Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA __ SOMMARIO Comitato d’onore 7 Lo Spirito di Lugano The Spirit oh Lugano 12 16 Gaëlle Le Gallic Mondanità della musica 20 Audiences and Higt Society 22 Carlo Piccardi Programmi 28 Artisti 68 5 __ COMITATO D’ONORE Giorgio Giudici Sindaco della Città di Lugano, Presidente della Fondazione Lugano Festival, Presidente del Comitato d’Onore Fabio Amadò Presidente di Lugano Turismo Francesco Bolgiani Presidente della FOSI (Fondazione dell’Orchestra della Svizzera Italiana) Guy Gremper Copromotore dell’iniziativa Alfredo Gysi Presidente della Direzione Generale di BSI SA e copromotore dell’iniziativa Dino Balestra Direttore regionale della RTSI DIREZIONE ARTISTICA Martha Argerich Carlo Piccardi Jacques Thelen consiglieri COMITATO ORGANIZZATIVO Carlo Piccardi - Coordinamento Giorgio Righetti - Finanze Daniela Alberti - Amministrazione Lucia Albertoni, Tiziana Pacchioni, Jeannette Battegay - Segretariato Lilo Pelloni - Vendita Pietro Antonini - FOSI Giuseppe Clericetti - RSI Rete Due BSI - Comunicazione e PR Danilo Prefumo Testi Harvey Sachs Traduzioni Adriano Heitmann Alix Laveau Fotografie 7 __ 9 Lugano e la Fondazione Lugano Festival hanno il piacere di salutare per la settima volta Martha Argerich e gli artisti partecipanti al Progetto a lei intitolato e ormai diventato un emblema della nostra città. “Live from Lugano Festival -Martha Argerich and Friends”: da sette anni EMI Music così intitola il cofanetto discografico periodicamente pubblicato sulla base delle registrazioni che la Rete Due della Radio Svizzera di lingua italiana effettua regolarmente alla nostra manifestazione. Due volte, nel 2005 e nel 2006, queste produzioni hanno ottenuto la “nomination” ai Grammy Awards di Los Angeles portando il nome di Lugano al centro dell’attenzione del mondo musicale internazionale. Un altro disco, realizzato con le registrazioni effettuate nell’ambito del Progetto Martha Argerich, non solo è stato “nominato” lo scorso novembre dal “BBC Music Magazine”, ma in aprile ha ottenuto dalla prestigiosa rivista musicale inglese il premio per la categoria “opere orchestrali”, dove la grande pianista ha trascinato alla vittoria l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Alexander Vedernikov nel Concerto op. 35 per pianoforte, tromba e orchestra di Dmitri S ostakovic, portando in primo piano non solo una manifestazione che si svolge nella nostra città ma anche un complesso che a Lugano ha la sua radice storica. Tanto più significativo è questo premio quanto più è spontaneo, venendo dal pubblico chiamato a votare attraverso internet, in questo caso da una giuria di 80 mila persone. Ce n’è abbastanza per affermare che Martha Argerich è diventata l’ambasciatrice di Lugano nel mondo, funzione non solo maturata in forma indiretta attraverso l’effetto moltiplicatore del suo nome abbinato a quello della nostra città, ma anche in forma programmatica com’è stato il caso, lo scorso mese di marzo, dei due concerti alla Salle Pleyel di Parigi, in cui ha riunito alcuni artisti regolarmente presenti al suo Progetto esibendosi sotto il cappello di Lugano Festival, nella stessa originale formula collaudata nella rassegna da lei animata alla nostra latitudine, del collettivo che riunisce nello stesso concerto stelle di prima grandezza e giovani promesse del concertismo. La nostra gratitudine nei suoi confronti è quindi doppia, innanzitutto per il fatto di arricchire la nostra scena culturale con un programma concertistico vasto ed originale, riservandoci il privilegio di godere costantemente del frutto inestimabile della sua arte interpretativa e di quello dei musicisti sempre più numerosi radunati intorno a lei; secondariamente per avere unito alla sua l’immagine di Lugano, la quale si augura di poterla accogliere ancora per molto tempo, più che ospite ormai come “cittadina”. For the seventh time, Lugano and the Lugano Festival Foundation take pleasure in greeting Martha Argerich and the other artists participating in the Progetto that bears her name and that has become an emblem of our city. For seven years, EMI Music has periodically published albums entitled “Live from the Lugano Festival – Martha Argerich and Friends”, taken from recordings that Rete Due of the Radio Svizzera di lingua italiana (RSI) regularly makes during these events. Twice – in 2005 and 2006 – these albums have been nominated for Grammy Awards at Los Angeles, thus bringing Lugano’s name to the attention of the international musical world. Another CD containing recordings made during the Progetto Martha Argerich was not only nominated by “BBC Music Magazine” last November: this past April, the prestigious British magazine awarded it the prize in the “orchestral works” category, with the great pianist leading the Orchestra della Svizzera italiana, conducted by Alexander Vedernikov, to victory in Dmitri Shostakovich’s Concerto for piano, trumpet and orchestra, Op. 35. This focused the spotlight not only on an event that takes place in our city but also on an ensemble with historic roots in Lugano. The prize is all the more meaningful because of its spontaneity, inasmuch as it was the public that voted for it via the Internet; in this case, the jury was made up of 80,000 people. There is more than enough evidence to confirm the fact that Martha Argerich has become Lugano’s ambassador to the world, not only indirectly, through the exponential effect of having her name coupled with that of our city, but also intentionally, as was the case last March, when two concerts at Paris’s Salle Pleyel brought together several artists who regularly take part in the Progetto and who performed under the Lugano Festival banner, using the tried-and-true format of the series to which she gives life here: at each concert, stars of the highest magnitude are brought together with promising youngsters. Thus we are doubly grateful to her, first of all, for having enriched our cultural life with broad, original concert programming that has given us the privilege of continually enjoying the inestimable fruits of her art as an interpreter and of the art of the ever more numerous musicians who gather around her; and secondly, for having blended her image with that of Lugano, which hopes to be able to welcome her again for many years to come – now more as a “citizen” than as a guest. Giorgio Giudici Sindaco della Città di Lugano Presidente della Fondazione Lugano Festival Giorgio Giudici Mayor of the City of Lugano President of the Lugano Festival Foundation __ 11 Si alza il sipario sulla sesta edizione del Progetto Martha Argerich. BSI è fiera di legare il proprio nome a questo progetto che si è consolidato nel corso degli anni assumendo una sua specifica connotazione che lo rendono unico nel quadro delle offerte musicali internazionali. The curtain is rising on the sixth edition of the Progetto Martha Argerich. BSI is proud to be associated with this project, which has grown and taken on special significance over the years to become a unique event in the international music scene. Unico per la straordinaria personalità di Martha Argerich e per il livello di eccellenza degli artisti che lo animano, per l’amicizia che li lega e, soprattutto, per l’atmosfera che accompagna le serate; serate caratterizzate da programmi inconsueti nei quali si alternano un gran numero di musicisti in esecuzioni preziose ed irripetibili preparate appositamente qui a Lugano per il Progetto, lontano dallo stress che caratterizza la loro attività durante le tournée internazionali. It owes its special stature to the extraordinary personality of Martha Argerich as well as to the high standard of the artists, the spirit of friendship that unites them and, above all, the atmosphere of the musical evenings. The concerts have unconventional programmes, created by a great number of musicians. Far removed from the stress of their lives during international tours, these musicians contribute outstanding, unique performances that they have specially prepared for the Project here in Lugano. Unico per quanto Lugano è in grado di offrire ai protagonisti del Progetto; dalla bellezza della nostra regione all’alto livello artistico garantito dall’Orchestra della Svizzera Italiana e, nelle passate edizioni, dal Coro della Radiotelevisione Svizzera; senza dimenticare la competenza e le infrastrutture per le prove, i concerti e le registrazioni offerte dalla Radio della Svizzera Italiana, che ne permette un’ampia diffusione a livello internazionale e una ricca documentazione discografica, premiata addirittura da ben quattro nomination alle due ultime edizioni dei Grammy Awards americani. Per questa edizione sono particolarmente lieto di vedere coinvolti anche la Fonoteca Nazionale Svizzera e il Conservatorio della Svizzera Italiana, due importanti realtà della nostra città. The Progetto is also unique for what Lugano has to offer to those participating, including the beauty of our region and the high artistic standard of the Orchestra della Svizzera Italiana, as well as, in previous years, the Coro della Radiotelevisione Svizzera. Not to mention the expertise and infrastructure we have in place for the rehearsals, the concerts and the recordings offered by Radio della Svizzera Italiana, which ensure that the event has a broad, international audience and that it is comprehensively captured on CD. These recordings have received no fewer than four Grammy nominations. This year I am particularly delighted at the involvement of the Fonoteca Nazionale Svizzera and the Conservatorio della Svizzera Italiana, which are two important institutions of the city of Lugano. Un bel esempio dunque di quanto la nostra regione possa essere attrattiva anche per iniziative di respiro internazionale quando, all’interno di una forte progettualità, riesce a proporre in maniera coordinata ed unita i propri punti di forza e di eccellenza. Un esempio sul quale penso valga la pena di riflettere anche in altri ambiti. In short, the Progetto is a great example of how our region - by successfully promoting its areas of strength and excellence, within a strong planning framework - can also attract initiatives on an international scale. And I believe the Progetto can also act as a model for exploring similar international initiatives in other fields. Alfredo Gysi CEO BSI Alfredo Gysi CEO BSI 12 __ Progetto Martha Argerich __ 13 LO SPIRITO DI LUGANO Da tempo ormai Martha Argerich ha rinunciato alla vita del solista: “solista” deriva da “solo”, e questa solitudine la opprime. A due pianoforti, in formazione cameristica, con orchestra, sì. Da sola, no. È il motivo per il quale ha formato attorno a lei una famiglia artistica senza eguali nel mondo, nella quale coabitano più generazioni. Per esempio a Lugano, città della Svizzera italiana, dove si tiene ogni mese di giugno, dal 2002 ormai, una manifestazione denominata “Progetto Martha Argerich”. Qui, ben lungi da un qualunque spirito scolastico, un nugolo di giovani si attiva e si rivela al pubblico. Sento, da dietro la porta, qualche variazione sconosciuta su un tema noto. È il programma di domani? Martha Argerich : No. Domani ci saranno le Variazioni Diabelli. In origine Anton Diabelli aveva proposto a svariati compositori di comporre delle variazioni sul suo piccolo valzer. L’unico brano conosciuto da tutti è quello di Beethoven, il capolavoro fra tutte. Eppure gli altri compositori, da Czerny a Vorisek, avevano avuto un bel vantaggio su Beethoven, quello di arrivare… in tempo per la pubblicazione! C’erano Hummel, Schubert, il figlio di Mozart, l’allora undicenne Liszt… Le suoneremo tutte e solo alla fine Nicholas Angelich eseguirà le Variazioni Diabelli di Beethoven. Concretamente questo “Progetto Martha Argerich”, anzi, questi progetti, bisognerebbe dire, siccome ce ne sono tre… M. A. : No, qui a Lugano ce n’è uno. Ma nel mondo ce ne sono tre. M. A. : Ah, sì! Anche a Beppu e in Argentina. Si tratta dello stesso progetto? M. A. : Assolutamente no. A Lugano si ritrovano le stesse persone, più qualche faccia nuova ogni tanto. È come una famiglia. Il rinnovamento viene piuttosto dai programmi, dal repertorio, anche dagli incontri. Ma alcuni sono qui dalla prima edizione. Ci sentiamo molto bene, non c’è snobismo, né star system. Ci sono delle star, ma quando arrivano qui non si comportano più come tali. È molto stimolante. Si fa musica, ho l’impressione. La maggior parte dei concerti sono musicalmente validi. È una maniera per Lei di misurare i progressi di questi giovani talenti? M. A. : Misurare? Certamente no! Io non misuro assolutamente nulla. Gli “allievi” potrebbero chiederglielo. M. A. : Non lo fanno. Io ascolto, osservo, ma non misuro. Come reperisce i giovani che entreranno a far parte della Sua famiglia musicale? M. A. : Non è difficile: conosco molti musicisti, molti giovani. Li incontro durante i miei viaggi, oppure vengono loro, così, come càpita. Ieri ho ascoltato una ragazza durante le prove. È la figlia di una signora che suona la celesta nell’Orchestra di Padova. Ecco, è andata così, semplicemente. Le capita di rifiutare? Deve letteralmente crollare sotto le richieste! M. A. : Evidentemente non posso ascoltarli tutti. Già lo faccio tantissimo! Dipende dalla mia agenda e anche dalla mia diposizione del momento. In generale sono molto aperta, o per lo meno ci provo. Il mondo della musica è diventato più difficile per i giovani musicisti di oggi? M. A. : È un problema di giudizio, di chi ti giudica e di chi ti sceglie. Se non sei conosciuto, nessuno ti ingaggia. E se nessuno ti ingaggia, nessuno ti conosce. Ci sono i concorsi, sempre più numerosi, ma questo sistema di selezione non si addice a tutti gli artisti. Dipende da talmente tante cose, da parametri aleatori! Il mondo musicale è incoerente, illogico. Molti elementi ci sfuggono. Anche la vita è così, caotica. È quello che gli dice? M. A. : No. Non sono una specie di mentore che dà consigli. L’abituale gerarchia tra colui che sa e colui che impara qui non esiste. Molti però cercano proprio i consigli. M. A. : Forse. Quelli che non mi conoscono. Ci incontriamo, ci vediamo, ci parliamo, ci ascoltiamo; allora può nascere qualcosa. Quelli che mi conoscono lo sanno e non vengono a chiedermi consigli. Se succede, non so cosa dire; non posso dare un consiglio campato in aria. Tutto dipende da cosa si vuole fare, dalla personalità, dal momento, da ciò che significa essere musicisti oggi. Socialmente è una posizione un po’ strana. Un tempo i compositori suonavano la loro musica, le loro proprie composizioni. Oggi pochi compositori hanno una vita pubblica e pochissimi solisti compongono. Per cui tutti suonano pressoché la stessa cosa, un repertorio registrato e ascoltato migliaia di volte. È molto strano, un po’ artificiale; nel contempo, però, c’è sempre qualcosa di nuovo. Qualcosa come il piacere di condividere la scena con dei giovani musicisti? M. A. : Non solo dei giovani, l’età conta poco. Non ci sono barriere di questo tipo. E poi non tutto ruota solo attorno a me: per esempio Lilya Zilberstein e Maxim Vengerov si sono incontrati qui e ora formano un bel duo. Durante i Suoi studi ha fatto degli incontri simili? M. A. : La prima persona con cui ho suonato tanto a quattro mani è stato Nelson Freire. Lui aveva quattordici anni ed io diciassette. Eravamo molto amici; più che amici: fratello e sorella. Se uno di noi due era invitato a suonare da qualche parte e non aveva voglia di andarci, domandava all’altro, come se fossimo interscambiabili. E poi ho suonato spesso col violinista Ruggiero Ricci e altri. Ha l’impressione che questi giovani musicisti abbiano voglia di ricreare quella fratellanza nella musica da camera che si trovava un tempo fra molti grandi interpreti? C’è chi parla dello “spirito di Lugano”. M. A. : È possibile. Lo spirito è difficile da descrivere. Siamo qui insieme, non prendiamo lezioni gli uni dagli altri. Se ci perdiamo o cominciamo a dubitare, gli altri sono sempre lì, pronti ad aiutarci. Mi piacciono le persone che dubitano. Sono attirata più dalla vulnerabilità che dalla sicurezza. Ciò vale anche quando si suona. Mi piace quando qualcosa sfugge al controllo totale, come un’apertura imprevista. Non mi piacciono le cose fissate una volta per tutte. È molto difficile per me esprimere tutto ciò in teoria. Non penso nemmeno che si debba mai essere soddisfatti perché ciò vorrebbe dire che non si vuole progredire. E poi che cosa significa “essere soddisfatti”? Non lo trovo interessante. Al giorno d’oggi i giovani musicisti hanno una tale pressione sulle spalle… M. A. : Perché “al giorno d’oggi”? Perché dice così? Perché si pone la questione della precarietà del mestiere… M. A. : Ma è sempre esistita! Grandi compositori come Bartók sono morti in miseria. Prokofiev si è sempre sentito in situazione precaria nel suo paese. Pensi a Van Gogh che ha venduto un solo quadro durante la sua vita. E noi, che cosa siamo noi? Degli interpreti, delle persone che vivono abbastanza bene dell’arte degli altri. Lugano non è anche un po’ suonare nel senso ludico del termine (in francese “jouer”,n.d.t.)