano diviene un elemento del presupposto integrandolo sotto l’aspetto del profilo
territoriale e fungendo da elemento di collegamento per l’imposizione (o la non
imposizione) nel territorio del singolo Stato nei confronti delle imprese che operano
in più Stati».
89
Cfr. Cass. civ., 30 novembre 1983, n. 7184, in banca dati Fisconline. Più di recente,
la Suprema Corte ha rilevato che «la qualificazione di reddito quale reddito
d’impresa dipende dal requisito soggettivo dell’esercizio di impresa commerciale da
parte del percipiente, a prescindere da qualsiasi altro diverso requisito (essendo la
ricorrenza della stabile organizzazione semplice condizione di localizzazione del
reddito medesimo e di sua imponibilità in Italia) ed, inoltre, che, per poter scindere (e
diversificare nel trattamento fiscale) le componenti del reddito d’impresa di un
soggetto straniero e privo di autonoma organizzazione nel territorio dello Stato, è
necessaria una specifica disposizione di legge». Così, Cass. civ., Sez. Trib., 21 aprile
2011, n. 9197, in banca dati Fisconline, con nota di COMUZZI, P. – CAMELI, N., Il
reddito d’impresa prevale sul reddito di capitale anche in assenza di una stabile
organizzazione in Italia? Un primo commento alla sentenza n. 9197 del 21 aprile
2011 della Corte di Cassazione che ha avuto effetti importanti sul principio del
trattamento isolato del reddito, in Novità Fiscali, vol. 2, n. 11/2011, p. 8 ss.
128
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Se da un punto di vista sostanziale la stabile organizzazione di un soggetto
non residente non ha soggettività tributaria, la Suprema Corte con una
decisione del 2011 ha stabilito che i redditi di una stabile organizzazione (in
questo caso, “occulta”) possono essere accertati direttamente in capo alla
società partecipata italiana, la quale de facto agisce come agente
dipendente.90
Nel caso di specie, l’Amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione le
somme versate da una società italiana a titolo di royalties (per la concessione
di licenze per l’utilizzazione di brevetti) ad alcune società tedesche ed
austriache, tutte controllate da una holding tedesca (che controllava
interamente la società italiana). I verificatori ritenevano che detta società
italiana operasse quale stabile organizzazione del gruppo multinazionale e,
conseguentemente, applicava l’art. 12, par. 4 e l’art. 12, par. 5 delle
Convenzioni siglate dall’Italia rispettivamente con Austria e Germania,91 i
quali derogano al principio dell’imponibilità delle royalties nello Stato di
residenza del concedente nell’ipotesi in cui «il beneficiario effettivo dei
canoni, residente in uno Stato contraente, eserciti nell’altro Stato contraente
dal quale provengono i canoni […] un’attività industriale o commerciale per
mezzo di una stabile organizzazione ivi situata»: in presenza di una stabile
organizzazione, la norma convenzionale prevede che le royalties risultino
«imponibili in detto altro Stato contraente secondo la propria legislazione».
L’aspetto innovativo della decisione consiste nel fatto che, nell’accogliere la
ricostruzione prospettata dall’Ufficio, la Suprema Corte ammetteva che le
contestazioni delle violazioni tributarie potessero essere rivolte anche alla
stabile organizzazione del soggetto estero. Nella motivazione si legge che la
normativa che disciplina la stabile organizzazione ai fini IVA (i.e. il D.L. n.
191/2002), in base alla quale questa è gravata dai vari adempimenti prescritti
dalla legge, avrebbe «indubitabilmente» attribuito a quest’ultima una
«soggettività fiscale di diritto interno in relazione ai rapporti inerenti al
soggetto non residente». In aggiunta a ciò, al fine di ricostruire una nozione
unitaria di stabile organizzazione, la Corte di Cassazione sottolinea che «il
criterio, seppure elaborato in relazione a controversie in materia di iva, è
estendibile al campo delle imposte dirette».
Tale principio implica che l’Amministrazione finanziaria possa indirizzare la
propria pretesa impositiva e la relativa azione accertatrice:
90
Cass. civ., Sez. Trib, 22 luglio 2011, n. 16106, in Rivista di Diritto Tributario, vol.
21, n. 12/2011, Parte V, p. 183 ss., annotata criticamente (insieme a Comm. Trib.
Prov. Vicenza, Sez. VII, 21 dicembre 2007, n. 120 e Comm. Trib. Reg. VeneziaMestre, Sez. XXXIII, 11 febbraio 2010, n. 16) da BULGARELLI, F., La resistibile
immedesimazione tra stabili organizzazioni occulte e soggetti passivi dell’imposta sul
reddito, ivi, p. 197 ss.
91
Cfr. Convenzione Italia-Austria del 29 giugno 1981, ratificata con Legge 18 ottobre
1984, n. 762, ed entrata in vigore il 6 aprile 1985; Convenzione Italia-Germania del
18 ottobre 1989, ratificata con Legge 24 novembre 1992, n. 459, ed entrata in vigore il
26 dicembre 1992.
129
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
a)
direttamente nei confronti della società residente in Italia per
quanto concerne i redditi da essa prodotti con la propria autonoma
attività; ed anche
b) direttamente nei confronti della medesima società residente in
Italia per quanto concerne i redditi costituiti in “massa separata”
riferibili al soggetto non residente per il quale opera come stabile
organizzazione occulta, con la peculiarità che, in questa ipotesi, la
determinazione dell’imposta dovuta dovrà seguire i principi
propri dell’imposta sul reddito dei soggetti non residenti.
In altre parole, in relazione alla società italiana che operi anche quale stabile
organizzazione di un soggetto estero, il principio di diritto elaborato dalla
Suprema Corte si traduce in una significativa agevolazione dell’attività
accertatrice del Fisco, il quale potrà muovere le proprie contestazioni sempre
all’interno del territorio nazionale.
La decisione apre diverse problematiche non irrilevanti.
In primo luogo, l’asserita legittimità dell’accertamento nei confronti della
stabile organizzazione è l’ennesimo esempio di giurisprudenza “creativa” da
parte della Cassazione, la quale è cresciuta esponenzialmente negli ultimi
anni:92 non si comprende, pertanto, quale sia l’appiglio normativo utilizzato
dai giudici a fondamento della propria motivazione, soprattutto per quanto
riguarda il criterio di determinazione del reddito in capo alla stabile
organizzazione “celata” nella controllata italiana sulla base dei principi
applicabili ai soggetti non residenti. La conclusione a cui perviene la
Cassazione è smentita non solo da l’opinione assolutamente prevalente in
dottrina93 – nonostante in passato qualche Autore avesse assunto una
posizione più dubitativa94 – ma dalla stessa giurisprudenza di legittimità che
92
Basti pensare, fra le tante, alle c.d. sentenze “gemelle” di Natale 2008 con cui le
Sezioni Unite statuivano che l’abuso del diritto in materia tributaria trova fondamento
nell’art. 53 Cost. Sul punto, cfr., per tutti, CORDEIRO GUERRA, R. – MASTELLONE, P.,
The judicial creation of a general anti-avoidance rule rooted in the Constitution, in
European Taxation, vol. 49, n. 11/2009, p. 511 ss. e gli ampi riferimenti bibliografici
ivi indicati.
93
Netto nell’escludere la soggettività tributaria alle stabili organizzazioni è
GIOVANNINI, A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, p. 204.
In questo senso, cfr. da ultimo DELLA VALLE, E., La soggettività tributaria della
stabile organizzazione, in GAROFOLI, R. – TREU, T. (diretto da), Treccani – Il libro
dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, p. 580 ss., secondo cui «unico soggetto
passivo d’imposta è il soggetto non residente, mentre la stabile organizzazione sita
nel nostro territorio ne costituisce soltanto una articolazione interna, priva di
soggettività tributaria autonoma». In senso critico, cfr. anche PROIETTI, M., Stabile
organizzazione occulta ed imposte dirette: profili critici in punto di soggettività
tributaria, in Rassegna Tributaria, vol. 55, n. 3/2012, p. 653 ss.
94
Ci si riferisce alla tesi di MICHELI, G.A., Soggettività tributaria e categorie
civilistiche, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, vol. 36, n.
1/1977, Parte I, p. 426, secondo cui, nonostante le stabili organizzazioni non abbiano
autonomia patrimoniale e (in linea di massima) non abbiano personalità giuridica, non
può aprioristicamente escludersi la lor qualificazione come soggetti tributari perché
130
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
pochi mesi prima evidenziava a chiare lettere che la ricorrenza della stabile
organizzazione costituisce una «semplice condizione di localizzazione del
reddito medesimo e di sua imponibilità in Italia».95 La dottrina maggioritaria,
dunque, esclude che la stabile organizzazione possa avere soggettività
giuridica e tale conclusione deve considerarsi ancor più valida quando si tenti
di configurare una stabile organizzazione riferibile ad un gruppo societario
non residente.96
Un altro aspetto particolarmente criticabile è l’estensione analogica del
concetto di stabile organizzazione elaborato in ambito IVA al settore delle
imposte dirette.97
rappresentano pur sempre un centro di produzione di effetti giuridici nello Stato
impositore. L’Autore considera, dunque, che la disciplina interna attribuirebbe alle
stabili organizzazione una soggettività tributaria («la stabile organizzazione dunque
può costituire soggetto passivo che entra a far parte della fattispecie impositiva,
mentre non esaurisce il soggetto passivo nel quale si incentrano gli effetti conseguenti
alla sottoposizione alla responsabilità»). In maniera ancor più convinta, cfr. NUZZO,
E., Questioni in tema di tassazione di enti non economici, in Rassegna Tributaria, vol.
28, n. 1/1985, Parte I, p. 129, il quale ritiene che sia «il connotato di autonomia, nel
senso di separabilità dell’attività esercitata, ad evidenziare i tratti fisionomici del
concetto in questione [la stabile organizzazione, N.d.A.], ed è questo connotato che
consente di far configurare la casa madre come “terzo” rispetto alla stabile
organizzazione e di far assumere detta organizzazione come soggetto passivo Irpeg,
per l’impossibilità di rendere operanti, con riferimento ad essa, i congegni
dell’imposizione personale».
95
Cfr. la già citata Cass. civ., Sez. Trib., 21 aprile 2011, n. 9197, in banca dati
Fisconline, con nota di COMUZZI, P. – CAMELI, N., Il reddito d’impresa prevale sul
reddito di capitale anche in assenza di una stabile organizzazione in Italia? Un primo
commento alla sentenza n. 9197 del 21 aprile 2011 della Corte di Cassazione che ha
avuto effetti importanti sul principio del trattamento isolato del reddito, in Novità
Fiscali, vol. 2, n. 11/2011, p. 8 ss.
96
In questo senso, cfr. DELLA VALLE, E., La nozione di stabile organizzazione nel
nuovo Tuir, in Rassegna Tributaria, vol. 47, n. 5/2004, p. 1654, il quale è fermamente
convinto che debba «escludersi che, all’interno di un gruppo, una singola impresa
possa configurarsi come stabile organizzazione del gruppo nel suo complesso. La
stabile organizzazione è infatti figura che presuppone la soggettività passiva della
persona o dell’ente, anche societario, cui appartiene, mentre il gruppo di imprese, in
quanto tale, non è dotato di soggettività ai fini tributari».
97
Sul punto, rileva PENNESI, M., Stabile organizzazione occulta: tassazione del
reddito per «massa separata» (nota a Cass. civ., Sez. Trib, 22 luglio 2011, n. 16106),
in Corriere Tributario, vol. 34, n. 38/2011, p. 3116, che «in materia fiscale non esiste
la possibilità di un’applicazione analogica di altre norme e quand’anche si potesse
prendere come riferimento civilistico quanto accade con i patrimoni destinati e
separati ex art. 2447-bis c.c. o il concetto di attività separate, notorio in ambito IVA,
non è tuttavia ravvisabile alcuna disposizione fiscale che consenta la tassazione in
massa separata o soltanto la tassazione separata di redditi non appartenenti al
soggetto dichiarante. L’unico esempio di tassazione separata riferibile alle società è
relativo all’applicazione della norma in tema di redditi da CFC ex art. 167 del
T.U.I.R., una previsione di legge specifica che ha indicato in dettaglio i presupposti e
131
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Ma l’aspetto sicuramente più preoccupante riguarda le conseguenze penaltributarie in cui incorrerebbe la società italiana nell’ipotesi in cui
l’Amministrazione finanziaria consideri questa una stabile organizzazione di
un soggetto non residente. Sulla base del nuovo orientamento
giurisprudenziale inaugurato dalla Suprema Corte, all’Amministrazione
finanziaria basterà dimostrare l’esistenza di un centro di imputazione fiscale
occultato all’interno del territorio italiano per poter procedere alla
contestazione di eventuali violazioni amministrative tributarie ed alla
segnalazione di potenziali fattispecie delittuose alla Procura della Repubblica.
Al riguardo, si deve ricordare che nel caso Philip Morris del 2002 la
segnalazione da parte dei verificatori alla magistratura penale si era conclusa
con una decisione di non luogo a procedere nei confronti degli imputati
“perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.98 In tale occasione, il
Pubblico Ministero aveva contestato agli amministratori della società italiana
controllata, che dissimulava la propria natura di stabile organizzazione, il
reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3, D.Lgs. 10
marzo 2000, n. 74). Il Tribunale di Milano, tuttavia, proscioglieva gli
imputati evidenziando che il reato tributario ipotizzato «inequivocabilmente
riferisce il fine di evasione esclusivamente alle imposte alle quali è tenuto lo
stesso soggetto attivo del reato, cioè il soggetto a carico del quale grava
l’obbligo di presentazione della dichiarazione». Dal momento che i soggetti
passivi d’imposta erano le società non residenti appartenenti alla
multinazionale del tabacco, il reato non poteva essere contestato alla stabile
organizzazione (plurima e occulta) individuata sul territorio italiano.99
L’orientamento in questione appare evidentemente mosso da un interesse
fiscale100 che non tiene conto del dato normativo ed «infonde incertezza negli
le modalità di tassazione e come tale non suscettibile di applicazione a casi diversi
dalle ipotesi di CFC».
98
Cfr. Tribunale di Milano, GIP Piffer, 8 luglio 2002, in Il Fisco, vol. 26, n. 33/2002,
p. 5355, con nota di PEZZUTO, G., “Stabile organizzazione”. Un istituto ancora
decisamente problematico. Profili penali, ivi, p. 5360 ss. Su tale sentenza, cfr. anche
le riflessioni di CARACCIOLI, I. – MATTIA, S., Profili di responsabilità penale per
comportamenti elusivi in materia di stabile organizzazione, in Commercio
Internazionale, vol. 32, n. 2/2008, p. 38 ss.
99
Il GIP concludeva che «la P.M. Inc., quale soggetto passivo di imposta in Italia,
per redditi derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante la sua
stabile organizzazione I. S.p.A., era obbligata alla presentazione della dichiarazione
dei redditi in Italia, indicando tra l’altro l’indirizzo della stabile organizzazione nel
territorio stesso e l’indirizzo in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari
(art. 4, comma 2, D.P.R. n. 600/1973). Inoltre, la P.M. Inc. era obbligata ad allegare
alle dichiarazioni per le imposte dirette soltanto il bilancio relativo alle attività
esercitate nello Stato mediante stabile organizzazione (I. S.p.A.)».
100
In questo senso, cfr. anche BULGARELLI, F., La resistibile immedesimazione tra
stabili organizzazioni occulte e soggetti passivi dell’imposta sul reddito (nota a Cass.
civ., Sez. Trib, 22 luglio 2011, n. 16106, Comm. Trib. Prov. Vicenza, Sez. VII, 21
dicembre 2007, n. 120 e Comm. Trib. Reg. Venezia-Mestre, Sez. XXXIII, 11 febbraio
2010, n. 16), in Rivista di Diritto Tributario, vol. 21, n. 12/2011, Parte V, p. 220, il
132
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
operatori anche dal punto di vista sanzionatorio, sia amministrativo sia
penale: se il soggetto obbligato fosse italiano si parlerebbe di infedeltà
dichiarative, non di omissioni. Invece, la stabile organizzazione è lo
strumento per assoggettare a tassazione l’impresa estera nel nostro Paese: è
questa il soggetto passivo di imposta, tanto che nella dichiarazione dei
redditi è individuata come soggetto non residente».101
La nuova e discutibile interpretazione della giurisprudenza di legittimità apre
un ventaglio di possibili conseguenze penali per gli amministratori della
società italiana controllata all’interno della quale si annida una stabile
organizzazione di uno o più soggetti non residente, soprattutto considerato il
fatto che le soglie di punibilità sono attualmente particolarmente basse:
a) reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3,
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74);
b) reato di dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. 10 marzo 2000, n.
74);
c) reato di omessa dichiarazione (art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n.
74),102 il quale può configurarsi anche nei confronti del c.d.
amministratore di fatto.103
Gli amministratori della società italiana che nasconde una stabile
organizzazione potrebbero essere, quindi, chiamati in correità (sulla base
delle regole che disciplinano il concorso di persone nel reato) nel delitto
omissivo di cui all’art. 5, assieme ai membri del consiglio di amministrazione
quale biasima la decisione della rilevando che il criterio di collegamento della stabile
organizzazione «non può surrettiziamente trasformarsi in fase accertativa – come
pretenderebbe la Suprema Corte – in un soggetto passivo d’imposta».
101
Così, condivisibilmente, PENNESI, M. – TOMASSINI, A., Più trasparenza per i
gruppi esteri, in Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, 26 marzo 2012, p. 4.
102
Sul tema, si veda la corposa indagine di PICCIOLI, S., Profili penali delle stabili
organizzazioni occulte e plurime. Il soggetto penalmente responsabile nel caso di
omessa presentazione della dichiarazione, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 21, n.
3/2011, Parte III, p. 30 ss.
103
Cfr. da ultimo Cass. pen., Sez. III, 29 maggio 2012, n. 20678, in banca dati
Fisconline, con nota di MECCA, S., Stabile organizzazione e delitto di omessa
dichiarazione, in Il Fisco, vol. 36, n. 26/2012, p. 2-4181 ss., ove i supremi giudici
statuivano che «il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle
imposte dirette o IVA (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5) è configurabile anche nei
confronti dell’amministratore di fatto (Sez. 3, Sentenza n. 23425 del 28/04/2011 Ud.
(dep. 10/06/2011) Rv. 250962 in forza del cosiddetto criterio funzionalistico o
dell’effettività in forza del quale il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere
sulla qualifica formalmente ovviamente quando alla qualifica non corrisponda
l’effettivo svolgimento delle funzioni proprie della qualifica, come avvenuto nella
fattispecie. L’equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente
investiti è stata affermata da questa Corte sia nella materia civile che in quella penale
e tributaria (cfr. nella materia civile Cass. 5 dicembre del 2008 n. 28819; 12 marzo
2008, n. 6719; Sez. un. civile 18 ottobre 2005 n. 2013; in quella penale per tutte Cass.
7203 del 2008, Cass. n. 9097 del 1993 e per le violazioni tributarie cfr. Cass. Sez.
quinta civile n 21757 del 2005; Cass. pen. n. 2485 del 1995)».
133
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
della controllante non residente.104 Mentre, però, gli amministratori della
controllante non residente potrebbero cercare di difendersi argomentando che
la violazione della norma penal-tributaria era dovuta da obiettive condizioni
di incertezza sulla loro portata e sul relativo ambito di applicazione (art. 15,
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), difficilmente tale difesa potrà essere spesa con
successo dagli amministratori della controllata residente in Italia.105
La configurabilità di una responsabilità penale in capo alla sede italiana della
società straniera è molto discussa e un elemento talvolta dirimente è dato
dall’effettivo potere di contrattazione di cui la stabile organizzazione
dispone.106 Su questo punto l’OCSE è intervenuto nel 2011 al fine di
modificare il Commentario all’art. 5 del Modello nel senso di tenere distinto
il potere di concludere contratti nel nome dell’impresa straniera («authority
to conclude contracts in the name of the enterprise») da un soggetto che
esercita un potere contrattuale non formalmente attribuitogli dall’impresa
straniera («person acting on behalf of the enterprise even if the person did
not formally disclose that it was acting for the enterprise and the name of the
enterprise was not referred to in the contract»).107 La logica di questa
innovazione, che riprende le intuizioni giurisprudenziali del Conseil d’Etat
francese nel caso Zimmer (2010)108 e della Corte Suprema di Oslo nel caso
104
In dottrina, CARACCIOLI, I., Rischi penal-tributari in materia di fiscalità
internazionale, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 20, n. 7-8/2010, Parte III, p. 104,
considera che il reato di cui all’art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 possa «verificarsi
principalmente nel caso in Italia non esista alcuna entità giuridicamente autonoma,
ma una struttura che possieda i requisiti per essere qualificata come SO di società
straniera; ma può anche verificarsi nel caso la SO sia “annidata” all’interno di una
società italiana, la quale, oltre a svolgere le attività proprie, funziona anche come SO
della società estera».
105
In questo senso, cfr. ancora CARACCIOLI, I., Rischi penal-tributari in materia di
fiscalità internazionale, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 20, n. 7-8/2010, Parte III,
p. 104.
106
Cfr. GALASSO, D., Gli illeciti amministrativi e penali in materia tributaria, Torino,
2011, p. 49.
107
Così, OECD, Interpretation and application of Article 5 (Permanent
establishment) of the OECD Model Tax Convention, Paris, 12.10.2011, parr. 32.1. e
32.2., p. 58.
108
Conseil d’Etat, 10ème et 9ème sous-sections réunies, 31 marzo 2010, n. 304715,
accessibile
su
www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechExpJuriAdmin&idTexte=
CETATEXT000022057617&fastReqId=1681614043&fastPos=1. Il supremo organo
di giustizia amministrativa francese rilevava che «la société Zimmer SAS, en raison de
son statut de commissionnaire de la SOCIETE ZIMMER LIMITED, agissait en son
nom propre et ne pouvait par suite conclure effectivement les contrats au nom de son
commettant était sans incidence sur la capacité de cette société à engager son
commettant dans une relation commerciale et, par conséquent, sur sa qualification
d'établissement stable de la SOCIETE ZIMMER LIMITED au sens des stipulations
précitées de la convention franco-britannique, sans rechercher si, malgré la
dénomination du contrat de commission la liant à cette dernière, les contrats conclus
134
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
Dell Products (2011),109 è di evitare un aggiramento della norma sulla stabile
organizzazione dovuto al fatto che il soggetto agente negozia tutti gli
elementi essenziali del contratto, ma lascia firmare il contratto dall’impresa
straniera per la quale agisce.
La possibilità di attribuire una responsabilità penale per uno dei vari reati
“dichiarativi” alle stabili organizzazioni italiane di una società straniera ha,
peraltro, l’ulteriore conseguenza di permettere il sequestro per equivalente
dei beni della stabile organizzazione su tutto il territorio nazionale. In questo
senso si è, peraltro, espressa la Terza Sezione penale della Cassazione il 24
luglio 2013, relativamente ad un caso in cui veniva contestato
all’imprenditore italiano il delitto di omessa presentazione della dichiarazione
ex art. 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.110
5 Alcune considerazioni conclusive.
La stabile organizzazione è il criterio di collegamento scelto a livello globale
dal quale discende il diritto di uno Stato ad esercitare la propria potestà
impositiva sulla base del principio di territorialità. Non è un caso che tutti i
sistemi tributari nazionali si siano ispirati e continuino ad evolversi sulla scia
delle indicazioni fornite dall’OCSE sia nell’art. 5 del Modello e relativo
Commentario sia nelle varie Raccomandazioni che si sono susseguite nel
tempo.
La necessità che anche il sistema tributario italiano si conformi al trend
internazionale è di primaria importanza, ma la giurisprudenza “creativa” della
Corte di Cassazione rischia di infondere grande incertezza nei gruppi
multinazionali col risultato di disincentivare gli investimenti nel nostro
territorio. Questo rischio si fa ancor più concreto quando il potenziale
investitore straniero viene messo in guardia dalla possibilità di incorrere in
violazioni di tipo penale, ambito delicatissimo che implica restrizioni alla
libertà personale.
Le recenti statuizioni della Suprema Corte hanno scoperchiato un vero e
proprio “vaso di Pandora” agevolando fortemente l’operato degli Uffici e
permettendo il “salto” dalla contestazione meramente amministrativa a quella
di natura penale: un copione, per certi versi, già vissuto in relazione alla
complicata vicenda dell’abuso del diritto.111
par la société Zimmer SAS engageaient personnellement la SOCIETE ZIMMER
LIMITED vis-à-vis des cocontractants de son commissionnaire».
109
Corte Suprema di Oslo, 2 dicembre 2011, HR-2011-02245-A, caso n. 2011.755. P
110
Cfr. Cass. pen., Sez. III, 24 luglio 2013, n. 32091, inedita.
111
Sul tema, cfr. ex pluribus BASILAVECCHIA, M., Elusione e abuso del diritto:
un’integrazione possibile, in GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, vol. 15, n.
9/2008, p. 741 ss.; BEGHIN, M., L’inesistente confine tra pianificazione, elusione e
‘abuso del diritto’ (nota a Cass. civ., Sez. Trib., 4 aprile 2008, n. 8772), in Corriere
Tributario, vol. 31, n. 22/2008, p. 1777 ss.; CARPENTIERI, L., L’ordinamento
tributario tra abuso e incertezza del diritto, in Rivista di Diritto Tributario, vol. 18, n.
135
RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI STABILE
ORGANIZZAZIONE
12/2008, Parte I, p. 1053 ss.; AMATUCCI, F., L’abuso del diritto nell’ordinamento
tributario nazionale, in Corriere Giuridico, vol. 26, n. 4/2009, p. 553 ss.; CORDEIRO
GUERRA, R., Il legislatore nazionale e l’elusione fiscale internazionale, in MAISTO, G.
(a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Quaderni della Rivista di Diritto
Tributario, n. 4, Milano, 2009, p. 211 ss.; CORDEIRO GUERRA, R. – MASTELLONE, P.,
The judicial creation of a general anti-avoidance rule rooted in the Constitution, in
European Taxation, vol. 49, n. 11/2009, p. 511 ss.; FALSITTA, G., L’interpretazione
antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e
direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in MAISTO, G. (a cura di), Elusione
ed abuso del diritto tributario, Quaderni della Rivista di Diritto Tributario, n. 4,
Milano, 2009, p. 3 ss.; FICARI, V., Clausola generale antielusiva, Art. 53 della
Costituzione e regole giurisprudenziali, in Rassegna Tributaria, vol. 52, n. 2/2009, p.
390 ss.; GIOVANNINI, A., Il divieto d’abuso del diritto in ambito tributario come
principio generale dell’ordinamento, in Rassegna Tributaria, vol. 53, n. 4/2010, p.
982 ss.; MOSCHETTI, F., Avvisaglie di supplenza del giudiziario al legislativo, nelle
sentenze delle Sezioni Unite in tema di ‘utilizzo abusivo di norme fiscali di favore’, in
GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, vol. 16, n. 3/2009, p. 197 ss.;
PIANTAVIGNA, P., Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, Torino, 2011.
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Avv. Caterina Corrado Oliva
Dottore di ricerca in diritto processuale tributario
presso l’Università di Pisa
Soggettività della stabile organizzazione e
soggezione all’attività accertativa
SOMMARIO: 1 Premessa. 2 La soggettività come astratta idoneità alla imputazione di
situazioni giuridiche ed il necessario fondamento normativo di esse. 3 Il problema,
inconferente, della soggettività tributaria della stabile organizzazione e quello,
centrale, della eventuale soggettività passiva ai fini delle imposte dirette. 4
Soggezione all’accertamento dei redditi prodotti mediante la stabile organizzazione…
in capo alla stabile? 5 Gli anomali corollari sul piano processuale in punto di
legittimazione e capacità di stare in giudizio. 6 La notificazione e l’esecuzione
presso la stabile organizzazione, non nei confronti di essa, comunque rispondono agli
interessi dell’Erario ad una agevole attività accertativa.
1 Premessa.
In nome dell’ormai onnipresente richiamo ai superiori interessi dell’Erario, la
Suprema Corte, nella nota sentenza n. 16106 del 20111, ha svolto alcune
affermazioni in tema di soggettività della stabile organizzazione ai fini delle
imposte dirette che lasciano davvero sconcertati, particolarmente sul piano
procedimentale e processuale.
Lo sconcerto riguarda per il vero diversi profili della sentenza, che entra “a
gamba tesa” su un tema delicatissimo, quale quello della soggettività della
stabile organizzazione, con affermazioni superficiali e sbrigative2, nonché
passaggi argomentativi arditi e illogici3, per giungere alfine a confessare che
1
Cassazione, sez. V, 22 luglio 2011, n. 16106, pubblicata, insieme con le due
sentenze di merito che l’hanno preceduta, in Riv. dir. trib.¸ 2011, 183 ss. con ampia
nota di F. Bulgarelli, La resistibile immedesimazione tra stabili organizzazioni e
soggetti passivi dell’imposta sul reddito. Sempre a commento della medesima
sentenza, si veda altresì M. Proietti, Stabile organizzazione occulta ed imposte dirette:
profili critici in punto di soggettività tributaria, in Rass. trib., 2012, 653 ss. e ancora
M. Pennesi, Stabile organizzazione occulta: tassazione del reddito per “massa
separata”, in Corr. trib., 2011, 3115 ss. Sempre al riguardo, si veda altresì E. Della
Valle, La soggettività tributaria della stabile organizzazione, in Libro dell’anno 2012,
diretto da Garofoli- Treu, Treccani, 580.
2
Ci si riferisce ad esempio alla affermazione della estendibilità, ai fini delle imposte
sul reddito, della soggettività riconosciuta dalla giurisprudenza alla stabile
organizzazione ai fini dell’iva, in ragione di una presunta, ed errata, identità di
nozione di stabile organizzazione nelle due imposte.
3
La Corte ha, in qualche modo, rilevato che la stabile organizzazione avrebbe
determinati presunti obblighi strumentali nei confronti del legislatore fiscale, quali
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
la soluzione assunta si spiega in ragione dell’interesse ad un più agevole
accertamento e riscossione4.
In sintesi, la sentenza statuisce che la stabile organizzazione ha una propria
soggettività ai fini delle imposte dirette, e questo in “analogia” con quanto
già statuito dalla giurisprudenza in materia di Iva5 nonché in forza di alcune
norme in materia di imposte sui redditi - norme per il vero non pertinenti
ovvero del tutto fraintese e falsamente applicate - che le attribuirebbero
alcuni obblighi strumentali6 o che la individuerebbero come parte di un
una contabilità separata, la individuazione di sé medesima nella dichiarazione quale
rappresentante per i rapporti tributari (o ancora in un periodo ha addirittura adombrato
che una società controllata in veste di stabile organizzazione dovrebbe presentare
anche la dichiarazione dei redditi per il soggetto non residente). Da tali obblighi
strumentali – tra l’altro molto discutibili e per lo più insussistenti - la Corte ne ha
dedotto la capacità di essere titolare di situazioni giuridiche, e quindi la soggettività.
Quindi, e qui l’errore logico è davvero sconcertante, affermata la (presunta)
soggettività, che deriva e si riconnette a tali minimi obblighi strumentali, l’ha assunta
come “dogma” e ne ha fatto discendere conseguenze non previste dalla normativa per
la stabile organizzazione, quali ad esempio l’assoggettamento non al tributo ma alla
ricezione degli atti impositivi.
Il sillogismo della Suprema Corte si svolge così: visto che la stabile organizzazione ha
idoneità a essere titolare di situazioni giuridiche, è soggetto del diritto tributario e in
quanto tale dovrà avere altre caratteristiche che possono spettare ai soggetti del diritto
tributario, quale ad esempio il fatto di essere destinatari di avvisi di accertamento.
La Corte ha “dimenticato” che la soggettività deve essere individuata in funzione
delle specifiche attribuzioni che una norma concede ad un soggetto e che non si può
utilizzare la soggettività quale categoria giuridica per attribuire situazioni soggettive
non normativamente previste. Su questo punto, comunque, si veda meglio infra, par. 3
e 4.
4
Scrive la Corte: “l’impostazione è del resto coerente con la fondamentale esigenza –
valida tanto nel campo della imposizione Iva quanto in quella delle imposte dirette - a
che i redditi prodotti dai soggetti non residenti ed imponibili nello Stato siano, in
questo, agevolmente identificabili e controllabili”.
5
Al riguardo, la Suprema Corte testualmente afferma: “con riferimento a controversie
in materia di Iva questa Corte ha configurato la stabile organizzazione nel territorio
dello Stato quale autonomo centro d’imputazione di rapporti tributari riferibili a
soggetto non residente, abilitato all’effettuazione degli adempimenti correlativamente
prescritti dalla legge e, anche all’eventuale richiesta di rimborso dell’eccedenza
dell’Iva detraibile (cfr. Cass. nn. 3889/2008, 6799/2004), così indubitabilmente
riconoscendo alla stabile organizzazione, soggettività fiscale di diritto interno in
relazione ai rapporti inerenti al soggetto non residente”. E poi conclude: “attesa la
sostanziale unitarietà, quanto agli aspetti strutturali, della nozione di stabile
organizzazione, il criterio, sempre elaborato in relazione a controversie in materia di
Iva, è estendibile al campo delle imposte dirette”.
6
Sembra adombrare un obbligo della stabile organizzazione di presentare
autonomamente una dichiarazione (specie allorché la stabile coincida con una società
controllata), la seguente affermazione della Suprema Corte: “nell’ipotesi (quale quella
di specie) in cui la stabile organizzazione del soggetto non residente è rappresentata
138
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
rapporto diretto con l’Amministrazione finanziaria per conto del soggetto
estero7.
Ma, forse perché la sentenza prestava il fianco a tante critiche con riguardo a
ciascuno dei suoi passaggi argomentativi e conclusioni in tema di
riconoscimento della soggettività alla stabile organizzazione ai fini delle
imposte dirette, è rimasta un poco nell’ombra la parte concernente le
conseguenze procedimentali e processuali delle posizioni assunte,
conseguenze che, se possibile, sono ancor più inaccettabili, perché
aggiungono errori su errori.
La sentenza, invero, nella parte finale aggiunge, quasi fosse un ovvio
corollario (ma tale certamente non è), che l’atto impositivo deve essere
emesso nei confronti della stabile organizzazione e non della società non
residente8.
da società residente munita di personalità giuridica, il criterio trova ulteriore conforto
nel rilievo che in tal caso, per le precipue caratteristiche del sistema legale descritto in
precedenza, l’accertamento non può che risolversi nella rettifica della dichiarazione di
detto soggetto (ancorché per la parte afferente al reddito del soggetto non residente di
cui costituisce stabile organizzazione)”. Tale affermazione è evidentemente sbagliata,
dato che la società controllata non è certamente destinataria di alcun obbligo di
presentare una dichiarazione con riguardo a redditi prodotti dalla società estera non
residente, di cui eventualmente la società controllata costituisce – anche – stabile
organizzazione.
7
A proposito dell’art. 4, d.p.r. n. 600 del 1973 che impone al soggetto non residente –
e quindi non alla stabile organizzazione – di “indicare l’indirizzo della stabile
organizzazione nel territorio stesso in quanto vi sia e, in ogni caso, le generalità e
l’indirizzo in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari”, la Corte parla di
“previsione normativa che - nel rivelare come l’applicazione dell’imposta sul reddito
di impresa prodotto da una società non residente attraverso una stabile organizzazione
ne territorio dello Stato debba avvenire, a carico della società non residente, attraverso
un rapporto che intercorra tra l’Amministrazione finanziaria e la sua stabile
organizzazione nel territorio dello Stato, ben identificata da un bilancio e da un
indirizzo e specificamente rappresentata – offre specifica rispondenza alla definizione
giurisprudenziale della stabile organizzazione nel territorio dello Stato, quale
autonomo centro di imputazione di rapporti tributari riferibili a soggetto non
residente, abilitato all’effettuazione degli adempimenti correlativamente prescritti
dalla legge e dotato di legittimazione sostanziale in merito ai rapporti tributari inerenti
al soggetto non residente, già enucleata con riferimento alla disciplina Iva”.
8
La sentenza come si è visto qualifica la stabile organizzazione come “autonomo
centro di imputazione di rapporti tributari riferibili a soggetto non residente, […]
dotato di legittimazione sostanziale in merito ai rapporti tributari inerenti al soggetto
non residente, già enucleata con riferimento alla disciplina Iva” e poi ancora scrive
“alla luce degli esposti rilievi, può dunque concludersi che – diversamente da quanto
opinato dal giudice a quo – l’accertamento condotto dall’Agenzia sul reddito di
impresa, prodotto nel territorio dello Stato da società non residente tramite stabile
organizzazione, deve essere svolta nei confronti di quest’ultima, e non nei diretti
confronti della società residente”.
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SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
In pratica, l’esatto opposto di quanto sino ad oggi la stessa giurisprudenza, in
accordo con la normativa, ha immancabilmente affermato, ed anzi ritenuto
addirittura scontato9, e cioè che l’atto andasse emesso nei confronti della
società non residente.
Ora, ammesso e non concesso che la stabile organizzazione abbia una
qualche forma di soggettività, in relazione a presunti obblighi strumentali che
la normativa le attribuisca, ciò non significa che essa divenga per ciò solo
soggetto passivo del tributo, tenuto a presentare una propria dichiarazione dei
redditi e per tale ragione assoggettato al controllo ed eventuale rettifica da
parte dell’Ufficio.
Che pensare, poi, delle conseguenze di tale statuizione, e cioè la necessaria
intestazione dell’atto di accertamento alla stabile organizzazione, sul piano
processuale? Sarà la stabile organizzazione ad avere legittimazione ad
impugnare l’atto, potrà stare in giudizio e come?
Ebbene, in questa sede, dopo una necessaria ma sintetica ricostruzione del
problema della soggettività tributaria e di quello più specifico e conferente
della eventuale soggettività passiva della stabile organizzazione ai fini delle
imposte sui redditi, ci si propone di riflettere sulle conseguenze delle
impostazioni assunte dalla Suprema Corte sul piano procedimentale e
processuale, particolarmente sul tema della intestazione dell’atto impositivo,
della legittimazione ad causam e ad processum, nonché di quelli, in qualche
modo connessi, della notificazione dell’atto medesimo e della fase riscossiva
ed esecutiva.
La chiarezza su tali profili è essenziale per una corretta ed efficace attuazione
del tributo. Invero, la confusione al riguardo rischia di avere effetti davvero
dannosi, dato che l’atto impositivo potrebbe essere intestato, o notificato, al
soggetto sbagliato, il ricorso presentato dal soggetto non legittimato, la
riscossione e l’esecuzione rivelarsi viziate per erronea individuazione del
destinatario.
Tanto che recentemente, proprio a seguito della sentenza menzionata e
proprio onde evitare tali rischi, spesso si assiste, con riferimento a
contestazioni di redditi prodotti mediante stabili organizzazioni, alla assurda
e dispendiosa emissione di plurimi atti impositivi variamente intestati e
notificati (alla società non residente, alla stabile organizzazione, alla società
controllata in quanto stabile organizzazione); ciò ingenera, dall’altro lato, il
fenomeno della proposizione, da parte dei contribuenti, di più impugnative,
9
Ci si riferisce per esempio al noto caso Philip Morris, nel quale parimenti era
individuata una stabile organizzazione all’interno della società controllata residente,
ma nel quale la rettifica, senza contestazioni di sorta sul punto, è stata spiccata ai fini
delle imposte dirette nei confronti della non residente, e ai fini dell’Iva, sia nei
confronti della non residente, sia per essa alla società italiana ritenuta sua stabile
organizzazione. Si tratta delle sentenze della Suprema corte, 7 marzo 2002, n. 3368, in
tema di Iva, e 25 maggio 2992, n. 7682 per Irpeg, quest’ultima reperibile in Dir. prat.
trib., 2003, II, 288.
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SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
nei confronti dei vari atti, ed a nome dei soggetti o entità che li abbiano
ricevuti.
La sentenza in esame, dunque, creando incertezza e confusione negli
operatori del settore su tali profili essenziali, ha certamente provocato
all’Erario difficoltà ben maggiori di quelle presunte, e per il vero minime, di
identificazione e controllo nei confronti dei soggetti non residenti cui si
proponeva espressamente di por rimedio.
L’interesse dell’Erario, è ovvio, non può travolgere elementari nozioni di
buon senso e principi giuridici essenziali, assurgendo, come purtroppo
ultimamente accade sempre più spesso, a canone ermeneutico “sottotraccia”;
e la giurisprudenza può tutelarlo soprattutto, e meglio, assicurando chiarezza
e certezza del diritto.
2 La soggettività come astratta idoneità alla imputazione di situazioni
giuridiche ed il necessario fondamento normativo di esse.
Il problema della soggettività della stabile organizzazione nasce innanzitutto
da un problema di definizione e individuazione del concetto di soggettività.
E’ infatti evidente che a seconda della nozione di soggetto del diritto10 che
viene assunta, le argomentazioni prima e i risultati poi, potranno essere
differenti.
Se la soggettività viene, ad esempio, identificata con la personalità giuridica,
il problema è già chiuso, dato che la stabile organizzazione non ha certamente
tale caratteristica. Se invece nella nozione di soggettività si ricomprendono,
come nella più evoluta dottrina civilistica, anche enti o centri di imputazione
di situazioni giuridiche che siano prive di personalità giuridica, allora il
problema della soggettività della stabile organizzazione trova ragion d’essere.
Ma la soluzione è ancora lontana, e dipende da una ulteriore serie di variabili,
quali ad esempio la sussistenza di una soggettività speciale tributaria diversa
da quella civilistica o generale e quindi la individuazione delle sue
caratteristiche11.
10
Sulla nozione in generale di soggetto del diritto, si rinvia a M.C. Bianca, Diritto
civile. Le norme giuridiche. I soggetti, I, Milano, 1993, P. Gallo, Soggetto di diritto, in
Dig. disc. priv., 1998, XVIII, 576 ss., nonché Pellizzi, Soggettività giuridica, in Enc.
giur. Treccani, vol. XXIX, Roma, 1993, I, ss.
11
Sulla soggettività tributaria, ed il suo rapporto con quella civile e generale, si
vedano, senza pretesa di completezza, A. Amatucci, Soggettività tributaria, in Enc.
giur. Treccani, nonché Id., Teoria dell’oggetto e del soggetto nel diritto tributario, in
Dir. prat. trib., 1983, I, 381; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte
generale, Torino, 2011; G.A. Micheli, Soggettività tributaria e categorie civilistiche,
in Riv. dir. fin., 1977, 419; E. Antonini, La soggettività tributaria, Napoli, 1965; F.
Gallo, I soggetti del libro I del codice civile e l’Irpeg: problematiche e possibili
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SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Naturalmente non è possibile nella presente sede trattare approfonditamente
di questi temi, e pertanto ci si limiterà ad assumere come basi di partenza le
conclusioni che si ritengono valide, richiamando per la dimostrazione degli
assunti gli autori che ciascuna di tali tesi hanno propugnato.
Si tratta, invero, non solo di effettuare scelte dogmatiche ma anche di
assumere una definizione e delimitazione del concetto di soggettività che
elimini possibili equivoci, quanto meno con limitato riguardo alle
conseguenze che si prenderanno nella presente trattazione, relativamente alla
possibilità che la stabile sia destinataria di un avviso di accertamento e lo
impugni in giudizio.
Si premette quindi che la soggettività, di diritto civile come di diritto
tributario, la soggettività in generale non implica necessariamente la
personalità giuridica, cosicché possono essere considerati soggetti del diritto
anche enti non personificati.
La soggettività implica invece la capacità giuridica, cioè la possibilità di
essere titolare di situazioni giuridiche. Soggetto del diritto, quindi, e centro di
imputazione di situazioni giuridiche, appaiono concetti in tutto e per tutto
corrispondenti.
Ancora non si è detto, però, come si individua la soggettività, da cosa si
desume.
Al riguardo, occorre subito evidenziare che, anche se la soggettività è
indubbiamente una nozione teorica, il dato positivo ne debba sempre
costituire punto di partenza e punto di arrivo e verifica12.
Il punto di partenza, perché è soltanto la norma e la sua formulazione13 che
può attribuire una situazione giuridica14. Dall’esame delle norme, che
evoluzioni, in Riv. dir. trib., 1993, I, 346; A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e
fattispecie impositiva, Cedam, 1996.
12
A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Cedam, 1996, 153
scrive significativamente che “il concetto di soggetto di diritto è suscettibile di essere
apprezzato in forza della legittimazione alle conseguenze e si compendia, perciò, nelle
situazioni giuridiche che la legge riferisce ad una figura data”.
13
Conta non solo il contenuto della norma ma anche la sua formulazione, ai fini di
comprendere se la disposizione intenda riferire una data situazione oggettiva ad un
ente, ad un soggetto. Proprio in ragione della formulazione delle norme che parlano di
stabile organizzazione, alcuna dottrina individua principale causa della mancata
attribuzione di soggettività. E. Antonini, La soggettività tributaria, Napoli, 1965. L’A.
scrive: “perché dunque la dottrina e la giurisprudenza non hanno affermato la
soggettività della stabile organizzazione? La causa di questa mancata qualificazione
soggettiva risiede certo nel fatto che la formula delle disposizioni ove il detto termine
è collocato, non ha stimolato quel processo di figurazione analogica che sta alla base
della tesi affermativa della soggettività dei complessi di beni “nei cui confronti il
presupposto del tributo si realizza in modo unitario””.
14
A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Cedam, 1996, 158,
“l’attribuzione della qualità di soggetto del diritto ad entità determinate (o variamente
determinabili) non riposa sulla preventiva loro riconduzione in fattispecie soggettive
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SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
attribuiscono situazioni giuridiche riferendole, imputandole a soggetti, si
possono quindi desumere i tratti salienti dei soggetti giuridici, e cioè quei
tratti che individuano chi è astrattamente idoneo alla imputazione di
situazioni giuridiche.
Ma le norme sono anche il punto di arrivo, verifica15, concretizzazione di tale
soggettività. Invero, una volta stabilito che una certa entità abbia le
caratteristiche per essere astrattamente idonea a vedersi imputate situazioni
giuridiche, occorre poi verificare se effettivamente vi siano norme che
attribuiscano questa o quella prerogativa soggettiva.
E’ invero importante considerare che la attribuzione della soggettività
giuridica si circoscrive ai poteri, doveri, facoltà dalle norme espressamente
attribuite16. Non si può quindi considerare la soggettività come un insieme
“preconfezionato”
di
conseguenze
giuridiche
che
discendono
automaticamente dalla inclusione nella nozione di soggetto del diritto.
Proprio per questo – lo si anticipa – si ritiene profondamente errata la
sentenza in esame laddove attribuisce alla stabile organizzazione la
soggettività giuridica, o testualmente la natura di “centro di imputazione di
situazioni giuridiche”, e poi, implicitamente ma chiaramente, ne fa
discendere il corollario della sua legittimazione a ricevere l’atto impositivo.
E sempre per la stessa ragione, con riguardo al tema specifico in esame, è
possibile prescindere dalla individuazione degli elementi sintomatici della
soggettività e accantonare anche la dibattuta questione se vi siano elementi
propri e specifici della sola soggettività del diritto tributario ovvero se essi
siano comuni tra i settori del diritto; non solo, ma si può persino evitare di
risolvere il problema della soggettività della stabile organizzazione.
Ai fini dell’odierna trattazione, occorre non tanto verificare se alla stabile
organizzazione possa astrattamente attribuirsi la qualifica di “soggetto del
diritto”, bensì piuttosto quali situazioni giuridiche possano esserle imputate in
secondo i modelli interpretativi utilizzati dalla teoria organica e da quella realista, ma
discende soltanto dal procedimento di astrazione alla realtà legale”.
15
A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Cedam, 1996, 158,
scrive “la soggettività giuridica costituisce un modello o se si vuole un’idea
verificabile solo in forza delle volizioni legislative finalizzate a stabilire il rapporto
intercorrente tra situazioni giuridiche ed entità variamente individuate
nell’ordinamento”.
16
Sulla distinzione tra soggetto passivo del tributo e soggetto obbligato al pagamento
o titolare di altre situazioni strumentali all’obbligazione di imposta, si veda, per tutti,
A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Cedam, 1996, 154,
nota 1, ove si legge che “il tema della soggettività, indipendentemente dalla
ricognizione dei singoli tributi ed anche dei singoli istituti di stampo tributario nella
quale essa può emergere, involte l’individuazione non solo di coloro che sono tenuti
all’assolvimento dell’obbligazione in reazione della propria capacità contributiva, ma
anche di quelli che risultano o possono risultare titolari di situazioni giuridiche
finalizzate all’attuazione del credito ed in generale dello schema applicativo del
tributo”.
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SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
base alle norme. Solo in questo modo, e non in base alla sua presunta o meno
natura di soggetto del diritto, si potrà stabilire se la stabile organizzazione sia
legittimata o meno a quella determinata situazione giuridica che è la
soggezione all’attività accertativa.
Neppure si può dire però che la nozione di soggetto del diritto sia del tutto
irrilevante: essa invero rileva in via negativa. Se la stabile organizzazione,
infatti, non fosse neppure idonea a vedersi imputate situazioni giuridiche, è
evidente che neppure potrebbe porsi il problema della sua legittimazione a
ricevere l’avviso di accertamento.
Prendiamo dunque come ipotesi di lavoro che la stabile organizzazione possa
astrattamente essere soggetto del diritto, nel senso che possa astrattamente
vedersi attribuite situazioni giuridiche proprie. E scendiamo quindi alla fase
della verifica normativa e alla individuazione delle situazioni giuridiche
eventualmente attribuite alla stabile organizzazione, con specifico riguardo
alla verifica di quella situazione giuridica che eventualmente potrebbe
attribuirle la titolarità a ricevere un atto impositivo, e cioè la soggettività
passiva rispetto al tributo.
3 Il problema, inconferente, della soggettività tributaria della stabile
organizzazione e quello, centrale, della eventuale soggettività passiva
ai fini delle imposte dirette.
Alla luce di quanto sopra precisato, per risolvere il problema posto
all’attenzione della Suprema Corte nella sentenza che si commenta, e cioè il
problema del soggetto legittimato a ricevere un atto di accertamento per il
recupero delle imposte sui redditi dovuti da una stabile organizzazione, è
sovrabbondante anche affrontare funditus il delicato problema della
soggettività della stabile organizzazione17. E’ invero sufficiente esaminare se,
ai fini delle imposte dirette, la stabile organizzazione abbia quella species
della soggettività tributaria che è la soggettività passiva18.
17
Escludono una soggettività giuridica della stabile organizzazione ai fini delle
imposte dirette, E. Della Valle, La soggettività tributaria della stabile organizzazione,
cit. nonché Id., Contributo allo studio della stabile organizzazione nel sistema di
imposizione: profili di diritto interno, Roma, 2004, e Id., La nozione di stabile
organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass. Trib., 2004, 1597 ss. ; A. GIOVANNINI,
Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Cedam, 1996, F. Gallo, Contributo
all’elaborazione del concetto di stabile organizzazione secondo il diritto interno, in
Riv. dir. fin., 1985, I, 385 ss.; Ceriana, Stabile organizzazione e imposizione sul
reddito, in Dir. prat. trib., 1995, I, 657 ss. In senso opposto invece, E. Nuzzo,
Questioni in tema di tassazione di enti non economici, in Rass. trib., 1985, 107 ss., in
particolare 129.
18
Sulla soggettività passiva di imposta come categoria logica distinta anche se
concettualmente ricompresa nel più ampio genus della soggettività tributaria e della
144
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Le due nozioni, infatti, non coincidono ma sono in rapporto di genere a
specie, con la conseguenza che vi può essere quindi soggettività tributaria,
senza che vi sia soggettività passiva. E poiché ciò che è essenziale ai fini
della soggezione all’attività accertativa è, come si vedrà, la soggezione
passiva al tributo, è ad essa che bisogna aver riguardo, dato che la
soggettività tributaria in generale potrebbe non essere determinante (in
quanto potrebbe sussistere pur in assenza della soggettività passiva).
Ai fini delle imposte sui redditi, in particolare, per la individuazione della
soggettività passiva tributaria della stabile organizzazione, occorre aver
riguardo alla categoria residuale fissata dall’art. 73, comma 2, tuir. Ivi, il
legislatore, dopo aver elencato al primo comma i soggetti passivi
personificati (società, enti pubblici e privati, etc.), precisa, con formula di
chiusura, che “oltre alle persone giuridiche”, si comprendono tra i soggetti
passivi anche associazioni non riconosciute, consorzi e le “altre
organizzazioni, non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle
quali il presupposto dell’imposta si verifica in maniera autonoma e unitaria”.
La norma, in altri termini, statuisce che per aversi soggettività passiva alle
imposte sul reddito occorre una organizzazione, la non appartenenza a terzi
oltreché la realizzazione del presupposto in maniera autonoma e unitaria.
Ora, nel caso della stabile organizzazione, appare evidente che non sussiste
affatto il requisito della non appartenenza a terzi19 e quindi la soggettività ai
fini delle imposte sui redditi nel senso di suscettibilità di avere la imputazione
di una situazione giuridica consistente nel debito di imposta.
Per quanto riguarda il requisito della realizzazione del presupposto in
maniera unitaria ed autonoma, occorrono alcune specificazioni.
In primo luogo, bisogna precisare che non si può parlare di realizzazione
autonoma del presupposto d’imposta semplicemente perché è
normativamente prevista una contabilità separata dei risultati della stabile
organizzazione rispetto a quelli della casa madre. Il concetto di contabilità
soggettività tout court, si veda S. FIORENTINO, Stabile organizzazione, centro di
attività stabile e “nozioni minime” in tema di soggetti passivi e soggettività tributaria,
in Dir. prat. trib., 2005, I, 871 ss.
19
La dottrina è praticamente univoca nel considerare determinante il requisito della
non appartenenza a terzi. Interessante, tuttavia, perché pone l’accento sulla necessità
che l’organizzazione non appartenga ad altri soggetti passivi di imposta, S.
FIORENTINO, Stabile organizzazione, centro di attività stabile e “nozioni minime” in
tema di soggetti passivi e soggettività tributaria, in Dir. prat. trib., 2005, I, 871 ss., in
particolare 877, ove scrive “l’espressione “non appartenenti ad altri soggetti passivi”
non deve implicare un rinvio alla nozione di alterità soggettiva, ma esprime
semplicemente la necessità di escludere, dagli enti riconducibili in via residuale, tra i
soggetti passivi dell’imposta sul reddito o dell’imposta sulle società, quelli per i quali
non sussiste un problema residuale di imputazione del reddito”.
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SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
separata non implica, né coincide affatto con la realizzazione del presupposto
in maniera autonoma e unitaria, come alcuno ha invece sostenuto20.
La stabile è lo strumento per realizzare una componente del reddito della
società non residente reddito che, pur se tenuto fittiziamente separato per
ragioni essenzialmente pratiche e determinato come se fosse il reddito
prodotto da una impresa indipendente, rimane comunque ascrivibile e
imputabile alla società estera, tanto che la stessa sentenza in esame ribadisce
che esso dev’essere considerato e trattato come reddito di soggetto non
residente; la stabile invero non realizza il presupposto ma è strumentale ad
esso, dato che il presupposto è realizzato “mediante” la stabile e non dalla
stabile organizzazione.
Una ulteriore specificazione è doverosa, sempre a proposito di realizzazione
del presupposto e soggettività passiva.
Normalmente, come si è visto, nel diritto tributario, il debito di imposta è
riferito a soggetti che realizzano il presupposto dell’imposta; può tuttavia
accadere che il debito di imposta sia posto (anche) a carico di altri soggetti,
che non realizzano il presupposto di imposta, ma tuttavia siano tenuti ad
obblighi dichiarativi o al pagamento (es. sostituto d’imposta, responsabile di
imposta). Potrebbe dunque accadere che la stabile organizzazione, pur non
realizzando il presupposto (ché esso riguarda la società non residente), sia
tenuta, in forza di specifiche norme, a obblighi dichiarativi e di pagamento
del tributo, che le attribuiscano una soggettività passiva e soprattutto, ai fini
che interessano, la soggezione all’imposizione.
Occorre quindi verificare se, in forza di qualche altra norma, la stabile
organizzazione non sia chiamata a rispondere del tributo pur essendo
acclarato che essa non realizza il presupposto del tributo medesimo. Tale
norma, peraltro, non è presente, e perciò neppure sotto tale profilo la stabile
organizzazione può considerarsi soggetta alla attività accertativa ai fini delle
imposte dirette.
Davvero, quindi, la disciplina normativa, nel suo contenuto ed anche nella
sua formulazione, pare escludere ad ogni pié sospinto ogni soggettività
passiva ai fini delle imposte dirette alla stabile organizzazione.
20
In senso opposto invece, E. Nuzzo, Questioni in tema di tassazione di enti non
economici, in Rass. trib., 1985, 107 ss., in particolare 129, il quale scrive che: “val la
pena di chiarire che il criterio al quale si allude implica solo l’idoneità della stabile
organizzazione alla produzione del reddito di impresa e non pure l’indipendenza di
questa dalla casa madre, richiedendosi, in ispecie, esclusivamente la possibilità di
poter separare l’attività svolta dall’una da quella svolta dall’altra”. E’, dunque –
conclude l’A. - il connotato di autonomia, nel senso della separabilità dell’attività
esercitata, ad evidenziare i tratti fisionomici del concetto in questione, ed è questo
connotato che consente di far configurare la casa madre come “terzo” rispetto alla
stabile organizzazione e di fare assumere detta organizzazione come soggetto passivo
Irpeg, per l’impossibilità di rendere operanti, con riferimento ad essa, i congegni
dell’imposizione personale”.
146
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Tanto che la Corte di cassazione, nella sentenza in commento, non ha mai in
alcun punto affrontato tale tema, l’unico rilevante ai fini di stabilire se un
avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette era stato correttamente
spiccato nei confronti della stabile organizzazione anziché della casa madre,
ed invece si è “perduta” in una serie di errate e comunque inconferenti,
generali e generiche, considerazioni sulla soggettività tributaria della stabile
organizzazione.
4 Soggezione all’accertamento dei redditi prodotti mediante la stabile
organizzazione… in capo alla stabile?
La Corte di cassazione, nella sentenza in questione, dopo aver diffusamente e
confusamente trattato il tema (ultroneo) della soggettività della stabile
organizzazione, sotto altri profili, con richiamo all’iva o ad alcune norme
inconferenti, ha improvvisamente statuito, senza giungervi per via
argomentativa e senza mezzi termini, che l’avviso di accertamento è intestato
alla stabile organizzazione e non alla società non residente21.
Fran. Scriveva così un moderno autore della letteratura italiana, per
rappresentare, in maniera onomatopeica, il momento imprevedibile,
rumoroso e sorprendente in cui, dopo anni, un quadro appeso alla parete cade
a terra22.
21
Testualmente, la Cassazione scrive: “alla luce degli esposti rilievi, può dunque
concludersi che – diversamente da quanto opinato dal giudice a quo – l’accertamento
condotto dall’Agenzia sul reddito d’impresa, prodotta nel territorio dello Stato da
società non residente tramite stabile organizzazione, deve essere svolta nei confronti
di quest’ultima e non nei diretti confronti della società residente”:
22
“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi
senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo,
nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel
silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro,
fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che
succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui,
poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti
sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un
minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto
combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per
il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora
buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran. Non si
capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto.
Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il
giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo
andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio.
Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A
147
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Qui accade un po’ questo: la Suprema Corte, senza averlo anticipato, senza
esservi giunta con argomentazioni pertinenti e preparando in qualche modo il
lettore, scrive che l’accertamento è intestato alla stabile organizzazione e poi
si ferma lì. E finisce sia l’affermazione, senza affrontare i relativi corollari e
problemi, sia la sentenza.
Eppure trattasi di affermazione non da poco, che stravolge la normativa,
oltreché una prassi ed una giurisprudenza consolidate, le quali facevano
ritenere la soluzione opposta, e cioè l’intestazione dell’atto alla casa madre,
quasi come fosse ovvia e scontata.
Ma accantoniamo la sorpresa, e cerchiamo, con l’aiuto delle premesse svolte
nei precedenti paragrafi in punto di soggettività del diritto e soggettività
passiva alle imposte sui redditi, di svolgere quelle premesse e quel
ragionamento che la Corte ha completamente omesso. E di svolgerlo su basi,
se possibile, corrette.
Nel caso sottoposto al suo esame, la Suprema Corte aveva, solo, questo
semplice nettissimo problema: stabilire se fosse legittimo o meno intestare un
avviso di accertamento alla stabile organizzazione (o, più precisamente, ad
una società controllata che fungeva da stabile organizzazione) anziché alla
società estera soggetto passivo del tributo.
E non poteva che risolverlo avendo riguardo alle norme sulla individuazione
del soggetto nei cui confronti si effettua la rettifica, e cioè chi era tenuto a
presentare la dichiarazione in qualità di soggetto passivo.
Invece, la Corte ha svolto un contorto ed inconferente percorso
argomentativo, che è partito da una presunta analogia con la soggettività
tributaria riconosciuta alla stabile organizzazione ai fini iva, per poi
evidenziare alcune norme che, anche ai fini delle imposte dirette,
asseritamente attribuivano alcune situazioni giuridiche alla stabile
organizzazione, ed infine su tale base ad una definizione di stabile
organizzazione come “centro di imputazione di situazioni giuridiche altrui”.
Quindi, in quanto tale, la stabile diverrebbe una sorta di punto di riferimento
per l’Amministrazione, dotata di “legittimazione sostanziale” a ricevere
l’avviso di accertamento.
Questo il sillogismo, non certo aristotelico e del tutto implicito, che pare alla
base della sentenza della Suprema Corte23, sillogismo che è erroneo
praticamente in ogni passaggio.
New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.”. Così A.
Baricco, Novecento. Un monologo, Feltrinelli, 1994.
23
La Corte ha, in qualche modo, rilevato che la stabile organizzazione avrebbe
determinati presunti obblighi strumentali nei confronti del legislatore fiscale, quali
una contabilità separata, la individuazione di sé medesima nella dichiarazione quale
rappresentante per i rapporti tributari (o ancora in un periodo ha addirittura adombrato
che una società controllata in veste di stabile organizzazione dovrebbe presentare
anche la dichiarazione dei redditi per il soggetto non residente). Da tali obblighi
strumentali – tra l’altro molto discutibili e per lo più insussistenti - la Corte ne ha
148
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Già si è visto, invero, che la eventuale soggettività giuridica, e cioè l’esser
centro di imputazione di situazioni giuridiche, non comporta sempre e
necessariamente la soggettività passiva del tributo. Ragion per cui è
soprattutto inconferente ogni affermazione che la sentenza, nel suo
peregrinare, svolge intorno al problema della soggettività giuridica della
stabile organizzazione.
Ma si è altresì visto che la soggettività giuridica altro non è che l’idoneità a
vedersi attribuite situazioni giuridiche in generale, le quali però, ammesso e
non concesso che vi sia tale astratta idoneità, debbono poi essere attribuite
ciascuna specificamente dalla normativa e non conseguono, invece, in
blocco, come corpo unico, alla mera qualificazione come soggetto del diritto.
E la situazione giuridica che conta, ai nostri fini e cioè ai fini della
legittimazione sostanziale a ricevere un atto impositivo, non è la soggettività
giuridica in generale, ma soltanto la soggettività passiva del tributo. Questo
perché il legislatore ha espressamente stabilito che l’atto impositivo va
spiccato nei confronti del soggetto passivo tenuto a presentare la
dichiarazione24.
Così, molto semplicemente, se la stabile organizzazione non è soggetto
passivo del tributo, non potrà mai essere destinataria di una rettifica della
dichiarazione e quindi di un avviso di accertamento (a meno che ciò non sia
espressamente previsto in una disposizione normativa derogatoria, che
peraltro al momento manca).
dedotto la capacità di essere titolare di situazioni giuridiche, e quindi la soggettività.
Quindi, e qui l’errore logico è davvero sconcertante, affermata la (presunta)
soggettività, che deriva e si riconnette a tali minimi obblighi strumentali, l’ha assunta
come “dogma” e ne ha fatto discendere conseguenze non previste dalla normativa per
la stabile organizzazione, quali ad esempio l’assoggettamento non al tributo ma alla
ricezione degli atti impositivi.
24
Ciò risulta dal combinato disposto degli artt. 1 e 31 del d.p.r. n. 600 del 1973. L’art.
31 invero prevede che “gli uffici delle imposte controllano le dichiarazioni presentate
dai contribuenti e dai sostituti di imposta” e, poi, al secondo comma, parla di
competenza all’accertamento in capo all’ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio
fiscale del “soggetto obbligato alla dichiarazione”. Costui è individuato dall’art. 1, del
medesimo decreto, rubricato Dichiarazione dei soggetti passivi, ove si legge che “ogni
soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi
posseduti anche se non ne consegue alcun debito d'imposta”. La dichiarazione quindi
è presentata dai soggetti passivi dell’imposta e soltanto costoro quindi possono per
conseguenza esser destinatari di rettifiche alla dichiarazioni.
149
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
5 Gli anomali corollari sul piano processuale in punto di legittimazione
e capacità di stare in giudizio.
Sovente, per verificare la validità di una affermazione, può essere utile
desumerne le conseguenze, anche su altri piani, in modo da valutarne la
congruenza e la tenuta complessiva nel quadro del sistema in cui si inserisce.
Ebbene, nel caso di specie, appare interessante riflettere qualche momento
sulle conseguenze processuali dell’affermazione della Corte di cassazione
circa l’intestazione dell’atto impositivo alla stabile organizzazione.
Se l’atto è intestato alla stabile organizzazione, allora è questa, e non la
società non residente, ad essere legittimata impugnarlo.
La stabile in particolare avrebbe legitimatio ad processum, in quanto soggetto
destinatario dell’atto impugnato.
Più complicata la valutazione della legitimatio ad causam. Essa a rigor di
logica dovrebbe spettare parimenti alla stabile organizzazione, in quanto
affermata titolare della situazione passiva di soggezione al potere accertativo
posta alla base del giudizio, concretizzatasi nell’atto spiccato nei suoi diretti
confronti.
Lascia però sul punto un poco perplessi la definizione giurisprudenziale della
stabile organizzazione come centro di imputazione di situazioni giuridiche
“altrui”: ebbene, a parte la contraddittorietà ed oscurità di tale definizione
giurisprudenziale, essa sul piano processuale dovrebbe comportare che la
situazione giuridica oggetto dell’atto di accertamento è altrui e, in quanto
tale, a quest’altro spetta la legittimatio ad causam.
L’incongruenza rilevata, e la differenza tra legitimatio ad causam e ad
processum, può tuttavia agevolmente superarsi sol che si rinunzi alla nozione
del centro di imputazione di situazioni altrui, tanto cara alla giurisprudenza
quanto foriera di equivoci, contraddittoria e soprattutto inutile.
Premesso dunque che la stabile organizzazione, se destinataria dell’avviso di
accertamento, ha la legittimazione ad impugnarla, resta il problema di
valutare la sua capacità di stare in giudizio.
Se si parte dalla premessa, assunta come ipotesi di lavoro, che essa sia
soggetto del diritto ed abbia quindi abbia una sua capacità giuridica, quale
attitudine alla titolarità di poteri e doveri giuridici25. Ne consegue, in quanto
persona non fisica, insuscettibile di essere incapace, la automatica capacità di
agire, cioè la idoneità a svolgere la attività giuridica che riguarda la sfera di
interessi propri26, e nello specifico la capacità di stare in giudizio, e cioè la
idoneità di tutelare giudizialmente i propri diritti.
Sennonché, come è noto, le persone giuridiche, così come associazioni di
fatto, comitati, società personali, esercitano la loro capacità di agire, di cui
quella di stare in giudizio è una specificazione, per il tramite degli organi (cd.
25
26
P. Rescigno, voce Capacità giuridica, in Digesto disc. priv., Utet, 1988.
P. Rescigno, voce Capacità di agire, in Digesto disc. priv., Utet
150
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
teoria organica). Essi conferiscono alla persone non fisiche menzionate la
“possibilità di far propria, giuridicamente parlando, la volontà e l’azione di
individui […] non estranei ma incorporati nella sua struttura”27. L’organo,
quindi, è “non una persona che rimanga estranea all’ente, al di fuori idi esso,
ma un individuo che venga in questo incardinato, in modo che la volontà e
l’azione sua possano considerarsi come volontà e azione dell’ente: egli, … fa
valere e agire l’ente, apprestando a questo qualità fisiche e psichiche che
l’ente altrimenti non possiederebbe, ma che così vengono a costituire qualità
anche di quest’ultimo, conferendogli una capacità che per gli individui è,
prima che giuridica, naturalmente, mentre per l’ente è meramente
giuridica”28.
Ebbene, la stabile organizzazione, ammesso che abbia capacità di agire e che
quindi sia dotata della capacità di agire in giudizio, come potrà attuarla, dato
che può essere completamente priva di organi suoi propri?
L’art. 75, commi 3 e 4, c.p.c. prevede che le persone giuridiche stanno in
giudizio per mezzo di chi le rappresenta e poi contiene analoga norma con
riguardo ad associazioni e comitati, che non sono persone giuridiche, ma
stanno in giudizio “per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e
seguenti del codice civile”.
Ma per la stabile organizzazione, che potrebbe essere priva di alcun organo, e
anche di ogni elemento personale, come è possibile stare in giudizio29?
Ovvero, e tanto per rendere il problema chiaro, se un avviso di accertamento
viene intestato ad uno stabilimento oppure ad un oleodotto, ammesso e non
concesso che essi siano legittimati ad impugnare l’atto ricevuto e a stare in
giudizio, come potranno attuare tale prerogativa in mancanza di ogni organo
proprio? chi firma il mandato per conto del magazzino o dell’oleodotto?
Se la Corte si fosse posta queste domande, se avesse un poco riflettuto su tali
corollari in ambito processuale, probabilmente si sarebbe astenuta dalla
ricordata improvvida affermazione circa la necessaria intestazione dell’atto
impositivo alla stabile organizzazione.
La Corte probabilmente non si è interrogata su tali profili, perché nel caso in
esame la stabile organizzazione era una società controllata, quindi capace di
stare in giudizio per il tramite dei propri organi societari; sennonché, la
affermazione della Corte non appare affatto riferita soltanto al caso in cui la
stabile si identifichi nell’ambito di una società figlia, ma viene formulata in
27
Così, ROMANO, Organi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947,
148.
28
Sempre ROMANO, Organi, cit., 155.
29
Considerato altresì che l’art. 81 c.p.c. sancisce che “fuori dei casi espressamente
previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto
altrui”.
151
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
via generale30, cosicché essa è perfettamente applicabile ad ogni genere di
stabile organizzazione.
Tra l’altro, si consideri che la Cassazione non si contenta di dichiarare, forse
per salvare l’azione accertativa nel caso di specie, che l’atto è intestato alla
stabile organizzazione, ma altresì espressamente esclude che possa esserlo
alla casa madre31: in pratica il soggetto che ha realizzato il reddito in Italia,
per il tramite della stabile organizzazione, quindi il soggetto passivo del
tributo, che era tenuto a dichiarare detti redditi, non potrà mai ricevere un
avviso di accertamento, che, se ad esso intestato, dovrà ritenersi viziato. La
casa madre potrebbe al limite impugnare detto avviso, e quindi un avviso che
accerta una maggiore imposta per i redditi da essa prodotti in Italia,
contestando che esso avrebbe dovuto essere intestato alla stabile.
30
La sentenza in alcuni passaggi fa espresso riferimento al fatto che nel caso la stabile
organizzazione sia una società controllata, laddove scrive che “ove la persona
giuridica nazionale sia ad un tempo stabile organizzazione di soggetto non residente”
“nulla osta a che l’Amministrazione finanziaria indirizzi la propria pretesa impositiva
e la propri azione accertatrice nei suoi diretti confronti, quanto ai redditi da essa
prodotti con la propria autonoma attività, e nei confronti della stabile organizzazione,
per i redditi costituiti in massa separata riferibile a soggetto non residente”.
Sennonché, poi, la Corte stessa dichiara l’irrilevanza, ai fini delle sue conclusioni,
della autonoma piena soggettività giuridica della società controllata, dato che i
rapporti fiscali riferibili alla stabile e alla controllata restano “autonomi e distinti,
seppur in capo alla medesima entità”.
E conferma della generalità di tali conclusioni, rispetto ad ogni stabile organizzazione
(e non soltanto quelle comprese in una società controllata residente), in altre
espressioni adottate dalla sentenza, ove il pensiero è riportato senza alcuna limitazione
o condizione: la stabile organizzazione è “autonomo centro di imputazione di rapporti
tributari riferibili a soggetto non residente, […] dotato di legittimazione sostanziale in
merito ai rapporti tributari inerenti al soggetto non residente, già enucleata con
riferimento alla disciplina Iva” e poi ancora scrive “alla luce degli esposti rilievi, può
dunque concludersi che – diversamente da quanto opinato dal giudice a quo –
l’accertamento condotto dall’Agenzia sul reddito di impresa, prodotto nel territorio
dello Stato da società non residente tramite stabile organizzazione, deve essere svolta
nei confronti di quest’ultima, e non nei diretti confronti della società residente”.
31
La intestazione dell’atto di accertamento alla stabile organizzazione parrebbe
facoltativa e non obbligatoria, quando la Cassazione scrive “nulla osta a che
l’Amministrazione finanziaria indirizzi la propria pretesa impositiva e la propri azione
accertatrice nei suoi diretti confronti – della società controllata - quanto ai redditi da
essa prodotti con la propria autonoma attività, e nei confronti della stabile
organizzazione, per i redditi costituiti in massa separata riferibile a soggetto non
residente”. Poco oltre, peraltro, la sentenza si esprime in termini ben più categorici ed
esclude ogni alternativa, laddove scrive “l’accertamento condotto dall’Agenzia sul
reddito di impresa, prodotto nel territorio dello Stato da società non residente tramite
stabile organizzazione, deve essere svolta nei confronti di quest’ultima, e non nei
diretti confronti della società residente”.
152
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Qualora poi a fronte di un avviso di accertamento intestato alla stabile, la
casa madre, vista la inidoneità della stabile a stare in giudizio in mancanza di
un organo suo proprio idoneo, decida di proporre ricorso lei direttamente,
ebbene rischierebbe all’evidenza di farselo dichiarare inammissibile per
carenza di legittimazione passiva.
Come si è detto nella premessa, attualmente, proprio per evitare ogni rischio,
l’Amministrazione finanziaria sovente intesta gli atti sia alla stabile che alla
casa madre, e ad entrambi li notifica, costringendo talora il contribuente a
proporre più impugnative identiche.
Evidentemente la Cassazione non si è prefigurata tutte le distorte
conseguenze che la propria affermazione conclusiva trascinava con sé.
6 La notificazione e l’esecuzione presso la stabile organizzazione, non
nei confronti di essa, comunque rispondono agli interessi dell’Erario
ad una agevole attività accertativa.
Subito dopo le contestate “conclusioni” circa la necessità di notificare
destinatario dell’atto impositivo, la Suprema Corte ha confessato le ragioni di
tale soluzione: l’interesse dell’Erario a che “i redditi prodotti da soggetti non
residenti ed imponibili nello Stato siano in questo agevolmente identificabili
e controllabili”.
La Cassazione quindi immagina che per i redditi prodotti da soggetti esteri vi
sia una difficoltà di identificazione e controllo, e quindi che la imputazione
alla stabile organizzazione della soggezione all’attività accertativa possa
agevolarla.
Nella realtà, a parte la confusione arrecata sotto diversi profili, processuale
innanzitutto, la soluzione individuata dalla Corte neppure pare idonea al fine
professato.
Quanto alla identificazione dei redditi, la normativa già impone una
contabilità separata e un bilancio separato con riguardo alla attività della
stabile organizzazione, e quindi il fatto che l’avviso di accertamento sia
intestato alla società estera o piuttosto alla stabile non ha rilievo in proposito.
Anzi, addirittura nel caso all’esame della Corte, la notifica alla stabile
organizzazione presso la società controllata, la quale subiva parimenti una
verifica sulla propria attività di impresa, rendeva più difficile la
identificazione e separazione da quest’ultima della parte afferente la attività
svolta da essa quale stabile organizzazione del soggetto estero.
Anche con riguardo alla presunta maggior facilità di controllo, intesa in senso
ampio anche come attuazione del tributo, la soluzione drastica della Corte, di
intestare gli atti direttamente alla stabile organizzazione, sembra poco
ponderata e non necessaria, specie se si consideri che già in base alla
normativa vigente la notificazione e la esecuzione possono avvenire in Italia,
presso la stabile organizzazione.
153
SOGGETTIVITÀ DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE E
SOGGEZIONE ALL’ATTIVITÀ ACCERTATIVA
Invero, l’atto impositivo, emesso verso la casa madre in quanto soggetto
passivo del tributo, potrà certamente essere notificato ad essa presso la sua
stabile organizzazione in Italia. E questo perché l’art. 60 impone di notificare
gli atti presso il domicilio fiscale del contribuente, e l’art. 58 individua il
domicilio fiscale dei non residenti anche presso la loro stabile organizzazione
in Italia.
L’atto quindi, pur se non intestato alla stabile organizzazione ma - come
correttamente detto - alla casa madre, potrà esser notificato direttamente in
Italia presso di essa.
Un discorso analogo si può svolgere con riguardo alla fase della esecuzione, e
quindi dell’attuazione del prelievo, che non è reso eccessivamente
difficoltoso dall’intestare i relativi atti alla casa madre così come non è
significativamente agevolato dall’interstarli invece alla stabile.
Anche in questo caso gli atti di riscossione ed esecuzione dovranno essere
rivolti solo ed esclusivamente nei confronti della casa madre estera, la quale,
soltanto, sarà legittimata ad impugnarli in qualità di debitore; certamente,
però, le possibilità di recupero non sono granché modificate, particolarmente
ove si consideri che, se presso la stabile organizzazione vi siano beni del
soggetto estero, questi potranno essere oggetto delle azioni esecutive, proprio
perché la stabile non costituisce un patrimonio autonomo, né separato,
rispetto alla casa madre.
E così, a ben vedere, l’Erario ha possibilità di notificare presso la stabile
organizzazione e di svolgere azioni esecutive presso di essa. In pratica,
l’Erario ha già molte di quelle prerogative che la Suprema Corte pensa di
garantire tramite l’assurda imposizione di una intestazione dell’atto
accertativo alla stabile organizzazione.
A prescindere da ciò, e quindi dall’inefficacia delle soluzioni rispetto ai fini
dichiarati, vale ricordare che il giudice dovrebbe limitarsi ad interpretare le
norme e che l’interesse dell’Erario non è un canone ermeneutico; solo il
legislatore, quindi, anche in ragione di quanto detto circa il fondamento
normativo della soggettività, inclusa quella passiva del tributo, potrebbe
riformare la disciplina della stabile organizzazione e/o della soggettività
passiva ai fini delle imposte sui redditi in maniera da comportare la doverosa
intestazione degli atti impositivi alle stabili organizzazioni.
Ma se da un lato non è assolutamente scontato che una tale soluzione faciliti
in maniera significativa il procedimento impositivo verso soggetti esteri, è
certo che nel frattempo sentenze come quella in esame creano soltanto
disorientamento e confusione.
