Bacco e Venere riducono l’Ue in cenere / 18.04.2017 di Orazio Martinetti La fabbrica degli stereotipi non chiude mai. L’ultima provocazione è uscita dalla bocca del ministro delle finanze olandese nonché presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, il quale – in un’intervista alla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» (FAZ) – ha rinfacciato ai paesi latini di sperperare i fondi ricevuti dalla Banca centrale in alcol e donne («Schnaps und Frauen»). La sortita ha naturalmente sollevato un polverone. Siccome le notizie subiscono spesso distorsioni ed esagerazioni prima di arrivare al destinatario, siamo andati direttamente alla fonte. Ecco quanto il ministro ha effettivamente dichiarato alla FAZ lo scorso 20 marzo: «Durante la crisi dell’euro gli Stati nordici dell’eurozona si sono comportati in modo solidale nei confronti dei paesi in crisi. Come socialdemocratico ritengo la solidarietà estremamente importante. Ma chi la esige ha anche doveri. Io non posso spendere tutti i miei soldi in alcol e donne e poi pretendere un sostegno. Questo principio vale sia sul piano personale, locale, nazionale, sia, appunto, sul piano europeo». Come si vede, Dijsselbloem non fa nomi e nemmeno cita paesi (Grecia, Italia, Spagna…), ma il senso è chiaro: ancora una volta l’Unione deve fare i conti con la neghittosità dei paesi-cicala, mentre le formiche nordiche sputano sangue per mantenere quei lazzaroni di meridionali. Che non solo oziano, ma si danno ai piaceri della vita usando il denaro altrui. Due parole senz’altro poco eleganti hanno riportato alla luce una frattura le cui radici risalgono perlomeno all’età moderna e alla Riforma di Lutero e Calvino. Il celebre studio di Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, è stato mille volte contestato, ma va riconosciuto che rimane fondamentale per comprendere le dinamiche economiche continentali dal tardo Medioevo in poi. Altrimenti non sarebbe possibile capire come mai, nonostante sussidi, sovvenzioni, piani di sviluppo, il cigolante carro mediterraneo continui ad arrancare dietro la locomotiva tedesca, imperniata sulla «Leistung» e sul risparmio. Già Kant, nel 1798, sosteneva che il carattere tedesco si riassume nei concetti di diligenza, ordine, pulizia, senso del dovere. Caratteristiche (per alcuni: virtù) che la teoria economica del secondo dopoguerra ha condensato nell’«ordoliberalismo», formula che invitava gli attori presenti sulla scena – padronato, amministrazione statale, sindacati di categoria – a collocarsi in un quadro generale definito come «economia sociale di mercato». Per conseguire gli obiettivi era necessario che tutti questi attori collaborassero nella cornice giuridica definita dalla Costituzione repubblicana. Sul piano etico e comportamentale, il modello presupponeva un legame indissolubile tra solidarietà, merito e responsabilità: solo chi dimostrava di impegnarsi poteva, in caso di bisogno, invocare l’aiuto delle istituzioni. Una via condivisa non soltanto dalle forze liberali, ma anche dalla socialdemocrazia. Dal modello economico alle osservazioni sui costumi il passo è breve. Di garrulità traboccano i giornali e le riviste diffuse sia a nord che a sud dell’Europa… disunita. Corrono anche tra le pagine dei rotocalchi della piccola Confederazione, solitamente riluttanti ad avvelenare con chiose maliziose le relazioni tra le regioni linguistiche. Nel 2012 il settimanale «Die Weltwoche» mise in copertina l’immagine di un funzionario romando visibilmente alticcio, un calice di bianco in mano, i piedi sulla scrivania, un reggiseno rimasto tra i classificatori. Titolo: «I greci della Svizzera. Perché i romandi lavorano di meno e incassano rendite più alte». All’interno, il redattore riportava tutta una serie di indicatori comprovanti l’inveterata accidia della Svizzera francese, lo scarso attaccamento al lavoro, l’eccessivo indebitamento dei cantoni (segno di cattiva amministrazione), l’alta percentuale di casi sociali finiti in assistenza, l’amore per il vino e le ragazze (stigma immortale…). Ce n’era anche per i connazionali del Sud, stessi vizi, stessi difetti, con in più la pericolosa abitudine di guidare in stato di ebbrezza. Anche quel numero fece scalpore, ma su quel terreno era difficile contestare le cifre. Da quando esistono i rilevamenti, i cugini latini conseguono risultati inferiori alla media nazionale. Fino a che punto tale permanente ritardo è riconducibile a fattori culturali, religiosi, morali? A tare ereditate dal passato (vassallaggio)? A scelte politiche sbagliate o discriminatorie? Rispondere a queste domande non è certamente facile, nemmeno per il più ferrato storico dell’economia o delle mentalità. In conclusione ci piace ricordare come un pubblicista svizzero tedesco descrisse nel 1915 la classica figura del politicante ticinese: «Per esercitare la professione di politico bisogna portare con sé la seguente attrezzatura: una lingua sciolta, una gesticolazione teatrale, un rapido movimento delle pupille, una cartelletta gialla e tutto il denaro che serve per mantenere a galla un giornale. È uno sport caro, ma sempre sport è».