? M. A. : Lo spero. C’è la natura, qui, che è una tale forza d’ispirazione! È molto bella; possiamo lasciarci pervadere da lei, e quindi riuscire a dimenticare un po’ noi stessi. Ci sediamo al pianoforte, ci buttiamo, tutto è spontaneo. Ma vale anche il contrario: si può trovare la forza di smettere di divertirsi, per concentrarsi senza essere distratti, per esempio per una registrazione. Torniamo ai concorsi. Che cosa pensa di queste grandi gare internazionali? M. A. : Ogni concorso ha la sua caratteristica, ma ne esistono così tanti! Credo almeno quattrocento per i pianisti, con o senza limiti d’età. Al concorso Richter, in Russia, l’età minima è di ventitré anni, ma non vi è età massima. Altrove bisogna avere meno di trent’anni. In ogni caso non si può consigliare a una persona di iscriversi o meno ad un concorso; tutto dipende dalla personalità, dal tipo di preparazione, dalla carriera, da molte cose. Io stessa, quando ero iscritta ad un concorso, dapprima studiavo; solo dieci giorni prima decidevo se ero ben preparata oppure no. Se non lo ero, allora non ci andavo. Nessuno ti costringe. Non è un modo per rodare il proprio repertorio, o per lo meno per allargarlo? M. A. : Certo. E in questo senso sono utili. Sono anche un’occasione per ascoltare altri musicisti e quindi, in un certo senso, per sapere dove ci si situa. Ma bisogna imparare a non soffrire quando si è scartati già alle eliminatorie, e non è così facile. Degli artisti straordinari hanno dovuto affrontare questo problema. Io stessa e Friedrich Gulda, che aveva vinto il primo premio a Ginevra, abbiamo superato delle eliminatorie per il rotto della cuffia, ben dietro molti altri concorrenti, per poi alla fine avere il primo premio. Mi è anche capitato in qualità di membro della giuria: i miei colleghi giurati non volevano che un certo pianista accedesse al secondo turno, ma io ho insistito perché avevo avuto l’impressione che fosse semplicemente incappato in una giornataccia; alla fine ha vinto il primo premio. Molti trionfano in un luogo e sono eliminati al primo turno altrove. In ogni caso la vita incomincia dopo; non bisogna lasciarsi abbattere da una bocciatura. Alcuni si sentono umiliati perché hanno ascoltato un concorrente che proprio non stimano e si dicono: “Suono ancora peggio di quello lì!”, ma non bisogna pensare così. Ci si può sbagliare. La giuria può sbagliare. Un genio può avere un appannamento e un musicista ordinario può essere in stato di grazia: è imprevedibile. Mi ricordo di una giuria nella quale sedeva anche Nikita Magaloff. Ero rimasta impressionata da una ragazza che aveva appena suonato Chopin in una maniera incredibile. L’ho sostenuta, quello Chopin era così maturo, così bello! Ma poi della ragazza non s’è più sentito parlare. Il mistero fu poi chiarito: aveva studiato quel pezzo per due anni, un’ora e mezzo al giorno. In quel pezzo era ineguagliabile, ma per il resto…! Come si riconosce il talento? M. A. : Il talento come nozione generale? O il modo in cui la persona si esprime? O l’agilità, la facilità? O la finezza del fraseggio? O la sonorità? Ci sono tanti modi di aver talento! Ci sono tanti talenti quanti sono i musicisti. Alcuni sono dei virtuosi prodigiosi, altri hanno un senso lirico molto personale… L’artista universale si incontra raramente. Senza contare le attitudini necessarie che non sono sempre percettibili nel modo di suonare: lo spessore umano, la concentrazione, la capacità di lottare contro gli elementi, contro gli imprevisti della carriera, contro i propri limiti… Ciò fa parte dell’istinto? M. A. : Suppongo. Non lo so. Eppure le qualità che riposano sull’istinto sono poco considerate. Per esempio non si incitano molto i giovani pianisti a improvvisare… M. A. : È un gran peccato. A Lugano c’è una giovane pianista venezuelana che si chiama Gabriela Montero: una straordinaria improvvisatrice. Bisognerebbe dare molta più importanza a questo aspetto del mestiere nei conservatori, perché dà una libertà e una gioia straordinarie. Io non so farlo. Improvviso quando sono sola, ma non potrei mai farlo in pubblico. Gabriela ha avuto ragione a spingermi, ma non so. Ciò che mi fa piacere, per contro, è che la maggior parte dei musicisti che vengono qui hanno sviluppato questo talento. Per esempio i pianisti Alejandro Petrasso o Alexis Golovin, il violinista Geza Hosszu-Legocky sono tutti degli improvvisatori meravigliosi. È forse una maniera di sfuggire all’ossessione delle note scritte? M. A. : Sicuramente, ma l’improvvisazione è anch’essa una scrittura. L’istinto non basta: bisogna avere delle vere conoscenze. Non si improvvisa il jazz come la musica zigana; ma è pur vero che certe tecniche si acquisiscono solo per trasmissione orale. L’accompagnamento, in tutti i sensi, dei giovani musicisti è proprio diventato l’orientamento della Sua vita. M. A. : In un certo senso sì. Qui, a Bruxelles, o altrove. Ma non accompagno veramente: sono semplicemente presente. Vengono a studiare da me e non con me. Non insegno, non sono nemmeno sempre lì. Non impongo nulla a nessuno. “Insegnamento” è una parola che non Le piace. M. A. : Né la parola, né il concetto. Ci vogliono disciplina, costanza, orari fissi, disponibilità. Ci sono insegnanti formidabili, molto richiesti perché hanno una concezione particolare di certe opere. Io non voglio essere così; penso che lo scopo 14 __ Progetto Martha Argerich __ di un insegnamento utile sia quello di permettere all’allievo di conoscere sé stesso, non di insegnargli chi è il maestro. Bisognerebbe sdoppiarsi per essere nel contempo qualcuno che mostri e qualcuno che permetta. In generale si è o l’uno o l’altro. Non ha voglia di dare ciò che ha ricevuto? M. A. : Non so se sono in grado di trasmetterlo. Capisce? Non lo so proprio. Ascoltare non è forse già donare? M. A. : Non esattamente. Ma Lei dona il Suo tempo, il Suo ascolto. M. A. : È vero, ma non sono un’insegnante. Creo dei legami di amicizia con tutti questi giovani. È abbastanza naturale. Se posso essere d’aiuto perché me lo si domanda, allora, certamente, vengo in aiuto. Ma non è la cosa più importante. L’importante non lo si può richiedere; ricaviamo una certa qual energia dai nostri scambi reciproci. E ho notato che nella maggior parte delle scuole si tende a trascurare questa energia. In musica, come in tutti gli altri ambiti, la scuola di vita è il fatto di vivere. Credo che sia questo che impariamo insieme. Intervista realizzata da Gaëlle Le Gallic per France Musique in occasione del Progetto Martha Argerich 2006, trascritta ed elaborata da Ivan A. Alexandre. Traduzione dal francese di Silvia Meier Camponovo. (c) “Diapason” n. 547 (5 maggio 2007) (per gentile concessione) Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 15 16 __ Progetto Martha Argerich __ 17 THE SPIRIT OF LUGANO For a long time, Martha Argerich has shunned the life of a soloist. “Soloist” has the same root as “solitude”, and solitude weighs her down. In a two-piano combination, or as part of a chamber ensemble, or playing a concerto – okay. But alone, no. this is why she has created a multi-generational artistic family around her that has no equivalent in the world. For instance, in Lugano, a little Italian Swiss town, every June since 2002 an academy called the “Martha Argerich Project” is held. This is where a swarm of young people works and performs, far from any formally scholastic notions. From behind the door, I hear some new variations on a well-known theme. Is this tomorrow’s programme? Martha Argerich: No, tomorrow there will be the “Diabelli” Variations. At first, Anton Diabelli had asked several composers for variations on his little waltz theme. The only popular score is Beethoven’s – the masterpiece of the bunch. The other composers, from Czerny to Voříšek, had the advantage over Beethoven of having been on time! There were Hummel, Schubert, Mozart’s son, the eleven-year-old Liszt... We are going to play all of them, and only at the end Nicholas Angelich will play Beethoven’s “Diabelli” Variations. In concrete terms, this “Martha Argerich Project” - or should one say “these projects”, since there are three of them... M.A.: No, here in Lugano there is only one. There are three worldwide. M.A.: Ah, yes. In Beppu [ Japan] and in Argentina, too. Is it the same project? M.A.: Not entirely. In Lugano the same people get together, plus some new faces from time to time. It’s like a family. Renewal grows, rather, out of the programming, the repertoire, and also the encounters. But some have been here since the first year. We all feel good, and there is no snobbism or star system. There are some stars, but when they’re here they don’t behave like stars. It’s very stimulating. I have the impression that we’re making music. Most of the concerts are good, musically. Is it a way by which you can measure the progress of these young talents? M.A.: Measure? Certainly not! I’m not measuring absolutely anything. The “pupils” could ask you to do it. M.A.: They don’t. I listen, I observe, but I don’t measure. How do you find the young people who will become part of your musical family? M.A.: It’s not hard: I know many musicians, many young ones. I meet them during my travels, or they may come to me, just by chance. Yesterday, during the rehearsals, I listened to a girl. She’s the daughter of a lady who plays the celesta in the Orchestra di Padova. You see, that’s simply how it happened. Do you turn people down? You must be completely swamped with requests! M.A.: Obviously, I can’t listen to all of them. I already do a lot of that! It depends on my schedule and also on how I feel at the moment. I’m generally very open, or at least I try to be. Has the musical world become more difficult for today’s young musicians? M.A.: It’s a matter of judgement – who judges you, who chooses you. If you’re unknown, no one engages you, and if no one engages you no one knows you. There are competitions – more and more of them – but that means of selection doesn’t work for all artists. It depends on so very many things, on random parameters! The musical world is inconsistent, illogical. We don’t grasp many of the elements. Life, too, is like that – chaotic. Is that what you tell them? M.A.: No. I’m not some sort of mentor who dispenses advice. The usual hierarchy that separates those who know from those who learn doesn’t exist here. But there are many who are actually seeking advice. M.A.: Perhaps. Those who don’t know me. We meet, we see each other, we talk, we listen to each other; so something can come of that. Those who know me know this and don’t come asking me for advice. When it happens, I don’t know what to say; I can’t pull advice out of the air. Everything depends on what one wants to do, on one’s personality, on the moment, on what being a musician means today. Socially, the position is a bit strange. Time was that composers played their music, their own compositions. Today, few composers lead a public life and very few soloists compose. Therefore everyone plays more or less the same things, a repertoire that’s been recorded and heard thousands of times. It’s very strange, a bit artificial; at the same time, however, there is always something new. Did you have encounters of this sort when you were stud ying? M.A.: The first person with whom I played a lot of four-hand music was Nelson Freire. He was fourteen years old, I was seventeen. We were very good friends; more than friends: brother and sister. If one of us was invited to play somewhere and didn’t feel like going, we asked the other, as if we were interchangeable. And then I often played with the violinist Ruggiero Ricci and others. Do you have the impression that these young musicians ha ve the desire to recreate that brotherhood in chamber music that once existed among many great interpreters? There are those who talk about the “spirit of Lugano”. M.A.: It’s possible. That spirit is hard to describe. We’re here together; we don’t take lessons from each other. If we get lost or begin to have doubts, the others are always there, ready to help us. I like people who have doubts. I’m attracted more to vulnerability than to security. The same is true when one plays. I like it when something is not totally under control, when there is an unforeseen opening-up. I don’t like things that have been settled once and for all. It’s very hard for me to explain all this in theory. Nor do I think that one should ever be satisfied, because that would mean that one doesn’t want to make progress. Anyway, what does “being satisfied” mean? I don’t find it interesting. These days, young musicians feel such pressure on them... M.A.: Why “these days”? Why do you say that? Because the precariousness of the profession is an issue... M.A.: But it’s always existed! Great composers like Bartók died in poverty. Prokofiev always felt that he was in a precarious situation in his country. Think of van Gogh, who sold only one painting in his lifetime. And we – what are we? Interpreters, who live rather well off the art of others. In Lugano, isn’t it also this contact with “playing” in the nonmusical sense of the word? M.A.: I hope so. There is nature here, which is such a source of inspiration! Nature is very beautiful. We can let ourselves be pervaded by it and forget ourselves a little. We sit at the piano, we throw ourselves into what we’re doing – it’s spontaneous. But the opposite is also true. We can also find the strength for not amusing ourselves, for concentrating without being distracted – when we record, for instance. Let’s come back to competitions. What do you think of these big international tournaments? M.A.: Each competition has its own characteristics. But there are so many of them! At least four hundred for pianists, I think. The Richter competition in Russia has a minimum age limit of twenty-three, but there is no maximum age. Elsewhere, you must be under thirty. In any case, one cannot advise someone to enter or not to enter a competition. Everything depends on the personality, on the type of preparation, on the career – on lots of things. When I entered competitions, I would work and then, ten days before, I would decide whether or not I was well enough prepared. If I wasn’t, I wouldn’t go. No one forces you. Isn’t it a means for trying out your repertoire, or at any rate for extending it? M.A.: Yes. In that sense it’s useful. It’s also an occasion for listening to other musicians and so, in a way, to know where you stand. But you have to learn not to suffer if you’re thrown out in the early rounds, and that’s not easy. Some extraordinary artists have had to deal with this problem. I myself, and Friedrich Gulda, my teacher, who had won first prize in Geneva, barely passed the early rounds but went on to win first prize. I’ve also seen this happen as a member of the jury: they didn’t want to let a pianist into the second round; I insisted, because I had the impression that he was simply having a bad day, and he won first prize. Many triumph in one place and are eliminated in the first round elsewhere. In any case, life begins afterwards. One must just pay attention to not allowing oneself to be disheartened by losing. Some feel humiliated, because they heard a competitor they didn’t respect, and they say to themselves: “I’m even worse than that!” One mustn’t think that way. We can be mistaken; the jury can be mistaken. A genius can have a mishap and an ordinary musician can be in a state of grace: it’s unpredictable. I remember a jury that Nikita Magaloff was on, too. I had been impressed by a young woman who had played Chopin incredibly. I was in favour of her; her Chopin was so mature, so beautiful. And she was never heard from again. The mystery was cleared up later: she had worked on that piece for two years, an hour and a half each day. In that piece, she had no equal, but the rest...! How does one recognise talent? M.A.: Talent as a general idea? Or the way a person expres- ses himself or herself? Or dexterity, ease? Or refinement in the phrasing? Or the sound? There are many ways of being talented! As many talents as there are musicians. Some are prodigious virtuosos, others have an individual lyrical sense... One rarely finds a universal artist. Not to mention the requisite abilities that are not always perceptible in the playing: human substance, concentration, readiness to struggle against the elements, against the dangers of a career, against one’s own limitations... Does this depend on instinct? M.A.: I suppose. I don’t know. And yet, the qualities that depend on instinct aren’t given much recognition. For instance, young pianists aren’t encou raged much to improvise... M.A.: It’s really too bad. In Lugano there’s a young Venezuelan pianist named Gabriela Montero - an extraordinary improviser. Conservatories should put much more emphasis on this aspect of the profession, because it’s an incredible freedom and joy. I can’t do it. I improvise when I’m completely alone, but I could never reproduce it in public. Gabriela was right to encourage me, but I don’t know. On the other hand, what makes me very happy is that most of the musicians who come here have developed this talent. For instance, the pianists Alejandro Petrasso or Alexis Golovin and the violinist Géza Hosszu-Legocky: they’re all marvellous improvisers. Is it a way of escaping from an obsession with the written text? M.A.: Certainly, but improvisation is also a form of writing. Instinct isn’t enough: one must have real knowledge. Jazz can’t be improvised in the same way as gypsy music. Some techniques can be acquired only through a sort of oral tradition. Accompanying young musicians, in every sense of the term, is a real direction for your life. M.A.: In a way, yes. Here or in Brussels or elsewhere. But I don’t really accompany. I’m there. They come to me to work, but they don’t work with me. I don’t teach. I’m not even always there. I don’t impose anything on anyone. “Teaching” is a word you don’t like. M.A.: Neither the word nor the deed. One needs discipline, perseverance, schedules, availability. There are remarkable teachers who are much sought after because they have a special conception of specific pieces – which is why they are sought after. But that’s not what I want to be. I think that the goal of a useful sort of teaching is to allow each pupil to get to know himself or herself, not to make it understood who the teacher is. One must be two people: one who shows and one who allows. In general, it tends to be the one or the other. Don’t you wish to give back what you’ve received? M.A.: I don’t know whether I know how to transmit it. Do you understand? I don’t know. Listen, hasn’t it already been given? M.A.: Not so much. You give your time; you listen. M.A.: That’s true, but I’m not a professor. I create ties of 18 __ Progetto Martha Argerich __ friendship with all these young people. That’s natural enough. If I can help because someone has asked me, of course I help. But that’s not the most important thing. The most important thing can’t be ordered. We draw a degree of strength from our exchanges with each other, and I’ve noticed that this power is neglected in most schools. In music as in every other area, the school of life is to live. I think that this is what we learn together. Remarks gathered by Gaëlle Le Gallic (France-Musique), transcribed and put together by Ivan A. Alexandre (c) “Diapason” n. 547 (5 May 2007) (by kind permission) Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 19 20 __ Progetto Martha Argerich __ 21 MONDANITÀ DELLA MUSICA In quanto “arte performativa” la musica dipende dall’interprete, attraverso il cui filtro essa può essere modificata anche considerevolmente nella sostanza del messaggio originalmente inteso dall’autore. Nella fluidità di tale rapporto tuttavia esiste anche un terzo fattore di variabilità, quello del pubblico, il cui mutevole grado di fruizione non incide solo sul destino dell’opera trasmessa ma anche sulla motivazione (e quindi sulle scelte) dell’interprete. Non per niente, nella lingua francese, la prima esecuzione di un’opera è indicata con il termine “création”, ad indicare che il suo momento risolutivo non è quello dell’atto scrittorio bensì quello della sua verifica di fronte al pubblico. Soprattutto oggi, con la moltiplicazione dei vettori di comunicazione della musica (disco, radio, televisione, DVD, internet) l’interprete è sollecitato ad adottare chiavi interpretative di volta in volta focalizzate sulla finalità cangiante del prodotto, dove ad essere messo in gioco non è solo il registro interpretativo adottato nel singolo evento sonoro, ma anche la dimensione acustica della mediazione tecnologica che non è mai neutra. A dire il vero a questo livello, nonostante lo scarso peso dell’autorialità della musica nei tempi antichi (nel senso di dipendere essa essenzialmente dalla relatività della manifestazione sonora) il problema fu già al centro dell’attenzione in epoca rinascimentale, quando il concetto di “musica reservata” mirava a sottrarla al possibile suo uso profanatorio da parte di chi non fosse in grado di apprezzarla. Non esisterebbe infatti la grande tradizione del madrigale senza la corte come luogo che l’aveva posta al centro di un interesse non solo estetico ma anche esistenziale. La nobiltà italiana del XVI secolo, ormai resasi conto della marginalità politica e militare dei propri staterelli incapaci di tener testa ai potenti regni che dominavano l’Europa diresse infatti le proprie energie verso le arti e la cultura, il cui raffinamento, divenendo un obbligo, induceva a garantirne la distinzione. Ne fa stato il Cortegiano di Baldassar Castiglione dove sono illustrati i doveri del gentiluomo proprio al livello di competenze artistiche direttamente arrogate in virtù del suo stato superiore, in forma addirittura esclusiva per quanto riguarda la danza. Ma anche per quanto concerne la musica la sua presenza era circoscritta all’ambiente cortigiano dove veniva praticata come evento qualificante la riservatezza di un mondo che con ciò mirava ad affermare il grado di aristocraticità