154
Avv. Paolo de’Capitani di Vimercate
Ricercatore presso l’Università
degli Studi di Brescia, Dipartimento di Scienze Giuridiche
Il rapporto tra stabile organizzazione e transfer pricing in
alcuni casi di distribuzione di prodotti esteri in Italia
1
La cronaca di questi mesi ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica
casi di gruppi multinazionali molto noti che pur operando nel nostro e in altri
Paesi con evidente successo imprenditoriale sono stati additati come casi di
elusione, se non proprio di evasione fiscale, dichiarando redditi molto bassi
rispetto al giro d’affari realizzato su base locale. Lo schema comune che
traspare dalla descrizione di questi casi è quello che si basa sull’impiego di
una struttura di gruppo articolata, che facendo perno su una società
generalmente collocata in Paesi che offrono un trattamento tributario
piuttosto generoso riduce al minimo le funzioni svolte dalla società o dalla
articolazione dell’impresa che si collocano nel mercato, o meglio, nel Paese
di destinazione dei prodotti.
Da quanto si apprende dai rapporti della stampa specializzata e da quanto
emerge dalle pronunce che all’estero hanno trattato casi analoghi1, la società
locale, o l’unità locale dell’impresa non residente, sono incaricate in
particolare per lo svolgimento di una serie di servizi di supporto che hanno
come controparte però non la clientela dell’impresa multinazionale, ma la
società del gruppo residente all’estero, come detto di solito in un Paese a
bassa fiscalità, la quale invece intrattiene direttamente il rapporto
commerciale con gli acquirenti dei beni o dei servizi.
E’ discusso anche se un commissionario possa costituire stabile
organizzazione: in Francia la Corte di Appello di Parigi, 2 febbraio 2007, n.
05PA02361, Zimmer Ltd., in Dir. prat. trib. int., 2007, 1124, ha ritenuto di
no, così come la Commissione tributaria regionale di Milano, 20 ottobre
2011, n. 125, che ha confermato quanto deciso dalla Commissione tributaria
1
Si pensi ai casi Zimmer (Francia), Dell (Norvegia) e soprattutto Roche (Spagna),
oltre al caso italiano di Boston Scientific, deciso in senso favorevole al contribuente
nei tre gradi di giudizio, anche se relativo ad una struttura operativa che, diversamente
dal caso Roche, prevedeva l’acquisto della merce e la rivendita da parte della srl
italiana del gruppo. V. anche Comm. trib. reg. Marche, 24 giugno 2011, n. 44 e
Comm. trib. reg. Friuli-Venezia Giulia, 23 marzo 2011, n. 33, oltre a Comm. Trib.
Prov. Rimini, 12 marzo 2008, n. 26.
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
provinciale di Milano, 27 aprile, n. 1122. Di contrario avviso è invece in
Norvegia la Corte di Appello di Oslo, 2 marzo 2011, Dell Products BV. Su
questi aspetti e su altri relativi all'art. 5 del Modello OCSE v. da ultimo
OECD, Interpretation and Application of Article 5 (permanent
establishment) of the OECD Model Tax Convention - Public discussion draft,
12 October 2011 to 10 February 2012.
A seconda dei casi, l’Amministrazione italiana e quelle degli altri Paesi
europei interessati da questo fenomeno hanno avviato verifiche e talvolta
anche contestazioni che spaziano dal recupero di imposta nei confronti
dell’impresa non residente, che si assume aver avuto una stabile
organizzazione nel Paese di destinazione dei beni3, a quello nei confronti
della società locale, che si assume remunerata in maniera insoddisfacente in
base alla disciplina del transfer pricing.
2
Come accennato, la prassi invalsa nel contesto delle imprese multinazionali
che operano nel nostro e in altri Paesi sembra essere quella di utilizzare una
srl locale cui appunto sono affidate, in base ad apposito contratto, alcune
funzioni di supporto territoriale all’attività principale, svolta direttamente
dall’impresa non residente.
2
Sentenze poi confermate in Cassazione: v. le sentenze 3769-3773 del 9 marzo 2012,
in banca dati Fisconline.
3
Tale stabile organizzazione personale consisterebbe nella stessa società italiana, la
quale, a seconda dei casi, sarebbe considerata agente dipendente della società estera ai
sensi dell’art. 5.5 del Modello OCSE di Convenzione sui redditi e i capitali (rectius, ai
sensi dell’art. 162, comma 6, del Testo unico delle imposte sui redditi – Tuir – che al
riguardo riflette, in parte, l’art. 5 del Modello OCSE), oppure come vera e propria
struttura locale dell’impresa non residente, dovendosi ignorare il “velo” della
personalità giuridica distinta della stessa società locale, in tutto e per tutto equiparata a
una promanazione dell’entità non residente. Cfr. A. Lovisolo, Il concetto di stabile
organizzazione nel regime convenzionale contro la doppia imposizione, in Dir. Prat.
Trib., 1983, I, 130 e ss.; Lovisolo, La stabile organizzazione, in V. Uckmar, Corso di
diritto internazionale, Cedam, Padova, 2001, 300; Cerrato, La definizione di stabile
organizzazione nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, in C. Sacchetto-L.
Alemanno, Materiali di diritto tributario internazionale, Ipsoa, Milano 2002, 132; V.
Uckmar - G. Corasaniti - P. de’ Capitani di Vimercate - C. Corrado Oliva, Diritto
tributario internazionale, Manuale, 2a ed., Padova, 2012, 61; H. Pijl, Agency
Permanent Establishments: in the name of and the Relationship between Article 5(5)
and (6) – Part 1, in Bulletin for International Taxation, Vol. 67, N. 1, gennaio 2013,
26 e ss.. In altri casi, invero più teorici che pratici, laddove l’impresa estera abbia
utilizzato già ufficialmente una stabile organizzazione nel Paese di destinazione della
sua attività, il recupero potrebbe invece interessare il quantum di imposta dichiarato
dal non residente attraverso tale unità locale.
156
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
In questo caso, le verifiche dell’Amministrazione si incentrano quindi sulla
verifica della corrispondenza tra le funzioni svolte dalla società locale in base
al contratto e quelle effettivamente realizzate grazie all’attività condotta dai
dipendenti italiani, nell’assunto che queste possano eccedere talvolta quanto
le forme darebbero ad intendere.
I dipendenti italiani, insomma, lungi dal limitarsi a prestazioni di mero
supporto o esecutive di direttive provenienti dall’estero, darebbero un proprio
e autonomo impulso all’attività commerciale, favorendo e incrementando il
fatturato “italiano” dell’impresa residente all’estero. Quando si verificano
questi presupposti, i verificatori sono portati a concludere che l’impresa non
residente abbia in Italia una stabile organizzazione di carattere quantomeno
personale, perché la società italiana dovrebbe ricondursi alla categoria
dell’agente dipendente di cui all’art. 5, par. 5, del modello Ocse.
I riscontri probatori di questa impostazione si rinvengono solitamente nelle
dichiarazioni che in sede di verifica vengono rilasciate dai dipendenti della
stessa società locale e dai clienti dell’impresa estera, se questi affermano che
il rapporto commerciale è in effetti gestito più su base territoriale che
direttamente con il fornitore non residente dei beni o dei servizi; altro
elemento che ovviamente è oggetto di accurata indagine è la corrispondenza
commerciale, anche tramite posta elettronica. E così, certamente, quando
emerge dalla verifica che il personale “locale” è solito trattare con la clientela
(dell’impresa non residente) prezzi, tipologia e quantità dei beni4.
Se le indagini confermano i sospetti dei verificatori, la conseguenza è
ovviamente la contestazione dell’omissione della presentazione della
dichiarazione dei redditi5.
In altri Paesi, come emerge dal Rapporto Ocse sull’attribuzione degli utili
alle stabili organizzazioni, si propende invece, anche per questioni di
semplificazione, a muovere una contestazione di transfer pricing nei
confronti della società locale6.
3
La posizione dei gruppi multinazionali a fronte delle contestazioni che gli
vengono mosse dalla stampa e dalle Amministrazioni è che la struttura
4
Cfr. D. Avolio, B. Santacroce, Per la stabile organizzazione basta l’affidamento
d’affari, in Corr. trib., 2012, 2258.
5
Se l’impostazione dei verificatori si fonda sul riconoscimento di una stabile
organizzazione occulta di tipo personale, non si procede invece al recupero dell’Iva,
perché come noto a questi fini serve la compresenza di un elemento personale e di un
elemento materiale che invece dovrebbe essere assente nel caso di un agente
dipendente , pur dotato di una sua struttura organizzativa; v. Corte di Giustizia, 4
luglio 1985, C-168/84, Berkholz; Cass., 25 luglio 2002, n. 10925.
6
V. infra.
157
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
descritta più sopra e le sue varie declinazioni costituiscono il semplice
impiego di strumenti legali che corrispondono alla realtà operativa e che
pertanto ogni pretesa e ogni critica sono ingiustificate, dovendosi semmai
modificare le leggi tributarie7.
Anche quando la questione sia affrontata in sede tecnica e vi siano delle
incongruenze8 nelle funzioni effettivamente svolte in sede locale rispetto a
quelle formalmente dichiarate (per esempio nella documentazione
predisposta per gli adempimenti del transfer pricing), la menzionata
divaricazione degli approcci di diverse amministrazioni tra la contestazione
di una stabile organizzazione occulta e il recupero di imposta attraverso la
disciplina del transfer pricing costituisce un ostacolo alla composizione della
vertenza, perché gruppi che operano su scala mondiale sentono l’esigenza di
una organizzazione aziendale uniforme, che non vari da Stato a Stato in base
all’impostazione che una data amministrazione finanziaria assume nei
confronti delle fattispecie descritte.
La risposta usuale, e se si vuole comprensibile, che questi gruppi offrono è
che essi - economicamente intesi - non possono essere trattati alla stregua di
un evasore totale, avendo invece manifestato la loro presenza nel territorio di
destinazione dei beni/servizi nella maniera più ufficiale possibile (con la
costituzione di una società in loco). V’è quindi una ferma ritrosia ad accettare
la contestazione di una stabile organizzazione occulta, anche nei casi in cui
questa sarebbe una strada tecnicamente corretta, per non alterare
l’impostazione strutturale che il gruppo si è dato su scala internazionale,
impostazione che prevede di operare nei diversi Paesi attraverso società
locali, e non stabili organizzazioni.
Piuttosto, i gruppi multinazionali sono disposti a trattare questi casi dal punto
di vista della disciplina del transfer pricing, perché essa non comporta
addebiti di omessa presentazione della dichiarazione, né modifiche alla
struttura operativa del gruppo – se si eccettua il riconoscimento di funzioni
ulteriori rispetto a quelle oggetto del contratto con la società non residente
facente parte del medesimo gruppo -; anche dal punto di vista penale, il
transfer pricing provoca, nella maggior parte dei casi, minori preoccupazioni,
a parte la questione dell’individuazione del responsabile della violazione, che
7
V. le risposte a più riprese fornite dal CEO di Apple, anche in occasione
dell’indagine conoscitiva svolta dal Congresso americano: v. al riguardo i contributi
di Dian e di Queiroli in Dir. Prat. Trib. Int. 2/2013. V. anche i lavori dell’Ocse in
relazione alla possibile riformulazione del Commentario all’art. 5 del Modello di
convenzione contro le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio: Public
Discussion Draft on the Interpretation and Application of Article 5 (Permanent
Establishment) of the OECD Model Tax Convention, 12 ottobre 2011.
8
Incongruenze che talvolta possono anche essere il banale frutto delle soluzioni che
quotidianamente il personale di un’azienda multinazionale trova per risolvere le
questioni correnti, magari allontanandosi dalle direttive organizzative in precedenza
impartite dal management.
158
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
evidentemente potrebbe essere diverso che nel caso di omessa dichiarazione
da parte della società non residente. E’ possibile inoltre avviare le procedure
bilaterali o convenzionali (436/90) per una soluzione delle questioni che
coinvolga direttamente anche l’altra o le altre amministrazioni interessate.
La contestazione di una stabile organizzazione comporta del resto problemi
analoghi a quelli del transfer pricing, perché in assenza di una contabilità
analitica riferibile alla stessa il reddito da attribuirle deve essere determinato
con le stesse modalità e criteri del transfer pricing, non potendosi
condividere in queste ipotesi la tassazione come reddito dei ricavi lordi dietro
la giustificazione che la prova dei costi tocca al contribuente. Simile
percorso, per quanto mutuato dalle fattispecie domestiche in cui non si
reperisce la contabilità d’impresa, non è infatti conciliabile con l’art. 7 del
modello Ocse, come chiarito nel rapporto sull’attribuzione degli utili alle
stabili organizzazioni9. Il sistema contabile interno della società estera, d’altra
parte, non è mai costruito in modo da avere un conto profitti e perdite e un
bilancio d’esercizio distinti per Paese, e questo impone il ricorso a vari
metodi di determinazione del reddito della s.o., come detto mutuati dalla
disciplina sul transfer pricing.
Uno degli elementi più importanti nell’analisi delle fattispecie in esame è
dato dal contratto di servizio stipulato tra l’impresa non residente e la società
locale che giustifica e remunera le attività svolte da quest’ultima a favore
della prima. Questi contratti, spesso intitolati proprio come “contratti di
agenzia”, recano la puntuale descrizione delle attività delegate alla società
locale, solitamente strettamente connesse a una presenza territoriale che è
richiesta per il migliore completamento delle attività di gruppo. Si pone
quindi la questione, centrale per l’identificazione di una stabile
organizzazione accanto alla suddetta società locale, della individuazione e
della qualificazione delle attività ulteriori che la società svolgerebbe oltre a
quelle indicate nel contratto.
Queste ulteriori attività, infatti, per sorreggere il riconoscimento di una
stabile organizzazione occulta, devono oltrepassare la soglia delle attività di
natura meramente ausiliaria o preparatoria.
A ben vedere, peraltro, anche il fatto che eventuali ulteriori attività non siano
state formalmente contrattualizzate non elimina dalla scena il transfer
pricing, perché nessuno impone, tantomeno nei gruppi, la forma scritta dei
contratti10 e il non farsi pagare specificamente per un servizio reso rientra
senza dubbio nella sfera di applicazione dell’art. 110, comma 7, tuir.
9
Cfr. l’art. 5, comma 3, del d.p.r. n. 600/1973 che impone ai soggetti Ires la
conservazione dei libri contabili relativi alle attività commerciali eventualmente
esercitate nel territorio dello Stato mediante S.O., nonché l’art. 14, comma 4, del
medesimo decreto sulla contabilità distinta fra casa madre e stabile organizzazione. V.
anche F. Tundo, Stabile organizzazione personale e determinazione del reddito
secondo le recenti direttive OCSE, in Rass. trib., 2011, 305 e ss.
10
V. Cass. 22023/2006.
159
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
Sin dalle decisioni Philip Morris, peraltro, è noto che la Cassazione ha
ritenuto che anche in assenza di poteri formali la partecipazione alle trattative
per conto delle imprese non residenti costituisce esercizio del potere
contrattuale di un agente dipendente. La stessa Corte ha inoltre ritenuto che
l’attività di controllo sulla corretta esecuzione dei contratti da parte delle
controparti non può considerarsi come attività meramente ausiliaria o
preparatoria.
Seppure quindi sia possibile, in astratto, procedere parallelamente sulle tracce
della stabile organizzazione occulta e del transfer pricing, vi sono talvolta
elementi di contesto che dovrebbero far propendere per la seconda, piuttosto
che per la prima alternativa.
Tra questi la circostanza che affermare in questi casi l’esistenza di una stabile
organizzazione personale da agente dipendente significherebbe che la società
estera ha e in realtà avrebbe avuto per i cinque/dieci anni passati due diversi
agenti in Italia che svolgono, con gli stessi dipendenti e le stesse strutture di
supporto, gli stessi o comunque analoghi o complementari compiti: il primo,
la società italiana, in base al menzionato contratto di mandato, il secondo,
sempre la società italiana, in qualità di stabile organizzazione personale della
società estera.
Anche il codice attività e l’oggetto sociale della società controllata possono
essere indicativi della natura di intermediazione dell’attività ufficialmente
svolta dalla società locale, attività che come detto sarebbe quindi
complementare a quella che in queste ipotesi viene spesso additata come
quella che giustificherebbe il riconoscimento di una stabile organizzazione
occulta.
La via del transfer pricing appare anche più agevole per il fatto che
nonostante il carattere monomandatario dell’incarico affidato alla società
locale, non è sempre agevole considerare la società locale come agente
dipendente della preponente, tanto più quando la prima sia una società sorella
e non la controllante all’interno del gruppo. Utili indicazioni, a questo
riguardo, si potranno trarre dal criterio previsto per la remunerazione
dell’agente, così come dallo spazio di manovra che le viene riconosciuto
nella scelta delle modalità e dei mezzi impiegati per lo svolgimento delle sue
funzioni di supporto locale.
Se mancano le “detailed instructions or comprehensive control” richiesti dal
par. 38 del Commentario all’art. 5 del Modello OCSE per la configurazione
di un “agente dipendente” è evidente che una verifica delle remunerazioni
resta addirittura l’unica strada percorribile. E, ancora una volta,
conformemente al Commentario del Modello OCSE, “Limitations on the
scale of business which may be conducted by the agent […] are not relevant
to dependency which is determined by consideration of the extent to which
160
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
the agent excercises freedom in the conduct of business on behalf of the
principal within the scope of the authority conferred by the agreement”11.
Diversi di questi aspetti possono comunque assumere rilevanza sia per la
verifica dei requisiti della stabile organizzazione occulta sia per la
determinazione del suo reddito, perché quanta più autonomia gestionale si
vedrà riconosciuta alla struttura locale tanto più reddito potrà esserle
attribuito – a patto che si possa comunque considerare sussistente la s.o. -, e
per contro, tanta meno autonomia, tanto inferiore sarà l’utile attribuibile alla
base locale, perché le funzioni svolte non potranno considerarsi più di tanto
rilevanti per la produzione del reddito, quanto piuttosto meramente esecutive
di decisioni e piani aziendali organizzati altrove, quando addirittura non si
esauriscano completamente nelle funzioni “contrattualizzate” o in altre a
queste accessorie12.
Ecco quindi che anche sotto questo aspetto, almeno in alcuni casi,
l’impostazione dell’Amministrazione verso il transfer pricing, piuttosto che
la s.o., potrebbe rivelarsi più fruttuosa per l’attività di recupero.
Come accennato, in presenza di una società del gruppo che già opera nel
Paese, l’OCSE consente di riconoscere una stabile organizzazione occulta
soltanto se le funzioni da questa svolte si differenziano nettamente e sono
quindi ulteriori rispetto a quelle svolte dalla società locale (i cui redditi sono
quindi già tassati in capo alla stessa)13.
11
Cfr. J. Avery Jones e D. A. Ward, Agents as Permanent establishment under the
OECD Model Tax Convention, in International Bureau of Fiscal Documentation,
1993, 178.
12
V. anche M. Cerrato in «La definizione di «stabile organizzazione» nelle
convenzioni per evitare le doppie imposizioni, cit., in C. Sacchetto, L. Alemanno (a
cura di), Materiali di diritto tributario internazionale, Ipsoa, 2002, che alla nota 11
sottolinea che “il giudizio sull'indipendenza economica dell'intermediario deve essere
condotto esaminando tutti gli aspetti afferenti le relazioni commerciali tra le parti.”
13
V. Il Rapporto OCSE sull’attribuzione degli utili alle stabili organizzazioni del
2008, par. 270 del cap. I, secondo cui, nel caso di dependent agent PE, “In calculating
the profits attributable to the dependent agent PE it would be necessary to determine
and deduct an arm’s length reward to the dependent agent enterprise for the services
it provides to the non-resident enterprise (taking into account its assets and its risks if
any). Issues arise as to whether there would remain any profits to be attributed to the
dependent agent PE after an arm’s length reward has been given to the dependent
agent enterprise. In accordance with the principles outlined above (and illustrated in
the example below) the answer is that it depends on the precise facts and
circumstances as revealed by the functional and factual analysis of the dependent
agent and the non-resident enterprise. However, the authorised OECD approach
recognises that it is possible in appropriate circumstances for such profits to be
attributed to the dependent agent PE” (enfasi aggiunta). Il rapporto prosegue poi al
par. 280 chiarendo ancora che “In [some] circumstances, the functional and factual
analysis might show that the relevant significant people functions are undertaken by
people in the head office of the non-resident enterprise, and the personnel of the
161
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
Vi sono precedenti in giurisprudenza, anche in Italia14, che si riferiscono
specificamente a questioni analoghe a quella in esame e affermano che le
Autorità fiscali avrebbero dovuto effettuare una verifica sul transfer pricing,
piuttosto che affermare l’esistenza di una stabile organizzazione quando il
gruppo aveva già una presenza italiana nella forma di una società controllata
e quando tale controllata operava nei limiti del suo oggetto sociale. In tali
casi, infatti, l’unica questione che le Autorità dovrebbero considerare è se la
controllata italiana ha ricevuto un’adeguata remunerazione per le sue attività.
In caso affermativo non v’è spazio per una rettifica dei redditi imponibili da
parte dell’Amministrazione finanziaria.
Tale interpretazione è inoltre supportata dall’OCSE (ad esempio nel Report
on the attribution of profits on permanent establishments del 2008, da ultimo
modificato il 17 luglio 2010) che, tra gli altri punti, ricorda che riconoscere
dependent agent enterprise in the host country do not carry out these activities on
behalf of the non-resident enterprise. In such circumstances the economic ownership
of the inventory and the reward for the assumption of the associated inventory risk
would not be attributable under the authorised OECD approach to the dependent
agent PE of the non-resident enterprise but to its head office. A similar analysis can
be carried out on a case-by-case basis in respect of other types of risks, e.g. the credit
risk in respect of the customer receivables of the non-resident enterprise. Again,
under a typical sales agency agreement customer receivables and the associated
credit risk legally belong to the non-resident enterprise, not the dependent agent
enterprise and so the remuneration paid by the non-resident enterprise to the
dependent agent enterprise should not reward the assumption of this risk. Once again
the key question is whether any of the reward for the assumption of credit risk should
be attributed to the dependent agent PE of the non-resident enterprise. As already
noted, this will be determined by reference to the identification of where the
significant people functions relevant to the assumption and/or subsequent
management of the risk are undertaken, i.e. in the dependent agent or the nonresident enterprise”. Si noti peraltro che la stessa OCSE dà atto che molti dei Paesi
membri in questi casi abbiano scelto di non raddoppiare il contribuente, effettuando
semplicemente una verifica di transfer price sulla società controllata/dependent agent:
v. il par. 282, secondo cui “a number of countries actually collect tax only from the
dependent agent enterprise even though the amount of tax is calculated by reference
to the activities of both the dependent agent enterprise and the dependent agent PE. In
practice what this means is taxing the dependent agent enterprise not only on the
profits attributable to the people functions it performs on behalf of the non-resident
enterprise (and its own assets and risks assumed), but also on the reward for the free
capital which is properly attributable to the PE of the non-resident enterprise”. In
nota l’OCSE non manca poi di rimarcare come “the potential burden on the nonresident enterprise of having to comply with host country tax and reporting
obligations in the event it is determined to have a dependent agent PE cannot be
dismissed as inconsequential, and nothing in the authorised OECD approach should
be interpreted as preventing host countries from continuing or adopting the kinds of
administratively convenient procedures mentioned above”.
14
Comm. trib. prov. di Rimini, 12 marzo 2008, n. 26.
162
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
l’esistenza di una stabile organizzazione non è sufficiente per emettere un
avviso di accertamento, posto che deve essere determinato anche il reddito da
attribuire a tale stabile organizzazione. Circostanza tanto più difficile nei casi
in cui l’attività locale sia un completamento di quella estera, perché per
esempio si innesta su contratti quadro davvero conclusi all’estero e che
necessitano, su base locale, di una mera applicazione corrente, la quale
magari può consistere anche nello svolgimento di talune trattative su aspetti
esecutivi o di incentivazione, come per esempio sulla quantità dei beni o dei
servizi venduti in rapporto a particolari forme di incentivi all’acquisto,
attività che però non possono dirsi indipendenti rispetto a quelle realizzate
estero dall’impresa non residente, anche perché spesso strettamente
monitorate e sottoposte a stringenti controlli e limiti di budget15. La difficoltà
di determinare il reddito da imputarsi alla s.o. induce l’Ocse a sottolineare
che i requisiti di indipendenza funzionale per il riconoscimento della stabile
organizzazione sono da vedersi proprio in correlazione a questo aspetto,
perché in assenza di una certa autonomia dell’attività di impresa svolta dalla
s.o. (al netto, si badi, delle funzioni ufficialmente svolte dalla società locale)
sarebbe poi arduo determinarne il reddito secondo i criteri di separazione
contabile di cui all’art. 14, comma 5, d.p.r. 600/197316, meglio evidenziati nel
Rapporto OCSE Attribution of Profits to Permanent Establishments, Parigi,
2008, secondo cui, in estrema sintesi, il reddito della stabile organizzazione
deve essere misurato secondo criteri analoghi a quelli previsti dalle linee
guida OCSE in materia di transfer pricing valorizzando le funzioni svolte, i
rischi assunti e i beni impiegati dalla stabile organizzazione1718.
15
Cfr. D. Avolio e B. Santacroce, Per la stabile organizzazione personale è
necessario provare che l'agente ha effettivamente concluso i contratti, in Giur. trib.,
2012, 975 e ss.
16
Ai sensi del quale “Le società, gli enti e gli imprenditori di cui al primo comma che
esercitano attività commerciali all'estero mediante stabili organizzazioni e quelli non
residenti che esercitano attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni,
devono rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le
stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell'esercizio relativi a
ciascuna di esse.” Si veda al riguardo anche il par. 33 del Commentario all’art. 5 del
Modello Ocse.
17
V. A. Sfrondini, La stabile organizzazione secondo il modello Ocse e il
Commentario, in A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfrondini, Manuale di fiscalità
internazionale, IV ed., Milano, Ipsoa, 2010, 813, ed ivi la nota 99 che rinvia a Skaar,
Permanent establishment: erosion of a tax treaty principle, Kluwer, 1998, 50.
18
Pur tenendo presente che la configurabilità di una stabile organizzazione comporta
l’assoggettamento a tassazione su base territoriale dei profitti realizzati da quella
specifica impresa non residente, a prescindere da quella che è l’astratta remunerabilità
delle attività di un agente per la sua prestazione di servizi. Si tratta però di una
problematica che se da un lato impone la disamina dei profitti realizzati dall’impresa
non residente (circostanza, per vari motivi, non sempre di facile determinazione) per
poi ripartirli nei vari Stati, compreso in particolare quello della s.o., dall’altro non
163
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
E a questo riguardo valga, a specchio perché in quel caso si parlava di stabili
organizzazioni estere di società italiane, quanto a suo tempo chiarito
dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 9/2398 del 1° febbraio
1983, secondo cui “Per quanto concerne, inoltre, la locuzione "gestione
separata" contenuta nel citato art. 3, D.P.R. n. 599, si ritiene che essa indichi
un ciclo completo di attività imprenditoriale svolto dalla stabile
organizzazione all'estero con un proprio risultato economico, autonomo
rispetto a quello conseguito dalla sede centrale esistente nel territorio
nazionale. Perché la stabile organizzazione all'estero sia autonoma deve
perlomeno avere il potere di promuovere e concludere direttamente, per
conto dell'impresa in Italia, tutti quei negozi e rapporti coi terzi, che
altrimenti dovrebbero far capo alla sede centrale in Italia, cui, peraltro,
spetta ogni controllo. Nel merito, la società fa presente che, per ciascuna
delle strutture operanti all'estero, esiste una piena autonomia gestionale in
quanto le stesse provvedono direttamente all'assunzione di mano d'opera
locale e intraprendono autonomi rapporti con gli organismi pubblici e
privati, nonché con i clienti e con i fornitori” (enfasi aggiunta).
Si noti inoltre che la disposizione convenzionale di volta in volta applicabile
è solitamente più restrittiva nel consentire al Paese della fonte (Italia) di
riconoscere l’esistenza di una stabile organizzazione rispetto a quanto
previsto dall’art. 162 tuir. La dottrina italiana, infatti, ha sottolineato che
rispetto al modello OCSE la disposizione interna ammette la configurabilità
della stabile organizzazione personale anche nel caso in cui l’agente
rappresenti l’impresa non residente per attività meramente preparatorie o
ausiliarie diverse dall’acquisto di beni19. Per la disciplina interna, pertanto, la
presenza di un agente dell’impresa non residente è sufficiente per costituire
una stabile organizzazione anche in ipotesi che normalmente sarebbero
escluse dalla definizione di stabile organizzazione materiale. Ma quando il
parametro di riferimento non è la norma interna (art. 162 tuir), bensì quella
convenzionale, che esclude la possibilità di configurare una stabile
organizzazione nel caso di attività meramente preparatorie o ausiliarie, come
per definizione sono le attività di supporto vendita e supporto marketing20.
potrà che risolversi caso per caso. In alcune ipotesi, per esempio, l’impresa non
residente potrà sottolineare che la forza del marchio consentirebbe comunque di
vendere i prodotti anche senza l’intervento di un agente locale, seppur con minor
successo o con maggiori difficoltà per l’entità estera del gruppo.
19
V. V. Uckmar (coordinato da), Diritto tributario internazionale, ed. III, Cedam,
Padova, 2005, 491. Cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, tomo II,
Milano, Giuffré, 2010, 2507; E. Della Valle, La nozione di stabile organizzazione nel
nuovo Tuir, in Rass. trib., 2004, par. 6”.
20
Il paragrafo 23 del Commentario all’art. 5 del modello OCSE chiarisce al riguardo
che “Subparagraph e) provides that a fixed place of business through which the
enterprise exercises solely an activity which has for the enterprise a preparatory or
auxiliary character, is deemed not to be a permanent establishment. The wording of
164
IL RAPPORTO TRA STABILE ORGANIZZAZIONE E TRANSFER PRICING IN ALCUNI
CASI DI DISTRIBUZIONE DI PRODOTTI ESTERI IN ITALIA
Da ultimo, forse proprio mescolando l’approccio “transfer pricing” con
quello “stabile organizzazione” la Cassazione ha ritenuto che nel caso in cui
una società italiana sia considerata quale stabile organizzazione di un’altra
società del gruppo, essa – e non la società non residente – deve essere
destinataria della rettifica del reddito operata dall’Amministrazione (v. Cass.,
22 luglio 2011, n. 16106). Benché nella sostanza, ancora una volta, si arrivi a
discutere della determinazione del reddito della stabile organizzazione, che
ovviamente dovrà parametrarsi alle eventuali ulteriori funzioni occultamente
svolte a favore della società straniera, la decisione della Cassazione non è
condivisibile, in quanto supera e stravolge il dato normativo che vuole il
soggetto non residente assoggettato a tassazione sui redditi prodotti in Italia
attraverso la sua stabile organizzazione (artt. 73, comma 1, lett. d, e 23,
comma 1, lett. e, tuir). Nel caso specifico, la rettifica mirava a recuperare a
tassazione le royalties che la società italiana pagava a varie entità tedesche e
austriache del gruppo: configurando una stabile organizzazione in Italia di
tali (singole) entità e attribuendovi le royalties, il Fisco sterilizzava di fatto la
deduzione operata dalla società italiana.
this subparagraph makes it unnecessary to produce an exhaustive list of exceptions.
Furthermore, this subparagraph provides a generalized exception to the general
definition in paragraph 1 and, when read with that paragraph, provides a more
selective test, by which to determine what constitutes a permanent establishment. To a
considerable degree it limits that definition and excludes from its rather wide scope a
number of forms of business organizations which, although they are carried on
through a fixed place of business, should not be treated as permanent establishments.
It is recognized that such a place of business may well contribute to the productivity
of the enterprise, but the services it performs are so remote from the actual realization
of profits that it is difficult to allocate any profit to the fixed place of business in
question” (enfasi aggiunta). E poi ancora, al par. 24 del medesimo Commentario
all’art. 5: “the decisive criterion is whether or not the activity of the fixed place of
business in itself forms an essential and significant part of the activity of the
enterprise as a whole” (enfasi aggiunta).
165
Prof. Adriano Di Pietro
Professore Alma Mater Studiorum Università di Bologna
La stabile organizzazione e la fiscalità del mercato europeo*
* La relazione, non pervenuta in tempo per l’inserimento nel volume, appena
disponibile verrà pubblicata sul sito www.uckmar.net
Prof. Augusto Fantozzi
Professore emerito Università di Roma
Relazione introduttiva sugli aspetti tributari
SOMMARIO: 1 Le linee recenti di evoluzione del diritto tributario sostanziale e formale
- 2 L’intramontato interesse della dottrina al confronto sul principio di capacità
contributiva - 3 La crisi dello Stato nazione ed i riflessi sulla fiscalità nell’epoca della
globalizzazione: la fiscalità degli enti sotto e sovranazionali e le interferenze tra i
rispettivi ordinamenti - 4 La fiscalità di massa e l’internazionalizzazione dei mercati:
conseguenze sul piano sostanziale (elusione) e formale (strumenti induttivi) del diritto
tributario - 5 (Segue): in particolare gli strumenti partecipativi - 6 Il ricorso a
strumenti negoziali e la “privatizzazione” del diritto tributario: progressiva
attribuzione a privati di compiti pubblici - 7 Le conseguenze sul piano legislativo e
sullo studio della nostra materia: relativizzazione e frammentazione nell’attuazione
del tributo; l’ineliminabile riferimento al presupposto
1 Le linee recenti di evoluzione del diritto tributario sostanziale e
formale
Rispetto alla prima edizione di questo Manuale, dunque ormai a venti anni di
distanza, può farsi oggi il punto delle modifiche intervenute nel mondo del
diritto e dell’economia per gli effetti che esse hanno prodotto nella nostra
materia.
Con riguardo ad essa, come noto particolarmente sensibile all’evoluzione dei
fenomeni circostanti, possono sottolinearsi diversi profili di novità che
concernono l’impianto normativo sia del diritto tributario sostanziale sia del
diritto tributario formale.
Meno rilevanti appaiono tuttavia queste novità in punto di ricostruzione
scientifica della materia e dunque di teoria generale del diritto tributario nella
quale continuano ad essere utilizzabili gli strumenti e gli istituti elaborati
dalla dottrina precedente.
Questa parte generale del Manuale aspira dunque a rendere conto di tutte le
novità legislative, strutturali e formali intervenute nella nostra materia negli
ultimi venti anni adeguando ad esse una moderna teoria generale del diritto
tributario. E questa introduzione ha appunto la funzione, sulla base di tali
novità, di individuare le linee di continuità o di discontinuità/innovazione
nello studio della nostra materia.
Dagli anni Ottanta il nostro Paese ha iniziato ad aprirsi ai fenomeni di
internazionalizzazione, ma ha subito al tempo stesso le crisi finanziarie e
monetarie mondiali e le conseguenze in termini di inflazione. Alla elevata
crescita del PIL, anche a causa della elevata inflazione, ha corrisposto in quel
decennio quasi il raddoppio del debito pubblico. Le esigenze di gettito, anche
per far fronte agli interessi sul debito pubblico in continuo aumento,
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
condizionano pesantemente la politica fiscale. È un periodo di affannoso
ricorso alla leva fiscale che incide profondamente e negativamente sulle
caratteristiche strutturali e formali del sistema.
Sotto il profilo degli strumenti normativi adottati, è venuto meno in primo
luogo il contributo della dottrina alla formazione dei testi legislativi.
L’episodicità degli interventi normativi sia sul diritto tributario sostanziale
sia soprattutto su quello formale ha contribuito a indebolire il concetto di
sistema e reso difficile l’azione dell’amministrazione e quella dell’interprete.
Allo stesso tempo, l’apertura globale dei mercati ha moltiplicato da un lato le
opportunità di pianificazione (e di elusione) fiscale e, dall’altro, ha
raccomandato all’amministrazione finanziaria comportamenti di correttezza
verso i contribuenti comparabili con quelli degli altri Paesi industrializzati.
Da qui, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi di questo secolo, la
prevalente attenzione, rispetto all’evasione, al fenomeno dell’elusione cioè
all’utilizzo di comportamenti legittimi ma consistenti in aggiramenti della
norma tributaria sostanziale: con l’art. 37 bis del d.p.r. 29.9.1973, n. 600 il
legislatore ha introdotto una norma generale antielusiva che ha consentito al
fisco di riqualificare atti, fatti e negozi elusivi, soprattutto relativi a imprese e
società, quando privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare
obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni
di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. L’insufficienza di tale norma
casistica ha indotto l’elaborazione giurisprudenziale di una nozione di abuso
del diritto, fondata sull’art. 53 cost., avviata ad assumere importanza centrale
nel diritto e nella pratica tributaria, consentendo all’amministrazione
finanziaria di disconoscere gli effetti di operazioni societarie formalmente
legittime, ma fiscalmente dannose.
Per altro verso, le pressioni per un fisco civile a fronte di una legislazione
spesso inintellegibile per le incrostazioni e le complicazioni normative hanno
ottenuto un importante risultato con l’emanazione della l. 27.7.2000, n. 212,
contenente “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”.
Essa costituisce una sorta di legge sui principi generali del diritto tributario
relativi alla normazione, all’informazione e alla conoscenza degli atti da parte
del contribuente, alla tutela dell’integrità patrimoniale, all’affidamento e alla
buona fede, infine alla tutela del contribuente rispetto alle incertezze
legislative, alle verifiche fiscali e in genere al comportamento della pubblica
amministrazione.
Con riguardo alla loro gerarchia, le disposizioni dello Statuto prevedono una
cosiddetta clausola di autorafforzamento in quanto costituiscono principi
generali e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da
leggi speciali. È interessante notare che questa clausola di autorafforzamento
è già stata più volte ignorata dal legislatore ma è stata invece presa in seria
considerazione dalla Corte di Cassazione che ha considerato principi generali
immanenti dell’ordinamento alcuni tra quelli affermati dallo Statuto
soprattutto con riguardo alla tutela dell’affidamento e della buona fede (Cass.
civ., 10.12.2002, n. 17576).
A sua volta, il sistema tributario italiano basato prevalentemente su imposte
cedolari e reali nella riforma degli anni Cinquanta, con la riforma degli anni
170
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
Settanta è stato incentrato su due imposte principali sul reddito delle persone
fisiche e giuridiche a carattere personale e su un’imposta reale, l’ILOR, in
funzione di discriminazione qualitativa dei redditi non guadagnati; oltre
all’IVA, imposta europea sugli scambi. Venuta meno l’ILOR, che mai era
stata sostituita con un’imposta dichiaratamente sul patrimonio come nei
progetti di riforma originari, essa è stata sostituita con l’IRAP (Imposta
regionale sulle attività produttive) e a livello comunale con l’ICI (Imposta
comunale sugli immobili ora trasformata in IMU, imposta sui servizi legati
agli immobili), a marcato carattere patrimoniale.
Più recentemente e per esigenze di competitività internazionale il legislatore
ha attenuato la natura personale e accentuato quella reale dell’imposizione
IRPEG trasformandola da un’imposta prelevata in capo alla società, ma
imputata come credito ai soci sul loro dividendo, in IRES, cioè un’imposta
che viene prelevata per intero in capo alla società che produce il reddito (con
aliquota del 27,5%).
La doppia imposizione sugli utili distribuiti ai soci viene attenuata o elisa
esentando (participation exemption) il dividendo per il 95% in capo a ciascun
socio ente commerciale per il quale la partecipazione costituisce investimento
finanziario e per il 60% in capo al socio finale persona fisica. La stessa regola
vale ora per le plus e minusvalenze relative a queste partecipazioni.
Questo meccanismo ha sostituto il precedente che neutralizzava la doppia
imposizione accreditando ai soci l’imposta pagata dalla società e che era
criticato in ambito europeo poiché, non consentendo l’accredito ai soci non
residenti, sfavoriva questi ultimi.
Come si è visto sopra, nella storia recente del nostro ordinamento tributario,
debolezza politica dei governi di coalizione e vicende della finanza pubblica
non hanno consentito di incidere in modo strutturale e sistematico sui
presupposti e sulle aliquote dei tributi. Una intensa attività legislativa ha
invece riguardato i profili formali del tributo e soprattutto l’accertamento, la
riscossione e le sanzioni, sui quali reagivano da un lato esigenze di gettito che
raccomandavano la massima anticipazione del prelievo, dall’altro esigenze di
contrasto all’evasione con strumenti di carattere generale viste le scarse
capacità del fisco di reagire ai singoli comportamenti evasivi o elusivi dei
contribuenti.
L’anticipazione del prelievo è una costante, nel nostro ordinamento, dagli
anni Settanta, quando alle iscrizioni provvisorie a ruolo furono affiancate le
autoliquidazioni in dichiarazione e i versamenti in banca o in tesoreria
provinciale. Da allora, attraverso la generalizzazione delle ritenute,
l’introduzione degli acconti d’imposta via via sempre più vicini al 100% del
tributo dovuto e la liquidazione e riscossione dell’imposta in sede di controllo
formale della dichiarazione introdotta con gli artt. 36 bis e 36 ter del d.p.r.
29.9.1973. n. 600, si è realizzato un assetto dell’accertamento e della
riscossione per cui al momento della dichiarazione da parte del contribuente
si è di solito integralmente realizzata la riscossione spontanea di tutto quanto
dovuto in base alla dichiarazione stessa.
Per elevare il livello di compliance dei contribuenti si è operato, per un verso,
con misure premiali di carattere generale: i condoni previsti dalle leggi
171
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
30.12.1991, n. 413; 30.11.1994, n. 656; 27.12.2002, n. 289, che hanno
subordinato alla dichiarazione integrativa, autoliquidazione e versamento del
dichiarato, determinati benefici in termini di riduzione dell’imposta e
preclusioni dall’accertamento; per altro verso, con meccanismi automatici e
statistici di determinazione dell’imponibile (coefficienti, parametri, studi di
settore), con il rispetto dei quali il contribuente era messo al riparo da
ulteriori pretese del fisco.
In definitiva, da un lato il legislatore ha dato il massimo spazio
all’adempimento
spontaneo
del
contribuente
in
sede
di
dichiarazione/autoliquidazione/versamento, dall’altro ha anticipato anche i
tempi dell’accertamento introducendo, con l’art. 41 bis del d.p.r. 29.9.1973,
n. 600, l’accertamento parziale di cui è stato progressivamente ampliato
l’ambito di applicazione già in presenza di qualunque elemento anche
presuntivo e basato su indici, coefficienti e studi, in modo da consentire al
fisco di accertare materia imponibile e iscrivere a ruolo imposta non appena
in possesso di elementi fondati e, dunque, nel tempo più ravvicinato possibile
rispetto al loro verificarsi. Il principio della unicità e globalità
dell’accertamento è stato così fortemente intaccato.
L’altra linea evolutiva, che si è affermata fortemente nell’ultimo decennio,
riguarda il rafforzamento della posizione del privato nella fase di
accertamento.
In parte per la difficoltà di gestire una fiscalità di massa, in parte per le
esigenze di origine europea e internazionale di riconoscere maggiore “civiltà”
ai rapporti tra fisco e contribuente (sancite poi nello Statuto), si sono
moltiplicate negli ultimi anni le misure premiali, di definizione consensuale,
di partecipazione del contribuente alle fasi di attuazione del tributo.
Per quanto riguarda i condoni, essi hanno riguardato quasi senza soluzione di
continuità il periodo 1990-2003 alleggerendo i compiti di gestione del fisco
ma sguarnendone le capacità operative e di accertamento. Con l’art. 33 del
d.l. 30.9.2003, n. 269 si è introdotto il concordato preventivo e con la l.
30.12.2004, n. 311, art. 1, 387°-398° co., la pianificazione fiscale concordata,
che consentivano persino di proiettare verso il futuro i benefici di una
definizione standardizzata del reddito imponibile sulla base di indici o studi
di settore negoziati con il fisco.
La generalizzazione della definizione dell’imponibile con adesione
(concordato: d.lg. 19.6.1997, n. 218) ha sicuramente concorso alla
responsabilizzazione dell’amministrazione finanziaria e a eliminare i vecchi
formalismi nell’esercizio della funzione vincolata d’imposizione. È da
auspicare che si formino indirizzi costanti che guidino gli uffici nell’esercizio
dei loro poteri.
Infine, il moltiplicarsi degli obblighi di chiamata, di interlocuzione, di
comunicazione, di notifica al contribuente dei diversi atti tributari al fine di
partecipare al procedimento sia in funzione collaborativa sia in funzione
difensiva (contraddittorio), pone in evidenza un nuovo modo di esercitare la
funzione tributaria nel rispetto dei principi di buona fede e di affidamento che
sono ora sanciti nello Statuto dei diritti del contribuente.
172
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
Lo stesso è da dire per l’espandersi dei diversi tipi di interpello (art. 21 della
l. 30.12.1991, n. 413; d.lg. 8.10.1997, n. 358; art. 37 bis, 8° co., del d.p.r.
29.9.1973, n. 600; art. 11 della l. 27.7.2000, n. 212) e del ruling
internazionale (art. 8 nel d.l. 30.9.2003, n. 269) con cui sempre più
frequentemente i contribuenti sono messi in condizione di conoscere
preventivamente la posizione vincolante per l’amministrazione sulle
fattispecie da essi realizzate.
Tutti i sopra ricordati strumenti di partecipazione del privato alla attuazione
del tributo, se hanno attenuato la rigidità e i formalismi ingenerati dalla
riserva di legge, dal principio di stretta legalità e di indisponibilità
dell’obbligazione tributaria, hanno tuttavia incentivato la “privatizzazione”
del rapporto tra fisco e contribuente.
La stessa costituzione delle Agenzie fiscali, enti di diritto pubblico che
gestiscono i tributi sulla base di un contratto di servizio col Ministero
dell’Economia e delle Finanze, può favorire il rinascere di profili privatistici
nella gestione del tributo evocando in qualche modo la distinzione tra Fisco
ed Erario nel diritto romano.
Se, in conclusione, una rivalutazione dell’apporto del privato e dei principi di
affidamento e buona fede è sicuramente da salutare con favore, non si deve
ritenere, invece, che una eccessiva privatizzazione nella gestione del tributo
corrisponda alla funzione pubblica di applicazione di esso in ragione della
capacità contributiva del soggetto passivo, così come ancora previsto dall’art.
53 cost.
Negli ultimi tempi, nella spasmodica ricerca di gettito acuita dallo smobilizzo
delle basi imponibili pregresse attraverso numerosi condoni e scudi fiscali, il
legislatore ha inteso rafforzare la riscossione del tributo a detrimento della
tutela anche giurisdizionale del contribuente.
Così con le modifiche apportate con il d.l. 29.11.2008, n. 185 convertito in l.
28.1.2009, n. 2 all’istituto del concordato (accertamento con adesione) si è
consentita la definizione purché integrale dei verbali di contestazione e degli
inviti a comparire incentivandola con la riduzione da 1/3 a 1/6 delle sanzioni
e con l’eliminazione dell’obbligo di fideiussione in caso di pagamento
dilazionato: in sostanza una forte raccomandazione al contribuente a …
pagare senza discutere! Da ultimo, con l’art. 29 del d.l. 21.5.2010, n. 78
convertito in l. 30.7.2010, n. 122 (che reca la singolare rubrica
“Concentrazione della riscossione nell’accertamento”) si è provveduto ad
attribuire immediata efficacia di titolo esecutivo all’atto di accertamento
ancorché impugnato indipendentemente da ogni controllo giurisdizionale
sulla determinazione dell’an e del quantum del tributo: le esigenze della
riscossione hanno prevalso totalmente su quelle dell’accertamento.
Come vedremo a conclusione di questa introduzione, nella secolare dialettica
tra la tutela della giusta imposta e quella dell’interesse del fisco ha finito
decisamente per prevalere la seconda.
173
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
2 L’intramontato interesse della dottrina al confronto sul principio di
capacità contributiva
Nonostante le modifiche intervenute sul piano sostanziale e formale della
disciplina, la dottrina non ha potuto abbandonare il principio cardine attorno
a cui costruire la teoria del tributo: quello della capacità contributiva.
In verità la forte affermazione di questo principio come limite assoluto per il
legislatore a tutela della libertà patrimoniale dei privati aveva consentito alla
giurisprudenza della Corte costituzionale e alla dottrina tributaristica intorno
alla metà del secolo scorso di elaborare una scienza autonoma del diritto
tributario intorno alla nozione di tributo unificato dal principio di capacità
contributiva.
Quest’ultimo principio ha consentito di costruire lo studio del tributo intorno
al suo presupposto inteso come fatto espressivo della capacità contributiva
che il legislatore ha inteso colpire, nonché di far discendere dal presupposto
l’obbligazione ex lege combinando così il principio del consenso al tributo
attraverso l’atto avente forza di legge con l’obbligazione legale nascente dal
presupposto previsto dalla legge stessa.
Il presupposto economico costituisce fondamento e limite dell’imposizione
vale a dire causa e misura dell’obbligazione tributaria (DE MITA, Diritto
tributario (giur. cost.), in Enc. Dir., Annali III).
La centralità del principio di capacità contributiva nello studio del diritto
tributario ha attraversato indenne le fasi della iperinflazione e del dissesto
della finanza pubblica, in cui si sono invocati limiti quantitativi e tetti
massimi alla ricchezza tassabile nonché le fasi del risanamento e della
salvaguardia ad ogni costo della discrezionalità legislativa.
In queste ultime fasi le latenti discussioni tra la funzione garantistica e
l’apertura sociale del principio di capacità contributiva si sono fatte più
vivaci, sostenute da una giurisprudenza invero oscillante della Corte
costituzionale che pur mantenendo ferma la funzione garantistica del
principio, quanto meno in termini di uguaglianza e di non discriminazione, ne
ha accentuato la funzione sociale argomentando attraverso il principio di
coerenza e ragionevolezza del prelievo alla luce di tutti gli altri principi
costituzionali e non immanenti nell’ordinamento.
Se questo eccessivo relativismo della Corte, finalizzato alla salvaguardia del
sistema vigente e dunque alla tutela del gettito, ha talvolta indebolito il
principio di capacità contributiva inteso come principio ispiratore del tributo
e dunque della nostra materia, negli ultimi tempi la Corte ha ritrovato una
chiara linea ispiratrice almeno quanto alla nozione di tributo che ora risulta
essenziale ai fini della giurisdizione delle commissioni tributarie rispetto ai
numerosi casi di prestazioni coattive, commutative e paracommutative creati
dalle più recenti trasformazioni legislative.
Questa recente giurisprudenza ha posto termine alle tradizionali polemiche in
termini di classificazione e definizione del tributo statuendo che tale è
soltanto una prestazione imposta (dunque coattiva) collegata alla spesa
(oggettivamente) pubblica attraverso un presupposto economicamente
rilevante.
174
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
Tra le infinite concezioni sostanzialistiche o formalistiche, assolute o relative,
della capacità contributiva volte ora a privilegiare la funzione garantistica e
solidaristica riferita all’individuo, ora a rafforzare l’interesse fiscale generale
al concorso alle pubbliche spese; nonostante tentativi di depotenziamento in
funzione conservatrice dei tributi vigenti, il principio di capacità contributiva
ha mantenuto nella pur oscillante giurisprudenza della Corte costituzionale la
funzione di garanzia patrimoniale e di giustizia sostanziale nel concorso alle
spese pubbliche.
Ora come allora la nozione di tributo resta essenziale per individuare la
disciplina che costituisce oggetto del nostro studio e viene ricondotta alla
coattività della prestazione e al criterio di concorso basato sulla capacità
contributiva.
3 La crisi dello Stato nazione ed i riflessi sulla fiscalità nell’epoca della
globalizzazione: la fiscalità degli enti sotto e sovranazionali e le
interferenze tra i rispettivi ordinamenti
La crisi dello Stato nazione congiunta alla finanziarizzazione dell’economia e
alla globalizzazione dei mercati ha fortemente influenzato il fenomeno
tributario: il tributo ha perso via via il proprio forte collegamento con la
sovranità sul territorio cui è stato ricondotto attraverso criteri di
ricollegamento personali piuttosto che reali. Questa scelta, che il legislatore
italiano ha fatto con la riforma degli anni ’70, è stata indotta da quello che io
chiamo imperialismo fiscale di origine anglosassone che introdusse il criterio
della residenza e il world wide principle per la tassazione dei residenti
nell’imposizione diretta.
In questo modo i paesi forti (anglosassoni) attraevano alla loro giurisdizione
fiscale i redditi prodotti all’estero da loro residenti, neutralizzando la doppia
imposizione con il credito d’imposta e sterilizzando eventuali agevolazioni
agli investimenti concesse dai paesi in via di sviluppo.
Negli ultimi tempi si assiste allo stesso tentativo con riguardo all’ecommerce. I paesi che governano la rete (internet) tendono a ridefinire criteri
fiscali di ricollegamento diversi da quelli tradizionali (residenza, fonte,
stabile organizzazione) per attrarre flussi di reddito a tassazione nel paese del
gestore della rete (server, provider).
Questi rapidi mutamenti nell’economia mondiale hanno condotto ad urgenti
assestamenti sul piano strutturale del diritto tributario: ricerca di nuovi criteri
di ricollegamento del tributo al territorio, ritorno a forme di imposizione reale
piuttosto che personale, necessità di contrasto della doppia imposizione e
della concorrenza fiscale dannosa (cioè diretta a favorire arbitraggi fiscali tra
diverse giurisdizioni); bisogno di collaborazione fra Stati sia sul piano della
legislazione sostanziale (ripartizione della potestà d’imposizione attraverso
convenzioni internazionali) che sul piano dell’assistenza nell’accertamento e
nella riscossione.
175
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
Ne è derivato un rafforzamento delle relazioni tra Stati e dunque una grande
espansione del diritto tributario internazionale sia attraverso norme
convenzionali che attraverso norme interne.
Altresì la formazione di unioni di Stati dotate di potestà sovranazionali in
campo legislativo e amministrativo, di unioni doganali e di zone di libero
scambio.
È diventata cruciale l’individuazione dei rapporti gerarchici tra le fonti
legislative degli organismi sovranazionali e degli Stati sovrani.
Per quanto riguarda l’Italia, la faticosa elaborazione della Carta costituzionale
dell’Unione Europea ha complicato la definizione degli effetti sulla fiscalità
interna delle norme (regolamenti, direttive) comunitarie.
Tuttavia la giurisprudenza delle Corti Supreme italiane ha favorito
l’affermarsi della teoria monistica di derivazione comunitaria in base alla
quale la primazia delle disposizioni comunitarie si impone immediatamente e
in modo generalizzato agli Stati membri. Anzi nelle ultime pronunce
giurisprudenziali in nome dell’effettività dell’applicazione del diritto
comunitario vengono travolte persino le barriere formali del diritto interno,
come il giudicato, e vengono sanzionati qualunque esitazione o ritardo
nell’adeguarsi degli Stati alle statuizioni dell’Unione. Questi ultimi sono stati
da ultimo costretti con legge al recupero di aiuti di Stato dichiarati illegittimi.
Per altro verso l’allontanarsi della potestà tributaria dal territorio ha reso da
un lato necessaria l’emanazione di direttive di comportamento e di
collaborazione comuni, specie riguardo alla disciplina procedimentale e
formale dell’attuazione del tributo (accertamento, riscossione, tutela
contenziosa) e dall’altro l’emanazione di regole da parte di soggetti
istituzionali più vicini al contribuente in base al principio di sussidiarietà.
L’attribuzione di più ampia potestà fiscale ad enti sub-statuali in base al c.d.
federalismo fiscale determina l’aumento dei soggetti istituzionali coinvolti
nel prelievo con conseguente maggiore complessità delle loro relazioni
intersoggettive e delle eventuali interferenze.
Né è prova evidente il difficile riparto delle competenze realizzato con la
riforma del Titolo V della Costituzione negli artt. 117 e 119.
Il diritto internazionale tributario, il diritto tributario internazionale (interno),
il diritto comunitario tributario, il diritto tributario degli enti locali hanno così
acquisito estremo rilievo nella nostra materia.
4 La fiscalità di massa e l’internazionalizzazione dei mercati:
conseguenze sul piano sostanziale (elusione) e formale (strumenti
induttivi) del diritto tributario
Le più importanti conseguenze nella configurazione e nello studio del diritto
tributario sono derivate nell’ultimo ventennio dalla fiscalità di massa e
dall’internazionalizzazione dei mercati.
La prima ha determinato sul piano del diritto sostanziale la necessità di
contrastare normativamente comportamenti evasivi o elusivi ampliando la
base imponibile: numerosi interventi legislativi hanno così inciso sulla
176
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
determinazione della base imponibile, a parità di aliquota, inasprendo in
realtà il carico fiscale.
Esigenze di gettito hanno reso necessario il continuo utilizzo della leva
fiscale in funzione antideficit.
Sul piano del diritto formale il contrasto all’elusione ha generalizzato il
potere di riqualificazione delle fattispecie da parte dell’amministrazione, il
ricorso a strumenti induttivi e presuntivi, in generale la sostituzione ad un
valore certo di un valore verosimile o ragionevole.
Infine le esigenze del fisco di massa hanno reso drammatica l’anticipazione
del prelievo rispetto al verificarsi del presupposto o al suo controllo
sostanziale.
Gli acconti d’imposta, la liquidazione delle dichiarazioni, il controllo ex art.
36 ter, l’accertamento parziale, l’accertamento normale, l’accertamento
integrativo e le conseguenti iscrizioni a ruolo hanno reso evidente la tendenza
del legislatore ad accertare e a riscuotere il tributo sulla base di un criterio di
sufficiente prevedibilità.
Il fisco cioè accerta e riscuote non appena, sulla base di informazioni
attendibili ancorché non definitive, appaia verosimile che il presupposto
effettivamente posto in essere sia diverso e maggiore rispetto a quello fino
allora dichiarato e tassato.
Il legislatore si accontenta della sufficiente probabilità che l’attendibilità delle
informazioni raccolte renda poco verosimile che il tributo debba essere
restituito: in tal caso procede ad accertamento e riscossione del tributo
rinviando all’eventuale fase contenziosa la tutela sostanziale del contribuente.
L’attuazione del tributo in sede di accertamento e di riscossione si frammenta
in una serie di atti in cui l’immediatezza del prelievo fa premio sulla certezza
della sua debenza.
Anche l’internazionalizzazione dei mercati e la crescita delle relazioni
internazionali hanno influito fortemente sull’evoluzione del diritto tributario.
In primo luogo attraverso l’adozione di modelli omogenei o quantomeno
confrontabili con quelli degli altri paesi industrializzati. Basti pensare alla
recente adozione del metodo della participation exemption in luogo del
credito d’imposta per neutralizzare la doppia imposizione sui dividendi
societari: essa è stata resa necessaria, per dichiarazione dello stesso
legislatore dall’esigenza di armonizzare la disciplina italiana con quella degli
altri paesi.
Lo stesso dicasi per la disciplina del ruling internazionale, dei prezzi di
trasferimento, degli a.p.a. (advanced/pricing agreements). In buona sostanza
tutti gli istituti del diritto tributario internazionale si sono progressivamente
modellati in conformità agli standard internazionali e al diritto tributario
comunitario.
Per le stesse ragioni al tradizionale approccio giuridico e formalistico alla
legge tributaria si è progressivamente affiancato un approccio economicosostanziale di derivazione comunitaria. Per il tramite dell’esecutivo
comunitario e soprattutto delle sentenze della Corte Europea di Giustizia il
diritto tributario italiano si accosta sempre di più a quello dei paesi di
177
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
common law soprattutto sotto il profilo della sostanzialità economica delle
soluzioni adottate.
Anche le regole di compliance in materia tributaria e le regole di buona fede
e correttezza (oltre che sostanzialità) nei rapporti tra fisco e contribuente, ora
codificate dallo Statuto dei diritti del contribuente, derivano dalle più strette
relazioni internazionali e dall’esigenza di favorire anche da parte straniera
una intellegibile applicazione della legge e della prassi amministrativa
italiane.
La semplificazione legislativa e amministrativa che ne è derivata, l’adozione
di standard legislativi e comportamentali europei hanno consentito al diritto
tributario di fare decisi passi avanti molto più rapidamente di quanto fosse
avvenuto durante tutto il secolo precedente.
5
(Segue): in particolare gli strumenti partecipativi
Spinto dalle esigenze della fiscalità di massa e dal confronto con le
esperienze straniere, il fisco italiano ha finalmente abbandonato una
concezione esasperatamente autoritativa del tributo e accettato la convinzione
che non vi è ormai grande democrazia moderna che non affidi alla
compliance, cioè all’adempimento spontaneo, la realizzazione del concorso
adeguato alle pubbliche spese.
L’ordinamento tributario attuale fa ampio uso degli adempimenti spontanei,
dei versamenti diretti, delle ritenute, degli acconti d’imposta, dei versamenti
parziali, delle compensazioni.
Al fine di indurre i contribuenti a palesarsi e a regolarizzarsi con il fisco si è
fatto uso fin troppo negli ultimi anni di strumenti cosiddetti premiali:
condoni, scudi fiscali, concordati di massa: cioè strumenti diretti a scambiare
la tranquillità del contribuente (non soggetto ad accertamenti) con
l’adempimento in misura predefinita dell’obbligo fiscale.
Questi istituti premiali sono stati oggetto di appassionato dibattito sotto il
profilo della violazione o meno del principio di capacità contributiva.
L’esperienza straniera ha rafforzato, nell’ottica della compliance le ipotesi di
partecipazione del privato all’attuazione del tributo.
Si è passati dalla partecipazione in funzione di collaborazione
dell’amministrazione che manteneva i suoi poteri autoritativi, a ipotesi di
partecipazione in contraddittorio con l’amministrazione con finalità di
giustizia: cioè al fine di determinare il presupposto del tributo nel modo più
corretto possibile. È quanto disciplina ora lo Statuto dei diritti del
contribuente senza tuttavia stabilire sempre la sanzione della nullità nei casi
di omesso contraddittorio.
È certo però che i moduli di attuazione del prelievo conferiscono ora molto
maggiori poteri di partecipazione e di interlocuzione al privato.
178
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
6 Il ricorso a strumenti negoziali e la “privatizzazione” del diritto
tributario: progressiva attribuzione a privati di compiti pubblici
Accanto alla partecipazione al procedimento o ai procedimenti di attuazione
del tributo la legge tributaria consente ora al privato anche ampi poteri di
determinazione del presupposto e della base imponibile.
L’esigenza di abbreviare un contenzioso altrimenti assai lungo e defatigante,
se ha raccomandato – come visto sopra – di sacrificare la giustizia nel
prelievo alla tempestività in base alla prevedibile ragionevolezza dello stesso,
ha raccomandato di introdurre e favorire meccanismi di definizione della
pretesa tributaria tra fisco e contribuente .
Accanto alle episodiche misure premiali, sopra ricordate, si è definito e
generalizzato il ricorso all’adesione all’accertamento (concordato) sotto
forma di determinazione consensuale del presupposto cui consegue
l’inoppugnabilità e la riduzione a 1/3 delle sanzioni.
Peraltro ciò che interessa al legislatore è acquisire tempestivamente il gettito:
quindi sia le misure premiali (i condoni) che i concordati tributari sono
condizionati negli effetti all’integrale tempestivo pagamento del tributo
dovuto.
Alla stessa esigenza (facilitare il gettito escludendo in radice ogni
contestazione) rispondono le recenti misure di riscossione ricordate al n. 1.
per cui in caso di adesione al verbale di constatazione o all’invito a comparire
senza ricorrere al contenzioso le sanzioni sono ulteriormente ridotte a 1/6.
Infine la recentissima introduzione (con il nuovo art. 17 bis del d.lg. n.
546/1992) dell’istituto della mediazione tributaria, che tiene conto del grado
di sostenibilità della pretesa e dell’economicità dell’azione amministrativa
che ha determinato un ulteriore passo avanti nella definizione negoziale del
tributo.
L’attribuzione, come si vede, al privato di una serie di facoltà in ordine alla
definizione anticipata del tributo senza l’intervento della giurisdizione e il
ricorso allo strumento degli accordi di diritto pubblico per descrivere queste
definizioni ha indotto la dottrina recente a parlare di privatizzazione del
diritto tributario e di “moduli privatistici” nell’attuazione del tributo.
D’altro canto il legislatore ha esplicitamente parlato di disponibilità del
tributo e di transazione tra fisco e contribuenti solo in sede di riscossione e di
procedure concorsuali: fuori dunque della fase di determinazione del
presupposto e della base imponibile per cui resta fermo il principio di stretta
legalità basato sulla riserva di legge (art. 23 cost.).
Così come nel dibattito sul principio di capacità contributiva, anche in questo
si fronteggiano le tesi di coloro che restano attaccati al combinato disposto
degli artt. 23 e 53 cost. e dunque ritengono la determinazione del tributo
vincolata e non negoziabile tra le parti e quelle di coloro che ritengono ormai
superato il rigido principio di indisponibilità e dunque disponibile anche la
misura del tributo sia pure in un quadro generale di rispondenza ai principi
costituzionali del concorso alle spese pubbliche.
Per parte mia, ritengo preferibile aderire alla tesi più rigorosa nella
convinzione che, se l’obbligazione tributaria è un’obbligazione di riparto,
179
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
collegata attraverso il presupposto alla riserva di legge che esprime il
consenso al tributo, ogni diversa determinazione rispetto al presupposto,
ancorché accertato consensualmente, per uno o più contribuenti comporta
alterazione del concorso degli altri contribuenti e dunque illegittimità
costituzionale nell’applicazione del tributo.
Diverso fenomeno è quello, anch’esso accentuatosi negli ultimi tempi, di
progressivo affidamento a privati di funzioni dell’amministrazione. Già con
la riforma degli anni ’70 la generalizzazione delle ritenute e della figura del
sostituto aveva sgravato il fisco di numerosi compiti.
Questa tendenza è proseguita, nella convinzione che gli obblighi strumentali
per la migliore riscossione del tributo potessero essere opportunamente
accollati ai privati. Ciò si è accentuato con l’evoluzione tecnologica e
informatica: la stessa privatizzazione delle agenzie fiscali, l’attribuzione alle
banche e a società private della riscossione spontanea e coattiva, i centri di
assistenza fiscale, gli intermediari professionali che vistano, certificano e
spediscono le dichiarazioni sono tutti casi in cui il fisco sfrutta i tradizionali
strumenti del diritto tributario per accollare alla sfera privata obblighi
strumentali all’acquisizione del tributo
Si tratta però di obblighi accessori, che non incidono sull’esercizio della
funzione pubblica e di prelievo che rimane saldamente nelle mani dello Stato
o dell’ente pubblico.
7 Le conseguenze sul piano legislativo e sullo studio della nostra
materia: relativizzazione e frammentazione nell’attuazione del
tributo; l’ineliminabile riferimento al presupposto
Gli stretti condizionamenti reciproci tra dottrina e legislatore avevano
favorito nel secolo scorso il formarsi di una dottrina tributaristica incentrata
intorno al presupposto del tributo, all’atto di accertamento e all’obbligazione
tributaria.
Lo stesso legislatore aveva recepito prima nel T.U. del 1958 e poi in quello
del 1986 la nozione di presupposto del tributo e nell’art. 16 dell’originario
d.p.r. n. 636/1972 la distinzione tra tributi con e senza imposizione.
Il dibattito tra tributi con e senza imposizione e sulla natura dichiarativa o
costitutiva dell’accertamento aveva riempito tutti i libri di diritto tributario
determinando concezioni piuttosto rigide sulle regole di attuazione del
tributo.
Le sopra ricordate vicende che hanno caratterizzato l’economia e la finanza
pubblica degli ultimi decenni hanno fatto esplodere le contraddizioni rispetto
ad una concezione “strutturata” del fenomeno tributario intorno ad istituti
consolidati. E hanno messo in evidenza le incongruenze piuttosto che le
congruenze di un legislatore spesso affrettato e con l’occhio piuttosto rivolto
al consenso politico o al risanamento del contingente.
Se dunque con l’apporto rilevante della dottrina si era nel secolo scorso
cercato di costruire il diritto tributario intorno a principi comuni, negli ultimi
tempi si è assistito ad una progressiva disgregazione di questi ultimi, specie
180
RELAZIONE INTRODUTTIVA SUGLI ASPETTI TRIBUTARI
nell’attuazione del tributo, sulla base delle incoerenze poste in luce da una
affrettata legislazione.
Le esigenze di controllo e di contrasto dell’evasione e dell’elusione in
presenza di una fiscalità di massa e globalizzata hanno frammentato e
sminuzzato i principi comuni in una pluralità di fattispecie minute la cui
violazione determina la immediata reazione dell’ordinamento: sia in termini
formali (atti, attività) che in termini sostanziali (tributo e sanzioni).
L’unica regola che chiaramente si intravede in tale frammentazione è quella
della reazione immediata in funzione di anticipazione dell’accertamento e
della riscossione.
Le regole dell’atto amministrativo sottese alla globalità e completezza
dell’accertamento sono obliterate a favore di atti sempre meno autoritativi e
invece finalizzati al gettito. A questo punto la relazione tra gli atti di
attuazione del tributo (accertamento, riscossione, controllo ecc.) e il
presupposto dello stesso si allenta, tanto che si è potuto affermare il venir
meno del presupposto quale referente oggettivo dell’accertamento e
l’autonomia funzionale rispetto a questo delle attività istruttorie.
Ne è derivata una accentuata relativizzazione dello studio del diritto
tributario. I principi che presiedono all’attuazione del tributo non sembrano
più essere la riserva di legge, la capacità contributiva, l’indisponibilità
dell’obbligazione tributaria ma invece quelli del gettito, della certezza dei
rapporti tra fisco e contribuenti, dell’immediatezza della reazione del fisco ai
diversi comportamenti dei privati.
Un analogo processo di demitizzazione delle monolitiche costruzioni
precedenti si era verificato verso la metà del secolo scorso quando la c.d.
teoria costitutiva aveva teorizzato la molteplicità delle fattispecie nella
funzione vincolata d’imposizione e prospettato una ricostruzione di
quest’ultima in termini procedimentali, che poi si sono rivelati assai meno
rivoluzionari e risolutivi quando confrontati con la realtà legislativa e
giurisprudenziale molto più legata alla tradizionale sostanza patrimoniale del
fenomeno tributario.
Oggi avviene lo stesso ma in presenza di un ben maggiore supporto
legislativo. Ritengo peraltro, e cercherò di dimostrarlo nel paragrafo, che se
non ci si vuole limitare alla mera contemplazione di una legislazione
trascurata e imperfetta, si debba continuare il tentativo di una costruzione
sistematica della materia. E ciò non può che avvenire, come del resto
conferma fortunatamente la giurisprudenza della Corte costituzionale e della
Cassazione, intorno al presupposto, espressione sintetica della capacità
contributiva, che determina la definitiva acquisizione del tributo sia pure
attraverso le numerose e non sempre coordinate fattispecie dell’accertamento
e della riscossione, tutte però riunificate da una finalità unitaria: realizzare
complessivamente un concorso alle spese pubbliche commisurato alla
capacità contributiva.
181
Prof. ssa Piera Filippi
Professoressa Università degli Studi di Bologna
Stabile organizzazione e diritto al rimborso dell'IVA
(sentenza CGE c.318-319/11 del 25 ottobre 2012)
SOMMARIO: 1 La sentenza della Corte di Giustizia Europea, cause riunite C-318/11 e
C-319/11 del 25 ottobre 2012 - 2 La disciplina dei rimborsi nel D.P.R. 26 ottobre
1972 n. 633 - 3 Osservazioni conclusive
1 La sentenza della Corte di Giustizia Europea, cause riunite C-318/11
e C-319/11 del 25 ottobre 2012
1.1
La Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata
sull’interpretazione dell’art. 1 dell’Ottava direttiva 79/1072/CE del 6
Dicembre 1979, come modificata dalla Direttiva 2006/112/CE e dell’art 3
lettera a) della Direttiva 2008/9/CE concernenti le modalità di rimborso
dell’imposta sul valore aggiunto a soggetti passivi non residenti all’interno di
un Paese membro, ma residenti in altro Stato Europeo.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte Europea è sorto in relazione alle domande
presentate nell’ambito di due controversie distinte, la causa C-318/11 e la C319/11 createsi, rispettivamente, tra la Daimler AG (la “Daimler”), con sede
in Germania e la Widex A/S (la “Widex”), con sede in Danimarca, entrambe
contro l’amministrazione finanziaria svedese Skatteverket, relativamente al
diniego di quest’ultima di non concedere, nei confronti dei due soggetti non
residenti, il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto versata in Svezia in
occasione dell’acquisizione di beni o servizi sul territorio svedese. Avverso
tale provvedimento è stato proposto ricorso al tribunale di prima istanza
competente in materia fiscale che ha deciso di sospendere il procedimento e
di sottoporlo alla Corte di Giustizia che per pronunciarsi ha riunito le cause1.
Per meglio comprendere la sentenza si ritiene opportuno ricordare le
situazioni di fatto concernenti l’attività svolta in Svezia sia da Daimler sia da
Widex.
La Daimler, la cui sede dell’attività economica è situata in Germania,
sottopone le proprie autovetture a test in condizioni invernali in centri di
prova situati nel nord della Svezia, che sono messi a disposizione da una
società svedese controllata al 100% dalla Daimler. Nella sede svedese la
1
Si veda sul punto M. Pennesi, “La Corte di Giustizia Europea sul Caso
Daimler: la stabile organizzazione non rileva ai fini del rimborso IVA
diretto”, in Riv. Dir. Trib. 2013, IV, p. 66.
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
società tedesca non svolge alcuna attività imponibile ai fini IVA, limitandosi
esclusivamente allo svolgimento di test necessari allo sviluppo e
all’incremento dell’attività di vendita delle autovetture effettuata direttamente
dalla Germania. A fronte dell’attività di testing, la Daimler nel corso del
2008/9 ha effettuato acquisti di beni e servizi in Svezia corrispondendo la
relativa IVA. E ha proceduto a richiedere il rimborso dell’imposta
avvalendosi della normativa comunitaria che consente, per l’appunto, tale
richiesta diretta ed il conseguente rimborso da parte di Stati comunitari a
favore di imprese estere facenti parte dell’Unione2.
Analoga richiesta era stata fatta dalla Widex che sul territorio svedese si
limita ad effettuare esclusivamente attività di ricerca e sviluppo ed il
rimborso dell’IVA riguardava acquisti di beni e servizi a questa afferenti. La
Widex possiede, tuttavia, una controllata svedese la cui attività è quella di
vendere e distribuire i prodotti del gruppo in Svezia. Tuttavia il centro di
ricerche non dipenderebbe da tale controllata.
In entrambi i casi lo Skatteverket ha negato il rimborso dell’IVA nel
presupposto che i soggetti esteri avessero una stabile organizzazione in
Svezia rappresentata dalla presenza e dall’attività svolta sul territorio dalle
loro partecipate, considerate quali centri di attività stabile del soggetto estero,
a nulla rilevando se gli acquisti fossero o meno correlati ad operazioni attive
imponibili ai fini IVA in detto territorio.
La Corte di Giustizia è stata pertanto investita della questione interpretativa a
termini dell’art 1 dell’Ottava Direttiva e dell’art 3 (a) della Direttiva 2008/9;
in definitiva, è stata chiamata a pronunciarsi se, in linea di principio, ai fini
del rimborso diretto dell’IVA versata in uno Stato membro nei confronti di
soggetti esteri possa essere preclusiva la mera presenza di una stabile
organizzazione ovvero, per poter negare il rimborso, l’IVA versata debba
essere rilevante allo svolgimento di un’attività imponibile svolta sul territorio
dello Stato al quale la richiesta è pervenuta.
La Corte stabilisce che ai fini del rimborso, indipendentemente
dall’accertamento della presenza sul territorio di una stabile organizzazione
del soggetto non residente, si deve in primo luogo far riferimento
all’effettuazione o meno, da parte del soggetto estero richiedente, di
operazioni attive imponibili sul territorio dello Stato che dovrà procedere al
rimborso dell’imposta.
E ciò in quanto lo spirito della norma comunitaria, insito nell’art 1
dell’Ottava Direttiva e dell’art 3 (a) della Direttiva 2008/9, in tema di
rimborso diretto è appunto quello di consentire ad un soggetto non residente
di ottenere la restituzione dell’IVA pagata quando non sia possibile
compensare il credito, generatosi per l’acquisto di beni e servizi, con l’IVA
dovuta relativamente ad operazioni imponibili effettuate nel medesimo
territorio.
Pertanto, la Corte oltre a stabilire che le attività di testing o di ricerca, se non
includono anche altre attività imponibili in uno Stato, non possono essere
viste come attività concretamente effettuate nello Stato membro, afferma che
“ai fini dell’esclusione del diritto al rimborso deve essere accertata la
2
Così M. Pennesi, op. cit., p. 69
184
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
realizzazione effettiva di operazioni imponibili da parte del centro di attività
stabile o della “stabile organizzazione” nello Stato di presentazione della
domanda di rimborso, e non la semplice capacità del centro medesimo o
dell’organizzazione medesima a realizzare operazioni di tal genere”.
Anche se i giudici comunitari precisino che non è necessario esaminare se le
imprese interessate “dispongano effettivamente di un centro di attività stabile
o di una stabile organizzazione” viene definito l’ambito di applicazione del
rimborso IVA per i soggetti non residenti (con o senza stabile organizzazione
nello Stato del rimborso).
E quindi la sentenza offre l’occasione per formulare alcune considerazioni
sulla nozione e sulle conseguenze che possono derivare dalla esistenza di una
stabile organizzazione inattiva. La pronuncia infatti individua quali siano gli
strumenti utili per determinare, ai fini del rimborso IVA, la rilevanza
soggettiva di una stabile organizzazione che, pur avendo intenzione di porre
in essere operazioni attive non riesce - a causa di accadimenti esterni ovvero
a causa della natura delle operazioni concluse - a effettuare operazioni
imponibili e ad avere un debito di imposta nello Stato del rimborso. Pertanto
sostanzialmente la sentenza disciplina le ipotesi in cui la stabile
organizzazione non abbia nello Stato membro del rimborso alcun debito
d’imposta.
1.2
Prima dell’entrata in vigore del Regolamento n. 282/20113, la definizione di
stabile organizzazione contenuta all’art 5 del Modello Ocse e relativo
Commentario, seppur non esaustiva, suppliva alla mancanza di una
definizione nell’ambito dell’imposizione indiretta.
Le considerazioni svolte in un contesto impositivo diverso risultavano
comunque valide anche ai fini Iva, in quanto i contributi forniti dalla
giurisprudenza comunitaria4 nel corso degli anni e da alcune Direttive
europee5 recano elementi utili ad una ricostruzione maggiormente puntuale
della fattispecie ai fini dell’imposizione indiretta.
L’iter che ha condotto alla definizione di stabile organizzazione ai fini Iva
contenuta nel Regolamento n. 282/2011 si è sviluppato attraverso le
problematiche insorte, in particolare, relativamente alla territorialità delle
prestazioni di servizi e alla necessità di assicurare certezza circa
l’imponibilità di una transazione, nonché la spettanza del diritto al rimborso
dell’imposta.
La Direttiva n. 77/388/CE, poi rifusa nella successiva Direttiva n.