che vi era connesso. Non furono pochi i casi di operazioni di spionaggio “culturale” intesi a carpire i segreti di maniere esclusive allo scopo di evitare di passare in secondo rango in una competizione al primato artistico da cui dipendeva il rispetto politico. Lo testimonia Alessandro Striggio, inviato nel 1584 dal Granduca di Toscana alla corte estense proprio per riferire sul nuovo stile praticato dal “Concerto delle dame” che, sotto la guida di Luzzasco Luzzaschi, si orientavano già verso la raffinata espressività della monodia, che proprio alla corte medicea avrebbe trovato qualche anno dopo con L’Euridice di Jacopo Peri lo sbocco più clamoroso. Sarebbe perciò assurdo isolare quegli esiti artistici dalla mondanità che fece loro da cassa di risonanza, dalla condizione aristocratica che li qualificava e che ne veniva qualificata. In verità l’evoluzione delle forme musicali e di spettacolo durante tutto l’ancien régime è inscindibile dal rapporto organico di quelle espressioni con la classe sociale detentrice del potere, in grado di gestire le arti in modo monopolistico. Il fatto che in non pochi casi la nobiltà arrivasse ad asservire l’arte alle proprie necessità celebrative non necessariamente produceva opere minori, di scarso rilievo. Il rapporto che strutturalmente legava l’opera al committente essendone la premessa, integrava senza scompensi lo stesso ambito sociale nel messaggio di cui essa era portatrice. Con l’articolazione della società condizionata dall’emergere della borghesia nei decenni precedenti l’800 si giunse al manifestarsi di canali paralleli facenti riferimento a pubblici diversi ed alternativi. L’opera buffa che guardava verso le classi popolari fu il segno dell’isolamento crescente dell’opera seria arroccata nelle sedi dell’aristocrazia che, con la “querelle des bouffons” a metà del 700 a Parigi (dove la spontanea e sbarazzina cantabilità italiana venne contrapposta al paludato impianto della “tragédie lyrique”), preannunciava lo scontro sociale che sarebbe poi avvenuto con la Rivoluzione. In altra geografia culturale, restia alle scelte radicali, l’evoluzione seguiva vie tendenti all’integrazione delle nuove realtà. È vero ad esempio che Mozart, la cui esistenza di artista emancipato a Vienna (in pratica nella storia il primo libero professionista tra i compositori) lo portò a creare con Die Zauberflöte il modello di Singspiel tedesco mescolandosi tra i popolani del Teatro Auf der Wieden, si compiaceva del proprio successo presso una categoria sociale inferiore, ma nel contempo egli non rinunciava a legare il suo destino alla corte al cui servizio rimase fino alla fine al punto da terminare la propria carriera con La clemenza di Tito, un’opera imperiale per definizione. In verità in ambito asburgico l’alto grado di rappresentatività assegnato alla musica (ancor oggi verificabile nella dimensione risonante di una città come Vienna dove la musica è il collante dell’intera cittadinanza) induceva a cercare la mediazione. Lo evinciamo dalla scena del ballo mascherato al termine del primo atto del Don Giovanni con la simultaneità dei tre livelli: quello del minuetto (la danza aristocratica), quello della contraddanza (danza borghese) e quello dell’allemanda (danza popolare), corrispondenti al diverso stato dei partecipanti all’intrattenimento, dove i contadini al seguito di Masetto si ritrovano con Donna Elvira, Don Ottavio e Donn’Anna. Questo è il paradigma dell’integrazione tra le classi espunto di ogni conflittualità, assecondante il paternalistico governo dell’illuminato Giuseppe II, che precedentemente aveva autorizzato Mozart e il suo librettista Da Ponte a realizzare ciò che si riteneva non osabile, cioè di trasformare in opera Le mariage de Figaro del Baumarchais, vietato alle scene di quasi tutti i teatri per la sua critica del sistema feudale. In verità nessuna opera più delle Nozze di Figaro si pone al di là dell’ancien régime per il fatto di dialogare attraverso le sue forme musicali contemporaneamente con l’aristocrazia e con il nuovo pubblico borghese, che non a caso arriverà ad appropriarsi direttamente di quell’espressione attraverso le riduzioni delle sue arie circolanti in ogni angolo della città, come documentò lo stesso musicista compiaciuto dell’effetto ottenuto a Praga nel 1786 dal successo del suo Figaro, dove persino il suonatore di organetto per guadagnarsi l’attenzione nei ritrovi si sentiva in obbligo di modulare il suo “Non più andrai farfallone amoroso”. Con l’irruzione della borghesia nei teatri e nelle sale di concerto dell’800 avvenne certamente uno spostamento dell’asse evolutivo della musica, di obiettivi estetici dipendenti dalle attese di un pubblico già agente in fondo secondo la dinamica di massa. La spettacolarità del grand’opéra sulla scena e il virtuosismo nel concerto, orientati verso i palati meno sopraffini, determinarono la reazione dell’élite romantica, che scelse di dialogare con la minoranza colta della società lasciando agli artisti moderati il campo libero per servire il gusto salottiero e Biedermeier. Ne fa stato Giuseppe Mazzini nella sua Filosofia della musica (1835) in cui avvertiva il carattere vacuo e divagante di una musica ridotta a “trastullo d’un’impercettibile minorità, alle abitudini venali o frivole che s’impossessano dell’arte sacra”, dove si imponeva chiaramente l’obiettivo dell’elevazione in senso quasi religioso, nella misura in cui non intendeva rassegnarsi ad essere un traguardo privilegiato di minoranza bensì un fine additato all’umanità tutta, nella convinzione “che a rifiorire, la musica ha bisogno di spiritualizzarsi - che a levarla potente, è necessario riconsecrarla con una missione - che a non rovinarla nell’inutile e nello strano è mestieri connettere, unificare questa missione colla missione generale dell’arti nell’epoca, e cercarne nell’epoca stessa i caratteri: in altri termini, farla sociale, immedesimarla col moto progressivo dell’universo”. Iniziava così una battaglia che, nella tensione visionaria carica di utopia, non poteva evitare di produrre strappi per certi versi insanabili. Quando Filippo Filippi, l’autorevole critico della “Gazzetta musicale di Milano” nel suo viaggio oltralpe del 1870 si trovò conquistato dal fascino del modello wagneriano, si rese immediatamente conto che tale esito era possibile date “certe condizioni di luogo, di pubblico e di esecuzione: cioè a dire che ci vuole la Germania, un pubblico coltissimo e dedito all’idealità, e un’esecuzione assolutamente e squisitamente perfetta. Con ciò vengo a concludere che i Meistersinger non è un’opera, almeno per ora, possibile in Italia, [...] perché il nostro pubblico è un pubblico di sensazione e non di riflessione”. v Indipendentemente dalle differenze culturali delle distinte tradizioni europee a questa constatazione soggiaceva la distinzione tra pubblico consapevole e pubblico di poche pretese, che aveva già spinto Robert Schumann a dichiarare battaglia ai “filistei” in nome degli spiriti eletti dei “Fratelli della Lega di Davide” (gli immaginari Davidsbündler). La figura centrale in tale contesto è quella di Franz Liszt, alter ego di Paganini come capacità di accendere l’entusiasmo dei pubblici di ogni parte del continente grazie alle sue indiavolate cavalcate sulla tastiera ma nello stesso tempo cosciente del processo di banalizzazione innescato dai nuovi rapporti. Diversamente dai virtuosi contemporanei, compiaciuti del vasto consenso arriso alle loro sfavillanti esibizioni tendenti ad assecondare l’ascolto edonistico, egli si rese ben presto conto della china degenerante a cui il semplice appagamento dei sensi avviava l’arte. La dimensione trascendentale connessa all’effetto illusionistico della sua abbagliante tecnica pianistica (“trascendentale” fu il termine specificamente prescelto per intitolare i suoi “studi”) gli fece intravvedere la potenza di un messaggio in grado di scuotere le coscienze assopite nella condizione di mediocrità, assegnando all’interprete un ruolo quasi messianico, rivelatore di orizzonti superiori. “Nobilita la banalità, ingrandisce ciò che è piccolo”, disse di lui Busoni, mentre il contatto con la letteratura romantica determinò nel musicista una volontà progettuale che, prima di imporre al pubblico lo sforzo di superare se stesso attraverso l’orgoglio, era cosciente di dover mettere alla prova per primo le proprie individuali capacità: Il mio spirito e le mie dita lavorano come dei dannati: Omero, la Bibbia, Platone, Locke, Byron, Hugo, Lamartine, Chateaubriand, Beethoven, Bach, Hummel, Mozart, Weber sono tutti intorno a me - scriveva nel 1832 all’allievo Pierre Wolf - Li studio, li medito, li divoro con furore; in più per quattro fino a cinque ore mi dedico agli esercizi: terze, seste, ottave, tremoli, note ripetute, cadenze. Ah! Purché non diventi folle, tu ritroverai un artista in me. Nella coscienza del potere di elevazione assegnato all’interprete-compositore, Liszt era quindi predestinato all’incontro con Wagner, ad approdare alla concezione di un’arte dalla portata epica, tesa profeticamente al superamento delle condizioni dell’attualità, ad essere concepita per il pubblico del futuro più che del presente, che nella sua visionarietà implicava una scelta iniziatica di tipo spiritualistico se non propriamente religioso. Rimanendo comunque l’arte un’esperienza radicata nel reale non ci meravigliamo del fatto che tale programmaticità dovesse poi fare i conti con le difficoltà del pubblico di seguire il genio nei suoi ardui traguardi, per cui da una parte esso si divise fra i convinti assertori del nuovo verbo e i fedeli della tradizione in tutte le sue sfumature, e dall’altra si manifestò sempre più accompagnando la preferenza di gusto con atteggiamenti e comportamenti differenziati, con risvolti anche stravaganti di costume che Filippi nel suo periplo in Germania documentò sagacemente: I wagneriani puri hanno lunghi i capelli, scarmigliati molto, la barba lunga, prolissa, incolta, le unghie lunghe ed anche incolte: i lisztiani invece hanno la chioma lunghissima, ma con la discriminatura ben fatta, diritta, ed i capelli arrotondati con civetteria dietro le orecchie; poi , per secondare le velleità pretine del celebre abate, tengono raso il viso d’ogni minimo pelo, e portano possibilmente gli occhiali; quei volti serafici sono così lindi, puliti, levigati, da far supporre che il rasoio vi passi sopra almeno due volte al giorno; alcuni, a cui il pelo vorrebbe escire per forza, hanno le guance tutte azzurrognole e lucide pel recente sapone. I devoti a Liszt hanno anche una gran cura delle loro mani, e, come fa talora il maestro, le fanno vedere alzandole in atto di apostolica benedizione. Alle ore sette precise, cioè col sole ancora al disopra dell’orizzonte, tutti ci precipitammo in teatro: io ero un po’ soddisfatto di me, parendomi di essere nel giusto mezzo fra Wagner e Liszt, cioè coi capelli abbastanza lunghi, col viso abbastanza provvisto d’un tenue decoro maschile, colle mani pulite e niente affatto apostoliche! Il teatro in un attimo fu pieno, da non starci più un grano di miglio: le signore superavano quasi in quantità gli uomini, come si dimostrarono poscia più esaltate e appassionate, In generale le donne dell’avvenire sono, come devono essere, giovani e belle, e, all’inverso degli uomini, tengono i capelli castamente raccolti sulla nuca; solamente qualche eccentrica lascia cadere un diluvio di trecce, così disordinate ed incolte che non si può nemmeno dubitare della loro autenticità. Tale resoconto ironico fa stato di una realtà differenziata dove da una parte è confermata la realtà della musica come espressione inevitabilmente radicata nella società da cui riceve la legittimazione, e dall’altra la logica che autonomamente assume il pubblico nelle pose e nei formalismi in cui si atteggiano le sue manifestazioni di consenso e di dissenso nei confronti dell’opera. È evidente che la motivazione che nutre il fruitore nell’atto dell’ascolto non è solo individuale 22 __ Progetto Martha Argerich ma è un atteggiamento che mira a qualificarlo nel contesto sociale. Una motivazione mondana è inevitabile nel momento stesso in cui la comunicazione del fatto musicale si determina in un contesto collettivo, non di singoli ascoltatori prescelti ma di un insieme di persone. Essa si rivela addirittura necessaria nella misura in cui la musica, per attuare i propri progetti, deve reggersi su apparati costosissimi sostenuti dalla collettività, chiamata quindi a fornire le risorse per la loro costituzione. Nella misura in cui tale rapporto poggia su un meccanismo di identificazione e di diretta partecipazione del pubblico la dimensione mondana degli eventi musicali è tutt’altro che da disconoscere. In verità essa riguarda anche le manifestazioni di avanguardia, come dimostra la stagione dei Ballets Russes, fondamentale per la promozione di Stravinsky, Satie, Picasso, Cocteau, ecc., che non avrebbe avuto gli esiti che conosciamo senza il coinvolgimento del milieu aristocratico parigino (Madame Bériza, il Conte di Beaumont, Madame Edmond de Polignac, Madame Jeanne Dubost, il Visconte di Noailles, la Regina di Romania, ecc.), distinto e perfino eccentrico nelle rispettive pose, ma certamente competente e in grado di affermare organicamente la propria predilezione estetica. La mondanità diventa una zavorra quando viene a mancare il rapporto responsabile e partecipativo dell’ascoltatore, per cui gli atti esteriori della sua adesione al messaggio non sono più tesi a sancire la sua identificazione nell’opera, come manifestazione di una scelta, ma piuttosto a proclamare una status symbol, esclusivamente finalizzato (attraverso tale atto) ad affermare un privilegio sociale. In verità non è che le situazioni del passato indicate andassero esenti da tale distorsione, ma il fatto che esse si manifestassero in diretta contemporaneità con le opere che venivano “create” le giustificava in quanto integrate alla stessa prospettiva. Diverso è il discorso relativo all’oggi, dove praticamente tutta la musica proposta nei concerti è quella del passato (più o meno remoto), in una situazione di vero e proprio “museo sonoro” da cui è praticamente espunta la musica contemporanea. Qui le forme della distinzione mondana (che caratterizzano come spettacolo nello spettacolo le prime scaligere, l’accesso selezionato ai grandi festival e simili) sono ormai una realtà dissociata dalla natura dell’evento, che richiederebbe invece un approccio riverente, nel senso non di sovrapporvi una falsa ragione partecipativa ma capace di calarsi nella prospettiva di ciò che l’opera ha significato nel momento in cui è stata concepita. __ stra costituita di esecutori israeliani e palestinesi nei luoghi del tormentato Medio Oriente, o di Claudio Abbado nella sua generosa disponibilità nei confronti della musica contemporanea e più recentemente nel sostegno all’esemplare esperienza delle orchestre giovanili del Venezuela. Con la creazione del “Progetto” luganese Martha Argerich si pone allo stesso livello attraverso una scelta che abolisce la gerarchia del prestigio acquisito, chiamando a collaborare senza distinzione artisti di varie generazioni, di destini consacrati e non, di fama ed esordienti, non disdegnando il ruolo di comprimario alternato a quello del solista, sollecitando l’attenzione del pubblico per il valore intrinseco delle esecuzioni, pubblico al quale non è offerto il pretesto di attribuirsi un merito per la scelta di seguire questa manifestazione più che un’altra. Con questo Lugano, di per sé già in evidenza per la costanza dell’offerta musicale di qualità, è venuta arricchendosi di una proposta singolare, attrattiva per la presenza catalizzatrice di un’artista di importanza mondiale ma gestita con misura, facendo in modo che i riflettori inevitabilmente puntati su di essa portandola alla ribalta della scena internazionale non diventino prevaricanti. Con soddisfazione possiamo affermare che in questa sede si è formato un pubblico che non ha lasciato spazio all’invadenza di spettatori prioritariamente interessati alla sensazione, impedendo che si snaturasse l’equilibrio che si è felicemente instaurato con gli interpreti, pubblico che comunque, in una rassegna essenzialmente fondata sull’intimità della musica da camera, non manca di infiammarsi nei non pochi momenti di intensità espressiva documentati nei concerti degli scorsi anni, preannunciando altrettanto viva partecipazione in quelli che ancora ci attendono. Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Carlo Piccardi In tale contesto è importante il ruolo degli interpreti, tanto più fondamentale quanto più essi si trovano al centro del divismo che non può più essere orientato sui geni indiscussi quali sono Beethoven o Wagner (ormai non più viventi ed inevitabilmente archiviati). Trovandosi essi esposti a forme idolatriche prevaricatrici, si producono i fenomeni di massima distorsione com’è stata recentemente alla Scala l’Aida non di Verdi bensì di Zeffirelli e cose analoghe dovute anche alla commercializzazione dell’evento. C’è quindi una responsabilità dell’interprete nel sapersi collocare in termini corretti nel processo comunicativo dell’opera, con spirito di servizio nei confronti sia dell’autore sia del pubblico. Non tutti sanno farlo, anche se molti sono coscienti del problema, osando scelte antidivistiche come è il caso di Daniel Barenboim nell’impegno profuso nella West-Eastern Divan OrcheFoto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 23 24 __ Progetto Martha Argerich __ 25 AUDIENCES AND HIGH SOCIETY Because it is a performing art, music depends on interpreters who function as filters through which it can be modified, even to a considerable degree, with respect to the substance of the message the composer originally intended to communicate. And there is a third variable, too, within this fluid relationship: the audience, whose level of enjoyment influences not only the fate of the work being communicated but also the motivation (thus also the choices) of the interpreter. There is a reason why the French refer to a work’s first performance as its création; this means that the work’s most decisive moment comes not when the composer finishes writing it but rather when it is first performed before an audience. Today more than ever before, with the proliferation of the means by which music is communicated (CDs, radio, television, DVDs, Internet), interpreters are required to adopt means of interpretation that are determined by constantly shifting objectives. The type of sound needed for whatever technological medium is being used becomes, in its non-neutrality, as important as the type of interpretation adopted for every single sound-event. Yet the truth is that this problem was already central to musical performance during the Renaissance, notwithstanding the relative unimportance in those days of authorial authority, which depended on the specific sound-event. The concept of musica reservata was meant to insure that music would not be profaned by those incapable of appreciating it. In fact, the great madrigal tradition would not have existed without the courts that made it essential not only for aesthetic reasons but also for reasons related to everyday life. By the sixteenth century, the Italian aristocracy was already aware of the marginal political and military importance of the peninsula’s tiny states, which could not keep pace with the powerful kingdoms that dominated Europe; as a result, the aristocrats directed their interests towards the arts and culture, the continuous refinement of which became obligatory