2006/112/CE, nell’individuare il “luogo di una prestazione di servizi” usava
le espressioni “sede della attività economica” come pure “centro di attività
stabile”.
3 Le principali disposizioni del Regolamento sono entrate in vigore il 1°
luglio 2011.
4
Si vedano la sentenza C-168/84, Gunter Berkholz; nonché la sentenza C190/95, ARO lease BV; sentenza C-390/96, Lease Plan Luxembourg SA;
sentenza C-260/95, DFDS A/S
5
Segnatamente la sesta e l’ottava Direttiva.
185
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
In particolare, l'art. 9 della Direttiva n. 77/388/CE disponeva che: “Si
considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha
fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di
attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa o, in
mancanza di tale sede o di tale centro di attività stabile, il luogo del suo
domicilio o della sua residenza abituale”.
Ai fini dell’individuazione del luogo di una prestazione di servizi e della
relativa imponibilità rilevano quindi i concetti di “sede della attività
economica” e “centro di attività stabile”; riferimenti diversi, sebbene affini, al
concetto di “stabile organizzazione” utilizzato nell’ambito delle Convenzioni
contro le doppie imposizioni. La Direttiva n. 2006/112/CE ha introdotto,
anche in ambito Iva, il termine “stabile organizzazione”.
In base all’art. 44 della c.d. Direttiva rifusione (Direttiva n. 2006/112/CE),
come trasfuso dall’art. 9 della sesta Direttiva, la residenza ed il domicilio
hanno una funzione del tutto residuale, operando solamente quando non sia
possibile individuare il luogo della sede dell’attività economica o del centro
di attività stabile del prestatore del servizio; tuttavia, la mancanza di
definizioni ha causato, nel corso degli anni, non pochi problemi interpretativi,
generando confusione e giungendo a conclusioni, in alcuni casi, anche
diametralmente opposte.
E data l’importanza che tali nozioni hanno per individuare la territorialità
della prestazione di servizi era necessario chiarire alcuni concetti, quali la
sede dell’attività economica e la stabile organizzazione.
Alla carenza normativa ha provveduto il Regolamento n. 282/2011 che
contiene l’insieme delle regole necessarie per la corretta identificazione del
luogo di effettuazione di una operazione imponibile nonché l’individuazione
della definizione di “stabile organizzazione”6 precisandone la definizione e
successivamente la natura dei rapporti con la casa madre e gli effetti della sua
individuazione sulla territorialità delle cessioni di beni e delle prestazioni di
servizi.
In base al dato normativo “la stabile organizzazione designa qualsiasi
organizzazione diversa dalla sede dell’attività economica di cui all’art. 10 del
Regolamento, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e da una
struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle…(i) di
ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di
detta organizzazione (per le operazioni ricevute - art. 11, par.1) … (ii) di
fornire i servizi di cui assicura la prestazione (per le operazioni rese - art. 11
par. 2)”.
Dal Regolamento risulta quindi che gli elementi che rilevano per
l’individuazione della stabile organizzazione ai fini IVA sono: a) la diversità
delle funzioni svolte dalla stabile organizzazione rispetto a quelle che
identificano la sede dell’attività economica; b)la sufficiente permanenza; c)
l’idoneità della struttura in termini di mezzi umani e tecnici alla produzione
dei beni e dei servizi offerti sul mercato.
6
La versione del testo inglese fa rifermento alla “fixed establishment”
concetto nella versione italiana condensato nella nozione di “stabile
organizzazione”.
186
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
Tuttavia, come precisato dalla Corte di Giustizia in alcune sentenze7,
individuata la stabile organizzazione il criterio di tassazione deve tener conto
del fatto che “il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria
attività economica appare come punto di riferimento preferenziale, nel senso
che la presa in considerazione di un altro centro di attività stabile a partire dal
quale viene resa la prestazione di servizi entra in linea di conto solo nel caso
in cui il riferimento alla sede non conduca ad una soluzione razionale dal
punto di vista fiscale o crei un conflitto con un altro Stato membro”.
In caso di prestazioni di servizi promiscuamente utilizzati dalla stabile
organizzazione e dalla casa-madre o da essa e da più stabili organizzazioni
viene privilegiato “il luogo in cui il destinatario ha stabilito la sede della
propria attività economica (art. 22, par. 1 del Reg. n. 282)”.
La stabile organizzazione (diversa, come già osservato, dalla sede dell’attività
economica di cui all’art. 10 del Regolamento) non può prescindere
dall’esistenza di una sede principale (o casa madre) come ben evidenziato
nell’utilizzo del termine branch ovvero ramo, utilizzato come sinonimo di
stabile organizzazione ed il termine subsidiary che definisce una legal entity
distinta e completamente indipendente. Ai sensi dell’art. 10, par. 1 e 2 del
Regolamento, la sede dell’attività economica è il luogo in cui sono svolte le
funzioni dell’amministrazione centrale dell’impresa, ove vengono prese le
decisioni essenziali sulla gestione dell’impresa, la sua sede legale ed il luogo
in cui si riunisce la direzione.
Pertanto vi è stabile organizzazione quando si è in presenza di una struttura
idonea, permanente e dotata di mezzi umani e tecnici non situata nel
medesimo luogo in cui vengono prese le decisioni essenziali sulla gestione e
non sia il luogo in cui si riunisce la direzione dell’impresa stessa.
Quindi si deve accertare in primo luogo se la società che opera in detto Stato
(la stabile organizzazione) non fruisca di uno status indipendente rispetto a
quest’ultima (la sede principale) 8.
In tal caso infatti non si sarebbe in presenza di stabile organizzazione
(branch) ma di una società controllata o collegata alla casa madre
(subsidiary).
Per identificare la stabile organizzazione a prescindere da requisiti formali
(quali la personalità giuridica) prevale la rilevanza degli aspetti sostanziali di
“subordinazione” della stessa alla casa madre.
Ed ai sensi dell’art. 11 del Regolamento di attuazione la stabile
organizzazione è tale solamente qualora sia “caratterizzata da un grado
sufficiente di permanenza”.
Si ricorda al proposito la ben nota sentenza della Corte di Giustizia C-168/84,
Gunter Berkholz alla quale era stato richiesto di individuare quali
caratteristiche debba possedere un centro di attività stabile, situato a bordo di
navi, per la manutenzione di slot machines .
7
Corte di Giustizia sentenza n. 4/7/1985, Causa C-168/84, Gunter Berkholz;
sentenza 7/05/1998 Causa C- 390/96, Lease plan Luxembourg SA sulle quali
ci si soffermerà in seguito
8
Corte di Giustizia sentenza n. 20/2/1997, causa C-260/95, DFDS
187
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
E la Corte ha ritenuto che “ non risulta che l’installazione, a bordo di navi
marittime, di macchine automatiche per gioco d’azzardo, che danno luogo a
saltuaria manutenzione, possa costituire un siffatto centro di attività
specialmente nel caso in cui la sede permanente del gestore di dette macchine
automatiche fornisce un punto di riferimento utile ai fini della tassazione”.
La “permanenza” per essere tale è data dal tempo di stabilimento rapportata
con la natura dell’attività effettuata .
Così, come evidenziato anche da altre pronunce della Corte di Giustizia,
l’ulteriore requisito identificativo della stabile organizzazione, è che la stessa,
per ritenersi tale, debba essere dotata di una “struttura” idonea in termini di
mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e utilizzare i servizi che le
sono forniti per le esigenze della organizzazione nonché di fornire i servizi di
cui assicura la prestazione. E, proprio nella sentenza Gunter Berkholz sopra
citata, il giudice del rinvio chiedeva di sapere se la “giustapposizione delle
nozioni di “sede” e di “centro di attività stabile” indichi una differenza di
significato nel senso che i requisiti relativi al centro di attività stabile
sarebbero diversi e meno rigorosi per quanto riguarda l’organizzazione sotto
il profilo del personale e dell’elemento materiale”.
E secondo la Corte di Giustizia “l’installazione” destinata ad un’attività
commerciale, come la gestione di macchine automatiche per giochi
d’azzardo, a bordo di una nave che viaggi in alto mare al di fuori del
territorio nazionale, può essere considerata centro di attività stabile ai sensi
dell’art. 9, n. 1 della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1967 solamente se
tale centro di attività implichi la presenza permanente di mezzi umani e
tecnici necessaria per le prestazioni di servizi di cui trattasi e se queste
prestazioni non possano essere utilmente riferite alla sede dell’attività
economica del prestatore9.
Pertanto, come si evince dal combinato disposto di alcune disposizioni
contenute nel Regolamento (art. 11,12, 22 e 53), la stabile organizzazione è
tale se è in grado di ricevere e utilizzare servizi che le sono forniti per le
proprie necessità nonché di fornire servizi. La rilevanza degli acquisti si
manifesta nella utilizzazione per la produzione in via autonoma rispetto alla
casa madre cosicché una stabile organizzazione che utilizzi operazioni
passive può anche non essere una stabile organizzazione ai fini delle
operazioni attive.
9
Il centro di attività stabile deve avere una consistenza minima e i requisiti
dell’organizzazione, pur dovendo essere presenti in misura minima, devono
essere tuttavia tali da consentire l’autonoma capacità del centro di attività
stabile di fornire, ovvero di ricevere e utilizzare la prestazione.Il grado di
organizzazione, pertanto, stabilisce sia il limite minimo sia il limite massimo
all’interno del quale è identificata la presenza di una stabile organizzazione ai
fini IVA. Il limite minimo è identificato dalla capacità di fornire ricevere in
maniera autonoma il servizio considerato, il limite massimo consiste nel non
possedere i requisiti previsti dall’art. 10 del Regolamento n. 282/2011 perché
in tal caso si sarebbe in presenza di una sede autonoma, ossia di una
subsidiary
188
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
La stabile organizzazione deve quindi partecipare alle operazioni attive e
quindi gli acquisti devono essere utilizzati per operazioni inerenti alla
realizzazione delle cessioni e delle prestazioni.
Si può quindi dubitare della sussistenza di una stabile organizzazione se essa
sia semplicemente un “centro” di acquisti che la casa madre utilizza per le
operazioni che essa produce in via autonoma senza cioè l’intervento effettivo
della stabile organizzazione.
Secondo la Corte di Giustizia10 è pertanto essenziale per la definizione di
stabile organizzazione fornita dal Regolamento UE n. 282/2011, l’esistenza
di un luogo a disposizione del non residente, con un sufficiente grado di
permanenza ed una consistenza minima di mezzi umani (personale
dipendente) e tecnici (materiali) “idonei” alla effettuazione di operazioni
rientranti nel campo di applicazione dell’IVA.
L’utilizzo, da parte dei giudici per definire i tratti essenziali della stabile
organizzazione, di aggettivi quali “sufficiente” e “minima” sta ad indicare un
limite al di sotto del quale è “irragionevole” sostenere il coinvolgimento,
come controparte attiva nelle transazioni poste in essere, della stabile
organizzazione di un soggetto estero.
1.3
La presenza di una stabile organizzazione nel territorio diviene rilevante
anche ai fini delle attività e dei rapporti intrattenuti dalla casa madre
direttamente con soggetti passivi in Italia.
In particolare - come più ampiamente precisato in seguito - dopo le modifiche
apportate all’art. 17 e all’art. 38-ter del decreto n. 633/1972 con il D.L. n.
135/2009, le operazioni effettuate dalla casa madre dovrebbero confluire
nella posizione IVA della stabile organizzazione.
E con le ulteriori modifiche contenute nel D. Lgs. n. 18/2010 un soggetto
estero con stabile organizzazione in Italia non può più presentare istanza di
rimborso per l’IVA relativa agli acquisti effettuati direttamente dalla casa
madre. L’imposta risultante dagli acquisti effettuati anche direttamente nel
10
Sentenza C_190/95 Aro Lease BV17. L’Amministrazione tributaria belga
aveva ritenuto nei confronti della società di leasing “ARO Lease BV”, con
sede nei Paesi Bassi, che configurasse un centro di attività stabile in Belgio,
la semplice presenza in Belgio di un parco auto di proprietà messe a
disposizione di terzi, sulla base di contratti di “operational lease”,
nell'assunto che la società olandese potesse ivi effettuare le proprie
prestazioni di servizi a partire da un centro di attività stabile situato in altro
Stato membro, nonostante non disponesse in tale Stato né di uffici né di
depositi per le autovetture.
Per tali ragioni, la Corte, riferendosi alla fattispecie in questione, concludeva
affermando che, allorché una società di leasing non disponga in uno Stato
membro né di personale proprio né di una struttura che presenti un sufficiente
grado di stabilità, nell’ambito della quale possano essere redatti contratti o
prese decisioni amministrative, che sia quindi idonea a rendere possibili in
modo autonomo le prestazioni di servizi in questione, essa non può essere
considerata come disponente di un centro di attività stabile in tale Stato.
189
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
territorio dello Stato può essere detratta solamente dalla stabile
organizzazione italiana del soggetto estero, indipendentemente dal fatto che
la stessa abbia o meno preso parte alle operazioni dalle quali derivi il credito
ed il conseguente rimborso.
(Sulla specifica normativa concernente i rimborsi si rinvia al paragrafo
successivo).
2 La disciplina dei rimborsi nel D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633
2.1
La disciplina dei rimborsi contenuta nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 è
stata modificata più volte a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia.
A tal fine è necessario distinguere la normativa vigente anteriormente e
successivamente al 26 settembre 2009.
Prima di tale data, l’art. 38-ter del decreto n. 633 (rubricato Esecuzione dei
rimborsi a soggetti non residenti) non escludeva che talune operazioni
potessero essere imputate direttamente alla casa-madre estera anche se nel
territorio dello Stato fosse presente una stabile organizzazione. Era quindi
consentito alla casa-madre estera di poter ottenere il rimborso dell’IVA
addebitata (per beni e servizi acquistati direttamente nel territorio dello Stato)
ai sensi dell’art. 38-ter anche qualora vi fosse una stabile organizzazione nel
territorio dello Stato.
A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 17, secondo comma, dello stesso
decreto il soggetto non residente con stabile organizzazione in Italia poteva
identificarsi direttamente ovvero nominare un rappresentante fiscale per tutte
quelle operazioni effettuate da e nei confronti di soggetti terzi qualora le
stesse non fossero rese alla o dalla propria stabile organizzazione o
quest’ultima non intervenisse comunque nelle operazioni medesime.
Cosicché, pur in presenza di una stabile organizzazione nel territorio italiano,
la casa-madre estera poteva effettuare operazioni nel territorio italiano
utilizzando un proprio numero di identificazione IVA ovvero un proprio
rappresentante fiscale precedentemente nominato.
Peraltro, il fatto che anche in presenza di una stabile organizzazione nel
territorio dello Stato, la casa madre estera potesse chiedere il rimborso
dell’imposta pagata per l’acquisto e l’importazione di beni e servizi, indusse
la Commissione Europea a notificare all’Italia (luglio 2006)11 un avviso
relativo ad una procedura di infrazione. E ciò in quanto la Commissione
europea riconosceva l’identità soggettiva della casa-madre e della stabile
organizzazione (poiché, tra l’altro, quest’ultima in sede di inizio dell’attività
doveva dichiarare i dati identificativi della casa-madre).
La procedura di infrazione si è conclusa con la condanna dell’Italia.
11
Avviso IP/06/1058 del 25 luglio 2006. Si vedano R. Ciccioli- M. Spera, Il
rimborso IVA a soggetto non residente e stabile organizzazione nel territorio
dello Stato, in Il Fisco, 2013 p. 2856
190
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
La Corte di Giustizia nella sentenza causa C-244/08 del 16 luglio 2009 ha
stabilito che ”in materia di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ad un
soggetto passivo residente in un altro Stato membro o in un Paese terzo, ma
avente un centro di attività stabile nello Stato membro interessato, la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza
dell’art. 1 della ottava direttiva del Consiglio 6 dicembre 1979, 79/1072/CEE
e dell’art. 1 della tredicesima direttiva del Consiglio 17 novembre 1986,
86/560/CEE in quanto obbliga un soggetto passivo stabilito in un altro Stato
membro o in un Paese terzo, ma che abbia un centro di attività stabile in Italia
e che, nel periodo rilevante, abbia effettuato cessioni di beni o prestazioni di
servizi in Italia, a chiedere il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto a
credito secondo le procedure previste dalle citate direttive piuttosto che
mediante detrazione, quando l’acquisto per cui è chiesto il rimborso di detta
imposta viene effettuato non tramite il centro di attività stabile in Italia, ma
direttamente dallo stabilimento principale di tale soggetto passivo”.
Si è osservato12 che “nella sentenza traspare il principio secondo cui l’utilizzo
della stabile organizzazione, quale veicolo per l’attivazione del rimborso che,
tecnicamente, si manifesta attraverso la detrazione, cioè l’imputazione del
credito a scomputo del debito d’imposta risultante dalla contabilità della
stabile organizzazione, non rappresenta un obbligo ma, al più,
un’agevolazione semplificativa a favore del soggetto non residente”.
Con la sentenza sopra citata, la Corte di Giustizia si è limitata ad osservare
che al soggetto non residente doveva essere consentito il recupero di quanto
versato come IVA sugli acquisti oltre che con il rimborso diretto anche
mediante l’esercizio della detrazione attraverso la stabile organizzazione,
anche se non coinvolta nelle operazioni effettuate. Facoltà questa, impedita
dall’art. 38-ter del decreto n. 633.
Tale legittima sollecitazione comunitaria, ha portato il legislatore nazionale a
integrare l’articolo 38-ter prevedendo che il rimborso IVA non poteva più
essere richiesto direttamente dai soggetti non residenti in presenza di una
stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
L’art- 38-ter è stato così modificato con l’art. 11, comma 1, lett. b), numero 1
del D.L. 25 settembre 2009 n. 135 inserendo il periodo “senza stabile
organizzazione in Italia” prevedendosi in tal modo che i soggetti domiciliati
o residenti nell’Unione Europea e senza stabile organizzazione in Italia
possono ottenere il rimborso dell’imposta, se detraibile a norma dell’art. 19
del decreto n. 633.
In seguito tale norma è stata sostituita in toto con l’art. 1, comma 1 lett. u) del
D. Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18 e attualmente reca nella rubrica: Esecuzione
dei rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in Stati non appartenenti alla
Comunità.
L’esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato
membro della Comunità è ora contenuta nell’art. 38-bis2, disposizione
aggiunta dall’art. 1 comma 1, lett. t) del D. Lgs. n. 18/2010 citato, secondo il
quale per i soggetti stabiliti in altri Stati membri della Comunità, assoggettati
12
P. Centore, Le nuove regole del rimborso IVA ai soggetti non residenti, in
Corr. Trib. 2010, p. 10ss.
191
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza e che chiedono
il rimborso dell’imposta assolta sulle importazioni di beni e sugli acquisti di
beni e servizi (sempre che sia detraibile ai sensi degli artt. 19 ss.) il rimborso
non può essere chiesto, tra l’altro, se nel periodo di riferimento tali soggetti
disponevano di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
Pertanto, il soggetto non residente è obbligato ad imputare i propri acquisti
“diretti” nelle liquidazioni periodiche della stabile organizzazione italiana se
intende detrarre l’IVA assolta in Italia, ed in tali liquidazioni periodiche la
stabile organizzazione deve tener conto sia dei profili di inerenza sia dei
limiti alla detrazione per la sede centrale estera.
L’attuale formulazione normativa quindi produce risultati opposti a quelli
precedenti. Se prima il soggetto residente all’estero poteva chiedere il
rimborso dell’IVA, oggi lo stesso soggetto è obbligato a compensare il
credito nella liquidazione della stabile organizzazione, cosa difficile e
impossibile qualora la stabile organizzazione non abbia un debito d’imposta.
Dalle disposizioni comunitarie ed in particolare dall’art. 192-bis della
Direttiva n. 2006/112/CE, per distinguere il ruolo della stabile organizzazione
nei confronti del soggetto estero occorre prendere in considerazione la
partecipazione o meno della stabile organizzazione nelle operazioni poste in
essere dalla casa madre. Se a ciò si aggiungono i chiarimenti della Corte di
Giustizia con il caso Daimler, appare evidente che il nuovo articolo 38-bis2
sembrerebbe ancora una volta in contrasto con lo spirito comunitario che
invece lascia al soggetto la facoltà di decidere le modalità di richiesta di
rimborso dell’IVA versata sugli acquisti di beni e servizi in altro Stato
dell’Unione anche in presenza di una stabile organizzazione.
L’unico elemento che può impedire il rimborso diretto da parte del soggetto
non residente è la riferibilità degli acquisti, che hanno dato luogo al credito
IVA, ad operazioni attive imponibili effettuate nel territorio dello Stato
italiano, a nulla rilevando la mera presenza di una stabile organizzazione in
Italia anche se atta ad effettuare operazioni della medesima natura.
2.2
Come anticipato, la disciplina concernente le modalità dei rimborsi
contenute nel decreto n. 633 è stata profondamente modificata con il D. Lgs.
n. 18/2010, emesso in recepimento delle Direttive nn. 2008/8/CE e
2008/9/CE del 12 febbraio 2008. In particolare sono state apportate
modifiche agli articoli che regolano la territorialità delle prestazioni di servizi
(che non saranno qui esaminate) nonché il diritto al rimborso dell’IVA.
Le innovazioni introdotte dalla Direttiva 2008/9/CE riguardano il regime dei
rimborsi a soggetti non residenti che, a partire dal 1 gennaio 2010, viene
sostanzialmente mutato ed appare di non agevole interpretazione e
conseguente applicazione.
Il principio generale che viene posto a base delle disposizioni recepite nei
nuovi artt. 38-bis1, 38-bis2 e 38-ter del decreto n. 633 è il controllo della
legittimità della domanda di rimborso da parte dello Stato membro nel quale
è fiscalmente residente il richiedente. Di conseguenza, l’operatore italiano
che vanti un credito IVA per acquisti effettuati all’estero deve presentare la
domanda all’Autorità fiscale italiana e, viceversa, l’operatore non residente
192
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
deve rivolgersi alla propria Amministrazione fiscale per gli acquisti effettuati
nel territorio nazionale.
Dopo le modifiche apportate dal D. Lgs. n. 18/2010, all’esistenza di una
stabile organizzazione del soggetto non residente possono riconnettersi
limitati effetti in quanto, con riferimento alle operazioni passive, il soggetto
non residente ha attualmente l’obbligo di imputare i propri acquisti “diretti”
nelle liquidazioni periodiche dello Stato della stabile organizzazione.
L’obbligo di imputare gli acquisti direttamente effettuati dalla casa-madre
alle liquidazioni periodiche dello Stato della stabile organizzazione fa sì che
il soggetto non residente ma stabilito in Italia, nell’imputare sia nelle
liquidazioni sia nella dichiarazione annuale anche gli acquisti riferibili alla
casa-madre debba considerare le eventuali limitazioni soggettive della
detraibilità dell’IVA sussistenti nel Paese di stabilimento primario. E ciò ai
fini della determinazione delle eccedenze detraibili ovvero rimborsabili.
Con riferimento alle operazioni attive in presenza di una stabile
organizzazione del soggetto non residente questi “sembrerebbe” non poter
assumere un’altra posizione IVA. Secondo l’attuale formulazione dell’art. 17,
terzo comma, del decreto n. 633 il soggetto non residente non può
identificarsi direttamente o nominare un rappresentante fiscale in Italia se
dotato di una stabile organizzazione nel territorio italiano. In presenza di un
soggetto non residente con stabile organizzazione italiana, le operazioni che
la casa-madre pone in essere in Italia direttamente sono qualificabili come
transnazionali e non sono interne per la sola esistenza della stabile
organizzazione.
2.3
Più analiticamente - data la complessità delle norme - con specifico
riferimento alle nuove disposizioni, è stato inserito nel decreto n. 633 l’art.
38-bis1 che disciplina esclusivamente i rimborsi a soggetti passivi stabiliti in
Italia dell’IVA assolta in altri Stati membri nonché l’art. 38- bis2 riguardante
l’esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in altri Stati UE
(art. 1, comma 1, lett. t) D. Lgs. n. 18/2010).
Come già osservato, l’art. 38-ter, si occupa dei rimborsi a soggetti stabiliti al
di fuori della Comunità Europea e disciplina tale tipologia di rimborsi, a
seguito delle modifiche introdotte, dall’art. 1, comma 1, lett. u) D. Lgs. n.
18/2010.
Attualmente, pertanto, le disposizioni concernenti i rimborsi contenute nel
decreto n. 633 sono:
l’art. 38-bis Esecuzione dei rimborsi; l’art. 38-bis1 Rimborso dell’imposta
assolta in altri Stati membri della Comunità; l’art. 38-bis2 Esecuzione dei
rimborsi a soggetti non residenti stabiliti in altro Stato membro della
Comunità; l’art. 38-ter Esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti
stabiliti in Stati non appartenenti alla Comunità.
Si sono inoltre previste le modalità ed i termini procedurali per il rimborso e
per la realizzazione dei relativi scambi informativi in applicazione dell’art.
38-bis1, comma 4, del decreto n. 633.
Dal 2010 infatti i soggetti passivi italiani che intendono chiedere il rimborso
dell’imposta pagata in altro Paese membro devono utilizzare un’apposita
193
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
procedura elettronica, presentando la relativa istanza non più direttamente
all’Autorità fiscale del Paese membro, ma all’Agenzia delle Entrate che
provvederà all’inoltro (art. 38-bis1, comma 1)13.
Nel dare attuazione alla Direttiva 2008/9/CEE l’articolo 38-bis 2 prevede la
disciplina in materia di rimborsi a soggetti passivi stabiliti in un altro Paese
dell’Unione Europea che hanno effettuato in Italia acquisti di beni e servizi
ovvero importazioni per i quali l’imposta è detraibile a norma degli artt. 19 e
ss. del decreto n. 633.
La richiesta di rimborso è presentata nello Stato di residenza di chi chiede il
rimborso, tuttavia i requisiti per l’ottenimento del rimborso sono quelli
previsti nello Stato in cui è stata versata l’IVA.
E ciò è coerente con l’art. 6 della Direttiva 2008/9/CE secondo il quale “il
soggetto passivo non stabilito nello Stato membro di rimborso deve effettuare
operazioni che danno diritto alla detrazione nello Stato membro in cui è
stabilito”.
L’art. 38-bis1,comma 2, a tal fine stabilisce che l’Agenzia delle Entrate deve
effettuare alcune verifiche per l’eventuale inoltro dell’istanza di rimborso che
viene rifiutato se, nel periodo di riferimento del rimborso, il richiedente non
ha svolto in Italia un’attività d’impresa o di arte o professione o ha effettuato
esclusivamente operazioni esenti o non soggette che non danno diritto alla
detrazione ai sensi degli artt. 19 ss. del decreto n.633 o si è avvalso del
regime dei contribuenti minimi o del regime speciale per i produttori agricoli.
La norma comunitaria citata (art. 6, par. 1 della Direttiva) nel subordinare il
rimborso alla detraibilità dell’imposta nel Paese del richiedente, sembrerebbe
tuttavia essere contraddetta dal comma 1 dell’art. 38-bis2 che subordina il
rimborso a favore dei soggetti passivi stabiliti in altri Paese UE alla
condizione che l’imposta assolta in Italia sull’acquisto o sull’importazione di
beni o servizi sia ivi detraibile ai sensi degli art. 19, 19-bis1 e 19-bis2 del
decreto 633 nonché alla non esistenza nel periodo di riferimento di una
stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
Prescindendo dal riferimento all’art. 19-bis2 che riguarda le ipotesi di
rettifica della detrazione ed al quale non si comprende il rinvio, sembrerebbe
esservi un contrasto anche con quanto indicato nel comma 3 dell’art. 38-bis2
nel quale viene stabilito esplicitamente che i soggetti di cui al comma 1 non
hanno diritto al rimborso qualora nello Stato membro in cui sono stabiliti
effettuino operazioni che non danno diritto alla detrazione dell’imposta.
Parrebbe quindi che i non residenti, prima di ottenere il rimborso, debbano
verificare se tale rimborso spetti applicando sia le regole interne al proprio
Stato di residenza sia le regole italiane (Stato del rimborso).
Quindi la condizione di detraibilità che deve sussistere in Italia (Paese del
rimborso) va ad aggiungersi all’ulteriore condizione, anch’essa di detraibilità,
che deve esistere rispetto al Paese di stabilimento del richiedente14.
13
I soggetti passivi stabiliti in altri Stati membri che chiedono il rimborso
dell’imposta assolta in Italia devono presentare un apposita istanza che verrà
inoltrata al Centro Operativo di Pescara tramite lo Stato UE di stabilimento
del richiedente. Sul punto si veda Codice IVA nazionale e comunitaria, a cura
di P. Centore, II edizione, 2012 p. 1208.
194
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
Non vi è dubbio che vi sia una certa contraddittorietà tra le varie disposizioni
in quanto per i rimborsi di cui all’art. 38-bis1 (rubricato “Rimborso
dell’imposta assolta in altri Stati membri della Comunità), erogati ai soggetti
passivi italiani, l’art. 6 par. 1 della citata Direttiva 2008/9/CE farebbe ritenere
che la condizione di detraibilità debba sussistere in Italia e non nel Paese
membro di rimborso.
Peraltro tale conclusione è contraddetta, come già rilevato, non solo dal
comma 1 dell’art. 38-bis2, ma anche sul piano comunitario dall’art. 5, par. 2
della Direttiva sopra citata secondo cui - fatto salvo l’art. 6 - il diritto “al
rimborso dell’IVA a monte” è determinato secondo la Direttiva
2006/112/CEE quale applicata dallo Stato membro di rimborso, nonché
dall’art. 9 par. 2 della Direttiva 2008/9/CE secondo cui lo Stato membro del
rimborso può esigere che il richiedente fornisca ulteriori informazioni
elettroniche sulla natura dei beni e servizi acquistati nella misura in cui tali
informazioni siano necessarie in relazione ad eventuali limitazioni al diritto
di detrazione vigenti nel Paese membro di rimborso.
Il combinato disposto di tali norme porta a ritenere che vi sia una doppia
verifica della detraibilità nel Paese del richiedente e in quello di rimborso15.
3 Osservazioni conclusive
3.1
Nel mutato e complesso contesto normativo, come brevemente delineato,
l’istituto della stabile organizzazione acquista particolare rilevanza sia con
riferimento alle operazioni attive sia per quelle passive ove - come accennato
- può costituire una causa ostativa per il diritto al rimborso dell’IVA assolta
in Italia.
La funzione della stabile organizzazione è sempre stata quella di essere il
collegamento territoriale delle operazioni che rientrano nel campo di
applicazione dell’IVA influendo anche sulle modalità attraverso le quali il
soggetto passivo non residente adempie ai propri obblighi strumentali e di
pagamento dell’IVA per le operazioni attive effettuate nel territorio dello
Stato.
Ed invero, secondo quanto dispone l’art. 17, terzo comma, del decreto n. 633
l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia impedisce al non residente
la possibilità di nominare un rappresentante fiscale o di identificarsi
direttamente ai sensi dell’art. 35-ter dello stesso decreto. E il non residente
che effettui operazioni imponibili in Italia non riconducibili alla stabile
organizzazione non può - a differenza di quanto si verificava in precedenza -
14
Anche nella previgente disciplina (come è stato osservato da P. Centore
op. cit. pag. 1210) la detraibilità dell’imposta doveva essere accertata in
relazione al Paese del richiedente, salvo che il soggetto passivo fosse in
regime di pro rata.
15
Così P. Centore “La nuova IVA europea e nazionale”, Milano, 2010, pag.
144
195
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
assoggettare ad imposta dette operazioni attivando un’altra posizione IVA
nello Stato italiano.
Dall’esistenza di una stabile organizzazione derivano effetti attrattivi anche
se limitatamente alle operazioni poste in essere.
Tuttavia vi può essere il dubbio se l’esistenza della stabile organizzazione
incida solamente sull’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento
degli obblighi strumentali e di pagamento dell’IVA oppure se da tale
esistenza ne derivi che ogni operazione compiuta in Italia dal non residente
venga considerata come operazione effettuata nello Stato italiano.
Peraltro l’art. 7, primo comma, lett. d) del decreto n. 633 precisa la
definizione di soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato,
intendendosi per tale la stabile organizzazione di un soggetto domiciliato o
residente all’estero “limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute”.
Pertanto le operazioni della casa madre restano operazioni trans-nazionali ai
fini IVA .
Con riferimento alla soggettività passiva della stabile organizzazione è
necessario procedere alla verifica del rapporto che intercorre tra la casa
madre e la stabile organizzazione cioè è necessario verificare se la stabile
organizzazione sia o meno distinta e se abbia autonomia giuridica rispetto
alla casa madre.
In tal caso per le operazioni passive effettuate in Italia (ovviamente ivi
rilevanti) da parte del soggetto non residente con stabile organizzazione
occorre verificare le modalità di recupero dell’imposta assolta ed in
particolare, se sia detraibile per ogni tipo di acquisto effettuato in Italia da
parte del soggetto non residente ovvero se riguardi solamente gli acquisti
effettuati per mezzo della stabile organizzazione e ad essa imputabili. In tal
caso per gli acquisti “diretti” della casa-madre resterebbe la possibilità di
richiedere il rimborso secondo le nuove regole stabilite dopo le modifiche
legislative.
3.2
Come precisato, la giurisprudenza comunitaria, in varie occasioni, ha
individuato i tratti caratteristici della stabile organizzazione in ambito IVA.
E’ di tutta evidenza quindi che non appare condivisibile quanto affermato
dalla Suprema Corte nelle ordinanze del 20 luglio 2012, n. 12633 e del 30
settembre 2012, n. 21380.
Nella prima di tali ordinanze la controversia esaminata dalla Cassazione
concerneva il diniego dell’Amministrazione finanziaria al rimborso ai sensi
dell’art. 38-ter (nella formulazione vigente anteriormente al 2010) ad una
società di diritto francese in quanto esisteva nel territorio dello Stato una sua
stabile organizzazione.
E ciò ,secondo la Suprema Corte, sarebbe provato dal fatto di avere una
partita IVA italiana.
“Dall’attribuzione della partita IVA ad un soggetto che ne abbia fatto
richiesta deriva, per ragioni di ordine logico-giuridico, la presunzione
dell’esistenza di stabile organizzazione”.
Peraltro, sempre secondo la Corte, non trattandosi di presunzione assoluta il
contribuente può offrire la dimostrazione della mancanza in concreto di
196
STABILE ORGANIZZAZIONE E DIRITTO AL RIMBORSO DELL'IVA
quegli elementi di ordine personale e materiale che contrassegnano la
nozione di stabile organizzazione.
Tale principio è stato riaffermato anche nella successiva ordinanza n. 21380.
Orbene, come in precedenza osservato, la nozione di stabile organizzazione
contenuta nelle Direttive e nel Regolamento n. 282/2011 deve essere
caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e da una struttura idonea
in termini di mezzi umani e tecnici in grado di consentirle di ricevere e
prestare servizi derivanti dalla sua attività.
Invece, per la Cassazione, l’avere una posizione IVA in Italia si identifica
con la presenza di una stabile organizzazione con le relative conseguenze
anche ai fini del rimborso.
197
Prof. Guglielmo Fransoni
Professore Università di Foggia
La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni
1 Varietà dei metodi di determinazione del reddito delle stabili
organizzazioni
L’esperienza internazionale consente di individuare due metodi per la
determinazione del reddito delle stabili organizzazioni (1).
Da una parte abbiamo i metodi forfettari o indiretti – riscontrabili nel nostro
ordinamento in materia di Irap – per effetto dei quali la quota del reddito
proprio della stabile organizzazione è separata dal reddito complessivamente
riferibile al contribuente su base mondiale tramite l’applicazione di appositi
coefficienti calcolati come quozienti di indicatori quantitativi della
dimensione dell’attività (rapporto fra fatturato totale e fatturato localizzato,
fra costo complessivo del personale e costo del personale addetto alla stabile
organizzazione ecc.).
Dall’altra abbiamo i metodi analitici o diretti in base ai quali il reddito della
stabile organizzazione è determinato mediante contrapposizione dei
componenti positivi e negativi specificamente relativi all’attività da essa
svolta.
I metodi appartenenti alla prima categoria, proprio perché forfettari (e, come
tali, fondati su considerazioni pratiche piuttosto che scientifiche) non si
presentano ad analisi di carattere generale. Ognuno di questi metodi è fondato
su una logica autonoma e il suo studio si risolve nell’esegesi delle singole
disposizioni.
Per i metodi “diretti”, invece, si possono individuare alcune problematiche di
carattere generale e discipline per le quali è possibile operare una verifica
della loro conformità al “sistema”.
2 La priorità logica del patrimonio rispetto ai componenti reddituali
La definizione appena data dei metodi diretti – ossia quella secondo cui essi
conducono alla determinazione del reddito mediante contrapposizione dei
componenti positivi e negativi relativi all’attività – potrebbe far pensare che,
secondo tali metodi, il punto di partenza sia, appunto, la determinazione dei
componenti positivi e negativi.
(1) Per i differenti modi di determinazione del reddito delle S.O. si veda, per tutti,
DELLA VALLE E., Contributo alla studio della stabile organizzazione nel sistema di
imposizione sul reddito, Roma 2004, 120 ss. nonché GAFFURI A. M., La
determinazione del reddito della stabile organizzazione, in Rass. trib., 2002, 91 ss.
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
In realtà, anche quando non è detto esplicitamente, l’elemento centrale di
riferimento è il patrimonio.
Si deve ricordare infatti che il reddito è variazione quantitativa del patrimonio
in un arco temporale predefinito, cosicchè la sua determinazione implica
necessariamente il riferimento ad una situazione patrimoniale “iniziale”.
La anteriorità della definizione del patrimonio rispetto alla determinazione
dei componenti positivi e negativi è evidente, oltre che sotto il profilo
concettuale, anche in termini maggiormente “empirici”: alcuni componenti
reddituali (plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze attive o passive) non
si lasciano definire se non in termini di variazioni negative o positive (del
valore di scambio o della stessa “entità”) di preesistenti elementi
patrimoniali; ma anche gli altri componenti reddituali (dividendi e interessi
attivi o passivi, canoni di locazione ecc.) possono essere attribuiti a un centro
di imputazione solo se al medesimo sono riferibili gli elementi patrimoniali
che generano i medesimi (partecipazioni, crediti, debiti, beni materiali
concessi in locazione ecc.).
Questa priorità logica del patrimonio pone tuttavia un problema.
Invero, poiché il patrimonio è insieme di situazioni giuridiche soggettive, il
criterio “naturale” per l’individuazione della situazione patrimoniale iniziale
(così come per la selezione delle modificazioni patrimoniali rilevanti ai fini
della determinazione del reddito) dovrebbe essere quello soggettivo.
Se c’è un soggetto, è facile (almeno in teoria) determinarne il patrimonio
“iniziale”; è sufficiente, infatti, fare riferimento alle situazioni giuridiche
attive e passive delle quali il soggetto è titolare.
Poiché la stabile organizzazione non ha, tuttavia, “soggettività” propria il
criterio soggettivo risulta insufficiente ed occorre affiancare ad esso un
ulteriore “indice” idoneo a discriminare, fra le situazioni giuridiche
imputabili ad un unico soggetto, quelle che siano anche “pertinenti” al
patrimonio (o alla sua frazione) oggettivamente considerato.
3 La determinazione del patrimonio della S.O.: a) l’individuazione
delle situazioni giuridiche soggettive rilevanti.
Se si condivide l’idea secondo cui la S.O. è un criterio per isolare, rispetto
alla complessiva attività d’impresa, quella parte di attività (e, quindi, dei
relativi risultati) che è riferita ad un determinato territorio, appare naturale
ricorrere ad un indice “funzionale”.
In altri termini, il patrimonio della stabile organizzazione consiste nelle
situazioni soggettive (attive e passive) strumentali all’esercizio dell’attività in
un determinato territorio.
Questa affermazione ha un diretto e necessario corollario: per la
determinazione del patrimonio della S.O. non è (rectius, non è di per sé)
rilevante la “localizzazione” delle situazioni giuridiche medesime. Altrimenti
detto, possono aversi beni localizzati nel territorio ove si trova la S.O. che
200
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
non sono ricompresi nel suo patrimonio, così come possono aversi beni
localizzati in territori diversi che devono inveve ricomprendersi nel
patrimonio della S.O.
Il primo caso è precisamente riflesso nell’art. 151, comma 2, TUIR. Secondo
questa disposizione possono esistere plusvalenze relative a beni del soggetto
non residente esistenti nel territorio dello Stato, ma relativi ad attività
commerciali che, pur essendo imputabili a tale soggetto, non sono esercitate
tramite le stabili organizzazioni dello stesso. Pertanto, questa disposizione
implicitamente esclude che la riferibilità del bene alla stabile organizzazione
discenda dalla mera localizzazione dello stesso. Un ulteriore conferma di
questa impostazione sembrerebbe, poi, desumibile dalla disposizione di cui
all’art. 117, comma 2, lett. b) che consente l’applicazione della disciplina del
consolidato nazionale agli enti non residenti che esercitino l’attività nel
territorio dello stato tramite una S.O. là dove le partecipazioni risultino
“effettivamente connesse” alla S.O. medesima. Tale requisito della “effettiva
connessione” mi sembra, infatti, dover essere inteso quale sussistenza
dell’illustrato nesso di strumentalità rispetto all’attività propria della S.O.
Il secondo caso non ha precisi riscontri normativi, ma dovrebbe essere
evidente che una stabile organizzazione può perfettamente disporre di beni
localizzati in altri territori: si pensi per esempio ai mezzi di trasporto ecc. Se,
poi, si volge l’attenzione alle situazioni soggettive diverse da quelle aventi ad
oggetto (i diritti reali relativi a) beni materiali, l’irrilevanza della loro
localizzazione appare assai chiaramente: il patrimonio di una S.O. ben potrà
includere crediti (ad esempio vantati nei confronti della clientela) ovvero
finanziamenti (p.es. erogati dalla casa madre) ancorchè il debitore o il
creditore siano residenti in Stati diversi da quello in cui è ubicata la S.O.
4 Segue: b) la valorizzazione delle situazioni giuridiche soggettive
rilevanti.
4.1
La necessità di rappresentare le situazioni giuridiche in termini
monetari e i diversi modi del loro acquisto.
Le regole di determinazione del patrimonio della S.O. non si limitano a
quelle rilevanti al fine di individuare quali sono le situazioni giuridiche
soggettive in esso ricomprese. Il patrimonio di riferimento non deve essere
solo descritto nella sua consistenza, ma deve essere anche quantificato. Le
posizioni giuridiche soggettive, anche dal punto di vista contabile, devono
quindi essere non solo individuate, ma anche valorizzate.
La valorizzazione consiste, come è ovvio, nella istituzione di una
corrispondenza fra ciascuna situazione giuridica soggettiva individuata e una
certa quantità di moneta avente valore corrente.
Tranne la “cassa” – ossia la disponibilità fisica di mezzi monetari – non
esistono situazioni giuridiche soggettive che siano, di per sé, escluse da
questo processo di valorizzazione. Anche i depositi bancari, ad esempio, sono
201
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
“crediti” che, come tali, presentano comunque un (sia pur, eventualmente,
minimo) grado di rischio di solvibilità del debitore suscettibile di influenzare,
almeno astrattamente, la determinazione del valore del credito medesimo.
Le regole per operare tale valorizzazione sono per loro natura convenzionali
e, quindi, sono individuate dal legislatore in via diretta (ossia attraverso la
previsione di specifiche norme) o in via indiretta (attraverso il rinvio o la
presupposizione di altre convenzioni contabili).
Nello specifico, si deve ricordare, in primo luogo, che il legislatore tributario
ha dettato regole relative alla valorizzazione degli elementi patrimoniali
isolatamente considerati solo per alcuni casi specifici (per esempio per il
passaggio di beni dal patrimonio personale al patrimonio dell’impresa – art.
65 TUIR) oppure in via integrativa di altri criteri generali (p.es. la
specificazione della nozione di costo contenuta nell’art. 110, primo comma
TUIR).
In tutti gli altri casi, le regole di valorizzazione sembrano presupposte
nell’accoglimento del risultato di bilancio.
In effetti, là dove la determinazione del reddito fiscale è legata da un rapporto
di più o meno intensa presupposizione o dipendenza rispetto al risultato
civilistico, sussiste necessariamente anche la dipendenza o presupposizione
rispetto ai valori dello stato patrimoniale che (integrati biunivocamente con
quelli del conto economico secondo i principi della partita doppia)
costituiscono la premessa necessaria del risultato contabile.
La mancanza di una articolata disciplina pone quindi una serie di problemi
che non possono essere affrontati analiticamente.
Sembra sufficiente rilevare che, a nostro avviso, occorre distinguere fra il
caso in cui l’elemento patrimoniale “entra” a comporre il patrimonio
dell’impresa per effetto di una vicenda di scambio (ossia, in termini contabili,
in contropartita dell’”uscita” di altro elemento patrimoniale (compravendita,
permuta, altri negozi corrispettivi, ovvero conferimenti ecc.) e quello in cui
l’elemento patrimoniale è acquisito per effetto di successione (fusione,
scissione) o di atti di destinazione.
Ovviamente, rientrano in tale categoria anche le ipotesi in cui il venir meno
della riferibilità al patrimonio della S.O. di una situazione giuridica
soggettiva sia correlata all’“acquisizione” di un nuovo diritto trasferito alla
stessa dalla casa madre. Poichè, in considerazione dell’unicità del soggetto,
non sembra possibile parlare, in questa fattispecie, di una vicenda
patrimoniale riconducibile allo schema dello scambio negoziale, appare più
corretto ritenere di essere in presenza di un doppio atto di destinazione: da
parte della S.O. a favore della casa madre e da parte di questa a favore della
S.O.
4.2
Le regole di valorizzazione negli assetti onerosi
Ove la riferibilità di una situazione giuridica soggettiva al patrimonio della
S.O. sia il riflesso di assetti onerosi occorre evidenziare che se, per un verso,
le diverse tecniche contabili possono certamente implicare una valorizzazione
202
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
autonoma dell’elemento patrimoniale acquisito, rispetto all’elemento
patrimoniale “alienato” in contropartita, tuttavia, per altro verso, tutte le
tecniche contabili conducono, nell’ipotesi in cui non vi sia coincidenza fra
valore del bene acquisto e valore del bene alienato, a “segmentare” – a livello
concettuale – la vicenda acquisitiva da quella valutativa. In altri termini, si
tende sempre a rappresentare le divergenze fra valori come la risultante di
una, idealmente distinta, successiva “rivalutazione” dell’elemento
patrimoniale acquisito.
Questa segmentazione – acquisto-valutazione – fa sì che l’effetto della
valutazione deve essere ascritto idealmente alle vicende successive alla
rilevazione e iscrizione dell’elemento patrimoniale e, come tali, almeno
potenzialmente significative come fonti di componenti reddituali.
Conseguentemente, la valutazione risulta rilevante – dal punto di vista fiscale
– sotto il profilo delle norme che regolano (non l’iscrizione dei componenti
patrimoniali, ma) i componenti positivi o negativi che concorrono alla
formazione del reddito.
4.3
La valorizzazione delle situazioni giuridiche soggettive a seguito di
atti di destinazione.
Diverso è il caso degli elementi patrimoniali acquisiti al di fuori di un
rapporto – in senso lato – di scambio.
Là dove ricorra un atto di destinazione, si deve osservare che il problema
presenta molti punti di contatto con quello del passaggio di beni dal
patrimonio personale a quello aziendale dell’imprenditore individuale. In
alcuni casi limite, si potrebbe parlare addirittura di identità come è
nell’ipotesi in cui si tratti, appunto, della stabile organizzazione di un impresa
individuale di un soggetto non residente alla quale vengano destinati beni
provenienti dal suo patrimonio personale. Ma l’analogia resta anche nei casi,
certo più frequenti, in cui i beni destinati alla stabile organizzazione fossero
già destinati allo svolgimento dell’attività d’impresa (individuale o societaria)
di un contribuente non residente. Infatti, anche in tali ipotesi, per effetto della
mancanza di una stabile organizzazione, rispetto all’ordinamento italiano tali
beni erano certamente esclusi dal regime dei beni d’impresa e potevano
risultare totalmente irrilevanti sotto il profilo tributario ovvero, al più,
soggetti al regime proprio dei beni personali. La loro destinazione alla stabile
organizzazione, pertanto, implica l’assoggettamento al regime dei beni
d’impresa di situazioni giuridiche prima escluse da tale disciplina,
esattamente come nell’ipotesi dell’imprenditore individuale.
Nel caso in cui si abbia un atto di destinazione, si può ulteriormente
differenziare l’ipotesi dei beni già esistenti in Italia e confluiti
successivamente nella stabile organizzazione (per effetto della relativa
destinazione), da quello dei beni la cui destinazione implica anche una
delocalizzazione.
Per i beni già esistenti in Italia, proprio per l’analogia che intercorre fra
questa situazione e quella della destinazione dei beni all’impresa individuale,
203
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
sembrerebbe opportuno applicare la regola generale valida per gli atti di
destinazione consistente nell’attribuzione agli stessi del valore normale
determinato alla data dell’atto di destinazione (2).
Tale regola subisce, a nostro avviso, due sole eccezioni.
La prima è quella prevista dall’art. 65, comma 3-bis, che impone il
riferimento, per i beni strumentali, al costo storico.
La seconda, invece, riguarda l’ipotesi dei beni non strumentali, ma
suscettibili di dar luogo a plusvalenze, destinati al patrimonio della stabile
organizzazione “dopo” la sua “costituzione”. La deroga alla regola generale
sembrerebbe giustificata dal fatto che tali questi beni sarebbero suscettibili di
generare plusvalenze ai sensi dell’art. 151, comma 2, Tuir e, poiché si deve
ritenere che tali plusvalenze siano solo quelle “realizzate”, l’applicazione del
criterio del valore normale per gli atti destinazione relativi agli stessi
comporterebbe un salto d’imposta. Ne consegue che, per ragioni di coerenza
complessiva del sistema, appare anche qui più opportuno fare riferimento al
costo storico.
Per i tutti i beni “trasferiti” dal patrimonio estero della casa madre alla sua
S.O. in Italia sembra invece più opportuno fare riferimento in ogni caso al
valore normale in quanto il criterio del costo storico risulta avere, nell’ambito
dello stesso art. 65 Tuir, una portata residuale.
Per quanto riguarda la stabile organizzazione all’estero di un soggetto passivo
residente, non sembra che sussistano, invece, questioni di rilievo.
Le posizioni giuridiche soggettive pertinenti alle S.O. andranno, infatti,
individuate sempre secondo il criterio funzionale-spaziale prima indicato e,
ove si tratti di elementi patrimoniali già inclusi nella situazione patrimoniale
della casa madre, essi continueranno a mantenere il relativo valore anche a
seguito della loro “destinazione” alla S.O.. Il problema che, piuttosto, si pone
in queste situazioni è quello del passaggio da valori monetari espressi
(almeno di norma) in valuta estera a valori espressi in euro. Per motivi di
ordine espositivo, mi sembra però opportuno trattare la questione
successivamente.
5 Determinazione del reddito della S.O.
5.1
Il reddito delle S.O. in Italia di soggetti non residenti
Quanto si è osservato in precedenza consente anche, a mio avviso, di
impostare in modo corretto i principali problemi posti dalla determinazione
del reddito delle S.O. “interne”.
(2) Sembra orientato a ritenere che l’applicazione del valore normale per i beni
destinati all’impresa costituisca il principio generale, mentre l’applicazione del costo
storico costituisca una deroga motivata da ragioni di ordine antielusivo anche FEDELE
A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Riv. dir. trib., I, 2003, 869 nel testo
e a nt. 192.
204
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
In linea generale, si deve osservare che, come si è detto, il reddito è costituito
dalla somma algebrica degli incrementi e dei decrementi del patrimonio
iniziale (individuato secondo le regole appena illustrate) conseguenti ad atti
funzionali allo svolgimento dell’attività territorialmente individuata. Il
rapporto fra atto e attività, in altri termini, consente di individuare
immediatamente il patrimonio cui vanno imputati i relativi effetti in termini
di sacrifici o vantaggi patrimoniali conseguenti ai singoli atti.
Vale, tuttavia, anche una regola direttamente speculare a quella appena
enunciata: là dove un atto si risolva nella perdita di un diritto già appartenente
al patrimonio della S.O., o tale atto risulta essere funzionale all’attività della
stessa (ed allora la perdita del diritto si configura quale sacrificio
patrimoniale implicato dall’attività, ossia come costo), ovvero esso
costituisce (anche) un atto di destinazione del diritto ad un’attività estranea a
quella propria della S.O.
L’ulteriore problema esaminato dalla dottrina e dalla giurisprudenza con
riguardo alla determinazione del reddito delle S.O. in Italia di soggetti non
residenti attiene alle spese sostenute dalla casa madre nell’interesse della S.O.
In proposito occorre operare nuovamente una distinzione (3).
Vengono innanzitutto in rilievo le spese sostenute dalla casa madre
nell’esclusivo interesse della S.O.
Se, come si è detto, le spese consistono in una decurtazione patrimoniale
correlata al compimento di un determinato atto, l’esclusività dell’interesse
significa, a ben vedere, diretta ed univoca funzionalizzazione dell’atto
all’attività territorialmente riferibile alla stabile organizzazione. Pertanto, il
problema sembrerebbe, in tale ipotesi, risolto a priori dall’identificazione del
criterio per la individuazione delle modificazioni patrimoniali rilevanti
rispetto alla S.O. La funzionalizzazione dell’atto all’attività implica
necessariamente, cioè, l’imputazione dei relativi effetti (ossia della correlata
decurtazione patrimoniale) al patrimonio della S.O. Questo fenomeno
potrebbe apparire meno evidente là dove la decurtazione patrimoniale sembra
riguardare un diritto in precedenza riferito esclusivamente alla casa madre (e
non alla S.O.). Ma, quando ciò avviene, è solo per effetto di una non corretta
rappresentazione della vicenda medesima. Infatti, in conseguenza della
funzionalizzazione dell’atto all’attività della S.O., l’elemento patrimoniale
modificato o estinto risulta, implicitamente, destinato alla S.O. e quindi se ne
dovrebbe più correttamente evidenziare sia la previa acquisizione al
patrimonio di questa, sia la successiva decurtazione.
Una seconda tipologia di spese è costituita da quelle in cui l’interesse
perseguito riguarda l’impresa nel suo complesso, ossia quelle per le quali
manca un nesso univoco e immediato con l’attività territorialmente riferibile
alle S.O.
(3) Si veda, in senso analogo, TUNDO F., I redditi d’impresa nel modello di
convenzione OCSE, in Trattato di diritto tributario internazionale, coord. da Victor
Uckmar, Padova 2002, 277.
205
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
Rispetto a questa ipotesi, la soluzione potrebbe essere diversa da quella
indicata per le spese “specifiche” solo se si ritenesse che la generalità
dell’interesse escluda di per sè la possibilità di ripartire pro quota la spesa
stessa imputandola anche al patrimonio delle S.O.
Questa conclusione appare, tuttavia, immediatamente eccessiva.
In realtà è evidente che l’atto – al quale si collega la spesa – può
perfettamente trovarsi in rapporto di strumentalità sia con l’attività d’impresa
considerata nel suo complesso sia con quella territorialmente delimitata.
Anzi, in realtà, questa affermazione è vera per tutti i costi direttamente
riferibili alla S.O. in quanto essi, per definizione, sono sempre relativi ad atti
rilevanti (anche) per l’attività d’impresa nel suo complesso (come risulta
evidente nel caso delle S.O. all’estero di soggetti residenti).
Il problema, come evidenziato dalla dottrina pressochè unanime, consiste,
allora, solo nell’affidabilità degli indici utilizzati per determinare la “misura”
in cui l’atto (ed il costo ad esso connesso) sia strumentale all’attività della
S.O.. Ed è proprio la congruità di tali indici che potrà essere sindacata
dall’Amministrazione finanziaria (4). Ciò non significa, peraltro, che
l’Amministrazione non possa anche negare la deducibilità del costo per
difetto del requisito dell’inerenza, ma solo che, sotto questo profilo, la
tipologia dei costi in questione non si differenzia in alcun modo da qualunque
altro costo dovendosi in ogni caso risolvere il problema dell’inerenza
applicando le stesse regole generali.
Ovviamente, i criteri di riparto della spesa generica non potranno che essere
indiretti e, in questa prospettiva, sembra certamente ammissibile (5)il ricorso,
per esempio, alla regola marittima (fondata sul rapporto fra chilometri e posti
relativi all’attività territorialmente individuata e chilometri e posti totali) (6)
la cui applicazione è invece esclusa per la determinazione complessiva del
reddito in ragione della già affermata esclusività dell’applicazione del metodo
diretto o analitico (7).
In merito alla determinazione del reddito delle S.O. in Italia di soggetti non
residenti resta ancora da osservare che il rinvio contenuto nell’art. 152,
comma 1 alle «disposizioni della sezione I del capo II del titolo II» per la
determinazione del relativo reddito risulta impreciso sia per difetto che per
eccesso.
Da un lato, infatti, devono secondo me ritenersi pacificamente applicabili
anche le “Diposizioni comuni” di cui al titolo III del Tuir come, ad esempio,
(4) Si veda, in senso conforme, DELLA VALLE E., Contributo alla studio della stabile
organizzazione nel sistema di imposizione sul reddito, cit., 128 ss. e, ivi, anche
complete indicazioni bibliografiche.
(5) Come ritenuto anche da Cass. civ., sez. trib., sent. 1.8.2000 n. 10062.
(6) In argomento si veda, da ultimo, PICCIAREDDA F., In margine alle convenzioni in
tema di doppia imposizione sul reddito: il trasporto aereo internazionale, in Dir.
trasp., 200, 345.
(7) Secondo l’orientamento ribadito da Cass. civ., sez. trib., sent. 23.5.2002, n. 7554 in
Dir. prat. trib., II, 2003 con nota di R. SUCCIO.
206
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
quelle di cui all’art. 164 che limitano la deducibilità delle spese relative ai
mezzi di trasporto a motore (8). Per espressa previsione del già citato art. 117
Tuir, sono poi applicabili alle stabili organizzazioni le disposizioni in merito
al consolidato nazionale contenute, però, nella sezione II del capo II del titolo
II del Tuir.
Dall’altro lato, è ovviamente escluso, con riguardo alle S.O., l’applicazione
del principio, implicito nell’art. 81 del Tuir, della tassazione del reddito su
base “mondiale”.
Più dubbia è, poi, l’applicazione di alcune regole contenute nella sezione I
del citato capo II del titolo II del Tuir. E’ questo il caso, per limitarci
all’esempio più significativo, della disciplina della thin capitalization.
Probabilmente, la soluzione più equilibrata è quella di applicare
analogicamente l’art. 63 Tuir, nella parte in cui dispone che il riferimento,
contenuto nell’art. 98, «al socio si intende all’imprenditore» ossia alla casa
madre.
5.2
La determinazione del reddito delle stabili organizzazioni
all’estero dei soggetti residenti.
La questione maggiormente dibattuta in merito alla determinazione del
reddito delle S.O. all’estero riguarda se esso confluisca in quello della casa
madre in modo aggregato (9) (ossia come utile della S.O.) ovvero in modo
disaggregato (10).
Per comprendere meglio i termini dell’alternativa, occorre evidenziare, in
primo luogo, che l’art. 14 del D.P.R. 600 del 1973 impedisce di ipotizzare
che la disaggregazione del risultato della S.O. possa essere totale, ossia che i
componenti positivi e negativi di reddito riferibili alla S.O. possano essere
del tutto indistinti rispetto agli altri componenti. Tale norma previde, infatti,
l’obbligo, per coloro che esercitano attività commerciali all’estero mediante
stabili organizzazioni, di «rilevare distintamente nella contabilità i fatti di
gestione relativi alle stabili organizzazioni, determinando separatamente i
risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse».
La rilevazione distinta, infatti, implica almeno l’obbligo di creare appositi
“conti” dedicati ai fatti di gestione propri delle S.O., sia pure all’interno
(8) Si veda, in senso conforme, LUPI R.-STEVANATO D., La distinta contabilizzazione
dei fatti di gestione delle stabili organizzazioni tra paese di localizzazione e paese
della casa madre, in LUPI R.-STEVANATO D.-CARPENTIERI L., Il diritto tributario nei
rapporti internazionali, Milano 2003, 225.
(9) A tale tesi aderiscono NUZZO E., La tassazione del reddito delle imprese bancarie
nella prospettiva della armonizzazione fiscale nella CEE, in Riv. dir. trib., I. 1991,
318 ss. e GAFFURI A. M., La determinazione del reddito della stabile organizzazione,
cit., 87 ss.
(10) In questo senso si esprimono, invece, GALLO F., Contributo all’elaborazione del
concetto di «stabile organizzazione» secondo il diritto interno, in Riv. dir. fin. sc. fin,
I, 403 ss. e DELLA VALLE E., Contributo alla studio della stabile organizzazione nel
sistema di imposizione sul reddito, cit., 135 ss.
207
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
dell’unica contabilità. E, d’altra parte, nemmeno la lettura maggiormente
riduttiva della prescrizione di una determinazione separata del risultato della
stabile organizzazione – ossia quella che attribuisce valore alla disposizione
solo nell’ottica dell’accertamento – consente comunque di negare che tale
determinazione, anche se non immediatamente e direttamente rilevante sul
piano sostanziale, debba essere il riflesso di un impianto contabile che nel
complesso “isoli” i fatti di gestione della casa madre rispetto a quelli della
S.O.
Tuttavia, l’aver escluso la possibilità di una disaggregazione totale, non
conduce necessariamente al risultato opposto, potendosi comunque parlare di
determinazione su base “disaggregata” dei risultati complessivi della stabile
organizzazione e della casa madre anche là dove i documenti contabili di fine
esercizio (ossia lo stato patrimoniale ed il conto economico) costituiscano il
consolidamento di tutti i conti patrimoniali ed economici –singolarmente
considerati – propri delle diverse articolazioni dell’impresa.
Una prima chiara indicazione in tale senso si ottiene ove si consideri, da un
lato, che ai sensi dell’art. 83, il reddito d’impresa è determinato a partire da
un unico risultato civilistico e, dall’altro lato, che, proprio per effetto di tale
disposizione, sussiste il ben noto rapporto di presupposizione delle regole
proprie della determinazione dell’utile civilistico rispetto alle disposizioni sul
reddito d’impresa.
Ne consegue, innanzi tutto, che oggetto delle possibili riprese in aumento e
diminuzione è necessariamente un unico risultato civilistico e, in secondo
luogo, che – essendo le regole contabili civilistiche necessariamente
improntate alla determinazione unitaria dell’utile o della perdita in base
quantomeno al consolidamento conto per conto dei documenti contabili della
casa madre e della S.O. – una possibile “aggregazione” del risultato potrebbe
solo costituire la conseguenza a posteriori di (assai complesse e scarsamente
utili) variazioni in aumento o in diminuzione operate, rispetto ad un risultato
unitario, in applicazione di norme esclusivamente tributarie. Occorrerebbe,
cioè, un’espressa disposizione volta a realizzare la “aggregazione” di un
risultato già incluso, in forma disaggregata, nel conto economico unitario di
cui è evidente però l’assenza.
La tesi proposta sembra trovare conferma nella previsione di cui all’art. 110,
comma 2, ai sensi del quale, come noto, «la conversione in euro dei saldi di
conto delle stabili organizzazioni all’estero si effettua secondo il cambio della
data di chiusura dell’esercizio e le differenze rispetto ai saldi di conto
dell’esercizio precedente non concorrono alla formazione del reddito».
In effetti, a testimonianza di una formulazione del testo normativo non del
tutto chiaro, la disposizione citata è stata interpretata come una conferma di
entrambe le tesi contrapposte. Tuttavia, ad una più attenta considerazione,
essa appare maggiormente compatibile con la tesi della determinazione del
reddito della S.O. in forma disaggregata.
A tal fine occorre, considerare che la prima parte delle disposizione – quella,
cioè, che stabilisce quale sia il tasso da applicare per la conversione in euro
208
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
dei saldi di conto – pone ad oggetto della conversione in euro non il risultato
finale emergente a livello della S.O., bensì tutti i singoli conti,
presupponendo, quindi, la confluenza nel bilancio della casa madre di ciascun
conto isolatamente considerato (e non del solo risultato netto espresso
originariamente in valuta (11)).
Questa conclusione è ulteriormente confermata dalla seconda parte della
disposizione in commento – ossia quella che prevede l’irrilevanza delle
differenze di conversione fra i conti dell’esercizio precedente e quelli
dell’esercizio corrente.
Al fine di comprendere il senso di questa regola, si deve innanzi tutto
precisare che essa si applica solo ai conti dello stato patrimoniale, giacchè,
essendo i conti “economici” (esclusi quelli relativi alle rimanenze)
definitivamente chiusi al termine dell’esercizio, per essi non si pone mai
alcun problema di confronto con il saldo del precedente esercizio (se non a
fini meramente informativi). Per avere un senso, allora la disposizione deve
presupporre l’adozione di una tecnica contabile in cui i singoli conti
patrimoniali in valuta della S.O. vengano “chiusi” (previa la loro conversione
in euro) nella contabilità unitaria e poi, all’inizio dell’esercizio, “riaperti”
(previa loro conversione in valuta) nella contabilità della S.O. Tecnica,
questa, ovviamente coerente con la determinazione del reddito in forma
disaggregata (nel senso con i limiti anzi detti).
Con riguardo a tale disposizione ci sembra opportuno svolgere due ulteriori
rilievi.
Il primo attiene all’esclusività o meno di questa particolare modalità di
determinazione del reddito. In altri termini, occorre chiedere se le
prescrizioni dell’art. 14 u.c. del D.P.R. n. 600 del 1973 sarebbero rispettate
pienamente anche se – accanto alla contabilità della S.O. tenuta nel paese
estero secondo le norme ivi previste – la casa madre istituisse un apposito
giornale sezionale tenuto in Italia secondo la normativa vigente nel quale le
singole operazioni della S.O. venissero iscritte giorno per giorno con relativa
conversione in euro al cambio del giorno in cui viene effettuata la rilevazione
e, quindi, facendo confluire l’insieme delle rilevazioni nel bilancio
d’esercizio finale (12). Questa modalità di rilevazione, a mio avviso, pur
essendo del tutto diversa da quella presupposta nell’art. 110, comma 2, cit.,
non è affatto impraticabile. In realtà, la disposizione in commento dovrebbe
(11) In questo senso si esprime chiaramente DI TANNO T., Appunti sulle operazioni in
valuta nel testo unico delle imposte sul reddito, in Boll. Trib. inf., 1988, 22. Anche
NUZZO E., La tassazione del reddito delle imprese bancarie nella prospettiva della
armonizzazione fiscale nella CEE, cit., 318 ss. ritiene che la disposizione militi a
sfavore della tesi dallo stesso sostenuta.
(12) In questo senso si esprime chiaramente Cass. civ., sez. trib., sent. 23.5.2002, n.
7554 in Dir. prat. trib., II, 2003 e, almeno per le stabili organizzazioni di soggetti
residenti site in altri stati membri dell’UE, analoga conclusione dovrebbe trarsi in
considerazione della ben nota pronuncia della Corte di Giustizia, 15.5.1997 causa C250/95.
209
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
essere più correttamente intesa come un implicito riconoscimento – analogo a
quello contenuto nell’ultimo periodo del medesimo comma secondo
relativamente alla contabilità multivalutaria – della possibilità di tenere un
unico giornale nel paese estero (contemporaneamente conforme alle
prescrizioni della legge italiana) con conseguente iscrizione delle operazioni
esclusivamente in valuta e conversione solo dei saldi di ciascun conto a fine
esercizio. E’, cioè, norma che, attraverso la disciplina delle modalità
applicative di una particolare tecnica contabile, ne riconosce implicitamente
la liceità, ma non ne sancisce l’obbligatorietà.
Il secondo rilievo riguarda i rapporti fra questa modalità di contabilizzazione
e la disciplina delle perdite sui cambi.
Si tratta, più in particolare, di capire se l’irrilevanza ai fini reddituali delle
variazioni monetarie dei conti patrimoniali (prescritta dalla disposizione in
esame) valga anche per i crediti ed i debiti in valuta.
Una simile interpretazione, in realtà, non sarebbe conforme alla ratio della
norma che appare rivolta solo fornire una precisazione – particolarmente utile
specie in un contesto, quale quello in cui essa fu originariamente formulata,
in cui avevano rilevanza reddituale le plusvalenze “iscritte” – in ordine alla
perdurante applicazione del principio secondo cui sono redditualmente
rilevanti solo i valori effettivamente realizzati, escludendo, così, l’idoneità a
concorrere alla formazione del reddito del maggiore o minor valore di
situazioni giuridiche (diritti o obbligazioni) derivanti dalle oscillazioni dei
cambi, in conseguenza dell’adozione di un particolare metodo contabile; per
contro, essa non dovrebbe escludere la possibilità di rilevare un componente
positivo o negativo di reddito là dove vengano in rilievo quelle particolari
situazioni giuridiche soggettive (ossia i crediti e debiti in valuta) alle quali è
applicabile la regola – da considerare in questo senso “speciale” – intesa a
dare rilevanza (sia pure attraverso l’iscrizione di un fondo rischi) a variazioni
di valore non realizzate, ma semplicemente presunte. Va da sé che questa
interpretazione riferibile alla disciplina dei crediti e dei debiti in valuta
vigente anteriormente alla riforma del 2003, è valida, a maggior ragione, con
riferimento alla nuova formulazione del terzo e quarto comma dell’art. 110
Tuir, introdotti per adeguare la disciplina del reddito d’impresa alla nuova
formulazione dell’art. 2426, comma 1, n. 8-bis.
Il problema della determinazione del reddito della S.O. su base aggregata o
disaggregata potrebbe apparire solo formale, ma in realtà la sua soluzione
condiziona la soluzione di una questione di ben maggior rilievo sostanziale.
In particolare, le diverse tesi comportano una diversa valutazione del
numeratore e del denominatore della frazione costituente il parametro di
deducibilità di alcuni componenti reddituali che concorrono alla formazione
del reddito con l’applicazione del metodo del pro-rata: partendo da una
determinazione disaggregata, infatti, vi sarà un unico pro-rata determinato in
funzione dei valori complessivamente riferibili all’intera impresa; viceversa,
se si parte da una determinazione in forma aggregata, il pro-rata dovrebbe
210
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
essere determinato separatamente per la casa madre e per la stabile
organizzazione.
Esaminando il problema da questa prospettiva, tuttavia, ci si accorge che la
soluzione sopra prospettata, non solo appare coerente con gli scarsi dati
normativi attinenti alla determinazione del reddito delle stabili
organizzazioni, ma risulta anche quella maggiormente conforme ai principi
sulla tassazione del reddito dei soggetti residenti in quanto la necessità di
valutare unitariamente il pro-rata sembra discendere direttamente, come è
stato opportunamente sottolineato, dal principio della tassazione su base
mondiale (13).
5.3
Stabili organizzazioni all’estero e applicazione della disciplina sul
transfer pricing
In questa prospettiva, appare forse più agevole risolvere il problema – fra i
più dibattuti in tema di determinazione del reddito della S.O – riguardante la
possibilità di applicare le regole sul transfer price ai “rapporti” che si
svolgono fra stabile organizzazione e casa madre (14).
L’attribuzione di un diritto, già incluso nel patrimonio della S.O., al
patrimonio della casa madre, dipenderà, alla luce di quanto si è detto in
precedenza, dal venir meno del vincolo di funzionalità del bene all’esercizio
dell’attività della S.O. medesima, ossia da un fenomeno di destinazione alle
finalità proprie di una impresa (territorialmente) diversa.
Sebbene, a rigore, la disciplina specifica dei fenomeni di “eterodestinazione”
riguardi solo i casi in cui si realizza l’eliminazione di ogni vincolo funzionale
di un bene ad un’attività economica organizzata, essa (disciplina) ha, secondo
l’opinione assolutamente prevalente, valore di principio generale. E tale
impostazione trova conferma, proprio per quanto riguarda la destinazione ad
attività diversificate territorialmente, nella disciplina del trasferimento della
sede all’estero ed in quella delle fusioni e scissioni transnazionali (15).
Invero, si tratta sempre di casi in cui la regola della tassazione su base
territoriale implica, in misura più o meno intensa, una certa separazione
(13) Così GALLO F., Contributo all’elaborazione del concetto di «stabile
organizzazione» secondo il diritto interno, cit., 406 ss.
(14) La dottrina prevalente è orientata, diversamente da quanto affermato nel testo, a
ritenere applicabile l’art. 110, comma 7, ai rapporti fra S.O. e casa madre. Si vedano,
per tutti, MAISTO G., Il transfer price nel diritto tributario italiano e comparato,
Padova 1985, 53 ss.; FANTOZZI A.-MANGANELLI A., Qualificazione e determinazione
dei redditi prodotti da imprese estere in Italia, in Studi in onore di V. Uckmar, I,
Padova1997, 428, CORDEIRO GUERRA R., La disciplina del transfer price
nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. trib., 2000, I, 428; GAFFURI A. M., La
determinazione del reddito della stabile organizzazione,cit., 98.
(15) Si vedano, in questo senso, FANTOZZI A.-MANGANELLI A., Qualificazione e
determinazione dei redditi prodotti da imprese estere in Italia, cit., 434 e DELLA
VALLE E., Contributo alla studio della stabile organizzazione nel sistema di
imposizione sul reddito, cit., 128.
211
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
patrimoniale ed è proprio il passaggio di un elemento patrimoniale da un
patrimonio separato all’altro che giustifica la rilevazione e attribuzione delle
variazioni di valore maturate anteriormente al passaggio medesimo al
patrimonio “di partenza”.
Questa logica giustifica la necessità valutare il diritto destinato alla casa
madre al relativo valore normale (16).
E’ evidente che l’applicazione del criterio del valore normale per la
quantificazione del componente positivo del reddito nelle ipotesi di
eterodestinazione conduce a risultati sostanzialmente coincidenti con quelli
cui perviene la dottrina che sostiene l’applicazione alle operazioni
“intrasocietarie” delle regole sul transfer price, ma mi sembra che essa abbia
il pregio di pervenire a tale soluzione in modo più lineare e senza dover
forzare la natura delle regole stesse (17). E’ noto, infatti, che la disciplina del
transfer price è rivolta a consentire la sostituzione (over ricorrano
determinate condizioni) del prezzo praticato per una determinata transazione
commerciale con il valore di mercato del bene o del servizio che ne
costituisce l‘oggetto. Si tratta, quindi, di regole la cui applicazione non
appare del tutto appropriata nelle ipotesi in cui l’operazione è, per
definizione, priva di corrispettivo.
Questa impostazione ci sembra risolvere il problema là dove le operazioni
“intrasocietarie” riguardino beni, mentre la stessa soluzione non può
applicarsi alle ipotesi in cui oggetto dell’operazione è un servizio. E’
evidente, in queste ipotesi, che il costo sostenuto per le operazioni in
questione dalla S.O. non può considerarsi deducibile, non essendo stato
sostenuto in funzione dell’esercizio della sua attività, ovvero che esso deve
essere riaddebitato alla casa madre (soluzione che, sotto il profilo
quantitativo, è identica a quella della indeducibilità del costo).
Ove, però, si ritenesse applicabile la disciplina di cui all’art. 110, comma 7,
Tuir, si dovrebbe anche includere nel reddito della stabile organizzazione un
mark up corrispondente alla differenza fra il costo sopportato ed prezzo che
sarebbe stato praticato nel caso in cui il servizio fosse stato reso fra soggetti
giuridicamente ed economicamente “indipendenti”.
Al riguardo, sebbene siano del tutto comprensibili le ragioni che inducono la
dottrina prevalente a ritenere applicabili le regole sul transfer price, a me
(16) L’applicazione del valore normale alle eterodestinazioni di beni propri della S.O.
è sostenuta anche da GAFFURI A. M., La determinazione del reddito della stabile
organizzazione, cit., 96.
(17) Questa impostazione sembra sostanzialmente coincidente con quanto
implicitamente affermato da G. ZIZZO, Regole generali sulla determinazione del
reddito d’impresa, in AA.VV., L’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Giurisprudenza sistematica di diirtto tributario, diretta da F. Tesauro, II, Torino 1994,
580-581 e da DELLA VALLE E., Contributo alla studio della stabile organizzazione nel
sistema di imposizione sul reddito, cit., 126 ss. i quali ritengono che la valorizzazione
al valore normale discenda da principi generale e non dalla applicazione dell’art. 110,
comma 7, Tuir.
212
LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE STABILI ORGANIZZAZIONI
sembra che tale soluzione sia preclusa non da ragioni formali (quali la
mancanza di un vero rapporto societario di controllo fra stabile
organizzazione e casa madre ecc.), bensì per motivi inerenti alla stessa
nozione di S.O.(18). Invero, in tanto si può parlare di un servizio reso alla casa
madre, in quanto gli atti compiuti (e, quindi, i relativi sacrifici patrimoniali)
appaiono essere strumentali rispetto all’attività della casa madre medesima e,
quindi, essi sono per definizione estranei all’attività territorialmente rilevante
della S.O. e, per ciò stesso, non suscettibili di essere sottoposti a tassazione in
Italia. Questa affermazione trova un conforto, peraltro, nella disciplina delle
cosiddette “spese di regia” sulla quale ci siamo già soffermati. Con riguardo a
tali operazioni, in modo del tutto speculare rispetto alle prestazioni di servizi
rese dalla S.O. alla casa madre, il costo relativo ad atti compiuti dall’head
office che soddisfano l’interesse della S.O. (in modo specifico o in modo
generico) sono correttamente ritenuti dalla migliore dottrina deducibili per
quest’ultima proprio perché l’interesse soddisfatto è indice della riferibilità
dell’atto all’attività della S.O. stessa. Se, però, valesse il principio del “valore
normale”, questo dovrebbe applicarsi anche in tale ipotesi cioè dovrebbe
essere deducibile il valore normale del servizio svolto dalla casa madre,
soluzione, invece, pacificamene esclusa.
Ciò non significa, però, che la disciplina sul transfer price non trovi mai
applicazione. Sembra corretto ritenere, invece, che le disposizioni di cui
all’art. 110, comma 7, Tuir debbano essere riferite alle operazioni
intercorrenti fra la S.O. e le controllate o le controllanti del soggetto non
residente cui fa capo la S.O. stessa. Qui, invero, ricorrono pacificamente tutte
le condizioni oggettive e soggettive previste dalla legge, ossia uno specifico
rapporto societario ed un negozio corrispettivo.
(18) E non è un caso che la migliore dottrina, nell’affermare l’applicazione delle regole
sul transfer price ai rapporti fra casa madre e stabile organizzazione, si soffermi in
particolar modo su «gli elementi patrimoniali che vengono trasferiti da una stabile
organizzazione italiana di una società non residente alla casa madre estera» FANTOZZI
A.-MANGANELLI A., Qualificazione e determinazione dei redditi prodotti da imprese
estere in Italia, cit., 434.
213
Prof. Antonio Lovisolo
Professore Università di Genova
La “funzione” della S.O. e i criteri generali di
determinazione del suo reddito, con particolare riferimento
ai rapporti con “la casa madre”
1 La “funzione” della S.O. e principio del “trattamento isolato del
reddito”.
1.1
La esistenza nello Stato estero di una s.o. (“materiale” o “personale” che sia1)
del soggetto non residente genera una sua presenza “qualificata”, idonea a
sottrarre la imposizione del reddito d’impresa allo Stato di residenza e a
radicarla nello Stato della s.o., in una situazione di (astratta) parità con le
imprese locali.
L’art. 7 par. 1 del Modello convenzionale OCSE – cui si ispira la totalità
delle Convenzioni contro la doppia imposizione sul reddito e sul patrimonio
– è esplicita in tal senso, prevedendo2 la imponibilità del reddito d’impresa
nel Paese di residenza, salvo che nell’altro Stato contraente “l’impresa non
svolga una attività industriale o commerciale … per mezzo di una stabile
organizzazione ivi situata”, sancendo che, in tal caso, “gli utili dell’impresa
sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili
sono attribuibili alla stabile organizzazione”.
Principio, questo, fatto proprio anche dalla nostra legislazione interna ove
all’art. 23 t.u. 1986, n. 917 si prevede la imponibilità dei non residenti per “i
redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato
mediante stabili organizzazioni”.
1.2
Tenuto conto delle due indicate previsioni normative, la determinazione del
reddito del non residente nello Stato Estero e le sue modalità di imposizione,
sono correlate alla “funzione” della s.o. specie nei rapporti con la “casa
madre” (o “sede centrale”).
1
In relazione alla definizione del concetto di s.o. e alla sua articolazione “materiale” o
“formale”, rimando al mio La “Stabile Organizzazione” in AA.VV. Diritto Tributario
Internazionale, a cura di V. Uckmar, Cedam 2005, pag. 435 e seg.
2
Così espressamente prevede il comma 1 dell’art. 7 del Modello OCSE “Gli utili di
un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno
che l’impresa non svolga un’attività industriale o commerciale nell’altro Stato
contrante per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l’impresa svolge in
tal modo la sua attività, gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato, ma
soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione.
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
Al riguardo, nel sistema previgente la riforma tributaria del 1973, la s.o. si
configurava quale criterio di collegamento, la cui semplice esistenza
“catalizzava” la imponibilità nei suoi confronti di tutti i redditi prodotti in
Italia dal soggetto non residente, anche senza il tramite della stabile
organizzazione pur esistente nello Stato (cfr. art. 145 T.U. 1958, n. 645).
L’art. 145 cit. quale “presupposto e soggetti passivi” della imposta sulle
Società, prevedeva “il possesso di un patrimonio o di un reddito da parte di
soggetti tassabili in base al bilancio nonché di società ed associazioni estere
operanti in Italia mediante una stabile organizzazione ancorché non
tassabili in base al bilancio”.
Secondo tale previsione normativa “società ed ente non residente” e sua s.o.
rappresentavano una sorta di “endiadi”, nel senso che l’assoggettamento ad
imposta sulle Società in Italia del non residente era sì riconnessa alla
configurabilità nello Stato di una sua s.o.: esistenza tuttavia, la sussistenza di
tale s.o. comportava la imponibilità dei redditi comunque prodotti nel
territorio dello Stato anche senza il suo tramite.
Sotto questo profilo, si poteva ritenere che la stabile organizzazione fosse
dotata di una “forza di attrazione piena”, quale polo di attrazione dei redditi
che l’imprenditore estero comunque ritraesse (anche) da altre fonti situate
nello Stato.
Al contrario, nella vigente disciplina, la stabile organizzazione si qualifica
come “particolare modalità di produzione” del reddito d’impresa,
considerato che, in via di principio assume rilievo impositivo nei suoi
confronti solo il reddito ad essa direttamente connesso.
L’art. 23, comma 1 lett. e) cit. t.u. 1986 n. 917 (e l’art. 151 che vi fa rinvio)
sono espliciti nel considerare imponibile in Italia il reddito d’impresa del non
residente (solo se) “derivante da attività esercitata nel territorio dello Stato
mediante stabili organizzazioni”.
O meglio: a tale “antica” “forza di attrazione piena” della s.o. rispetto alla
imposizione del reddito d’impresa del non residente, si è semmai sostituita
una “forza di attrazione limitata”, considerando che l’art. 23, comma 2 lett. i
t.u. 1986, n. 917 prevede la imponibilità in Italia delle “royalties”
“indipendentemente” dal fatto che l’imprenditore non residente operi in Italia
attraverso una s.o.
Analogamente tale “forza di attrazione limitata” è riscontrabile in relazione
alla imposizione delle plusvalenze e minusvalenze realizzate dalle società
non residenti “ancorché non conseguenti attraverso la stabile
organizzazione” (art. 151, comma 2 t.u. 1986, n. 917).
In ogni caso – al di là delle pur assai rilevanti ricordate eccezioni – principio
fondamentale è quello secondo il quale il reddito d’impresa del non residente
è assoggettato ad imposta nello Stato estero “ ma soltanto nella misura in cui
detti utili sono attribuibili alla s.o.” (art. 7, comma 1 Mod. OCSE art. 23 lett.
c) cit)).
216
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
Regola e principio, poi, espressamente ribadito nel Modello convenzionale in
relazione alla tassazione dei dividendi e degli interessi.
Ed infatti l’art. 10, comma 4 del Modello OCSE esclude che i dividendi si
considerino di fonte estera (con la conseguente inapplicabilità della norma
convenzionale) ove il “beneficiario effettivo” dei dividendi eserciti nello
Stato contraente ove ha sede la società che li distribuisce “un’attività
industriale o commerciale per mezzo di una s.o. ivi situata e la
partecipazione generatrice dei dividendi si ricolleghi effettivamente a tale
s.o.”.
Speculare previsione normativa è prevista dal successivo art. 11, comma 4 al
fine della imposizione degli interessi. Al riguardo si veda anche il comma 5
del medesimo art. 113.
Alla ricordata configurazione della s.o. quale “particolare modalità di
produzione” del reddito d’impresa si ricollega – quasi a mò di corrollario - il
principio del “trattamento isolato” del reddito (anche d’impresa) del non
residente che operi in Italia in totale mancanza di una s.o. oppure anche in
presenza di una sua s.o. ma con riferimento al reddito prodotto direttamente
dalla “casa madre” (senza l’intervento della sua s.o.)
In tali casi, la inesistenza di una s.o. o la non attribuibilità del reddito
prodotto alla attività della (pur esistente) s.o. comporta che l’imprenditore
non residente è comunque assoggettabile ad imposta in Italia, ma per così
dire “ad altro titolo” rispetto al reddito d’impresa, potendo essere titolare, a
seconda dei casi di reddito di capitale, di reddito fondiario o di un reddito
diverso.
Tale principio del “trattamento isolato” comporta quindi la possibile
esistenza di un imprenditore non residente, titolare di reddito riconducibile a
categorie diverse da quella d’impresa, quale eccezione al principio della
necessaria ed imprescindibile “vis atractiva” del reddito d’impresa, (a questo
punto) limitata ai soli imprenditori residenti.
In forza delle considerazioni che precedono, appare quindi del tutto
censurabile la Giurisprudenza della Suprema Corte 4 che ha ritenuto che una
3
L’art. 11 comma 4 e 5 così prevedono: “le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 non si
applicano nel caso in cui il beneficiario effettivo degli interessi, residente di uno Stato
contraente, eserciti nell’altro Stato contraente dal quale provengono gli interessi,
un’attività commerciale o industriale per mezzo di una stabile organizzazione ivi
situata. …………………………………………..e il credito degli interessi si ricolleghi
effettivamente ad essa. In tal caso sono applicabili le disposizioni dell’art. 7.
“Gli interessi si considerano provenienti da uno Stato contraente quando il debitore è
un residente di detto Stato. Tuttavia, quando il debitore degli interessi, sia esso
residente o no di uno Stato contraente, ha in uno Stato contraente una stabile
organizzazione per le cui necessità viene contratto il debito sul quale sono pagati gli
interessi e tali interessi sono a carico della stabile organizzazione, gli interessi stessi
si considerano provenienti dallo Stato in cui è situata la stabile organizzazione”.
4
Cassazione 21 aprile 2011, n. 9197 in Fisco on line
217
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
Banca non residente, priva di stabile organizzazione in Italia, non fosse
soggetta ad imposizione in Italia sugli interessi di fonte italiana, per
mancanza del presupposto di territorialità (articolo 20, ora articolo 23, del
Testo unico), argomentando che, per i non residenti, i redditi derivanti da
attività commerciali sono tassabili in Italia solo se conseguiti per il tramite di
una stabile organizzazione (articolo 23, lettera f), del Testo unico). In realtà
tale banca estera poteva legittimamente essere considerata titolare di redditi
di capitale. 5
Il ricordato principio del “trattamento isolato”, è desumibile dalle regole che
attengono alla imposizione dei non residenti (siano essi persone fisiche o
società ed enti: art. 3 e 23 e art. 153 t.u. 1986, n. 917) che sono comunque
assoggettati ad imposta in Italia per tutti i redditi ivi prodotti, applicandosi il
principio della necessaria qualificazione del reddito prodotto “come
d’impresa” solo per le società di persone (art. 5 comma 3 t.u. 1986, n. 917 e
ancor più chiaramente: art. 81) e società di capitali residenti, laddove le
società non residenti (come abbiamo considerato) possono essere titolari
anche di redditi diversi da quelli d’impresa.
1.3
Giova a questo punto considerare che la applicazione congiunta, da una parte
del principio del “trattamento isolato” del reddito e, dall’altra della
“attuazione” nella categoria reddito d’impresa solo del reddito prodotto nello
Stato attraverso una s.o., comportano che i proventi corrisposti da un soggetto
residente alla ivi presente s.o. di un non residente, subiranno il regime
impositivo (ad esempio in materia di ritenute alla fonte) dei percettori
residenti, laddove se distribuiti direttamente alla “casa madre” senza il
tramite (della pur esistente) s.o. saranno considerati alla stregua di proventi
distribuiti a non residenti.
Si richiama al riguardo la già ricordata previsione degli artt. 10 e 11 del
Modello OCSE che escludono la applicazione delle indicate norme
convenzionali ove (rispettivamente) i dividendi o gli interessi siano distribuiti
o corrisposti alla s.o. nello Stato di un imprenditore estero.
La esclusione è evidentemente correlata alla circostanza che, in tal caso, i
dividendi e gli interessi si qualificano componenti del reddito d’impresa
nazionale della s.o. nel Paese, rilevante ai sensi dell’art. 7 del modello
convenzionale.
5
In proposito si veda Garbarino C. “Forza di attrazione della stabile organizzazione e
trattamento isolato del reddito in “Rassegna Tributaria” 1990, n. I, 427 e seguenti.
Giorgi S. “Il principio del trattamento isolato dei redditi e la c.d. “forza di
attrazione” della stabile organizzazione: problemi e proposte di soluzione in Aspetti
fiscali delle operazioni internazionali”, Milano, 1995, pag. 31 e seg.
218
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
Analogamente la disciplina interna (art. 26 e 27 d.p.r. 1973, n. 600) al fine
della applicazione del prelievo alla fonte (rispettivamente) “sugli interessi e
sui redditi di capitale” e “sui dividendi”, prevedono il medesimo trattamento
impositivo per tali redditi percepiti da residenti o da stabili organizzazioni in
Italia di non residenti.
2
La
territorialità
dell’imposizione
e
la
conseguente
configurazione della s.o. quale autonomo centro di imputazione di
“diritti ed obblighi fiscalmente rilevanti” e la sua necessaria “alterità”
fiscale rispetto alla casa madre, anche ove sussista una loro
identificazione dal punto di vista civilistico.
2.1
Nella fiscalità internazionale, in forza del principio di “territorialità”, ciascun
Stato assoggetta ad imposizione (quanto meno) i redditi prodotti nel proprio
territorio anche da parte di soggetti non residenti.
Tuttavia, per quanto attiene la determinazione del reddito d’impresa, al fine
della imposizione del non residente, il principio di territorialità richiede che
la produzione del reddito avvenga attraverso la presenza qualificata di una
sua s.o. nello Stato.
Ed infatti (come abbiamo visto), a livello convenzionale si prevede (art. 7,
comma 1 Modello OCSE) non solo che lo jus impositions è attribuito allo
Stato in cui è collocata la s.o. ma anche che il reddito prodotto sia qualificato
come “d’impresa” “soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili
alla stabile organizzazione”6.
Da quanto precede derivano, a mio avviso, le seguenti conseguenze
concernenti la imponibilità del reddito d’impresa del non residente.
La prima, attiene alla rilevanza esclusiva (al fine della imposizione di tale
reddito d’impresa), dell’apparato produttivo (più o meno complesso) definito
s.o.
La seconda, attiene alla qualificazione della s.o. come “impresa distinta e
separata” rispetto alla sua “casa madre” (o “sede centrale”).
Ed infatti, il comma 2 del medesimo art. 7 prevede (fra l’altro) che il reddito
della s.o. sia determinato alla stregua di una “impresa distinta ed autonoma”
“ed in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile
organizzazione”.
Sotto un terzo profilo, si consideri che tale “autonomia indipendenza e
distinzione” della s.o., è ribadita anche in relazione alla applicazione del
fondamentale “Principio di non discriminazione” (art. 24, par. 3 Modello
Convezionale) secondo il quale “l’imposizione di una s.o. che una impresa di
uno Stato contraente ha nell’altro Stato, non può essere in quest’altro Stato
6
Vedi il testo dell’art. 7 del Modello Convenzionale riprodotto alla nota 1.
219
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
meno favorevole dell’imposizione a carico delle imprese di detto altro Stato
che svolgono la medesima attività”.
Da quanto precede si delinea un quadro complessivo nel quale la s.o. si
configura quale “centro di imputazione di situazioni fiscalmente rilevanti”,
autonomo e diverso rispetto alla “casa madre” (o alla “sede centrale”): tale
s.o. nel Paese in cui è collocata, non può essere destinataria di un regime
impositivo “discriminato” rispetto a quello di imprese analoghe.
2.2
La impostazione che precede evidenzia che la determinazione del reddito
della s.o., oltre che condividere, in un profilo di astratta parità, la “fiscalità”
delle imprese residenti, si trova anche a dover affrontare i non agevoli risvolti
impositivi riconnessi alla circostanza che la s.o. (quanto meno nella sua
configurazione “materiale”) dal punto di vista civilistico “appartiene” alla
casa madre, dalla quale, invece, dal punto di vista fiscale si qualifica come
“impresa distinta e separata” che agisce “in piena indipendenza” da essa
(art. 7 comma 2 mod. OCSE)
Sotto questo profilo, quindi, al fine della determinazione del reddito della
s.o., tenuto conto della sua “autonomia e distinzione” rispetto alla “sede
centrale”, si presentano tutti i risvolti problematici che caratterizzano i
rapporti fiscali “di gruppo”: primi fra tutti quelli afferenti i “prezzi di
trasferimento” di beni e servizi fra casa madre e s.o., la “deducibilità dei costi
promiscui”, sostenuti dalla “casa madre” nell’interesse delle s.o. (o viceversa)
(quali ad es.: spese generali, spese di direzione, spese di ricerca), la
“utilizzazione da parte delle s.o. di beni immateriali” (ad es. brevetti)
appartenenti alla casa madre (o viceversa).
Profili, quindi, che richiamano quelli propri dei rapporti “inter company” per
di più tenuto conto che, in questo caso (a differenza di quanto avviene per i
Gruppi di società) si pongono (sempre per quanto attiene la s.o. “materiale”)
nell’ambito di un unico soggetto (non solo “economico” ma) anche
“giuridico”, quale è la casa madre (o la sede centrale) e la sua s.o. all’estero:
si pensi ad esempio uno stabilimento produttivo in Italia di una società avente
sede principale all’estero.
In tal modo, fra casa madre e s.o., si genera una “alterità fiscale” ed una
“contrapposizione di interessi fiscalmente rilevanti” pur in relazione alla
indubbia “unitarietà” civilistica dello stesso soggetto.
2.3
Nonostante la rilevanza di tali problemi, invano si cercherebbero specifici
strumenti normativi, sulla base dei quali pervenire in proposito ad affidabili
soluzioni impositive.
In particolare, la determinazione del reddito della s.o. rispetto alla “casa
madre” o alla sua “sede centrale”, oltre ad essere affidato al già ricordato
220
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
principio generale della “autonomia” della s.o. (prevista dall’art. 7 comma 2
cit.) e (all’altrettanto generale) principio di non “discriminazione” rispetto
alla imprese residenti (art. 24, comma 3 cit) trova sempre – a livello
convenzionale – supporti normativi solo nel disposto dell’art. 7, comma da 3
a 7.
In particolare, il comma 3 ribadisce la deduzione delle spese secondo il
generale principio di “inerenza”, da valutarsi in relazione al loro
sostenimento” per gli scopi perseguiti dalla stessa s.o.”.
Previsione di maggior dettaglio è rinvenibile nel disposto dei par. 4 e 5
dell’art. 77 cit, ove rispettivamente (comma 4) si attribuisce rilevanza – anche
ai fini convenzionali – ai criteri di imputazione degli utili (fra sede centrale e
s.o. o fra le diverse s.o. dei medesimi soggetti) e (comma 5) si esclude che
alla s.o. possa essere attribuito “un utile per il fatto che essa ha acquistato
beni o merci per l’impresa”: divieto, quest’ultimo che si ricollega alla stessa
definizione di s.o. configurandosi (in tal caso) una “attività meramente
preparatoria ed ausiliaria” (art. 5, comma 4 e art. 162, comma 4 lett. d) t.u.
1986, n. 917) che esclude la configurabilità di una s.o. quale “unità idonea a
produrre un reddito autonomo” (art. 5, comma 1)8.
Né risultato più affidabile condurrebbe la ricerca, nella disciplina interna, di
specifiche previsioni normative, idonee a supportare una (più) affidabile e
certa determinazione del reddito della s.o. specie per quanto attiene i suoi
rapporti con la “casa madre” o le altre s.o. dello stesso “Gruppo”.
Al riguardo, unico significativo riferimento normativo è rinvenibile nella
previsione dell’art. 14 (ora) ultimo comma dpr 1973, n. 600 che, con
riferimento sia alle s.o. in Italia di soggetti esteri, sia alla ipotesi speculare di
s.o. all’estero di soggetti residenti in Italia, prevede l’obbligo di “distinta
rilevazione” nelle scritture contabili dei “fatti di gestione” che interessano le
s.o., “determinando separatamente i risultati di esercizio di ciascuno di
esse”.
Previsione abbastanza generica che tuttavia appare in piena sintonia con il
modello convenzionale ove (art. 7, comma 1 e 2) si ribadisce la
“separazione” del reddito della s.o. da quella della “casa madre” e la sua
determinazione autonoma.
7
Tali paragrafi così prevedono: “Qualora uno degli Stati contraenti segua la prassi di
determinare gli utili da attribuire ad una stabile organizzazione in base al riparto
degli utili complessivi dell’impresa fra le diverse parti di essa, la disposizione del
paragrafo 2 non impedisce a detto Stato contraente di determinare gli utili imponibili
secondo la ripartizione in uso; tuttavia, il metodo di riparto adottato dovrà essere tale
che il risultato sia conforme ai principi contenuti nel presente articolo”.
“Nessun utile può essere attribuito ad una stabile organizzazione per il solo fatto che
essa ha acquistato beni o merci per procedere diversamente”.
8
Ed infatti la stessa definizione della s.o. individua nel mero “acquisto di beni” una
attività meramente preparatoria ed ausiliaria che esclude la configurabilità di una s.o.
(art. 5 comma 4 Mod. OCSE e art. 162 comma 4 lett. d) t.u. 1986, n. 917).
221
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
Evidentemente quali siano “i fatti di gestione” rilevanti al fine della “distinta
rilevazione” del reddito della s.o. e quali i criteri della loro valutazione è
affidato ai principi generali che governano la determinazione del reddito
d’impresa: primo fra tutti il principio di “attribuibilità” (delle componenti
positive) alla s.o. piuttosto che alla “casa madre”, di “inerenza” (pur quelle
negative) e di loro competenza temporale.
In particolare, al riguardo assumono rilevanza i criteri che sovraintendono la
determinazione dei “prezzi di trasferimenti” fra s.o. e casa madre, intesi quali
autonomi “centri di riferimento fiscalmente rilevanti” in due diversi Paesi,
posto che fra essi (come abbiamo visto) sussiste talora anche una “identità
soggettiva civilistica” che (invero) va ben oltre le ipotesi di (semplice)
“controllo” rilevanti ai fini della problematica del “transfer price” (art. 110,
comma 7 t.u. 1986, n. 917), riproducendo al riguardo (direi a maggior
ragione) tutta la problematica propria di “prezzi di trasferimento”.
2.4
L’oggetto della presente relazione è limitato alla individuazione dei criteri di
determinazione del reddito della s.o., quale conseguenza della sua funzione di
particolare criterio di “localizzazione” e di “modalità di produzione”
all’estero del reddito d’impresa.
Pertanto, mi si impone di non andare oltre nell’affrontare la specifica
casistica afferente tale determinazione, che qui mi limito ad enunciare
secondo quanto emerge dalla Giurisprudenza afferente (ad esempio) la
suddivisione territoriale del “reddito promiscuo” o la imputazione “pro
quota” del reddito complessivo (fra casa madre e s.o.) o la imputazione dei
c.d. “costi complessivi” (specie di regia) o la loro suddivisione “pro quota”,
così come consentito anche a livello Convenzionale dal par. 4 dell’art. 7 cit.9
3
Ai fini Iva: “funzione” e rilevanza della s.o.
Per mera completezza (esulando tale problematica dall’oggetto della mia
relazione), mi limito ad osservare che, ai fini Iva, in relazione al verificarsi
del suo presupposto territoriale (art. 7 d.p.r. 1972, n. 633) assumono rilevanza
i “soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato”, fra i quali è
9
Art. 7 par. 4: “Qualora uno degli Stati contraenti segua la prassi di determinare gli
utili da attribuire ad una stabile organizzazione in base al riparto degli utili
complessivi dell’impresa fra le diverse parti di essa, la disposizione del paragrafo 2
non impedisce a detto Stato contraente di determinare gli utili imponibili secondo la
ripartizione in uso; tuttavia, il metodo di riparto adottato dovrà essere tale che il
risultato sia conforme ai principi contenuti nel presente articolo”.
Si veda al riguardo, ad esempio: Cass. 1 agosto 2000, n. 10062 in Dir. Prat. Trib.Int.
2001, 512 e Dir. Prat. Trib., 2002, II, n. 483.
222
LA “FUNZIONE” DELLA S.O. E I CRITERI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL
SUO REDDITO
riconducibile “la stabile organizzazione (in Italia) di soggetto domiciliato e
residente all’estero limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute”
(art. 7 comma 1 lett. d) cit.).
Anche ai fini Iva, quindi, la s.o. si qualifica criterio di “localizzazione” o
particolare “modalità di produzione” delle operazioni imponibili.
In particolare, tale qualificazione soggettiva è rilevante per le “prestazioni di
servizi” (art. 7 ter d.p.r. 1972, n. 633) posto che per le “cessioni di beni” la
territorialità della imposizione è eminentemente correlata al criterio oggettivo
della collocazione territoriale dei beni immobili o mobili e per questi ultimi
(anche) del loro regime giuridico nazionale (art. 7 bis d.p.r. 1972, n. 633).
Le “prestazioni di servizi” (ai sensi dell’art. 7 ter cit.) invece sono soggette ad
Iva in quanto considerate “effettuate in Italia” se rese a s.o. in Italia di
soggetti non residenti o quelle rese da tali s.o. ma nei confronti di
committenti, non soggetti passivi 10.
A sua volta, ai sensi dell’art. 17, comma 3 e 4 d.p.r. 1972, n. 633, al fine della
attribuzione diretta degli obblighi o i diritti afferenti l’applicazione del
tributo, si distingue a seconda che il soggetto non residente sia privo in Italia
di s.o. ovvero tali prestazioni siano rese o ricevute per il tramite di una sua
s.o. in Italia (art. 17 comma 4 cit.).
Anche ai fini Iva, quindi (come per le imposte dirette), la s.o. esistente in
Italia si configura quale criterio di “localizzazione” della attività produttiva,
necessariamente assumendo rilevanza al fine della applicazione del tributo
solo le operazioni rese o ricevute per il tramite di una s.o. nel territorio dello
Stato (art. 17, comma 4 cit.).
Ne deriva che, anche ai fini Iva, le prestazioni di servizi, rese ad una s.o. di
un non residente o da tale s.o. sono considerate alla stregua di operazioni rese
(o ricevute) da soggetti residenti.
A mio avviso, da quanto precede deriva che, ove la “casa madre” estera, pur
possedendo in Italia una propria s.o., operi direttamente nello Stato (anche)
tramite un proprio “rappresentante fiscale”, quest’ultimo non potrà ritenersi
responsabile delle operazioni non “veicolate” suo tramite, essendo state
effettuate direttamente dalla s.o. che, proprio per averla posta in essere
direttamente, permane responsabile dell’attività svolta, alla stregua di un
soggetto residente.
10
E ciò in quanto sono considerati soggetti “stabiliti” in Italia, le imprese non
residenti “limitatamente” alle operazioni rese o ricevute da loro s.o. in Italia (art. 7
lett. d cit.)
223
Prof. Alberto Marcheselli
Professore Università di Genova e Torino
La prova della stabile organizzazione, tra diritto di difesa,
equa ripartizione del prelievo e cooperazione tra gli
ordinamenti tributari.
SOMMARIO: 1 Premessa. - 2 L’art. 162 Tuir tra definizione della fattispecie e assetto
degli oneri probatori. - 3 La prova presuntiva legale e la prova presuntiva semplice
della stabile organizzazione: equivoci terminologici sul concetto di “prova contraria”.
- 4 La stabile organizzazione come struttura di fatto: corollari procedimentali. - 5
(segue) Prova e motivazione: una relazione difficile, tra economicità dell’azione
amministrativa e garanzie. - 6 La stabile organizzazione come struttura di fatto:
corollari processuali, l’onere di allegazione. - 7 (segue) l’onere di contestazione tra
imparzialità e buona fede. - 8 (segue) Onere della prova, principio dispositivo e prove
d’ufficio della stabile organizzazione. - 9 Le prove utilizzabili: in particolare la
rilevanza indiziaria dello statuto sociale e della titolarità di partiva IVA. - 10 (segue)
prove indiziarie. - 11 (segue) i documenti. - 12 (segue) certificazioni delle società di
revisione e certificazioni amministrative: prove sufficienti o prove necessarie?
1 Premessa.
Come usuale rispetto ad altri temi del diritto tributario e comune
all’esperienza giuridica in genere, i temi afferenti il giudizio sul fatto, e, cioè,
la prova sono relativamente meno praticati nella riflessione giuridica.
Da un certo punto di vista ciò è comprensibile: le questioni interpretative in
senso stretto concernono le norme positive e le norme positive si occupano,
essenzialmente, della disciplina sostanziale delle materie: i problemi afferenti
la prova delle fattispecie di norma non sono (non hanno bisogno di essere)
disciplinati da norme ad hoc.
Ciò spiega perché, in termini relativi, vi sia una ampia sproporzione
quantitativa tra gli interventi concernenti il profilo sostanziale e quello della
prova1.
1
Tra gli autori che si sono occupati del tema della prova della stabile organizzazione,
senza pretesa di completezza: Consiglio - Nuzzolo, La nozione di stabile
organizzazione nel nuovo Tuir: analogie e differenze con il Modello OCSE e con le
Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia, in Fisco, 2004, 33,
5120; Della Valle, La nozione di stabile organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass. trib.
2004, 5, 1597 ss, in particolare al §9; Santi, I lineamenti della stabile organizzazione
materiale, in Fisco, 2004, 22, 3363 ss.; Lovisolo, La "stabile organizzazione", in
AA.VV, Corso di diritto tributario internazionale, coordinato da V. Uckmar, Cedam,
1999, 241; Del Giudice, La stabile organizzazione elemento determinante per la
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Oggetto di questo breve lavoro è, invece, proprio il tema della prova della
stabile organizzazione (d’ora inanzi, SO).
Dal punto di vista delle fonti normative, è evidentemente, ineludibile il
riferimento, per le fonti interne, all’art. 162 del Tuir, e, per quelle
internazionali, il riferimento all’art. 5 del Modello Ocse.
A prima lettura e superficialmente considerato, l’art. 162 contiene la
definizione di stabile organizzazione: esso, cioè, descrive circostanze di fatto
in presenza delle quali si ha una stabile organizzazione, o, detto in altri
termini, gli elementi costitutivi della fattispecie della stabile organizzazione.
E’ evidente che tra le norme sostanziali e il tema della prova vi è una stretta
relazione logico giuridica: le norme che definiscono le fattispecie
determinano i fatti che debbono essere provati perché si verifichino gli effetti
giuridici.
Esemplificando: se un cantiere è una SO, provare l’esistenza di un cantiere
significa provare il presupposto dell’effetto giuridico proprio della SO.
I due piani sono, tuttavia, nettamente distinti sul piano concettuale: una
questione è quali siano i fatti da provare (e questo dipende dalla definizione
delle fattispecie), un’altra come si possano in concreto provare quei fatti e,
prima ancora, su chi gravi il rischio della mancata prova.
Oggetto delle presenti riflessioni sono proprio questi ultimi due profili: la
disciplina dell’onere della prova (chi deve provare cosa, o, più esattamente,
tassazione del reddito d'impresa di soggetti non residenti, Inserto de "il Fisco" n.
10/1983, pag. 1251; Del giudice, La stabile organizzazione nel diritto interno, nel
diritto convenzionale e nelle Convenzioni stipulate dall’Italia, in Fisco, 2008, fasc.
45, 8011 e ss.; Cerrato, Considerazioni in tema di stabile organizzazione ai fini
dell'Iva e delle imposte sui redditi, in Giur. it., 1998, 829 s.; Gentilli, L'onere della
prova in tema di doppia imposizione, , in Dir. prat. trib., 1986, II, pag. 662;
Adonnino, L'individuazione della stabile organizzazione e la prova della sua
esistenza, in "Riv. dir. trib.", 1998, pagg. 106; Pozzo, Requisiti necessari per la
sussistenza di una stabile organizzazione di soggetti non residenti, in Riv. giur. trib.,
1998, 266, ss. e Pistone, Stabile organizzazione ed esistenza di società figlia residente
Dir. prat. trib., 1998, II, pagg. 361; Terlizzi, L'attribuzione della partita IVA
comporta l'esistenza di stabile organizzazione, in Diritto e Giustizia 2012, 1096;
Iavagnillo, Dall'attribuzione di partita iva non deriva la presunzione assoluta di
stabile organizzazione, in Corr. Trib., 2005, fasc. 27, 2166 ss.; Sirri –Zavatta, Stabile
organizzazione e valore sintomatico della partita IVA, in GT - Rivista di
Giurisprudenza Tributaria, 2013, fasc. 1, 32 ss.; Centore, La «tormentata»
identificazione dei soggetti non residenti ai fini del rimborso dell'iva, in Corr. Trib.
2012, fasc. 44, 3387 ss.; Manzi, Stabile organizzazione , Iva e Modello Ocse: la
Suprema Corte consolida la propria giurisprudenza, in Fiscalità Internazionale,
2007, fascicolo 1, 29 ss.; Gabelli – Rossetti, Stabile organizzazione personale: l’onere
della prova è a carico del Fisco, in Fisco, 2012, 3, 432 ss.; Boccalatte Tomassini, L’agente non è una branch, in “Il Sole-24 Ore, Norme e tributi” del 5
dicembre 2011; Piazza - Della Carità, Quando il commissionario agisce come stabile
organizzazione?” in Corr. Trib. 2011, fasc. 5, 365 ss.; Furlan Colucci, Il principio di
«sufficienza probatoria» a servizio del beneficiario effettivo, in Fiscalità e commercio
internazionale, 2012, fasc. 12, 29 ss.
226
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
la regola di giudizio che stabilisce chi perde la lite se la circostanza non è
provata) e la disciplina della prova (quali strumenti di convincimento
possono utilizzarsi allo scopo).
La ragione di interesse di una tale trattazione non è tanto nel fatto che
esistano regole particolari che regolano tali aspetti quanto alla SO, quanto
nell’esame del modo di atteggiarsi dei principi e regole generali, comuni,
rispetto alla fattispecie, particolare della SO.
Il tema in esame corrisponde a un interrogativo pratico: quando la mancata
prova della sussistenza della SO giova o lede il contribuente? Quali strumenti
possono servire a convincere Amministrazione e giudice della sussistenza o
insussistenza di essa?
2 L’art. 162 Tuir tra definizione della fattispecie e assetto degli oneri
probatori.
Venendo quindi al dettaglio, il punto di partenza, come sopra si diceva, non
può che essere l’art. 162 Tuir.
Che esso contenga la definizione sostanziale della SO è pacifico.
Punto, tuttavia, da chiarire è se esso contenga solo la definizione sostanziale
della SO o anche elementi incidenti su onere e mezzi di prova2.
In effetti, in dottrina, non manca chi ritiene che, all’interno della norma, vi
siano disposizioni il cui effetto sarebbe rilevante nel campo della prova.
Si è così rilevato3 che il comma 2 dell'art. 162, analogamente al paragrafo 2
dell'art. 5 del Modello OCSE, conterrebbe un'elencazione di ipotesi concrete
2
Distingue assai lucidamente il giudizio di diritto sulla SO da quello di fatto sulla sua
concreta sussistenza Cass. civ. Sez. V, Sent., 28-06-2012, n. 10802, che, si segnala,
tra l’altro, per una distinzione particolarmente perspicua, quanto ai motivi di diritto di
ricorso in cassazione, violazione e falsa applicazione della legge.
3
Consiglio - Nuzzolo, La nozione di stabile organizzazione nel nuovo Tuir: analogie
e differenze con il Modello OCSE e con le Convenzioni contro le doppie imposizioni
stipulate dall'Italia, in Fisco, 2004, 33, 5120. Analogamente Della Valle, La nozione
di stabile organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass. trib. 2004, 5, 1597 ss, in particolare
al §9, che osserva che “si è peraltro sopra rilevato che, quanto alla positive list di cui
al comma 2 dell'art. 162, è preferibile attribuirgli la funzione di esonerare
l'Amministrazione finanziaria, in presenza delle fattispecie ivi elencate, dall'onere di
provare le circostanze di fatto su cui si basa la configurabilità di una stabile
organizzazione materiale (esistenza di una sede d'affari, sua fissità, ed esercizio suo
tramite dell'attività d'impresa). In presenza dunque delle anzidette fattispecie l'onere
della prova, come si è appena evidenziato ordinariamente facente capo
all'Amministrazione finanziaria (quando la stabile organizzazione viene in
considerazione onde consentire la tassazione, nel nostro Paese, dell'impresa non
residente), si ribalta sul contribuente; ne consegue che spetta a tale soggetto
dimostrare che le strutture di cui al comma 2 dell'art. 162 non presentano i requisiti
di cui al comma 1 della stessa disposizione e, tra questi, in particolare la permanenza
e/o la strumentalità.”. Santi, I lineamenti della stabile organizzazione materiale, in
Fisco, 2004, 22, 3363 ss., rileva invece che l’onere della prova, almeno a livello di
Modello Ocse, incomberebbe comunque sul soggetto che ha interesse all’effetto
giuridico che dipende dalla sussistenza della SO (l’A.F. se dalla SO dipende
227
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
che possono configurare una stabile organizzazione e che, secondo parte della
dottrina, l'effetto di tale disposizione sarebbe quello di invertire l'onere della
prova a carico del contribuente: in altre parole, le ipotesi elencate
identificherebbero sempre una stabile organizzazione a meno che il
contribuente non dimostri, nel caso concreto, l'insussistenza dei requisiti
generali di cui al paragrafo 1. E ciò, si dice da chi opina in tale senso, in
armonia con analoga struttura ed effetto che avrebbe il Commentario OCSE.
Si osserva, ancora, che l’esemplificazione non sarebbe tassativa:
l'Amministrazione finanziaria potrebbe dimostrare che una installazione non
compresa tra quelle indicate al comma 2 costituisce comunque, in concreto,
una stabile organizzazione.
Similmente, l'Amministrazione finanziaria italiana, dapprima in sede di
approvazione del Commentario OCSE e successivamente con la circolare n.
7/1496 del 30 aprile 1977, ha fin da subito affermato che gli esempi contenuti
nel Modello OCSE possono essere considerati ciascuno a priori una stabile
organizzazione, ammettendo per il contribuente la facoltà di dimostrare la
l’assoggettamento ad imposta): “Il paragrafo 2 dell'art. 5 del Modello di Convenzione
OCSE ed il comma 2 dell'art. 162 del Tuir contengono un elenco di fattispecie tipiche,
che possono dare luogo ad una stabile organizzazione nel territorio. Come chiarisce
il Commentario all'art. 5, gennaio 2003, punto 12, si tratta di una lista di esempi non
esaustiva, da valutare in ogni caso alla luce dei presupposti di cui alla definizione
generale data dal paragrafo precedente. Ne deriva, perciò, che spetta
all'Amministrazione finanziaria dimostrare comunque che l'installazione, ancorché
rientrante fra quelle elencate nel paragrafo in questione, possiede tutti i requisiti per
essere considerata quale stabile organizzazione del soggetto non residente (K. Van
Raad, The 1977 OECD Model, in "Intertax, 1991", pagg. 501-502; contra
Lovisolo, La "stabile organizzazione", in AA.VV, Corso di diritto tributario
internazionale, coordinato da V. Uckmar, Cedam, 1999, 241). L’autore osserva però
che la disciplina interna sarebbe differente: ”Il nostro Paese, tuttavia, ha espresso
formalmente il proprio dissenso da tale ultima impostazione, formulando una riserva
a questo proposito e precisando che avrebbe ritenuto sempre ed in ogni caso a priori,
quali stabili organizzazioni, le fattispecie indicate nella disposizione in rassegna
(Osservazioni sul Commentario all'art. 5, gennaio 2003, punto 43 ed anche circolare
30 aprile 1977, n. 7/1496, in banca dati "il fiscovideo"). Come non si è mancato di
sottolineare (Del Giudice, La stabile organizzazione elemento determinante per la
tassazione del reddito d'impresa di soggetti non residenti, Inserto de "il Fisco" n.
10/1983, pag. 1251), si tratta comunque di una presunzione relativa, da cui consegue
una sostanziale inversione dell'onere della prova, nel senso che spetta al contribuente
il compito di dimostrare che nella specifica ipotesi non si configura una stabile
organizzazione, per carenza dei presupposti generali enucleati nel paragrafo 1
dell'art. 5 (in quanto, ad esempio, l'installazione considerata non viene utilizzata
dall'impresa per l'esercizio della propria attività, ovvero presenta un carattere
saltuario), o perché fattispecie enucleata fra le eccezioni di cui al successivo
paragrafo 4.
Analogo disallineamento tra Modello Ocse, nelle versioni più recenti e disciplina
interna, viene ravvisato anche da Del giudice, La stabile organizzazione nel diritto
interno, nel diritto convenzionale e nelle Convenzioni stipulate dall’Italia, in Fisco,
2008, fasc. 45, 8011 e ss.
228
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
carenza dei presupposti indicati nel paragrafo 1 dell'art. 5 ovvero la
sussistenza di una delle ipotesi enucleate al successivo paragrafo 4.
Tale impostazione è corretta?
In effetti, anche rimanendo nel perimetro della norma dell’art. 162 Tuir, il
rapporto tra commi 1, 2 e 4 è piuttosto complesso, ma, lo diciamo subito, la
conclusione appena indicata non ci convince.
Due dati di partenza sono pacifici, e di segno opposto. Il primo è che la
norma non contiene alcun riferimento espresso al tema della prova: né sotto il
profilo dell’onere né sotto quello dei mezzi relativi. Il secondo è che,
ovviamente, definendo la fattispecie, quantomeno l’effetto indiretto sopra
descritto sui temi della prova tale norma lo ha comunque (determinare cosa
va provato).
Il problema è, allora: come giustificare l’affermazione della inversione
dell’onere della prova, sopra indicata?
In effetti, l’inversione dell’onere della prova, rispetto a quanto implicato dalle
regole generali stabilite dall’art. 2697 c.c. non potrebbe che derivare da una
norma speciale e tale norma nell’art. 162 non si ravvisa: essa non stabilisce
affatto chi deve provare cosa, né chi subisca effetti negativi dalla mancata
prova di determinate circostanze.
Ciò però, non ostanti le apparenze, non esclude ancora che dalla disposizione
non possano trarsi le conseguenze ipotizzate dalla dottrina sopra citata.
Esiste, infatti, una possibile via alternativa, una sola ancora, che giustifichi
tale conclusione.
Come noto, la regola dell’art. 2697 c.c. impone che chi vuol far valere un
diritto ne provi i fatti costitutivi, mentre chi vi si oppone ha l’onere (nel senso
di rischio della mancata prova sopra delineato) di provare di provare i fatti
che hanno modificato, impedito o estinto il diritto4.
Ebbene, la tesi in esame può giustificarsi, anche negando all’art. 2697 la
natura di norma sulla prova, se si riesce a dimostrare che essa prevede fatti
costitutivi della stabile organizzazione, da un lato, e fatti impeditivi (o
modificativi o estintivi), dall’altro.
A ben vedere, tale tesi non regge, a nostro modesto avviso: affermare che il
contribuente deve dimostrare che la struttura “non è strumentale” (nel quadro
del comma 1) o è solo un deposito (nel quadro del comma 4) dovrebbe
significare che la non strumentalità è… un fatto impeditivo del verificarsi di
una SO o che tale è l’essere un… deposito.
A nostro avviso sarebbe palese la forzatura: la strumentalità è il “nocciolo
duro” del concetto di SO (e non la sua insussistenza un fatto impeditivo del
relativo effetto giuridico!) e il fatto che una certa struttura sia un deposito non
impedisce, né modifica né estingue gli effetti della SO: un deposito non è una
SO.
4
Sulla quaestio diabolica della distinzione tra i fatti impeditivi e quelli costitutivi, in
particolare, si veda, in termini approfonditi e con un’amplissima panoramica sulla
dottrina SENOFONTE, Il fatto impeditivo in Rivista trimestrale di diritto e procedura
civile, 1978, 1525 e ss. part. 1548 e ss.
229
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Ci pare che tali impostazioni cadano, forse, in un equivoco: si tratta di
elementi del presupposto e della fattispecie, che vengono descritti in una
costruzione, per così dire, “modulare”. Il primo comma contiene la
definizione generale, il comma 2 fornisce alcuni esempi e il comma 4 e 5
ritagliano la fattispecie con delle esclusioni: sono tutte disposizioni che
definiscono, in positivo e in negativo il fatto costitutivo: tutte circostanze
oggetto dell’onere della prova di chi vuole ottenere l’effetto: se dalla
sussistenza della SO consegue l’obbligo tributario, è l’A.F., come vedremo
tra poco, a doverle provare5.
Opinare il contrario equivarrebbe, per ricorrere a un esempio icastico, a
ipotizzare che, se la norma sull’omicidio prevedesse la punizione per chi
cagiona la morte di un essere vivente e poi precisasse che il reato non sussiste
se la vittima non è un essere umano, a ritenere che al Pubblico Ministero
basterebbe provare la morte di un vivente, dovendo l’imputato dimostrare che
si trattava di un …tacchino da fare arrosto.
Si può solo concedere che, di norma, le fattispecie del comma 2 hanno la
caratteristica della strumentalità di cui al comma 1 e, quindi, in fatto, se si
prova una sede di direzione, essa, forse normalmente, è strumentale e stabile.
Ma non si tratta assolutamente di una inversione dell’onere della prova a
favore del Fisco (che richiederebbe una fonte legale, che non esiste), ma di un
dato normalmente presente, che, al limite, può essere presunto (in via di
ragionamento) dal giudice.
3 La prova presuntiva legale e la prova presuntiva semplice della
stabile organizzazione: equivoci terminologici sul concetto di “prova
contraria”.
Ciò introduce a una questione, endemica nel diritto e assai importante, che
corrisponde alla tendenza della giurisprudenza a riportare nell’ambito
dell’onere della prova tutta una ampia serie di questioni che, a ben vedere,
non hanno alcun titolo di rientrarvi, rispetto al tema della SO, e più in
generale.
Si pensi ad esempio, oltre che a quanto appena visto a proposito di SO, alla
giurisprudenza in materia di distribuzione degli utili nelle società a ristretta
5
A livello di Modello OCSE le conclusioni paiono le medesime. Il Commentario, al
punto 12 sub art. 5, afferma, rispetto al paragrafo 2 dell’art. che “12. This paragraph
contains a list, by no means exhaustive, of examples, each of which can be regarded,
prima facie, as constituting a permanent establishment. As these examples are to be
seen against the background of the general definition given in paragraph 1, it is
assumed that the Contracting States interpret the terms listed, “a place of
management”, “a branch”, “an office”, etc. in such a way that such places of
business constitute permanent establishments only if they meet the requirements of
paragraph 1.” E, successivamente, configura il § 4 in termini di eccezioni sostanziali
alla definizione della SO
230
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
base azionaria e a tante altre ipotesi in cui motivazioni e massime delle
sentenze sono costruite secondo la struttura: data la ristretta base azionaria e
la scoperta dell’evasione della società è legittimo l’accertamento a carico del
socio se questo non dimostra il contrario6.
Se ci si arresta alla espressione formale di tali orientamenti dovrebbe rilevarsi
la sussistenza di una giurisprudenza formalmente e sostanzialmente
implausibile, visto che assume inversioni dell’onere della prova in assenza di
norma che le prevedano. Esiste, tuttavia, la possibilità di sdrammatizzare la
questione, quantomeno dal punto di vista sostanziale. L’affermazione circa il
carattere di presunzione legale relativa (e inversione dell’onere della prova)
in tutte queste ipotesi concerne, a quanto risulta dalle motivazioni, fattispecie
nelle quali l’illazione dell’Ufficio è comunque ragionevole (e quindi potrebbe
valere come presunzione semplice). Il riferimento alla presunzione legale, per
quanto espresso, non sorregge quindi necessariamente la decisione: questa
parte delle motivazioni si presta a una “reinterpretazione” che le riporti a
fondamenti condivisibili: se il ragionamento dell’Ufficio vale in realtà come
convincente presunzione semplice, il riferimento alla presunzione legale
potrebbe essere, in realtà, una scorciatoia motivazionale (più facile riferirsi al
valore legale della presunzione che motivare sulla ragionevolezza
dell’induzione: nel primo caso basta una clausola di stile “si tratta di
presunzione legale”, nel secondo occorrerebbe una motivazione distesa). Se è
così, il riferimento alla prova contraria serve a sottolineare che, senza i dati
ulteriori che solo il contribuente può offrire, la prova (della SO, della
distribuzione degli utili, ecc.) può dirsi raggiunta. In questa prospettiva non di
presunzione legale e prova contraria si tratterebbe, nella sostanza, ma di
prova sufficiente in base al contesto (la presunzione semplice dell’Ufficio) e
di controprova fondata su allegazioni ulteriori (da parte del contribuente).
Molto cambia tra le due configurazioni, formalmente, ma molto meno, in
pratica, rispetto al caso concreto: l’accertamento resta fondato se il
contribuente non offre elementi ulteriori cui l’Ufficio non può giungere.
La distinzione tra l’ipotesi della presunzione legale e quella semplice, poi, per
quanto sottile, è tutt’altro che insignificante, e, se ci si sposta sul piano
generale, parecchio dannosa, atteso che eleva a regola probatoria quella che è
una semplice illazione propria del caso concreto esaminato.
La corretta ricostruzione, in termini di ragionevolezza e buon senso empirico,
del fenomeno delle presunzioni è tutt’altro che insignificante, visto che è il
corretto presupposto per elaborare le strategie di difesa del contribuente (oltre
che attuare un prelievo tributario giusto).
Il fondamentale punto di attacco, per il contribuente, è evidentemente la
attendibilità della presunzione. Si può in proposito anche parlare di “prova
contraria”, ma, ove si utilizzi tale sintagma, deve tenersi ben presente che non
si tratta di una attività cui la parte è legalmente onerata, senza la quale, per
diretta norma di legge, ella sarebbe soccombente sull’accertamento del
singolo fatto, ma nel senso più vago di “argomentazione contraria a quella
6
Ex plurimis, Cass. civ. Sez. V, Sent., 29-05-2013, n. 13294.
231
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
formulata dall’Ufficio”. La differenza tra la prova contraria alle presunzioni
legali e questa attività difensiva può non essere immediatamente evidente. E,
infatti, nelle motivazioni degli accertamenti e delle sentenze essa è
sistematicamente trascurata. Essa però è importante, in pratica. In effetti, tutte
le volte che la presunzione semplice dell’Ufficio sia a tutta prima plausibile,
in un certo senso la contraria argomentazione del contribuente può apparire
“necessaria”, così come quella della parte onerata da una inversione
dell’onere della prova in senso stretto (se essa non “vince” la presunzione
legale, perde il ricorso). Da altro punto di vista le due situazioni (presunzioni
semplici o legali) potrebbero sembrare simili anche per un motivo inverso.
Una necessità di offerta di prova contraria da parte del contribuente, a ben
vedere, in termini rigorosamente giuridici, non esiste, in via assoluta, neppure
nel caso di presunzione legale: ben potrebbe, a stretto diritto, il giudice
ritenere superata la presunzione legale (e, a maggior ragione, quella
semplice), sulla base di una opposta presunzione semplice valorizzata
d’ufficio dal giudice medesimo. Giunti fin qui si potrebbe dire: presunzioni
semplici ragionevoli e presunzioni legali sono equivalenti: di regola o il
contribuente offre una prova contraria o perde il ricorso. Eccezionalmente,
sia nell'uno come nell'altro caso, la prova contraria potrebbe essere trovata
dal giudice in una presunzione semplice che il giudice attiva senza
sollecitazioni delle parti (esempio: si presumono certi ricavi sulla base
dell'andamento del commercio in un certo settore economico, ma dagli atti il
contribuente risulta essere stato malato: il giudice ben potrebbe, anche
d'ufficio, dalla malattia (purché essa sia stata allegata agli atti e sia provata o
non contestata) desumere un più basso livello di ricavi, sia che essi fossero
stati presunti per legge o solo in via di ragionamento).
L'equivalenza tra le due situazioni, però, è solo apparente e questo è un
profilo, pratico, che spesso sfugge. L'illazione contenuta nella presunzione
semplice potrebbe aver convinto l'Ufficio ma potrebbe benissimo non
convincere il giudice: se si tratta di presunzione semplice ciò può avvenire,
anche senza che sia offerta una prova contraria e anche se non sia contestata
dal contribuente. Il giudice potrebbe non ritenere sussistente la SO, perché
non è convinto dal ragionamento dell’Ufficio, indipendentemente dal fatto
che il contribuente abbia offerto elementi ulteriori.
Se, invece, si tratta di presunzione legale, l'illazione vincola il giudice, e può
essere vinta solo dalla prova contraria. Le chances difensive del contribuente
sono più ampie nel caso di presunzioni semplici: esse devono convincere
anche il giudice( che deve verificare se il ragionamento che le sostiene la
conclusione della esistenza della SO sia ragionevole, anche senza prove
contrarie) e il contribuente può contestarle (senza averne l'onere, si ribadisce)
anche senza fornire prove contrarie (solo contrapponendo argomenti che
dimostrino che il ragionamento non regge, in quanto illogico o implausibile,
in sé). La difesa del contribuente contro le presunzioni semplici non passa
quindi propriamente attraverso una prova contraria, sia nel senso che essa
non è un oggetto di un onere, sia nel senso che a volte essa non è neppure una
prova, ma solo una argomentazione che contrasta la prova (non è necessario
allegare dei fatti, può bastare sostenere che il ragionamento non è plausibile).
232
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Il contribuente può, quindi, difendersi da un accertamento fondato su una
presunzione semplice (in materia di SO, o in qualsiasi altra materia) facendo,
essenzialmente, tre cose (cumulativamente o alternativamente):
a) contestare
che il ragionamento presuntivo operato sia plausibile in sé;
b) contestare che
i fattori del contesto conoscitivo assunti dall'Ufficio come base della
presunzione (fatto noto) sussistessero nell’assetto allegato dall’Ufficio,
contestando la plausibilità della relativa prova, in sé;
c) allegare e provare
nuovi elementi del contesto incompatibili o con il fatto noto della
presunzione o con il suo risultato7.
La vicenda probatoria, invece, assume una scansione simile a una partita di
tennis: l'Ufficio “serve” con l'avviso di accertamento, il giudice verifica, in
7
Il contribuente può, ad esempio, contestare che, in un esercizio di ristorazione, al
numero x di tovaglioli mandati in lavanderia (rilevato a posteriori e a campione
dall'Ufficio) corrisponda la cifra y di ricavi. Per giungere a questo risultato il
contribuente può seguire diverse strategie argomentative. Nell'ambito del tipo a) sopra
descritto egli potrebbe contestare, in generale, che possa esistere una relazione tra
tovaglioli e ricavi. Oppure, nel quadro delle argomentazioni di cui al tipo b) e con
maggiore plausibilità, potrebbe contestare la prova del numero di tovaglioli (ad
esempio, ove l'Ufficio avesse rilevato il numero di tovaglioli in un certo giorno,
contestare che tale dato potesse costituire prova del numero di tovaglioli globale).
Oppure ancora, allegando e provando fatti ulteriori: o incompatibili con il fatto noto
(ad esempio provare che il ristorante è stato chiuso per sei mesi e quindi la proiezione
del numero di tovaglioli giornalieri su base annua è infondata), o con il fatto presunto
(ad esempio, producendo le distinte dei versamenti sul conto corrente bancario, che
presentino ricavi congrui con la presunzione ricavabile dal numero di tovaglioli nei
giorni in cui tale valore sia stato rilevato, maggiore in alcuni altri e inferiori in
moltissimi altri giorni: ciò rende non implausibile che i versamenti siano una
rappresentazione dei ricavi più fedele che non la presunzione). Si tratta, ovviamente,
di semplici esemplificazioni: egli potrebbe incidere su quelli che abbiamo definito i
parametri del contesto conoscitivo anche in altri modi (ad esempio dimostrando la
regolarità delle scritture, la sua diligenza, ecc.). Oppure, e ancora, può indicare altri
fattori (restando all’esempio della ristorazione, allegare e dimostrare una diversa
dinamica dei prezzi nel locale – per ragioni personali o di politica individuale dei
prezzi – o nella zona – per ragioni di assottigliamento del passaggio di clientela nel
quartiere e simili).
Coerente con le premesse poste fino qui è poi che anche per tale eventuale prova
contraria del contribuente è richiesto uno standard di attendibilità variabile in
relazione al contesto.
Solo nelle ipotesi di cui al tipo c) dello schema il contribuente, eventualmente, allega
delle prove. In nessuno dei tre casi, propriamente, assolve l'onere di una prova
contraria in senso tecnico. Ciò è contraddetto dalle ricorrenti massime della
giurisprudenza, secondo la quale, offerta la prova di una certa circostanza, spetterebbe
al contribuente, in forza di un onere in senso tecnico, provare il contrario (cfr Cass.
civ., sez. trib., 12 aprile 2010, n. 8691). Questo inquadramento concettuale operato
dalla giurisprudenza, inteso alla lettera, coglierebbe solo una parte delle possibili
difese (trascurando la possibile contestazione della plausibilità in sé della
presunzione) e sembrerebbe non inquadrarla correttamente, evocando la figura
dell'onere.
233
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
contraddittorio con il contribuente, se l'argomentazione pubblica è “stata
nelle linee” (le prove dell'Ufficio sono sufficienti in base al contesto) e, se
così è, il contribuente che intenda sottrarsi alla soccombenza, di regola, deve
rimandare la palla nel campo avverso con nuove prove contrapposte. Non c'è
un inversione dell'onere della prova in senso proprio e un onere di prova
contraria perché il giudice deve valutare se, rimanendo nella metafora, la
“battuta” del Fisco era “in campo” (eventualmente ma non necessariamente
alla luce delle contestazioni del contribuente).
Nel caso di inversione dell'onere della prova, per proseguire nella metafora è
come se il gioco cominciasse con il contribuente chiamato a servire con il
Fisco in vantaggio e con il match ball a disposizione. Se il servizio del
contribuente non è in campo (convince il giudice) la partita è persa (e lo è
anche se il Fisco risponde vittoriosamente).
Resta da riflettere sul perché un orientamento assolutamente consolidato della
giurisprudenza prediliga invece l'inquadramento nell'onere della prova
contraria, anche in casi concernenti la prova della SO (si vedrà ad esempio
più avanti a proposito della apertura di partita IVA). Come già accennato
sopra, tale fenomeno ha probabilmente una sua spiegazione nella tecnica
motivazionale. Assunto che l'illazione dell'Ufficio venga percepita come
ragionevole e plausibile in base al contesto, risulta più agevole motivare con
il sintetico richiamo all'esistenza di un onere contrario, non assolto, da parte
del contribuente, che non diffondersi sulle ragioni per cui la prova è da
considerarsi raggiunta. Se quanto precede è corretto, l'argomento ”se il
contribuente non assolve l'onere di prova contraria la circostanza deve
ritenersi provata” andrebbe, più propriamente, inteso come segue: “in base
agli elementi acquisiti dall'Ufficio sulla base di una istruttoria sufficiente la
circostanza è da considerarsi provata: poiché le argomentazioni del
contribuente non risultano convincenti e non risultano agli atti né vengono
offerti e provati dal contribuente altri fatti incompatibili, l'accertamento è da
considerarsi fondato”.
4 La stabile organizzazione come struttura di fatto: corollari
procedimentali.
Tanto premesso, risulta evidente che la SO è un elemento di fatto e che, come
tale ricade nella disciplina procedimentale e processuale propria dei fatti.
L’affermazione che precede non comporta, ovviamente, che la nozione di
stabile organizzazione sia indifferente alla disciplina giuridica: il fatto SO
giuridicamente rilevante è solo quello preso in considerazione dalle norme
giuridiche e da queste inquadrato nella nozione giuridica di SO, come sopra
si diceva.
Per altro verso, la sussistenza di una SO può ben dipendere da rapporti
giuridici (ad esempio, dal tipo di contratti che la struttura è incaricata di
concludere o amministrare).
Ma né l’uno né l’altro fattore impediscono la conclusione che la stabile
organizzazione (come definita dalle norme) è una entità (eventualmente
234
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
consistente o collegata a strutture, atti o negozi giuridici) che viene in
considerazione come oggetto di una disciplina giuridica, come presupposto di
effetti giuridici. Detto in altri termini, essa è un fatto giuridico.
Da ciò scaturisce una notevole serie di conseguenze.
Per esempio, che, una volta stabilito in cosa consista la nozione giuridica di
SO (che è un profilo di diritto), ove la esistenza, consistenza o inesistenza
della stabile organizzazione è presupposta da un provvedimento, essa rientra
nella area dei presupposti di fatto che sono contenuto indefettibile della
motivazione (ad es. art. 42 d.p.r. 600/1973) (54 d.p.r. 633/1972, art. 7 Statuto
del Contribuente) .
Allo stesso modo, la sussistenza della stabile organizzazione, una volta
risolto il problema, di diritto, di quale sia l’area della relativa nozione
(problema di diritto) costituisce oggetto del giudizio del fatto, anche davanti
agli organi giurisdizionali8. Con la conseguenza che, ove si contesti il cattivo
inquadramento del concetto giuridico di SO, si solleva un problema di diritto
(azionabile nel quadro dell’art. 3 dell’art. 360 c.p.c., nel giudizio di
cassazione). Mentre, ove si controverta della sussistenza, nella realtà
fenomenica, degli elementi che concretizzano la SO, si hanno questioni
attinenti la prova e la motivazione in fatto, apprezzabili senza limiti nei gradi
di merito, ma suscettibili di esame in grado di cassazione solo nei limiti della
ipotesi, radicale, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che
è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 360, n. 5, c.p.c.) o, se si
ritiene tuttora applicabile al giudizio tributario di cassazione il regime
previgente: per vizio di motivazione.
5 (segue) Prova e motivazione: una relazione difficile, tra economicità
dell’azione amministrativa e garanzie.
L’oggetto delle presenti riflessioni è limitato ai profili concernenti la prova e,
quindi, lo strumento che consente di convincere circa l’esistenza dei fatti e il
relativo onere (la regola di giudizio da adottare quando la prova del fatto non
sia raggiunta).
Può essere tuttavia utile, e di un certo interesse, soffermarsi brevemente sulla
connessa questione del rapporto con la motivazione, sia per ragioni di nitore
concettuale, sia per la rilevanza pratica della questione.
Sotto il primo aspetto, vi è stato chi ha autorevolmente e opportunamente
rilevato come, in particolare rispetto alla SO, l’area della motivazione e della
prova sarebbero concettualmente non sempre facili da distinguere9. In effetti,
8
Orientamento pacifico e consolidato nella giurisprudenza ad es. Cass., Sez. I civ., 19
settembre 1990, n. 9580, secondo cui "accertare se sussista una stabile
organizzazione [...] è compito del giudice di merito, che dal convincimento raggiunto
deve dare conto con corretta ed esauriente motivazione".
9
Così, Cerrato, Considerazioni in tema di stabile organizzazione ai fini dell'Iva e
delle imposte sui redditi, in "Giur. it.", 1998, 829 s. Della Valle, La nozione di
stabile organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass. trib. 2004, 5, 1597 ss, in particolare al
§9, osserva che “Con riferimento alla figura in oggetto, infatti, allorquando viene in
235
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
la prova è lo strumento che serve a convincersi della esistenza del fatto, la
motivazione è il discorso che esprime il fondamento dell’atto.
La motivazione, in senso proprio e giuridico, è il discorso giustificatorio, è un
contenuto del provvedimento, quella parte che serve a dare conto delle
ragioni della decisione: essa è una porzione dell'atto. La prova invece attiene,
strumentalmente, alla formazione del convincimento circa l'esistenza del
fatto, cui le norme debbono applicarsi. Sia che prova si intenda nel senso di
strumento di convincimento (con terminologia anglosassone, evidence) sia
che essa si intenda nel senso di ragionamento probatorio, operazione del
convincersi (con terminologia anglosassone, proof) è del tutto evidente che si
tratta di cosa ben distinta dalla motivazione: non solo la motivazione non si
esaurisce ai profili di fatto, ma essa viene dopo: una cosa è per l'Ufficio
raccogliere gli elementi di convincimento e convincersi (istruttoria e prova),
a priori, un'altra è spiegare le ragioni del provvedimento (motivazione), ex
post.
Si tratta, quindi, di due cose diverse sia per natura che per portata. La
motivazione è il discorso che esprime il fondamento del provvedimento. La
prova è lo strumento che serve ad accertare se esiste in concreto il
presupposto di fatto (documento, presunzione, testimonianza, ecc.). Entrambi
sono collegati al fondamento dell’atto, ma la motivazione è il discorso che
descrive il fondamento, la prova è lo strumento che consente di accertare che
sussiste il fondamento di fatto. Sotto il profilo della portata, la motivazione
comprende le ragioni giuridiche e quelle di fatto. La prova riguarda solo il
fatto.
Detto in altri termini, la distinzione sul piano concettuale permane, a nostro
avviso, chiara.
Ciò conduce poi all’altro profilo della questione, quello pratico, che
corrisponde all’interrogativo se, attesa la differenza tra motivazione e prova,
la prova debba essere enunciata nella motivazione.
La questione si presta ad essere affrontata in termini di principio e sul piano
della esegesi delle singole norme.
Sul piano del principio, la questione è se la funzione della motivazione
(controllo “sociale” della attività della Amministrazione Finanziaria, da un
lato, e tutela del contribuente) sia adeguatamente assolta anche se non siano
indicate le prove a fondamento del provvedimento. Entro certi limiti si tratta
di un giudizio di valore, quantitativo, opinabile. Si potrebbe anche ritenere
che il contribuente sia sufficientemente tutelato dal conoscere, prima del
considerazione ai fini della tassazione in Italia di un soggetto non residente, deve
rilevarsi come l'assenza di elementi probatori comporti automaticamente anche
l'insufficienza della motivazione. Ciò in quanto la nozione di stabile organizzazione,
come si è visto, risulta imperniata su elementi, oggettivi (esempio: base fissa,
cantiere, eccetera), soggettivi (esempio: la qualifica di imprenditore del soggetto cui
fa capo la stabile organizzazione) e funzionali (esempio: la strumentalità della sede
fissa d'affari), molto puntuali sicché la motivazione si compenetra con gli stessi
elementi probatori necessari per la dimostrazione dell'esistenza della stabile
organizzazione
236
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
giudizio, solo il cosa della pretesa e i fatti e le norme su cui essa si fonda, ma
non il come quei fatti sono stati accertati. E che la questione del come possa
essere sceverata e affrontata solo nel giudizio, essendo solo nel giudizio
l'Ufficio tenuto a scoprire le sue carte.
Tale soluzione appare del tutto insoddisfacente. L'Amministrazione
Finanziaria dispone di rilevanti e invasivi poteri istruttori, finalizzati alla
ricerca della materia imponibile: ritenere che possa omettere di darne conto
nel provvedimento di accertamento significa affermare che il contribuente
deve valutare al buio, rispetto a tali elementi, se procedere o meno alla
impugnazione. È ben vero che, posto che a) egli conosce il contenuto della
pretesa; b) egli conosce i fatti su cui la pretesa si fonda; c) l'onere di provare
la pretesa in giudizio spetta comunque all'Ufficio, il sacrificio delle sue
ragioni è limitato. Da un lato, gli vengono contestati fatti che lo concernono e
che, proprio per questo, egli conosce o può conoscere (egli, almeno di noma,
sa se il reddito effettivo è quello attribuitogli, egli sa se il fatto ascrittogli,
esempio, i ricavi accertati, sussiste o meno) e su cui sa difendersi. Dall'altro,
egli non ha l'onere di provare il contrario di quanto affermato dall'Ufficio,
ma, al contrario, è l'Ufficio a dover provare la sua pretesa.
Ciò non ostante, ritenere che la motivazione non debba contenere
l'indicazione delle prove (salvi i chiarimenti su cui tra poco) non convince.
Ciò corrisponde all'idea che il procedimento amministrativo non debba essere
trasparente quanto alla indicazione delle prove. Considerato che,
quantitativamente, la maggior parte delle questioni che sorgono da un
accertamento tributario concernono il quanto della ricchezza accertata, e,
all'interno di questo tipo di questioni, la porzione più rilevante concerne la
prova di tale ricchezza, ritenere che la motivazione possa omettere il
riferimento alla prova implica affermare che il provvedimento amministrativo
può rimanere opaco su questioni fondamentali. Se il giudizio sui necessari
contenuti della motivazione è un giudizio relativo che si regge su
considerazioni quantitative, appare necessario affermare che la motivazione
deve dare conto anche delle prove. Altrimenti essa non consente il controllo,
nella fase pregiurisdizionale, di una porzione rilevantissima della attività
della Pubblica Amministrazione. Tale conclusione appare in radicale
contrasto con il valore del giusto procedimento, che è anche procedimento
trasparente, quanto meno nel suo esito10, ritenuto ormai applicabile anche al
procedimento amministrativo tributario11.
Tale affermazione sarebbe abnorme in diritto, sotto diversi profili, in modo
talmente evidente da non richiedere una lunga argomentazione.
Intanto, l’Amministrazione Finanziaria dispone di rilevantissimi poteri
istruttori (artt. 32 ss. d.p.r. 600/1973 e 51 ss. d.p.r. 633/1972): se l’assunto
della sentenza significa che essa può emettere atti senza svolgere attività
istruttoria ed esercitare i poteri/doveri istruttori che le sono attributi, sarebbe
10
Può apparire invece giustificata l'opacità del procedimento nelle fasi preparatorie, e
su questo si fonda l'esclusione dei procedimenti tributari dalle regole sull'accesso agli
atti, nel corso della procedura, e soltanto durante essa. Si veda l'art. 24 l. 241/1990 e in
tema Cons. Stato, Sezione IV, Sent. n. 53 del 13 gennaio 2010.
11
Cassazione, SS. UU., 18 dicembre 2009, n. 26635.
237
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
macroscopicamente violato l’art. 97 Cost.: l’Amministrazione potrebbe
emettere provvedimenti non supportati dalla verifica della situazione di fatto,
salvo poi verificarsi in concreto se essi siano fondati o meno. Ciò sarebbe
l’esatto opposto dell’obbligo di imparzialità, costituzionalmente imposto, che
richiede che ogni provvedimento sia emesso solo a seguito di una completa e
oggettiva acquisizione dei fatti e degli interessi coinvolti. Quelli istruttori
sono poteri nei confronti dei contribuenti, ma sono doveri per
l’Amministrazione. Che un provvedimento emanato senza istruttoria possa
essere legittimo è affermazione contraria ai fondamenti del diritto
amministrativo, prima che tributario.
Ma questa impostazione sarebbe palesemente abnorme anche se avesse
voluto intendere che l’Amministrazione deve svolgere una istruttoria, ma può
tenerla segreta fino davanti al giudizio. Ciò sarebbe una violazione talmente
macroscopica degli art. 113 e 24 Cost. da non richiedere alcun
approfondimento. Il contribuente, non potendo conoscere le prove a
disposizione della Amministrazione, sarebbe sempre costretto alla scelta tra
a) non impugnare, non difendendosi oppure b) impugnare “al buio”, non
conoscendo le fonti di convincimento. Come possa ritenersi tutelato il diritto
del contribuente di valutare e determinare se e come esercitare il suo diritto di
difesa in sede giurisdizionale se le prove fossero segrete non è dato sapere.
La segretezza della prova non è solo non prevista da nessuna norma, ma
palesemente contraria ai principi.
A contrario, del resto, è da osservare che non si comprende quale valore
tutelerebbe l'opinione opposta. Il sacrificio delle ragioni di controllo
(pubblico e nell'interesse del diritto di difesa del contribuente) che consegue a
ritenere non dovuta la motivazione sulle prove non pare giustificato da
nessun valore significativo12, se non una lettura formalistica delle norme.
Valore significativo non è certo la sinteticità del provvedimento. Si noti, del
resto, che, se il valore fosse quello della speditezza, innanzitutto, l'indicazione
delle prove non comporterebbe un significativo allungamento dei tempi,
trattandosi della indicazione, nel corpo del provvedimento, di dati e
circostanze già tutti noti all'Ufficio (non si avrebbe cioè l'aggiunta di alcuna
fase processuale ulteriore). Non solo, ma risultando già dal provvedimento il
fondamento probatorio della pretesa, non sarebbe più necessaria analoga
discovery in sede processuale. La (lieve) maggiore complessità
dell'accertamento è compensata da minori oneri in sede processuale (visto
che le prove sono già state rivelate) e il bilancio si fa nettamente favorevole
alla discovery anticipata se si considerano i vantaggi in termini di trasparenza
e di concentrazione per le scelte difensive del contribuente.
Ciò posto, sul piano generale, va detto che, sul piano delle disposizioni
espresse, non esiste problema quanto alla materia dell'IVA, posto che l'art. 56
d.p.r. n. 633/1972 espressamente menziona gli elementi probatori, come
12
A differenza della esclusione dall'applicazione delle norme sugli accessi agli atti
durante il procedimento: esso, evidentemente, si giustifica con ragioni di cautela: se il
contribuente conoscesse le indagini del Fisco potrebbe sottrarre agevolmente la
materia imponibile.
238
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
contenuto della motivazione, quanto meno nei casi di accertamento di cui
all'art. 54. Indubbiamente, questo elemento letterale ha il suo peso nella
costruzione di argomentazioni giuridiche. E non è un caso che la
giurisprudenza tenda ad escludere che la prova debba essere menzionata nella
motivazione, con riguardo alle imposte sui redditi13, mentre lo ammette,
giocoforza, rispetto agli accertamenti dell'IVA14.
Per quanto tale orientamento sia proprio della Corte di Cassazione,
sussistono, secondo le considerazioni viste sopra, ampi e convincenti motivi
per il suo superamento, e ciò costituisce certamente un tema di tendenza nella
materia tributaria15.
Agli argomenti portati sopra, già di per sé cogenti, può anche aggiungersi, ad
abundantiam, che non si comprenderebbero le ragioni per cui tale garanzia
dovrebbe applicarsi poi, sulla base del dato letterale, alla sola IVA (o ai soli
accertamenti analitici dell'IVA): visti i valori in gioco e la sostanziale
equivalenza delle situazioni, tale impostazione aggiungerebbe al chiaro vizio
di violazione dei principi del giusto procedimento e della difesa del
contribuente, anche una radicale violazione del principio di uguaglianza.
Affermato che l'indicazione delle prove dell'accertamento deve essere, non
ostante le timidezze della giurisprudenza della Cassazione, un contenuto della
sua motivazione, resta ancora da stabilire se esso si estenda alla sola
indicazione degli elementi probatori (indicazione degli strumenti di
convincimento, della evidence) o comprenda anche la necessaria esposizione
del ragionamento probatorio (esposizione della proof). Non vi è dubbio che
la garanzia più piena sarebbe garantita dalla seconda interpretazione. Del
resto, rispetto alla motivazione delle sentenze, è del tutto pacifico che la
motivazione debba comprendere anche il ragionamento probatorio16. Il fatto
che la giurisprudenza muova, storicamente, dall'assunto, diametralmente
opposto, che configura l'avviso di accertamento come una mera provocatio
ad opponendum, un atto cioè finalizzato a provocare l'eventuale instaurazione
della lite, con baricentro della procedura nella fase giurisdizionale17, rende
13
Orientamento consolidato: Cassazione, Sezione tributaria, 5 agosto 2002, n. 11669;
Cassazione, Sezione tributaria, 17 novembre 2001, n. 15914; Cassazione, Sezione
tributaria, 11 agosto 2000, n. 10052; Id., 27 ottobre 2000, n. 14200.
14
Cassazione, Sezione I, 2 novembre 1992, n. 11879; Commiss. Trib. Centr. Sezione
XXIII, 15 gennaio 2003, n. 153; Comm. Trib. Prov. Salerno Sezione XIV, 30 ottobre
1996, n. 2143, in GT Riv. Giur. Trib., 1997, 884, nota di STESURI; Commiss. Trib.
Centr., 10 dicembre 1986, n. 9493, in Riv. Leg. Fiscale, 1987, 1187.
15
Nel senso di cui al testo: Comm. Trib. Prov. Milano Sezione XXXIV, 10 maggio
1999, n. 263, in Boll. Trib., 2000, 539 nota di ROSA.
16
Non sarebbe certamente adeguatamente motivata la sentenza che ritenesse la
responsabilità dell'omicidio limitandosi ad affermare che la prova “si ricava dalla
testimonianza di Tizio”.
17
Secondo Cassazione, Sezione tributaria, 22 agosto 2002, n. 12394 il provvedimento
di accertamento addirittura, non costituirebbe una decisione né sarebbe emesso sulla
base di un apprezzamento critico di fatti noti ad entrambe le parti ma sarebbe solo
l'estrinsecazione di una pretesa con un atto dai contenuti necessari e sufficienti per il
contribuente a decidere se resistere, impugnando. Cassazione, Sezione tributaria, 11
239
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
prevedibile che, almeno in una prima fase, sia più agevole ottenere sentenze
che riconoscano il diritto di difesa nella dimensione più ristretta, come onere
di motivare indicando (almeno) le fonti di prova18.
Tali considerazioni hanno poi una peculiare importanza rispetto alla materia
degli accertamenti presuntivi, che sono assolutamente fondamentali in
materia di prova della SO: ammesso che debba motivarsi sulla prova, in
essi deve indicarsi solo il fatto noto o anche la traiettoria che da esso fa
presumere il fatto da provare? Il quesito corrisponde, almeno parzialmente, a
quello appena proposto: non vi è dubbio che ritenere l'Ufficio onerato di
svolgere distesamente il ragionamento garantisca la piena tutela. Si pensi ad
esempio a un accertamento fondato su percentuali di ricarico: ritenere
sufficiente l'indicazione delle fonti di prova significa che è necessaria solo
l'indicazione dell'ammontare del venduto, della percentuale di ricarico e di
tutti i dati utilizzati, o anche la spiegazione dei criteri e ragionamenti
praticati? Le considerazioni svolte sopra potrebbero portare la giurisprudenza
a ritenere sufficiente l'indicazione del fatto noto, tenuto anche conto del fatto
che, quando si tratta di presunzioni, il collegamento tra esso e il fatto da
provare dovrebbe essere rappresentato da massime di buon senso, di
esperienza, patrimonio condiviso che potrebbe ritenersi non necessario
esplicitare. Tale soluzione è espressamente prevista per l'IVA dal comma 2
dell'art. 56, che prevede l'indicazione del fatto noto. La giurisprudenza ha
ritenuto che, nel caso di accertamenti standardizzati, sarebbe sufficiente
l'indicazione nel provvedimento del parametro utilizzato19.
Va tuttavia segnalato, specie nella giurisprudenza di merito, un assai lodevole
orientamento più restrittivo, che talora è affiorato nella giurisprudenza e
meriterebbe di essere ripreso, e che ritiene che tutto il percorso indiziario, sia
pure, sinteticamente espresso, debba essere già contenuto nel provvedimento
dell’Ufficio20.
agosto 2000, n. 10052. Si tratta di orientamenti che non appaiono in linea con l'attuale
evoluzione del procedimento tributario.
18
Comm. Trib. Prov. Salerno Sezione XIV, 30 ottobre 1996, n. 2143, in GT Riv. Giur.
Trib., 1997, 884, nota di STESURI.
19
Cassazione, Sezione tributaria, 4 novembre 2008, n. 26458. In questi casi, peraltro,
il fondamento di buon senso della presunzione è rafforzato dal fatto che si tratta di
elaborazioni standardizzate e quindi la conclusione potrebbe non essere esportata
automaticamente alle presunzioni operate volta per volta.
20
Così, CT regionale della Lombardia con sentenza 16 dicembre 1999 - 24 marzo
2000, citata nella motivazione di Cass. civ. Sez. V, 06-12-2002, n. 17373: “pur
potendo avvalersi di presunzioni, anche semplici, senza ricorrere all'accertamento in
via diretta, sulla base delle dichiarazioni e dell'esame dei registri previsti
dagliarticoli 23, 24 e 25 d.P.R. n. 633/72, l'ufficio non può prescindere
dall'enunciazione del collegamento logico che intende trarre dai fatti storici per
evidenziare la sottrazione al pagamento dell'imposta. Pertanto il riferimento generico
ad un indistinto contenitore di dati, pur se costituito da un processo verbale di
constatazione, non è idoneo a realizzare una motivazione dell'accertamento conforme
al dettato dell'art. 56”. In tema, Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela,
Torino, 2013, passim. Per l’orientamento – assai criticabile - più conservatore e da
240
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
6 La stabile organizzazione come struttura di fatto: corollari
processuali, l’onere di allegazione.
Spostandosi dal campo della fase amministrativa alla fase giurisdizionale,
vanno tratti gli ulteriori corollari della premessa che abbiamo posto in
generale.
Se la sussistenza della SO è una questione di fatto, essa ricade nella disciplina
dei fatti anche nella dimensione processuale.