and, in turn, to confer great distinction. Baldassar Castiglione, in his classic text, The Courtier, describes what was required of a gentleman with respect to artistic competence by virtue of his superior status. This was especially true of dancing, over which the aristocracy held exclusive sway, but the presence of music, too, was reserved for those who lived at court and who thereby affirmed the high level of their nobility. There were more than a few examples of cultural espionage, with one court trying to steal secrets from another so as not to be bypassed in the competition for artistic primacy: political respectability depended upon it. There was, for instance, the case of Alessandro Striggio, whom the Grand Duke of Tuscany sent, in 1584, to the Este court in Ferrara so that he could report on the new style of Luzzasco Luzzaschi’s Concerto delle dame (Ladies’ concert); these prefigured the refined expressivity of monody, which was to have its most noteworthy exemplar in Jacopo Peri’s L’Euridice at the Medici court a few years later. Thus, it would be absurd to consider those artistic achievements separately from the high society that launched them – from the aristocracy that validated them and that was validated by them as well. The truth is that as long as the ancien régime endured, the evolution of the various musical forms and of the performing arts as a whole was inseparable from their organic relationship to the social class that held the reins of power and that was in a position to run the arts as a monopoly. The fact that the nobility often subjugated art to the need to celebrate its own greatness did not necessarily lead to the creation of minor works or works of little value. The relationship that, by its very structure, bound the work to whomever had commissioned it (and who was, in a sense, its premi- se) also integrated the social situation into the message it sought to communicate, without losing its balance. Parallel channels – different, alternative audiences - developed alongside the emerging middle classes in the decades leading up to 1800. Comic opera, which was aimed at the non-aristocratic classes, was a sign that opera seria was becoming more and more isolated, sheltered within the aristocrats’ homes; in the mideighteenth century, the querelle des bouffons - the contrast of comic opera’s spontaneous, impudent lyricism with the murky structure of the tragédie lyrique - prefigured the social clash that would lead to the French Revolution. In other parts of Europe, less inclined towards radicalism, the tendency was towards the integration of the various new realities. Mozart, for instance, living in Vienna as an emancipated artist (he was, in effect, the first freelance composer), created The Magic Flute, which became the model for the German Singspiel, and he thus mixed with the common people who frequented the Theater auf der Wieden. His success with this lower social category pleased him, but at the same time he maintained his connection with the court and remained in its service to the end of his life; indeed, his last opera, La clemenza di Tito, was an “imperial” opera almost by definition. In reality, under the Habsburgs music enjoyed an important status as a mediator among the social classes, and this can still be seen today in Vienna, where music is the glue that holds all the citizenry together. The situation was evoked by the masked ball scene at the end of Don Giovanni’s first act, with the simultaneous performance of a minuet (the aristocracy’s dance), a contradanza (representing the middle class) and an allemande (a peasant dance); these correspond to the status of the ball’s participants: the peasants following Masetto find themselves with Donna Elvira, Don Ottavio and Donna Anna. This is a paradigm for the non-conflictual integration of the classes in conformity with the enlightened paternalism of Joseph II’s government; the emperor had previously authorised Mozart and his librettist, Da Ponte, to create what had previously been considered too daring: the transformation into an opera of Beaumarchais’s play Le Mariage de Figaro, which had been banned in nearly every theatre elsewhere because it criticised the feudal system. In reality, no opera supersedes the ancien régime as does Le nozze di Figaro with respect to its simultaneous musical dialoguing with the aristocracy and the new middle-class public. It was no wonder that the latter directly appropriated this material through arrangements of the arias that were circulating all over the city: the pleased composer himself described Figaro’s success in Prague in 1786, reporting that even the organ-grinder had to play the aria “Non più andrai farfallone amoroso” in order to get people’s attention in the taverns. In the nineteenth century, the massive entrance of the bourgeoisie in theatres and concert halls led without a doubt to a repositioning of the axis around which music revolved and evolved and to the aesthetic objectives that depended upon the expectations of a public that was in essence already subject to the conditions that governed mass entertainment. The spectacular side of grand opera, in the theatre, and of virtuosity, in the concert hall, was aimed at less-than-refined tastes and caused a reaction among the Romantic elite, who preferred to dialogue with society’s cultivated minority and left more moderate artists free to serve the tastes of Biedermeier-period salons. Giuseppe Mazzini’s Philosophy of Music (1835) bears witness to this situation; it refers to the empty, digressive nature of a type of music that has been reduced to “an imperceptible minority’s game, to the venal or frivolous habits that take hold of sacred art”. The almost religious objective of edification is clear here: music was not to resign itself to being a minority’s privileged goal; its purpose was, rather, to exist for all mankind. Mazzini was of the conviction “that to flower again, music needs to be spiritualised – that to become powerful, it must be re-consecrated to a mission – that in order not to make it ruinously useless and strange, this mission must be connected to and united with the overall mission of the arts of our times, and to seek its nature within the times themselves: in other words, it must be made social, it must identify itself with the progressive movement of the universe.” It was the visionary, tension created by this utopia that gave rise to a battle that could only produce ruptures, some of them permanent. Filippo Filippi, the authoritative critic of the Gazzetta musicale di Milano, travelled north of the Alps in 1870 and was enchanted with Wagnerian ideals, but he immediately recognised that such things were possible only under “certain conditions of place, audience and performance: in other words, one requires a Germany [and] a highly cultivated public dedicated to achieving an ideal, and absolutely, exquisitely perfect performances. From this I draw the conclusion that Die Meistersinger is an impossible opera for Italy, at least for now, [...] because our public thrives on sensation, not on reflection.” Underlying this opinion - apart from the presence of cultural differences among the various European traditions – there was the distinction between an aware public and an undemanding public – a distinction that had caused Robert Schumann to declare war on the “Philistines” on behalf of the elect spirits of the “Brothers of the League of David” (the imaginary Davidsbündler). The central figure in this context is Franz Liszt, alter ego of Paganini, inasmuch as he could fire up the enthusiasm of audiences all over the continent thanks to his diabolical gallops across the keyboard. At the same time, however, Liszt was aware of the process of “banalisation” that was set in motion by this new situation. Unlike other virtuosi of the day, who enjoyed the vast consensus that greeted their exhibitions of brilliant technique (which tended to encourage purely hedonistic listening habits), Liszt quickly became aware of the slippery slope down which art was being thrust by mere sensual gratification. The transcendental aspect of his astonishing piano technique’s magical effect (he even chose the word “transcendental” for the title of the études that he composed) made him recognise the power of a message that was capable of shaking up consciences made drowsy by mediocrity; he bestowed on the interpreter a virtually messianic role, one that could reveal broader horizons. “He ennobled what was banal and enlarged what was small,” Busoni said of him. At the same time, contact with Romantic literature gave Liszt the will to put his own abilities to the test before making audiences take pride in surpassing themselves. “My spirit and my fingers are working like the damned in hell,” he wrote in 1832 to his student Pierre Wolf: “Homer, the Bible, Plato, Locke, Byron, Hugo, Lamartine, Chateaubriand, Beethoven, Bach, Hummel, Mozart, Weber are all around me. I study them, I think about them, I devour them furiously; in addition, I dedicate four or even five hours to exercises: thirds, sixths, octaves, tremolos, repeated notes, cadenzas. Ah! If I don’t go mad, you will find an artist in me.” Aware as he was of the educational power of the composer-interpreter, Liszt was thus practically predestined to encounter Wagner, to approach the concept of an epic art, prophetically aimed at going beyond the conditions that then obtained, conceived mo- re for the future than for the present, and that by its very visionary nature depended upon the spiritual, quasi religious, devotion of its initiates. Yet inasmuch as art is in any case an experience grounded in the real, it is not surprising that such a project had to take into account the difficulty that audiences found in following the genius toward his arduous goals; thus, on the one hand, the public was split between convinced adherents of the new belief and faithful followers of tradition in all its manifestations; and, on the other hand, these segments increasingly demonstrated their respective tastes through very different attitudes and types of behavior, with the sometimes exaggerated side-effects that Filippi documented judiciously during his travels in Germany: “The pure Wagnerites have long, very disheveled hair; long, thick, tangled beards; long, uncared-for fingernails. The Lisztians, on the other hand, have very long manes, but with proper, straight parts, and with the hair flirtatiously rounded behind the ears – and, in support of the abbé’s [Liszt’s] unrealistic priestly ambitions, they shave every last hair off their faces and, if possible, wear eyeglasses; their seraphic faces are so neat, clean and smooth as to convince us that a razor passes over them at least twice a day; some of these faces, on which the hairs try to force their way through, have bluish, shiny cheeks that have recently been lathered up. Liszt’s devotees are also beautifully manicured and, like the master, they often show their hands by raising them in an act of apostolic benediction. At exactly seven o’clock – that is, with the sun still above the horizon – we all rush into the theatre; I was quite pleased with myself, as it seemed to me that I was halfway between Wagner and Liszt - that is, my hair was somewhat long, my face was provided with light masculine decoration, and my hands were clean but not at all apostolic! In an instant the theatre was so full that you couldn’t have squeezed in a grain of millet; there were almost more women than men, and the women quickly demonstrated that they were more fanatical and passionate than the men. In general, the women of the future [the author is satirising Wagner’s term “artwork of the future”] are young and beautiful, as they ought to be, and, unlike the men, they wear their hair chastely bunched on the nape; only a few eccentric women let down a deluge of braids so tangled and unkempt that one cannot doubt their authenticity.” This ironic account bears witness to a twofold reality: on the one hand, music is shown to be inextricably rooted in the society that legitimates its existence; on the other, we see members of an audience assuming attitudes of consensus or dissent with respect to the work that is being performed. It is obvious that the motivation that feeds our observer - who is making use of the opportunity provided by the listening experience - is not only individual: it is also an attempt to describe the overall social context. A motivation connected to high society is inevitable, inasmuch as communication of the music takes place within a collective context; the listeners are not pre-selected individuals but rather a group of people. This motivation is necessary to the extent that musical performance depends upon very costly organisational structures maintained by groups within society that are called upon to provide the resources required for creating these structures. To the extent that this relationship is built upon the public’s identification with and direct participation in these structures, high society’s role in musical events cannot be ignored. In fact, this also applies to avantgarde events, as was the case at the time of the Ballets Russes, 26 __ Progetto Martha Argerich which contributed in fundamental ways to the careers of Stravinsky, Satie, Picasso, Cocteau and others, and which would not have enjoyed such great success without the participation of Paris’s aristocratic milieu - Madame Bériza, Count de Beaumont, Madame Edmond de Polignac, Madame Jeanne Dubost, Viscount de Noailles, the queen of Romania and so on – each distinct from the others and in some cases highly eccentric, but certainly capable of asserting his or her own aesthetic predilections. On the other hand, high society becomes mere ballast when there is no responsible, participatory interest on the listener’s part. As a result, superficial support for the message no longer demonstrates the listener’s identification with the work as a matter of choice; it becomes, instead, the display of a status symbol, with the sole aim of confirming social privilege. The truth is that such distortions existed even in the historic situations referred to above, but the fact that they happened precisely while the works were being created justified them, inasmuch as they shared the same perspective. The situation today is different: nearly all the music heard in concerts is music of the more or less distant past, within what amounts to a real “museum of sound” from which contemporary music has practically been expunged. High society’s participation takes the form of spectacle-within-the-spectacle. The opening night of the season at La Scala, attendance by invitation at major festivals and the like, have become dissociated from the nature of the event itself, which calls for a more reverent approach. This does not mean superimposing a false reason for participating, but rather acquiring the ability to steep oneself in the perspective of the work’s significance when it was conceived. __ proportion, so that the spotlight that inevitably shines upon a woman who is at the forefront of international attention does not lead to an abuse of power. It is with some satisfaction that we can affirm that here, an audience has been created that rejects an invasion of spectators mainly interested in the sensational and that has managed not to disturb the balance that has happily been achieved among the performers. And yet, despite the fact that the series is based essentially on the intimate art of chamber music, this audience has shown great enthusiasm during the many moments of expressive intensity that have been well documented over the last few years. We expect equally vital participation during the events that await us. Carlo Piccardi The role of interpreters is important in this context – all the more so inasmuch as they find themselves the objects of idol-worship that can no longer be directed towards undisputed geniuses like Beethoven or Wagner, who are no longer alive. Interpreters are exposed to exaggerated forms of idol-worship, thus we witness phenomena of enormous distortion, as was recently the case at La Scala with an Aida, not by Verdi but by Zeffirelli, or in similar situations owing to the commercialisation of a given event. Thus the interpreter has a responsibility to occupy the right place within the process of communicating a work; the idea should be to serve both the composer and the audience. Not all of them know how to do this, although many are aware of the problem, as, for instance, Daniel Barenboim, who has lavished so much energy on the West-Eastern Divna Orchestra, made up of Israeli and Palestinian performers from troubled areas in the Middle East, or Claudio Abbado, who has generously dedicated himself to contemporary music and, more recently, has supported the exemplary youth orchestras of Venezuela. By creating her Lugano “Project”, Martha Argerich has placed herself at a similar level by making choices that have nothing to do with hierarchies dependent upon already-acquired prestige; she has invited artists of all generations - well-known and not so wellknown, veterans and beginners - to participate, and she alternates the role of soloist with that of secondary role-player, thereby drawing the audience’s attention to the intrinsic value of a performance. The public is not provided with a pretext for self-congratulation, for having chosen these events as opposed to others. As a result, Lugano, which already offered high-quality musical events on a regular basis, has been enriched by a singular series of events – one that is attractive thanks to the catalyzing presence of an artist of worldwide importance but that is organised with a sense of Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 27 28 __ Progetto Martha Argerich L’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta fu scritta da Čajkovskij su suggerimento di Mili Balakirev, cui fu anche dedicata. La prima esecuzione ebbe luogo, sotto la direzione di Nicolai Rubinstein, il 4 marzo 1870, a Mosca. Balakirev, tuttavia, non ne fu molto soddisfatto, e suggerì a Čajkovskij di mutarne l’introduzione, parte dello sviluppo e la conclusione; la nuova versione, contenente tali modifiche, fu pubblicata nel 1871. Nel 1880, infine, Čajkovskij ritornò per la terza ed ultima volta sul lavoro, riscrivendo completamente le ultime ottanta battute e dando così all’opera la forma definitiva che noi conosciamo. L’Ouverture, che oggi ascoltiamo in una versione per due pianoforti elaborata da Bartolomiej Wasik, si apre con una sorta di ampio corale, cui segue un Allegro in forma sonata nel quale i due temi principali esprimono rispettivamente l’odio mortale tra i Capuleti e i Montecchi e l’amore tragico e appassionato di Romeo e Giulietta. Quest’ultimo tema ritorna anche nella coda, assumendo l’andamento di una desolata marcia funebre. La produzione cameristica di Edvard Grieg è limitata ad un piccolo gruppo di composizione: le tre Sonate per violino e pianoforte, il Quartetto per archi op. 27 e, infine, questa Sonata per violoncello e pianoforte in La minore op. 36, che il musicista norvegese scrisse a Bergen nel 1883. Dedicata al fratello del compositore, John, violoncellista dilettante di buon livello, la Sonata in La minore si articola in tre soli tempi e si apre con un movimento in forma sonata non privo di enfasi, in cui il violoncello assurge spesso al ruolo di assoluto protagonista. Il movimento lento centrale, forse il migliore dell’intera composizione, si basa su una