Ciò significa, in primo luogo, che la sussistenza (o insussistenza, o
consistenza21), nella realtà fenomenica, è, in primo luogo, oggetto dell’onere
di allegazione.
Con questa espressione si intende, come noto, la regola secondo la quale il
giudice può prendere a base della decisione solo fatti che hanno fatto ingresso
nel processo perché affermati dalle parti. Come nel caso dell’onere della
prova, non si tratta di un onere in senso stretto, ma di una regola sul giudizio:
non importa che il fatto faccia ingresso nel processo per iniziativa della parte
che se ne giova, ma solo che il fatto sia stato allegato dalle parti e quindi sia
acquisito al processo22. La regola dell’onere di allegazione si rovescia nella
regola secondo il quale il giudice non può introdurre nel processo fatti di sua
iniziativa, perché ciò comporterebbe una lesione del suo dovere di
imparzialità23.
ritenere meritevole di illuminato superamento, si può vedere invece Cass. civ. Sez. V,
Sent., 09-10-2009, n. 21446.
21
D’ora inanzi con “sussistenza della SO” intenderemo, riassuntivamente ogni profilo
di fatto concernente la SO: in effetti ai fini dell’effetto giuridico possono rilevare la
sussistenza o l’insussistenza o l’anche l’area di attività riportabile alla SO (per la
tassazione o il riconoscimento del diritto al rimborso, o la determinazione della
relativa misura)
22
Sul principio di acquisizione processuale, comune a fatti e prove, si veda ad es.
Cass. civ. Sez. V, Sent., 17 gennaio 2013, n. 1107
23
Il primo problema connesso all’onere di allegazione è il relativo fondamento, a
livello di principi. La soluzione adottata a livello di principio aiuta l’interpretazione
nei casi dubbi, ove cioè le norme processuali non prevedono una disciplina espressa
della materia. Tre possono essere i fondamenti generali posti alla base dell'onere di
allegazione. Il primo è dato dalla corrispondenza di tale onere al principio della
autonomia privata, della disponibilità dei diritti da parte dei privati (alla base sia del
ne procedat iudex ex officio, sia del ne eat iudex extra petita partium, sia del iudex
secundum alligata et probata iudicare debet). (Così la Relazione illustrativa al c.p.c.
del Guardasigilli n. 13 cit. in ANDRIOLI, voce Prova, in Noviss. Dig. It., XIV, 277;
CARNACINI, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Studi in onore di
Redenti, II, Milano, 1951, 695 e ss., in particolare 741). Si sostiene, cioè, che la
ragione per l'allegazione è la medesima dell'esclusione di un'iniziativa ufficiosa del
giudice (Così MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, I, Torino, 1985 80, 87 e
s. Tesi opposta in GLENDI, L'oggetto del processo tributario, Padova 1984, 484). Si
può convenire sul fatto che, affermato l'onere di allegazione, sia dato più ampio spazio
ai poteri delle parti: il problema sarà dimostrare che ciò è prescritto.
241
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Le fonti dell’onere di allegazione si trovano, nel codice di procedura civile,
negli articoli 112 e 16424. Quanto al contenzioso tributario, una fonte della
Il secondo fondamento per l’onere di allegazione, è il principio del contraddittorio,
espressamente previsto dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., per questa parte applicabile
a ogni figura di processo (su ciò, affermando che sia l'unico possibile fondamento
dell'onere di allegazione convengono ANDRIOLI, voce Prova, cit., 275 e GLENDI, cit.,
484 e 523. ANDRIOLI, op. loc. ult. cit., anzi, ritiene che l'iniziativa del giudice tuteli
meglio il privato dalle inefficienze difensive). L'allegazione svolge una funzione di
"avvertimento" della controparte, mettendola in condizione di difendersi. Il
contraddittorio è contenuto inderogabile del diritto di difesa e, di conseguenza, chi
nega l'onere di allegazione, ritiene altrimenti realizzata tale garanzia.
Il terzo fondamento per l’onere di allegazione è la imparzialità del giudice (presidiata
dagli articoli 101 e 111 Cost.), qualora a questo siano attribuiti dei poteri che ne
alterino l'immagine di soggetto inattivo, deputato esclusivamente a rispondere ai
quesiti formulati dalle parti. Si osserva che ogni forma di ricerca, di iniziativa, può
essere, tendenzialmente, psicologicamente incompatibile col giudicare. In tal senso
MONTESANO, Le prove disponibili e d’ufficio e l’imparzialità del giudice civile, in Riv.
dir. proc. civ. 1978, 1795 ss.; LIEBMAN, Il fondamento del principio dispositivo in Riv.
dir. proc. 1960, 531 e ss. (ove pure l’Autore nega l’esistenza dell’onere di allegazione
nel processo civile), e anche, ma con riferimento alle prove, la Relazione al c.p.c. cit.,
n.14. Anzi, il nuovo testo dell’art. 111 Cost., che ribadisce esplicitamente la necessità
di un giudizio imparziale, ha determinato il rinnovo dell’interesse circa la
compatibilità con imparzialità della previsione di poteri di iniziativa officiosa del
giudice. Talvolta la giurisprudenza ha affermato, incidentalmente, l’illegittimità
costituzionale di un tale tipo di poteri. Ad esempio, in materia di responsabilità
contabile, si vedano le decisioni Corte Conti, Sezione Giurisdizionale per l’Abruzzo,
29 novembre 2000, n. 114 e Corte Conti, Sezione Giurisdizionale per il Lazio 8
maggio 2001, n. 1897, che si sono occupate della compatibilità con i principi del
giusto processo dei poteri inquisitori della Corte dei Conti.
24
Quanto all’articolo 112, esso dispone che "il giudice deve pronunciare su tutta la
domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che
possono essere proposte soltanto dalle parti". Tale disposizione non è decisiva poiché
lascia impregiudicato il problema di stabilire quanto sia ampio il significato della
"domanda" cui essa fa riferimento, se essa si limiti, per così dire, al petitum o
comprenda la causa petendi, ergo, i fatti allegandi. L’articolo 163, in combinato
disposto con l’art. 164 c.p.c., fornisce qualche elemento ulteriore. L’art. 163 disciplina
il contenuto della citazione e al n. 4 richiede: "l'esposizione dei fatti... costituenti le
ragioni della domanda, con le relative conclusioni". Il testo dell’art. 164 c.p.c.
prevede espressamente la nullità della citazione priva di tale requisito. Nel regime
ante 1990, e riferendosi alla dottrina “classica” a parte che non era pacifico che la
mancata allegazione non comportasse la nullità dell’atto di citazione (MANDRIOLI,
Corso di diritto processuale civile, Torino, 1985, II, 27 e 31 e CERINO CANOVA,
Dell'introduzione della causa, in Commentario al c.p.c. diretto da ALLORIO, II, I,
Torino, 1980, 243), non ostante la mancata menzione di tale causa di nullità (SACCO,
Presunzione, natura costitutiva o impeditiva del fatto. Onere della prova, in Riv. dir.
civ., 1957, I,, 416), si osservava che, anche ad ammettere la validità dell’atto di
citazione, ciò non significava ammettere che il giudice potesse valutare fatti non
allegati (Così VERDE, L'onere della prova nel processo civile, Napoli, 1974, 225). A
ben vedere, le circostanze fin qui descritte costituiscono argomenti non logicamente
decisivi. In effetti, che la citazione debba contenere i fatti a fondamento della
domanda non implica che tali fatti (e quelli eventualmente introdotti ritualmente dalle
242
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
affermazione dell’onere di allegazione
si ricava usualmente dalla
disposizione di cui all’art. 7, comma 1, d. lgs. 546/199225 26.
parti nel corso successivo del giudizio) siano gli unici valutabili dal giudice. Alle
norme predette si è aggiunto poi l’art. 183, comma 4, c.p.c., che prevede che “Il
Giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e
indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.”
Neanche questa disposizione è decisiva, almeno nel senso della cogenza logica. Che il
giudice chieda alle parti schiarimenti sulla base dei fatti allegati non significa
necessariamente che il giudice non possa tener conto di altri fatti. Interpretazioni della
norma compatibili con la negazione dell’onere di allegazione sono quella che le
ascriva una portata esemplificativa (o riferita alla enunciazione della situazione
normale e fisiologica) o quella che le assegna una portata limitata alla fase iniziale
della controversia (quando è ragionevole che il thema che il giudice si rappresenta sia
solo quello dei fatti allegati negli atti introduttivi delle parti). In definitiva, la
questione mantiene un margine di opinabilità, sul piano della lettera della legge. La
tesi circa la introduzione dell’onere di allegazione nel processo civile trova comunque
notevole alimento nella disciplina introdotta nel 1990. Per lo sviluppo approfondito di
tali profili, si vedano, a livello di primo orientamento, gli scritti di CONSOLO, in
Giur.it., 1990, IV, 434; TARUFFO, in Riv.dir. proc. 1992, 296 ss.; CHIARLONI, Prime
riflessioni sui valori sottesi alla Novella del processo civile, in Riv. dir. proc. 1991,
659 ss.
25
Su tale norma, TESAURO, La prova nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin.,
2000, 73 ss.; RUSSO, Problemi della prova nel processo tributario, Rass. trib., 2000,
375 ss.; GLENDI, L'istruttoria nel nuovo processo tributario, in Dir. prat. trib., 1996, I,
1117 ss.; COMOGLIO, I poteri istruttori delle commissioni tributarie, Riv. not., 2001,
1279 ss.; FORTUNA, I poteri istruttori della Commissione tributaria, in Riv. dir. trib.,
2001, 1039 ss. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente e integrazione giuridica
europea, ed. provv., Pescara, 2003, 213 e ss., osserva come l’articolo 7 imponga
l’onere di allegazione, presidiando il principio di imparzialità e del giusto processo
anche nel settore tributario e come la connotazione inquisitoria del processo riemerga
solo in via residuale, rispetto alla prova (e alle iniziative esperibili d’ufficio), ivi, 217.
26
Per approfondimento, si osservi che la norma concerne, alla lettera, non i fatti
valutabili per decidere ma i fatti su cui il giudice tributario può assumere iniziative
istruttorie. La distinzione è sottile, ma esiste. Le due categorie non coincidono
necessariamente. In un processo possono darsi fatti non allegati dalle parti, e che non
necessitano di essere provati con una iniziativa del giudice. A questi fatti non si
applica l’art. 7, che concerne l’attività istruttoria. Né le cose cambiano per il fatto che
la norma dell’art. 7 condiziona l’esercizio dei poteri delle commissioni con l’inciso “a
fini istruttori”. Tale inciso esclude che i poteri di ricerca delle commissioni possano
essere finalizzati a individuare nuovi fatti su cui fondare la decisione, ma non che esse
non possano valorizzare fatti già acquisiti al processo (magari risultanti da documenti
prodotti dalle parti, ammesso che ciò non implichi una allegazione implicita), ma non
formalmente allegati dalle medesime. Ciò per tacere della circostanza, meramente
letterale, che l’inciso predetto si riferisce ai “fini” della iniziativa istruttoria, e non ai
relativi “risultati”.
Indubbiamente, la più ampia categoria di fatti per i quali non occorre iniziativa
istruttoria del giudice è quella dei fatti provati dalle parti. Essi tuttavia sono, almeno
di norma, fatti allegati dalle medesime e quindi non rilevano nella argomentazione che
si sta tracciando: non si tratta di fatti non allegati. Ugualmente, per la categoria dei
fatti non contestati: essi non abbisognano di prova, ma, per definizione, sono allegati.
A tutta prima potrebbe sembrare più interessante la categoria del fatto notorio: esso
243
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Ciò significa che i profili di fatto attinenti la SO, come tutti quelli della
medesima natura, debbono trovarsi negli atti nei quali le parti del processo
hanno l’onere di affermare i fatti a fondamento della loro domanda27. Essi,
come noto, sono il provvedimento impugnato (avviso di accertamento,
liquidazione, ecc.) per l’Ufficio e il ricorso per il contribuente, senza che
siano ammesse integrazioni successive. L’oggetto del giudizio, infatti, è
l’annullamento del provvedimento e tale oggetto è segnato dai due limiti,
ovvi, dei motivi di impugnazione e, a monte, del fondamento del
provvedimento (i fatti e le ragioni giuridiche che esso adduce)28. Si è così
osservato che: «il giudice, dal canto suo, deve giudicare la fondatezza della
domanda di annullamento, come proposta dal contribuente, con riferimento
ad un determinato atto impugnato, avente un determinato contenuto, e con
riguardo ai motivi di ricorso dedotti. (…) Il giudice non può insomma
rilevare d’ufficio (facendo la parte dell’amministrazione) una «ragione
giuridica», che non sia stata posta a base dell’avviso di accertamento,
perché ciò significa pronunciarsi su una domanda diversa da quella
proposta»29. Conforme è la stessa giurisprudenza della Corte di cassazione,
quando esclude che l’area dei fatti valutabili dal giudice possa essere diversa
non abbisogna di prova e, di fatto, può non essere allegato. In dottrina si avverte,
tuttavia, che la deroga alle regole generali prevista dall'art. 115, comma 2, c.p.c.
concerne solo la necessità della prova: anche il fatto notorio deve essere allegato dalle
parti, a meno che non sia un fatto rilevabile d'ufficio, secondo le regole generali, o un
fatto secondario. Per approfondimenti, GRASSO, Dei poteri del giudice, in
Commentario al c.p.c. diretto da Allorio, Torino 1973, 1306; DE STEFANO, voce
Fatto notorio (dir. Priv.), in Enc. Dir. 1008. Ancor più delicata è poi la questione,
proprio per quanto attiene il fatto presunto. Esso non abbisogna di una delle prove
previste all’art. 7 citato e può non essere stato allegato esplicitamente. Questi casi
dimostrano che la norma in rassegna non è, alla lettera, decisiva.
Resta da verificare se l’onere non sia comunque imposto dai principi generali esposti
sopra.
Particolarmente importante è il principio del contraddittorio, rafforzato anche dal
tenore innovativo dell’art. 111 Cost. La dottrina avverte in proposito che, nel caso non
sia previsto l’onere di allegazione, il giudice, proprio per le esigenze di rispetto del
diritto di difesa, dovrebbe analiticamente e necessariamente indicare alle parti i fatti
non allegati individuati e non da esse dedotti. Per il regime previgente di cui all’art. 20
d.p.r. 636/1972, si veda GLENDI, L’oggetto, cit., 532.
27
Comm. tributaria regionale della Lombardia, sentenza 16 dicembre 1999 - 24 marzo
2000, citata da Cass. civ. Sez. V, 06-12-2002, n. 17373, così motivata sul noto caso
Philip Morris: “pur avendo le commissioni tributarie, ai sensi dell'art. 7 del d. l.vo n.
546/92, un potere ufficioso di conoscenza dei fatti, in sede contenziosa gli atti di
accertamento non potevano essere modificati e i poteri cognitivi del giudice sono
sempre delimitati dall'art. 112 cod. proc. civ. L'atto di accertamento segna, quindi, un
limite al metodo acquisitivo degli elementi di prova, proprio del processo
amministrativo”.
28
Muleo, Sulla motivazione dell'accertamento come limite alla materia del
contendere nel processo tributario, in Rass. Trib., 1999, 506 ss.
29
Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, Relazione al Convegno
L’abuso del diritto tra «diritto» e «abuso», Macerata, 29-30 giugno 2012, in Dir.
Prat. Trib. 2012, 1, 683 ss. in particolare 701 ss.
244
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
da quella allegata dall’ufficio tributario nel provvedimento impugnato e, dal
ricorrente, nell’avanzare i motivi di ricorso. La Corte ha efficacemente
affermato che per l’ufficio tributario il provvedimento impugnato tiene il
luogo della “domanda” giudiziale30.
Tale principio è di rilevantissima importanza non solo per ragioni generali ma
anche per ragioni pratiche.
Sotto il primo profilo, esso costituisce evidente applicazione dell’articolo 97
della Costituzione. Il principio di imparzialità della pubblica amministrazione
implica che essa deve svolgere per le sue funzioni in maniera diligente e
accurata: ciò significa che i poteri che vengono attribuiti alla pubblica
amministrazione, essendo correlati all’esercizio di una funzione, sono anche
dei doveri. L’Amministrazione finanziaria ha il dovere di esercitare in
maniera completa, approfondita e zelante i suoi poteri di indagine e istruttori
e, solo all’esito del diligente espletamento di tale istruttoria, il potere di
emanare l’avviso di accertamento.
Correlativamente il contribuente ha diritto di contraddire in sede
amministrativa alla contestazione della amministrazione finanziaria che deve
essere completa e formata già in quella fase31. A maggior ragione, poi, il
contribuente ha il diritto di conoscere, nel momento in cui è posto nelle
condizioni di presentare il ricorso, tutte le caratteristiche, contenuti
fondamenti della pretesa che viene avanzata contro. Il fondamento della
pretesa e la pretesa medesima non possono mutare durante il giudizio, né
tantomeno la pretesa o il suo fondamento possono mutare per un’iniziativa
del giudice, perché altrimenti sarebbe leso anche l’ulteriore canone
dell’imparzialità del giudice, solennemente presidiato dall’art. 111 Cost. Se il
giudice si sostituisse a una parte nella ricerca del fondamento della sue
ragioni non sarebbe più un giudice equidistante dalle parti.
Di tutto ciò è ferma sostenitrice la stessa Corte di cassazione che ha
reiteratamente riconosciuto come, in primo luogo il giudice non possa portare
a fondamento della decisione fatti non allegati, in secondo luogo come il
giudice non possa valutare fatti non allegati tempestivamente nel
provvedimento impugnato32 col ricorso.
7 (segue) l’onere di contestazione tra imparzialità e buona fede.
Il secondo corollario, nelle vicende processuali, della natura di fatto della
questione di sussistenza della SO, è che essa ricade a pieno titolo nell’oggetto
30
Ex plurimis, Cass., sez. tributaria, 20 aprile 2012, n. 6256.
E’ appena di notare, non potendosi sviluppare adeguatamente in questa sede la
riflessione sul punto, come sarebbe svuotata la garanzia del contraddittorio
procedimentale, se esso potesse svolgersi su una pretesa fondata su fatti
completamente diversi da quelli sui quali poi il giudice, in primo, secondo o
addirittura solo terzo grado potrà ritenerla poggiata.
32
Cass., sez. tributaria, 3 agosto 2007, n. 17119; Id., 19 marzo 2009, n. 6620; Id., 20
ottobre 2011, n. 21719.
31
245
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
dell’onere di contestazione33. Esso, come noto, trova fonte nell’art. 115 c.p.c.
(“il giudice deve porre a fondamento della decisione (…) i fatti non
specificatamente contestati dalla parte costituita”) ed è pacificamente
applicabile al processo tributario34.
Ne consegue l’ovvio principio secondo il quale se il provvedimento afferma i
fatti da cui dipende la sussistenza della SO e il contribuente non contesta
specificamente tale assunto, il giudice deve assumere la esistenza della sede
fissa di affari e che, viceversa, se nella domanda di rimborso contribuente
allega che essa esiste (o non esiste), o l’Ufficio contesta tale affermazione o il
punto deve ritenersi acclarato.
L’aspetto più interessante della applicazione dell’onere di contestazione al
procedimento tributario concerne il quesito se, posto che il processo
tributario si innesta in una fase procedimentale amministrativa, sia sufficiente
per l’Ufficio la mera contestazione, come a qualsiasi parte privata, o essa
debba trovare un qualche fondamento negli esiti della attività amministrativa
precedente.
Invero la seconda soluzione sembrerebbe più in linea con la particolare natura
del processo tributario (che segue e controlla l’esercizio della funzione
amministrativa35). Si possono in proposito qui riportare le considerazioni
svolte in altra occasione36 a proposito del problema della contestazione di
inesistenza delle operazioni sottese alle fatture, qui esportabili.
Si potrebbe in effetti ritenere non sufficiente per l’Ufficio una mera
contestazione generica e immotivata di non esistenza della operazione
passiva, ma occorre che egli faccia una contestazione specifica e
argomentata.
33
Nato nel processo del lavoro, esso si è esteso alla generalità dei processi, come
riconosciuto dall'art. 115 c.p.c., nel testo risultante dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, ai
sensi del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non
specificatamente contestati dalla parte costituita. Si v. anche, Cass. Sezione Lavoro n.
25269 del 4 dicembre 2007, Pres. Ciciretti, Rel. De Matteis, riconosce la rilevanza
generale (per attore e convenuto) del dovere di contestazione tempestiva e specifica,
raccordandolo al principio del giusto processo. (In base all’art. 416 cod. proc. civ.,
nel processo del lavoro, il convenuto ha l’onere di contestare specificamente i fatti
affermati dagli attori. L’onere di contestazione tempestiva riguarda però anche il
ricorrente, perché tale onere è desumibile non solo dagli artt. 166 e 416, cod. proc.
civ., ma deriva da tutto il sistema processuale come risulta: dal carattere dispositivo
del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di
preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle
prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di
lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di
economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.
(giusto processo).
34
Ex plurimis, Cass. civ. Sez. V, Sent., 29-12-2011, n. 29923.
35
In tema le illuminanti pagine di Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di
tutela, Torino, 2013, passim.
36
Marcheselli, Frodi carosello e frodi sui costi: profili procedimentali e processuali
tra giusto procedimento e giusto processo, in Giurisprudenza Italiana, 2011, pp. 1221
ss.
246
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Questo onere di contestazione sarebbe, in questa prospettiva, alquanto
interessante. Esso, innanzitutto, costituirebbe uno sviluppo dell’onere di
contestazione specifica, ben noto al processo civile. Il punto interessante è
che le sentenze in rassegna (e i precedenti) non si arrestano a ritenere
sufficiente la specificità della contestazione da parte dell’Ufficio, ma
richiedono che essa sia anche argomentata (nel senso di sostenuta da
allegazioni probatorie), anche quanto agli elementi di prova.
Si tratta di un profilo che non risulta praticato dalla giurisprudenza civilistica,
che insiste, semmai, sulla specificità della contestazione (che attiene alla
precisa individuazione del fatto, affermato dall’altra parte, che non si
condivide) e non sulla allegazione dei mezzi da cui risulterebbe fondata la
contestazione medesima. Ciò si comprende per il fatto che il processo civile
non presuppone una istruttoria amministrativa e i correlati doveri di diligenza
della parte processuale con poteri di supremazia (il Fisco). Si tratta di aspetto
di notevole importanza. Questa contestazione argomentata sul piano
probatorio, da un lato, rappresenta l’evidente prolungamento in sede
processuale dei poteri istruttori della Amministrazione Finanziaria, dall’altro
costituirebbe esplicazione, progressiva e innovativa, del principio della buona
fede, riconosciuta nella sua dimensione processuale e correlata al principio
del giusto processo.
Sotto il primo aspetto, infatti, questo orientamento varrebbe a significare che
è onere degli uffici attivare sul piano amministrativo una minima istruttoria
diligente (dalla quale trarre almeno elementi a sostegno della affermazione di
inesistenza o esistenza della SO, quantomeno quando sia emanato un
provvedimento amministrativo: di rettifica o di rigetto di rimborso): l’Ufficio,
che dispone di poteri istruttori penetranti ed esercita una pubblica funzione
orientata alla attuazione dell’art. 53 Cost. Tali poteri differenziano la
posizione dell'Ufficio tributario da quella della parte privata: questa è la
ragione per la quale la giurisprudenza civilistica, in generale, si arresta alla
affermazione dell’onere di contestazione specifica, e non richiede che essa sia
argomentata quanto alle fonti di prova. L'Ufficio non potrebbe rimanersene
inerte e giovarsi della sola strategia della passiva contestazione, in sede di
rettifica prima, e di processo poi.
Sotto il secondo aspetto, assisteremmo innanzitutto a una applicazione
processuale del principio di buona fede: essa (in senso oggettivo) impone alla
parte di attivarsi in modo ragionevole, se ciò evita un pregiudizio
irragionevole della controparte. Questo onere di argomentazione
rafforzerebbe e moltiplicherebbe la tutela della parte, rispetto alle condotte
dell’altra, ben più efficacemente che non la responsabilità per le spese di lite
(che in generale è altro strumento con cui sanzionare condotte processuali
contrarie alla buona fede).
Non solo, ma si tratterebbe anche di una importante specificazione del
principio del giusto processo37. In primo luogo, sotto il profilo della
37
Per considerazioni analoghe, con riferimento alla esplicazione e alla portata via via
più ampia riconosciuta agli oneri di contestazione nel processo del lavoro si veda
247
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
efficienza e della economia, essendo evidente che l’onere di contestazione
argomentata riduce di molto il possibile campo delle questioni di fatto da
esaminare e, correlativamente, aumenta l’area delle questioni suscettibili di
definizione automatica38. In secondo luogo, perché tale principio sarebbe
evidentemente correlato proprio con la clausola della buona fede processuale.
Buona fede processuale che potrebbe trovare un rafforzamento quando la
parte processuale sia un soggetto pubblico esercente una funzione,
necessariamente orientata a esigenze e valori di equità (artt. 3 e 53 Cost.).
Processo giusto, in questa prospettiva, sarebbe il processo nel quale le parti
possono esercitare le loro facoltà solo in modo ragionevole e proporzionato,
quando l’alternativa produca esiti irragionevoli e sproporzionati.
8 (segue) Onere della prova, principio dispositivo e prove d’ufficio della
stabile organizzazione.
Circa, invece, l’onere della prova, nel senso già precisato di regola di
giudizio per il caso incerto, di mancata prova, la conclusione scaturisce piana
dalle premesse poste fino qui.
Ove la circostanza di fatto relativa alla SO sia fatto costitutivo di un diritto, o
essa è provata (se la circostanza, secondo quanto visto sopra è stata a)
allegata o comunque acquisita al processo e b) contestata) o il diritto non può
essere riconosciuto sussistente.
Così, per fare riferimento ai casi più frequentemente esaminati, a) la SO può
essere l’elemento di attrazione della imposizione di redditi (o operazioni) in
Italia, non assoggettati spontaneamente ad imposizione dal contestato
soggetto passivo; b) la insussistenza della SO può essere il fondamento di un
preteso pagamento indebito di un tributo, del quale viene richiesto il
rimborso; c) la insussistenza della SO all’estero può essere il fondamento per
il disconoscimento di un limite all’imposizione, di cui il contribuente ha
fruito e che l’Ufficio contesta; d) la sussistenza della SO all’estero può essere
il presupposto di un limite all’imposizione che il contribuente pretende, ad
esempio nella forma di un credito di imposta, o di rimborso e così via.
I principi generali esposti sopra portano a una conclusione piana e agevole:
nei casi a) e c) la SO è il fatto costitutivo della pretesa di assoggettamento ad
imposizione e, quindi, l’onere grava sulla Amministrazione Finanziaria. Nei
casi b) e d) essa è il fatto costitutivo di un diritto a un credito di imposta o a
un rimborso, e l’onere grava, in principio, sul contribuente.
VIDIRI. Il principio di non contestazione e la ragionevole durata del processo, in Riv.
it. dir. lav. 2006, 1, 55 ss.
38
Non può escludersi che questi profili abbiano un peso rilevante sulla formazione di
orientamenti quale quello in esame, attesa la sensibilità attuale per i tempi di
decisione del processo, determinata anche dalla l. 24 marzo 2001, n. 89, c.d. Legge
Pinto e il fatto che criteri di definizione automatica della lite comportano oltre che
tempi più veloci anche più agevoli oneri motivazionali per i giudici .
248
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Su queste conclusioni vi è un assenso di dottrina39 e giurisprudenza40
Connesso al tema dell’onere della prova è il limite che esclude la possibile
attivazione ufficiosa del giudice nella individuazione della prove a
fondamento dell’accertamento dei fatti. È il cosiddetto principio dispositivo,
che nel codice di procedura civile è immanente all’art. 115, intitolato,
Disponibilità delle prove: “ il giudice deve porre a fondamento della
decisione le prove proposte dalle parti”.
Come noto, tale regola è temperata in due direzioni: la prima è la
disposizione dell’art. 7 d. lgs. 546/1992, che attribuisce al giudice tributario i
poteri istruttori degli uffici: essi però possono essere esercitati, secondo la
costante giurisprudenza, solo ai fini di integrare le situazioni nella quale la
parte, pienamente diligente quanto all’assolvimento del suo onere probatorio,
si trovi nella oggettiva e incolpevole impossibilità di fornire la prova41,
39
Gentilli, L'onere della prova in tema di doppia imposizione, , in Dir. prat. trib.,
1986, II, pag. 662; Adonnino, L'individuazione della stabile organizzazione e la prova
della sua esistenza, in "Riv. dir. trib.", 1998, pagg. 106 e seguenti, preziosa anche per
la individuazione degli elementi (oggettivi, soggettivi e funzionali) oggetto di prova
nel caso di stabile organizzazione materiale. In tema si veda anche Pozzo, Requisiti
necessari per la sussistenza di una stabile organizzazione di soggetti non residenti, in
Riv. giur. trib., 1998, 266, ss. e Pistone, Stabile organizzazione ed esistenza di società
figlia residente Dir. prat. trib., 1998, II, pagg. 361 e seguenti. Della Valle, La nozione
di stabile organizzazione nel nuovo Tuir, in Rass. trib. 2004, 5, 1597 ss, in particolare
al §9, rileva che quando la sussistenza della SO “rileva al fine di legittimare
l'attribuzione del potere impositivo allo Stato della fonte (Italia), è l'Amministrazione
finanziaria che deve provare l'esistenza di tutti gli elementi e le circostanze di fatto,
volta a volta diversi a seconda che venga in rilievo l'una o l'altra ipotesi di stabile
organizzazione, su cui si fonda la pretesa esistenza della stessa. Diversamente, ed in
particolare ove l'istituto in oggetto venga in considerazione ai fini della disciplina del
credito d'imposta sui redditi prodotti all'estero, l'onere medesimo spetta all'impresa
che vanta il predetto credito: cosicchè, ad esempio, se il credito d'imposta viene
vantato in ragione dell'esistenza all'estero di una stabile organizzazione personale, è
l'impresa residente che deve provare di disporre all'estero di un soggetto avente tutti i
requisiti di cui ai commi 6 e 7 dell'art. 162. A tale conclusione si perviene ove si
consideri il caso del contribuente che vanta un credito d'imposta non molto dissimile
da quello del contribuente che assume l'inerenza di un costo o la spettanza di
un'agevolazione ovvero, ancora, l'esistenza del diritto al rimborso del tributo
erroneamente corrisposto o di un fatto che dà diritto a deduzioni; tutti casi, questi,
per i quali la giurisprudenza tributaria risulta assestata nel senso che l'onere della
prova (rispettivamente, dell'inerenza, della spettanza dell'agevolazione, del diritto al
rimborso e del fatto legittimante la deduzione) spetti al contribuente.
40
In tal senso vd., ad esempio, la giurisprudenza già dai tempi risalenti: Commissione
tributaria centrale 9 marzo 1985, n. 2302, in Dir. prat. trib., 1986, II, pag. 662, con
nota di G. Gentilli, L'onere della prova in tema di doppia imposizione, Commissione
tributaria provinciale Milano, 12 settembre 1997, n. 238, in "Riv. dir. trib.", 1998, IV,
pag. 99, ed ivi nota di Adonnino, L'individuazione della stabile organizzazione e la
prova della sua esistenza, in "Riv. dir. trib.", 1998, pagg. 106 e seguenti.
41
Cass. civ. Sez. V, 30-05-2005, n. 11485: “Sembra opinione comune tanto in
dottrina quanto in giurisprudenza che le commissioni tributarie non possano,
mediante l'esercizio dei poteri istruttori ad esse conferiti - in particolare
dall'art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, cui l'Amministrazione ricorrente si richiama 249
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
altrimenti ledendosi il principio di imparzialità del giudici e, eventualmente,
si è ritenuto, la parità delle armi42.
Altro problema, peculiare, concerne il potere di utilizzare d’ufficio prove di
tipo presuntivo, che sono assolutamente essenziali nell’accertamento della
SO.
Tradizionalmente,43 infatti, si ritiene che il giudice sia libero di scegliere, tra i
fatti provati (o non bisognosi di prova), quelli idonei a costituire fonte di
presunzione e che, altrettanto liberamente, possa desumerne tutti i fatti ignoti
a cui lo conduca il suo prudente apprezzamento.
Il problema è se, ammessa tale premessa (che si è già visto e si vedrà essere
dubbia), in tali casi sia doveroso l'invito al contraddittorio delle parti.
Si soggiunge, in una prima impostazione gradata, che il diritto di difesa
sarebbe salvaguardato quando è acquisita in contraddittorio almeno la prova
del fatto-fonte, oppure questo non è bisognoso di accertamento perché la
parte, messa nelle condizioni di contraddire, non lo ha fatto (non contestazione), oppure si tratta di fatto notorio.44 Si soggiunge che anche il fatto da
, sostituire integralmente l'onere incombente in via principale sull'Amministrazione di
provare i fatti costitutivi della pretesa fiscale (Cass. n. 15214/2000), o acquisire
d'ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte
del contribuente, salvo il caso in cui l'onere probatorio sia impossibile o sommamente
difficile da esercitarsi (Cass. n, 1701/2001). In particolare i poteri istruttori non
possono essere esercitati dalle commissioni tributarie in forma di supplenza
dell'attività dell'amministrazione, supportando, con quei poteri, fatti che di per sè
sono sforniti di prova: altrimenti il giudice tributario rischierebbe di trasformarsi in
organo attivo dell'amministrazione finanziaria, perdendo irrimediabilmente la sua
terzietà.”
42
Cass. civ. Sez. V, 16-05-2005, n. 10267: “va ribadito il principio, reiteratamente
affermato da questa sezione (sentenze 27 febbraio 2004 n. 4040, 28 ottobre 2003 n.
16161, 9 maggio 2003 n. 7129, 28 marzo 2003 n. 4713, 13 gennaio 2003 n. 282, 25
maggio 2002 n. 7678, 3 aprile 2002 n. 4776, ex pluribus), secondo il quale a fronte
del mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del soggetto onerato il
giudice tributario non è tenuto ad acquisire d'ufficio le prove in forza dei poteri
istruttori attribuitigli dall'art. 7 del D. Lg.vo n. 546 del 1992 perchè tali poteri (1)
sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell'onere probatorio principale e (2)
vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità
delle parti nel processo (art. 111, secondo comma, Cost., premesso al precedente
primo comma dall'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, per cui
"ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
davanti a giudice terzo e imparziale"), soltanto (Cass., trib., 4 maggio 2004 n. 8439
cit.) per sopperire all'impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso
dell'altra parte.
43
Lo rileva GLENDI, Il giudice tributario e la prova per presunzioni, in Aa.Vv., Le
presunzioni fiscali in materia tributaria. Atti del Convegno di Rimini, 22 - 23 febbraio
1985, Rimini, 1987, 159 ss. In giurisprudenza, Cass. , Sez. I civile, 4 marzo 1998, n.
2823, Parrelli contro BNL, in Mass. Foro it., 1998.
44
La dottrina avverte che la comune esperienza in tali casi consente di prescindere
dalla specifica prova del fatto, ma non dall'onere che esso sia allegato dalla parte,
quanto meno quando non si tratti di fatto rilevabile d'ufficio o secondario. Per
250
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
provare è noto alle (o conoscibile dalle) parti: è fatto rilevante per il decidere,
(e allegato da una delle parti, se si ammette l'onere di allegazione).45 La
difesa è garantita, secondo questa opinione, perché sia il punto di partenza
della presunzione, sia il punto di arrivo sono nella sfera di controllo delle
parti. Non sarebbe invece necessario che le parti siano previamente46
informate dell'intenzione del giudice di collegare, a mezzo del proprio
ragionamento, questi due estremi, né per quanto concerne l'an, né per quanto
concerne il quomodo del passaggio logico. Ciò in quanto la ragionevolezza
della presunzione garantisce la prevedibilità per una parte processuale
diligente.
Ciò non toglie innanzitutto che, in settori caratterizzati da elevato tecnicismo
e in caso di accertamenti particolarmente articolati, il tasso di imprevedibilità
possa essere comunque assai elevato.47 Inoltre, una presunzione semplice
operata d'ufficio, viste le sue caratteristiche di meccanismo logico non
appartenente alla realtà fenomenica esteriore, come si rilevava sopra, è, per
ragioni strutturali, più insidiosa e imprevedibile. Detto in altri termini, è vero
che la ragionevolezza che le deduzioni devono avere dovrebbe limitare
l'imprevedibilità delle medesime, ma tale prevedibilità scema tanto più il
materiale processuale è complesso e cospicuo e, d'altro canto, il carattere
strutturalmente segreto del ragionamento aumenta ulteriormente il pericolo
per il contraddittorio.48
approfondimenti, GRASSO, Dei poteri del giudice, in Commentario al c.p.c. diretto da
Allorio, Torino 1973, 1306, DE STEFANO, voce Fatto notorio, in Enc. Dir., 1008.
45
Per un esempio della varietà di opinioni in materia, ANDRIOLI, voce Presunzioni,
cit., 771. L’Autore non ammette, nel regime previgente, la presenza dell'onere di
allegazione, e sottolinea che il fatto rilevante e non allegato è conosciuto o
conoscibile. Egli considera però doveroso in tali casi l'esercizio dei poteri di cui
all’articolo 183, comma 4, c.p.c. e quindi, l'"avvertimento" delle parti dalla parte del
giudice. Contraria è, invece, ad esempio, l'opinione di CORDOPATRI, voce Presunzioni
(Dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXV, 291 e ss.
46
Problema diverso è quello del controllo successivo sulla e assennatezza
dell'inferenza operata dal giudice.
47
Sia consentito un richiamo a MARCHESELLI, Certezza, probabilità e contraddittorio
nelle presunzioni semplici e nelle “presunzioni a catena”: uno spunto in una sentenza
della Corte di Cassazione in materia di iva, in Dir. prat. trib., 1995, II, 1257 ss.
48
Sul piano analitico, è interessante osservare che la “distanza” del percorso svolto
dal giudice nella decisine rispetto a quello ipotizzato in contraddittorio può essere
gradatamente maggiore o minore, anche rispetto alle presunzioni semplici. Una cosa,
ad esempio, è valorizzare una presunzione semplice a partire da un fatto di causa,
dove la sorpresa sia proprio nell'operare la presunzione tra fatto provato e fatto da
provare (presunzione non preannunciata alle parti). Un'altra, effettuare una
presunzione diversa da quella su cui sia caduto il contraddittorio delle parti. E tale
differenza può riguardare sia il risultato della presunzione (tra i diversi fatti da
provare), sia il percorso della presunzione (il ragionamento che collega il fatto noto a
quello da provare). Il caso limite è proprio quest'ultimo: dove si perviene alla prova
del fatto ignoto sulla base di una presunzione a partire dallo stesso fatto provato, ma
sulla base di un ragionamento, una massima di esperienza, diversa da quella oggetto
del contraddittorio. Per esempio si ipotizzi che a qualsiasi fine sia rilevante accertare
il prezzo di vendita di un bene imprenditoriale tra padre e figlio. In contraddittorio si
251
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
discute sulla possibilità di presumere che il prezzo equivalesse al valore di mercato,
fondandosi sulla usuale economicità degli atti dell'imprenditore. Si supponga che
questa presunzione sia contestata, argomentando che si tratta di una vendita tra parenti
(ove il principio di economicità degli atti normalmente non vale) e che però nel
processo risulti, perché allegato, che un'altra vendita tra padre e altro figlio è stata
regolata al valore di mercato. Il giudice ne trae l'illazione della equivalenza di prezzo
e valore, ma non sulla base della regola della economicità, ma sul fondamento, nuovo,
dell'uguale trattamento dei figli (esempio tratto da un Dialogo con Marcello Tarabusi
sul forum del sito www.dialoghididirittotributario.it).
Fermo che in tutti questi casi si tratta di soluzioni diverse da quelle esplicitate nel
processo, viene poi da domandarsi se la lesione del contraddittorio e l'eventuale vizio
processuale sia comunque immancabile ovvero essa non vada contemperata con un
principio di buona fede e diligenza delle parti. Se, cioè, e in che misura la parte non
potrebbe dolersi del difetto di contraddittorio se la soluzione adottata dal giudice fosse
comunque prevedibile (e quindi suscettibile di essere anticipata e contraddetta) con un
minimo di diligenza. Indubbiamente individuare un criterio di prevedibilità in tale
direzione non sarebbe semplice, posto che le presunzioni debbono comunque tutte
fondarsi sul buon senso e, pertanto, entro un certo limite, sono tutte prevedibili (se
non lo sono anche implausibili, si potrebbe dire, e pertanto, più ancora che essere leso
il contraddittorio, la decisione sarebbe sbagliata in punto prova o motivazione). Le
soluzioni che possono venire in mente sono diverse: la prima è ritenere che vada
effettuata una misurazione caso per caso e che il difetto del contraddittorio rilevi solo
quando, atteso che il ragionamento è plausibile, considerata la complessità del
materiale nel processo e del suo svolgimento, la soluzione era meno prevedibile
dell'ordinario. La seconda è ritenere che poiché tutte le presunzioni per essere fondate
debbono essere ragionevoli, esse sono anche prevedibili, per cui non vi sarebbe mai
lesione del contraddittorio. La terza è ritenere che il contraddittorio vada comunque
tutelato, indipendentemente dalla negligenza della parte, per cui la lesione del
contraddittorio sussisterebbe sempre. La quarta, ritenere che non sorprenda in modo
lesivo il contraddittorio solo la presunzione che, fermi fatto noto e ignoto, ne
modifichi il collegamento (la massima di esperienza). La quinta, variabile di
quest'ultima, che non sorprenda il contraddittorio solo la sostituzione del
collegamento tra fatto noto e ignoto effettuata sulla base di massime di esperienza
generali, mentre se il ragionamento è fondato su altri fatti del processo il
contraddittorio andrebbe provocato (nell'esempio sopra riportato il giudice avrebbe
dovuto preavvertire le parti circa la possibilità di presumere la parità di trattamento tra
fratelli).
Da altro punto di vista e su un diverso piano, si potrebbe anche osservare che,
empiricamente, un altro elemento potrebbe consentire di negare la sussistenza del
vizio del contraddittorio, anche per chi opini che esso vada tutelato anche quando la
parte che se ne lamenta sia stata negligente. Tanto più l'illazione su cui è mancato il
contraddittorio espresso è ovvia e tanto più la si potrebbe ritenere implicita nella
allegazione dei fatti svolta dalle parti. Ciò comporta che anche affermare che le
presunzioni semplici d'ufficio comportino l'obbligo di attivazione del contraddittorio
non determinerebbe un automatico e abnorme appesantimento degli adempimenti
processuali. In tutte le ipotesi di induzione “ovvia” il ritenere che si tratti di
presunzione implicitamente allegata dalle parti esclude, per definizione, la presenza di
una iniziativa ufficiosa. Non si intende, insomma affermare che ogni passaggio del
ragionamento del giudice debba essere stato oggetto di contraddittorio minuzioso e
puntuale, ma una regola di buon senso e ragionevolezza.
252
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Ne risulta la opinione di chi afferma che i principi costituzionali di cui agli
articoli 24 e 111 impongono che il giudice provochi il contraddittorio anche
rispetto alle presunzioni semplici azionate d'ufficio.49
Resta la questione della disciplina positiva della materia, che a nostro avviso
ora si può trarre, nell’art. 101 c.p.c., riportando la presunzione al concetto di
“questione” a mente del quale “Se ritiene di porre a fondamento della
decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione,
assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e
non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in
cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.
Va tuttavia ricordato l’orientamento di merito, già citato sopra, a proposito di
rapporto tra motivazione e prova, in virtù del quale, tutto il percorso
indiziario, sia pure, sinteticamente espresso, dovrebbe essere già contenuto
nel provvedimento dell’Ufficio50.
9 Le prove utilizzabili: in particolare la rilevanza indiziaria dello
statuto sociale e della titolarità di partiva IVA.
Venendo ora alle prove utilizzabili per la dimostrazione della sussistenza
della SO, va subito premesso che, tendenzialmente, la materia non è regolata
da norme ad hoc o speciali. In assenza di disciplina derogatoria delle regole
generali, saranno quindi applicabili ed eventualmente utilizzabili tutte le
prove ammesse in materia tributaria. Ne consegue che documenti e prove
presuntive risultanti dall’esercizio dei poteri istruttori della A.F. sono
utilizzabili, secondo le regole comuni, per l’accertamento di sussistenza,
insussistenza, consistenza di a) (in genere) una “ sede fissa di affari per
mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua
attività sul territorio dello Stato” (e, quindi, in particolare i requisiti della
permanenza e strumentalità per come congrui alla loro definizione
sostanziale) (art. 162, comma 1, Tuir); b) (in particolare) una sede di
direzione, una succursale, un ufficio, un'officina, un laboratorio, una miniera,
un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di
49
Sul dovere, comunque, del giudice di attivare il contraddittorio sulle presunzioni
che intende operare v. TARZIA, Problemi del contraddittorio nell'istruzione probatoria
civile, in Riv. dir. proc. civ., 1984, 564; MONTESANO, Le “prove atipiche” nelle
“presunzioni” e negli “argomenti” del giudice civile, cit., 283 ss.; TARUFFO, Il diritto
alla prova, cit., 98 ss. Così ad esempio CORDOPATRI, cit., 291 e ss.; CALAMANDREI,
Delle buone relazioni fra i giudici e gli avvocati nel nuovo processo civile, cit., 20;
MONTESANO, Le "prove atipiche" nelle "presunzioni" e negli "argomenti" del giudice
civile in Riv. dir. proc. civ., 1980, 233 ss.; TARZIA, Problemi del contraddittorio
nell'istruzione probatoria civile, in Riv. dir. proc.civ., 1984, in particolare 641 ss.;
CAVALLONE, Oralità e disciplina della prova nella riforma del processo civile in Riv.
dir. proc. civ., 1984, 686 ss.; CHIARLONI cit., 845 ss.; DENTI, Dall'azione al giudicato,
cit., 145; FERRI, Contraddittorio e poteri decisori del giudice, estratto da Studi
Urbinati, anno XLIX, Nuova serie A n. 53, Città di Castello 1984, 3-131.
50
Così, CT regionale della Lombardia con sentenza 16 dicembre 1999 - 24 marzo
2000, citata nella motivazione di Cass. civ. Sez. V, 06-12-2002, n. 17373.
253
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
estrazione di risorse naturali, un cantiere di più di tre mesi (art. 162, commi 2
e 3); c) le altre circostanze che delimitano la nozione di SO previste dai
commi 4 a 8.
Ne consegue, altresì, che la presente trattazione non concernerà l’esame di
regole, quanto, piuttosto, l’analisi della casistica e il riferimento agli
orientamenti giurisprudenziali.
Così, ad esempio, si sono ritenuti elementi valorizzabili, in un caso in cui
l’A.F. doveva dimostrare l’esistenza della SO per assoggettare la relativa
ricchezza a tassazione51: lo statuto sociale (da cui si traggono elementi
indiziari circa l’attività svolta), la tipologia di contratti stipulata, il
concreto tipo di attività verificata (distribuzione e promozione dei beni
forniti da controllante, controllo esecuzione contratti di questa). Elementi
indiziari sono stati altresì tratti dalla corrispondenza con i professionisti e da
pareri legali dai quali si è indiziariamente desunto che la struttura posta in
essere aveva lo scopo di dissimulare l’esistenza di una stabile
organizzazione52.
Problema assai ricorrente è poi quello della rilevanza indiziaria della
attribuzione di partita IVA. In effetti, tale adempimento amministrativo
parrebbe di significato del tutto neutro, segnalando solo lo svolgimento di
una attività rilevante nel quadro di tale imposta, ma non ancora che essa sia
svolta (effettivamente e, soprattutto) con le caratteristiche della SO. Un
orientamento giurisprudenziale piuttosto netto attribuisce, tuttavia, rilevanza
a tale circostanza, avendo cura di precisare che dalla sussistenza di partita iva
si presumerebbe la sussistenza di SO, salva la prova contraria da parte del
contribuente53, di tal che alla amministrazione basterebbe invocare la
presenza di un numero di partita IVA per giustificare la soluzione a sé
favorevole54.
51
Cass. civ. Sez. V, 06-12-2002, n. 17373
Valorizzato anche da Cass. civ. Sez. V, 25-05-2002, n. 7682.
53
Cass. civ. Sez. V, 13-04-2005, n. 7705, che, nell’ambito di un giudizio in materia di
rimborso, richiesto dal contribuente sulla base dell’assunto della insussistenza della
SO, afferma: “se può ammettersi che dall'attribuzione della partita iva ad un soggetto
che ne abbia fatto richiesta derivi, per ragioni di ordine logico-giuridico, la
presunzione della esistenza di stabile organizzazione, tuttavia ciò non significa tenuto conto che si tratta di una situazione di fatto - che la presunzione sia di ordine
assoluto. Pertanto, deve ritenersi non essere precluso a tale soggetto, ove agisca per
il rimborso ai sensi dell'art. 38 ter cit., di offrire la dimostrazione (avendone interesse
e quindi sussistendo a suo carico il relativo onere processuale) della mancanza in
concreto di quegli elementi di ordine personale e materiale - cd. risorse umane e
materiali - che all'evidenza contrassegnano la nozione di stabile organizzazione,
come già chiarito da questa Corte (ex plurimis Cass. 13373, 10925 e 7689/2002;
Cass. 3570/2003; Cass. 6799/2004)”.
54
Cass, Sez. V, 30 novembre 2012, n. 21380, con nota di Terlizzi, L'attribuzione della
partita IVA comporta l'esistenza di stabile organizzazione, in Diritto e Giustizia 2012,
1096;
Cass. civ. Sez. V, Ord., 20-07-2012, n. 12633: “Il punto centrale della controversia
attiene all'onere della prova della esistenza delle condizioni per fruire del rimborso,
essendo la ratio dell'impugnata sentenza incentrata sull'affermazione che "l'ufficio
52
254
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
In dottrina, accanto a chi riferisce di tale orientamento sottolineando la ampia
possibilità di prova contraria55, vi è chi sottolinea la necessità di introdurre
alcune distinzioni: rilevando che sarebbe diversa l’ipotesi di attribuzione di
partita IVA con elezione di rappresentante non fiscale, da quella di
attribuzione di partita IVA con indicazione di mero rappresentante fiscale,
valorizzando in proposito l’apposito “codice carica” da riportare nel modello
di dichiarazione56. Secondo questo orientamento, in una situazione “nella
quale il soggetto non residente non procede alla nomina di un proprio
rappresentante
fiscale
nel
territorio
dello
Stato
ai
sensi
dell'art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, alla richiesta di attribuzione della partita
IVA potrebbe, in realtà, ricondursi l'effetto «implicito» di voler istituire una
stabile organizzazione”57.
Si sottolinea che, in effetti, salva l’ipotesi di dichiarazione di inizio di attività
non corrispondente all’effettivo svolgimento di essa, se non si nomina il
rappresentante fiscale58, sarebbe ragionevole presumere l’esistenza in Italia
della SO.
non ha provato che la società abbia in Italia una stabile organizzazione, non essendo
la partita Iva e la presenza di un rappresentante fiscale leggero sufficienti a
determinare la stabile organizzazione di un'impresa". Simile lapidaria affermazione è
errata in diritto, in rapporto al principio, pacifico nella giurisprudenza di questa
Corte, che dall'attribuzione della partita Iva a un soggetto che ne abbia fatto richiesta
deriva, per ragioni di ordine logico-giuridico, la presunzione della esistenza di stabile
organizzazione. Ancorchè non trattandosi di presunzione di ordine assoluto sicchè
non è precluso, a colui che agisca per il rimborso (…) di offrire la dimostrazione
della mancanza in concreto di quegli elementi di ordine personale e materiale, che
contrassegnano la nozione di stabile organizzazione (cfr. per tutte Cass. n.
7703/2005) - è tuttavia di solare evidenza che, rispetto alla detta presunzione, nessun
onere probatorio aggiuntivo incombe sull'amministrazione.
55
Iavagnillo, Dall'attribuzione di partita iva non deriva la presunzione assoluta di
stabile organizzazione, in Corr. Trib., 2005, fasc. 27, 2166 ss.
56
Nel modello di dichiarazione di inizio attività ai fini IVA è previsto un apposito
codice carica da indicare nel quadro C relativo al rappresentante, con cui specificare
se trattasi di rappresentante fiscale di un soggetto non residente (codice 6) o
rappresentante fiscale di soggetto non residente con le limitazioni di cui all'art. 44,
comma 3, del D.L. n. 331/1993 (codice 10). Nella versione del modello AA7/7 (per i
soggetti diversi dalle persone fisiche) approvato con provvedimento del Direttore
dell'Agenzia delle entrate 12 novembre 2002, con cui sono stati sostituiti i modelli
previgenti, utilizzati nel periodo cui si riferisce l'ordinanza in commento (secondo
semestre dell'anno 2000), nelle istruzioni al quadro C è precisato che «l'istituzione del
nuovo codice di carica 10 non comporta la presentazione di una apposita
dichiarazione di variazione dati da parte dei rappresentanti fiscali con le limitazioni di
cui all'art. 44, comma 3, secondo periodo, del D.L. n. 331/1993, che nella precedente
versione del modello hanno utilizzato il codice di carica 6».
57
Sirri –Zavatta, Stabile organizzazione e valore sintomatico della partita IVA, in GT
- Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2013, fasc. 1, 32 ss.
58
Disciplinato dagli artt. da 193 a 197, 199, 200, e 204 della direttiva n. 2006/112/CE
del 28 novembre 2006 e, sul piano interno dall’Art. 17, terzo comma, del D.P.R. n.
633/1972 e la cui funzione non è una operatività “commerciale”, quale quella della
255
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Quel che tuttavia appare decisamente discutibile è che dalla affermata
ragionevolezza di un tale percorso argomentativo (chiedo l’attribuzione di
partita IVA e non nomino un mero rappresentante fiscale, ergo ho un Italia
una SO) si possa, tout court, passare ad affermare l’esistenza di una
presunzione legale relativa.
Si è così rilevato59 che a ciò osterebbe innanzitutto il fatto che ne deriverebbe
l’attribuzione al contribuente dell’onere di una prova negativa, di assai
problematico assolvimento, in secondo luogo che all’attribuzione di partiva
IVA possono corrispondere ipotesi molto diverse60 e, in terzo luogo, che una
presunzione legale contrasterebbe con la disposizione di carattere
interpretativo contenuta nell'art. 11, terzo paragrafo, del regolamento
comunitario n. 282 del 15 marzo 2011 che, nel delineare i requisiti definitori
del concetto di stabile organizzazione, stabilisce che «il fatto di disporre di
un numero di identificazione IVA non è di per sé sufficiente per ritenere che
un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione»61.
Va inoltre rilevato che la giurisprudenza sembra essere andata, sul punto,
persino oltre gli approdi della prassi amministrativa62.
A voler essere pignoli, potrebbe introdursi il dubbio se la norma comunitaria
osti solo alla equiparazione sostanziale della apertura della partita IVA alla
SO, o anche a un regime che, data la medesima partita presuma la sussistenza
della SO, salva prova contraria (o, addirittura, osti anche al semplice
SO, ma solo consentire l'esercizio di diritti e l'assolvimento di obblighi ed
adempimenti previsti dalla normativa IVA.
59
Sirri – Zavatta, op. loc. ult. cit.
60
Il soggetto non residente, tra le varie opzioni a disposizione, potrebbe, infatti,
nominare un rappresentante fiscale nella forma «piena» di cui all'art. 17, terzo comma,
del D.P.R. n. 633/1972 o in quella «leggera», disciplinata dall'art. 44, comma 3, del
D.L. n. 331/1993, quando lo svolgimento delle operazioni da effettuare nel territorio
dello Stato non comporta l'assolvimento delle imposte. L'operatore non residente
potrebbe optare per l'identificazione diretta, richiedendo l'apertura della partita IVA ai
sensi dell'art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972.
In aggiunta, potrebbe accadere che il soggetto estero, il quale intende compiere
operazioni rilevanti ai fini IVA nel territorio dello Stato, provveda ad aprire una
partita IVA anche al di fuori delle ipotesi sopra prospettate, in attesa di dare inizio ad
un'attività al momento solo ipotizzata e magari impedita da eventi più o meno previsti
(partita IVA “inattiva”, ipotesi contemplata dallo stesso art. 35, comma 15 quinquies).
61
La Corte supera tale obiezione sul presupposto, invero capzioso, atteso che la SO è
nozione generale e la partita IVA regolata da disposizioni comuni, che la norma
riguarderebbe esclusivamente il concetto di stabile organizzazione previsto ai fini
dell'art. 44 della direttiva comunitaria 2006/112/CE e, quindi, con riferimento alle sole
prestazioni di servizi nell'ottica della individuazione del requisito territoriale. Per una
serrata critica a tale assunto, Centore, La «tormentata» identificazione dei soggetti
non residenti ai fini del rimborso dell'iva, in Corr. Trib. 2012, fasc. 44, 3387 ss.
62
La Agenzia delle entrate Circolare dell'Agenzia delle entrate 29 luglio 2011, n.
37/E, par. 2.1.4 («Lo Stato di stabilimento del committente») sottolinea come la
disposizione del regolamento sopra citata chiarisca, inoltre, che «l'esistenza di un
numero di partita IVA non costituisce da sola una prova sufficiente dell'esistenza, in
uno Stato membro, di una stabile organizzazione di un soggetto passivo che abbia la
sede principale della propria attività economica in uno Stato membro diverso».
256
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
desumere, caso per caso, dalla partita IVA, la sussistenza della SO). Chi
ritenesse che la norma comunitaria operi solo sul piano sostanziale, e
consenta l’inversione dell’onere della prova dovrebbe comunque scrutinare la
proporzionalità di tale inversione, alla luce della giurisprudenza
comunitaria63.
A nostro avviso, la disposizione eurounitaria osta effettivamente alla
affermazione della possibile inversione probatoria, cui, per vero, osta anche
un argomento ancora più decisivo: l’onere della prova è regolato per legge
(art. 2697 c.c.) e la relativa deroga può intervenire solo per legge: una norma
che preveda che, data la partita IVA, si presume la SO, semplicemente, non
esiste.
Ne consegue, a nostro modesto avviso che né l’A.F. potrebbe limitarsi a
giustificare l’attrazione a imposizione in Italia in sede di accertamento
provando la sussistenza della SO con il mero riferimento alla presenza di un
numero di partita IVA, né la mera presenza di tale numero potrebbe in sé
validamente superare le altre prove della sussistenza della SO che il
contribuente, a ciò onerato, abbia portato in una azione di rimborso.
10 (segue) prove indiziarie.
Un ruolo sicuramente centrale, in effetti, quanto alla prova della SO, hanno
poi meccanismi di tipo indiziario, fondati cioè su presunzioni gravi, precise e
concordanti (art. 2729 c.c.)64. La giurisprudenza afferma che: a) le
presunzioni semplici sono utilizzabili per l’accertamento della SO; b) che la
prova può fondarsi anche solo su di esse, purché convincenti e concordanti,
se plurime; c) che la valutazione deve tener conto del complesso delle
circostanze accertate, di tal che singoli elementi non convincenti possono
assumere efficacia probatoria se combinati, o viceversa65.
63
Corte Giustizia CE, Joined Cases C-286/94, C-304/95, C-401/95 and C-47/96,
Garage Molenheide BVBA v Belgian State, punto 48 della motivazione su cui vedi
anche Pistone, Presunzioni assolute, discrezionalità dell’amministrazione finanziaria
e principio di proporzionalità in materia tributaria secondo la Corte di Giustizia, in
Riv. dir. trib., 1998, III, 91 ss.
64
Manzi, Stabile organizzazione , Iva e Modello Ocse: la Suprema Corte consolida
la propria giurisprudenza, in Fiscalità Internazionale, 2007, fascicolo 1, 29 ss.
65
Cass. civ. Sez. V, Sent., 17-01-2013, n. 1120: “, non può - per vero - revocarsi in
dubbio che la sussistenza di una "stabile organizzazione", nel senso suindicato, ben
possa desumersi - in fatto - anche alla stregua di elementi a carattere indiziario e
presuntivo, purchè siffatti elementi rivelatori dell'esistenza di una stabile
organizzazione vengano, in concreto, "considerati globalmente e nella loro reciproca
connessione" (Cass. 10925/02, in motivazione). Questa Corte ha, difatti, più volte
avuto modo di precisare che le presunzioni semplici costituiscono una prova completa
alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini
della formazione del proprio convincimento, nell'esercizio del potere discrezionale,
istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al
suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o
dell'eccezione. In tale prospettiva, pertanto, e con specifico riferimento alla materia
257
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
In concreto, tra tali elementi indiziari vengono individuati lo: a) svolgimento
di un'attività contrattuale di rilievo economico significativo in Italia da
parte della società estera; b) spendita del domicilio fiscale in Italia, da parte
di detta società; c) perdurante residenza e domicilio in Roma del legale
rappresentante e del procuratore ad acta; d) titolarità, m capo alla
contribuente, di conti bancari e di dossier titoli in aziende di credito
italiane; e) transito su detti conti di poste economicamente rilevantissime,
connesse all'attività della società estera.
Più in generale, è massima reiterata quella secondo cui “La prova dello
svolgimento di tale attività da parte del soggetto nazionale può essere
ricavata, oltre che dagli elementi indicati dall'art. 5 del modello di
convenzione OCSE, anche da elementi indiziali, quali l'identità delle persone
fisiche che agiscono per l'impresa straniera e per quella nazionale, ovvero la
partecipazione a trattative o alla stipulazione di contratti, indipendentemente
dal conferimento di poteri di rappresentanza 66… o ancora dalla circostanza
che la società non residente si avvalga di molteplici società od imprese
residenti ove queste non percepiscano dai committenti/cessionari
corrispettivi per l'esercizio della attività svolta ma regolino "internamente" i
rispettivi rapporti con la società non residente in base alla attività svolta così
da risultare -se pure formalmente distinte - economicamente integrate in una
struttura unitaria strumentale alla attuazione degli scopi commerciali della
Casa madre non residente67.
Si è anche rilevato che è irrilevante che la succursale italiana agisca come
"ente indipendente dalla società madre", accertamento sicuramente rilevante
ai fini del riconoscimento della non assoggettabilità ad IVA delle prestazioni
tributaria, non è neppure necessaria, ai fini di fondare la pretesa impositiva,
l'acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi presuntivi o probatori desunti
dall'esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente, dal momento
che, se gli indizi hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non vi è
necessità di ricercarne altri o di assumere ulteriori fonti di prova. Nondimeno, una
volta esaurita la fase - da condurre con criterio analitico - dell'individuazione degli
elementi indiziari che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o
almeno una potenziale di efficacia probatoria, i giudice di merito è tenuto, altresì, ad
una doverosa valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per
accertare se essi, siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire
una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza
considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne discende che deve ritenersi
censurabile in sede di legittimità - sul piano del vizio di motivazione - la decisione in
cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in
giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza
indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi ((Cass.
9107/12, 10847/07).”
66
Così Cass. civ. Sez. V, Sent., 28 giugno 2012, n. 10802; id 28 luglio 2006 n. 17206;
id. 15 febbraio 2008 n. 3889: id. 21 aprile 2011 n. 9166.
67
Così Cass. civ. Sez. V, Sent 7 ottobre 2011, n. 20597
258
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
di servizi intrasocietarie, ma del tutto distinto e diverso da quello della
sussistenza dei requisiti della "stabile organizzazione"'68.
Particolare attenzione viene posta alle prestazioni correlate alla identità delle
persone fisiche che agiscono per l’impresa all’estero e in Italia e
stipulazione di contratti69. In proposito, si segnala un altro possibile
disallineamento della giurisprudenza rispetto a fonti internazionali, atteso che
all’art. 5 del Commentario OCSE, stabilisce che il fatto che la struttura
sussidiaria partecipi a trattative contrattuali nell’interesse della società
straniera non può costituire l’unico elemento per affermare che tale struttura
costituisca una stabile organizzazione della società straniera, ma la Corte di
Cassazione ha rilevato, a parte il valore non normativo del commentario - che
costituisce, al più, una raccomandazione diretta i Paesi aderenti all’OCSE che nei confronti di tale modifica è stata espressa riserva dal Governo
italiano, secondo la quale - nell’interpretazione del modello di convenzione l’Italia non può disattendere quella data dai propri giudici nazionali. In ogni
caso l’esistenza di di attività dirette alla produzione di reddito in Italia da
parte della società estera per il tramite della SO è stata desunta dalla
conclusione di contratti, come dimostrato dall’esame della documentazione
bancaria, dalla quale risultavano diversi conti intestati alla società estera sui
quali transitavano regolamenti di vendite fatte in Italia. L’affidamento di
business proprio della società estera era pure confermato dalla presenza della
documentazione riferentesi all’attività di tale impresa nei locali della società
italiana70.
Dall’esame del contenuto della contrattualistica può poi emergere che i
rapporti non sono idonei a configurare una SO, ma un rapporto di
68
Cass. civ. Sez. V, Sent., 17-01-2013, n. 1120: Ed infatti se. da un lato, può aversi
una '"stabile organizzazione" anche nel caso in cui non si ravvisi tale spiccata
autonomia gestionale ed indipendenza economica tra i due enti (cfr. Corte giustizia
sent. 23.3.2006 in causa C-210/04 Agenzia Entrate d FCE Bank ple, paragr. 41),
sicchè i servizi resi alla Casa madre dalla stabile organizzazione, non inquadrabili in
"un rapporto giuridico nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche
prestazioni", non sono assoggettabili ad IVA (diversamente dalle prestazioni, invece,
erogate a favore di terzi dalla medesima '"stabile organizzazione" per le quali non è
dubbio - ex art. 9 punto 1 Direttiva n. 388/77/CEE - che detta struttura organizzativa
assuma la qualità di soggetto passivo di imposta: cfr. sent. Corte giustizia C-210/04,
paragr. 34 e 38); dall'altro bene può realizzarsi anche la ipotesi in cui la entità
organizzativa che esegua le prestazioni di servizi in favore della Casa madre non
presenti i requisiti materiali ed economici minimi per assurgere a "centro stabile di
attività" nel Paese membro diverso da quello di residenza della Casa madre
(rimanendo in tal caso escluso "tout court" che tale entità possa assumere la qualità
di soggetto passivo IVA).
69
Sulla rilevanza dei contratti: Comm. trib. reg. Milano, n. 125/02/11 del 20 ottobre
2011;
Cass. civ. Sez. V, 27-10-2006, n. 22852.
70
Cass. civ. Sez. V, 27-10-2006, n. 22852.
259
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
agenzia/commissione con caratteristiche di indipendenza. Così in un caso71 in
cui S.r.l. italiana aveva stipulato un contratto con una società ungherese, che
prevedeva che la prima avrebbe dovuto prestare alla società estera dei servizi
logistici in relazione a trasporti effettuati da quest’ultima in Italia, Croazia e
Slovenia. Tali servizi avrebbero potuto essere soddisfatti presso i propri
locali, con una linea di fax, tre linee telefoniche, ed un telefono portatile,
tramite una signora ungherese. Quest’ultima era legale rappresentante e
socio di una seconda società ungherese, che a sua volta, aveva stipulato un
accordo con la S.r.l. italiana per la gestione della rappresentanza di camion
ungheresi in Italia ed altri Paesi. Essendo tale contratto sostanzialmente
identico a quello stipulato tra la società ungherese e la S.r.l.,
l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto l’esistenza di una stabile
organizzazione personale in Italia della società ungherese tramite il suo socio
e legale rappresentante. Il giudice di merito non ha ritenuto provata, con
riferimento al caso di specie, l’esistenza della stabile organizzazione in Italia
della società ungherese nella persona del suo socio, né nell’ufficio messo a
sua disposizione. Dall’esame del contenuto del contratto stipulato tra le due
società emergeva che i servizi prestati dalla società estera alla S.r.l. italiana
consistevano in attività promozionale tipica dell’agente (acquisizione nuovi
clienti e mantenimento dei contratti con gli stessi, studio dei mercati sul
territorio) e non essendo stata provata dall’A.F. la simulazione relativa del
contratto72 la pretesa pubblica viene respinta. Analogamente è stato ritenuto
per un rapporto di commissione stipulato con la società estera73, ove rileva
l’autonomia operativa e il rischio d’impresa rimessi dal contratto di
commissione alla società italiana.
Particolare risalto si dà, in questa giurisprudenza alla verifica degli elementi
fattuali (i.e. contenuto del contratto), anziché limitarsi ad una valutazione
fondata su generalistiche qualificazioni giuridico-formali74.
11 (segue) i documenti.
Altra fonte privilegiata di prova sono poi ovviamente i documenti, sia nella
dimensione di prova diretta (nel caso di atti pubblici o della provenienza
della scrittura dal soggetto sottoscrittore), sia come fonte di elementi a loro
volta presuntivi.
71
Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia che, nella sent. n.
33/2011, su cui Gabelli – Rossetti, Stabile organizzazione personale: l’onere della
prova è a carico del Fisco, in Fisco, 2012, 3, 432 ss.
72
Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia che, n. 33/2011, su cui
anche, Boccalatte - Tomassini, L’agente non è una branch, in “Il Sole-24 Ore, Norme
e tributi” del 5 dicembre 2011; Piazza - Della Carità, Quando il commissionario
agisce come stabile organizzazione?” in Corr. Trib. 2011, fasc. 5, 365 ss.
73
Commissione tributaria regionale di Milano, Sez. II, sent. n. 125/02/11 del 20
ottobre 2011, su cui Gabelli – Rossetti, Stabile organizzazione personale: l’onere
della prova è a carico del Fisco, in Fisco, 2012, 3, 432 ss.
74
Cass. Sez. V, 7 ottobre 2011 n. 20597.
260
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Così, si è valorizzata la documentazione acquisita, comprovante la
partecipazione indiretta della società italiana alla stipulazione dei contratti
di licenza intercorsi tra la società straniera e i contraenti italiani, la sua
partecipazione - senza autonomia decisionale all'attività economica delle
altre società del gruppo, l'assunzione di costi anche a scopo promozionale
(contratto di assistenza marketing e distribuzione) per tali società, senza
riceverne alcun corrispettivo e senza specifico incarico di rappresentanza; il
diritto di visitare i magazzini, i depositi e le rivendite; continui errori
d'intestazione di fatture; il rilievo di materiali giacenti presso gli uffici della
presunta SO.; identità e rapporti tra amministratori e incaricati dei diversi
soggetti coinvolti; l’inserimento della struttura italiana negli obiettivi
pianificati da quella estera e l’estensione ad essa del medesimo codice
deontologico; l’estensione ad essa di agevolazioni e convenzioni tariffarie;
ingerenze della società estera negli accordi relativi al prezzo, alle condizioni
di resa e al pagamento delle materie prime per la produzione di beni;
nell'elargizione di omaggi e contributi; nella gestione contabile dell'impresa,
degli atti e dei documenti; gl'interventi della struttura italiana per promuovere
il lancio di prodotti della società estera, per interrompere una pubblicità
negativa, per assicurare la remuneratività delle vendite, per definire
un'operazione commerciale, per calcolare le royalties dovute nei confronti
delle società estere del gruppo; il fatto che alcuni dirigenti erano retribuiti sia
dalla società italiana che da società estere del gruppo; che le società estere
avevano stipulato polizze assicurative per il personale della struttura italiana
o avevano proposto benefici economici per esso; che essa aveva organizzato
un corso di formazione per il proprio personale sul ruolo dei responsabili
vendita della società estera; un sistema informatico per analizzare tutte le
informazioni sui prodotti della società ester distribuiti sul territorio nazionale;
che dal suo giornale aziendale si desumeva la forte attenzione della società
per il raggiungimento degli obiettivi della società estera da parte dei suoi
dirigenti75.
12 (segue) certificazioni delle società di revisione e certificazioni
amministrative: prove sufficienti o prove necessarie?
Ancora, può sorgere il quesito circa l’efficacia probatoria delle certificazioni
società di revisione e la giurisprudenza ha ritenuto che esse possano fare
piena prova della sussistenza, ampiezza e area anche quantitativa di
operatività della SO, a maggior ragione quando provenienti da società di
revisione di chiara fama e affidabilità76.
75
Cass. civ. Sez. V, 25-05-2002, n. 7682
Cass. civ. Sez. V, 18-03-2009, n. 6532 (rv. 607201) la cui massima è: “In tema di
imposte sul reddito d'impresa, la legittimità della deduzione, da parte di una società
avente sede all'estero (nella specie, in Belgio) e con stabile organizzazione in
Italia, di una quota delle spese generali (c.d. spese di regia) sostenute dalla società
capogruppo e da questa ripartite "pro quota" tra le società partecipate, esige che il
requisito della inerenza dei costi sostenuti all'oggetto dell'attività - prescritto dagli
76
261
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Una categoria particolare di documenti, che merita una specifica trattazione è
poi costituita dalle eventuali certificazioni di autorità estere. Il quesito, di
grande rilevanza concettuale e pratica, è se e in che misura possano costituire
o integrare prova della SO atti provenienti dalle Autorità Fiscali di altri paesi.
Intanto, sul piano strettamente logico, è evidente che il problema si pone solo
per gli eventuali atti che abbiano direttamente ad oggetto elementi rilevanti
per la sussistenza della SO, ovvero ne presuppongano logicamente e
giuridicamente la sussistenza (ovvero la escludano, ecc.).
Entro questi limiti, effettivamente, tali certificazioni possono assumere una
loro cospicua rilevanza.
La questione è stata trattata dalla giurisprudenza di merito77 per quanto
attiene la diversa questione della individuazione del beneficiario effettivo
(attestato da certificazioni estere: certificazione rilasciata dalle autorità fiscali
tedesche attestante che la società tedesca era fiscalmente residente in
Germania, aveva presentato la propria dichiarazione dei redditi in Germania,
il pieno assoggettamento a tassazione della società in Germania e l’avvenuta
contabilizzazione delle royalties come “ricavi” nei propri bilanci e quindi era
l’“effettivo beneficiario” delle suddette royalties). Ma, concettualmente, la
questione si presenta identica anche per la prova della SO.
In linea di principio, il contribuente ha il tendenziale diritto di poter contare
sulle certificazioni pubbliche, ancorché provenienti da un diverso paese,
specie in un contesto, quale quello eurounitario (e, a maggior ragione, per
imposte armonizzate) dove il coordinamento di legislazioni e prassi
amministrative è particolarmente avanzato, così come la collaborazione.
Sarebbe ingiustificatamente asimmetrico un sistema che valorizzasse il
materiale probatorio transfrontaliero solo contro il contribuente e non a suo
favore. Aperture in questo senso si trovano anche nella prassi
dell’Amministrazione Finanziaria (circolare n. 32/E dell’8 luglio 2011), che
ha ritenuto di “…indubbia valenza probatoria…” la certificazione rilasciata
dall’autorità fiscale dello Stato estero, riconoscendo “… il diritto di ciascun
artt. 75, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo "ratione temporis" vigente) e 7
della Convenzione Italia - Belgio del 28 aprile 1983 (ratificata con legge n. 148 del
1989) - sia dimostrato da idonea attestazione tecnico-contabile e dalla inesistenza di
duplicazione di costi; tale prova può dirsi raggiunta quando la natura e la
composizione dei servizi prestati alla stabile organizzazione e la loro funzionalità
all'attività di questa risultino dai prospetti redatti dalla capogruppo e certificati da
una società internazionale di revisione, tenuto conto della funzione di controllo
pubblicistico che questa svolge, in posizione di indipendenza rispetto al soggetto
conferente l'incarico e della responsabiltà, civile e penale, in cui incorre il revisore,
iscritto in apposito Albo tenuto dalla CONSOB, che attesti dati non veritieri. Ne
consegue che la revisione, articolata mediante relazioni sulla corrispondenza dei dati
di bilancio e del conto profitti e perdite alle risultanze delle scritture contabili, rende
affidabili le relative attestazioni che, assumendo valore di prova decisiva, non
possono essere disattese dall'Amministrazione Finanziaria o dal giudice, se non
contrastate da prove di eguale portata.
77
Commiss. Trib. Reg. Piemonte Torino Sez. XII, Sent., 04-05-2012, n. 28 su cui
Furlan Colucci, Il principio di «sufficienza probatoria» a servizio del beneficiario
effettivo, in Fiscalità e commercio internazionale, 2012, fasc. 12, 29 ss.
262
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
contribuente di essere messo in grado, senza eccessivi oneri
amministrativi…”, di dimostrare la sussistenza della qualifica di
“beneficiario effettivo” del percettore non residente.
Pertanto, la certificazione con cui si attesti lo status di beneficiario effettivo
della società assume l’efficacia di prova piena, ancorché ovviamente con
riferimento alle circostanze attestate nell’atto, o da esso presupposte. Tale
riconoscimento della validità delle certificazioni delle autorità estere
corrisponde giurisprudenza di merito, che aveva affermato il carattere
pienamente probatorio delle certificazioni delle autorità fiscali straniere, fino
a querela di falso.
Anzi, con riferimento alle attestazioni che abbiano ad oggetto fatti compiuti o
direttamente rilevati dai pubblici ufficiali (stranieri), l’efficacia probatoria è
stata addirittura ritenuta pari a quella dell’atto pubblico interno, con la
conseguenza che solo una querela di falso può invalidare le certificazioni
rilasciate dalle autorità fiscali di Stati esteri78.
Fuori da tale portata (e cioè quando gli elementi della SO non siano oggetto
diretto della attività certificatoria) gli atti provenienti dall’estero avrebbero
comunque una significativa efficacia indiziaria, ogni qualvolta ne risultino
elementi in qualche modo correlati alla sussistenza della SO.
Sul punto, si è rilevato in dottrina come certificazioni sulla stabile
organizzazione siano previste nel d.p.r. 600/1973.
Come noto la Direttiva n. 2003/49/CE concernente il regime fiscale comune
applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati
membri diversi all’art. 1, comma 4, dispone che: “Una società di uno Stato
membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se
riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria,
quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona”. Il Legislatore
nazionale ha previsto all’art. 26 quater, comma 6, sotto il profilo probatorio,
la produzione “… di un’attestazione dalla quale risulti la residenza del
beneficiario effettivo e, nel caso di stabile organizzazione, l’esistenza della
stabile organizzazione stessa, rilasciata dalle competenti autorità fiscali
dello Stato in cui la società beneficiaria è residente ai fini fiscali o dello
Stato in cui è situata la stabile organizzazione, nonché una dichiarazione
dello stesso beneficiario effettivo che attesti la sussistenza dei requisiti
indicati nei commi secondo e quarto”
78
Si fa riferimento alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sentenza
n. 16/29/2012 (depositata il 24 febbraio 2012), su cui si veda Furlan Colucci, Il
principio di «sufficienza probatoria» a servizio del beneficiario effettivo, in Fiscalità
e commercio internazionale, 2012, fasc. 12, 29 ss. la quale afferma il principio,
suscettibile di essere applicato alle certificazioni straniere in genere, secondo cui:
“… uno Stato membro … non può rimettere in discussione l’esattezza delle
indicazioni fornite dalle autorità di un altro Stato membro …” salva la querela di
falso. In ciò si recepisce la giurisprudenza comunitaria in materia: Corte di Giustizia
CE - sentenze C-130/88 e C-202/97.
263
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
A tale tipo di certificazione e alla relativa efficacia probatoria saranno
pertanto verosimilmente applicabili le considerazioni appena viste79.