melodia proveniente dalle musiche di scena per il dramma Sigurd Jorsalfar, che Grieg aveva composto nel 1872. Il tempo finale, al contrario, è forse il meno persuasivo dei tre, a causa di una certa monotonia dei temi; ma degno di nota è, senza alcun dubbio, l’intenso recitativo del violoncello posto proprio in apertura del movimento. Edward Elgar scrisse le sue tre più importanti composizioni da camera (la Sonata per violino e pianoforte op. 82, il Quartetto per archi op. 83 e il Quintetto per pianoforte e archi op. 84 oggi in programma) quasi al termine della sua carriera e nel giro di pochi mesi, tra l’estate del 1918 e la primavera del 1919. Il Quartetto e il Quintetto ebbero il loro battesimo pubblico la sera del 21 maggio 1919 alla Wigmore Hal di Londra, ma il Quartetto divenne in breve tempo assai più popolare dell’opera sorella. Articolato in tre solo movimenti, il Quintetto in La minore op. 84 si apre con un Moderato-Allegro riccamente contrastato in cui è quasi impossibile non pensare a Brahms, sia nei momenti di maggior enfasi, sia nei ripiegamenti lirici. Il secondo movimento, Adagio, in Mi maggiore, tutto pervaso da un calmo e autunnale crepuscolarismo. è forse la pagina più personale dell’intera composizione. Conclude il Quintetto un Andante-Allegro ricco nuovamente di suggestioni brahmsiane. Di Dimitri Šostakovič ci restano due soli Trii per pianoforte, violino e violoncello. Il Trio n. 2, op. 67, composto nel 1944 e dedicato alla memoria dell’amico Ivan Sollertinskij, morto all’età di soli 41 anni per un attacco di cuore, è oggi universalmente riconosciuto come uno dei capisaldi della musica da camera del ventesimo secolo. Assai meno noto ed eseguito è invece il Trio n. 1 op. 8, scritto a soli diciassette anni, nel 1923 e formato da un solo movimento. Questo Trio, che Šostakovič dedicò alla sua coetanea Taiana Glivenko, di cui si era innamorato senza successo, fu pubblicato solamente postumo, e sebbene riveli per molti aspetti tutta l’immaturità del suo autore, pure mostra, in nuce, molti degli aspetti che saranno tipici dello Šostakovič maturo, come ad esempio l’alternanza di momenti di disperato e quasi desolato lirismo con improvvisi scatti di umore acre e sovente anche grottesco. __ Tchaikovsky wrote his Romeo and Juliet Overture-Fantasy at the suggestion of Mili Balakirev, to whom the piece is also dedicated. The first performance took place in Moscow on 4 March 1870, under the baton of Nikolai Rubinstein. Balakirev, however, was not very happy with it and suggested that Tchaikovsky change the introduction, part of the development and the ending; the new version, which included those modifications, was published in 1871. Finally, in 1880, Tchaikovsky went back over the work for the third and last time: he completely rewrote the last eighty bars, thereby creating the definitive version as we now know it. We are hearing the overture today in a two-piano version arranged by Bartolomiej Wasik. The piece opens with something akin to a broad chorale, which is followed by a sonata-form Allegro in which the two principal themes express, respectively, the mortal hatred between the Capulets and the Montagues and the tragic, passionate love of Romeo and Juliet. The latter theme comes back again in the coda, where its pace is that of a desolate funeral march. Edvard Grieg’s chamber music output was limited to a small group of compositions: the three sonatas for violin and piano, the String Quartet, Op. 27 and, finally, the Sonata in A minor for cello and piano, Op. 36, which the Norwegian composer wrote in Bergen in 1883. Dedicated to his brother, John, a competent amateur cellist, the Sonata in A minor is in only three movements, beginning with a somewhat emphatic one in sonata form, in which the cello often takes on the role of sole protagonist. The slow middle movement is perhaps the best part of the entire work; it is based upon a melody drawn from the incidental music for the play Sigurd Jorsalfar, which Grieg had composed in 1872. The last movement is, on the contrary, perhaps the least convincing of the three, owing to a certain thematic monotonousness; but the cello’s intense recitative, right at the start of the movement, is without a doubt worthy of note. Edward Elgar wrote his three most important chamber music works (the Sonata for violin and piano, Op. 82; the String Quartet, Op. 83; and the Quintet for piano and strings, Op. 84, which is on today’s programme), towards the end of his career and in only a few months – between the summer of 1918 and the spring of 1919. The quartet and quintet were given their first public performances at London’s Wigmore Hall on the evening of 21 May 1919, but the quartet quickly became much more popular than its sister piece. The three-movement Quintet in A minor, Op. 84, begins with a richly contrasted Moderato-Allegro, in which it is impossible not to think of Brahms in the more emphatic moments as well as in the lyrical passages. The second movement – Adagio, in E Major – is permeated by a calm, autumnal twilight mood and is perhaps the most intimate part of the whole composition. The quintet ends with an Andante-Allegro that is once again rich in Brahmsian hints. Dmitri Shostakovich left only two trios for piano, violin and cello. The Trio No. 2, Op. 67 – composed in 1944 and dedicated to the memory of his friend Ivan Sollertinsky, who had died of a heart attack at the age of only 41 – is generally recognised today as one of the fundamental pieces of twentieth-century chamber music. Much less often played is the single-movement Trio No. 1, Op. 8, which Shostakovich wrote in 1923, when he was only 17 years old. He dedicated this trio to Tatiana Glivenko, who was his age and with whom he had fallen unrequitedly in love; it was published only posthumously, and although in many respects it reveals its author’s immaturity, it also contains, in a nutshell, many of the characteristics that would become typical of the mature Shostakovich, such as the alternation of moments of desperate, almost desolate, lyricism with sudden outbursts of bitter and often even grotesque humour. 09.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI Pëtr Il’ic Čajkovskij (1840-1893) Romeo e Giulietta, ouverture-fantasia op. 77 (versione per 2 pianoforti diBartolomiej Wasík) SERGIO TIEMPO, KARIN LECHNER Edward Grieg (1843-1907) Sonata in la min. op. 36 1. Allegro agitato 2. Andante molto tranquillo 3. Allegro molto e marcato MISCHA MAISKY, MARTHA ARGERICH Edward Elgar (1857-1934) Quintetto in la min. op. 84 1. Moderato-Allegro 2. Adagio 3. Andante LILYA ZILBERSTEIN, DORA SCHWARZBERG, LUCIA HALL, NORA ROMANOFF, JORGE BOSSO Dmitrij Šostakovič (1906-1975) Trio n. 1 op.8 (in un movimento) LILY MAISKY, ALISSA MARGULIS, MISCHA MAISKY 29 30 __ Progetto Martha Argerich __ 10.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO La carriera della compositrice russa Sofia Gubaidulina si è sviluppata quasi tutta negli anni che vanno dalla morte di Stalin (1953) alla caduta del muro di Berlino e al crollo del regime sovietico. Pur avendo vissuto e operato in un periodo estremamente difficile, in cui cauti segnali di rinnovamento convivevano con i retaggi polizieschi dello stalinismo, essa è riuscita ad affermare ugualmente la propria forte personalità e un proprio stile, ed è ormai considerata una delle figure più autentiche ed apprezzate della nuova musica russa. La Ciaccona per pianoforte, della durata è di circa 7 minuti, fu composta nel 1963 ed eseguita per la prima volta a Mosca nel 1966 dalla pianista Marina Midvani, che ne è anche la dedicataria. La breve pagina potrebbe essere più correttamente definita una Fantasia in forma di Ciaccona a causa della sua estrema libertà formale. Il balletto Lo schiaccianoci fu commissionato a Čajkovskij nel 1891. Il compositore cominciò a lavorarvi prima della sua partenza per l’America, e ne riprese la stesura al ritorno dalla tournée statunitense, ultimando la partitura nel 1892. Il balletto completo fu messo in scena per la prima volta al Teatro Marinskij di San Pietroburgo il 6 dicembre 1892, sotto la direzione di Eduard Napravnik e con la coreografia di Marius Petipa e Lev Ivanov. Ispirato ad un adattamento di Alexandre Dumas del racconto Lo schiaccianoci e il re dei topi di E.T.A. Hoffmann, il balletto evoca l’atmosfera fiabesca e infantile della vicenda, che è quella del sogno di una bambina addormentatasi sotto l’albero di Natale. Divenuta rapidamente popolarissima, la musica dello Schiaccianoci è nota anche attraverso innumerevoli adattamenti e riduzioni; la suite e l’arrangimento che ascolteremo nel concerto di oggi sono dovuti al pianista e direttore d’orchestra russo Mikhail Pletnev. Terzultima delle nove Sonate per pianoforte di Sergei Prokofiev, la Sonata n. 7 in Si bemolle maggiore op. 83 fu ultimata nel 1942, ed è senza alcun dubbio la più nota ed eseguita delle opere per pianoforte solo del compositore russo. E’ una composizione in cui tutti i caratteri più salienti del linguaggio prokofieviano – inquietudine, parossismi sonori, profondo lirismo – si fondono e si alternano in una sapiente miscela di effetti che non ha riscontri, per qualità musicale, in tutto il resto della pur ricca produzione pianistica di questo autore . La Sonata è formata da tre movimenti e si apre con un Allegro inquieto che già nel titolo denuncia il suo carattere ansioso e dissonante, ai limiti dell’atonalità. Segue un Andante caloroso dalla cantabilità intensa e vibrante, di carattere più chiaramente tonale; l’ultimo movimento, Precipitato, in un asimmetrico 7/8, è celeberrimo anche come brano a sé, e richiede dall’interprete un impegno fisico e virtuosistico non indifferente Opera esemplare per le sue suggestioni naturalistiche, così care al romanticismo tedesco, le Waldszenen op.82 furono composte da Robert Schumann nel 1848-49, in un momento di particolare vena creativa, e dedicate alla signorina Annette Preusser. Si trattava di un ritorno in piena regola a quel tipo di composizione, formata da una raccolta di piccoli pezzi uniti da un filo conduttore che, in anni precedenti, aveva prodotto alcuni dei massimi capolavori schumanniani, come le Kinderszenen op. 15 o il Carnaval op. 9. Anche nelle Waldszenen il genio visionario di Schumann riesce in effetti a creare pagine indimenticabili, come il delicatissimo n. 3, Einsame Blumen (Fiori solitari), o il misterioso e notturno n. 4, Verrufene Stelle (Luogo maledetto), o lo splendido n. 7, Vogel als Prophet (L’uccello profeta) - che nella sua scrittura sembra già anticipare singolarmente l’impressionismo - fino alla poetica e sognante conclusione del n. 9, Abschied (Addio). La trascrizione qui proposta per clarinetto e pianoforte è un adattamento ricavato da una trascrizione per oboe e pianoforte curato da Wolfgang Renz. The career of the Russian composer Sofia Gubaidulina is located, historically, almost entirely during the years between the death of Stalin (1953) and the fall of the Berlin Wall and subsequent crumbling of the Soviet regime. Although she lived and worked in an extremely difficult period, during which timid signs of renewal cohabitated with a Stalinist police system, she managed nevertheless to affirm her strong personality and her individual style, and she is now considered one of the truest and most admired exponents of contemporary Russian music. The Chaconne for piano, which lasts about seven minutes, was composed in 1963 and performed for the first time in Moscow in 1966 by Marina Midvani, to whom it is also dedicated. This short piece could more correctly be described as a fantasy in the form of a chaconne, thanks to its extreme structural freedom. The Nutcracker ballet was commissioned of Tchaikovsky in 1891; the composer began to work on it before he left for the United States, took up the draft again upon returning from his American journey and completed the score in 1892. The full ballet was first performed at St. Petersburg’s Mariinsky Theatre on 6 December 1892; Edward Napravnik conducted, and the choreography was by Marius Petipa and Lev Ivanov. The ballet, which was inspired by Alexandre Dumas’s adaptation of E. T. A. Hoffmann’s The Nutcracker and the Mouse King, evokes the fable-like, child-like atmosphere of the story, which tells of the dream of a little girl who falls asleep under the Christmas tree. The Nutcracker’s music quickly became highly popular, and it has been arranged and transcribed innumerable times. Today’s concert presents the arrangement made by the Russian pianist and conductor Mikhail Pletnev. Sergei Prokofiev’s Sonata No. 7 in B-flat Major, Op. 83, completed in 1942, is the third-from-last of the Russian composer’s nine piano sonatas and without a doubt the best known and most often played of his works for piano solo. In this composition, all of the most salient characteristics (disquietude, paroxysms of sound, profound lyricism) of Prokofiev’s musical language blend and alternate in a masterly mixture of effects whose musical quality is unlike anything else in all the rest of this author’s rich output for piano. The sonata is made up of three movements, beginning with an Allegro inquieto the very title of which announces its anxious, dissonant, nearly atonal nature. It is followed by an intensely, vibrantly lyrical and more obviously tonal Andante caloroso. The last movement, Precipitato, in asymmetrical 7/8 time, is also famous as a separate piece that demands great physical and virtuosic abilities on the part of the interpreter. Robert Schumann composed Waldszenen (Forest Scenes) – a work typical of German Romanticism, thanks to its naturalistic effects – in 1848-49, during a particularly creative period, and he dedicated it to Miss Annette Preusser. It marked a full-fledged return to the type of composition that was made up of a series of short pieces tied together by a single thread – a type that included some of Schumann’s earlier masterpieces, such as Kinderszenen, Op. 15, and Carnaval, Op. 9. In Waldszenen, too, Schumann effectively succeeded in creating some unforgettable music – for instance, the delicate “Einsame Blumen” (“Lonely Flowers”; No. 3); the mysterious, nocturnal “Verrufene Stelle” (“Accursed Site”; No. 4); the splendid “Vogel als Prophet” (“Bird as Prophet”; No. 7), which seems to anticipate impressionism in a singular way; or the poetic, dreamy concluding piece, “Abschied”(“Farewell”). The transcription heard here is an adaptation for clarinet and piano of Wolfgang Renz’s arrangement for oboe and piano. Sofia Gubaidulina (*1933) Ciaccona Pëtr Il’ic Čajkovskij (1840-1893) Suite da “Lo schiaccianoci” (trascrizione Mikhail Pletnev) 1. Marche 2. Danse de la fée Dragée 3. Intermezzo 4. Danse russe 5. Danse chinoise 6. Pas de deux Sergej Prokof’ev (1891-1953) Sonata n. 7 in si bem. magg. 1. Allegro inquieto 2. Andante caloroso 3. Precipitato YOULIA ZAICHKINA Robert Schumann (1810-1856) Waldszenen op. 82 (trascr. Wolfgang Renz) 1. Eintritt 2. Jäger auf der Laner 3. Einsame Blumen 4. Verrufene Stelle 5. Freundliche Landschaft 6. Herberge 7. Vogel als Prophet 8. Jagdlied 9. Abschied MAREK DENEMARK, YOULIA ZAICHKINA 31 32 __ Progetto Martha Argerich __ 11.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI Allievo di Rimskij-Korsakov al Conservatorio di Pietroburgo, Anton Arenskij visse una vita troppo breve per lasciare un segno distintivo nella musica russa. Ideologicamente più vicino alle concezioni musicali di Ciakovskij che a quelle del “Gruppo dei Cinque”, diede il meglio di sé, nell’ambito della musica da camera, lasciandoci nel Trio con pianoforte op. 32 e nel Quintetto con pianoforte op. 51 due lavori di qualità musicale sicuramente elevata. Il Quintetto op. 51 fu scritto nel 1900 ed è formato da quattro movimenti. Il primo tempo magniloquente e pieno di slancio, evoca alla memoria il primo tempo del Quintetto di Schumann, mentre il successivo Andante con variazioni ha un carattere melodico dalla forte accentuazione russa, anche se a volte sembra inclinare ad un lirismo scoperto di tipo un po’ salottiero. Piacevolissimo è lo Scherzo, amabile e disimpegnato, cui segue, in conclusione, una dotta fuga su un soggetto di ispirazione vagamente barocca. Le Siete Canciones populares españolas di De Falla risalgono al 1915, e possono essere considerate come un manifesto del radicamento della sua ispirazione all’interno della musica popolare iberica. La raccolta propone melodie derivate dal folclore delle diverse regioni spagnole rielaborate all’interno di una creazione affatto originale in cui al pianoforte è affidato un ruolo di assoluto primo piano. Proprio in virtù della sua adesione del canto popolare spagnolo, l’ambito melodico di queste Canciones – sei delle quali vengono oggi proposte in una versione per violoncello e pianoforte realizzata da Maurice Maréchal - non è molto esteso e, di fatto, non supera l’ambito di una sesta. Nell’estate del 1893, il ventenne Sergei Rachmaninov compose la Fantaisie-Tableaux op. 5, in seguito divenuta nota anche col titolo di Suite n. 1. Il titolo originale rende forse meglio conto del carattere specifico di questo lavoro, le cui quattro parti si ispirano ad altrettante poesie di autori diversi. Il primo movimento è infatti una barcarola in Sol minore ispirata a versi di Lermontov; il secondo trae spunto da una citazione da Byron; la terza parte si basa invece sulla poesia Lacrime di Tjutcev, ed evoca il suono delle campane della chiesa di Santa Sofia a Novgorod. La quarta parte fa riferimento ad una poesia di Komjakov, Festa di Pasqua. Tanto profondo conoscitore del repertorio musicale quanto interprete estroso, Ivry Gitlis è noto per la poliedricità della sua esperienza. Ad esempio ha contribuito alla musica per vari film (Un temps pour la mémoire, 1970, Valparaiso, 1971, Mireille dans la vie des autres, 1979, Stradivarius, 1985), dove è apparso anche come violinista (Madame Rosa, 1977, Une mère russe, 1981, Un amour de Schwann, 1984), come insegnante di violino (Les Cachtonneurs, 1998), come attore (Übernachtung in Tirol, 1974, L’Histoire d’Adèle H., 1975, Les Enquêtes du Commissaire Maigret, 1982, Sansa, 2003). Il suo momento più singolare è legato a The Rolling Stones Rock and Roll Circus (1968), in cui appare in mezzo a giocolieri, mangiafuoco, trapezisti, clown, accanto a John Lennon, Yoko Ono, Jethro Tull, gli Who, Eric Clapton, Marianne Faithfull e ovviamente i Rolling Stones. Per lui quindi non esistono confini fra i generi artistici; soprattutto egli ha sempre amato mettersi in gioco e rinnovarsi attingendo ispirazioni anche in espressioni lontane e quasi sconosciute. Fra gli interpreti contemporanei è forse stato uno dei primi a rendersi conto dell’importanza dell’improvvisazione. Tale attrazione per il momento fisico della musica che nasce direttamente di fronte al pubblico l’ha avvicinato al jazz, inducendolo a collaborare occasionalmente con i musicisti di quell’estrazione e ultimamente anche a confrontarsi con le espressioni orientali. Westwind - Eastwind, Incontri ravvicinati e fantasie fra Oriente e Occidente, risultato del confronto artistico stimolante con un pianista jazz e musicista di profonda tradizione giapponese, non mancherà di interrogarci sulla prospettiva delle commistioni stilistiche nell’epoca della globalizzazione. Anton Arensky lived too short a life to have left a distinctive mark on Russia’s musical history. Although he had been a pupil of Rimsky-Korsakov’s at the St. Petersburg Conservatory, he was ideologically closer to Tchaikovsky’s musical way of thinking than to that of “The Five”, and critics are nearly unanimous