Problema diverso, ma ugualmente rilevante sotto il profilo pratico è se,
quando sia prevista la certificazione pubblica essa, oltre che un mezzo di
prova eventualmente idoneo a provare la circostanza, sia anche un onere
procedimentale idoneo a condizionare il sorgere del diritto. Detto altrimenti,
ammesso che la certificazione sia sufficiente, essa è anche necessaria?
Il profilo è assai delicato, perché coinvolge non facili valutazioni quanto alla
proporzionalità di tale limitazione. In proposito possono richiamarsi le
considerazioni a suo tempo svolte80 quanto alla legittimità della imposizione
di limiti alla facoltà di prova.
Sono possibili due orientamenti riguardo alla ammissibilità di tali limiti e
oneri. Il primo è che il diritto alla prova81 non tolleri deroghe, di tal che
eventuali oneri di collaborazione potrebbero essere sanzionati, ma non con
effetti sostanziali o sulla possibilità di accertamento della realtà.82 Il secondo
ammette la possibilità di una composizione di interessi, tale che la prova
possa essere anche condizionata ad adempimenti imposti per esigenze
diverse. In questa ultima impostazione è possibile l’imposizione di limiti,
purché non rendano irragionevolmente difficile l’esercizio del diritto alla
prova. Si tratta di una soluzione che fissa un punto di equilibrio adeguato tra i
valori in gioco ed è, pertanto, preferibile.83
La questione dei limiti afferenti al "mezzo" della prova contraria va risolta
alla luce di tali criteri. Il valore costituzionale di riferimento, in questo caso, è
il diritto di difesa di cui all’articolo 24 Cost.
Non è facile la definizione dei confini di ammissibilità di tali limitazioni .
Ancora una volta si può pensare allo scontro di due interessi contrapposti:
quello espresso dall’articolo 53 Cost., rispetto al quale è strumentale
l’articolo 24 Cost., da un lato, e il bisogno finanziario dello Stato, dall’altro.
Come già si è già detto altra occasione84, tuttavia, non esistono altri valori
costituzionali rilevanti in materia, se non quello di cui all’articolo 53 Cost. e,
in funzione strumentale, l’articolo 24 Cost.
79
Furlan Colucci, Il principio di «sufficienza probatoria» a servizio del beneficiario
effettivo, in Fiscalità e commercio internazionale, 2012, fasc. 12, 29 ss.
80
Marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario. Dalle stime agli studi di settore,
Torino, 2008, 99 ss.
81
O alla prova in sede giurisdizionale, rispetto al problema degli oneri di
anticipazione amministrativa della prova.
82
DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1995, 92 afferma che
gli obblighi cui la determinazione dell’imposta potrebbero essere subordinati possono
concernere solo la prova intrinseca di fatti rilevanti per l’imposizione nei suoi
confronti e non oneri di collaborazione ulteriore. Seguendo questa impostazione, ad
esempio, l’onere di indicare il soggetto beneficiario del prelevamento bancario
previsto dall’art. 32, d.p.r. 600/1973 sarebbe probabilmente incostituzionale.
83
Per qualche spunto, C. Cost., 12 luglio 2000, 384. Analogamente: C. Cost., 8
novembre 1982, n. 186, C. Cost., 27 gennaio 1988, 130; C. Cost., 8 luglio 1988, n.
940.
84
Marcheselli, Il giusto processo tributario in Italia. Il tramonto “dell’interesse
fiscale?, in Diritto e pratica tributaria, 2003, pp. 793 – 829.
264
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
Ciò conduce a conclusioni interessanti. Limiti al mezzo di prova utilizzabile
potranno essere imposti, ma solo in accordo con i principi costituzionali che
regolano il diritto alla prova. Sono possibili anche a questo proposito due
impostazioni, che corrispondono a due diverse soglie di garanzia del diritto
alla prova.
La prima opina che gli unici limiti possibili sono quelli che escludono
strumenti inidonei (o non necessari) a provare la situazione effettiva e reale.
In effetti, gli artt. 24 e 53 Cost. significano che non deve essere preclusa la
possibilità di far risultare il reale assetto delle circostanze ma non che
debbono essere consentite frodi ed evasione. Se tutto ciò è vero, si delinea
una soluzione della annosa questione delle prove legali nel diritto tributario:
la finalità di semplificare l’applicazione dei tributi può portare
all'imposizione di obblighi strumentali (purché non defatiganti o vessatori),
alla previsione di sanzioni per gli inadempienti, ma non ad alterare la pretesa
tributaria. Essa deve essere sempre conforme al principio di capacità
contributiva. Al contribuente (e al Fisco) deve essere consentito ogni mezzo
diretto, ragionevole e idoneo a realizzare tale principio, pena la violazione
dell’articolo 24 Cost.
La seconda, leggermente più arretrata, afferma che l’accertamento del diritto
(del contribuente e del Fisco) non deve essere assoggettato a limiti o
condizioni che ne rendano impossibile o irragionevolmente difficile
l’esercizio. In questa prospettiva sono accettabili limitazioni che consentono
l’utilizzo di alcuni mezzi di prova soltanto, purché essi siano nella libera
disponibilità del contribuente e ragionevoli.85 Il canone rilevante è quello
della relativa ragionevolezza: può limitarsi il diritto alla prova purché in
modo non vessatorio. 86 87 E ciò vale, simmetricamente a quanto espresso
85
GRANELLI, Le presunzioni nell'accertamento tributario, in Boll. trib., 1981, 1652.
C. Cost., 186/1982.
86
Questa impostazione rappresenta la soglia minima di garanzia, al di sotto della
quale sarebbe certa la violazione dei precetti costituzionali. Residua, comunque, un
margine problematico. Il sistema deve ancora completarsi con una necessaria clausola
generale di garanzia, che ammetta l’utilizzo di prove normalmente escluse, in caso di
indisponibilità, per causa non imputabile alla parte, del mezzo di prova consentito.
Solo in questo modo il sistema, oltre a realizzare un buon equilibrio tra i valori della
efficienza della tutela, ha la duttilità necessaria ad adeguarsi alle peculiarità
imprevedibili del caso singolo. L’importanza, ai fini della salvezza della legittimità
costituzionale di un regime di limitazione probatoria, della previsione della facoltà di
ricorso a mezzi istruttori suppletivi, a favore del contribuente che si sia trovato senza
colpa nella impossibilità di utilizzare i mezzi istruttori ordinari, è stata riconosciuta
dalla Corte Costituzionale (ordinanza 14 febbraio 2002, n. 33). Tali principi sono
attuati a livello legislativo, ad esempio dalla previsione dell’art. 32, d.p.r. 600/1973 in
forza della quale “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i
registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono
essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in
sede amministrativa e contenziosa.” Tale regola trova un correttivo nell’ultimo
comma del medesimo articolo, ove si stabilisce che “Le cause di inutilizzabilità
previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in
allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le
265
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente
di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non
imputabile.” Resta semmai da domandarsi se la limitazione di questa sanatoria al
momento del deposito dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado sia
ragionevole, posto che il contribuente potrebbe venire nella possibilità di produrre tali
dati in un momento successivo (eventualmente anche durante il processo d’appello).
87
Alla luce di queste osservazioni va valutata, ad esempio, la costituzionalità della
preclusione della prova testimoniale nel processo tributario. Ciò ha comportato il
reiterato sospetto di illegittimità costituzionale, per violazione del principio di
uguaglianza e di difesa. La Corte Costituzionale ha, finora, sempre ritenuto non
fondata la relativa questione (C. Cost., 12 gennaio 2000, n. 18, 12 luglio 2001, n. 324,
e le precedenti decisioni 82/1996, 53/1998 e 141/1998). Gli argomenti utilizzati per
giustificare l’esclusione di tale prova sono ravvisati: a) in ragioni storiche; b) nella
natura del diritto fatto valere in giudizio; c) le caratteristiche del giudizio e
dell’organo giudicante; d) il fatto che anche in altri settori dell’ordinamento vigono
limiti alla prova (esempio, nel diritto civile ci sono atti che possono provarsi solo per
iscritto, quali il contratto di assicurazione, art. 1888 Codice Civile); e) (circa
l’uguaglianza delle parti) nel fatto che neanche il Fisco se ne può valere, né si
potrebbe valere di dichiarazioni di terzi verbalizzate durante il procedimento
amministrativo o nelle indagini (argomenti efficacemente riassunti in C. Cost.,
18/2000 citata). Tale impostazione sembra criticabile. Il diritto di difesa
costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. implica che a ciascuna parte deve
essere consentito ogni mezzo di prova che sia indispensabile per provare fatti rilevanti
per le sue ragioni. Di tal che, se esiste almeno una fattispecie nella quale la
testimonianza è necessaria all’accertamento del diritto, il sistema che la preclude
confligge con la Costituzione. Non è difficile ipotizzare casi di tal fatta, e, quel che
spesso si trascura, sia a vantaggio del contribuente, sia dell’ufficio tributario (nella
casistica posta all’attenzione della Corte, ad esempio, è stato considerato il caso della
prova di un fatto impeditivo del sorgere di un diritto del contribuente: la data di
conoscenza, da parte dell’ufficio, di fatti penalmente rilevanti commessi dal
contribuente, fatti che sono ostativi al c.d. concordato di massa - C. Cost., sentenza
18/2000). Gli argomenti portati in contrario dalla Corte non sono del tutto
convincenti. Di poca consistenza, per ovvie ragioni, è la tradizione storica; una
petizione di principio è il riferimento alle caratteristiche del giudizio (dato non
immutabile). Poco chiaro è, poi, il riferimento alla natura del diritto fatto valere (posto
che, come sopra si osservava, non pare sussistere un privilegio del Fisco e, comunque,
la preclusione della testimonianza colpisce anch’esso). Non dirimente, infine, il
riferimento al fatto che nel diritto civile sia prevista la prova necessariamente scritta,
posto che essa è riferita non a fatti, ma ad atti. L’esclusione della prova testimoniale
può ben concernere, nel diritto tributario, fatti per i quali è addirittura assurdo
ipotizzare una prova documentale.
Entro questi limiti, la preclusione della prova testimoniale appare irragionevole e il
relativo sistema costituzionalmente illegittimo.
Il che non implica, tuttavia, che il divieto di prova testimoniale debba cedere di
schianto a favore di una indiscriminata ammissibilità. La soluzione più equilibrata
sembra quelle indicata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo: una prova può
essere esclusa, di regola, ma deve essere prevista una sua eccezionale ammissione, se
ritenuta assolutamente necessaria dal giudice per la decisione della causa. In tema si
veda CEDU, 23 novembre 2006, Case of Jussila v. Finland, Application n. 73053/01,
su cui si vedano: MARCHESELLI, Giusto processo e oralità del diritto di difesa nel
contenzioso tributario: note a margine di un recente pronunciamento della Corte
266
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
sopra, anche per il condizionamento della prova contraria a oneri e
adempimenti strumentali di collaborazione, anche e in particolare quanto alla
prova della SO.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale appare in lenta, ma netta
evoluzione in tale ultimo senso. Sono recessivi gli orientamenti circa
l'interesse fiscale,88 o l’indifferenza dell'ammissibilità o meno della prova
contraria ai fini del giudizio sulla costituzionalità delle presunzioni fiscali.89
La tendenza, sia pure non ancora univoca, è verso gli approdi appena
descritti.90
Alla luce di tali premesse, in effetti, la limitazione, in giudizio, della
possibilità di far valere la circostanza, rilevante per l’accertamento della
esistenza o inesistenza della SO, nella sola ipotesi di disponibilità della
certificazione amministrativa appare alquanto dubbia. Per chi la ammetta (e
pare assai dubbio che il giudice non possa liberamente apprezzare anche
prove diverse, trattandosi di realizzare direttamente il diritto di difesa e,
indirettamente, il principio della giusta imposizione di cui all’art. 53 Cost.)
dovrebbe, quantomeno ammettersi: a) la possibilità di una (non agevolmente
configurabile) azione giurisdizionale per ottenere la prova rifiutata dalla
Amministrazione (interna o straniera); b) la possibilità di ottenere la
valutazione di prove diverse nel caso di impossibilità incolpevole di
Europea dei Diritti dell’Uomo, in Dir. prat. trib. int., 2007, 1, 333; ID. Processo
tributario. Nelle liti sulle sanzioni fiscali non può escludersi il contraddittorio orale
sulle prove (con Postilla di GLENDI), in GT –Rivista di Giurisprudenza Tributaria,
2007, 5, 389; GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova
testimoniale nell’applicazione della CEDU (il caso Jussila), in Rass. trib., 2007, 1,
228; LA SCALA, I principi del "giusto processo" tra diritto interno, comunitario e
convenzionale, in Riv. dir. trib., 2007, 3, IV, 35. La decisione del consesso
internazionale afferma il principio della necessaria ammissione della prova orale solo
quando siano in gioco sanzioni. Ma ciò dipende dal fatto che quella giurisprudenza
non ritiene applicabile il canone del giusto processo alla materia tributaria. Poiché in
Italia è pacifica la maggiore ampiezza della garanzia, la prova testimoniale, nei limiti
di cui al testo, dovrebbe potersi ammettere con riferimento a tutta la materia tributaria.
88 Ad esempio, la già citata C. Cost., 50/1965 commentata retro.
89
C. Cost., 103/1967.
90
Si veda ad es. la C. Cost., 17 novembre 1982, n. 186, in La Comm. trib. Centrale,
1982, II, 1168 ss. dove si dice: "la determinazione del quantum del tributo (...) ben
può essere dalla legge subordinata alla osservanza di taluni obblighi (...) sulla base
di prescrizioni non defatiganti né eccessive". Così, successivamente, la sentenza C.
Cost., 13 aprile 2000, n. 114, ha riconosciuto l’illegittimità di un regime di prova che
renda ragionevolmente impossibile, secondo criteri di normalità, l’esercizio del
diritto. Più in generale, la sentenza C. Cost., 1° luglio 2002, n. 332, ha affermato che
un potiore trattamento dell’Amministrazione Finanziaria in sede probatoria non
potrebbe giustificarsi con la semplice necessità di riconoscere ad essa un privilegio
(evidentemente connesso alla pubblica funzione esercitata). Si noti, tra l’altro, che
mentre la prima delle due decisioni afferma a chiare lettere che l’inversione dell’onere
della prova rientra nella discrezionalità del legislatore, la seconda, spingendosi assai
più avanti, censura proprio l’uso di tale discrezionalità, affermando che la presunzione
deve fondarsi sulla probabilità.
267
LA PROVA DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE
procurarsele da parte del contribuente che abbia rispettato il canone della
dovuta diligenza.
La giurisprudenza interna, ha talora ritenuto, senza particolare
approfondimento, e con orientamento che, alla luce di quanto precede, non
convince, che le certificazioni estere possano essere elemento condizionante
il riconoscimento del diritto in Italia91.
91
In materia di limitazione al 12,50 dell’aliquota di imposizione nel paese della fonte,
nel quadro della convenzione Italo Svizzera e di interpretazione della norma che
condiziona il limite alla residenza in Svizzera del percipiente e all'inesistenza di
organizzazioni stabili in Italia dello stesso, ha ritenuto necessaria la certificazione
proveniente dal paese interessato Cass. civ. Sez. V, 21-04-2001, n. 5927. Ciò ai sensi
dell’art. 29 convenzione (comma 2: “Le istanze di rimborso, da prodursi in
osservanza dei termini stabiliti dalla legislazione dello Stato contraente tenuto ad
effettuare il rimborso stesso, devono essere corredate di un attestato ufficiale dello
Stato contraente di cui il contribuente è residente certificante che sussistono le
condizioni richieste per aver diritto all'applicazione dei benefici previsti dalla
presente Convenzione”. Con l’effetto, invero alquanto distonico, e probabilmente
sproporzionato, nella fattispecie, di richiedere una certificazione svizzera su una SO
italiana, atteso che il rimborso era chiesto dal sostituto, mentre si intendeva come
“contribuente” nel quadro dell’art. 29 era il sostituito.
268
Prof. Giuseppe Marino
Professore Università degli Studi di Milano
La “base” di vettore aereo: tanto rumore per nulla ?
SOMMARIO: 1 Introduzione. - 2 L’articolo 8 della Convenzione contro le doppie
imposizioni e la sua evoluzione. - 3 La nozione di place of effective management e la
crisi di un concetto non più al passo coi tempi. - 4 Gli aspetti critici e i chiarimenti
forniti dall’Agenzia delle Entrate. - 5 Conclusioni
1 Introduzione.
Il settore aereo è un comparto che negli ultimi anni, soprattutto per quel che
riguarda il trasporto passeggeri, si è evoluto costantemente1 e, di pari passo,
anche la legislazione che opera in materia si è adattata a tale evoluzione.
Nello specifico, a livello europeo esiste una nozione di “base di servizio”2,
che costituisce il criterio per la determinazione della normativa applicabile al
personale degli equipaggi di condotta e di cabina, che è definita come «il
luogo designato dall’operatore per ogni membro d’equipaggio dal quale il
membro d’equipaggio solitamente inizia e dove conclude un periodo di
servizio o una serie di periodi di servizio e nel quale l’operatore non è
responsabile della fornitura dell’alloggio al membro d’equipaggio
interessato».
La determinazione della legislazione applicabile è demandata al par. 5
dell’articolo 11 del Regolamento (CE) n. 883/2004, così come modificato dal
Regolamento UE n. 465/2012, secondo cui “un’attività svolta dagli
equipaggi di condotta e di cabina addetti al servizio di trasporto aereo
passeggeri o merci è considerata un’attività svolta nello Stato membro in cui
è situata la base di servizio, quale definita all’allegato III del Regolamento
(CEE) n. 3922/91”. Al fine di definire la legislazione applicabile il
Regolamento ha altresì modificato l’art. 14, comma 5-bis, del Regolamento
(CE) n. 987/2009 disponendo che “(...) gli equipaggi di condotta e di cabina
addetti a servizi di trasporto aereo passeggeri o merci che esercitano
un’attività subordinata in due o più Stati membri sono soggetti alla
legislazione dello Stato membro in cui è situata la base di servizio (...)”.
1
Cfr. Air Passenger Market Analysis diffusa dalla IATA (International Air Transport
Association) nel febbraio 2013.
2
Cfr. Regolamento europeo n. 465/2012/UE del 22 maggio 2012, relativo al
coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale che ha introdotto, nell’allegato III del
regolamento (CEE) n. 3922/91 del Consiglio, del 16 dicembre 1991, concernente
l’armonizzazione dei requisiti tecnici e di procedure amministrative nel settore
dell’aviazione civile, il concetto di «base di servizio» per gli equipaggi di condotta e
di cabina.
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
Ebbene, la nozione aeronautica di “base” è stata recentemente esaminata
dall’art. 38, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. Decreto crescita
bis)3, che è intervenuto sulla disciplina fiscale e contributiva dei vettori aerei
europei.
Nello specifico, l’articolo menzionato chiarisce la nozione di “base” di
vettore aereo, identificandola con “un insieme di locali e di infrastrutture a
partire dalle quali un’impresa esercita in modo stabile, abituale e
continuativo un’attività di trasporto aereo, avvalendosi di lavoratori
subordinati che hanno in tale base il loro centro di attività professionale, nel
senso che vi lavorano, vi prendono servizio e vi ritornano dopo lo
svolgimento della propria attività”, per poi individuare quando esse si
considerano stabilite nel territorio italiano: “Un vettore aereo titolare di
licenza di esercizio rilasciata da uno Stato membro dell’Unione europea
diverso dall’Italia è considerato stabilito sul territorio nazionale quando
esercita in modo stabile o continuativo o abituale un’attività di trasporto
aereo a partire da una base quale definita al periodo precedente”.
La norma così come introdotta sembra volta principalmente a colpire i vettori
aerei cd. low cost che diversamente dei vettori aerei “tradizionali” operano
attraverso il sistema delle basi operative. Più nello specifico la principale
differenza tra i due vettori aerei consiste nel fatto che, mentre i vettori
tradizionali fanno convergere il loro traffico su grandi hub4 continentali e
fanno terminare gli ultimi voli in una molteplicità di aeroporti dai quali
ripartono il giorno seguente, i vettori low cost organizzano il loro traffico a
partire da più basi operative dalle quali si originano e terminano tutti i voli
della giornata. Ogni base dispone di un determinato numero di aerei, di
personale, di servizi di terra, ma è previsto che alla fine della giornata sia gli
aerei sia il personale ritornino alla base operativa di partenza.
Ebbene, il fine ultimo dell’art. 38 del citato Decreto non è solo quello di
ampliare i requisiti fiscali delle imprese aeree estere ma altresì di
implementare i criteri di sicurezza sociale e gli obblighi di diritto del lavoro
nel settore del trasporto aereo. L’obiettivo sembra, pertanto, essere quello di
prevenire ed eliminare eventuali controversie con vettori aerei che operano
mediante il sistema delle basi operative5 individuando in queste ultime il
collegamento territoriale con lo Stato italiano. La norma in esame
assimilerebbe, quindi, la base operativa dotata di infrastrutture e personale ad
una stabile organizzazione, obbligando le compagnie aeree operanti nel
territorio nazionale tramite le predette basi operative ad assolvere gli obblighi
tributari e previdenziali in Italia.
3
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 19 ottobre 2012, n. 245 – Supplemento
ordinario n. 194 e convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221.
4
Con il termine hub and spoke si intende un modello di sviluppo della rete delle
compagnie aeree costituito da uno scalo dove si concentrano la maggior parte dei voli.
Solitamente questo scalo è anche la base (o una delle basi) di armamento della linea
aerea.
5
Tra queste il caso più noto è quello della compagnia aerea irlandese Ryanair.
270
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
1.1
Con la norma in commento – come affermato dalla stessa Agenzia delle
Entrate nella Circolare 3 maggio 2013, n. 12/E – è stata, pertanto, introdotta
“un’ulteriore ipotesi positiva di stabile organizzazione, senza incidere sulla
nozione generale di cui all’articolo 162, comma 1, del TUIR” che si aggiunge
alle esemplificazioni di stabile organizzazione (sede di direzione, succursale,
ufficio, officina, laboratorio, miniera, giacimento, cava o altro luogo di
estrazione) già previste dalle norme sia interne, sia convenzionali6. La norma
prevede che tutti i vettori aerei titolari di una licenza di esercizio rilasciata da
uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia, siano considerati
stabiliti sul territorio italiano quando esercitano in modo stabile, continuativo
e abituale un’attività di trasporto a partire da una “base” così come sopra
definita. Ebbene, la nozione di “base”, come precisato dalla stessa Agenzia
delle Entrate nella Circolare sopra menzionata, richiedendo la sussistenza dei
medesimi requisiti della “sede” di cui all’articolo 5 del Modello OCSE,
introduce nell’ordinamento italiano una nuova tipologia di “stabile
organizzazione”7. Alla luce di quanto esposto, difatti, la base di un vettore
aereo, per configurare una stabile organizzazione, deve necessariamente
soddisfare la presenza di tre requisiti8:
- l’esistenza di una sede fissa di affari (“place of business”), quali ad
esempio locali, attrezzature o macchinari. Nel caso specifico della base
6
Cfr. articolo 162, comma 2, del TUIR e articolo 5, paragrafo 2, Modello di
Convenzione OCSE.
7
Preliminarmente occorre evidenziare come in base a quanto previsto dall’articolo 23,
comma 1, lett. e) del D.lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, le società fiscalmente non
residenti nel territorio dello Stato sono assoggettate ad imposizione in Italia sui redditi
ivi prodotti a condizione che essi siano conseguiti mediante una “stabile
organizzazione” nel territorio dello Stato. La nozione di “stabile organizzazione” è
stata introdotta nel nostro ordinamento tramite l’articolo 162 del testo unico delle
imposte sui redditi, così colmando una lacuna avvertita da tempo nell’ordinamento
tributario nazionale. Prima delle predette modifiche la nozione di “stabile
organizzazione”, pur rivestendo un’importanza cruciale ai fini della tassazione delle
imprese, era stata accolta in modo implicito con generici rinvii alle previsioni di
provenienza internazionale, in primis, al Modello di Convenzione OCSE (e al
correlato Commentario), nonché, in secundis, ai trattati bilaterali contro le doppie
imposizioni ratificati dall’Italia.
Nello specifico, l’articolo 162 T.U.I.R., recependo in buona sostanza quanto previsto
dall’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE, prevede, al comma 1, che
“l’espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari per mezzo
della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel
territorio dello Stato”. Ai sensi della normativa sopra esposta, perché si abbia una
stabile organizzazione è quindi necessaria la presenza di una sede d’affari, che sia
fissa e che venga utilizzata per l’esercizio dell’attività d’impresa.
Sul punto si rinvia inter alios a E. Della Valle, La nozione di stabile organizzazione
nel nuovo Tuir, in “Rassegna Tributaria”, 2004, 1597 ss.
8
Tali requisiti sono stati individuati dall’OCSE nel paragrafo 2 del Commentario
all’articolo 5 del Modello OCSE.
271
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
di vettore aereo la sede fissa di affari si configura qualora vi sia “un
insieme di locali e di infrastrutture”;
- la sede di affari deve essere fissa (“fixed”), ovvero deve essere stabilita
in un determinato posto con un certo grado di permanenza (at a distinct
place with a certain degree of permanence). Nel caso della base di
vettore aereo la “fissità” si configura quando l’attività di trasporto vi sia
svolta “in modo stabile o continuativo o abituale”;
- lo svolgimento dell’attività dell’impresa deve essere esercitata attraverso
detta base fissa. Nel caso della base di vettore aereo è espressamente
previsto che l’impresa esercita l’attività di trasporto aereo “a partire”
dalla base.
La disposizione in esame, ai sensi di quanto previsto dall’ultimo periodo del
comma 1 del citato articolo, si applica, inoltre, a decorrere dal periodo
d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, e ciò in deroga a quanto previsto
dall’articolo 3 dello Statuto dei diritti del contribuente.
1.2
Procedendo ad un’analisi più dettagliata della norma e delle ragioni che
hanno portato alla sua formulazione, occorre precisare che l’introduzione
della stessa è stata sollecitata da una interrogazione parlamentare presentata
alla Camera dei Deputati, dall’On. Occhiuto (UDC)9, il quale ha sollevato
alcune problematiche inerenti determinati settori economici e categorie di
business nei cui confronti risulta difficile individuare i criteri per la
configurazione dell’esistenza di una stabile organizzazione.
Nello specifico, oltre al settore del commercio elettronico – analisi
indubbiamente interessante ma che esula dall’argomento trattato – l’On.
Occhiuto ha evidenziato problematiche inerenti il settore del trasporto aereo
affermando che: «è noto che alcune compagnie cosiddette low cost, operanti
anche su tratte effettuate integralmente in territorio italiano adottano
modalità operative per dissimulare la presenza di stabili organizzazioni in
Italia, svolgendo, pertanto, la propria attività d’impresa in totale esenzione
di imposta, a differenza delle altre compagnie aeree, nazionali e straniere,
che svolgono la stessa attività e sono regolarmente e correttamente
assoggettate ad imposizione sui redditi prodotti in Italia».
La risposta a tale interrogazione è stata fornita dall’Agenzia delle Entrate la
quale ha evidenziato che gli eventuali fenomeni di abuso finalizzati ad
aggirare le disposizioni convenzionali ed i richiamati principi di prassi
internazionale, che rappresentano i criteri di collegamento in base ai quali
ripartire la potestà impositiva tra i diversi ordinamenti tributari, qual è, ad
esempio, quello della stabile organizzazione per la localizzazione territoriale
dei redditi derivanti dall’esercizio dell’impresa, possono essere ostacolati
attraverso il rafforzamento dell’attività di controllo. Più in particolare
l’Agenzia delle Entrate rappresentava come nell’ordinamento nazionale
9
Interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-03309 presentata da Roberto
Occhiuto in data 28 luglio 2010, seduta n. 360.
272
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
esistono numerose norme aventi finalità antiabuso, che recentemente sono
state rafforzate dal complesso delle misure volte alla lotta all’evasione ed
all’elusione fiscale attuate con modalità transnazionali10.
Invero l’onorevole Occhiuto ha affermato che «la sottrazione ad imposizione
di attività svolte direttamente nel territorio dello Stato, lungi dall’essere
riconducibile esclusivamente a fenomeni di abuso (...) è resa possibile,
piuttosto, dalle lacune esistenti nel nostro ordinamento, che appare pertanto
necessario colmare».
Ebbene, le predette interrogazioni hanno condotto all’adozione,
nell’ordinamento positivo, della nozione di “stabile organizzazione aerea” al
fine di assoggettare alla disciplina nazionale fiscale quei vettori aerei esteri
che al momento utilizzano discipline più favorevoli dei paesi UE di
provenienza. Come si evince dal Dossier NV 5626-A della Camera dei
Deputati11 redatto dal Servizio Bilancio dello Stato, i conseguenti effetti di
maggior gettito in termini di IRES ed IRAP derivanti dal predetto
assoggettamento, così come si evince dalla relazione tecnica, riferita al testo
originario, sono pari a 77,9 milioni di Euro a titolo di IRES per il periodo
d’imposta 2013, per poi scendere a 44,5 milioni di Euro per i due successivi
periodi d’imposta, 2014 e 2015. Mentre per quel che riguarda l’IRAP le
maggiori entrate previste e riassunte nella predetta relazione si attestano a
11,7 milioni di Euro per il periodo d’imposta 2013 e 6,3 milioni di Euro per i
due successivi periodi 2014 e 2015. Da quanto rappresentato risulta pertanto
evidente l’importanza, a livello di gettito fiscale, dell’introduzione di una
simile norma all’interno dell’ordinamento.
1.3
Tuttavia, a tal punto è d’uopo chiedersi se era effettivamente necessario
introdurre una disposizione normativa ad hoc o se, invero, la nozione di
«base di servizio» recepita a livello europeo - obbligatoria in tutti i suoi
elementi ed altresì direttamente applicabile - letta in combinato disposto con
la normativa nazionale e con le disposizioni internazionali, i.e. l’articolo 3, 5,
7 e 8 del Modello di Convenzione OCSE, poteva ritenersi idonea e
sufficiente per tassare nello Stato italiano le compagnie estere che hanno nel
territorio nazionale una sede fissa. Ad una attenta disamina della norma si
potrebbe sostenere che la sua introduzione è piuttosto servita per chiarire
meglio la sua portata applicativa, in primis per quel che riguarda la
definizione di «base», e poi per quel che concerne l’individuazione di quando
essa possa considerarsi concretamente stabilita nel territorio italiano, essendo
invero già in vigore una normativa a livello internazionale in forza del
10
L’Agenzia delle Entrate segnala ad esempio le modifiche da ultimo recate con il
decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto
2009, n. 102, alla disciplina cosiddetta CFC (Controlled Foreign Companies) di cui
all’articolo 167 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
11
Cfr. Dossier “verifica delle quantificazioni” A.C. 5626-A Ulteriori misure urgenti
per la crescita del Paese (Conversione in legge del D.L. n. 179 del 2012 – Approvato
dal Senato – A.S. 3533) N. 479-12 dicembre 2012.
273
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
Modello di Convenzione OCSE, volta ad individuare lo Stato titolare della
potestà impositiva.
L’aspetto più rilevante della nuova disposizione normativa è forse invece da
individuarsi nell’ampliamento della nozione di “base” operativa che ha
consentito di includere all’interno della nozione di stabile organizzazione
anche le più snelle strutture aeroportuali utilizzate dalle compagnie cd. low
cost e, conseguentemente, assoggettare i dipendenti della predette compagnie
ai contributi previdenziali italiani.
Di poi, analizzando l’articolo 38, risulta conseguenziale concludere per la
marginalità di questa nuova disposizione tributaria rispetto alle imprese extra
UE, posto che il secondo periodo della norma in commento, nell’individuare
quando un vettore aereo si considera stabilito nel territorio italiano, fa
esclusivo riferimento al “vettore aereo titolare di una licenza di esercizio
rilasciata da uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia”. Ad
una prima indagine, infatti, non sembra usuale il caso di compagnie aeree
extra UE che effettuino tratte esclusivamente domestiche – le uniche a poter
essere tassate in presenza di una stabile organizzazione – in quanto pur
partendo da una «base» domestica invero poi terminano il volo in uno Stato
terzo, ricadendo, pertanto, nel criterio impositivo previsto dall’articolo 8 del
Modello di Convenzione OCSE, i.e. tassazione esclusiva dello Stato sede di
direzione effettiva dell’impresa.
In base al tenore letterale della norma, solo qualora una compagnia extra UE
effettuasse un trasporto esclusivamente domestico (presupponendo, dunque,
una licenza di esercizio rilasciata da uno Stato extra UE), e qualora con lo
Stato di origine della compagnia aerea, l’Italia non avesse in vigore una
Convenzione contro le doppie imposizioni, allora si dovrebbero ritenere
come tassabili gli utili ivi prodotti dalla compagnia aerea extra UE.
Si è pertanto anticipato che, di prassi, l’individuazione di una stabile
organizzazione aerea sul territorio nazionale non è criterio sufficiente per
assoggettare a tassazione i redditi ivi prodotti. Prima di effettuare un’analisi
critica della nozione di stabile organizzazione aerea, così come introdotta dal
Decreto crescita bis, è opportuno analizzare la medesima nozione così come
recepita dal Modello di Convenzione OCSE.
2 L’articolo 8 della Convenzione contro le doppie imposizioni e la sua
evoluzione.
Il tema della stabile organizzazione aerea è, tuttavia, una problematica non
solo nazionale ma anche e soprattutto europea. In base a quanto emerge dal
Rapporto “Addressing Base Erosion and Profit Shifting”, pubblicato
dall’OCSE il 12 febbraio 2013, sono sempre più numerose le imprese
multinazionali che, sfruttando le differenze esistenti fra i diversi regimi fiscali
274
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
nazionali, cercano di ridurre in modo considerevole l’imposizione sul
reddito12.
Orbene, la possibilità di avvalersi di regimi fiscali più convenienti nel paese
UE di provenienza ha comportato una «corsa ai ripari» non solo a livello
nazionale ma, ancor prima, a livello europeo. Già nel 2006 la Francia ha
adottato un decreto relativo alle «bases d’exploitation»13 delle compagnie
aeree che ha comportato l’abbandono del mercato domestico francese da
parte di un noto vettore irlandese.
La tassazione degli utili derivanti dal trasporto internazionale marittimo ed
aereo ha, difatti, da sempre generato profili di difficile risoluzione e di grande
attenzione da parte degli operatori del settore. L’importanza di previsioni
normative idonee ad evitare profili di doppia imposizione – facilmente
riscontrabili in tale settore, in quanto gli utili ricavati dall’impresa di
trasporto sono passibili di prelievo nel paese di provenienza e negli altri paesi
ove ricevono il pagamento per il trasporto di passeggeri o merci o per
l’espletamento delle altre attività di trasporto – è confermata dalla costante
attenzione che a tale concetto è stata riservata dalla Organizzazioni
Internazionali (OCSE, UE) nonché dalle Associazioni di categoria quali ad
esempio IATA (International Air Transport Association), ATA (Air
Transport Association of America) e AEA (Association of European
Airlines). La questione della tassazione del reddito delle imprese di
navigazione che esercitano il trasporto internazionale di merci e passeggeri,
utilizzando navi od aeromobili rappresenta, difatti, un caso paradigmatico in
tema di doppia imposizione14.
Come noto, quando le relazioni economiche non si sviluppano all’interno di
un singolo Stato bensì si estendono anche oltre la frontiera, spesso assumono
rilevanza impositiva in più Stati; questo concorso di potestà impositive si
traduce in un potenziale «conflitto positivo di tassazione» e quindi nel
12
Secondo il rapporto dell’OCSE, i principi accolti a livello internazionale, i quali
derivano dalle best pratice dei diversi ordinamenti, non sono stati in grado di seguire i
significativi cambiamenti che hanno interessato, soprattutto negli ultimi anni, i
differenti settori economici. “The OECD report was welcomed by Algirdas Semeta,
the EU tax commissioner, who said it went «very much along the lines» of an action
plan drawn up by Brussels at the end of last year. He said there was strong political
support for making progress. «Global action is needed to adrdress this issue» he said.
The problem of profit shifting could be tackled by the commission’s proposal for a
pan-European tax system, know as the Common Consolidated Corporate Tax Base, he
added. Per un maggior approfondimento cfr. Houlder V., “OECD presents plan to
close tax loopholes”, 12 febbraio 2013.
13
Decreto n. 2006-1425 del 21 novembre 2006 relativo alle “bases d’exploitation”
delle imprese di trasporto aereo che ha modificato il Codice dell’Aviazione Civile
Francese. Nello specifico la base “d’exploitation” viene definita come “une base
d’exploitation est un ensemble de locaux ou d’infrastructures à partir desquels une
entreprise exerce de fa on stable, habituelle et continue une activité de trasport
aérien avec des salariés qui y ont le centre effectif de leur activité professionnelle”.
14
Cfr. in tal senso S. Guglielmi, La tassazione del trasporto marittimo ed aereo
internazionale nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, in “Fiscalità
Internazionale”, n. 4/2006, 340 e ss.
275
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
fenomeno della c.d. doppia imposizione internazionale. Più nello specifico, si
parla di doppia imposizione internazionale quando i presupposti di imposta in
due o più Stati si sovrappongono e dunque le diverse leggi nazionali
assoggettano due o più volte ad imposta la stessa ricchezza15.
Inizialmente, quando la ricchezza era prodotta prevalentemente entro i
confini nazionali, si è sempre tentato di escludere nell’ordinamento
internazionale il potere di uno Stato di prelevare tributi in (o attraverso) un
altro Stato nel rispetto del principio di sovranità di cui è espressione, di
esclusività (dell’operatività della norma nel territorio dello Stato) e di non
collaborazione tra Stati16. Per la stessa ragione si escludeva che tale potere
spettasse ad organismi sovranazionali come l’UE nei confronti degli Stati
membri17.
L’evoluzione dei Modelli di Convenzione18 sino all’introduzione dell’articolo
8 - nella formula attualmente in vigore – in quello del 196319, dimostra
15
Cfr. A. Fantozzi-K. Vogel, voce Doppia imposizione internazionale, in Dig. IV ed.,
disc. priv., sez. comm., 182.
16
Cfr. in tal senso F. Amatucci, Principi e nozioni di diritto tributario, Torino, 1999,
25.
17
Si riteneva, invece, che esso spettasse agli organismi internazionali nei confronti dei
cittadini degli Stati membri anche se per la sua attuazione dovevano ricorrere agli
strumenti normativi offerti dai diversi ordinamenti (ONU e UE). Alcuni autori (Udina,
Diritto tributario internazionale, in Trattato di diritto internazionale, Padova, 1949),
pur riconoscendo che il principio di sovranità esclude il potere di uno Stato e degli
organismi sovranazionali di prelevare tributi a carico di un altro Stato, hanno ritenuto
che il potere impositivo spettasse a tali organi nei confronti dei cittadini comunitari,
anche se per tale attuazione essi devono ricorrere agli strumenti normativi offerti dai
diversi ordinamenti dei singoli Paesi.
18
Sin dal lontano 1920, la Società delle Nazioni si è preoccupata di promuovere
convenzioni contro le doppie imposizioni, onde restringere la sfera di imposizione
nelle attività svolgentesi nell’ambito di più Stati, nei confronti di soggetti residenti in
uno Stato e percipienti redditi provenienti da un altro Stato. Gli studi e le discussioni
del Comitato degli esperti tecnici, nominati dalla Società delle Nazioni, hanno portato,
nel 1928, alla predisposizione di una prima bozza di convenzione tipo (integrata dagli
Esperti governativi), che rappresenta l’embrione dei modelli che si sono succeduti
fino ad oggi. Orbene, una prima estensione alle attività di trasporto aereo si è avuta
proprio con la bozza dei MC della Lega delle Nazioni del 1928 che, successivamente,
sono state recepite anche dal Comitato degli Affari Fiscali della, nel frattempo
istituita, OCSE. Le considerazioni svolte dalla Lega delle Nazioni nel rapporto del
1959, hanno, in particolar modo, messo in risalto le difficoltà generate dai trasporti
internazionali, soprattutto per quel che riguarda l’attribuzione dei redditi alle diverse
giurisdizioni. Nello specifico, veniva evidenziato come le imprese di trasporto
marittimo ed aereo piuttosto che le normali imprese industriali e commerciali, sono
soggette a pericoli di doppia imposizione più elevati in quanto esse, come già supra
ribadito, possono subire un prelievo tributario non solo nel loro Paese, ma anche in
quelli dove svolgono la propria attività e recepiscono utili. Per un maggior
approfondimento in merito all’evoluzione dei Modelli di Convenzione OCSE si veda
V. Uckmar, Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, 5.
19
Il modello generale di trattato contro le doppie imposizioni, corredato del relativo
commentario per la corretta interpretazione delle norme in esso contenute, venne
276
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
chiaramente le difficoltà che si sono dovute affrontare, soprattutto nel campo
del trasporto marittimo ed aereo, in un primo momento, per quanto riguarda
l’estensione delle attività trattate, inizialmente previste solo per le imprese
marittime e, successivamente, estese anche a quelle operanti in ambito
fluviale ed aereo, e poi per quel che riguarda lo specifico criterio di
attribuzione del potere di imposizione, alternato in un primo momento fra
domicilio e residenza e solo successivamente ancorato al luogo di direzione
effettiva dell’impresa20.
Il Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni del 1963,
recependo, pertanto, le problematiche inerenti i profili di doppia imposizione
che, come già ribadito, sono facilmente riscontrabili in tale settore, disciplina
separatamente la tassazione degli utili derivanti dall’esercizio di navi ed
aeromobili, dalla tassazione degli utili realizzati da imprese di altra natura.
Per tale motivo è stato pertanto introdotto l’articolo 8, volto ad attribuire il
potere impositivo ad uno Stato contraente, ovvero quello nel quale è situata la
direzione effettiva dell’impresa, piuttosto che all’altro Stato.
2.1
Il criterio attributivo del potere impositivo al Paese di “direzione effettiva
dell’impresa” è stato mantenuto in tutti i Modelli di Convenzione successivi,
pur con le doverose e necessarie modifiche, quali ad esempio quelle recepite
nel Modello di Convenzione OCSE, versione 2005, già contenute nel
rapporto pubblicato dal Comitato per gli Affari Fiscali (C.A.F.) nel dicembre
200421 e volte principalmente a regolamentare le attività direttamente
connesse a quella principale22.
Le norme che disciplinano la tassazione degli utili derivanti dall’esercizio del
trasporto aereo e marittimo nel traffico internazionale, costituiscono lex
specialis rispetto alla normativa di carattere generale prevista per la
tassazione degli utili, con la conseguente inapplicabilità della norma ad essa
dedicata, i.e. l’articolo 7 del Modello OCSE23.
redatto nel 1963 dal Comitato fiscale presso l’OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico), denominazione assunta nel 1961
dall’OECE, e venne intitolato «Draft Double Taxation Convention on Income and
Capital».
20
Cfr. P. Adonnino, Profili impositivi delle imprese di trasporto aereo e marittimo, in
Riv. dir. trib. Intern., 3-2002, 35.
21
Per una analisi approfondita si veda il discussion draft intitolato “Income from
International Trasport: Updating of the Commentary to the OECD Model Tax
Convention [final version]” del 15 dicembre 2004 elaborato dal Gruppo di Lavoro n.
1 del Comitato per gli affari fiscali, successivamente recepito nelle modifiche al
“Model Tax Convention on Income and on Capital” del luglio 2005.
22
Cfr. A.M. Gulino, Riflessioni a margine delle proposte di modifica al commentario
OCSE riguardanti l’articolo 8, in Dir. Prat. Trib. Int., 2004, 1031; R. Russo, The
2005 OECD Model Convention and Commentary an Overview, in European Taxation,
2005, 560.
23
L’articolo 7 del Modello di Convenzione OCSE, rubricato “Utili delle imprese”
prevede che “Gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto
277
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
Procedendo ad un’analisi più dettagliata del citato articolo 8 occorre precisare
come esso statuisce che “Gli utili derivanti dall’esercizio, in traffico
internazionale, di navi o di aeromobili sono imponibili soltanto nello Stato
contraente in cui è situata la sede della direzione effettiva dell’impresa”. La
norma, oltre ad attribuire la tassazione degli utili dell’impresa aerea o
marittima allo Stato ove è situata la sede di direzione effettiva dell’impresa,
individua un ulteriore criterio attributivo, ovvero lo svolgimento dell’attività
in “traffico internazionale”. Risulta, pertanto, dirimente individuare
preliminarmente il significato e la portata da attribuire ad una simile
espressione.
L’articolo 3, par. 1, del Modello di Convenzione OCSE, rubricato “general
definitions”, alla lett. e) statuisce che con il termine “traffico internazionale”
si intende “qualsiasi attività di trasporto effettuato per mezzo di una nave o
di un aeromobile da parte di un’impresa la cui sede di direzione effettiva è
situata in uno Stato contraente, ad eccezione del caso in cui la nave o
l’aeromobile siano utilizzati esclusivamente tra località situate nell’altro
Stato contraente”.
Come evidenziato nel Commentario Ufficiale al Modello di Convenzione
OCSE, la nozione convenzionale di “traffico internazionale” deve, tuttavia,
essere letta in un’accezione più ampia di quella normalmente intesa. Nello
specifico, l’ampia definizione fornita dal Commentario intende preservare per
lo Stato contraente, ove è situata la direzione effettiva dell’impresa, il diritto
di tassare direttamente non solo il traffico domestico ma anche quello
internazionale operato all’interno dei confini di Stati terzi (“the broader
definition is intended to preserve for the State of the place of effective
management the right to tax purely domestic traffic as well as international
traffic between third States”), consentendo all’altro Stato contraente di
tassare esclusivamente il traffico effettuato all’interno dei confini domestici24
(“to allow the other Contracting state to tax traffic solely within its
borders”), ovvero solo quando il trasporto ha inizio e termine in due località
situate nel proprio territorio.
in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga un’attività industriale o commerciale
nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se
l’impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili dell’impresa sono imponibili
nell’altro Stato, ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile
organizzazione”.
24
Cfr. Commentario all’articolo 3 del Modello di Convenzione OCSE, punto 6. Al
fine di comprendere in maniera più esaustiva l’ampia nozione di “traffico
internazionale” lo stesso punto 6 del Commentario all’articolo 3 fornisce il seguente
esempio “Suppose an enterprise of a Contracting State or an enterprise that has its
place of effective management in a Contracting State, through an agent in the other
Contracting State, sells tickets for a passage that is confined wholly within the firstmentioned State or alternatively, within a third State. The Article does not permit the
other State to tax the profits of either voyage. The other State is allowed to tax such
an enterprise of the first-mentioned State only where the operations are confined
solely to places in that other State”.
278
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
Alla luce del combinato disposto degli articoli 3 e 8 del Modello OCSE, gli
unici traffici esclusi dalla giurisdizione dello Stato di direzione effettiva
dell’impresa risultano, pertanto, essere solo quelli effettuati tra località
entrambe situate entro i confini dell’altro Stato contraente.
Mediante alcune proposte di aggiornamento del Modello di Convenzione
OCSE e del relativo Commentario sono stati, altresì, forniti ulteriori
chiarimenti in ordine al significato da attribuire alla predetta nozione. Più
nello specifico, con le modifiche apportate al par. 6.3 dell’articolo 3 del
Commentario OCSE, è stato ulteriormente precisato che la nozione di
“traffico internazionale” non trova applicazione in tutte quelle ipotesi in cui il
trasporto sia effettuato tra due luoghi situati nel medesimo Stato contraente,
anche se parte del trasporto è effettuata al di fuori di tale Stato. Pertanto, nel
caso del c.d. cabotaggio, ovvero trasporto operato tra approdi situati nel
medesimo Stato, non è possibile invocare l’articolo 8, anche se parte del
viaggio avviene fuori dallo Stato, ma, conseguentemente dovranno essere
applicate le differenti previsioni dell’articolo 7 e, pertanto, la potestà
impositiva sarà riconosciuta in capo allo Stato della fonte del cabotaggio
aereo25.
3 La nozione di place of effective management e la crisi di un concetto
non più al passo coi tempi.
Orbene, come già profusamente precisato, l’articolo 8 nel riconoscere la
potestà impositiva ad un solo Stato membro, individua, quale criterio
attributivo, il luogo di direzione effettiva dell’impresa (place of effective
management). La nozione di sede di direzione effettiva dell’impresa
costituisce un criterio che non è esclusivo dell’articolo 8 in quanto già
previsto nel precedente articolo 4. Tuttavia, mentre nell’articolo 8 è utilizzato
quale criterio attributivo della potestà impositiva, all’articolo 4 è usato quale
criterio residuale di individuazione della residenza nel caso in cui gli altri
criteri ivi individuati non fossero risolutivi26.
Nello specifico, l’articolo 4 del Modello OCSE stabilisce al paragrafo 3 che,
qualora in conseguenza della previsione di cui al par. 1 un soggetto diverso
da una persona fisica sia residente di entrambi gli Stati contraenti, sarà
considerato residente solo nello Stato in cui è posto il luogo di gestione
effettiva27.
25
Il medesimo par. 6.3 dell’articolo 3 del Commentario OCSE afferma, a titolo
esemplificativo, che non costituisce trasporto di passeggeri in traffico internazionale,
il caso di una crociera che inizi e termini il trasporto nel medesimo Stato contraente
senza alcuna sosta in un porto straniero.
26
Si fa riferimento alle c.d. tie-break rules, in base alle quali stabilire se il
collegamento del soggetto, con doppia residenza, sia più intenso con l’uno o con l’atro
Stato contraente, e volte a risolvere, per via convenzionale, il conflitto nascente
dall’applicazione delle normative nazionali.
27
Per un maggior approfondimento sul concetto di residenza in ambito internazionale
si veda M. Lehner, Commento all’art. 4 del Modello OCSE, in Klaus Vogel on Double
279
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
Come noto, l’elaborazione della nozione di sede di direzione effettiva
dell’impresa (place of effective management), quale criterio idoneo a dirimere
i casi di doppia residenza, deriva da alcune sentenza della House of Lords
inglese di fine ottocento-primi del novecento, che stabilirono nel Regno
Unito la residenza di tre società svolgenti attività commerciale in Sud Africa,
in India ed in Italia28.
Il caso più noto è sicuramente quello posto all’attenzione della House of
Lords e vertente la posizione della società De Beers, impresa esercente
attività di estrazione e di commercio di diamanti29.
La nozione di “place of effective management”, così come elaborata dalla
giurisprudenza inglese30, è stata fatta propria anche dal Commentario
Taxation Conventions, Third Edition, 1997, 260 ss. L’autore richiama nello specifico
la giurisprudenza della Suprema Corte tedesca secondo cui «il luogo di gestione di
un’impresa è dove sono effettivamente prese importanti decisioni gestionali». «Ciò
che rileva non è dove sono eseguite le direttive gestionali, bensì il luogo da cui esse
promanano». Cfr. anche J. Sasseville, The Meaning of «Place of Effective
Management» in Residence of Companies under Tax Treaties and EC Law,
(Amsterdam: IBFD Pubblications), 2009, 287 ss.; K Van Raad, Dual Residence, in
European Taxation, 1988, 241 ss.; S. Shalhav, The Evolution od Art. 4(3) and Its
Impact on the Place of Effective Management Tie Breaker Rule, in Intertax, 2004, 460
ss.; AA.VV., The Origins of Concepts and Expressions Used in the OECD Model and
their Adoption by States, in Bullettin, 2006, 220 ss.; G. Bizioli, The Evolution of the
Concept of the Place of Management in Italian Case Law and Legislation: Interaction
with Tax Treaties and EC Law, in European Taxation, 2008, 527 ss.
28
Cfr. G. Marino, La residenza nel diritto tributario, Padova, 1999, 363. Nella
dottrina inglese si veda S. Picciotto, International Business Taxation, London, 1992, 5
ss.; J.F. Avery Jones, Corporate residence in common law: The origins and current
issues, 121 ss.
29
De Beers Consolidated Mines Ltd. v. Howe (1906) 5 T.C. 198. Come noto la
problematica verteva intorno all’individuazione della residenza della società, la quale
aveva: (i) sede in Sudafrica; (ii) svolgeva attività di estrazione di diamanti in
Sudafrica; (iii) l’ufficio principale in Sudafrica; (iv) la sede dove si riunivano gli
azionisti in assemblea a Kimberly (Sudafrica). I consigli di amministrazione, tuttavia,
si riunivano tanto in Sudafrica quanto in Inghilterra, ancorché quelli muniti di poteri
esecutivi passassero la maggior parte del loro tempo a Londra, e pertanto da Londra
partissero gli impulsi per le decisioni imprenditoriali più importanti. Per tali ragioni,
la società fu considerata dalla House of Lords come residente in Inghilterra in virtù
della presenza in territorio inglese del proprio “central management and control”. La
scelta di privilegiare il criterio del luogo di riunione della maggioranza dei membri del
consiglio di amministrazione piuttosto che il luogo di produzione del reddito, risulta
discutibile, in quanto trattasi di criteri soggetti a facili variazioni. Sul punto si veda A,
Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 886; G. Zizzo, L’imposta sul reddito delle
società, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte speciale: Il sistema delle
imposte in Italia, ed. 7, Padova, 2010, 21; S. Picciotto, International Business
Taxation, op. cit., 8, secondo cui il «test del central management and control
elaborato dalle corti inglesi non è mai stato definito con legge».
30
Cfr. oltre alla sentenza De Beers Consolidated Mines Ltd. v. Howe (1906), la
sentenza Calcutta Jute Mills Company, Limited v. Henry Nicholson (1876) nonchè la
sentenza Cesena Sulphur Company, Limited v. Nicholson (1876). Per un maggior
280
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
Ufficiale al Modello di Convenzione OCSE, il quale la definisce come il
luogo in cui vengono prese le decisioni fondamentali di management e
commerciali necessarie per l’esercizio dell’attività dell’impresa. A tal
proposito, risulta tuttavia opportuno evidenziare come l’Italia ha dichiarato di
non aderire alla nozione di sede di direzione effettiva illustrata nel citato
Commentario. Le nostre Autorità fiscali hanno, difatti, formulato una
“osservazione”31 all’interno del par. 25 del Commentario OCSE32,
affermando che per determinare la sede di direzione effettiva di una società
non è sufficiente fare esclusivo riferimento al luogo dove gli amministratori
assumono le loro decisioni, bensì anche al luogo nel quale viene svolta
l’attività principale della società33.
La nozione di “place of effective management” ha, nella sua evoluzione
storica, subito quei mutamenti dettati dall’evolversi delle modalità di
svolgimento del business ed in particolare dalla loro internazionalizzazione.
Difatti, sono state elaborate all’interno dell’OCSE una serie di discussioni per
analizzare in maniera più approfondita il concetto di “sede di direzione
effettiva” a cominciare dal primo documento sugli effetti tributari del cd.
“commercio elettronico”34 per poi proseguire l’argomento con un documento
pubblicato nel febbraio 2001, dal titolo «The impact of the Communications
Revolution on the Application of “Place of Effective Management” as a TieBreaker Rule»35, seguito da una discussion draft presentata in data 27 maggio
2003 intitolata “Place of Effective Management Concept: Suggestions for
Changes to The OECD Model Tax Convention” e successivamente, in data 21
approfondimento sul tema si veda G. Moschetti, Origine storica, significato e limiti di
utilizzo del place of effective management, quale criterio risolutivo dei casi di doppia
residenza delle persone giuridiche, in “Diritto e pratica tributaria”, n. 2-2010, 254 ss.
31
Le “osservazioni” a differenza delle “riserve” non esprimono un dissenso dal testo
della Convenzione, ma indicano semplicemente il modo in cui il Paese applicherà le
disposizioni dell’articolo oggetto dell’osservazione. Per un maggior approfondimento
sull’efficacia delle osservazioni al Commentario OCSE si veda G. Melis,
Trasferimento della residenza fiscale e imposizione sui redditi, Milano, 2009, 246 ss.,
V. Uckmar – G. Corasaniti – P. de’ Capitani di Vimercate, Manuale di Diritto
Tributario Internazionale, Padova, 2009, 56.
32
Nello specifico il par. 25 recita: «Italy does not adhere to the interpretation given in
paragraph 24 above concerning the “most senior person or group of person (for
example, a board of directors)” as the sole criterion to identify the place of effective
management of an entity. In its opinion the place where the main and substancial
activity of the entity is carried on is also to be taken into account when determining
the place of effective management».
33
Per un maggior approfondimento sul punto si rinvia a G. Marino, Esterovestizione
ed esterocertificazione: due facce della stessa medaglia, in “Rassegna tributaria”, n.
4/2012, 1025 ss.
34
Electronic Commerce: the challenge to tax authorities and taxpayers, in Riv. dir.
trib., 1998, IV, 3 ss.. Sul punto si veda G. Maisto, Le prime riflessioni dell’OCSE
sulla tassazione del commercio elettronico, in Riv. dir. trib., 1998, IV, 47 ss.
35
Cfr. S. Mayr – G. Fort, La residenza fiscale delle società: necessità di un
cambiamento?, in Corr. Trib., 2001, 2086 ss.; C. Romano, The Evolving Concept of
“Place of Effective Management” as a Tie-breaker Rule under the OECD Model
Convenction and Italian Law, in European Taxation, 2001, 339 ss.
281
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
aprile 2008, una proposta di modifiche all’art. 4 del Modello OCSE e al suo
commentario36.
Orbene, mentre le critiche rivolte da gran parte della dottrina alla nozione di
“place of effective management” quale unico criterio risolutivo della doppia
residenza delle persone giuridiche37 potrebbero considerarsi fondate in
quanto non adattabili alla peculiarità dei casi, lo stesso non potrebbe dirsi in
tutte quelle ipotesi in cui la nozione di “place of effective management” è
utilizzata quale criterio attributivo della potestà impositiva, così come
avviene, ad esempio, per le attività di trasporto marittimo ed aereo, ove le
imprese svolgono l’attività in plurimi Paesi e le attività economiche sono
diffuse in plurimi Stati38.
Quanto detto trova altresì conferma anche nel par. 23 del Commentario
all’articolo 4 ove si afferma che “The formulation of the preference criterion
in the case of persons other than individuals was considered in particular
connection with the taxation of income for shipping, inland waterways
transport and air transport”, ergo, il criterio di preferenza - del place of
effective management - nel caso di persone giuridiche è stato pensato
soprattutto per la tassazione del reddito derivante da attività di navigazione,
trasporti navali interni e trasporti aerei.
In conclusione, pertanto, in tutti quei casi in cui l’attività economica
dell’impresa è svolta in plurimi Stati, così come avviene nello specifico
settore del trasporto marittimo ed aereo, risulta perfettamente idonea
l’individuazione della potestà impositiva nel luogo in cui vi è la sede centrale
della società39, essendo l’unico criterio concretamente idoneo ad eliminare i
possibili effetti di doppia imposizione.
4 Gli aspetti critici e i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate.
L’articolo 38, comma 1, così come introdotto dal D.L. n. 179/2012, contiene,
tuttavia, un errore di fondo in quanto ricollega l’assoggettamento ad
imposizione dell’impresa estera alla presenza in Italia di una o più stabili
organizzazioni. Anche se la base italiana di una compagnia aerea presenta
36
“Draft Contents to the 2008 Update to the Model Tax Convection”.
Cfr. sul punto G. Moschetti, Origine storica, significato e limiti di utilizzo del place
of effective management, quale criterio risolutivo dei casi di doppia residenza delle
persone giuridiche, op. cit., 271 ss.; G. Melis, La residenza fiscale delle società
sull’Ires: giurisprudenza e normativa convenzionale, in “Corriere tributario”, 2008, n.
45, 3651, il quale definisce «laconica» la disposizione convenzionale in commento.
Secondo gli Autori menzionati sarebbe più coerente applicare il place of effective
management quale criterio (non più primario) ma secondario, nelle ipotesi in cui vi sia
conflitto nell’attribuzione della residenza tra più Stati in cui l’impresa svolge la
propria attività principale.
38
T. Aragno, Brevi note in tema di residenza fiscale e stabile organizzazione di
società estera di navigazione, in Dir. Prat. Trib., 1999, II, 87 ss.; A. Manzitti,
Considerazioni in tema di residenza fiscale delle società, in Riv. Dir. Trib., n. 5/1998,
176 ss.
39
Cfr. in tal senso L. Einaudi, Corso di scienza delle finanze, Torino, 1926, 133.
37
282
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
tutte le caratteristiche per poter essere considerata una “permanent
establishment” ciò non è, infatti, sufficiente a far scattare l’imposizione in
quanto, come già profusamente esposto, la complessità e la particolarità
dell’attività esercitata dalle imprese di trasporto marittimo ed aereo, comporta
l’irrilevanza del criterio della stabile organizzazione, non essendo esso
sufficiente a risolvere i problemi di doppia imposizione.
Diversamente da quanto accade per le imprese di qualsiasi altro settore,
l’Italia, difatti, non potrebbe tassare i profitti prodotti sul suo territorio, pur
attraverso strutture qualificabili come stabili organizzazioni. Le norme
interne, infatti, vanno necessariamente coordinate con quelle contenute nelle
convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia sulla base del Modello di
Convenzione OCSE.
Come già precisato, la definizione di “base” aerea fornita dall’articolo 38
contiene tutti gli elementi richiesti dall’articolo 5 del Modello OCSE e di
riflesso dall’articolo 162 T.U.I.R., ovvero: l’esistenza di una sede di affari, la
tendenziale fissità spaziale e temporale dell’insediamento, nonché lo
svolgimento dell’attività d’impresa attraverso tale base fissa. Tuttavia, lo
specifico caso dell’aviazione civile ha meritato, come supra precisato,
l’inserimento di una norma speciale del Modello di Convenzione OCSE
(articolo 8), che introducendo una regola differente rispetto alla normativa di
carattere generale prevista per la tassazione degli utili, individua quale Stato
titolare della potestà impositiva sui profitti derivanti dall’esercizio, in traffico
internazionale40, di navi o aeromobili, lo Stato contraente nel quale è situata
la sede di direzione effettiva dell’impresa, i.e. place of effective managment, a
prescindere dall’esistenza di una stabile organizzazione nell’altro Stato cui
tali utili sono attribuibili. Il commentario all’articolo 8 non fornisce, tuttavia,
alcuna indicazione in ordine alle ragioni idonee a giustificare l’adozione di un
differente trattamento rispetto alla normativa di carattere generale prevista
dall’art. 7 per gli utili d’impresa41.
Pertanto, la normativa internazionale che trova applicazione in luogo di
quella italiana, in forza del disposto dell’art. 117 della Costituzione,
individua dei criteri differenti – rispetto a quelli richiesti dalla normativa
nazionale – in base ai quali individuare la concreta potestà impositiva. Si
sono, tuttavia, posti dei dubbi in ordine alla corretta individuazione della
40
Ai sensi dell’articolo 3, par. 1, lett. e) del Modello di Convenzione OCSE con
l’espressione traffico internazionale si intende “qualsiasi attività di trasporto
effettuato per mezzo di una nave o di un aeromobile da parte di un’impresa la cui
sede di direzione effettiva è situata in uno Stato contraente, ad eccezione del caso in
cui la nave o l’aeromobile siano utilizzati esclusivamente tra località situate nell’altro
Stato contraente”.
41
Per una completa analisi in merito alla elaborazione del criterio della sede di
direzione effettiva come principio idoneo a prevenire il verificarsi della doppia
imposizione sui profitti realizzati da imprese di navigazione marittima e aerea vedi G.
Maisto, The History of Article 8 of the OECD Model Treaty on Taxation, in Intertax,
Kluwer, Issue 6/7, 2003, 232 e D. Hund, The development of Double Taxation
Conventions with Particolar Reference to Taxation of International Air Transport, in
Bulletin for fiscal documentation, 1982, 112.
283
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
norma su cui si fonda tale supremazia, se l’articolo 10 della Costituzione o il
seguente articolo 117.
Ebbene, preliminarmente occorre precisare come l’articolo 10 della
Costituzione è il parametro che ha stabilito un meccanismo di adattamento
automatico alle norme, testualmente, «del diritto internazionale
generalmente riconosciute» e solo per queste, secondo la lettura che ne è
stata data fin dall’inizio dalla giurisprudenza e dalla prevalente dottrina42. La
riforma dell’articolo 117 Cost., operata con la riforma costituzionale del
2001, ha offerto, invece, una copertura costituzionale anche alle disposizioni
convenzionali.
In ordine alla corretta interpretazione normativa, dirimenti risultano le
interpretazioni fornite dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 348 e 349
che affrontano l’interpretazione dell’articolo 117 Cost. in maniera più
puntuale, sgombrando il dubbio da quei pareri che volevano applicare la
disposizione limitatamente ai rapporti Stato e Regioni43. Più nello specifico
secondo i Giudici l'espressione contenuta nell’articolo 10 "norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute", «si riferisce soltanto alle norme
consuetudinarie e dispone l'adattamento automatico, rispetto alle stesse,
dell'ordinamento giuridico italiano»; viceversa, le norme pattizie esulano
dalla portata dell'art. 10 Cost., «con la conseguente impossibilità di assumere
le relative norme quali parametri del giudizio di legittimità costituzionale, di
per sé sole, [...] ovvero come norme interposte».
In base a quanto precisato dagli Ermellini nelle richiamate pronunce, la
prevalenza di una convenzione internazionale in materia fiscale, in luogo
della normativa nazionale, trova fondamento nel nostro ordinamento proprio
nel parametro costituzione dell’art. 117, primo comma, Cost. ai sensi del
quale «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali». La predetta disposizione
conferisce, pertanto, alle norme pattizie una forza resistente maggiore rispetto
alle leggi interne successive, senza peraltro attribuire loro il rango di fonte
primaria. Difatti, la suddetta disposizione, prevedendo che «la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto [… omissis …]
dei vincoli derivanti [… omissis …] dagli obblighi internazionali», realizza
«un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la
quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente
42
Cfr. G. Tesauro, Relazioni tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia, in atti del
Convegno
di
Bruxelles
(24-26
maggio
2012)
consultabili
su
http://www.cortecostituzionale.it/ActionPagina_1070.do
43
“Escluso che l'art. 117, primo comma, Cost., nel nuovo testo, possa essere ritenuto
una mera riproduzione in altra forma di norme costituzionali preesistenti (in
particolare gli artt. 10 e 11), si deve pure escludere che lo stesso sia da considerarsi
operante soltanto nell'ambito dei rapporti tra lo Stato e le Regioni.” Cfr. par. 4.4
sentenza 24 ottobre 2007, n. 348.
284
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
evocati e, con essi al parametro, tanto da essere comunemente qualificata
norma interposta»44.
Alla luce di quanto detto, gli eventuali contrasti fra norma convenzionale e
legge interna (anche) successiva «non generano problemi di successione nel
tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in
contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale» aventi ad oggetto la
legge interna e, come parametro interposto, la stessa norma convenzionale45.
Orbene, a seguito della modifica dell’art. 117 della Costituzione e
dell’interpretazione fornita dal Giudice delle leggi, la prevalenza della
normativa internazionale discende proprio da quel rango sovraordinato della
norma convenzionale rispetto alla
legge ordinaria, un rango subcostituzionale, intermedio fra le due. In questa ricostruzione, gli eventuali
contrasti non generano problemi di successione di leggi nel tempo o
valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in
contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale.
Alla luce di ciò, la norma interna deve necessariamente essere interpretata in
modo conforme alla disposizione internazionale. In altre parole, vi è un
ambito della materia tributaria in cui, accanto a norme interne, esistono anche
norme di derivazione convenzionale che prevalgono sulle prime nei termini
che la giurisprudenza costituzionale ha ricostruito con le due citate sentenze.
Alla luce di quanto esposto, la formulazione della disposizione normativa in
commento, così come introdotta dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, non poteva
non far sorgere dubbi in ordine alla corretta applicazione della stessa
soprattutto per quel che concerne il rispetto dei principi convenzionali. Nel
caso di specie, difatti, il mancato adeguamento della disciplina interna alle
disposizioni convenzionali avrebbe generato profili di illegittimità
costituzionale.
La stessa Agenzia delle Entrate, con la Circolare 3 maggio 2013, n. 12/E, ha
preso coscienza della necessità di coordinamento delle disposizioni
domestiche con quelle contenute nelle Convenzioni contro le doppie
44
Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 24 ottobre 2007, n. 349. La sentenza n. 349 trae
origine dalle ordinanze della Corte di Cassazione del 20 maggio 2006 e della Corte
d’Appello di Palermo del 29 giugno 2006 che hanno sollevato la “questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-l. 11 luglio 1992, n.
333, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 agosto 1992, n. 359 – comma aggiunto
dall’art. 3, comma 65, della l. 23 dicembre 1996, n. 662”. Per un maggior
approfondimento sulla questione si confronti Claudio Zanghì, La Corte costituzionale
risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta
l’art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 347 e 348 del 2007, nella Rubrica “Studi”
di Consulta OnLine.
45
Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 24 ottobre 2007, n. 348. La sentenza n. 348 trae
origine dalle ordinanze della Corte di Cassazione del 29 maggio e del 19 ottobre 2006
che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis del D.L. 11
luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella l. 8 agosto 1992, n. 359. Per
un maggior approfondimento sulla questione si confronti Claudio Zanghì, op. cit.,
nella Rubrica “Studi” di Consulta OnLine.
285
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
imposizioni stipulate dall’Italia. Nello specifico, l’Amministrazione
finanziaria ha espressamente ammesso, nel caso di utili derivanti dal traffico
aereo internazionale, la prevalenza della fonte convenzionale sul diritto
interno a nulla rilevando la presenza di una stabile organizzazione sul
territorio italiano. Come espressamente affermato nel par. 2.1 della citata
Circolare, difatti, “in base alle sentenze della Corte Costituzionale n. 348 e
349 del 2007, la prevalenza delle norme contenute in Trattati ratificati
dall’Italia sulle norme interne incompatibili, ancorché successive, è una
conseguenza dell’obbligo di adeguamento agli obblighi internazionali
previsto dall’articolo 117 della Costituzione”.
Con un’interpretazione adeguatrice alle disposizioni internazionali, l’Agenzia
delle Entrate, nella Circolare in commento, afferma, pertanto, che per poter
individuare l’ambito di applicazione della norma occorre far riferimento alla
nozione di “traffico internazionale” così come fornita dall’articolo 3, par. 1,
lett. e), del Modello di Convenzione OCSE.
Alla luce di quanto sopra esposto l’ambito applicativo della novella
normativa si riduce esclusivamente ai profitti ricavati dalla compagnia estera
sulle sole tratte nazionali operate a partire dalla base italiana e ciò in aderenza
ai principi enunciati nell’articolo 8 della Convenzione OCSE contro le doppie
imposizioni. La qualifica di stabile organizzazione comporta inoltre
l’assoggettamento agli obblighi strumentali incluso quello di tenere le
scritture contabili ai sensi dell’articolo 14, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973.
5 Conclusioni
Volendo pertanto epilogare, alla luce di quanto sopra esposto, risulta oltre
modo palese la superfluità della norma nazionale di prima formulazione
rispetto alle disposizioni convenzionali. La previsione di una stabile
organizzazione in Italia di imprese che effettuano il trasporto aereo
internazionale, non è, come evidenziato, condizione sufficiente per superare
quanto previsto dalla sovraordinata normativa convenzionale che, lungi dal
riconoscere prevalenza al criterio della stabile organizzazione, àncora la
potestà impositiva al luogo in cui l’impresa ha la sede di direzione effettiva.
Desta, pertanto, perplessità l’iniziale “criminalizzazione” del comportamento
di imprese straniere che investono in Italia, come se stessero attuando un
presunto piano di profit shifting, culminata con la forzata presa di coscienza
di un principio internazionale già immanente nel nostro ordinamento. La
disposizione introdotta lungi dall’attribuire una potestà impositiva differente
da quella prevista a livello internazionale, si limita semplicemente a chiarire
il significato della nozione di “base” aerea e quando questa si considera
stabilita nel territorio italiano.
La vera novità introdotta dalla norma in commento è, invece, rappresentata
dall’assoggettamento dei dipendenti della compagnia aerea estera ai
contributi previdenziali italiani. La nozione di “base” operativa fatta propria
dall’ordinamento nazionale risulta, difatti, più ampia di quella espressamente
prevista dalla normativa dell’Unione Europea, consentendo, in tal modo, di
286
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
includere anche le più snelle strutture aeroportuali - utilizzate dalle
compagnie aeree cd. low cost - nella nozione di stabile organizzazione. Tra
queste emblematico risulta il caso della nota compagnia aerea irlandese
Ryanair, la quale opera da sempre in Italia attraverso una rappresentanza
fiscale, ma senza una stabile organizzazione. Ciò ha permesso alla suddetta
compagnia di applicare, agli equipaggi che svolgono tratte esclusivamente
interne, che ivi lavorano e che usufruiscono del sistema sanitario nazionale –
definite “di passaggio” –, le più favorevoli aliquote contributive dell’Irlanda.
Ebbene, la nuova disposizione normativa, individuando nelle basi operative il
collegamento territoriale con lo Stato italiano, in quanto i lavoratori “hanno
in tale base il loro centro di attività professionale, nel senso che vi lavorano,
vi prendono servizio e vi ritornano dopo lo svolgimento della propria
attività”, ha, pertanto, imposto, alla compagnia aerea estera, di pagare i
contributi previdenziali per il personale basato negli aeroporti italiani.
Tuttavia, se dal punto di vista previdenziale la norma trova una sua
giustificazione, lo stesso non può dirsi dal punto di vista fiscale ove invece ci
si chiede se era effettivamente necessaria la sua introduzione oppure se la
normativa nazionale, letta in combinato disposto con le disposizioni
convenzionali, era già di per sé sufficiente per assoggettare il traffico interno
delle compagnie aeree estere che hanno nello Stato italiano la disponibilità di
una sede fissa di affari. La ratio della norma potrebbe rinvenirsi in primis
nella necessità di qualificare la base operativa quale sostituto d’imposta ed in
secundis in un aspetto prettamente operativo riguardante la modalità di
calcolo del reddito dei vettori. Occorrerà, difatti, estrapolare il reddito
potenzialmente prodotto sulle tratte interne, da una gestione tendenzialmente
mista, nazionale ed internazionale, ipotesi piuttosto frequente nelle
compagnie aeree low cost.
La norma nazionale può, quindi, essere letta in una duplica ottica, da un lato
pro fisco in quanto individua le ipotesi in cui una impresa aerea estera
configura una stabile organizzazione in Italia, dall’altro lato pro contribuente
in quanto, individuando con precisione tutte quei casi in cui l’impresa aerea
estera è considerata avere una stabile organizzazione in Italia, consente a
quest’ultima di sapere quando sarà soggetta agli obblighi strumentali previsti
dalle norme tributarie, incluso quello di tenere le scritture contabili ai sensi
dell’articolo 14, comma 5 del D.P.R. n. 600/1973, rilevando “distintamente i
fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando
separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse”, nonché di
operare quale sostituto d’imposta e di effettuare le ritenute fiscali.
Alla luce di quanto sopra esposto, pertanto, i conseguenti effetti di maggior
gettito, non sono tanto a titolo di IRES o di IRAP, così come esposto nella
relazione tecnica sopra riportata, quanto piuttosto a titolo di IRPEF, in quanto
il vero quid pluris normativo è ricollegato, soprattutto, all’assoggettamento
dei dipendenti della compagnia aerea estera ai contributivi previdenziali
italiani.
In conclusione, quindi, l’articolo 38, comma 1, del D.L. n. 179/2012, a cui
era stato inizialmente impresso un carattere spiccatamente antievasivo – così
come si evince altresì dalle interrogazioni parlamentari sopra riportate –, ha
287
LA “BASE” DI VETTORE AEREO: TANTO RUMORE PER NULLA ?
avuto come effetto principale quello di assoggettare le compagnie aeree
estere alle “nuove” regole italiane in ambito contributivo, mentre dal punto di
vista prettamente fiscale, altro effetto non ha avuto che quello di adattare il
nostro sistema normativo domestico alla consolidata prassi internazionale e
alla migliore legislazione già in vigore in forza dei trattati OCSE stipulati
dall’Italia, rendendo più agevole anche per il contribuente individuare tutte
quelle ipotesi in cui lo stesso sarà considerato stabilito sul territorio italiano.
288
Prof. Giuseppe Melis
Professore Università Luiss Guido Carli di Roma
Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e stabile
organizzazione:
problemi ancora aperti e possibili soluzioni
1 Il ruolo della residenza fiscale nell’ordinamento italiano e la legge
delega n. 825/1971.
Al modello ordinario della coesistenza tra criteri di collegamento personali
(sia pure riferiti al territorio) e reali nella determinazione dell’ambito spaziale
del presupposto dell’imposta si ascrive anche il sistema italiano di
imposizione sul reddito, quale frutto della riforma tributaria di cui alla legge
di delega 9 ottobre 1971, n. 825 e della trasformazione da essa operata del
sistema di tassazione dei redditi da (prevalentemente) reale in
(prevalentemente) personale, nel dichiarato intento di dare compiuta
attuazione al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost. (1).
E’ in tale trasformazione che la residenza fiscale assume un ruolo centrale e
segna un profondo cambiamento con il passato.
Nonostante la sostituzione avvenuta in sede costituzionale del termine
“regnicoli” dello Statuto albertino con il pronome “tutti”, era invero ancora il
concetto di nazionalità a costituire il referente del rapporto tributario fra
soggetto e collettività nel sistema ante-riforma (2), estrinsecandosi l’imposta
di ricchezza mobile nelle categorie soggettive dei “cittadini italiani e
stranieri” e delle società costituite nel territorio dello Stato e all’estero e
definendo gli artt. 8 e 9 del t.u.i.d. n. 645/1958, in base alla nazionalità, il
domicilio fiscale ai fini delle imposte personali (imposta complementare e
imposta sulle società). L’art. 131 t.u.i.d. considerava soggetti all'imposta
complementare “le persone fisiche, cittadini italiani o stranieri” e l’art. 145
(1) Per tutti, G.C. CROXATTO, La tassazione del reddito derivante da attività
internazionale nel quadro della riforma tributaria, in Dir. prat. trib., 1972, p. 10 ss.
Nella relazione ministeriale all’art. 2, n. 2 del disegno di legge governativo n. 1636,
presentato alla Camera dei deputati il 1 luglio 1969, si legge in particolare che “il
carattere personale dell’imposta comporta che entrino a comporre il reddito
imponibile dei soggetti residenti sul territorio dello Stato anche i redditi prodotti
all’estero”. Sui contenuti della discussione parlamentare, si veda G. MARINO,
L’unificazione del diritto tributario: tassazione mondiale verso tassazione territoriale,
in AA.VV., Studi in onore di Victor Uckmar, t. 2, Padova, 1997, p. 855 ss.
(2) Sul punto, vedi E. ASPREA, Il cittadino e lo straniero nel linguaggio europeo
della riforma, in Boll. trib., 1975, p. 1005 ss.
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
t.u.i.d. faceva riferimento alle società ed associazioni italiane ed estere,
queste ultime anche se non tassabili in base a bilancio.
Il sistema di tassazione era articolato su un insieme di imposte reali ancorate
ad una rigorosa applicazione del principio di territorialità (3), assegnandosi
all’imposta complementare – di tipo personale – la funzione di assicurare una
(blanda) progressività dell’imposizione. In relazione a quest’ultima, veniva
pertanto in rilievo anche la nozione di residenza fiscale, attribuita ai soggetti
che avessero la dimora in Italia da oltre un anno, ancorché non iscritti nei
registri anagrafici, e ai cittadini italiani residenti all’estero per ragioni di
pubblico servizio. La distinzione fra residenti e non residenti si rifletteva
sulla determinazione della base imponibile dell’imposta complementare,
essendo i primi tassati anche sui redditi prodotti all’estero, purché “goduti”
nello Stato italiano e salvo norme contrarie contenute in convenzioni
internazionali (art. 133, co. 1 e 2, t.u.i.d.), mentre i secondi essendolo sui soli
redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Con la riforma il sistema subisce profonde trasformazioni e il rapporto
“reddito-territorio” viene sostituito con quello “soggetto-territorio” (4), di cui
i principi enunciati all’art. 2 della legge di delega n. 825/1971 – concorso alla
formazione del reddito complessivo di tutti i redditi propri del soggetto,
attribuzione al soggetto di un credito d’imposta in relazione ai tributi assolti
all’estero per i redditi ivi prodotti, applicazione dell’imposta anche nei
confronti delle persone fisiche non residenti, assumendo come reddito
complessivo l’ammontare dei redditi prodotti nel territorio dello Stato –
delineano gli elementi strutturali.
In tal modo, come è stato sottolineato, le imposte personali vengono a colpire
non più una parte degli indici di capacità contributiva di tipo reddituale, bensì
tutti complessivamente e in quanto riferibili ad un medesimo soggetto, il
quale (soggetto) concorre per tale via alla definizione del presupposto. Al
tempo stesso, definendosi il fatto imponibile in funzione del soggetto, è
necessariamente ai redditi ovunque prodotti che deve farsi riferimento,
(3) L’art. 6 t.u.i.d. n. 645/1958, disponeva infatti che “le imposte sono applicabili se i
loro presupposti si verificano nel territorio dello Stato”. Si veda, al riguardo, A.
FEDELE, Profili dell’imposizione degli incrementi di valore nell’ordinamento
tributario italiano, in AA.VV., L’imposizione dei plusvalori immobiliari, Milano,
1970, p. 125 ss.; G. MARONGIU, Alle radici dell’ordinamento tributario italiano,
Padova, 1988, p. 192 ss.; M. MICCINESI, Le plusvalenze di impresa, Milano, 1993,
p. 13. Sulla scelta di tassare separatamente ed isolatamente i redditi come
conseguenza dell’incapacità della finanza di affrontare il problema del reddito
complessivo del contribuente, vedi L. EINAUDI, Principi di scienza delle finanze,
Torino, 1932, p. 139 ss. L’individuazione del reddito in funzione di una fonte
costituiva inoltre un modo di attuare la discriminazione qualitativa dei redditi: si veda
M. MICCINESI, Redditi (imposta locale sui), in Enc. dir., XXXIX, 1988, Milano, p.
167 ss.
(4) Così, efficacemente, C. SACCHETTO, Territorialità (dir. trib.), in Enc. dir.,
XLIV, 1992, p. 314 ss.
290
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
pervenendosi altrimenti ad un’incongruenza – rilevante sul piano
costituzionale – tra struttura del tributo e regole di territorialità (5).
In tale contesto, la piena attuazione dell’art. 53 Cost. segna il tramonto della
cittadinanza quale criterio di collegamento. Nuovo centro di riferimento per
l’attuazione della personalità e progressività della tassazione è ora la
residenza fiscale, ancorata a presupposti strettamente territoriali ed indici di
appartenenza effettiva la cui presenza legittima l’applicazione del principio
del reddito mondiale, potendosi altrimenti giustificare la sola tassazione dei
redditi prodotti all’interno del territorio dello Stato secondo un modello di
imposizione ancora reale (6).
(5) Vedi A. FEDELE, Imposte reali e imposte personali nel sistema tributario
italiano, in Riv. dir. fin. sc. fin., p. 453 ss. Sull’ampio dibattito svoltosi nella dottrina
americana sul rapporto tra principio di “ability to pay” e “world-wide principle”, quasi
unanimemente orientato nel senso nella consequenzialità necessaria del secondo
rispetto al primo, si veda J. CLIFTON FLEMING - Jr., R.J. PERONI - S.E. SHAY,
Fairness in International Taxation: The Ability-to-Pay Case for Taxing Worldwide
Income, in Florida Tax Review, 2001, p. 299 ss. Per un recente tentativo di qualificare
la scelta di tassare i soggetti residenti sui redditi ovunque prodotti come ragionevole,
ma non necessaria sotto il profilo costituzionale, si veda A.M. GAFFURI, La
tassazione dei redditi d’impresa prodotti all’estero. Principi generali, Milano, 2008,
p. 352 ss., il quale ritiene che una scelta di esentare i redditi esteri potrebbe essere
dettata da valide ragioni fiscali ed extra-fiscali, quali a) l’oggettiva difficoltà di
individuare e di colpire i redditi di provenienza straniera; b) l’elisione della plurima
imposizione internazionale (sulla base della duplice considerazione della presenza nel
modello OCSE del metodo dell’esenzione e dell’utilizzo di tale metodo nel diritto
dell’Unione Europea). A noi pare, tuttavia, che nel primo caso si tratti di
inconveniente di mero fatto inidoneo a scalfire il principio di eguaglianza; mentre nel
secondo di un problema cui, anche a voler ad esso riconoscere – come l’A. sostiene,
argomentando peraltro in modo convincente – natura vincolante per il legislatore (e
non già, come la dottrina comunemente ritiene, natura di mero inconveniente pratico,
considerando l’eliminazione della doppia imposizione quale mera agevolazione), il
legislatore italiano ha inteso porre rimedio con il meccanismo del credito per le
imposte pagate all’estero intendendolo proprio quale naturale corollario
dell’applicazione del principio del reddito mondiale. Quanto al profilo internazionale,
non è un caso che l’Italia abbia costantemente fatto uso, nella stipulazione dei trattati
in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, del metodo del credito d’imposta
(anziché dell’esenzione); quanto al profilo europeo, da un lato il metodo
dell’esenzione si sviluppa essenzialmente nell’ambito del più ampio tema della
eliminazione della doppia imposizione economica, dall’altro, siamo ancora ben
lontani in ambito europeo dal riconoscimento del principio di “territorialità” quale
unico meccanismo compatibile con il funzionamento del mercato unico (si pensi, ad
esempio, alla direttiva cd. “risparmio”). Sull’intima connessione tra principio di
capacità contributiva (sotto il profilo di eguaglianza), principio del reddito mondiale e
metodo del credito di imposta, al punto da poterne costruire un vero e proprio “controlimite” ad eventuali atti dell’Unione Europea finalizzati a dare attuazione normativa al
principio della “capital-import neutrality”, si veda F. GALLO, Ordinamento
tributario e principi fondamentali tributari, Napoli, 2006, p. 47 ss.
(6) Analoga innovazione avvenne sul piano dell’imposta sulle successioni. Superando
il principio dell’individuazione dei beni facenti parte dell’asse ereditario secondo il
291
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Tale ultima limitazione si traduce sul piano normativo nella previsione di un
autonomo – ed alquanto articolato – sistema di norme di localizzazione dei
redditi prodotti nel territorio dello Stato (art. 19, d.p.r. n. 597/73), in realtà
per i soli redditi prodotti da soggetti non residenti, ma a ben vedere
necessario anche per quelli residenti, per via della soggezione ad Ilor dei soli
redditi prodotti all’interno dello Stato e della concessione del credito per le
imposte estere purché riferite a redditi prodotti all’estero (7).
La compiuta attuazione del principio di personalità dell’imposizione
conforme al principio di capacità contributiva impone, infine, al legislatore
un ultimo passaggio. Se, infatti, la qualità di residente fiscale vale ad attrarre
a tassazione i redditi ovunque prodotti ai fini della realizzazione dei suesposti
principi, la personalità dell’imposizione non può realizzarsi se non
riconoscendo al contribuente stesso la possibilità di far valere le
caratteristiche della propria condizione personale, determinando per tale via
l’onere tributario in base alle esigenze primarie dell’individuo e di quelle
collegate al suo inserimento in un contesto sociale caratterizzato da una
molteplicità di rapporti personali, economici e giuridici incidenti sulla
relativa capacità economica. Sotto questo profilo, la nozione di residenza
fiscale viene pertanto a distinguere, nel sistema dell’imposizione sui redditi,
criterio oggettivo della “territorialità”, l’art. 2 co. 1 d.p.r. n. 637/1972 venne infatti a
stabilire che essa era dovuta “in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché
esistenti all'estero”, mentre il successivo co. 2 aggiunse che se al momento
dell’apertura della successione o al momento della donazione il defunto o il donante
non era residente nello Stato, l’imposta era dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi
esistenti. Anche per l’imposta di successione si riproponeva pertanto la distinzione tra
soggetti residenti e non residenti e anche in questo caso la distinzione esplicava i suoi
effetti sulla base imponibile del tributo, pur dovendosi comunque il tributo qualificare
come “reale”: vedi A. FEDELE, Imposte reali e imposte personali nel sistema
tributario italiano, cit., p. 472.
(7) Ne è derivata un’ampia rosa di tesi interpretative per far fronte ad una “lacuna
legis” colmata, a distanza di oltre trenta anni, dal legislatore della riforma Ires
mediante la codificazione della tesi della lettura cd. “a specchio” della norma sulla
localizzazione dei redditi prodotti in Italia da soggetti non residenti (cfr. art. 165, co. 2
t.u.i.r: “I redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli
previsti dall’art. 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”). Per le
varie tesi, vedi G. MAISTO, Le innovazioni apportate per i rapporti internazionali, in
AA. VV., Il reddito d'impresa nel nuovo Testo Unico, Padova, 1988, p. 246 ss.; G.
MANTOVANO, Aspetti problematici dell'attuale disciplina del credito d'imposta per
i redditi prodotti all'estero, in Il Fisco, 1990, p. 365 ss.; B. GANGEMI, Credito
d'imposta e redditi esteri, in Boll. trib., 1990, p. 259; A. CASERTANO, I problemi
irrisolti per i redditi prodotti all'estero, in Il Fisco, 1986, p. 316; G.C. CROXATTO,
Redditi prodotti all’estero da soggetti residenti, in Il Fisco, 1986, p. 4881 ss.; S.
MAYR, La tassazione dei redditi esteri per le società di capitali, in Boll. trib., 1978,
p. 815 ss.; M. INGROSSO, Il credito di imposta, Milano, 1984, p. 228 ss.; C.
GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, p. 159 ss. Da
ultimo, vedi A.M. GAFFURI, La tassazione dei redditi d’impresa prodotti all’estero.
Principi generali, Milano, 2008, p. 75 ss.
292
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
tra soggetti (residenti) ai quali competono anche le cd. personal-related
deductions e quelli (non residenti) cui spettano le sole cd. income-related
deductions.
Tanto premesso, la funzione così delineata della residenza fiscale di
distinguere i soggetti nei cui confronti dare rilevanza ai redditi ovunque
prodotti, da coloro la cui tassazione è improntata a stretti criteri di
territorialità, con tutti i corollari relativi alla personalità o realità
dell’imposizione, va adesso inquadrata nel più generale tema del rapporto tra
fattispecie tributaria e status di residenza fiscale.
Ora, non vi è dubbio, innanzitutto, sul fatto che lo status di residenza non
abbia alcuna incidenza sul tema della soggettività passiva, poiché
quest’ultima spetta a tutti i soggetti espressamente indicati nell’Irpef e
nell’Ires (costruite, come noto, in termini di “alternatività soggettiva”),
indipendentemente dall’esistenza di un collegamento – personale o reale –
con il territorio dello Stato; l’attribuzione della soggettività passiva ai fini
delle imposte personali si pone pertanto come un prius rispetto alla
qualificazione di soggetto fiscalmente residente o meno (8).
In secondo luogo, lo status di residenza non incide neanche sulla
qualificazione del reddito. Infatti, è al riguardo indifferente che un
determinato reddito sia percepito da un residente, ovvero da un non residente,
applicandosi in entrambi i casi le medesime regole di qualificazione
reddituale (9).
(8) Si registra, tuttavia, la rilevante eccezione delle società di persone alle quali il
legislatore, quando residenti, ha scelto di non attribuire soggettività passiva a fini
tributari per considerarle enti trasparenti ai sensi dell’art. 5 TUIR (salvo poi renderle
destinatarie di specifici criteri di collegamento personali ex art. 5, co. 3, lett. d) TUIR,
peraltro coincidenti con quelli previsti per i soggetti IRES), e invece, quando non
residenti, di attribuire loro soggettività passiva piena ai sensi dell’art. 73, comma 1,
lett. d), TUIR.
(9) Vi sono anche in tale ipotesi talune eccezioni.
Innanzitutto, per le società di capitali, perché se residenti il loro reddito è qualificato
comunque di impresa, ciò che non avviene per le società di capitali non residenti.
In secondo luogo – e alla condizione di seguire la tesi (che non pare di poter
condividere) per la quale ai fini della commercialità si prende in considerazione la
sola attività “nazionale” – si potrebbero applicare regole qualificatorie diverse ai
redditi di un ente non residente e di uno residente, ovviamente sul presupposto che le
regole sulla commercialità siano anche regole sulla qualificazione del reddito.
Un problema specifico sorge poi per la stabile organizzazione, essendo dibattuto se
essa abbia una mera funzione di localizzazione del reddito (id est, di imponibilità in
Italia) ovvero anche di sua qualificazione (come d’impresa) del reddito: in altri
termini, se gli enti (ed i soggetti passivi in genere) non residenti possano essere titolari
di redditi d’impresa conseguiti in Italia anche in assenza di una stabile organizzazione
nel territorio dello Stato. E’ evidente che se fosse possibile configurare un reddito
d’impresa conseguito in Italia in assenza di una stabile organizzazione, questo non
solo non sarebbe tassabile (in quanto reddito d’impresa), ma non potrebbe neanche
essere diversamente classificato (in altra categoria reddituale) ai fini della sua
tassazione nello Stato. Per parte della dottrina (A. FANTOZZI – A. MANGANELLI,
293
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Qualificazione e determinazione dei redditi prodotti da imprese estere in Italia:
applicabilità della normativa sui prezzi di trasferimento nei rapporti tra stabile
organizzazione e casa madre, in Studi in onore di Victor Uckmar, Padova, 1997, I, p.
413 ss.; A. MANGANELLI, Territorialità dell’imposta, in Dig. disc. priv. sez. comm.,
XV, Torino, 1998, p. 366 ss.), la stabile organizzazione varrebbe soltanto quale
elemento di localizzazione. Poiché nei confronti dei soggetti non residenti non
operano le presunzioni di cui agli artt. 6 e 81 t.u.i.r. (essendo la presunzione di
produzione di reddito di impresa esclusivamente riferita alle società e agli enti
commerciali residenti), il soggetto ben potrebbe produrre reddito d’impresa in Italia in
presenza delle caratteristiche di cui all’art. 55 t.u.i.r. (abitualità, attività ex art. 2195
cod. civ., ecc.), e tali requisiti andrebbero valutati con riferimento all’attività tipica
svolta in qualsiasi parte del mondo, non ponendo l’art. 55 t.u.i.r. alcuna limitazione
territoriale in tal senso (con la conseguenza, ad esempio, che gli interessi percepiti da
una banca estera sarebbero qualificabili come “redditi di impresa” e tassabili in Italia
solo ove vi sia una stabile organizzazione, restando altrimenti esclusi da imposizione,
in quanto attività tipica svolta in modo abituale e professionale, mentre sarebbero
redditi “di capitale” quelli derivanti dall’investimento della liquidità eccedente in
obbligazioni emesse da un soggetto residente in Italia: peraltro, con riferimento alla
prima ipotesi, l’art. 26, co. 5 d.p.r. n. 600/73 ha risolto il problema in presenza di
sostituti di imposta, disponendo che “se i percipienti non sono residenti nel territorio
dello Stato o stabili organizzazioni di soggetti non residenti, la predetta ritenuta è
applicata a titolo d’imposta ed è operata anche sui proventi conseguiti nell’esercizio
d’impresa commerciale”). Per un secondo orientamento (C. GARBARINO, Forza di
attrazione della stabile organizzazione e trattamento isolato dei redditi, in Rass. trib.,
1990, p. 440 ss.; ID., La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, p. 198;
M. MICCINESI, I tributi diretti erariali, in P. RUSSO, Manuale di diritto tributario,
Milano, 1999, p. 673), la stabile organizzazione sarebbe invece anche elemento di
qualificazione, sicché in mancanza di una stabile organizzazione in Italia i redditi
rimarrebbero qualificabili e tassabili isolatamente (nell’esempio fatto, gli interessi
percepiti da una banca estera senza stabile organizzazione in Italia sarebbero sempre
tassabili come redditi di capitale). In altri termini, i soggetti privi di stabile
organizzazione verrebbero ad essere tassati alla stregua di un ente non commerciale
residente (con esclusione, ovviamente, dei redditi di impresa e limitatamente ai redditi
tassabili ex art. 23 t.u.i.r. in quanto localizzati in Italia). Secondo un terzo
orientamento (L. PERRONE, Problemi vecchi e nuovi in materia di imposizione sul
reddito delle società e degli enti non residenti, in Rass. trib., 2001, p. 1236 ss.), il
problema da porsi non sarebbe tanto se la stabile organizzazione sia elemento anche di
qualificazione o solo di localizzazione, quanto invece l’ambito territoriale di
riferimento per valutare l’attività di impresa. L’attività “di impresa” dovrebbe infatti
essere valutata soltanto con riferimento all’attività svolta in Italia, mentre nel caso di
soggetti residenti occorrerebbe guardare all’attività ovunque svolta, in virtù del
principio del reddito mondiale. L’affermazione secondo la quale può essere
qualificata d’impresa qualsiasi attività svolta in Italia, anche del tutto occasionale e
priva dei requisiti di cui all’art. 55 t.u.i.r., purché tali requisiti (abitualità,
professionalità, commercialità) siano presenti nell’attività svolta all’estero, potrebbe
infatti far rientrare “dalla finestra” la presunzione di appartenenza al reddito d’impresa
(di cui agli artt. 6 e 81 t.u.i.r.) uscita “dalla porta” per effetto dell’art. 153 t.u.i.r.
(perché l’oggetto statutario della società ed ente non residente farà di regola
riferimento ad un’attività commerciale). Dunque, mancando tale attività di impresa, il
reddito dovrebbe essere valutato per la sua natura oggettiva. Si può peraltro osservare
294
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
che se è configurabile in Italia l’esercizio per professione abituale di un’attività
commerciale di cui all’art. 55 t.u.i.r., sarà assai probabile che vi sia anche una stabile
organizzazione, con una sostanziale coincidenza sul piano empirico tra la tesi da
ultimo richiamata e quella che assegna funzione sia di localizzazione che di
qualificazione della stabile organizzazione. Secondo un quarto ed ultimo orientamento
(F. NANETTI, La “scissione” del reddito d’impresa: spunti sistematici in tema di
tassazione delle società commerciali non residenti, in Riv. dir. trib., 2004, p. 727 ss.),
infine, la norma cardine dovrebbe essere individuata nell’art. 152, co. 4 t.u.i.r.,
secondo cui “per le società di tipo diverso da quelle regolate nel codice civile si
applicano le disposizioni dei commi 1 o 2 o quelle del comma 3 secondo che abbiano
o non abbiano per oggetto l’esercizio di attività commerciale”, di talché – a contrariis
– le società estere la cui struttura giuridica sia analoga a quella delle società regolate
nel codice civile sarebbero equiparate a quelle italiane, dovendosi perciò individuare
un reddito scaturente direttamente ed unitariamente dalla suddetta unità organizzativa,
quale frutto dell’attività ad essa unicamente imputabile, ferma restando la necessità
(contrariamente alle società residenti) dello svolgimento di un’attività qualificabile
d’impresa ai sensi dell’art. 55 t.u.i.r.
A nostro avviso, tre sono i punti fermi. Il primo, che la qualificazione reddituale e la
stabile organizzazione viaggiano su binari distinti, non potendosi riconoscere alcuna
specialità alla previsione dettata dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 23 rispetto alle
disposizioni contenute nelle restanti lettere e destinate alla localizzazione (previa
qualificazione, secondo le norme relative a ciascuna specifica categoria) delle altre
categorie reddituali. Significativa, in tal senso, è peraltro l’espressione utilizzata
nell’art. 117, co. 2 t.u.i.r., laddove si fa riferimento, ai fini della possibilità da parte
dei soggetti di cui all’art. 73, co. 1, lett d), di esercitare l’opzione solo in qualità di
controllati, alla condizione “b) di esercitare nel territorio dello stato un’attività
d’impresa, così come definita dall’art. 55, mediante una stabile organizzazione …”
(corsivo nostro), separando così nettamente il profilo della qualificazione da quello
della stabile organizzazione. Il secondo, che i redditi di impresa prodotti in Italia
senza una stabile organizzazione (e fatta salva l’eventuale “scissione” operata dal
legislatore per alcune fattispecie reddituali) non sono imponibili nel territorio dello
Stato, non potendosi accettare la tesi (M. LEO – F. MONACCHI – M. SCHIAVO, Le
imposte sui redditi nel testo unico, 6° ed., t. 1, Milano, 1997, p. 1853) che qualifica
come “redditi diversi” i redditi conseguiti in Italia da un’impresa estera senza una
stabile organizzazione, che stravolgerebbe i tradizionali canoni di localizzazione del
reddito di impresa, cui l’art. 23 t.u.i.r. intende indubbiamente conformarsi. A tale
riguardo, giova ricordare come la versione della bozza del T.U., non accolta in parte
qua, stabilisse che “Per le società ed enti con stabile organizzazione nel territorio
dello Stato si considerano prodotti nel territorio dello Stato anche i redditi d’impresa
derivanti da attività commerciali ivi esercitate al di fuori delle stabili organizzazioni”
(vedi anche A. MANGANELLI, Territorialità dell’imposta, cit., p. 376); inoltre, deve
ritenersi che l’art. 67 t.u.i.r. intenda riferirsi allo svolgimento di attività occasionali di
impresa da parte di soggetti non imprenditori, mentre in questo caso il soggetto estero
svolge attività d’impresa. Il terzo, infine, che per le convenzioni internazionali la
presenza della stabile organizzazione ha indubbia funzione di qualificazione: vedi F.
TUNDO, I redditi d’impresa nel Modello di convenzione OCSE (art. 7), in AA.VV. (a
cura di V. Uckmar), Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, p. 267.
Per quanto attiene alla posizione sul punto dell’a.f. italiana, è interessante la Ris. Ag.
Entrate 9 marzo 2007, n. 41/E, in Il Fisco, 2007, n. 11, fasc. 2, p. 1530 ss., dove in un
caso relativo ad una società estera svolgente attività di acquisto pro-soluto di crediti
295
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
In terzo luogo, dall’indifferenza della qualificazione rispetto alla residenza
conseguono l’indifferenza sia rispetto al principio di imputazione temporale
(che resta invariato, sia che quella determinata fattispecie reddituale sia
imputabile ad un residente, sia che essa lo sia ad un soggetto non residente),
sia in relazione alla determinazione dei redditi di categoria al lordo o al netto
dei costi sostenuti per produrli. Si assiste, tuttavia, nel caso di soggetti non
residenti, ad un ampio ricorso allo strumento della ritenuta a titolo di imposta.
Ciò fa sì che la dimensione eventualmente netta del reddito venga meno – si
pensi ad esempio ai redditi di lavoro autonomo – applicandosi la ritenuta
sull’ammontare lordo dei redditi corrisposti. Si tratta, tuttavia, di un’ipotesi di
difficile inquadramento sistematico, che si pone soprattutto nel caso del c.d.
“mutamento di status” del sostituito, e che in ogni caso non oblitererà la
disciplina base, certamente operante in mancanza del sostituto di imposta (10),
con la conseguente determinazione netta del reddito e la sua confluenza in
dichiarazione.
da soggetti residenti per un corrispettivo inferiore al loro valore nominale con
successiva gestione e riscossione in Italia, alla tesi della società circa l’inesistenza di
una stabile organizzazione e quindi l’intassabilità del relativo reddito, l’a.f.
controbatte – indipendentemente dall’esistenza di una stabile organizzazione –
l’applicabilità dell’art. 23, co. 1, lett. f) in tema di redditi diversi, trattandosi di
“plusvalenze ed altri proventi realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero
rimborso di crediti pecuniari” di cui all’art. 67, co. 1, lett. c-quinquies t.u.i.r. In tal
modo, l’a.f. esclude, a contrario, che lo svolgimento in Italia da parte di una società
estera di un’attività conforme al proprio oggetto sociale possa sfuggire ad imposizione
in assenza di una stabile organizzazione, e dunque afferma la funzione sia di
qualificazione, sia di localizzazione della stabile organizzazione medesima.
Per quanto attiene alla posizione sul punto della giurisprudenza, la Cassazione (cass.,
sent. 21 aprile 2011, n. 9197, ha affermato che “l’ormai risalente e non contraddetta
giurisprudenza delle SS.UU. di questa Corte (cfr. Cass. 7184/83) è nel senso che la
qualificazione di reddito quale reddito d’impresa dipende dal requisito soggettivo
dell’esercizio di impresa commerciale da parte del percipiente, a prescindere da
qualsiasi altro diverso requisito (essendo la ricorrenza della stabile organizzazione
semplice condizione di localizzazione del reddito medesimo e di sua imponibilità in
Italia) ed, inoltre, che, per poter scindere (e diversificare nel trattamento fiscale) le
componenti del reddito d’impresa di un soggetto straniero e privo di autonoma
organizzazione nel territorio dello Stato, è necessaria una specifica disposizione di
legge (v. la previsione la previsione di cui al D.P.R. n. 598 del 1973, art. 22, comma
2, nonché quella di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 19, comma 1, n. 9, introdotta
dal D.P.R. n. 897 del 1980, art. 31, e, con riferimento al successivo regime di cui
al D.P.R. n. 917 del 1986, la previsione di cui all’art. 112, comma 2)”.
(10) Vedi F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, Torino, 2003,
p. 132, nota 67, sia pure nell’ambito della ricostruzione del fenomeno della ritenuta a
titolo di imposta come “sostituzione d’imposta”; G. FALSITTA, Manuale di diritto
tributario, Parte generale, 2002, p. 221; L. CARPENTIERI – R. LUPI – D.
STEVANATO, Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano, 2003, p. 166.
296
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Infine, alcuna incidenza si ha neanche sul problema dei profili soggettivi ed
oggettivi del presupposto d’imposta ove inteso nel senso di fattispecie (11).
Si è visto, al riguardo, che ove il reddito sia imputabile ad un soggetto non
residente, occorre verificare se, in relazione a quella fattispecie reddituale,
possa dirsi integrato quel criterio di collegamento che consente di localizzarlo
nel territorio dello Stato (ex art. 23 t.u.i.r.), sicché potrebbe in effetti ritenersi
esistente uno stretto collegamento tra lo status in esame e il presupposto del
tributo.
In realtà, lo status di residenza non incide né sull’esistenza del diritto di
credito nascente dalle fattispecie contrattuali (o comunque da altri fatti che
esprimono la titolarità della fonte) coinvolte nelle singole categorie reddituali
(o, più generalmente, sugli effetti), né – ove si ritenga di dover invece far
riferimento, per la nascita del presupposto, ai criteri di imputazione temporale
– su questi ultimi. L’effetto ben può nascere ed il reddito essere corrisposto
(o maturare in capo) al soggetto non residente, sicché lo status di residente
fiscale non incide né sul possesso, né ovviamente sul profilo oggettivo della
fattispecie: dunque, anche la qualificazione del presupposto di imposta nelle
imposte sui redditi prescinde dallo status di residenza.
Lo status di residenza fiscale o meno del soggetto passivo rappresenta un
quid che interviene, di regola, indipendentemente dal verificarsi del
presupposto, dall’individuazione del soggetto passivo in capo al quale
imputare il reddito (12), dalla qualificazione del reddito stesso,
dall’imputazione al periodo di imposta e dalla dimensione lorda o netta del
reddito imponibile.
Tuttavia, non sempre queste conclusioni sono vere.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui il soggetto sia una società o un ente
commerciale, dove allo status di soggetto fiscalmente residente consegue
l’applicazione del principio della “omnicomprensività” (artt. 6 e 81 t.u.i.r.) –
non applicabile alle società ed enti non residenti – diventando in tal caso
irrilevante la verifica circa la categoria di appartenenza del reddito, il criterio
di imputazione temporale e le regole di determinazione del reddito di
categoria.
Ciò fa sì che nel caso di società o enti commerciali si imponga una verifica
preliminare sullo status di soggetto fiscalmente residente o meno. In caso
positivo, il procedimento si arresterà, ragionandosi solo nell’ambito delle
regole dei soggetti Ires residenti e avendo riguardo ai redditi ovunque
(11) Diverso è l’esito ove si adoperi invece il termine “presupposto” nel senso di
criterio di riparto/indice di capacità contributiva, dove diventa impossibile considerare
autonomamente il profilo territoriale dagli altri elementi della disciplina (di cui il
presupposto è sintesi) e fra il regime dei residenti e quello dei non residenti cambia
tutto, passandosi da un tributo personale a uno reale. Da ultimo, sulla nozione di
presupposto, G. FRANSONI, Tipologia e struttura della norma tributaria, in
AA.VV., Diritto tributario, a cura di A. Fantozzi, Torino, 2012, p. 268 ss..
(12) Tranne che nel caso dei soggetti ex art. 5 t.u.i.r., dove la qualità di residente o di
non residente farà rientrare detti soggetti tra quelli tassabili “per trasparenza” o tra i
soggetti Ires.
297
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
prodotti; in caso negativo, invece, si proseguirà nell’imputazione,
localizzazione, qualificazione e determinazione dei redditi prodotti nel
territorio dello Stato dal soggetto non residente e, nel caso in cui il soggetto
risulti possedere una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i singoli
redditi – che manterranno nella fase qualificatoria la loro natura ontologica –
confluiranno, ai sensi dell’art. 152, co. 1 t.u.i.r., in un apposito conto
economico “relativo alla gestione delle stabili organizzazioni e delle altre
attività produttive di redditi imponibili in Italia”, assumendo ex post la natura
di “redditi di impresa” (13).
(13) Il problema che si pone diviene poi di comprendere se questa qualificazione come
“redditi di impresa” coinvolga anche le regole di imputazione temporale e la
determinazione del reddito. In dottrina si ritiene che la determinazione debba avvenire
al netto dei costi, mentre non si prende espressa posizione sul problema
dell’imputazione a periodo: vedi A. MANGANELLI, Territorialità dell’imposta, cit.,
p. 384; G. ZIZZO, L’imposta sul reddito delle società, in G. FALSITTA, Manuale di
diritto tributario, Parte speciale, Milano, 2005, p. 478, dovendosi sussumere “tutti i
fatti da cui derivano i redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato –
coinvolgano o meno la stabile organizzazione – nella normativa concernente la
misurazione dei redditi di impresa”; vedi anche M. PIAZZA, Guida alla fiscalità
internazionale, Milano, 2004, p. 403, con riferimento agli immobili, di talché il
reddito degli immobili strumentali per natura non relativi alla stabile organizzazione
dovrà essere determinato al netto dei costi. In effetti, milita in tal senso l’espressione
utilizzata dal legislatore, secondo cui il reddito complessivo (dunque, comprensivo
anche delle attività diverse da quelle di impresa) è determinato secondo le
disposizioni della sezione I del capo II del titolo II (contenente le norme in tema di
determinazione del reddito di impresa), mentre, in mancanza di stabili organizzazioni,
i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati secondo le
disposizioni del titolo I, relative alle categorie nelle quali rientrano. In realtà, una
simile conclusione, pur rispondente al dato letterale, crea qualche dubbio sul piano
sistematico, dal momento che le disposizioni di categoria finirebbero per svolgere la
mera funzione di qualificazione finalizzata alla successiva localizzazione del reddito,
la determinazione del reddito avverrebbe secondo le disposizioni del reddito di
impresa, ma non si saprebbe poi dove “attingere” quanto al principio di imputazione
temporale applicabile. A tale riguardo, si potrebbe osservare che il rinvio alle norme
di cui alla sezione I, del capo II del titolo II abbraccia anche l’art. 109 t.u.i.r. in tema
di competenza, di talché tale dovrebbe essere la regola vigente in tema di imputazione
a periodo anche dei restanti redditi non “ontologicamente” di impresa. Tuttavia, a
parte la circostanza che risulta piuttosto forzato un “frazionamento” tra norme di
qualificazione da una parte, e norme di imputazione a periodo e norme in tema di
misurazione del reddito che invece ne prescindono da un’altra, l’applicazione del
principio di competenza sarebbe indolore per i soli redditi fondiari. Altrettanto non
potrebbe infatti dirsi per i redditi di capitale, dove l’elemento del “pagamento” è
contenuto all’interno del criterio di localizzazione, che pertanto ne risulta
condizionato, di talché non si comprende come possa successivamente “coordinarsi”
con il criterio di competenza ove con esso contrastante; ma ancor più per i redditi
diversi, per i quali opera ordinariamente il principio di cassa, che non è contenuto nel
criterio di collegamento dell’art. 23, co. 1, lett. f), facendo tale norma riferimento ai
redditi “derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano
298
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Negli altri casi, invece, l’accertamento sulla residenza interverrà per
verificare l’esistenza o meno di un criterio di collegamento personale con il
territorio dello Stato tale da giustificare un’imposizione sui redditi ovunque
prodotti, e in tal senso la determinazione della base imponibile, con
riferimento al reddito complessivo, rappresenterà quel momento di sintesi
indispensabile per conferire carattere personale ad un sistema basato tutto
sommato su una configurazione in termini reali del fatto presupposto (14); in
caso di mancata integrazione dello status di residente, si renderà invece
necessario verificare per ciascun presupposto l’esistenza o meno del criterio
di collegamento reale definito dall’art. 23 t.u.i.r. Si tratterà, insomma, di
selezionare tra le varie fattispecie già perfette, quelle che integrino detti
nel territorio stesso”, nel qual caso ci troverebbe dinnanzi ad una situazione
indeterminata sotto il profilo dell’imputazione temporale. Laddove si ritenesse di
rinvenire l’intera disciplina della fattispecie nell’ambito delle norme categoriali (che
appunto contengono, oltre alla qualificazione, anche i profili relativi all’imputazione
temporale e alla determinazione della base imponibile del reddito di categoria), la
qualificazione come “d’impresa” dei redditi confluiti nel conto dei profitti e perdite
diventerebbe una questione meramente nominalistica (in altri termini, si tratterebbe di
una mera “confluenza contabile”). Mentre, in caso contrario, essa si riverbererebbe
(almeno) sulla determinazione del relativo reddito, “attraendo” alle norme in tema di
determinazione del reddito di impresa (ma non anche, lo si ribadisce, incidendo sulle
norme di “localizzazione”) la commisurazione di redditi estranei alla stabile
organizzazione.
In ogni caso, ciò che deve certamente escludersi è l’operare di una forza di attrazione
“piena” in presenza di una stabile organizzazione, nel senso di considerare a monte
come di “impresa” i redditi da qualsiasi fonte provenienti e di fatto escludendoli da
eventuali forme di imposizione alla fonte, esplicandosi, come detto, la “forza di
attrazione” nei soli limiti di cui agli artt. 151, co. 1 e 153, co. 1 t.u.i.r., in cui il
reddito, pur non essendo prodotto mediante la stabile organizzazione, deriva da un
cespite in qualche modo “collegato” con l’esercizio dell’attività di impresa svolta
mediante stabile organizzazione. A questa conclusione non può opporsi, a nostro
avviso, la normale esclusione dal meccanismo delle ritenute a titolo di imposta in
presenza di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato, dovendosi ritenere tale
esclusione riferibile ai soli casi in cui operi una connessione tra reddito e stabile
organizzazione tale da determinare l’immediata confluenza di tale reddito in quello
della stabile organizzazione medesima. Sul punto, vedi anche L. CARPENTIERI – R.
LUPI – D. STEVANATO, Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano,
2003, p. 223; contra, R. BAGGIO – M. FIORESE, Società ed enti non residenti, in
L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Giurisprudenza sistematica di
diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1996, p. 338.
(14) Vedi A. FEDELE, Imposte reali e imposte personali nel sistema tributario
italiano, cit. , 2002, p. 472; N. D’AMATI, Le imposte sul reddito nel sistema
tributario italiano, in ID., L’imposta sul reddito delle persone giuridiche e l’imposta
locale sui redditi, Torino, 1994, p. 13 ss.; L. CASTALDI, Gli enti non commerciali
nelle imposte sui redditi, Torino, 1999, p. 178 ss.; M. NUSSI, Imputazione del reddito
nel diritto tributario, Padova, 1996, p. 10, che sottolinea come “l’elemento
personalistico dell’imposta vada rinvenuto nell’ambito della disciplina della base
imponibile piuttosto che in quella sul presupposto”; A. CARINCI, L’invalidità del
contratto nelle imposte sui redditi, Padova, 2003, p. 270 ss.
299
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
criteri – attività di lavoro autonomo svolta nel territorio dello Stato, attività di
impresa svolta nel territorio dello Stato mediante stabile organizzazione,
redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti nel territorio dello Stato,
ecc. – rendendo così la fattispecie rilevante sotto il profilo spaziale per il
nostro ordinamento tributario.
La questione della residenza fiscale attiene dunque a) alla collocazione
spaziale del presupposto d’imposta (15), con la connessa – ed eventuale (in
quanto subordinata all’accertamento negativo dello status di soggetto
fiscalmente residente) – determinazione del criterio di collegamento
rilevante, e b) alle modalità di tassazione del reddito, ai fini dell’eventuale
applicazione di ritenute a titolo di imposta conseguenti alla sostanziale
inutilità, nel caso di soggetti non residenti, dell’applicazione del principio del
coacervo dei redditi.
In altri termini, l’accertamento in senso negativo della qualità di soggetto
residente, da un lato aggiungerà al giudizio di rilevanza della fattispecie
impositiva un ulteriore elemento, quello del criterio di collegamento reale (ivi
compreso quello connesso all’esistenza di una stabile organizzazione), che è
pertanto meramente eventuale e comunque logicamente successivo rispetto al
criterio della residenza, con funzione selettiva rispetto a fattispecie già
assunte come rilevanti sul piano della realizzazione del presupposto, nella sua
dimensione soggettiva ed oggettiva (16); e, dall’altro, inciderà sulle modalità
di tassazione del reddito, privilegiando forme di tassazione sostitutiva in
considerazione della non necessarietà ai fini di sistema della ricostruzione del
reddito complessivo del soggetto. Laddove il reddito del soggetto non
residente, in mancanza di ritenute a titolo di imposta o nell’impossibilità
materiale di effettuarle per mancanza di sostituto (17), dovesse eventualmente
confluire in dichiarazione, la qualità di soggetto non residente varrà, inoltre,
ad escludere la spettanza di quelle deduzioni e detrazioni riservate ai soli
soggetti tassati sui redditi ovunque prodotti, connotando così ancora una
volta sul piano della misurazione (e non della definizione) del presupposto
(15) Vedi F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, cit., p. 62:
“come ogni fattispecie, il presupposto è connotato dal legislatore (implicitamente o
esplicitamente) sotto diversi profili: oggettivo, soggettivo, spaziale e temporale; G.
TINELLI, Istituzioni di diritto tributario, Padova, 2003, p. 87, che si esprime in
termini di “limiti spaziali nella formulazione del presupposto d’imposta”. La
formulazione normativa è in realtà ambigua, in quanto contrappone i redditi ovunque
posseduti a quelli prodotti nel territorio dello Stato, così contrapponendo una
situazione di possesso per i residenti ad una relativa al luogo di produzione per i
soggetti non residenti.
(16) A. CARINCI, Il fattore temporale nell’imposta sui redditi: tra disciplina e
definizione delle ipotesi categoriali e del reddito complessivo, in Riv. dir. fin. sc. fin.,
2000, p. 618 ss.
(17) Ma non, ovviamente, nel caso di omessa effettuazione della ritenuta a titolo di
imposta, dovendo tale ipotesi essere risolta tramite l’applicazione dell’art. 35, d.p.r. n.
602/73.
300
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
(se non, addirittura, sul piano dell’imposta dovuta) la matrice personalistica
dell’imposta sui redditi (18).
In conclusione, dunque, lo status di residenza non attiene alla soggettività
passiva (19), né si identifica con il presupposto di imposta (20), né si pone sul
(18) In questo senso, la tesi sulla funzione di mero criterio di collegamento (cioè di
mera localizzazione) della stabile organizzazione appare preferibile sul piano
sistematico, verificandosi altrimenti una commistione tra categorie reddituali e criteri
di collegamento. Tuttavia, non vanno sottovalutati gli argomenti contrari.
Innanzitutto, va ricordato il contenuto della Relazione governativa all’art. 113 (ora
151) t.u.i.r., ove si legge che “Qualora, invece, manchi la stabile organizzazione dei
predetti soggetti (le società ed enti commerciali non residenti) non possono
evidentemente considerarsi imprenditori commerciali essendo privi di un reddito di
impresa imponibile. In tal caso essi vengono a trovarsi nella stessa situazione
reddituale degli enti non commerciali residenti, e come per questi, il loro reddito
complessivo è formato dai singoli redditi (con esclusione ovviamente del reddito
d’impresa e limitatamente a quelli che in base alle regole dell’art. 20 si considerano
prodotti nel territorio dello Stato) determinati secondo le disposizioni del titolo primo
relative alle singole categorie nelle quali rientrano”). In secondo luogo, la possibilità
di produrre un reddito di impresa nel territorio dello Stato anche in assenza di una
stabile organizzazione, pone in crisi quella interpretazione, che è pacifica, per la quale
l’art. 151, co. 2 t.u.i.r., nel fare riferimento ai “redditi di impresa”, presupporrebbe
l’esistenza di una stabile organizzazione, ciò che non sarebbe necessario ove un
reddito di impresa esistesse a prescindere da tale stabile organizzazione. In tale ottica,
la tesi che cerca una composizione nella diversa rilevanza dell’ambito territoriale
appare certamente interessante. In sé, infatti, tale aspetto fornisce indicazioni opposte
sulla rilevanza temporale dell’indagine sulla residenza, perché se si tratta di società, la
questione della sua residenza o meno sarà già stata affrontata, e quindi non
comporterà alcuna forzatura sulla possibile rilevanza delle attività ovunque svolte;
mentre ove si tratti di impresa individuale, la qualificazione potrebbe (dovrebbe)
operare indipendentemente dall’accertamento della qualità di residente o meno, con
l’effetto che l’indagine, risolvendosi in un problema esclusivamente interno alla
norma di qualificazione da svolgere con criteri omogenei, dovrebbe avere riguardo
alla sola attività esercitata nel territorio dello Stato. Tuttavia, proprio la sostanziale
coincidenza tra attività di impresa svolta nel territorio dello Stato e l’esistenza in esso
di una stabile organizzazione, consentirebbe di comporre i vari dissidi che si pongono
sul piano sistematico.
(19) Contra, G.A. MICHELI, Corso di diritto tributario, 8° ed., Torino, 1989, p. 381,
che afferma che il criterio di territorialità dell’imposizione personale viene ad essere
realizzato “con lo strumento della soggettività passiva, anziché con il riferimento al
presupposto di imposta”. Evidenzia correttamente la diversità tra soggettività passiva
e nozione di residenza, G. NOVARA, Residenza di società ed enti nell’imposizione
personale sui redditi, in Boll. trib., 1990, p. 14 ss. Osserva G. FRANSONI, La
territorialità nel diritto tributario, Padova, 2004, p. 357, che la diversità tra tassazione
su base mondiale e tassazione su base territoriale non attiene solo ai modi di
determinazione della base imponibile, essendo la stessa giustificazione dell’imposta,
cioè il suo presupposto, a risultare modificato dal venir meno, nei sistemi di
tassazione su base territoriale, di ogni carattere di personalità dell’imposizione
presente nei casi di tassazione su base mondiale.
301
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
medesimo piano del criterio del luogo di produzione del reddito (21), né infine
può negarsene la natura di criterio di collegamento (22), bensì si inserisce
soltanto in un preciso momento nel perfezionamento della fattispecie
tributaria complessivamente intesa, con gli effetti sopra individuati (23).
2 Le interrelazioni tra residenza e stabile organizzazione: il problema
del controllo societario.
Tanto precisato in ordine alla natura del concetto di “residenza fiscale”,
dobbiamo domandarci quali siano le relative interrelazioni con il concetto di
“stabile organizzazione”.
Va subito detto che ad una prima, frettolosa impressione, quest’ultima
nozione potrebbe proprio ascriversi, sic et simpliciter, all’accertamento in
senso negativo della qualità di soggetto residente, che aggiunge, come detto,
al giudizio di rilevanza della fattispecie impositiva un ulteriore elemento,
quello del criterio di collegamento reale (ivi compreso quello connesso
all’esistenza di una stabile organizzazione), meramente eventuale e
(20) Come afferma P.M. TABELLINI, L’imposta sul reddito delle persone giuridiche,
Milano, 1977, p. 234. Il presupposto è infatti unico, e riguarda il “possesso” del
reddito. Semmai, come visto, la residenza concorre a delimitarne lo spazio: così,
esattamente, G. CROXATTO, La tassazione del reddito derivante da attività
internazionale nel quadro della riforma tributaria, in Dir. prat. trib., 1972, p. 10.
(21) Così, M. MARESCA, Alcune considerazioni sui criteri della residenza e del
luogo di produzione del reddito, in AA.VV., Il reddito di impresa nel nuovo Testo
Unico, Padova, 1988, p. 287 ss., per il quale la residenza determinerebbe i soggetti
passivi dell’imposizione, mentre il secondo rileverebbe soltanto in funzione della
determinazione della base imponibile.
(22) Così invece G. NOVARA, Residenza di società ed enti nell’imposizione
personale sui redditi, cit., p. 14 ss., che nega natura di criterio di collegamento alla
residenza fiscale, esprimendo esso invece “direttamente uno status di soggezione alla
potestà impositiva dello Stato; status che si determina per l’operare di diversi elementi
di collegamento tra il soggetto e il territorio, ivi compresa, per le persone fisiche, la
residenza civilistica”. Tale ultima affermazione non può essere condivisa, perché la
natura composita del criterio di collegamento fiscale non ne esclude la natura di
criterio di collegamento a sua volta, anche se di maggiore intensità e con una funzione
necessitata – e non soltanto eventuale – rispetto al criterio del luogo di produzione del
reddito.
(23) Si condividono dunque le conclusioni di C. SACCHETTO, L’imposta sul reddito
delle persone giuridiche, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, IV,
Padova, 1994, p. 88 ss., ove afferma che “il fatto poi che concorrono redditi prodotti
solo nello Stato o redditi prodotti ovunque risulta essere un aspetto successivo di
specifica dell’obbligo contributivo”; vedi anche M. NUSSI, Trasferimento della sede
e mutamento della residenza “fiscale”: spunti in tema di stabile organizzazione e
regime dei beni di impresa, in Rass. trib., 1996, p. 1341. Ricorre alla categoria della
“condizione obiettiva di imponibilità”, G. MARINO, La residenza nel diritto
tributario, Padova, 1999, p. 310.
302
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
comunque logicamente successivo rispetto al criterio della residenza, con
funzione selettiva rispetto a fattispecie già assunte come rilevanti sul piano
della realizzazione del presupposto, nella sua dimensione soggettiva ed
oggettiva.
Sennonché, si tratta di conclusione semplicistica. La stabile organizzazione è
infatti un “quasi-soggetto”, che si colloca a metà strada tra semplice criterio
di collegamento e soggetto passivo di imposta (24), potendo la sua presenza
nel territorio dello Stato risolversi in una modifica degli ordinari criteri di
localizzazione dei redditi, nel senso di attribuire alla stabile organizzazione
anche redditi che in essa non trovano la loro fonte effettiva (c.d. “forza di
attrazione” della stabile organizzazione). E questa natura “ibrida” del
concetto di stabile organizzazione non è estranea alle frequenti interrelazioni
con la nozione di residenza fiscale quale status tipicamente riferito a soggetti,
di cui si dirà immediatamente.
Tanto premesso, la prima interrelazione che si intende esaminare attiene al
tema del controllo societario.
Ci riferiamo, in particolare, all’art. 5, par. 7 del Modello OCSE, ai sensi del
quale “il fatto che una società residente di uno Stato contraente controlli o sia
controllata da una società residente dell’altro Stato contraente ovvero svolga
la propria attività in questo altro Stato (a mezzo di una stabile organizzazione
oppure no), non costituisce di per sé motivo sufficiente per far considerare
una qualsiasi delle dette società una stabile organizzazione dell’altra” (25).
Questa disposizione, dal contenuto da sempre sfuggente (26), ha formato
oggetto di un intervento di chiarimento dell’OCSE (27), presumibilmente
(24) Il problema della stabile organizzazione, per riprendere la felice espressione di F.
GALLO, Contributo all'elaborazione del concetto di "stabile organizzazione "
secondo il diritto interno, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1985, p. 385 ss., “sfiora il problema
della soggettività, ma non lo tocca”. La dottrina straniera è orientata nel senso della
natura di mero criterio di collegamento della stabile organizzazione: si veda N.
MELOT, Territorialité et mondialité de l’impôt, Dalloz, Paris, 2004, p. 238 ss., per il
quale si tratta di “un seuil de pénétration dans la vie économique des États de la
source suffisant pour légitimer leur droit d’imposer les revenus effectivement
rattachables à un tel établissement”.
(25) Tale norma è stata riprodotta, con talune modifiche, nell’art. 162, co. 9, t.u.i.r.,
che dispone che “Il fatto che un’impresa non residente con o senza stabile
organizzazione nel territorio dello Stato controlli un’impresa residente, ne sia
controllata, o che entrambe le imprese siano controllate da un terzo soggetto esercente
o no attività di impresa non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare
una qualsiasi di dette imprese una stabile organizzazione dell’altra”.
(26) Ampie sono state le oscillazioni giurisprudenziali al riguardo: si vedano, nel senso
del riconoscimento della società controllata quale stabile organizzazione, Comm. trib.
centr., 11 giugno 1981, n. 6478, in Comm. trib. centr., 1981, I, p. 647 ss.; Comm. trib.
centr., 16 novembre 1983, n. 3658, in Comm. trib. centr., 1983, I, p. 1090 ss.; Comm.
trib. centr., 23 febbraio 1972, n. 1848, in Dir. prat. trib., 1973, II, p. 292 ss.; e nel
senso opposto, Comm. trib. centr., 20 maggio 1980, n. 5868, in Giur. imp., 1980, p.
603 ss. Esiste poi una serie di sentenze, scarsamente significative, relative
all’interpretazione dell’art. 11 della non più vigente Convenzione tra Italia e Francia
303
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
quale reazione ad alcuni passaggi delle note sentenze della Cassazione nel
caso Philip Morris (28).
In effetti, se con l’art. 5, par. 7 del Modello OCSE si dovesse intendere la
sostanziale mancanza di autonomia decisionale da parte della controllata,
potrebbero derivarne effetti paradossali. Ciascuna controllata subisce infatti,
di regola, il coordinamento della controllante, che partecipa in qualità di
socio di maggioranza (se non unico) alle assemblee societarie e nomina gli
amministratori (29). Per di più, il problema finisce su tale piano proprio per
intrecciarsi con quello della residenza, poiché potrebbe affermarsi che a tale
mancanza di autonomia decisionale consegua la residenza fiscale della
società partecipata nello Stato in cui è residente la società partecipante.
del 1958: vedi Cass., 20 maggio 1988, n. 3610, in Dir. prat. trib., con nota di N.
LANTERI, Partecipazione sociale maggioritaria e “stabile organizzazione”; Cass.,
24 marzo 2000, n. 3547, in Boll. trib., 2001, p. 224 ss.; Cass., sez. trib., 30 marzo
2001, n. 4764.
(27) Si tratta del documento Proposed clarification of the Permanent Establishment
Definition, predisposto dal Working Party no. 1 nell’ambito del Committee on Fiscal
Affairs dell’OCSE, presentato in data 12 aprile 2004 e successivamente recepito nelle
modifiche al Commentario approvate il 15 luglio 2005, parr. 40 e ss.; vedi M.
PIAZZA, L’Ocse cambia le Convenzioni, in Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2005, p. 27.
(28) Cass., sez. trib., 20 dicembre 2001 – 7 marzo 2002, n. 3367, in Il Fisco, 2002, n.
19, 1, p. 3008 ss.; 20 dicembre 2001– 7 marzo 2002, n. 3368, in Il Fisco, 2002, n. 19,
1, p. 3008 ss.; 20 dicembre 2001 – 25 maggio 2002, n. 7682, in Il Fisco, 2002, n. 38,
1, p. 6115 ss.; 20 dicembre 2001 – 25 luglio 2002, n. 10925, in Il Fisco, 2002, n. 32,
1, p. 5200 ss. Con tali sentenze, come noto, la Cassazione ha ritenuto che una società
di capitali italiana possa costituire stabile organizzazione plurima di società estere
appartenenti allo stesso gruppo e che perseguono una strategia unitaria; che l’attività
di controllo sulla esatta esecuzione di un contratto tra soggetto residente e non
residente non può considerarsi attività “ausiliaria” ai sensi dell’art. 5, par. 4 del
Modello OCSE; che la partecipazione di rappresentanti della società italiana ad una
fase della conclusione di contratti tra società estere e altro soggetto residente può
essere ricondotta al potere di concludere contratti in nome dell’impresa. Vedi M.
CERRATO, La stabile organizzazione nelle imposte dirette e nell’Iva tra irrilevanza
del controllo societario e coincidenza con il concetto di centro di attività stabile, in
Dir. prat. trib., 1999, p. 209 ss.; S. MAYR – V. GRIECO, La stabile organizzazione
secondo la Suprema Corte, in Corr. trib., 2002, p. 1864 ss.; B. ACCILI, Il caso
“Philip Morris”, in Dir. prat. trib., 2004, p. 65 ss., la quale ritiene che il problema
sarebbe dovuto essere risolto sul piano dei prezzi di trasferimento anziché della stabile
organizzazione, attribuendo una corretta remunerazione ai servizi resi dalla società
italiana alle società estere. La Cassazione, peraltro, con la sentenza 28 luglio 2006, n.
17206, ha negato qualsiasi valore alle modifiche al Commentario OCSE, affermando
che “a parte il valore non normativo del Commentario – che costituisce, al più, una
raccomandazione diretta ai Paesi aderenti all’OCSE – è significativo rilevare che nei
confronti di tale modifica è stata espressa riserva dal Governo italiano, secondo la
quale (…) l’Italia non può disattendere quella data dai propri giudici nazionali”.
(29) Vedi R. COUZIN, Corporate Residence and International Taxation, IBFD
Publications BV, Amsterdam, The Netherlands, 2002, p. 62.
304
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Questa interpretazione è tuttavia smentita dallo stesso Commentario, laddove
precisa che il controllo che una società esercita su una sua controllata,
esercitando il ruolo di azionista, non assume rilevanza ai fini della
configurazione della stabile organizzazione cd. personale (30).
Si desume, tra l’altro, dalle modifiche apportate nel 2005 al Commentario
OCSE, la scelta di considerare la controllata quale stabile organizzazione ove
essa rappresenti una sorta di prolungamento dell’attività della casa madre, nel
senso che i beni appartenenti alla controllata siano messi a disposizione della
controllante per lo svolgimento del proprio business, oppure – nella
prospettiva della stabile organizzazione personale – ove la controllata abbia,
ed eserciti in modo abituale, il potere di concludere contratti in nome e per
conto della controllante estera (costituendone dunque un agente dipendente)
(31), o comunque svolga funzioni complementari (a carattere non meramente
(30) Commentario all’art. 5, par. 38.1: “In relation to the test of legal dependence, it
should be noted that the control which a parent company exercises over its subsidiary
in its capacity as shareholder is not relevant in a consideration of the dependence or
otherwise of the subsidiary in its capacity as an agent for the parent. This is
consistent with the rule in paragraph 7 of Article 5. But, as paragraph 41 of the
Commentary indicates, the subsidiary may be considered a dependent agent of its
parent by application of the same tests which are applied to unrelated companies”.
(31) E, si ritiene, anche nel caso opposto in cui sia la controllante a concludere
contratti per la propria controllata: vedi U. LA COMMARA, La nozione di stabile
organizzazione secondo l’OCSE e nella legislazione fiscale interna, in Il Fisco, 2007,
n. 4, fasc. 2, p. 476, che evidenzia il rilievo assunto dal “rischio di impresa” nella
individuazione dell’autonomia del soggetto controllato. Cfr. Commentario, par. 47.1:
“A parent company may, however, be found, under the rules of paragraphs 1 or 5 of
the Article, to have a permanent establishment in a State where a subsidiary has a
place of business. Thus, any space or premises belonging to the subsidiary that is at
the disposal of the parent company (see paragraphs 4, 5 and 6 above) and that
constitutes a fixed place of business through which the parent carries on its own
business will constitute a permanent establishment of the parent under paragraph 1,
subject to paragraphs 3 and 4 of the Article (see for instance, the example in
paragraph 4.3 above). Also, under paragraph 5, a parent will be deemed to have a
permanent establishment in a State in respect of any activities that its subsidiary
undertakes for it if the subsidiary has, and habitually exercises, in that State an
authority to conclude contracts in the name of the parent (see paragraphs 32, 33 and
34 above), unless these activities are limited to those referred to in paragraph 4 of the
Article or unless the subsidiary acts in the ordinary course of its business as an
independent agentto which paragraph 6 of the Article applies”. Analoghi principi
sono stati enunciati dal Conséil d’Etat francese nel caso Interhome (Conseil d'Etat, 20
giugno 2003, n. 224407, Sté Interhome AG), potendo essere riconosciuta la natura di
stabile organizzazione in capo ad una società controllata francese nel solo caso in cui
essa non possa essere considerata un agente indipendente (ad esempio, in quanto la
sua attività consista esclusivamente nell’esecuzione di mandati ricevuti dalla
controllante) e non abbia il potere (anche di fatto) di concludere contratti in nome
della società controllante svizzera nell’ambito del business di questa ultima. Nella
fattispecie esaminata dal Conséil d’Etat, tale secondo requisito è stato considerato
assente, in quanto l’attività principale (di reperimento di proprietari di seconde case
305
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
ausiliario) a quelle della controllante estera (32). Non è dunque sufficiente che
l’attività della società figlia sia “diretta” dalla casa madre.
disponibili a darle in locazione a terzi – agency agreements; di pubblicizzazione di
tale offerta tramite un catalogo) restava di esclusiva competenza della società
controllante, mentre la società controllata si limitava all’assistenza dei clienti sul
territorio francese (assistenza alla firma degli specifici contratti di locazione e
all’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali). Si veda anche il caso Zimmer
(Cour Administrative d’Appel de Paris – 2 febbraio 2007, n. 05PA0236, in Dir. prat.
trib. int., 2007, p. 1124 ss.), relativo ad una società residente in Francia che agiva in
base ad un contratto di commissione stipulato con la controllante residente nel Regno
Unito, il cui la Corte ha ritenuto che ciò che rileva è che la società residente eserciti
abitualmente, in diritto o in fatto, dei poteri che le permettano di impegnare l’impresa
in relazioni commerciali che si concretizzino in operazioni costituenti le attività
proprie dell’impresa non residente, non essendo necessario, ai fini della sussistenza di
una stabile organizzazione, che i contratti siano conclusi in nome del soggetto non
residente e bastando a tal fine che la capacità di coinvolgere il soggetto non residente
nelle relazioni commerciali nell’altro Stato sia esercitata in fatto. In tale fattispecie,
peraltro, la società residente in Francia era soggetta alle istruzioni della società
inglese, i rischi connessi all’esecuzione dei contrati erano sopportati da quest’ultima e
la società francese agiva esclusivamente per conto della società non residente. Nella
giurisprudenza italiana, si veda Cass., sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17206, dove si
legge che “anche una distinta società italiana può svolgere il ruolo di stabile
organizzazione di una società straniera (…) l'esercizio - da parte della società italiana
- di attività dirette alla produzione di reddito in Italia da parte della società panamense
consisteva nella conclusione di contratti, come dimostrato dall'esame della
documentazione bancaria, dalla quale risultavano diversi conti intestati alla U.G.E.
S.A. sui quali transitavano regolamenti di vendite fatte in Italia (…) l'affidamento di
business proprio della società panamense (corsivo nostro) era pure confermato dalla
presenza della documentazione riferentesi all'attività di tale impresa nei locali della
società italiana”. Si veda anche Comm. trib. reg. Veneto, 30 marzo – 20 aprile 2006,
n. 17/14/2006; Comm. trib. prov. Rimini, sez. II, 12 marzo 2008, n. 26. Sul punto,
vedi M. CERRATO, Stabile organizzazione e gruppi tra rigori giurisprudenziali e
temperamenti dell’OCSE, in Corr. trib., 2008, p. 3507 ss.
(32) Dovendosi peraltro distinguere da ciò la prestazione di servizi in favore di un’altra
società del gruppo non residente, laddove tali servizi formino oggetto dell’attività
della società residente e siano svolti mediante personale proprio. Vedi anche E.
DELLA VALLE, La nozione di stabile organizzazione nel nuovo T.u.i.r., in Rass.
trib., 2004, p. 1653, nel senso che i rapporti di controllo all’interno dei gruppi non
alterano i criteri da utilizzare per verificare se sussiste o meno una stabile
organizzazione; R. LUPI, La possibilità che una stabile organizzazione si annidi nelle
strutture di una società controllata, in Dialoghi di diritto tributario, 2003, p. 35 ss.;
A. LOVISOLO, La stabile organizzazione, in AA.VV. (a cura di V. Uckmar), Corso
di diritto tributario internazionale, cit., p. 297 ss., che riporta l’esempio della società
figlia che si trovi rispetto alla società madre in una situazione simile a quella di un
agente con rappresentanza esclusiva con incarico generale, oppure ponga in essere
operazioni che esulano dalle sue normali attività commerciali e vanno ad esclusivo
vantaggio della società madre. Va peraltro evidenziato che le modifiche al
Commentario respingono la tesi della “stabile organizzazione plurima” avanzata nelle
citate sentenze Philip Morris, affermando che l’individuazione di una eventuale
306
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Se, tuttavia, il controllo estero in sé non vale ad integrare l’esistenza di una
stabile organizzazione – dipendendo come visto tale qualificazione dal modus
operandi della società controllata – esso potrebbe rilevare ai fini della
localizzazione della residenza della società controllata nel territorio dello
Stato della controllante (33).
A tale riguardo, è noto che il problema viene risolto radicalmente nell’ambito
delle CFC rules, che lungi dal considerare residente nello Stato la società
fiscalmente residente altrove, muovono dal presupposto che la situazione di
controllo sia tale da consentire l’immediata imputazione per trasparenza del
reddito prodotto, ma non distribuito, dalla controllata non residente (34).
stabile organizzazione di una società di un gruppo multinazionale deve essere
effettuata separatamente per ciascuna società del gruppo. Tuttavia, almeno sul piano
dei principi, la sent. Cass., 20 dicembre 2001 – 25 maggio 2002, n. 7682, richiama il
Commentario al Modello OCSE laddove afferma che “affinché la struttura nazionale
non venga considerata dipendente (e cioè una stabile organizzazione) occorre: a) che
essa abbia un’indipendenza giuridica ed economica; b) in secondo luogo, quando
agisce per altra impresa, deve farlo nell’ambito del proprio ordinario settore di affari
(in the ordinary course of his business)” (punto 37 del Commentario OCSE, in tema di
agenti dipendenti). Il Commentario precisa, inoltre (punto 38), che un importante
criterio che contraddistingue gli agenti dipendenti è la non assunzione, da parte degli
stessi, del rischio imprenditoriale per le attività esercitate nell'interesse dell’impresa.
Sul punto, vedi A. LOVISOLO, La stabile organizzazione nel nuovo modello OCSE,
in Corr. trib., 2006, p. 109 ss. Sui rapporti tra transfer pricing infragruppo e
“retrocessione” della società controllata in stabile organizzazione, vedi E. DELLA
VALLE, Stabile organizzazione (dir. trib.), in Dir. prat. trib. int., 2008, p. 713 ss.
(33) Ricorda G. MARINO, La residenza, in AA.VV. (a cura di V. Uckmar), Corso di
diritto tributario internazionale, cit., p. 252 ss., che il caso De Beers è stato utilizzato
in Nuova Zelanda per passare al vaglio la teoria della cd. “clockwork residence”,
relativamente al caso di una società madre che, al momento della costituzione di una
società figlia all’estero, determini anticipatamente tutti gli eventi del suo “vivere”
quotidiano, impedendo agli amministratori qualsiasi iniziativa. Sul punto, si veda
anche J.D.B. OLIVER, Company residence – Four Cases, in British Tax Review,
1996, p. 505 ss. Anche il Commentario all’art. 1 del Modello OCSE distingue
nettamente tra l’ipotesi in cui la residenza della controllata si trovi nello Stato di
residenza della controllante (par. 10.1), da quello in cui la controllata possa costituire
stabile organizzazione della controllante (par. 10.2).
(34) Vedi R. CORDEIRO GUERRA, Riflessioni critiche e spunti sistematici sulla
introducenda disciplina delle Controlled foreign companies, in Rass. trib., 2000, p.
1399 ss.; D. STEVANATO, Controlled foreign companies: concetto di controllo e
imputazione del reddito, in Riv. dir. trib., 2000, p. 799 ss.; R. FRANZE’, Il regime di
imputazione dei soggetti controllati non residenti (cd. “Controlled foreign companies
legislation), in AA.VV. (a cura di V. Uckmar), Corso di diritto tributario
internazionale, cit., p. 759 ss. Emerge pertanto un triplice punto di vista dei rapporti
tra controllante e controllata: quello, nella prospettiva della tutela del gettito dello
Stato della fonte, della possibilità di rinvenire nel territorio dello Stato una stabile
organizzazione di un soggetto estero, rilevante per lo più nell’ottica della forza di
attrazione, intesa come possibilità di tassare redditi della controllante che in mancanza
di stabile organizzazione non avrebbero formato oggetto di tassazione oppure
avrebbero formato oggetto di tassazione alla fonte a titolo di imposta (es. royalties);
307
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Il tema è comunque oggetto di grande fermento e ha sollecitato in tempi
recenti, come meglio si vedrà tra breve, approfondite riflessioni a livello
OCSE, nell’ambito del più ampio tema dell’idoneità del criterio della “sede
della direzione effettiva” a svolgere ancora un’efficace funzione dirimente
quello, nella prospettiva della tutela del gettito dello Stato della residenza, della
fissazione della residenza della controllata presso la controllante; e quello, sempre in
tale ultima prospettiva, della sostanziale anticipazione del momento della
distribuzione del dividendo (nell’ottica di evitare il tax deferral) della società
controllante, che si traduce tuttavia sul piano applicativo nell’imputazione alla
controllante dei redditi (ante imposta) della controllata. Le ultime due impostazioni
conducono peraltro a risultati assai diversi in termini di imposizione complessiva:
mentre, infatti, la disciplina delle CFC tende ad eliminare del tutto la doppia
imposizione mediante l’attribuzione di un credito per le imposte pagate all’estero
(comunque non superiore all’imposta nazionale, ciò che però in linea generale non si
verifica per gli Stati coinvolti nell’applicazione di tale normativa), secondo il modello
della capital export neutrality, la disciplina della “doppia residenza” consente di
eliminarla per i soli redditi che, nella prospettiva dello Stato che attrae la residenza del
soggetto estero, si considerino prodotti all’estero (e, per questi ultimi, salvo che non
sussistano forme di decadenza in caso di mancata dichiarazione dei redditi prodotti
all’estero, come accade nell’art. 165 t.u.i.r.). E’ evidente, pertanto, che nel caso in cui
esistano i presupposti per l’applicazione di ambedue le discipline, il contribuente
avrebbe interesse ad applicare quella sulle CFC. In effetti, le discipline potrebbero
considerarsi equivalenti da un punto di vista economico: in un regime CFC, infatti, nel
momento in cui la holding estera dovesse realizzare la plusvalenza, questa verrebbe ad
essere attratta in capo alla società controllante italiana, e quindi non sfuggirebbe a
tassazione. Sotto il profilo giuridico, ciascuna disciplina presenta peraltro elementi
specializzanti. La disciplina CFC presuppone una controllante italiana e una
controllata estera, e che quest’ultima non svolga un’attività economica effettiva, nel
qual caso neanche la localizzazione in Stati dell’Unione Europea potrebbe evitarne
l’applicazione, come sottolineato dalla Corte di giustizia nel noto caso Cadbury
Schweppes; la norma sulla presunzione di residenza, invece, opera anche nel caso in
cui vi siano in Italia i soli amministratori (e non una controllante), e anche nell’ipotesi
in cui la società estera svolga un’attività economica effettiva. Ci si potrebbe chiedere,
a questo punto, quale disciplina debba applicarsi nel caso in cui sussistano i
presupposti applicativi per ambedue di esse. E’ probabilmente da ritenere che alla
norma sulla residenza debba riconoscersi una priorità logica in quanto operante
sull’elemento del presupposto (rectius, della sua estensione territoriale), sicché sotto
tale profilo appare condivisibile la conclusione cui giunge, sia pure senza
argomentare, la Circolare n. 28/E/2006, par. 8, ritenendo che la presunzione di
residenza nel territorio dello Stato dell’entità estera renda inoperante la disposizione
dell’art. 167 t.u.i.r.. Così come appare condivisibile l’ulteriore affermazione ivi
contenuta secondo cui, una volta che sia fornita la prova contraria, la controllata
rimane attratta alla disciplina dell’art. 167 t.u.i.r., poiché, come correttamente
osservato, l’effettiva localizzazione della sede dell’amministrazione della controllata
estera fuori del territorio dello Stato, e quindi la sua autonomia decisionale e di
gestione, non escludono che il suo reddito sia da considerare nella disponibilità
economica del controllante residente. Sul rapporto tra disciplina CFC, società
esterovestite e disciplina delle società di comodo, si veda Ris. Ag. Entrate, 16
novembre 2007, n. 331/E.
308
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
nell’ambito dei trattati contro la doppia imposizione, con la conclusione di
ritenere che lo svuotamento decisionale della controllata sia compatibile con
il place of management test nei soli limiti in cui esso non ecceda le
tradizionali funzioni accentrate tipiche dei gruppi societari.
Peraltro, in tale ultima ipotesi di controllo potrà aggiungersi, alla questione
della residenza, anche quella della stabile organizzazione, di talché la società
controllata si considererà residente nello Stato della controllante, con l’effetto
che lo Stato di (ex) residenza perderà lo ius impositionis sui redditi prodotti
all’estero, ma l’attività svolta dalla controllata in tale Stato darà comunque
luogo a redditi di impresa tassabili nello Stato in quanto realizzati mediante
stabile organizzazione, ora della controllante, ora della controllata a seconda
che l’attività svolta rappresenti o meno un prolungamento dell’attività della
controllante, nel senso che si è sopra precisato.
3 Segue: il problema dell’oggetto principale.
Un secondo profilo in cui emergono interessanti interrelazioni tra residenza e
stabile organizzazione attiene al criterio dell’oggetto principale. Si tratta di un
elemento costitutivo della residenza fiscale ex art. 73, co. 3, t.u.i.r. ma che
raramente è adottato in altri ordinamenti giuridici ai fini della determinazione
della residenza di società ed enti.
Nell’accezione ormai consolidata, esso va inteso come attività economica
prevalentemente esercitata per conseguire lo scopo sociale (35); dunque, non
già il luogo nel quale si forma la volontà sociale, ma quello in cui essa trova
attuazione concreta. Anche il legislatore tributario si è rifatto a tale nozione,
qualificando l’oggetto principale come “l’attività essenziale per realizzare
direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo
statuto” (art. 73, co. 4 t.u.i.r.).
Si tratta, è evidente, di una questione involgente un accertamento di fatto, la
cui determinazione potrà risultare problematica qualora l’impresa operi in più
Stati, eventualmente anche mediante stabile organizzazione, potendosi
ipotizzare almeno i seguenti casi: i) società con più oggetti principali
esercitati in più Stati mediante stabili organizzazioni; ii) società con un unico
oggetto principale esercitato in più Stati mediante stabili organizzazioni; iii)
società con uno/più oggetti principali esercitati in più Stati non sempre
mediante stabile organizzazione; iv) società con un’attività principale ed una
accessoria o strumentale in più Stati.
(35) A. SANTA MARIA, Le società nel diritto internazionale privato, Milano, 1970,
p. 99 ss.; E. SIMONETTO, Società costituite all’estero od operanti all’estero (artt.
2498-2510), cit., p. 393; C. SACCHETTO, La residenza fiscale delle società, cit., p.
123; R. LUPI – S. COVINO, Sede dell’amministrazione, oggetto principale e
residenza fiscale delle società, cit., p. 927 ss. In giurisprudenza, Tribunale di Roma, 2
maggio 1963, in Giust. civ., 1964, I, p. 698 ss., come “luogo dove oggettivamente si
svolge l’attività propria dell’impresa”; Cass., 26 maggio 1969, n. 1857, in Foro it.,
1969, I, c. 2538 ss.
309
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Va premesso che in tutti questi casi la presenza (o l’assenza) della stabile
organizzazione non si rivela né necessaria né tanto meno decisiva, dovendosi
fare esclusivo riferimento al criterio della prevalenza dell’attività svolta in
uno degli Stati interessati, da valutare in relazione sia a parametri quantitativi
– ad esempio, il fatturato lordo, il valore delle attività localizzate, il numero
di dipendenti in ciascuno Stato – sia a parametri qualitativi nel caso in cui
venga in rilievo l’eventuale accessorietà (o strumentalità) dell’attività
effettuata rispetto a quella “tipica” dell'impresa (36). Non potrà invece trattarsi
di attività nel senso di direzione, poiché questa rientra nella nozione di “sede
dell’amministrazione” (37).
(36) Per alcune problematiche ulteriori si veda E. SIMONETTO, Società costituite
all’estero od operanti all’estero (artt. 2498-2510), in Commentario al C.C., a cura di
Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1976, p. 224. Non deve peraltro essere confuso il
concetto di attività prevalentemente svolta nel territorio dello Stato, con quello di
attività prevalentemente rivolta nei confronti di un determinato territorio. Si pensi, ad
esempio, alle società che svolgono attività di trading di beni o di prestazione di servizi
prevalentemente verso il mercato italiano. Infatti, un conto è il mercato di
destinazione, altro è quello in cui si articola l’attività. Sul problema
dell’individuazione dell’oggetto principale in relazione agli enti non commerciali e, in
particolare, sulla pluralità di oggetti principali, nel senso di pluralità di attività diverse
tutte egualmente essenziali per il conseguimento dello scopo, si veda G. FRANSONI,
La rilevanza dell’oggetto e degli scopi degli enti diversi dalle società ai fini
dell’individuazione del regime fiscale, in GT – Riv. giur. trib., 1997, p. 485 ss.
(37) Contra, D’ABRUZZO, Gli aspetti controversi dei criteri di determinazione della
residenza fiscale delle società di persone, in Boll. trib., 2002, p. 263. Propone una
diversa lettura dell’oggetto principale, F. NANETTI, Riflessioni in tema di “oggetto
principale”, ai fini dell’art. 73, comma 3, del Tuir, in Il Fisco, 2007, n. 26, fasc, 1, p.
3810 ss. Secondo l’A., in particolare, vi sarebbe identità di nozione tra “oggetto
principale” e “oggetto sociale”, sicché identificandosi quest’ultimo con l’attività posta
in essere dagli amministratori al fine di realizzare direttamente gli scopi indicati
dall’atto costitutivo o dallo statuto, non occorrerebbe guardare al luogo in cui si
svolge materialmente l’attività caratteristica della società, bensì a quello in cui si
concretizza l’attività posta in essere dagli amministratori stessi per realizzare gli scopi
indicati nell’atto costitutivo. Occorrerebbe dunque dare rilievo al profilo gestorio e
non al contenuto materiale delle attività, e sarebbero irrilevanti il luogo in cui si
esplicano materialmente le attività consistenti nella fornitura di beni o servizi, ovvero
il luogo in cui si trovano localizzati i beni dell’impresa. Tale tesi, pur contribuendo a
fornire ulteriori argomentazioni a favore dell’irrilevanza – sulla quale ci si soffermerà
tra breve – della mera localizzazione dei beni al cospetto del superiore concetto di
“attività”, non considera però lo scopo perseguito dall’elemento costitutivo
dell’oggetto principale, che è quello (al pari di quanto accade per la norma
internazional-privatistica) di dare rilievo anche al “radicamento economico”
prevalente del soggetto nel territorio dello Stato, indipendentemente sia dalla sede
legale, sia dall’assunzione delle decisioni di alta amministrazione. Tale “radicamento
economico”, tuttavia, deve pur sempre consistere nello svolgimento di una attività (e
nella quale semmai si concretizzano gli impulsi volitivi degli amministratori, tramite
una loro attuazione day to day), e non limitarsi, staticamente, al possesso di beni. E’
peraltro interessante notare che guardando al luogo di svolgimento dell’attività
310
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Riemerge dunque anche qui il “dualismo”, con le conseguenti interrelazioni,
tra residenza e stabile organizzazione. Con riferimento al trasferimento di
residenza di una società svolgente attività di impresa in Italia, ad esempio, il
mantenimento dell’attività lato sensu di impresa in Italia potrebbe dar luogo
ad una stabile organizzazione nel territorio dello Stato. Ma ciò, dal punto di
vista del diritto interno, alla sola condizione che tale attività sia configurabile
quale “secondaria”, nel senso che esista, all’estero, un’altra attività
qualificabile come “principale”, dovendosi altrimenti la società, da tale punto
di vista, considerare residente in Italia (38).
Rilevanti difficoltà si pongono poi sul piano del rapporto tra l’oggetto
dell’attività e i beni principali posseduti dal soggetto Ires, ed in particolare
nel caso in cui manchi un’attività vera e propria, come accade per le società
di “mero godimento” il cui patrimonio sia costituito da immobili situati nel
territorio dello Stato, ovvero da partecipazioni in società italiane ovvero
ancora da beni concessi in uso a società italiane (es. marchi) (39).
In tal caso, peraltro, anche l’applicazione del criterio del luogo di direzione si
complica, perché le sole attività sulle quali si assumono le decisioni
essenziali si limitano, di regola, all’acquisto e alla cessione del bene
patrimoniale che, proprio in virtù del loro carattere episodico, ben si prestano
a localizzazioni “di comodo” (40). Ciò spiega la scelta del legislatore italiano,
emergono numerosi punti di contatto – esattamente sottolineati da Nanetti – con
alcuni contenuti del concetto di “sede effettiva” elaborati dalla giurisprudenza
civilistica.