in declaring that his best work is to be found in his chamber music: the Piano Trio, Op. 32, and the Piano Quintet, Op. 51, are of decidedly fine musical quality. The Quintet, written in 1900, consists of four movements. The first (Allegro moderato) is magniloquent and propulsive, and it brings to mind the first movement of Schumann’s Piano Quintet, whereas the following Andante con variazioni is very strongly Russian in its melodic character, even if it tends at times towards a hearton-sleeve, salon-style lyricism. The delightful Scherzo (Allegro vivace) is amiable and easygoing, and it is followed by a learned fugue (Allegro moderato) – by way of conclusion – with a subject that is vaguely Baroque in tone. De Falla’s Siete Canciones populares españolas date from 1915 and may be considered a declaration of the composer’s artistic credo and of his art’s deep roots in Iberian folk music and in its various manifestations (ancient Mozarabic liturgical chant, cante jondo etc.). Although it does not constitute an actual cycle, this collection offers melodies derived from the folklore of various Spanish regions (Murcia, Asturias, Aragon and Andalusia), re-elaborated within a wholly original creation in which the piano is given a role of absolutely primary importance. Precisely because of their basis in Spanish folksong, the pieces’ melodic ranges are not very extended and do not, in fact, go beyond a major sixth. We are hearing six of them today, in Maurice Maréchal’s arrangement for cello and piano. During a brief holiday in the Kharkov province in the summer of 1893, twenty-year-old Sergei Rachmaninoff composed the Fantaisie-Tableaux, Op. 5, later known as the Suite No. 1. The original title perhaps gives a better idea of the specific nature of this work, the four parts of which were inspired by poems by four poets. The first movement is a barcarole in G minor, inspired by lines of Lermontov; the second takes a Byron quote as its point of departure; the third part is based upon Tyutchev’s poem, Tears, and evokes the sound of the bells of the church of St. Sophie in Novgorod. The fourth and last part makes reference to Komyakov’s poem, Easter Holiday, and uses the same Easter melody that Rimsky-Korsakov adopted in his famous Russian Easter Overture. As profound a connoisseur of the musical repertoire as he is an imaginative interpreter, Ivry Gitlis is known and admired for his career’s many-faceted nature. He has, for instance, contributed to the sound tracks of various films (Un temps pour la mémoire, 1970, Valparaiso, 1971, Mireille dans la vie des autres, 1979, Stradivarius, 1985); in some, he has appeared as a violinist (Madame Rosa, 1977, Une mère russe, 1981, Un amour de Schwann, 1984), but in others also as an actor (Übernachtung in Tirol, 1974, L’Histoire d’Adèle H., 1975, Les Enquêtes du Commissaire Maigret, 1982, Sansa, 2003). The most remarkable occurrence was his appearance among jugglers, fire-eaters, trapeze artists and clowns in The Rolling Stones’ Rock and Roll Circus (1968), alongside John Lennon, Yoko Ono, Jethro Tull, the Who, Eric Clapton, Marianne Faithfull and, obviously, the Rolling Stones. Thus, Gitlis knows no artistic boundaries; above all, he has always enjoyed putting himself on the line and reinventing himself, drawing inspiration even from distant, nearly unknown expressive genres. Among present-day interpreters, he was perhaps the first to become aware of the importance of improvisation. The quality of his interpretations is in itself an indicator of his reliance on extemporising as a means of bringing even the great masterpieces to life. This attraction to the notion of music being born directly before the public has brought him closer to jazz and has induced him to collaborate on occasion with musicians from that world. Recently, he even measured himself against Oriental modes of expression. “Westwind-Eastwind: Close encounters and fantasies between Orient and Occident” – the result of a stimulating artistic confrontation between a jazz pianist and a musician-actor profoundly committed to the Japanese tradition – will not fail to surprise us and to make us question ourselves about the perspective of stylistic cross-pollinations in a period of globalisation. Anton S. Arensky (1861-1906) Quintetto in re min. op. 51 1. Allegro moderato 2. Andante con variazioni 3. Scherzo. Allegro vivace 4. Allegro moderato LILYA ZILBERSTEIN, DORA SCHWARZBERG, LUCIA HALL, NORA ROMANOFF, MARK DROBINSKY Manuel De Falla (1876-1946) Suite populaire espagnole (trascrizione di Maurice Maréchal) da Siete Canciones populares Españolas 1. El Paño moruno 2. Asturiana 3. Jota 4. Nana 5. Canciòn 6. Polo MISCHA MAISKY, LILY MAISKY Sergej Rachmaninov (1873-1949) Suite n. 1 in sol min. op. 5 1. Barcarolle 2. La nuit...l’amour 3. Les larmes 4. Pâques LILYA ZILBERSTEIN, MARTHA ARGERICH Westwind - Eastwind Incontri ravvicinati e fantasie fra Oriente e Occidente IVRY GITLIS, CYRIL BARBESSOL, SHONOSUKE OKURA 33 34 __ Progetto Martha Argerich __ 12.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO Il ciclo pianistico Nella nebbia fu composto da Janáček nel 1912. Il ciclo è formato da quattro brani, e in esso ritroviamo nella sua forma più pura tutti i tratti specifici del tardo stile del compositore moravo. I temi sono di origine popolare, ma il loro trattamento e gli sviluppi che Janáček ne propone finiscono ben presto per stravolgerne il senso. Il primo brano, Andante, in Re bemolle maggiore, presenta una semplice forma tripartita e sembra quasi richiamare, nelle battute iniziali, certe atmosfere debussiane sfumate ed evanescenti. Il secondo, Molto Adagio, sempre in Re bemolle maggiore, inizia anch’esso in maniera calma, ma l’atmosfera tranquilla delle prime battute è spesso turbata da improvvisi sussulti e nervose accensioni, in un continuo trascolorare di emozioni. Il terzo pezzo, Andantino, in Sol bemolle maggiore, è il più breve dei quattro ed ha un carattere delicatemnte lirico, ma con una parte centrale piena di foga. Conclude il ciclo un Presto che, nonostante la tonalità di partenza di Re bemolle maggiore, si svolge quasi costantemente in modo minore. I 12 Studi per pianoforte op. 8 furono portati a termine da Skryabin nel marzo del 1895 (l’autore aveva allora solamente ventitré anni), e sono una delle prime opere in cui la personalità musicale del compositore russo, dopo i primi saggi adolescenziali ancora influenzati da una concezione tardo romantica, acquista consistenza e piena cognizione di sé. Lo Studio n. 2 in Fa diesis minore (A capriccio, con forza) è una pagina di grande complessità ritmica, mentre lo Studio n. 11 in Si bemolle minore (Andante cantabile) ha un carattere sognante e quasi doloroso, non privo di qualche lontana reminiscenza di canti popolari russi. Lo Studio n. 12 (Patetico), ultimo della raccolta, è scritto nell’inusuale tonalità di Re diesis minore, ed è invece una sorta di omaggio a Chopin e all’enfasi magniloquente delle sue Polacche e del celebre Studio op. 10 n. 12. Le due Rapsodie per violino e pianoforte di Béla Bartók risalgono entrambe al 1928, e sono dedicate a due dei più celebri violinisti magiari allora in attività, Joseph Szigeti (la prima) e Zoltan Szekely (la seconda). Sono pagine chiaramente ispirate ai moduli espressivi e stilistici del folclore ungherese, anche se nessuna delle melodie che Bartók vi impiega è di origine realmente popolare, ma va considerata a tutti gli effetti una creazione originale del compositore. La Rapsodia n. 1 op. 86 è formata, esattamente come la Rapsodia n. 2, da un breve movimento lento iniziale (Lassu) seguito da un movimento veloce (Friss) di carattere più brillante. La scrittura violinistica è contenuta nei limiti di una moderata difficoltà, ben lontana dagli ardimenti e dalle asperità delle due Sonate per violino e pianoforte, di sei anni precedenti. La Sonata in La maggiore per violino e pianoforte (che oggi ascolteremo in una versione per violoncello e pianoforte) è l’opera cameristica più equilibrata di César Franck, quella in cui il compositore franco-belga meglio è riuscito a fondere due aspetti non sempre facilmente conciliabili della sua personalità musicale: l’inventiva melodica calda e appassionata, accesamente romantica, e il gusto per le ampie e solide architetture formali. Articolata in quattro movimenti secondo un principio ciclico caro al compositore, la Sonata si apre con un Allegretto molto moderato, in 9/8, di classica impostazione bitematica, ma del tutto privo di sviluppo e ripresa; più incisivo e drammatico è invece il secondo tempo, un Allegro in Re minore, riccamente elaborato in forma sonata. Il terzo movimento, RecitativoFantasia, ha un carattere profondamente espressivo, mentre nel quarto ed ultimo tempo, Allegretto poco mosso, ritroviamo l’atmosfera festosa e serena, e lo slancio appassionato e un po’ ingenuo delle più originali melodie franckiane. Janáček composed the piano cycle In the Mists in 1912. It consists of four pieces and contains all the specific characteristics of the Moravian composer’s late style in its purest form. The themes are of folk origin, but the way Janáček treats them and develops them quickly aims them in a different direction. The opening piece, Andante, in D-flat Major, is in a simple three-part form, and its nuanced, evanescent opening bars almost seem to evoke a Debussy-like atmosphere. The second piece, Molto adagio, also in D-flat Major, likewise begins calmly, but the peaceful atmosphere of the opening bars is often interrupted by sudden starts and nervous contractions – a continuous confounding of emotions. The third piece, Andantino, in G-flat Major, is the shortest of the four; it is delicately lyrical, but with a heated middle section. The cycle ends with a Presto that is almost always in the minor mode, despite the fact that it begins in D-flat Major. Skryabin completed his Twelve Etudes for piano, Op. 8, in March 1895, when he was only twenty-three years old, and they were among the first works in which the Russian composer’s musical personality acquired substance and full selfawareness, following some early, adolescent pieces written under the influence of late Romanticism. The Etude No. 2, in F-sharp minor (A capriccio, con forza), is highly complex, rhythmically, whereas No. 11, in B-flat minor (Andante cantabile) is dreamy, almost sorrowful, and vaguely reminiscent of Russian folk songs. The Etude No. 12 (Patetico) – the last of the group – is in the unusual key of D-sharp minor and is a sort of homage to Chopin and to the magniloquent emphasis of his polonaises and of the celebrated “Revolutionary” Etude, Op. 10, No. 12. Béla Bartók’s two rhapsodies for violin and piano both date from 1928, and they bear dedications to two of the most famous Hungarian violinists who were active at the time: Joseph Szigeti (the first) and Zoltán Székely (the second). These pieces were obviously inspired by expressive and stylistic models drawn from Hungarian folk music, but Bartók’s melodies are not really of folk origin; they must be considered a completely original creation by the composer. The Rhapsody No. 1, like the Rhapsody No. 2, consists of a brief, slow opening movement (Lassu) followed by a more brilliant fast movement (Friss). The violin writing in both pieces is kept within the boundaries of moderate difficulty – very distant from the arduousness and harshness of the two sonatas for violin and piano, written in 1921 and ’22. The Sonata in A Major for violin and piano (which will be heard today in a version for cello and piano) is César Franck’s most balanced chamber work – the one in which the FrancoBelgian composer best succeeded in blending two aspects of his musical personality, which he did not always manage to reconcile: warm, passionate, intensely Romantic melodic invention and a taste for broad, solid formal structures. The sonata, whose four movements follow a cyclical form that was dear to the composer, opens with an Allegretto molto moderato in 9/8 time and in classic bi-thematic format, but with no development or recapitulation. The second movement – an Allegro in D minor – is more incisive and dramatic and is in a richly developed sonata form. Profound expressivity characterises the third movement – Recitativo-Fantasia – whereas in the fourth and final movement (Allegretto poco mosso) the atmosphere is festive yet serene, and the passionate, somewhat ingenuous impetuosity is typical of Franck’s most original melodies. Leos Janáček (1854-1928) Nella nebbia 1. Andante 2. Molto Adagio 3. Andantino 4. Presto Alexandr Skryabin (1872-1915) Tre Studi op. 8 1. n. 2 in fa diesis min. 2. n. 11 in si bem. min 3. n. 12 in re diesis min. LILY MAISKY Béla Bartók (1881-1945) Rapsodia n. 1 1. “Lassù” (Moderato) 2. “Friss” (Allegro moderato) ALISSA MARGULIS, LILY MAISKY César Franck (1822-1890) Sonata in la magg. (dall’originale per violino e pianoforte) 1. Allegretto moderato 2. Allegro 3. Recitativo-Fantasia 4. Allegretto poco mosso MISCHA MAISKY, LILY MAISKY 35 36 __ Progetto Martha Argerich Per lungo tempo, si è creduto che la data di composizione dalla Fantasia cromatica e Fuga in Re minore BWV 903 cadesse negli anni trascorsi da Johann Sebastian Bach alla corte di Cöthen (1717 . 1723); secondo studi più recenti, tuttavia, essa andrebbe collocata più verosimilmente negli anni di Lipsia (1723 – 1750). Pubblicata per la prima volta all’inizio dell’Ottocento, l’opera è poi divenuta celebre attraverso le storiche edizioni pianistiche, ampiamente rielaborate, di Hans von Bülow e Ferruccio Busoni. La composizione presenta una struttura bipartita, e si apre con una Fantasia in stile toccatistico caratterizzata dall’estrema audacia delle concatenazioni armoniche, che sfocia poi in un drammatico Recitativo, di esplicita ascendenza vocalistica. A fare da contrappeso alla delirante libertà armonica della prima parte giunge poi una Fuga a tre voci, in cui la scrittura cromatica appare come imprigionata in una struttura di granitica compostezza, quasi a celebrazione di un rinnovato equilibrio musicale. Liszt trascrisse e arrangiò per pianoforte solo numerose composizioni di Franz Schubert, testimoniando così nel modo più diretto e sincero la sua ammirazione per lo sfortunato collega, morto a soli 31 anni nel 1828. Tra le trascrizioni lisztiane, che devono essere considerate vere e proprie ricreazioni personali, particolare attenzione meritano gli arrangiamenti pianistici di ben 56 Lieder (due dei quali proposti in due differenti versioni), tra cui spiccano l’intero Schwanengesang e 12 dei 24 Lieder della Winterreise. Ständchen (Serenata), su testo di Ludwig Rellstab, è per l’appunto il Lied n. 4 dello Schwanengesang D 857, che Schubert compose negli ultimi mesi della sua vita, portandolo a termine nell’autunno del 1828. L’arrangiamento pianistico di Liszt fu pubblicato per la prima volta, insieme con quello degli altri 13 Lieder della raccolta, nel 1840, ed è certamente una delle trascrizioni lisztiane più famose e riuscite. Autentica opera-manifesto del pianismo romantico e degli ideali artistici professati da Schumann nella Neue Zeitscrift für Musik da lui fondata, le Davidsbündlertänze op. 6 sono una raccolta di 18 piccoli pezzi, ciascuno dei quali perfettamente autonomo, che videro la luce in due distinti fascicoli nel 1837. Com’è noto, i “Fratelli di Davide” erano una lega immaginaria che esisteva solo nella mente di Schumann, impegnata combattere una lotta perennemente impari contro il Golia del filisteismo musicale, rappresentato dagli ideali di un vuoto e accademico formalismo cui i romantici risolutamente si opponevano. Tra i diciotto brani della raccolta prevalgono come di consueto quelli in tempo veloce, talora caratterizzati da una nevrotica insistenza ritmica o da una fantasiosa bizzarria. Ma sono soprattutto quelli in tempo lento, come ad esempio i nn. 2 (Innig), 11 (Einfach), 14 (Zart und singend) e 17 (Wie aus der Ferne), a contenere forse i momenti di più profonda e toccante poesia. Paul Frankenburger nacque a Monaco nel 1897, e nel capoluogo bavarese compì i propri studi musicali, dedicandosi in maniera definitiva alla composizione a partire dal 1931. Nel 1933, all’avvento del nazismo, si rifugiò in Palestina, e fu lì che assunse il nome ebraico di Paul Ben-Haim. L’arrivo in Palestina ebbe un’influenza significativa anche sulle sue concezioni musicali, che da quel momento in poi risultano fortemente influenzate dalla musica popolare della Palestina e dello Yemen, nel segno, tuttavia, di un sostanziale eclettismo compositivo. I Cinque pezzi op. 34 furono composti nel 1943, e si aprono con una Pastorale in cui Ben-Haim riprende il motivo del movimento iniziale della sua Seconda Suite per pianoforte (1936). La Toccata ricorda invece da vicino l’omonimo pezzo del Tombeau de Couperin di Maurice Ravel, mentre strutture modali e pentatoniche riconducibili alla musica popolare ebraica sono ravvisabili nell’Intermezzo. __ It was long believed that the Chromatic Fantasy and Fugue in D minor, BWV 903, was composed during Johann Sebastian Bach’s years at the court of Anhalt-Cöthen (171723), but according to more recent research it more likely dates from his Leipzig years (1723-50). First published early in the nineteenth century, the work later became famous thanks to the historic, heavily arranged piano versions by Hans von Bülow and Ferruccio Busoni. The composition, which is in two-part form, begins with a toccata-like fantasy that is noteworthy for the extreme audacity of its harmonic combinations; it flows into a dramatic recitative that is explicitly vocal in nature. A three-part fugue then counterbalances the frenzied harmonic freedom of the first part: its chromaticism seems almost to be imprisoned in a structure of granitic composure, as if in celebration of this return to musical equilibrium. Liszt transcribed and arranged for solo piano many of Franz Schubert’s compositions, thus testifying in the most direct, sincere way to his admiration for his unfortunate colleague, who had died in 1828 at the age of only 31. Among Liszt’s transcriptions – which must be considered actual personal re-creations – the piano arrangements of 56 lieder (two of which exist in two versions each) deserve special attention, and among these the whole Schwanengesang set and twelve of the 24 Winterreise lieder particularly stand out. “Ständchen” (Serenade), a setting of a text by Ludwig Rellstab, is the fourth number of the Schwanengesang, D. 857, which Schubert composed during the last months of his life and completed in the autumn of 1828. Liszt’s piano arrangement of it was first published in 1840, along with the other thirteen lieder of the set, and it is undoubtedly one of Liszt’s best, and best-known, transcriptions. The Davidsbündlertänze, Op. 6, are a collection of eighteen short, perfectly autonomous pieces that first saw the light of day in 1837, in two published instalments. The work was a real manifesto of Romantic pianism and of the artistic ideals that Schumann proclaimed in the Neue Zeitschrift für Musik – the journal that he had founded. As is well known, “David’s Band” was an imaginary league that existed only in Schumann’s mind and that continually fought an unequal struggle against the Goliath of philistinism, as represented by the ideals of empty, academic formalism to which the Romantics were resolutely opposed. Among the set’s eighteen pieces, those in quick tempos habitually prevail; some display a neurotic rhythmic persistence, others are imaginatively bizarre. But it is in the slow pieces – for instance, Nos. 2 (Heartfelt), 11 (Simple), 14 (Tender and lyrical) and 17 (As if from afar) that the deepest and most touchingly poetic moments are perhaps to be found. Paul Frankenburger was born in Munich in 1897 and completed his musical studies in the Bavarian capital. From 1931 on, he dedicated himself entirely to composition, but in 1933, with the advent of Nazism, he immigrated to Palestine, where he changed his surname to the Hebrew Ben-Haim. His arrival there also significantly influenced his musical ideas, which, from that moment on, were heavily influenced by the folk music of Palestine and Yemen, albeit in a substantially eclectic way. His Five Pieces, Op. 34, composed in 1943, begin with a Pastorale in which Ben-Haim makes use of the motif of the first movement of his Second Suite for piano (1936). The Toccata, on the other hand, is very reminiscent of the piece by the same name in Maurice Ravel’s Le Tombeau de Couperin, whereas in the Intermezzo one can recognise modal and pentatonic sequences taken from Jewish folk music. 13.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO Johann Sebastian Bach (1685-1750) Fantasia cromatica e fuga in re min. BWV 903 Franz Schubert (1797-1828) / Franz Liszt (1811-1886) Ständchen Robert Schumann (1810-1856) Davidsbündlertänze op. 6 1. Lebhaft 2. Inning 3. Mit Humor 4. Ungednldig 5. Einfach 6. Sehr rasch 7. Nicht schnell 8. Frisch 9. Lebhaft 10. Balladenmässig. Sehr rasch 11. Einfach 12. Mit Humor 13. Wild und lustig 14. Zart und singend 15. Frisch 16. Mit guten Humor 17. Wie aus der Ferne 18. Nicht schnell Paul Ben-Haim (1897-1984) Cinque pezzi op. 34 1. Pastorale 2. Intermezzo 3. Capriccio agitato 4. Canzonetta 5. Toccata GILA GOLDSTEIN 37 38 __ Progetto Martha Argerich __ 14.06 - 20.30 - CONCERTO SINFONICO - PALAZZO DEI CONGRESSI Come tutte le opere maggiori di Dimitri Šostakovič, anche il Concerto n. 1 in La minore per violino e orchestra op. 77/99 sembra portare su di sé il peso di contraddizioni espressive e musicali non risolte, ed anzi esplicitamente ostentate. Il concerto fu composto nel 1947/48, in uno dei momenti più tragici delle purghe staliniane, in cui anche Šostakovič era sottoposto ad una feroce campagna denigratoria. La prima esecuzione pubblica ebbe luogo, non a caso, solo nel 1955, due anni dopo la morte di Stalin: da qui i due diversi numeri d’opus che lo contraddistinguono, uno relativo al periodo in cui fu composto, il secondo (e definitivo) riferibile invece all’epoca della sua pubblicazione. Il Concerto è formato da quattro movimenti, e si apre con i desolati paesaggi del Notturno, cui fanno seguito uno Scherzo tutto pervaso di umori grotteschi, una Passacaglia ove domina invece un disperato e commosso lirismo ed infine un Burlesque in cui ritornano gli umori acri e grotteschi del secondo movimento. Di Carl Maria von Weber ci restano oggi due Concerti per pianoforte e orchestra (op. 11 e op. 32), che sono però di rarissima esecuzione; miglior fortuna presso il pubblico e presso i solisti ha avuto invece un’altra opera weberiana per il medesimo organico, il Konzertstück in Fa minore op. 79, composto tra il 1815 e il 1821, e liberamente articolato in varie sezione che si susseguono senza soluzione di continuità. Secondo la testimonianza del pianista Julius Benedict, che di Weber era stato allievo, la composizione racconta musicalmente l’ingenua vicenda del ritorno di un crociato dalla terra santa e il suo felice ricongiungimento con l’amata sposa, che a lungo l’aveva atteso nella più profonda afflizione. Al momento della pubblicazione dell’opera, nel 1823, Weber evitò tuttavia di dare alle stampe tale programma, la cui autenticità appare però suffragata dall’autorevolezza della testimonianza di Benedict. Autore di una trentina di brani orchestrali e cameristici, nonché di varie trascrizioni per pianoforte (tra cui la suite dalla Cenerentola di Prokof’ev da lui presentata per la prima volta nel 2002 proprio a Lugano in coppia con Martha Argerich), Pletnev è noto anche come compositore. Egli si caratterizza per il solido mestiere e per l’orientamento verso forme chiare e distinte, come dimostra in particolare la Sinfonia classica (1988). La Fantasia elvetica è nata nel 2006 come omaggio al paese a cui Pletnev si sente legato, in particolare a Lucerna, da lui scelta come domicilio e che volentieri ricorda essere stata la città che ospitò Rachmaninov negli ultimi anni di vita. Dedicata ai pianisti gemelli Sascha e Mischa Manz, tale fantasia si pone sulla linea dei compositori che trovarono ispirazione nel folclore. Così la descrive l’autore: “Nel primo tempo domina l’immagine della natura montana della Svizzera (cascate, ruscelli, mucche e pastori). Il secondo, basato sul canto “Vo Luzärn uf Weggis zue”, corrisponde alla discesa delle greggi dagli alpi fino ad incrociare la festa del carnevale lucernese, in cui si insinua la tristezza del tema di ”Vreneli” trattato in forma di corale. Il terzo tempo è aperto da una polka e si conclude con una parte di bravura dominata da temi che esprimono l’amore per la Svizzera da parte del proprio popolo: l’evocazione di “Es Buur Büebli” e di ”En Schwiizer Knab” si completa con la citazione del salmo svizzero”. Like all of Dmitri Shostakovich’s other major works, the Concerto No. 1 in A minor for violin and orchestra, Op. 77/99, seems to bear a burden of unresolved expressive and musical contradictions that are ostentatiously exhibited. The concerto was composed in 1947-48, during one of the most tragic periods in Stalin’s purges, when Shostakovich, too, was subjected to a ferocious campaign of denigration. It was not by accident that the first public performance did not take place until 1955, two years after Stalin’s death, and this explains why it has two different opus numbers – one from the period in which it was composed, the other (definitive) from the period of its publication. The concerto, which is in four movements, opens with the desolate passages of the Notturno. This is followed first by a Scherzo permeated with grotesque humour, then by a Passacaglia dominated by desperate, moving lyricism and finally by a Burlesque in which the bitter, grotesque humour of the second movement returns. Carl Maria von Weber wrote two concerti for piano and orchestra (Op. 11 and Op. 32), but they are rarely played. Another work by Weber for the same instrumental combination has enjoyed greater popularity with the public: the Konzertstück (Concert Piece) in F minor, Op. 79, was composed between 1815 and 1821 and is loosely divided into various sections that follow each other in a discontinuous way. According to the pianist Julius Benedict, who was a pupil of Weber’s, the composition narrates, musically, the ingenuous story of a crusader’s return from the Holy Land and his happy reunion with his beloved wife, who had long been awaiting him in the greatest anxiety. Nevertheless, when Weber published the work, in 1823, he did not choose to print this “programme”, yet its authenticity seems well founded, thanks to the authoritativeness of Benedict’s testimony. As the author of some thirty orchestral and chamber music pieces as well as various piano transcriptions (among them, that of Prokofiev’s Cinderella Suite, which was first performed in 2002, in Lugano, in duo with Martha Argerich), Pletnev is also known as a composer. His work is characterised by its solid professionalism and by its orientation toward clear, distinct forms, as is especially evident in his “Classical” Symphony (1988). The Fantasia elvetica (Swiss Fantasy) was created in 2006 as an homage to a country with which Pletnev feels kinship, and in particular to Lucerne, where he has chosen to make his home and which, he gladly recalls, hosted Rachmaninoff during his later years. Dedicated to the twin pianists Sascha and Mischa Manz, the fantasy follows the line of composers who drew inspiration from folklore. The composer describes it thus: “Switzerland’s mountainous nature (waterfalls, streams, cows and shepherds) dominates the first movement. The second, based upon the song, “Vo Luzärn uf Weggis zue”, has to do with the herds descending from the Alps until they come upon Lucerne’s carnival festival, into which the sadness of the “Vreneli” theme – treated in chorale form – insinuates itself. The third movement begins with a polka and ends with a bravura section dominated by themes that express the Swiss people’s love of their country: the evocation of “Es Buur Büebli” and “En Schwiizer Knab” ends with a quotation of the Swiss psalm.” Dmitrij Šostakovič (1906-1975) Concerto n. 1 in la min. op. 99 1. Nocturne (Moderato) 2. Scherzo (Allegro) 3. Passacaglia (Andante) 4. Burlesque (Allegro con brio, Presto) DORA SCHWARZBERG Carl Maria von Weber (1786-1826) Konzertstück in fa min. op. 79 Larghetto affettuoso - Allegro passionato, Adagio - Tempo di marcia - Più mosso, Presto giocoso VLADIMIR SVERDLOV Mikhail Pletnev (*1957) Fantasia Elvetica Maestoso - Tranquillo - Tempo di marcia - Andante - Tempo di polka - Più vivo - Allegro MARTHA ARGERICH, ALEXANDER MOGILEVSKY ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA DIR. MIKHAIL PLETNEV 39 40 __ Progetto Martha Argerich __ 15.06 - 18.30 - CONCERTO POMERIDIANO - GRAND HOTEL VILLA CASTAGNOLA Compositore italiano affacciatosi sulla scena musicale negli anni immediatamente successivi alla guerra mondiale, Vittorio Rieti si impose per avere interpretato lo slancio di una generazione uscita dal conflitto rigenerata, che si lasciava alle spalle le vecchie ideologie. La sua musica interpreta la vita moderna dominata dalla tecnica e dal modello ubano nell’attivismo di gesti meccanici e nel dinamismo di una ritmica incalzante, sull’onda delle pratiche dell’avanguardia parigina dal cui carattere sbarazzino e dissacratorio fu spesso influenzato, pur mostrando riverenza verso la tradizione strumentale italiana settecentesca chiamata in causa ad indicare all’arte musicale del Novecento la via di un linguaggio oggettivo scevro di sentimentalismi. Le drammatiche vicende dell’epoca successiva, che, dopo l’introduzione delle leggi razziali fasciste, lo costrinsero all’esilio negli Stati Uniti, non compromisero la sua espressione vitalistica ed essenzialmente serena, fondata sul riconoscimento della forza intrinseca dei valori formali. Lo testimonia la Suite champêtre composta nel 1948 e dedicata al celebre duo pianistico Gold-Fizdale, che prende il nome dal clima pastorale della “Écossaise” che ne costituisce la parte centrale, briosa e popolareggiante. Nella lunga “Bourrée” iniziale l’autore dà sfogo alla sua vocazione costruttivistica attraverso un contrappunto che ammicca al modello bachiano con estro inventivo di spunti melodici, mentre nella “Giga” conclusiva il tocco di italianità è più evidente per il riferimento alla trasparenza e alla spigliatezza delle sonate scarlattiane. La produzione cameristica di Antonín Dvořák è assai copiosa (essa annovera, tra l’altro, 14 Quartetti per archi), ma scarsamente conosciuta ed eseguita, con la sola eccezione di tre opere: il Quartetto “Americano” op. 96, il Quintetto per pianoforte e archi op. 81 e, per l’appunto, il Trio n. 4 op. 90 per pianoforte, violino e violoncello, conosciuto anche come “Dumky–Trio”. Scritto nella tonalità di Mi minore, particolarmente congeniale al compositore boemo (è la stessa tonalità della Sinfonia dal Nuovo Mondo), questo lavoro presenta una forma piuttosto inusuale, in sei brevi movimenti. Sono questi, in effetti, i sei dumky che danno l’origine al titolo, ovvero delle ballate il cui tono può passare rapidamente dalla più profonda malinconia alla gioia sfrenata. L’ispirazione folclorica che pervade tutta la composizione è evidente fin dal primo movimento (Lento maestoso – Allegro), percorso dai ritmi gioiosi di danze popolari, e si ripete in tutti i sei pezzi con una freschezza di accenti e di movenze che non ha forse uguali in tutta l’opera da camera di Dvořák. I materiali musicali di Scaramouche op. 165b per due pianoforti di Darius Milhaud provengono, in gran parte, dalle musiche di scena per la commedia Le medecin volant di Moliere, che il musicista francese aveva composto nel 1937 per il Théâtre Scaramouche di Parigi. Il titolo, che richiama il nome di una delle maschere della Commedia dell’Arte, venne quasi di conseguenza. Solo nel 1939 Milhaud curò un nuovo adattamento della composizione per sassofono (o clarinetto) e orchestra, che tuttavia non riuscì mai ad imporsi – a differenza della versione per due pianoforti – presso gli interpreti. Composta da tre movimenti, Scaramouche si apre con un Vif giocoso e animatissimo, cui fanno seguito un Moderé centrale, in cui un ritmo di siciliana si sposa ad un melodizzare ispirato al blues dei negri americani, e una Brasileira (Milhaud aveva vissuto per diverso tempo in Brasile) che risuona come un samba festoso e ricco di sincopi. Vittorio Rieti, an Italian composer who appeared on the musical scene in the immediate post-First War years, was noteworthy for having energized a generation that had emerged from the war as if reborn and that had abandoned old ideologies. His music gave voice to the technological and urbanoriented aspect of modern life; it was based on mechanical movements and on the dynamism of driving rhythms, and it was often influenced by the cheeky, irreverent side of the Parisian avant-garde. On the other hand, it also demonstrated devotion to the eighteenth-century Italian instrumental tradition, wich was called upon to help point the way towards an objective, unsentimental twentieth-century musical language. The dramatic events of the following period, and specifically the fascist government’s racial laws, force Rieti to seek exile in the United States, but his vital, basically tranquil mode of expression, based on the recognition of intrinsic power of formal considerations, remained untouched. The Suite champêtre of 1948 (dedicated to the famous duo-piano team Gold and Fizdale), bears witness to his fact: it takes his name from the pastoral atmosphere of the lively, folk-like Écossaise that is its middle. In the long, opening Bourrée, the composer gives vent to his constructivist side by employing a type of counterpoint that flirts with Bachian style via the inventive spirit of the melodic voices, whereas in the final Giga the Italian touch is more obvious, thanks to traces of the transparency and ease of Scarlatti’s sonatas. Antonín Dvořák’s chamber music output was highly abundant (it includes fourteen string quartets, among much else), but it is little known and infrequently performed – with the exception of three works: the “American” String Quartet, Op. 96; the Quintet for piano and strings, Op. 81; and the Trio No. 4 for piano, violin and cello, Op. 90, also known as the “Dumky” Trio. Written in the key of E minor, which was particularly congenial to the Bohemian composer (it is also the key of his “New World” Symphony), this work is in a rather unusual, six-movement form. In effect, these are the six short dumkys that give the work its name: the dumky is a ballad that can go quickly from the deepest melancholy to the most unrestrained joy. The folkloristic element that pervades the entire composition is immediately audible in the first movement (Lento maestoso – Allegro), which is filled with joyous folkdance rhythms, and that element is repeated in all the other pieces with a freshness of tone and of movement that perhaps has no equal in any of Dvořák’s other chamber works. Much of the musical material of Darius Milhaud’s Scaramouche, Op. 165b, for two pianos, originated with the incidental music to Molière’s comedy Le Médecin volant, which the French composer had written in 1937 for Paris’s Théâtre Scaramouche. The title, taken from the name of a commedia dell’arte figure, was a logical consequence. Not until 1939 did Milhaud produce a new arrangement of the piece for saxophone (or clarinet) and orchestra, but it did not take hold among performers – unlike the version for two pianos. The first of Scaramouche’s three movements is a joyous, high-spirited Vif (lively), and it is followed first by a Modéré middle movement, in which a siciliana rhythm is blended with a tune inspired by African-American blues, and then by a Brasileira (Milhaud had lived for some time in Brazil) that resounds like a festive, syncopated samba. Vittorio Rieti (1898-1994) Suite champêtre 1. Bourrée 2. Aria e Ecossaise 3. Gigue GABRIELE BALDOCCI, LILY MAISKY Antonin Dvořák (1841-1904) Trio n. 4 in mi min. op.90 (Dumky) 1. Lento maestoso, Allegro quasi doppio movimento, Lento maestoso, Allegro 2. Poco Adagio, Vivace non troppo, Poco Adagio, Vivace 3. Andante, Vivace ma non troppo, Andante, Allegretto 4. Andante moderato quasi tempo di marcia, Allegretto scherzando, Meno mosso, Allegro, Moderato 5. Allegro 6. Lento maestoso, Vivace, Allegro, Vivace GABRIELE BALDOCCI, IVRY GITLIS, MARK DROBINSKY Darius Milhaud (1892-1974) Scaramouche op. 165 b 1. Vif 2. Modéré 3. Brasileira KARIN MERLE, MARTHA ARGERICH 41 42 __ Progetto Martha Argerich Nei primi anni del XX secolo, la rapida diffusione della musica riprodotta – su disco a 78 giri o su cilindro – permise uno scambio di esperienze musicali, assolutamente senza precedenti. Fu soprattutto grazie al disco che i compositori “colti” europei poterono fare la conoscenza di un fenomeno musicale esclusivamente americano, che soprattutto dopo la fine della prima guerra mondiale, grazie alla venuta in Europa di numerosi complessi statunitensi, avrebbe riccamente contaminato e ibridato il loro linguaggio: il jazz. Tipico prodotto dei ghetti neri, il jazz era diventato in breve tempo un prodotto di largo consumo di cui l’industria discografica si era rapidamente impadronita. Tra i musicisti europei, cui la tragedia della prima guerra mondiale aveva tolto ogni ottimistica illusione sulle “magnifiche sorti e progressive” della società capitalistica, esso propalò per qualche tempo l’illusione di una sorta di purezza espressiva non contaminata dai disastri della civiltà. Musicista estremamente ricettivo, Claude Debussy ci ha lasciato alcune pagine in cui ritmi jazzistici fanno capolino, prima tra tutte la celebre suite pianistica Children’s Corner, del 1906 – 1908, che è forse la prima opera di un autore europeo chiaramente ispirata a ritmi afro-americani. Le petit nègre fu pubblicato invece nel 1909, e mostra in effetti una certa somiglianza con il Golliwogg’s Cake-walk che chiude Children’s Corner. Si tratta di una breve paginetta, di neppure un minuto e mezzo di durata, che apparve per la prima volta nel Méthode de piano di Theodore Lack e che forse è addirittura anteriore, cronologicamente, a Children’s Corner. Alexander Tansman, nato a Lodz, in Polonia, nel 1897, fece parlare per la prima volta di sé nel 1919, a ventidue anni, quando vinse i primi tre premi nel primo concorso di composizione polacco presentando tre diverse opere sotto tre diversi pseudonimi. Nel 1927 si recò per la prima volta negli Stati Uniti, dove fece eseguire il suo Secondo Concerto per pianoforte e orchestra, dedicato a Charlie Chaplin, e dove ebbe la possibilità di incontrare e conoscere alcuni dei musicisti jazz più apprezzati, come Louis Armstrong e Duke Ellington, entrando anche in rapporti di amicizia con George Gershwin. Frutto dell’esperienza americana fu la Sonatine transatlantique composta nel 1930 e dedicata a Irwing Schwerke. Essa è formata da tre movimenti (Fox Trot, Allegro – Spiritual and Blues – Charleston, Molto vivo), in cui la spensierata disinvoltura dei due movimenti veloci si contrappone al pensoso incedere del tempo centrale. Geniale