(38) Sulla residenza in Italia di un soggetto amministrato dall’estero avente come
unico bene una fabbrica in Italia, vedi A. MANZITTI, Considerazioni in tema di
residenza fiscale delle società, in Riv. dir. trib., 1998, III, p. 181. Il problema si pone
ovviamente anche ai fini civilistici, in quanto l’art. 25, L. n. 218/95 distingue tra
società costituite all’estero il cui statuto personale è regolato dalla legge italiana e
società solo parzialmente soggette alle disposizioni del nostro ordinamento (quelle
sulla pubblicità degli atti sociali), cioè le società che si limitano all’istituzione in Italia
di una sede secondaria con rappresentanza stabile. In concreto diventa tuttavia spesso
difficile stabilire se ci si trovi davanti ad una sede secondaria istituita in Italia da una
società straniera (come tale ricadente nella sfera di applicazione degli artt. 2506-2508
cod. civ.) oppure se la stessa abbia di fatto la sede amministrativa o l’oggetto
principale nel territorio dello Stato, dovendosi conseguentemente applicare i criteri
sussidiari dettati dall’art. 25 della L. n. 218/95 e ricorrere alla legge italiana. Vedi F.
LAURINI, L’istituzione in Italia di sedi secondarie di società estere e la nuova
disciplina del diritto internazionale privato, in Riv. not., 1996, p. 121 ss.
Diversamente accade a livello OCSE, dove la stessa definizione di stabile
organizzazione presuppone una netta distinzione tra residenza – intesa come luogo in
cui si assumono le decisioni di alta amministrazione – e luogo in cui si svolge
l’attività principale. Sul punto si tornerà nelle conclusioni.
(39) Sul punto, A. MANZITTI, Considerazioni in tema di residenza fiscale delle
società, Atti del Convegno di studio delle sezioni IFA di Francia ed Italia, Capri, 8 e 9
maggio 1998, p. 6 del dattiloscritto.
(40) Cfr. A. MANZITTI, Considerazioni in tema di residenza fiscale delle società, cit.,
p. 186.
311
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
attuata con il d.l. 223/2006, di prevenire la collocazione di holdings “di
comodo”, titolari di partecipazioni in società italiane, in Paesi nei quale vige
un sistema di participation exemption, riferendo la residenza fiscale della
società al luogo nel quale risiedono i soggetti che hanno il potere di
determinare queste decisioni.
Si pensi, innanzitutto, alla risalente questione circa la configurabilità di un
bene immobile quale stabile organizzazione, che la dottrina ha escluso
almeno nell’ipotesi in cui si tratti di un mero investimento di capitale (41). La
Corte di Cassazione, dal canto suo (42), ha affermato doversi escludere dalla
nozione di stabile organizzazione tale possesso quando si esaurisca nella
mera gestione dell'immobile (ad esempio, un investimento di capitale), ma
non quando l'immobile sia “strumentale all’esercizio di una attività d'impresa
ovvero costituisca esso stesso l’oggetto di un’attività d'impresa”. Ebbene, ove
il patrimonio del soggetto sia esclusivamente formato da beni immobili
situati in Italia, potrebbe giungersi ad affermare l’esistenza dell’attività
principale in Italia, almeno nei casi in cui essi costituiscano il mezzo per
l’esercizio della propria attività da parte del soggetto estero, e l’attività si
sostanzi in un insieme complesso e coordinato di atti localizzati nel territorio
dello Stato italiano. In tal caso, il discrimen rispetto alla stabile
organizzazione verrebbe ad essere tracciato dall’esistenza di situazioni
qualitativamente analoghe, ma quantitativamente diverse poste in essere nel
territorio di altri Stati (43).
(41) Vedi A. LOVISOLO, Il concetto di stabile organizzazione nel regime
convenzionale contro la doppia imposizione, in Dir. prat. trib., 1983, p. 1127 ss.; ID.,
I requisiti di configurabilità della stabile organizzazione e il possesso di un bene
immobile, in Dir. prat. trib., 1976, II, p. 553 ss.; M.R. VIVIANO, La stabile
organizzazione del non residente in Italia, Napoli, 2007, p. 63 ss.; U. LA
COMMARA – A. VALENTE, La mera detenzione di un immobile da parte di un
soggetto non residente non configura stabile organizzazione, in Il Fisco, 2008, n. 3,
fasc. 1, p. 437 ss.
(42) Cass., 27 novembre 1987, n. 8820, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1988, II, p. 105 ss.
(43) Vedi, sul punto, L. PERRONE, La residenza del trust, in Rass. trib., 1999, p.
1605; R. LUPI – S. COVINO, Sede dell’amministrazione, oggetto principale e
residenza fiscale delle società, in Dialoghi di diritto tributario, 2005, p. 933. In tal
senso si è espresso anche il SE.C.I.T., nella relazione sull’attività svolta nel 1984, in
Dir. prat. trib., 1985, I, p. 1518 ss. Vedi però Cass., 10 dicembre 1974, n. 4172, ove si
è stabilito che la costituzione all’estero di una società, controllata al 90% da un
residente in Italia, al solo scopo di acquistare un immobile situato nel territorio dello
Stato, non comporta l’assoggettabilità di tale società alle disposizioni della legge
italiana, se dalle risultanze dell’atto costitutivo e degli altri atti ufficiali non risulta che
la sede legale, la sede amministrativa o l’oggetto principale sono localizzati in Italia, e
non è dimostrabile la non corrispondenza tra dette risultanze e l’effettiva realtà. In
particolare, afferma la Cassazione, “per dimostrare che la sede di una società è di fatto
localizzata in Italia, non è sufficiente allegare che uno degli amministratori (sia pure
dotato di pieni poteri) vi risiede e, per localizzare in Italia l’oggetto principale di una
impresa sociale complessa e dichiaratamente esplicabile in ogni parte del mondo, non
basta dedurre (oltretutto in modo dubitativo) che all’operazione compiuta in Italia non
312
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Ancor più delicata è la questione delle società estere il cui unico oggetto sia
costituito da partecipazioni in società residenti in Italia.
Il tema – anch’esso reso di notevole attualità dall’intervento legislativo
attuato con il d.l. 223/2006, che ha introdotto quale indice di residenza anche
il luogo di residenza fiscale della controllante – si palesa speculare a quello
innanzi esaminato in ordine ai rapporti tra controllante e controllata.
Non si tratta, infatti, di vedere se la società controllata possa qualificarsi
come residente all’estero per essere la volontà aziendale – in ultima analisi –
espressa dalla società controllante non residente, quale socio della società
residente. Si tratta, invece, di vedere se il soggetto non residente possa esso
stesso definirsi come residente in Italia per avere, quale unico bene in
portafoglio, la partecipazione in una società italiana la cui attività sia svolta in
Italia, e per condurre un’attività statica consistente nella percezione dei
dividendi e nella partecipazione all’assemblea della società controllata.
La dottrina propende chiaramente per la soluzione negativa, ritenendo
fuorviante il riferimento nella fattispecie in esame all’oggetto principale (44).
ne sarebbero seguite altre”. Più controversa è l’ipotesi in cui il soggetto estero si limiti
ad essere intestatario del bene in Italia, senza svolgervi alcuna attività (ad esempio,
limitandosi a locarlo, né destinandolo ad operazioni di compravendita speculative). In
questo caso, infatti, si sarebbe in presenza di una mera situazione di possesso di un
bene situato in Italia, ciò che, come si dirà tra breve con riferimento alle
partecipazioni, non sembra sufficiente per poter configurare l’oggetto principale nel
territorio dello Stato, dovendosi pur sempre trattare di una “attività”. Va rilevato al
riguardo che la Ris. Ag. Entrate, 6 agosto 2007, n. 48/E, par. 3.1., in tema di residenza
del trust, si sofferma proprio su questo aspetto, affermando che “il secondo criterio
(l’oggetto principale) è strettamente legato alla tipologia di trust. Se l’oggetto del trust
(bene vincolato nel trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in
Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono
situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di
patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e
concreta attività esercitata”. Sul punto, si vedano le acute osservazioni di G.
FRANSONI, La residenza del trust, in Corr. trib., 2008, p. 2585, che evidenzia come
la natura del trust come ente di regola non commerciale renda irrilevante la
circostanza che il reddito sia tratto da immobili localizzati nel territorio dello Stato in
presenza di attività istituzionali (es. assistenziali) svolte all’estero. Contrario alla
configurabilità quale “oggetto principale” nell’ipotesi di uno o più immobili posseduti
nel territorio dello Stato per i quali il soggetto si limiti alla relativa gestione è M.
ANTONINI, Brevi riflessioni in merito alle interrelazioni tra rapporti di controllo,
oggetto principale e stabile organizzazione, in Riv. dir. trib., 2008, V, p. 137 ss., il
quale osserva che la circostanza che il possesso di beni immobili non costituisca una
“stabile organizzazione” dovrebbe, a fortiori, escludere la possibilità che una siffatta
situazione possa integrare il concetto di “residenza fiscale”. Del resto, se la “stabile
organizzazione” implica un concetto di “attività”, l’affermazione della mancanza di
una stabile organizzazione dovrebbe riverberarsi anche sul concetto di “attività” che è
alla base dell’“oggetto principale”.
(44) Sul punto, R. LUPI – S. COVINO, Sede dell’amministrazione, oggetto principale
e residenza fiscale delle società, cit., p. 927 ss.; G. MARINO, La residenza nel diritto
tributario, cit., p. 141; A. MANZITTI, Considerazioni in tema di residenza fiscale
313
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
delle società, cit., p. 181; A. BALLANCIN, La nozione di “beneficiario effettivo”
nelle Convenzioni internazionali e nell’ordinamento tributario italiano, in Rass. trib.,
2006, p. 238, che rinviene spunti in tal senso anche dalla Ris. 29 gennaio 2003, n.
18/E in risposta ad un interpello proposto ex art. 167, co. 5 t.u.i.r. (nella quale si legge,
in particolare, che “Come si è riscontrato dall’esame del bilancio allegato all’istanza,
infatti, l’attività di detta società è limitata alla mera detenzione delle partecipazioni,
tra cui quella nella Z do Brasil, conseguendo redditi (dividendi ed interessi) che non
possono considerarsi “prodotti” ai fini di che trattasi nello Stato del Brasile. Tali
redditi infatti, in quanto derivanti da una fonte produttiva (il capitale) situata in
Lussemburgo, devono considerarsi essi stessi prodotti in Lussemburgo. Gli interessi
pagati dalla società brasiliana e contabilizzati quali dividendi dalla controllata
lussemburghese, in particolare, si considerano prodotti nello Stato del percipiente e,
quindi, in Lussemburgo, in capo alla società che rientra nella fattispecie a fiscalità
privilegiata di cui alla citata black list”. Questa impostazione sembrerebbe suggerire
una lettura per la quale l’oggetto principale della holding si trovi nel luogo in cui è
situato il capitale. Si tratta, tuttavia, di una conclusione da meditare attentamente,
perché da un lato si tratta di un criterio poco chiaro (quale ne è il significato: il luogo
in cui la società è stata costituita? Il luogo nel quale sono fisicamente presenti gli
impieghi del capitale?), e dall’altro mette in ombra quell’altro profilo per il quale
l’oggetto principale deve pur sempre consistere in una attività. Nella dottrina
internazionalprivatistica, si veda T. BALLARINO, Diritto internazionale privato,
Padova, 1996, p. 352 ss., che ritiene eccessivo imporre l’applicazione della legge
italiana ad enti come le holding estere prive di una relazione effettiva con
l’ordinamento italiano. Da ultimo, merita segnalare Cass., sez. trib., 11 giugno 2007,
n. 13579 (in Riv. dir. trib., 2008, V, p. 137 ss., con nota di M. ANTONINI, Brevi
riflessioni in merito alle interrelazioni tra rapporti di controllo, oggetto principale e
stabile organizzazione), chiamata a giudicare dell’inclusione nell’asse ereditario di un
soggetto non residente della partecipazione in una società anch’essa non residente che
si limitava a detenere una partecipazione di controllo in una società operativa italiana,
e ciò alla luce dell’art. 2, co. 3, d.p.r. n. 637/1972 (ed attualmente dell’art. 2 d. lgs. n.
346/1990), che considera(va) esistenti in Italia le azioni o quote di società costituite
nello Stato o aventi la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale in Italia;
elemento, quest’ultimo, che sarebbe appunto stato ricollegabile, secondo l’a.f. italiana,
al possesso dell’unica partecipazione nella società italiana. La Cassazione, sia pure
richiamando essenzialmente la (non sempre pertinente, nel caso di specie)
giurisprudenza in tema di controllo e stabile organizzazione, piuttosto che indagare se
il possesso del bene “partecipazione” in sé possa o meno costituire oggetto principale
di una società non residente, ha respinto la tesi dell’a.f., affermando che il controllo
della partecipata in sé è irrilevante (probabilmente in quanto, non configurando tale
controllo una stabile organizzazione, neanche sarebbe possibile individuare nel
territorio dello Stato l’oggetto principale del soggetto estero) e che l’a.f. avrebbe
dovuto offrire altri elementi di merito per accertare che si trattasse di “un sodalizio
avente sede amministrativa od oggetto principale dell’attività di impresa in Italia”.
Dunque, allo stato, i giudici di legittimità hanno di fatto rigettato l’equazione società
controllata - oggetto principale, anche se la Cassazione sembrerebbe affermare che
tale conclusione sia valida nei soli in casi in cui, come accadeva nel caso esaminato,
sia in vigore una convenzione contro la doppia imposizione in materia di successioni e
donazioni: soluzione, questa, certamente non condivisibile, non potendosi rinvenire
nell’art. 5, par. 7, alcuna presunzione. Si veda anche A. BUSANI, L’esercizio
presunto porta l’eredità in Italia, in Il Sole 24 Ore, 12 giugno 2007, p. 29.
314
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
In realtà, se per oggetto deve intendersi l’attività esercitata, non vi è dubbio
che sussista una netta differenza tra l’attività (di gestione di partecipazioni) e
il bene (partecipazione) sul quale l’attività viene esercitata. L’attività, inoltre,
ha come oggetto la gestione di un bene di “secondo grado”, la partecipazione,
e non consente pertanto né di riferirsi al luogo in cui risiede la società
partecipata, né di dare rilevanza al luogo in cui il bene-partecipazione è
situato. Del resto, non pare casuale la circostanza che il d.l. n. 223/06,
nell’affrontare il problema delle società holding, si posizioni esclusivamente
sul piano della sede dell’amministrazione, dando così per scontata
l’irrilevanza (o, quanto meno, la dubbia rilevanza) dell’oggetto principale
(45).
In conclusione, nel caso di società di gestione di partecipazioni, anche in
presenza di società holding meramente passive che si limitano al possesso
statico delle partecipazioni al fine di goderne i relativi frutti (holding cd.
“statiche”), dunque prive di quelle strutture dirette ad esercitare quell’attività
finanziaria, nel senso di direzione e coordinamento delle partecipate e/o di
svolgimento nei loro confronti di prestazioni ausiliarie, propria delle holding
cd. “dinamiche”, la residenza fiscale non potrà basarsi sulla mera residenza
della società partecipata (46).
(45) Non costituirebbe invece argomento rilevante l’osservazione secondo la quale,
diversamente opinando, non avrebbe avuto senso stabilire una presunzione di
residenza in Italia, avendo appunto già il soggetto estero il proprio oggetto principale
in Italia. Come si vedrà oltre, infatti, la norma trova applicazione anche nell’ipotesi in
cui il soggetto detenga (anche) partecipazioni in società estere o addirittura un’attività
di impresa, e la partecipazione italiana rappresenti una quota scarsamente significativa
del patrimonio della holding.
(46) Il problema si sposta, pertanto, sulla sede dell’amministrazione. A tale riguardo,
ritiene S. COVINO, La gestione attiva come criterio riferibile anche alle holding di
mera detenzione, in Dialoghi di diritto tributario, 2006, p. 82 ss., che essendo naturale
che le decisioni ultime siano assunte dai soci della holding, non ci si potrebbe
appiattire sul socio e l’imprenditore avrebbe piena libertà di localizzare holding dove
meglio crede. Se così fosse, tuttavia, il criterio della residenza si ridurrebbe a quello
formale del luogo di costituzione o della sede legale che, come visto, sono
ampiamente recessivi nel diritto internazionale tributario, proprio in quanto si
prestano a facili manovre elusive (di cui la cessione esentasse delle partecipazioni è
un esempio lampante). Il criterio, dunque, non può non essere, anche per le holding,
quello della direzione effettiva, sia pure da valutare con particolare attenzione in
relazione alle (necessariamente) limitate attività svolte. Anche nella giurisprudenza
belga, una società holding di diritto lussemburghese, con sede legale in Lussemburgo,
è stata considerata fiscalmente residente in Belgio in quanto la banca lussemburghese
che aveva costituito la società agiva come fiduciaria, tutta la corrispondenza non era
spedita in Lussemburgo ma in Belgio, colui che aveva il potere di firma per la società
gestiva da Bruxelles (poiché aveva un’altra serie di società da gestire e la sua presenza
in Lussemburgo non era indispensabile) e infine l’attività principale della società era
di detenere un credito commerciale nei confronti di una società belga: vedi G.
MARINO, La residenza, in AA.VV. (a cura di V. Uckmar), Corso di diritto tributario
internazionale, cit., p. 254. Per un recente tentativo di superare il problema
dell’individuazione dell’oggetto principale (e della sede dell’amministrazione) delle
315
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
4 Segue: oggetto principale e “tie breaker rule” nelle convenzioni
contro la doppia imposizione.
Il profilo testé esaminato si ripercuote poi sul piano delle convenzioni
internazionali in sede di applicazione della c.d. “tie breaker rule”.
A tale riguardo, con riferimento alla residenza dei soggetti diversi dalle
persone fisiche la norma convenzionale è di una sorprendente laconicità,
limitandosi a prevedere che nel caso in cui il soggetto sia residente di
entrambi gli Stati contraenti, esso sarà considerato “residente dello Stato
contraente in cui si trova la sede della sua direzione effettiva” (47).
Né alla concisione si accompagna la chiarezza. Se, infatti, il criterio filtro
indicato nell’art. 4, par. 1 è quello della sede della sua direzione o di altro
criterio di natura analoga, delle due l’una. O si attribuisce un qualche senso
all’espressione “criterio di natura analoga” – ma risulta assai difficile
holding statiche facendo riferimento a quelle tesi che fanno coincidere l’oggetto
sociale delle holdings con quello delle società partecipate, con l’effetto di doversi
riferire al fine dell’individuazione dell’oggetto principale al luogo in cui risiedono ed
operano le società controllate, si veda D. STEVANATO, La residenza fiscale delle
holdings e il criterio dell’oggetto principale, in Dialoghi, 2007, p. 1551 ss.
(47) Ben diversa è la struttura dell'art. 4 (“Domicilio fiscale”) del Modello di
Convenzione del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d'America, il cui paragrafo
3 così recita: “Quando (....) una società è residente di entrambi gli Stati contraenti, se
è stata creata sotto la legislazione di uno Stato contraente o di una sua suddivisione
politica, essa sarà considerata residente di detto Stato contraente”. Per alcuni esempi
dell’utilizzo della nozione convenzionale di residenza nella soluzione delle
controversie, vedi il Notiziario di diritto finanziario comparato, in Dir. prat. trib.,
1986, I, p. 1963 e ibidem 1993, I, p. 592-593. Vedi anche R. COUZIN, Corporate
Residence and International Taxation, cit., p. 171 ss. E’ interessante notare che il
criterio della “sede di direzione effettiva” è utilizzato anche quale criterio per
l’attribuzione della potestà impositiva nel caso di attività di navigazione, trasporto
interno via acqua e trasporto aereo (art. 8 Modello OCSE). Sui precedenti storici in
tema di residenza convenzionale, vedi S. SHALHAV, The Evolution of Article 4(3)
and Its Impact on the Place of Effective Management Tie Breaker Rule, in Intertax,
2004, p. 460 ss., il quale rileva, in particolare, come già i quattro economisti incaricati
nel 1923 dalla Società delle Nazioni di redigere un rapporto sulla doppia tassazione
avessero evidenziato al riguardo le accresciute possibilità di controllo a distanza delle
imprese (“the real brain of the management can be found at distance”);
successivamente, nel Report del 1925 redatto da esperti nominati sempre dalla Società
delle Nazioni, si riconobbe il diritto di imposizione in capo allo Stato in cui è situato il
“real centre of management and control of the undertaking”, e si identificò il “fiscal
domicile” nel luogo “where the brain, management and control of the business are
situated”. Questo concetto venne richiamato in diversi documenti redatti tra il 1927 e
il 1940, poi nel Modello di Londra del 1946, trasformandosi lessicalmente (ma non
sostanzialmente), in “place of effective management” anche nei documenti redatti dal
Comitato fiscale incaricato dall’OEEC (poi divenuta OCSE) di studiare i problemi
connessi alla doppia imposizione internazionale ed elaborare un modello di
convenzione. Vedi anche I.J.J. BURGERS, Some Thoughts on Further Refinement of
the Concept of Place of Effective Management for Tax Treaty Purposes, cit., p. 378 ss.
316
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
comprendere quale possa essere un criterio di natura analoga alla “sede della
direzione” – nel qual caso tale diverso criterio soccomberà dinanzi alla “sede
della direzione effettiva”; oppure, ci si trova dinanzi a due criteri (sede della
sua direzione e sede della effettiva direzione) la cui differenza è
sostanzialmente impercettibile, sicché la “tie-breaker rule” finisce per
risultare inutile.
In realtà, dalla lettura del Commentario all’art. 4 sembrerebbe desumersi una
preferenza per la prima ipotesi, laddove si fa riferimento al caso in cui uno
Stato “annette importanza alla registrazione e l’altro Stato al luogo di
effettiva direzione” (48), ciò che lascia quanto meno perplessi, non potendosi
rinvenire alcuna analogia tra “sede della direzione” e “luogo di
registrazione”.
Fatto sta che per l’individuazione del “luogo di effettiva direzione”, il par. 24
del Commentario all’art. 4 del Modello OCSE, inserito in occasione della
revisione della versione del 2000 e modificato nella versione 2008, precisa
doversi fare riferimento al “luogo in cui si assumono in sostanza le decisioni
“chiave” manageriali e commerciali necessarie alla conduzione dell’impresa
nel suo complesso”. Anteriormente a tale ultima modifica, era peraltro
contenuta nel Commentario l’ulteriore affermazione per la quale,
nell’individuazione del luogo di effettiva direzione, ci si dovesse riferire al
luogo in cui si riuniva l’organo amministrativo ovvero dove si trovavano le
persone preposte all’assunzione delle “decisioni chiave” per la conduzione
dell’impresa (49). Si prendeva in ogni caso atto della necessità di esaminare
tutti i fatti e le circostanze rilevanti.
Ebbene, in relazione al suddetto paragrafo, l’Italia ha formulato nel 2002 una
osservazione, ritenendo che nella determinazione del luogo di direzione
effettiva della residenza occorra attribuire rilevanza anche al luogo nel quale
viene svolta la principale e sostanziale attività dell’impresa (50).
(48) Par. 23.
(49) Commentario OCSE all’art. 4 del Modello, par. 24, ante modifiche 2008: “The
place of effective management is the place where key management and commercial
decisions that are necessary for the conduct of the enterprise’s business are in
substance made. The place of effective management will ordinarily be the place where
the most senior person or group of persons (for example, a board of directors) makes
its decisions, the place where the actions to be taken by the entity as a whole a
determined; however, no definitive rule can be given and all relevant facts and
circumstances must be examined to determine the place of effective management. An
entity may have more than one place of management, but it can have only one place of
effective management”. A seguito delle modifiche 2008, il paragrafo è stato così
riformulato: “The place of effective management is the place where key management
and commercial decisions that are necessary for the conduct of the enterprise’s
business as a whole are in substance made. All relevant facts and circumstances must
be examined to determine the place of effective management. An entity may have more
than one place of management, but it can have only one place of effective
management at any one time”.
(50) Par. 25, Commentario 2005: “Italy does not adhere to the interpretation given in
paragraph 24 above concerning the “most senior person or group of persons (for
317
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
La prassi degli Stati membri di apporre osservazioni e riserve al
Commentario non deve tuttavia essere sopravvalutata.
Quanto alle riserve, è vero che la loro formulazione costituisce un importante
aspetto della formazione dei trattati internazionali, ma è anche vero che da un
lato essa risponde – come accade con le convenzioni internazionali
multilaterali – ad esigenze di ordine pratico, in particolare di addivenire
comunque ad un risultato finale (51), nel nostro caso coincidente con quello di
esplicitare il pensiero della maggioranza dei rappresentanti in seno al
Committee on Fiscal affairs dell’OCSE; e che, dall’altro, tale risultato
proviene pur sempre dai membri di tale Comitato e non già dagli organi
competenti alla stipulazione dei trattati contro la doppia imposizione (52).
Trattati, peraltro, al cui interno le riserve trovano la loro naturale
esplicitazione che, a sua volta, sarebbe priva di senso ove le riserve apposte al
Commentario avessero valore giuridico, necessario presupposto per operare
una restrizione al Commentario ove avente identico valore (53).
Per quanto riguarda poi le osservazioni, esse scontano le medesime
incertezze, sul piano dell’efficacia, dell’atto al quale esse sono apposte, vale a
dire il Commentario OCSE, soprattutto nel momento in cui, come pare,
quest’ultimo possa ascriversi ai mezzi supplementari di interpretazione (54).
In questo senso ed in primo luogo, pare potersi affermare che l’osservazione
formulata dall’Italia non si ponga su un piano equiordinato rispetto
all’interpretazione della sede effettiva come riferita alle decisioni “di
example, a board of directors)” as the sole criterion to identify the place of effective
management of an entity. In its opinion the place where the main and substancial
activity of the entity is carried on is also to be taken into account when determining
the place of effective management”. Nella versione 2008, tale osservazione è stata così
modificata: “As regards par. 24 and 24.1, Italy holds the view that the place where
the main and substancial activity of the entity is carried on is also to be taken into
account when determining the place of effective management of person other than an
individual”.
(51) Sul punto, vedi R. BARATTA, Gli effetti delle riserve ai trattati, Milano, 1999, p.
1 ss.
(52) Sulla necessaria provenienza delle riserve ai trattati dagli organi dotati del potere
di impegnare lo Stato sul piano internazionale, vedi R. BARATTA, Gli effetti delle
riserve ai trattati, cit., p. 10 ss.
(53) Con riferimento alle osservazioni, è stata avanzata da attenta dottrina (G.
MAISTO, The Observations on the OECD Commentaries in the Interpretation of Tax
Treaties, in Bulletin of International Bureau of Fiscal Documentation, 2005, p. 14
ss.), la tesi per la quale l’efficacia delle osservazioni al Commentario potrebbe essere
assimilata a quella delle cd. dichiarazioni unilaterali previste nel diritto internazionale,
segnatamente nel momento in cui gli Stati aderenti all’OCSE firmano la convenzione
contro la doppia imposizione. In tale momento, infatti, esse verrebbero implicitamente
richiamate, e peraltro legittimate dall’intervento dei plenipotenziari nella fase
conclusiva (intervento che, invece, manca a livello di commentario), e l’altro Stato,
essendone a conoscenza, ben potrebbe ad esse opporsi.
(54) Sia consentito rinviare a G. MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario,
Padova, 2003, p. 622 ss.
318
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
vertice”, che è invece concetto la cui portata, come visto, va ben oltre il
Commentario OCSE, con l’effetto di rendere inutile il ricorso ai mezzi
supplementari di interpretazione (e dunque alle osservazioni ivi contenute).
In secondo luogo, laddove l’osservazione italiana dovesse essere considerata
pienamente efficace sul piano applicativo (almeno per i trattati stipulati
successivamente alla sua apposizione), nel senso di non costituire una sua
applicazione contraria a buona fede, ne deriverebbero conseguenze di
sostanziale blocco nel funzionamento della “tie breaker rule”, ponendosi la
localizzazione dell’attività principale in Italia sullo stesso piano della sede
dell’amministrazione intesa come luogo di direzione effettiva. Risultato,
questo, che appare in chiara violazione dello spirito delle convenzioni –
difficilmente potendosi riconoscere l’idoneità della procedura amichevole a
risolvere un siffatto caso – e che neppure le recenti modifiche al
Commentario OCSE, di cui si darà immediatamente conto, hanno inteso
perseguire.
In terzo ed ultimo luogo, una tale soluzione mal si armonizzerebbe anche con
il rinvio al diritto interno, dove sede dell’amministrazione e oggetto
principale rappresentano criteri distinti.
Il significato di “sede di direzione effettiva” deve peraltro essere distinto da
quello, utilizzato dall’art. 5, par. 2 del Modello OCSE in tema di stabile
organizzazione, di “sede di direzione” del soggetto imprenditoriale.
Pur nell’evidente diversità di funzione, la differenza di significato tra i due
concetti non è immediatamente percepibile, svolgendosi in ambedue i casi
un’attività di tipo direzionale. Deve tuttavia ritenersi che, nel caso di processi
decisionali frazionati, la sede di direzione possa assurgere ad elemento
rilevante per l’attribuzione dello status di residenza fiscale solo nel momento
in cui in essa vengano assunte le decisioni fondamentali sulla vita
dell’impresa nel suo complesso; mentre, nel caso di sedi di direzione
autosufficienti, rileverà quella in cui si dirige il ramo di attività più
significativo (55), nel senso che si è precisato trattando dell’oggetto
principale. Nel caso di sedi di direzione relative a singole fasi della vita
imprenditoriale, ovvero alla gestione complessiva di un ramo non
significativo di azienda, saremo invece in presenza di una stabile
organizzazione. Di qui la necessaria unicità della “sede di direzione effettiva”
e la possibile pluralità delle meri “sedi di direzione” (56).
(55) Su questo problema, vedi A. SKAAR, Permanent establishment, Kluwer, 1991, p.
116. Vedi anche R. COUZIN, Corporate Residence and International Taxation, cit.,
p. 59 ss., con riferimento al caso New Zealand Shipping Company Limited v. Thew.
(56) Confermata anche nel recente discussion draft dell’OCSE “Oecd model tax
convention: revised proposals concerning the interpretation and application of article
5 (permanent establishment)”, dove si legge che “whilst an enterprise can have
different places of management for the purposes of subparagraph 2 a) of Article 5, an
entity such as a company can have only one place of effective management for the
purposes of paragraph 3 of Article 4”. Il discussion draft intende tra l’altro chiarire
che le sedi di direzione devono comunque possedere i requisiti di cui al paragrafo 1
del Modello OCSE e non devono essere deputate allo svolgimento delle attività
319
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
Ciò precisato, si è già anticipata la recente riflessione in seno all’OCSE
sull’efficacia del criterio della sede della “direzione effettiva” ai fini della
determinazione univoca nei rapporti internazionali della residenza dei
soggetti diversi dalle persone fisiche.
L’OCSE ne ha dato conto sin dal primo documento sugli effetti tributari del
cd. “commercio elettronico” (57), per poi approfondire l’argomento nel
documento pubblicato nel mese di febbraio 2001 sul tema “The impact of the
Communications Revolution on the Application of “Place of Effective
Management” as a Tie-Breaker Rule” (58), cui ha fatto seguito prima un
discussion draft presentato in data 27 maggio 2003 dal titolo “Place of
Effective Management Concept: Suggestions for Changes to The OECD
Model Tax Convention” (59), e successivamente, in data 21 aprile 2008, una
proposta di modifiche all’art. 4 del Modello OCSE e al suo commentario,
infine recepite nella nuova versione del Commentario del 18 luglio 2008 (60)
Riflettendo sulle possibili soluzioni, e scartata l’ipotesi di sostituire il test
della sede di direzione effettiva con quello del luogo di costituzione (61), della
residenza degli amministratori o degli azionisti (62) o, infine, del luogo in cui
preparatorie od ausiliarie di cui al paragrafo 4.
(57) Electronic Commerce: the challenge to tax authorities and taxpayers, in Riv. dir.
trib., 1998, IV, p. 3 ss. Sul punto, vedi A.M. PROTO, Considerazioni in tema di
applicabilità delle nozioni tradizionali di residenza e stabile organizzazione alle
nuove realtà telematiche, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2005, p. 366 ss.; G. MAISTO, Le
prime riflessioni dell’OCSE sulla tassazione del commercio elettronico, in Riv. dir.
trib., 1998, IV, p. 47 ss.
(58) Vedi S. MAYR – G. FORT, La residenza fiscale delle società: necessità di un
cambiamento?, in Corr. trib., 2001, p. 2086 ss.; C. ROMANO, The Evolving Concept
of “Place of Effective Management” as a Tie-breaker Rule under the OECD Model
Convention and Italian Law, in European Taxation, 2001, p. 339 ss.
(59) In www.oecd.org.
(60) Il “Draft Contents to the 2008 Update to the Model Tax Convention” è reperibile
all’indirizzo www.oecd.org., in cui sono contenute anche le osservazioni degli esterni
e le risposte dell’OCSE. Sulle modifiche 2008 apportate al Commentario, si veda P.
VALENTE, Modifiche agli artt. 1-5 del modello e al Commentario, in Il Fisco, 2008,
n. 32, fasc. 1, p. 5782 ss.
(61) Le motivazioni sono facilmente intuibili, risiedendo nella inadeguatezza di un
criterio meramente formale a legittimare forme di tassazione su base mondiale.
Inoltre, il criterio del luogo di costituzione non è idoneo a risolvere i conflitti tra due
Stati che considerino il soggetto residente in funzione della localizzazione della sede
effettiva. Favorevole, invece, al criterio del luogo di costituzione, è S. VAN
WEEGHEL, The Tie-Breaker Revisited: Towards a Formal Criterion?, in AA.VV. (a
cura di L. Hinnekens e P. Hinnekens), A vision of Taxes Within and Outside European
Borders, Kluwer, The Netherlands, 2008, p. 963 ss., il quale rileva la totale
inadeguatezza del criterio della sede effettiva rispetto alla realtà economica attuale
delle imprese multinazionali. Rispetto a tale realtà, l’adozione di un criterio formale
viene vista quale unico rimedio possibile.
(62) Conducendo tale test a risultati non sempre precisi rispettivamente per la
possibilità di formare una volontà congiunta a distanza, e per la possibile ampia
diffusione territoriale dei soggetti azionisti. Favorevole ad un test basato sulla
320
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
il collegamento economico (“economic nexus”) è più forte (63), il Discussion
draft del 2003 aveva individuato un duplice possibile percorso.
Il primo, di affinare il “place of effective management test”, prevedendo il
seguente percorso logico da sviluppare in sede di Commentario: rilevanza del
luogo di adozione delle decisioni-chiave per lo svolgimento dell’attività di
impresa; individuazione di tale luogo in quello in cui si incontrano i soggetti
deputati all’adozione di tali decisioni, purché queste decisioni non vengano
adottate di fatto in un altro Stato; per i gruppi di imprese, rilevanza della
volontà della società controllante, purché questa vada oltre quelle che
costituiscono le funzioni manageriali e di politica commerciale tipicamente
svolte dalla capogruppo; infine, nel caso in cui le decisioni vengano prese dai
dirigenti esecutivi e il consiglio di amministrazione si limiti semplicemente
ad approvarle, riferimento al luogo in cui le decisioni sono state sviluppate.
Il secondo, di elaborare una tie breaker rule “a gradini”, come già avviene
per le persone fisiche, tramite una combinazione – della quale l’OCSE
proponeva tre varianti – dei seguenti criteri: luogo di direzione effettiva,
luogo in cui le relazioni economiche sono più stringenti, luogo di
svolgimento delle attività principali, luogo di svolgimento delle decisioni
esecutive, luogo che ne determina la condizione giuridica (legal status),
chiudendo ovviamente con la procedura amichevole.
Il discussion draft introduceva, dunque, per la prima volta criteri diversi dalla
direzione effettiva, dovendosi con ciò riconoscere la lungimiranza del
legislatore italiano nell’utilizzo di un criterio, quello dell’oggetto principale,
da sempre ignorato in altri Stati con la necessità poi emersa di ampi
“correttivi” in sede giurisprudenziale.
Infatti, convergevano in tale direzione da un lato il criterio del “nesso
economico più stretto”, giustificato nel Discussion draft in ragione del
maggiore utilizzo delle risorse economiche, legali, finanziarie ed
infrastruttuali dello Stato in cui si esercita il business e richiedente – tra
l’altro – l’esame di una serie di fattori come la presenza della maggior parte
dei propri dipendenti ed investimenti, delle attività economiche e dei ricavi,
e, dall’altro, il riferimento al “luogo di svolgimento delle attività principali”.
L’unica differenza risiedeva nella circostanza che nel discussion draft veniva
compreso nel “nesso economico” (economic nexus) anche un riferimento
all’attività di direzione, potendo pertanto rilevare anche la presenza del
quartier generale o il luogo di svolgimento delle principali attività del “senior
management”, elementi invece per lo più rilevanti, nell’ambito della norma
interna, nella sfera della sede dell’amministrazione.
residenza dei soggetti deputati all’assunzione delle decisioni di vertice è D. PINTO, A
New Three-Tier Proposal for Determining Corporate Residence Based Principally on
Individual Residence, in Bulletin for International Fiscal Documentation, 2005, p. 14
ss.
(63) In quanto ritenuto più adatto in una prospettiva territoriale, anziché personale, di
tassazione.
321
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
La Proposta di modifiche al Commentario del 21 aprile 2008, infine recepita
nella nuova versione del Commentario stesso del 18 luglio 2008, fa tuttavia
un deciso passo indietro rispetto ai propositi iniziali.
Si prende atto, infatti, della resistenza di molti Stati membri dell’OCSE ad
aderire all’interpretazione del concetto di “luogo di direzione effettiva”
proposta nel Discussion draft, così come della volontà di rimettere la
soluzione dei casi di doppia residenza allo strumento della procedura
amichevole anziché ad una tie breaker rule.
Viene così mantenuto il generale riferimento al luogo in cui vengono assunte
le decisioni chiave per la conduzione dell’impresa (da intendersi “nel suo
complesso” – as a whole), mentre viene da un lato espunta dal par. 24 del
Commentario la frase “The place of effective management will ordinarily be
the place where the most senior person or group of persons (for example a
board of directors) makes its decisions, the place where the actions to be
taken by the entity as a whole are determined”, e dall’altro introdotta una
clausola che rimette appunto alla procedura amichevole la soluzione dei casi
di doppia imposizione quale alternativa alla “tie breaker rule” fondata sul
“place of effective management”.
A tale ultimo riguardo, si specifica in particolare che le Autorità competenti
dovrebbero avere riguardo al “place of effective management, the place
where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant
factor”, precisando che in assenza di tale accordo il soggetto non avrà titolo
per beneficiare delle clausole convenzionali. Tra gli elementi che gli Stati
dovrebbero considerare per pervenire ad un accordo, il nuovo Commentario
indica il luogo in cui si svolge il consiglio di amministrazione, il luogo in cui
si svolge il “senior day–to-day management”, il luogo in cui sono situati gli
“headquarters”, lo Stato della lex societatis, il luogo in cui sono tenute le
scritture contabili, il rischio di abuso delle convenzioni e via dicendo (64).
La soluzione accolta dall’OCSE lascia a dir poco perplessi. Essa costituisce
un affastellato di criteri di natura affatto diversa, alcuni dei quali addirittura
del tutto irrilevanti in chiave di collegamento “tributario” (si pensi alla lex
societatis, ecc.), e comunque tali da lasciare alle Amministrazioni finanziarie
degli Stati contraenti la più ampia discrezionalità al riguardo, impedendo
pertanto di fatto, anche tenuto conto del normale non funzionamento già di
per sé dello strumento della procedura amichevole, qualsiasi concreta
possibilità di soluzione dei casi di doppia residenza.
Non vi è dubbio che la definizione del luogo di direzione effettiva presenti
ineliminabili margini di incertezza, che l’eccessivo ancoramento a concetti
del diritto commerciale definitori dell’organizzazione giuridica del soggetto
(64) Vedi R. RUSSO, The 2008 OECD Model: An Overview, in European Taxation,
2008, p. 459 ss. Le modifiche in sede OCSE si motivano, ad avviso di E. IASCONE,
La residenza fiscale delle società: il caso delle holding di partecipazioni, Riv. dir.
trib., 2008, V, p. 185, con la volontà di non attribuire eccessiva rilevanza alle riunioni
e alle deliberazioni dei soggetti formalmente rivestiti dei ruoli direttivi ai fini
dell’individuazione del luogo della sede effettiva.
322
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
rischi di risolversi in una incapacità a cogliere le molteplici sfaccettature
“economiche” dell’attività propria delle imprese multinazionali, che la
destrutturazione delle imprese “virtuali” e la non rara assenza in esse di una
struttura “gerarchica” intesa in senso tradizionale mal si presti
all’individuazione di un “central management” (65).
Si tratta tuttavia di inconvenienti che non incidono sulla considerazione di
fondo che il luogo di “direzione effettiva” esprime pur sempre il luogo in cui
la creazione di valore trova la sua ideazione primordiale, di talché, se un
correttivo deve essere cercato, esso va a nostro avviso individuato in funzione
di esso suppletiva e non già “sostitutiva”.
In tal senso, la scelta di una “tie breaker rule” fondata su un criterio
gerarchico, sul modello delle persone fisiche, sarebbe stata la scelta da un
lato più equilibrata sotto il profilo sostanziale, dall’altro maggiormente
idonea a garantire al contribuente quel sufficiente grado di certezza sul piano
procedimentale a vedersi risolto un potenziale conflitto impositivo, adesso
affidato alle Amministrazioni finanziarie degli Stati contraenti, certamente
poco propense a rinunziare alla localizzazione nel proprio territorio di un
soggetto in relazione al quale ciascuna di esse non fa che attuare legittimi
criteri di appartenenza nazionali. In tal senso, la procedura amichevole
dovrebbe pertanto essere assistita da forti garanzie per il contribuente,
dovendosi concludere in un termine ragionevole e sfociare in una procedura
arbitrale in caso di relativo fallimento.
5 Conclusioni.
Dall’esame delle sopra evidenziate interrelazioni tra le nozioni di residenza
fiscale e di stabile organizzazione, è emerso come buona parte delle
problematiche che si pongono conseguano all’assunzione da parte del
legislatore nazionale dell’oggetto principale quale elemento costitutivo della
nozione di residenza fiscale.
A tale proposito, si è detto che il criterio dell’oggetto principale, risulta per lo
più sconosciuto ad altri ordinamenti; che esso è ignorato anche a livello di
convenzioni internazionali, dove la “tie breaker rule” si è da sempre basata
sul criterio del place of effective management; che la centralità di tale ultimo
criterio è stata confermata anche in occasione del recente update, fatta salva
l’infelice formulazione della procedura amichevole, che pur astrattamente
idonea a comprendere nel concetto di “any relevant factor” anche il luogo di
svolgimento dell’attività, è comunque irrilevante in parte qua in
considerazione dell’indistinto coacervo di criteri cui essa fa riferimento; che,
infine, l’osservazione formulata dall’Italia in sede di Commentario OCSE
possa ritenersi “neutralizzata” da un’interpretazione orientata alla
conservazione del testo convenzionale.
(65) Vedi L. HINNEKENS, Revised OECD-TAG Definition of Place of Effective
Management in Treaty Tie-Breaker rule, in Intertax, 2003, p. 314 ss.
323
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
A livello internazionale, il binomio “residenza fiscale-stabile organizzazione”
presenta invero sufficienti tratti distintivi. Se volessimo adottare un paragone
anatomico, la prima costituisce la “testa”, la seconda il “braccio”. La “prova
del nove” è nella stessa definizione di stabile organizzazione di cui all’art. 5
del Modello OCSE (ed ONU), laddove (par. 1) essa viene riferita alla sede
per mezzo della quale l’impresa svolge in tutto o in parte la sua attività. Pur
potendosi certamente ipotizzare anche un’attività della stabile organizzazione
svolta in Stati diversi da quello di sua localizzazione, è tuttavia da ritenere
che una siffatta norma riconduca al concetto di stabile organizzazione (anche)
l’ipotesi dell’esclusiva localizzazione produttiva nel territorio dello stato in
cui essa è ubicata, che non sarebbe di per sé idonea ad elevare la “stabile
organizzazione” al superiore gradino di “residenza fiscale”, come invece il
“mero” oggetto “principale” (e non anche necessariamente esclusivo) è
suscettibile di determinare in base alla normativa italiana.
Tuttavia, la c.d. “general rule” di cui all’art. 5, par. 1 dei Modelli OCSE ed
ONU è stata sostanzialmente recepita, in occasione della Riforma Ires di cui
al d.lgs. 344/2003, nell’art. 162 del t.u.i.r., che identifica il profilo dinamico
della stabile organizzazione nello svolgimento parziale o totale dell’attività
del soggetto cui essa appartiene.
In considerazione dell’evidente incompatibilità logica così venutasi a creare,
nel sistema del t.u.i.r., tra una definizione di residenza che dà rilevanza
(almeno) allo svolgimento della prevalente attività del soggetto in Italia da un
lato, ed una (ad essa successiva) di stabile organizzazione che dà rilevanza
allo svolgimento anche integrale dell’attività del soggetto sempre in Italia
dall’altro, ci si potrebbe pertanto chiedere se tale incompatibilità non debba
risolversi in termini di abrogazione tacita, peraltro proprio nella esaminata
prospettiva – comparata ed internazionale – che relega la rilevanza
qualificatoria del luogo di svolgimento dell’attività sul solo piano della
stabile organizzazione (66).
(66) Per gli stessi motivi, la medesima incompatibilità potrebbe ipotizzarsi tra l’art. 73,
co. 3 t.u.i.r. e la definizione convenzionale di stabile organizzazione, da risolvere, in
base ai noti principi sul rapporto tra fonti, nel senso della prevalenza della seconda
sulla prima (e, dunque, con riferimento anche ai periodi di imposta anteriori
all’entrata in vigore dell’art. 162 t.u.i.r.). Si tratta di un profilo in teoria irrilevante,
atteso che il riferimento esclusivo nella “tie breaker rule” al POEM sarebbe di per sé
sufficiente a localizzare la residenza nello Stato in cui si trova quest’ultimo
nonostante la presenza dell’oggetto principale in Italia, ma in realtà un problema
potrebbe nascere dall’osservazione apposta dall’Italia in merito all’interpretazione da
fornire al POEM. L’impasse da essa potenzialmente derivante dovrebbe tuttavia
essere “neutralizzata” attraverso gli argomenti che si sono sopra esaminati, stante
l’impossibilità, come si dirà immediatamente nel testo, di individuare una
sovrapposizione tra i due concetti tale da affermare un effetto abrogativo. Resterebbe
ferma, in ogni caso, la possibilità di un concreto conflitto di “qualificazione”, questo
invece sì da risolvere a favore della norma convenzionale (stabile organizzazione) in
danno della norma interna (residenza fiscale).
324
LE INTERRELAZIONI TRA LE NOZIONI DI RESIDENZA FISCALE E STABILE
ORGANIZZAZIONE
A tale quesito pare tuttavia doversi dare risposta negativa se, come si è visto,
sia possibile ipotizzare l’esistenza dell’oggetto principale in Italia anche in
mancanza di stabile organizzazione, come avverrebbe nel caso in cui tutta
l’attività sia svolta in un determinato stato, avvalendosi, ad esempio, di agenti
indipendenti. Nel caso, invece, di mera sovrapposizione “qualificatoria”, il
relativo conflitto dovrà risolversi a favore della norma successiva,
privilegiando la configurazione della fattispecie in termini di stabile
organizzazione anziché di residenza fiscale, con le connesse conseguenze in
termini sostanziali e procedimentali.
325
Prof. Sebastiano Maurizio Messina
Professore Università di Verona
Stabile organizzazione e consolidato fiscale *
* La relazione, non pervenuta in tempo per l’inserimento nel volume, appena
disponibile verrà pubblicata sul sito www.uckmar.net
Prof. Marco Miccinesi
Professore Università Cattolica di Milano
Stabile organizzazione e responsabilità*
* La relazione, non pervenuta in tempo per l’inserimento nel volume, appena
disponibile verrà pubblicata sul sito www.uckmar.net
Prof. Franco Roccatagliata (*)
Professore College of Europe di Bruges
Mercato Unico UE e diritto di stabilimento della stabile
organizzazione: ossimoro o pleonasmo?
“Freedom of establishment for the permanent establishment”
(Libertà di stabilimento per la stabile organizzazione).
1 Premessa
Indubbiamente, l’impatto dell’espressione in lingua inglese è ben maggiore di
quello in italiano. La curiosa traduzione italiana del termine permanent
establishment - su cui si è già avuto modo di pronunciarsi in passato (1) - fa
perdere un bel po’ d’assonanza al titolo dell’intervento.
Andando oltre al gioco di parole, in questo piccolo contributo all’ennesima
prestigiosa iniziativa del professor Uckmar - su di un tema che non è certo
sfuggito alla sua attenta a pionieristica analisi (2) - si cercherà di mettere a
fuoco l’incidenza dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea (UE) sul
concetto di ‘stabile organizzazione’ e sulla sua evoluzione e si proverà a
delineare una definizione di stabile organizzazione ai fini dell’applicazione
delle imposte dirette nel mercato unico dell’Unione, basandosi innanzitutto
sulla legislazione ed i documenti delle istituzioni europee e lasciando ad altri
interventi di questa giornata di Convegno il compito di analizzare in dettaglio
l’apporto fornito a questo tema dalla numerosa giurisprudenza della Corte di
giustizia dell’UE (3).
In sintonia con il titolo del presente contributo, dopo aver tracciato un quadro
del soggetto in ambito comunitario, si metterà a confronto il concetto di
natura fiscale di ‘stabile organizzazione’ con la nozione di ‘stabilimento’
(l’elemento principale per la determinazione dell’esercizio dell’omonima
libertà del Mercato interno), evidenziando gli aspetti d’interdipendenza tra i
due concetti. Non mancherà qualche divagazione sul tema e rapide incursioni
in altri rami del diritto, d’interesse europeo.
*
Professore a contratto di Diritto tributario europeo al College of Europe di Bruges
(Belgio) e membro del Tax Institute dell’ULg - Université de Liège (Belgio). Per
contattare l’autore: [email protected].
1
ROCCATAGLIATA, F. “Nozione comunitaria di stabile organizzazione:
armonizzazione o coordinamento fiscale?”, in Rivista di diritto tributario
internazionale, 1, 2002, p.31.
2
UCKMAR, V., “L’evoluzione, con particolare riguardo all’ordinamento italiano, del
concetto di «stabile organizzazione» delle imprese operanti nell’ambito di più Stati”,
in L’ordinamento tributario e la politica di stabilizzazione. L’evoluzione del concetto
di stabile organizzazione, 1967, 129.
3
Cfr., tra gli altri, gli interventi di Amatucci, Carinci, Corasaniti, Melis, ecc. raccolti
in questo volume.
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
Infine, restando in tema di libertà fondamentali (4) del Mercato interno
contenute nel Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), si concluderà
l’intervento con alcune riflessioni personali sull’equivalenza - vera o
presunta, dal punto di vista del contribuente - dell’applicazione del ‘diritto di
stabilimento’ e della ‘libera prestazione di servizi’ nel campo tributario, sul
ruolo-chiave che i concetti di ‘stabile organizzazione’ e/o ‘stabilimento’
giocano in questo contesto e sulle possibili vie per giungere ad una nozione
condivisa nel mercato unico.
2 Il concetto di ‘stabile organizzazione’ ai sensi della legislazione UE
Nelle relazioni precedenti di questo Convegno è stato ampiamente analizzato
che cosa debba intendersi per ‘stabile organizzazione’ nelle legislazioni
fiscali nazionali che disciplinano la tassazione del reddito transnazionale e
quale sia la portata di questa costruzione giuridica nel diritto tributario
internazionale, in particolare, nel cosiddetto diritto convenzionale.
È stato, dunque, chiarito il ruolo della stabile organizzazione come centro
d’imputazione di situazioni giuridiche e punto di riferimento cruciale per la
localizzazione del reddito e la conseguente applicazione dell’imposta nei
rapporti transfrontalieri. A questo proposito, è stata giustamente ricordata la
centralità degli articoli 5 e 7 del Modello di convenzione fiscale dell’OCSE e
dell’annesso Commentario.
Come tutti i principi di fiscalità internazionale che trovano la loro
consacrazione nel Modello OCSE, s’è visto che anche la figura della stabile
organizzazione non risponde in modo diretto ad un’esigenza dei cittadini
(intesi come contribuenti) ma svolge principalmente la funzione di strumento
idoneo a determinare un’equa ripartizione della sovranità impositiva tra gli
Stati; una funzione che, tra l’altro, gli è stata legittimamente riconosciuta
dalla stessa Corte di giustizia dell’UE (5). In sostanza, le disposizioni che gli
Stati negoziano nelle convenzioni fiscali - che sono strumenti (trattati
bilaterali) di diritto pubblico internazionale - ripartendo la sovranità
impositiva tra gli Stati in modo concordato, consentono ai cittadini di
4
Articolo 26, comma 2, del TFUE: Il mercato interno comporta uno spazio senza
frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle
persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati.
5
Corte di giustizia, sentenza del 15 maggio 2008, causa C-414/06 (Lidl Belgium
GmbH), punti 21-22 e il commento di BERGERÈS, M.-C. “Déduction des pertes des
établissements stables et droit communautaire” in Revue de Droit Fiscal, 39, 2008,
p.36 (512); da ultimo, sentenza del 4 luglio 2013, causa C-350/11 (Argenta Spaarbank
NV contro Belgische Staat), punti 12 e ssg., pur con i limiti indicati al punto 58. Si
veda, altresì, la sentenza della Corte di giustizia del 6 settembre 2012, causa C-18/11
(The Commissioners for H.M.’s Revenue & Customs contro Philips Electronics UK
Ltd), punti 26 e ssg.
332
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
beneficiare di una sostanziale riduzione dei casi di doppia imposizione,
aumentando pertanto la sicurezza (giuridica) delle operazioni transfrontaliere.
Dal punto di vista giuridico i soggetti delle convenzioni fiscali restano
comunque, in prima istanza, gli Stati contraenti, e i contribuenti beneficiano
soltanto in modo indiretto dei vantaggi convenzionali (6).
Nel diritto dell’Unione europea lo scenario cambia radicalmente. Occorre
subito chiarire un suo elemento distintivo rispetto al diritto internazionale: la
sua efficacia per i cittadini dell’Unione (7). La libertà di operare in più paesi
dell’UE attraverso uno stabilimento secondario è sancita dall’articolo 49 del
TFUE (8) ed è un diritto che può essere direttamente invocato da tutti i
cittadini e da tutte le imprese dell’Unione europea e che non può subire
limitazioni, men che mai di natura fiscale (salvo in casi estremamente
circoscritti).
Questo a livello di grandi principi. Se però si guarda la legislazione
secondaria dell’UE, gli ambiti applicativi del diritto tributario sono molto più
limitati di quanto si possa comunemente pensare. Il TFUE prevede
espressamente (all’articolo 113) la possibilità di armonizzare la legislazione
fiscale in materia di IVA e altre imposte indirette. Ciò, agli occhi del
legislatore costituente, sembrava indispensabile per favorire la ‘libera
circolazione delle merci’ - la libertà fondamentale che, in quegli anni, era al
centro dei suoi pensieri - ma per quanto riguarda la fiscalità diretta (che, al
momento della creazione delle disposizioni costituzionali europee non
sembrava particolarmente interferire con la predetta libertà) mancano nel
6
I contribuenti determinano le loro scelte economiche anche in base al costo fiscale
delle operazioni transnazionali e, poiché l’impatto delle disposizioni contenute nelle
convenzioni bilaterali su tali operazioni è spesso decisivo, hanno tutto il diritto di
vederle applicate in modo corretto e univoco, anche quando - come nel caso delle
disposizioni sulle stabili organizzazioni - tali norme possono presentare obiettive
difficoltà interpretative. Senza voler fare, in questa sede, l’analisi della natura di tale
diritto, è difficile negare che attualmente esista un problema di come tutelarlo in modo
efficace. Che gli Stati contraenti siano, di fatto, i veri (soli?) soggetti giuridici delle
convenzioni contro le doppie imposizioni pare proprio evidente, ad esempio,
constatando la scarsa efficacia della cd. procedura amichevole.
7
Generalmente, un’efficacia diretta, come si vedrà meglio al punto 4 di questo
contributo.
8
Articolo 49 del TFUE: Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla
libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro
Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative
all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro
stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio,
nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi
dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese
di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo
relativo ai capitali.
333
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
Trattato disposizioni ad hoc. Se qualche misura fiscale è stata comunque
adottata, lo si deve soprattutto ad un utilizzo ‘mirato’ dell’articolo 115 del
TFUE (o per meglio dire, del suo predecessore, l’articolo 94 del TCE,
relativo all’istituzione ed al buon funzionamento del mercato interno) quale
base giuridica.
Insomma, è ancora, in via principale, il diritto internazionale - e in particolare
il diritto tributario convenzionale - che regola la maggior parte dei rapporti
fiscali tra le imprese degli Stati membri. Pertanto le problematiche relative al
concetto di ‘stabile organizzazione’, già esaminate in tale ambito, trovano
identico riscontro anche nel quadro interpretativo del diritto dell’Unione
europea. Tuttavia, è chiaro che le disposizioni dei trattati bilaterali tra Stati
membri non devono essere contrarie (o interpretate in modo contrario) ai
principi fondamentali del TFUE, in particolare per quanto riguarda concetti
basilari come il ‘diritto di stabilimento’, la ‘libera prestazione di servizi’ o la
‘non discriminazione’. Alla Corte di Giustizia dell’Unione europea il compito
di valutare il rispetto di tali principi. Ed essa - come si è ampiamente visto in
questo Convegno - non ha mancato di farlo anche in materia di tassazione
delle stabili organizzazioni (9).
Passando ora al primo punto del nostro intervento, occorre innanzitutto porsi
una domanda: esiste una ‘nozione comunitaria di stabile organizzazione’? E,
in caso di risposta affermativa, come si configura? Possiamo ricavarla dal
diritto dell’UE - primario o derivato - senza necessariamente ricorrere
all’interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia?
Fino a pochi anni fa la legislazione UE in materia fiscale utilizzava il termine
‘stabile organizzazione’ a più riprese, ma ometteva regolarmente di darne
un’esplicita definizione. Col senno di poi, non saremmo così certi che si
trattava di una mera dimenticanza.
Per meglio comprendere l’esegesi legislativa comunitaria in materia, occorre
risalire indietro nel tempo. Andando a rivedere le vecchie proposte di
direttiva non approvate dal Consiglio si ricava un primo progetto di
9
Proprio uno dei primi casi ‘storici’ in cui la Corte di giustizia è stata chiamata a
pronunciarsi sulla compatibilità di una legislazione fiscale nazionale con il diritto
dell’UE è legato alla tassazione delle stabili organizzazioni: v. sentenza della Corte di
giustizia del 28 gennaio 1986 nella causa 270/83 (Commissione europea contro
Francia ‘avoir fiscal’); si veda altresì, sempre agli albori della giurisprudenza della
Corte in materia di fiscalità diretta, le famose sentenze nelle cause C-330/91
(Commerzbank) e C-307/97 (Compagnie de Saint-Gobain ZN contro Finanzamt
Aachen-Innenstadt). Si tratta comunque di casi in cui non era in discussione la natura
‘stabile’ dell’insediamento, ma soltanto il trattamento fiscale (a giudizio della Corte,
contrario ai principi del Trattato) operato dallo Stato membro d’accoglienza verso una
sede permanente (270/83), una succursale (C-330/91) o un centro di attività stabile
(C-307/97), per utilizzare alcune delle numerose varianti utilizzate nella versione
italiana delle sentenze sopra indicate.
334
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
definizione. La proposta di direttiva sulle fusioni internazionali del 1969 (10),
infatti, ne contiene una in gran parte mutuata dal Modello OCSE vigente
all’epoca della proposta (la versione 1963): per ‘stabile organizzazione’ si
deve intendere lo stabilimento permanente, cioè l’impianto fisso ove si
svolge, in tutto o in parte, l’attività d’una società (cd. stabile organizzazione
‘materiale’) o dell’agente che abbia il potere di concludere contratti per conto
della società che rappresenta, sempre che tale potere venga da lui esercitato
abitualmente (cd. stabile organizzazione ‘personale’).
Anche la proposta di direttiva del Consiglio del 1991 (11), relativa al
riconoscimento delle perdite delle stabili organizzazioni - poi ritirata dalla
Commissione - non brillava per originalità: la nozione di stabile
organizzazione in essa contenuta (articolo 2) ricalcava infatti anch’essa quella
del Modello OCSE (questa volta la versione 1977): rientra nella nozione di
stabile organizzazione qualsiasi stabilimento permanente di affari tramite il
quale un’impresa di uno Stato membro eserciti in tutto o in parte la sua
attività.
Passiamo ora dai progetti legislativi allo iure condito e, anche se non è
l’oggetto principale di questo intervento, cominciamo, per una mera
questione temporale, con la fiscalità indiretta.
Per quanto riguarda il diritto tributario effettivo dell’UE, con la cd. sesta
direttiva IVA (12) troviamo infatti il concetto di stabile organizzazione
utilizzato per la prima volta in un’importante strumento armonizzativo: si
veda in particolare, l’articolo 9 della predetta direttiva, oggi trasposto
nell’articolo 44 (e seguenti) della direttiva 2006/112/CE (13), la disposizione
10
Commissione delle Comunità europee, Proposta di direttiva riguardante il regime
fiscale comune da applicarsi alle fusioni, alle scissioni e ai conferimenti d’attivo che
hanno luogo per società di Stati membri diversi; COM(69)5 del 16 gennaio 1969.
11
Commissione delle Comunità europee, Proposta di direttiva del Consiglio relativa
alla contabilizzazione, da parte delle imprese, delle perdite subite dalle stabili
organizzazioni e dalle affiliate situate in altri Stati membri, COM(90)595 del 20
gennaio 1991.
12
Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra
di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme,
G.U.C.E. L145 del 13 giugno 1977 p.1.
13
Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema
comune d’imposta sul valore aggiunto, G.U.C.E. L347 dell’11.12.2006, p.1.
L’articolo 44 recita: Il luogo delle prestazioni di servizi resi a un soggetto passivo che
agisce in quanto tale è il luogo in cui questi ha fissato la sede della propria attività
economica. Tuttavia, se i servizi sono prestati ad una stabile organizzazione del
soggetto passivo situata in un luogo diverso da quello in cui esso ha fissato la sede
della propria attività economica, il luogo delle prestazioni di tali servizi è il luogo in
cui è situata la stabile organizzazione. In mancanza di tale sede o stabile
organizzazione, il luogo delle prestazioni di servizi è il luogo del domicilio o della
residenza abituale del soggetto passivo destinatario dei servizi in questione.
335
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
normativa principale per la determinazione del luogo d’imposizione delle
prestazioni di servizi.
Ai fini del dibattito odierno, meritano di essere sottolineate certe modifiche
formali intervenute in alcune versioni linguistiche nel ‘passaggio di
consegne’ tra la direttiva 77/388/CEE e lo strumento giuridico che ha preso il
suo posto, la direttiva 2006/112/CE, entrambe preposte a disciplinare il
sistema comune dell’IVA. Il centro di attività stabile dell’articolo 9 della
direttiva del 1977 è divenuto stabile organizzazione nel testo italiano della
direttiva del 2006. Parallelamente, nella versione inglese si è passati dal fixed
establishment al permanent establishment. Invariata, invece, la terminologia
della versione francese: établissement stable era nel 1977 e tale è rimasta
nella direttiva del 2006. In sostanza, nella vigente versione (2006), ci si è
allineati - almeno nelle tre lingue esaminate - alla terminologia normalmente
utilizzata in materia di fiscalità diretta nelle convenzioni bilaterali ispirate al
Modello OCSE (14).
Tuttavia, anche nella direttiva 2006/112/CE - come d’altronde nella
77/388/CEE - mancava un’esplicita definizione legislativa del concetto. Se
fino a poco tempo fa il vuoto giuridico interpretativo era colmato dall’ampia
giurisprudenza della Corte di giustizia in materia (15), attualmente, il
regolamento applicativo 282/2011 (16) vi ha posto rimedio in modo organico,
consolidando l’interpretazione della Corte in un atto legislativo. Per l’articolo
14
Il legislatore italiano, al momento della trasposizione della sesta direttiva IVA nella
normativa nazionale aveva già provveduto a trasformare (linguisticamente) il centro
di attività stabile in stabile organizzazione. V. l’articolo 7, comma 3 del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, considerando, evidentemente, i due termini come equivalenti.
Per una visione critica di tale scelta, PISTONE, P., “Centro di attività stabile e stabile
organizzazione: l’IVA richiede un’evoluzione per il XXI secolo?”, in Rivista di diritto
tributario, 1, 1999, p.12.
15
Corte di giustizia, sentenza del 4 luglio 1985, causa C-168/84 (Gunter Berkholz
contro Finanzamt Hamburg-Mitte-Altstadt). Al punto 18 la Corte precisa … il
riferimento di una prestazione di servizi ad un centro di attività diverso dalla sede
viene preso in considerazione solo se tale centro d’attività abbia una consistenza
minima, data la presenza permanente dei mezzi umani e tecnici necessari per
determinate prestazioni di servizi. Con la sentenza del 17 luglio 1997, causa C-190/95
(ARO Lease BV contro Inspecteur van de Belastingdienst Amsterdam) la Corte
delinea ulteriormente la sua interpretazione dell’articolo 9 della sesta Direttiva: …
affinché un centro d’attività possa essere utilmente preso in considerazione … è
necessario che esso presenti un grado sufficiente di permanenza e una struttura
idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo
le prestazioni di servizi considerate … (punto 16); v. altresì la sentenza della Corte del
20 febbraio 1997 (Commissioners of Customs and Excise contro DFDS A/S), punto
20.
16
Regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 del Consiglio, del 15 marzo 2011,
recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema
comune di imposta sul valore aggiunto, G.U.U.E., L77 del 23.3.2011, p.1.
336
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
11, comma 1, del predetto regolamento … la «stabile organizzazione»
designa qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica
… caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura
idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di
utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta
organizzazione (o di fornire i servizi di cui assicura la prestazione, articolo
11, comma 2).
In materia di fiscalità diretta, sia per le ragioni storiche cui si è già fatto sopra
riferimento, sia, soprattutto, per le grandi difficoltà incontrate nel raccogliere
l’indispensabile consenso unanime degli Stati membri (oggi ben 28), la
legislazione secondaria dell’Unione non si è potuta sviluppare in modo
conseguente alle numerose proposte legislative presentate dalla Commissione
europea. Il travagliato ‘pacchetto’ approvato all’inizio degli anni ’90 (le
direttive ‘madre-figlia’ e ‘fusioni’ e la cd. ‘convenzione arbitrale’, le cui
proposte originali risalivano a vent’anni prima) è stato in seguito integrato da
ben pochi altri strumenti legislativi (principalmente le direttive ‘interessi e
royalties’ e ‘risparmio’).
La direttiva 90/434 (17), che regolamentava gli aspetti fiscali delle fusioni
transnazionali, agli articoli 5 e 10, utilizza l’espressione stabile
organizzazione senza tuttavia illustrarne i contenuti. La direttiva
2009/133/CE (18), che l’ha sostituita, codificando i diversi interventi
legislativi e giurisprudenziali che si erano succeduti nel tempo, non ha
ritenuto di integrarla per questo specifico aspetto, nonostante la centralità del
concetto di stabile organizzazione in questo genere di riorganizzazioni
d’impresa (19).
La direttiva 90/435 (20) in materia di regime fiscale delle società collegate
(cd. ‘madre-figlia’), inizialmente non contemplava le stabili organizzazioni.
17
Direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale
comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli
scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi; G.U.C.E. L225 del
20.8.1990, p.1.
18
Direttiva 2009/133/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, relativa al regime fiscale
comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, alle scissioni parziali, ai conferimenti
d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi e al
trasferimento della sede sociale di una SE e di una SCE tra Stati membri.; G.U.U.E.
L310 del 25.11.2009, p.34.
19
La direttiva, all’articolo 2, offre una definizione di quasi tutti i termini ‘tecnici’
utilizzati, da «società conferente» a «ramo d’attività», ma sulla nozione di stabile
organizzazione curiosamente glissa, nonostante poco tempo prima, aggiornando la
direttiva madre-figlia, il legislatore comunitario si fosse comportato in modo diverso
(v. paragrafi seguenti).
20
Direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990 concernente il regime
fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi;
G.U.C.E. L225 del 20.8.1990, p.6.
337
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
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Soltanto con le modifiche apportate dalla direttiva 2003/123/CE (21), che ne
ha allargato il campo d’applicazione (22), ne è stata introdotta una definizione
(articolo 2, comma 2). Tale definizione è stata poi confermata nella rifusione
della ‘madre-figlia’ operata dalla vigente direttiva 2011/96/UE (23), che,
all’articolo 2, punto b), precisa che ai fini dell’applicazione della direttiva
per “stabile organizzazione” debba intendersi … una sede fissa di affari
situata in uno Stato membro, attraverso la quale una società di un altro Stato
membro esercita in tutto o in parte la sua attività, per quanto gli utili di
quella sede di affari siano soggetti a imposta nello Stato membro nel quale
essa è situata ai sensi del pertinente trattato fiscale bilaterale o, in assenza di
un siffatto trattato, ai sensi del diritto interno.
Infine, una definizione di stabile organizzazione sostanzialmente simile a
quella vista per la direttiva ‘madre-figlia’ si trova anche nella direttiva
2003/49/CE (‘interessi e royalties’): Ai fini della presente direttiva si
intendono per … c) «stabile organizzazione»: una sede fissa di affari situata
in uno Stato membro, attraverso la quale una società di un altro Stato
membro esercita in tutto o in parte la sua attività (24).
Sulla base dei testi legislativi sopra descritti possiamo affermare che esiste un
concetto unitario di stabile organizzazione in ambito UE? In tutta franchezza
sembrerebbe legittimo avanzare qualche dubbio.
Certamente, in modo pragmatico, è opportuno non dare troppa importanza al
nomen juris utilizzato (soprattutto quando - come sempre avviene nel diritto
dell’UE - questo è il frutto di traduzioni da altre lingue). Di conseguenza, le
espressioni ‘stabile organizzazione’, ‘centro stabile d’attività’, ‘sede fissa
d’affari’ o ‘insediamento permanente’, in ambito UE - come d’altronde anche
in ambito internazionale - non indicano necessariamente concetti diversi. A
questo proposito, l’esempio dell’articolo 38 della direttiva 2006/112/CE è
senz’altro significativo: in tale contesto normativo il legislatore comunitario
utilizza i termini stabile organizzazione e centro di attività stabile in modo
21
Direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, che modifica la
direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società
madri e figlie di Stati membri diversi; G.U.C.E. L7 del 13.1.2004, p.41.
22
Si veda in particolare l’ottavo ‘considerando’ della suddetta direttiva: il pagamento
delle distribuzioni di utili a, e il ricevimento degli stessi da una stabile organizzazione
della società madre dovrebbe dar luogo al medesimo trattamento applicabile tra una
società figlia e la sua società madre. Dovrebbe essere contemplato il caso in cui una
società madre e la propria società figlia sono nel medesimo Stato membro e la stabile
organizzazione è in un altro Stato membro.
23
Direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime
fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi
(rifusione); G.U.U.E. L345 del 29.12.2011, p.8.
24
Articolo 3, punto c) della direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003,
concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni
fra società consociate di Stati membri diversi, G.U.C.E. L157 del 26.6.2003, p. 49.
338
MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
indistinto e - a parere di chi scrive - lo fa proprio per eliminare ogni dubbio
sulla loro l’equivalenza (25).
Ma se è vero che espressioni diverse possono riferirsi a un medesimo
concetto giuridico, è vero anche il contrario: la stessa espressione (‘stabile
organizzazione’) se utilizzata in ambiti diversi, può avere contenuti distinti.
In tale evenienza, sarà il contesto giuridico in cui si trova utilizzata che
aiuterà a chiarire, caso per caso, quale contenuto effettivamente attribuirgli.
Non a caso il legislatore comunitario si è premunito in questo senso e - sia
nella direttiva 2003/49, sia nella 2003/123 - ha ritenuto opportuno indicare
che la sua definizione di stabile organizzazione trova un limite naturale nei
fini dell’applicazione della direttiva in questione.
In conclusione, anche se, al momento, una (anzi, più d’una) definizione del
concetto all’esame di questo convegno si riscontra nella legislazione europea,
resta tuttavia difficile poterla trasporre tout court all’insieme della
legislazione comunitaria esistente. Si pensi, per esempio, agli aspetti
strutturali … umani e tecnici cui fa riferimento il regolamento applicativo
282/2011 sopra citato, relativo all’IVA, e ai problemi che potrebbero
insorgere qualora lo si volesse applicare in materia di fiscalità diretta (per
esempio, per certi aspetti legati all’imposizione del commercio elettronico).
D’altronde è difficile immaginare che un concetto che non trova una sua
uniforme definizione nell’ambito delle legislazioni fiscali nazionali (e che
anzi, in qualche caso, non trova affatto una definizione legislativa) la ottenga
facilmente in sede d’Unione, ove per vedere approvato un provvedimento in
questa materia occorre l’accordo unanime di tutti gli Stati membri.
Ovviamente, il fatto che sia difficile accordarsi su un concetto talmente
importante come quello di ‘stabile organizzazione’, non vuole dire che non
sia utile (anzi, necessario) farlo, almeno in un ambito territoriale limitato
come l’Unione europea ed in un contesto giuridicamente omogeneo come la
fiscalità diretta, per le ragioni che si tenteranno di illustrare nei successivi
punti di questo intervento.
3 Mercato interno, esercizio del diritto di stabilimento e stabile
organizzazione
Conformemente alle regole del diritto tributario internazionale, anche
all’interno dell’Unione, quando un’impresa esercita un’attività economica in
uno Stato membro diverso da quello della sua sede - o, per meglio dire, della
25
In caso di cessione di gas mediante il sistema di distribuzione del gas naturale, o di
energia elettrica ad un soggetto passivo-rivenditore, il luogo della cessione si
considera situato nel luogo in cui il soggetto passivo-rivenditore ha fissato la sede
della propria attività economica o dispone di una stabile organizzazione per la quale
i beni vengono erogati, ovvero, in mancanza di tale sede o centro di attività stabile, il
luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale (Direttiva 2006/112/CE,
articolo 38, comma 1). (grassetto aggiunto dall’autore).
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MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
sua sede sociale, amministrazione centrale o centro di attività principale (26)
nell’Unione - lo Stato membro ove tale attività è esercitata ha il diritto di
tassarne gli utili che ne derivano. Tuttavia, su base unilaterale (attraverso le
norme interne che regolamentano la fiscalità transfrontaliera) o su base di
reciprocità (attraverso le convenzioni fiscali contro le doppie imposizioni),
normalmente, gli Stati tracciano un limite importante alla loro sovranità
impositiva sugli utili prodotti sul proprio territorio: se l’attività economica
dell’impresa estera non è esercitata attraverso una ‘stabile organizzazione’ gli
utili così prodotti saranno sottoposti ad imposizione esclusivamente dallo
Stato membro ove l’impresa ha la sua sede e residenza fiscale ordinaria.
Pertanto, al fine di determinare quale Stato membro abbia il diritto di tassare
gli utili di un’impresa che esercita un’attività transfrontaliera, la nozione di
‘stabile organizzazione’ è fondamentale nell’UE tanto quanto nel resto del
mondo.
Proprio per questa sua funzione di ‘punto d’equilibrio’ tra due sovranità,
entrambe interessate all’imposizione di uno stesso soggetto giuridico e dello
stesso elemento del reddito, il concetto di ‘stabile organizzazione’ nell’UE è
influenzato dall’evoluzione legislativa sviluppatasi nel quadro dell’articolo
115 del TFUE per assicurare il buon funzionamento del Mercato interno (27),
ma al tempo stesso, in quanto concetto (autonomo e storicamente ben
delineato) del diritto internazionale tributario, quest’ultimo ramo del diritto
può ambire, a sua volta, a condizionarne l’interpretazione anche all’interno
delle frontiere comunitarie, perfino nell’applicazione del diritto secondario
dell’Unione, specialmente quando questo si ispira in maniera esplicita agli
strumenti del diritto internazionale tributario (28).
Nonostante questi fenomeni osmotici tra il diritto tributario internazionale e il
diritto dell’UE è opportuno segnalarne ancora una volta gli importanti tratti
distintivi. Innanzi tutto i contorni della nozione di ‘stabilimento’ determinata
ai fini dell’applicazione dell’omonima libertà, possono non coincidere con
quelli della ‘stabile organizzazione’, come si vedrà più in dettaglio nel punto
seguente. Inoltre, il diritto dell’UE, grazie soprattutto agli innumerevoli
interventi interpretativi della Corte di giustizia, può contare su un principio di
‘non discriminazione’ dalla portata ben più ampia di quella prevista dal
diritto tributario internazionale (29) e di questa evoluzione giurisprudenziale
26
Articolo 54 del TFEU.
Evoluzione legislativa descritta nel precedente punto di questo intervento. Si veda
la chiara visione in proposito formulata ante litteram da GARCÍA PRATS, A., El
establecimiento permanente, 1996, 439.
28
Nelle conclusioni di questo intervento si tenterà di indicare come tale influenza
potrebbe addirittura essere rovesciata.
29
Essendo entità non-residenti per definizione, le ‘stabili organizzazioni’ non sono
mai in the same circumstances, in particular with respect to residence ai sensi del
primo comma del Modello OCSE; tuttavia, il terzo comma, specificamente rivolto alle
‘stabili organizzazioni’ attenua notevolmente questa prima esclusione, ma pone a sua
27
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MERCATO UNICO UE E DIRITTO DI STABILIMENTO DELLA STABILE
ORGANIZZAZIONE: OSSIMORO O PLEONASMO?
hanno indubbiamente beneficiato le stabili organizzazioni insediate nell’UE.
Va però precisato che il percorso verso la totale uguaglianza di trattamento
richiesta dalla ‘libertà di stabilimento’ è ancora, in parte, da percorrere e deve
inoltre conciliarsi con altri principi ugualmente riconosciuti come degni di
attenzione da parte del diritto dell’UE (30).
A questo proposito, la Commissione europea ha costantemente rilevato che
certe ineguaglianze di trattamento nelle attività transfrontaliere sono
particolarmente evidenti proprio nel caso delle stabili organizzazioni (31). Il
fatto che la semplice esistenza di una frontiera politica fra la stabile
organizzazione e la sua sede principale abbia come conseguenza - almeno in
certi Stati membri - l’indeducibilità (dagli utili della sede centrale) delle sue
eventuali perdite, crea un ostacolo intollerabile al funzionamento del Mercato
interno. Il fatto, poi, che molti Stati (ognuno a suo modo) vi abbiano, almeno
in parte, posto rimedio non rende il problema meno gravoso, anzi, in qualche
modo ne mette ancor più in evidenza le incongruenze, contribuendo
all’ennesima frammentazione di quello che dovrebbe essere un ‘mercato
unico’. Se, infatti, le perdite delle stabili organizzazioni non possono essere
compensate con gli utili della sede, si può configurare una disparità di
trattamento rispetto a