e spregiudicato, dopo essere stato un bambino prodigio Georges Auric fu allievo di Vincent d’Indy alla Schola Cantorum di Parigi. Divenuto amico di Jean Cocteau e di Eric Satie, entrò a far parte del famoso “Gruppo dei Sei”, che cominciò a far parlare di sé intorno al 1919 (Auric aveva allora solamente vent’anni.). Uno degli eventi più memorabili del “Gruppo dei Sei” fu il concerto tenuto nel febbraio del 1920 al Théâtre des Champs-Elysées, a Parigi, nel quale furono eseguite alcune delle opere-manifesto del gruppo, e cioè Le Boeuf sur le toit di Milhaud, Cocardes di Poulenc, le Trois Petites pièces montées di Satie e, per l’appunto, Adieu New York di Auric, uno scatenato fox-trot. Nel 1924, anno decisivo nella sua carriera musicale, Gershwin iniziò a comporre una serie di Preludi per pianoforte. Il numero effettivo di questi Preludi è ancor oggi oggetto di discussione. Sappiamo infatti che Gershwin eseguì cinque suoi Preludi in un concerto del 4 dicembre 1926, e sei il 16 gennaio 1927. Solamente tre Preludi, tuttavia, furono pubblicati in seguito dal compositore. Il primo di questi, Allegro ben ritmato e deciso, fu definito da Gershwin “spagnolo”, per certi suoi tratti melodici e per il suo ritmo di habanera. Il secondo, Andante con moto e poco rubato - una delle non molte pagine pianistiche in tempo lento scritte Gershwin - è invece una sorta di ninna-nanna blues, che rivela, tra l’altro, una scrittura armonica fortemente influenzata dall’impressionismo. Il terzo Preludio, Allegro ben ritmato e deciso, è brevissimo, come molte delle pagine più felici di Gershwin, e sostenuto anch’esso da un’armonia di notevole originalità. Wilhelm Grosz nacque a Vienna nel 1894, e morì a soli 45 anni a New York. Come molti altri compositori ebrei di quell’epoca, dovette subire l’onta della persecuzione da parte dei nazisti, la fuga dal suo paese (nel 1934 si rifugiò in Inghilterra e poi negli Stati Uniti) e il difficile ambientamento in paesi tanto diversi dal suo per mentalità e tradizioni musicali. Partito come compositore d’avanguardia, di adattò, per vivere, a scrivere canzonette, alcune delle quali divennero anche abbastanza popolari. Jazzband, per violino e pianoforte, fu composto da Grosz nel 1923, in un’epoca in cui nulla ancora faceva presagire la catastrofe che di lì a poco si sarebbe abbattuta sul suo paese, condizionando in modo così decisivo anche il suo personale destino di compositore. __ Early in the twentieth century, the quick spread of sound reproduction systems – on 78 r. p. m. discs and on cylinders – brought about an worldwide exchange of musical experiences. It was thanks to recordings, above all, that “cultivated” European composers were able to become acquainted with an exclusively American musical phenomenon: jazz. Especially after the First World War, many ensembles from the United States came to Europe, and local composers blended and “hybridised” their language with elements drawn from the new idiom. Jazz was born in the southern states, but it became, in a short time, a popular product of which the recording industry soon took possession. Among European musicians, for whom the tragedy of the First World War had destroyed the optimistic illusion of the “magnificent, progressive fate” of capitalistic society, jazz temporarily created the illusion of a sort of expressive purity, uncontaminated by civilisation’s disasters. Claude Debussy, an extremely receptive man, composed some pieces that toyed with jazz-like rhythms. The most important among them is the celebrated Children’s Corner piano suite, which dates from 1906-1908 and is perhaps the first work by a European composer that was clearly inspired by Afro-American rhythms. Le Petit nègre, on the other hand, was published in 1909 and in fact bears a certain resemblance to the Golliwog’s Cakewalk – the last piece in the Children’s Corner. It is a short piece – it lasts less than a minute and a half – and it first appeared in Theodore Lack’s Méthode de piano, which may have predated the Children’s Corner. Alexandre Tansman, born in Lodz, Poland, in 1897, first caused a stir in 1919, at the age of twenty-two, when he won the first three prizes in the first Polish composition competition: he had entered three different works under three different pseudonyms. He went to the United States for the first time in 1927; his Second Concerto for piano and orchestra – dedicated to Charlie Chaplin – was performed there, and he was able to meet some of the best known jazz musicians, such as Louis Armstrong and Duke Ellington, in addition to developing a friendship with George Gershwin. The Sonatine transatlantique, composed in 1930 and dedicated to Irwing Schwerke, was one of the fruits of his American experience. It consists of three movements (Fox Trot, Allegro; Spiritual and Blues; Charleston, Molto vivo) in which the carefree nonchalance of the two fast movements is counterbalanced by the thoughtful pace of the middle one. The brilliant and unconventional Georges Auric was a child prodigy and then a pupil of Vincent d’Indy at Paris’s Schola Cantorum. He later became friendly with Jean Cocteau and Eric Satie and then joined the famous group, “Les Six”, which began to make a stir around 1919, when Auric was only twenty years old. One of the most memorable events created by “Les Six” was a concert held at Paris’s Théâtre des ChampsElysées in 1920, during which some of the group’s banner works were performed: Darius Milhaud’s Le Boeuf sur le toit, Francis Poulenc’s Cocardes, the Trois petites pieces montées by Satie (who, however, was not part of the group), and Auric’s Adieu New York – a free-wheeling fox-trot for piano, four hands. In 1924 – a decisive year in his musical career – Gershwin began to compose a series of piano preludes, the quantity of which is still debated today. We know that Gershwin performed five of his preludes during a concert on 4 December 1926 and six of them on 16 January 1927. Only three preludes, however, were eventually published by the composer. Gershwin described the first of these, Allegro ben ritmato e deciso, as “Spanish”, because of some of its melodic characteristics and its habanera-like rhythm. The second, Andante con moto e poco rubato – one of Gershwin’s relatively few slow-tempo piano pieces – is, on the contrary, a sort of blues lullaby that reveals, among other things, harmonic writing that was strongly influenced by impressionism. Like many of Gershwin’s other best pieces, the third prelude, Allegro ben ritmato e deciso, is very short and also has remarkably original harmonic underpinnings. Wilhelm Grosz was born in Vienna in 1894 and died in New York at the age of only 45. Like many other Jewish composers of his day, he suffered from the Nazis’ shameful persecution, had to flee from his country (in 1934 he took refuge in England and then in the United States) and found it difficult to acclimatise to countries whose mentality and musical traditions were very different from those of his native country. Although he started off as an avant-garde composer, he had to adapt – in order to survive – by writing easy tunes, some of which even became quite popular. Grosz wrote Jazzband, for violin and piano, in 1923, at a time in which there were as yet no indications of the catastrophe that would soon overtake his country, thereby determining for good his own fate as a composer. 16.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO Alexandre Tansman (1897-1986) Sonatine transatlantique 1. Fox Trot. Allegro 2. Spiritual and Blues 3. Charleston. Molto vivo Claude Debussy (1862-1918) Le petit nègre George Gershwin (1898-1937) Tre Preludi 1. Allegro ben ritmato e deciso 2. Andante con moto e poco rubato 3. Allegro ben ritmato e deciso Wilhelm Grosz (1894-1939) Jazzband KARIN LECHNER, GEZA HOSZU-LEGOCKY George Auric (1899-1983) Adieu New York FEDERICO E KARIN LECHNER Improvvisazioni FEDERICO LECHNER 43 44 __ Progetto Martha Argerich La carriera e la fortuna di Antonín Dvořák non sarebbero state le stesse se il musicista boemo non avesse incontrato, in un momento cruciale della sua vita, Johannes Brahms. Fu Brahms, infatti, ad intuire le capacità e il “potenziale” del giovane compositore, e a raccomandarlo al suo editore Simrock, che da allora in poi fu anche l’editore principe delle opere di Dvořák. Simrock aveva uno spiccato talento per gli affari e fu dunque lui a suggerire a Dvořák una serie di composizioni, brevi e abbastanza facili, ispirate alle musiche della sua terra natale. Nacquero così, nel 1878, le Danze slave op. 46 per pianoforte a quattro mani (che poco tempo dopo, visto il grande successo editoriale, Dvořák si affrettò ad arrangiare per orchestra), che secondo le parole di uno dei massimi studiosi di Dvořák, Jarmil Burghauser, «idealizzano e traspongono sul piano più elevato tutti gli elementi più tipici del folclore slavo, e specialmente boemo». Nel corso della sua carriera di compositore, Bedřich Smetana si occupò di musica da camera pochissime volte, e solo in occasioni molto particolari e dolorose della sua vita. A partire 1848, dopo il fallimento dell’insurrezione anti-asburgica a Praga, Smetana decise di orientare in senso fortemente nazionalistico la propria produzione. Il teatro divenne dunque il luogo privilegiato della sua attività, anche se Smetana cominciò a comporre seriamente per le scene solo a partire dal principio degli anni Sessanta. Il Trio in Sol minore op. 15 fu composto nel 1855 (Smetana aveva allora trentun anni), subito dopo la morte della figlia Bedriska (Federica), scomparsa all’età di soli quattro anni.. Formato da tre soli movimenti, profondamente pervasi (specialmente i primi due) da un sentimento di malinconia, quasi di scoramento, il Trio in Sol minore op. 15 fu accolto dapprima piuttosto freddamente dal pubblico e solo in seguito ottenne un discreto successo - grazie anche al forte apprezzamento di Franz Liszt - pur senza mai entrare stabilmente nel repertorio cameristico corrente I due cicli di 15 piccoli pezzi pianistici intitolati Po zarostlém chodníčku (letteralmente Su un sentiero ricoperto) furono composti da Leoš Janáček tra il 1902 e il 1911. I primi dieci brani sono provvisti di sottotitoli che rimandano direttamente ad episodi della vita del compositore, al ricordo dei giorni della sua giovinezze nel villaggio natale di Hukvaldy, in Moravia (nn. 1 – 7), oppure a momenti assai più dolorosi della sua vita, come la morte dell’amatissima figlia Olga (n. 8, Ansietà indicibile: n. 9, In lacrime; n. 10, La civetta non ha preso il volo). I cinque pezzi della seconda serie non portano invece alcun sottotitolo, ma rivelano comunque un analogo tipo di scrittura strumentale, in cui melodie di ascendenza popolare e a volte anche non prive di umori scherzosi sono spesso frammentate o interrotte da scale o successioni accordali atipiche, in un contesto di grande libertà formale. Nato nel 1890 in un paese, Polycka, ai confini tra Boemia e Moravia, Bohuslav Martinů è stato uno dei compositori più prolifici del ventesimo secolo, anche se di collocazione non facile nella storia delle vicende musicali del Novecento. Dopo aver esordito come autore di opere fortemente impregnate di valori nazionalistici, Martinů sentì il bisogno di approfondire ulteriormente le proprie conoscenze musicali, specialmente dopo che le tournées con la Filarmonica Cèca, di cui faceva parte come violinista, lo avevano portato in Italia e in Francia, facendogli conoscere gli ambienti musicali di quei due paesi. Formata da un solo movimento, la Sonatina per clarinetto e pianoforte fu composta da Martinů nel 1956, tre anni prima della morte (che lo colse nel 1959 a Liestal, in Svizzera), ed è un’opera che presenta tutti i tratti più tipici dello stile ultimo del musicista cèco, primo tra tutti l’abbandono della dialettica compositiva di stampo classico in favore di una continua proliferazione di nuove cellule tematiche. Il Concertino per pianoforte e sei strumenti fu composto da Janáček nel 1925 e dedicato al pianista Jan Herman, che ne era stato l’ispiratore; la sua prima esecuzione ebbe luogo a Brno il 16 febbraio 1926. Formato da quattro brevi movimenti, questo singolare lavoro colpisce, innanzitutto, per la ricerca di nuova sonorità (specialmente pianistiche), e per la rapida alternanza – sperimentata con successo da Janáček anche nei due bellissimi Quartetti per archi – tra passaggi incisivi, secchi e pieni di vigore, e improvvise e suggestive oasi liriche. I quattro movimenti, in origine, avevano sottotitoli che rimandavano al mondo della natura e degli animali, ma in seguito il compositore preferì escluderli. All’ascolto, tuttavia, i riferimenti naturalistici appaiono, almeno in alcuni casi, molto evidenti. __ The career and fortunes of Antonín Dvořák would not have been what they were had the Bohemian composer not met Johannes Brahms at a critical moment in the former’s life. It was Brahms who sensed the younger composer’s abilities and potential and who recommended him to his publisher, Simrock, who also became and remained Dvořák’s main publisher. Simrock had a strong business sense, and it was he who suggested that Dvořák write a series of short and relatively easy pieces inspired by the music of his native land. Thus the Slavonic Dances, Op. 46, for piano duet, came into being. (They were so successful that Dvofiák quickly arranged them for orchestra.) According to Jarmil Burghauser, one of the most important Dvořák scholars, these pieces “idealise all the most typical elements of Slavic – and especially Bohemian – folklore and raise them to a higher plane.” During the course of his career as a composer, Bedřich Smetana did not often occupy himself with writing chamber music; when he did so, it was only at exceptional, sorrowful moments in his life. Beginning in 1848, at the time of the failed anti-Habsburg uprising in Prague, Smetana decided to aim his creativity in a highly nationalistic direction. Thus the theatre became his main sphere of activity, despite the fact that it was only at the beginning of the 1860s that he began to write seriously for the stage. The Trio in G minor, Op. 15, was composed in 1855, immediately after the death of his daughter, Bedřiska, at the age of only four; Smetana was then thirty-one years old. The trio has only three movements, and it is profoundly pervaded with a sense of melancholy or even discouragement, especially in the first two movements. It was at first received coldly by the public but later achieved a degree of success (thanks in particular to Franz Liszt’s high opinion of it), although it never entered the chamber repertoire in a permanent way. Leoš Janáček composed his Po zarostlém Chodníčku (On an Overgrown Path) – fifteen short piano pieces – between 1902 and 1911. The first ten pieces bear titles that are directly related to episodes in the composer’s life: youthful memories of his native Moravian village, Hukvaldy (Nos. 1-7), or much more sorrowful moments in his life, such as the death of his beloved daughter Olga (No. 8 – “Unspeakable Anxiety”; No. 9 – “In Tears”; No. 10 – “The Owl Has Not Taken Flight”). The five pieces of the second set, however, have no titles, yet the piano writing is similar: melodies – some of them light-hearted – derived from folk music are often fragmented or interrupted by scales or by atypical chord sequences, within a context of great structural freedom. Bohuslav Martinů – one of the most prolific of twentiethcentury composers, but also one of the most difficult to place within the musical-historical context of his time – was born in 1890 in the village of Polycka, on the Bohemian-Moravian border. After having debuted as the author of works that were very much permeated with nationalistic values, Martinů felt a need to broaden his musical horizons, especially after the tours he had made as a violinist in the Czech Philharmonic had taken him to Italy and France and had familiarised him with those two countries’ musical environments. Martinů composed the Sonatina for clarinet and piano in 1956, three years before his death (in Liestal, Switzerland). The work demonstrates all the most typical characteristics of the Czech musician’s late style – above all, his abandoning of classical-type compositional forms in favour of an ongoing proliferation of new thematic cells. Janáček composed his Concertino for piano and six instruments in 1925, and he dedicated it to the pianist Jan Herman, who had inspired it. The first performance took place in Břno on 16 February 1926. This singular work, which is made up of four short movements, is striking above all for the search for new sonorities (especially pianistic ones) and for the rapid alternation of incisive, dry, vigorous passages with sudden, evocative, lyrical oases. (Janáček had successfully used this technique in his two beautiful string quartets.) The four movements had originally been given subtitles that referred to the world of nature and of animals, but the composer later decided to remove them. In listening to the music, however, the references to nature seem highly evident, at least in many instances. 17.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI MUSICA BOHEMICA Antonin Dvořák (1831-1904) Danze slave op. 46 n. 1 in do min. op.72 n. 4 in si bem. min. op. 72 n. 2 in mi min. op. 46 n. 7 in do min. LILY MAISKY, KARIN LECHNER Bedrich Smetana (1824-1884) Trio in sol min. op. 15 1. Moderato assai 2. Allegro ma non agitato - Alternativo (Andante) - Tempo I - Alternativo II (Maestoso) - Tempo I 3. Finale (Presto - Meno presto, tranquillo assai. Grave, quasi marcia - Tempo I) FRANCESCO PIEMONTESI, ALISSA MARGULIS, MARK DROBINSKY Leos Janáček (1854-1928) Su un sentiero di rovi (estratti) FRANCESCO PIEMONTESI Bohuslav Martinů (1890-1959) Sonatina 1. Moderato - Poco meno - Tempo I - Moderato 2. Allegro 3. Poco Allegro MAREK DENEMARK, GILA GOLDSTEIN Leos Janáček (1854-1928) Concertino per pianoforte, due violini, viola, clarinetto, corno, fagotto 1. Moderato 2. Più mosso 3. Con moto 4. Allegro MARTHA ARGERICH, ALISSA MARGULIS, LUCIA HALL, NORA ROMANOFF, CORRADO GIUFFREDI, ZORA SLOKAR, VINCENT GODEL 45 46 __ Progetto Martha Argerich __ 18.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO La Sonata in Fa minore op. 57 fu portata a termine da Beethoven nel 1805. Non mette conto, come sempre, interrogarsi sulla liceità del sottotitolo “Appassionata” escogitato postumo dall’editore Cranz di Amburgo e comunemente accolto da allora a designare questa composizione. La Sonata si articola in tre soli movimenti (manca lo Scherzo), ed una sorta di impressionante forza tellurica sembra scuotere i due movimenti estremi, conducendo il principio eminentemente beethoveniano dello scontro e dell’elaborazione dialettica dei temi a livelli di inaudita potenza espressiva. A far da mirabile contrasto con i due granitici movimenti veloci sta poi il sereno Andante con moto in Re bemolle maggiore, in cui un tema solenne come quello di un corale funge da pretesto per tre luminose variazioni. Scritta nel 1852-53, la Sonata in Si minore è l’opera che forse meglio di tutte sintetizza le conquiste e le innovazioni linguistiche e formali di Franz Liszt, ed è formata da un solo, ampio movimento in cui appaiono fusi i movimenti tradizionali della sonata classico-romantica. La composizione si basa essenzialmente sull’utilizzazione di tre temi (o “segmenti musicali”, come anche sono stati definiti) che circolano per tutta l’opera e che ne costituiscono l’ossatura formale. Il piano tonale liberissimo, l’assenza di sviluppi rigorosi, la violenza eccitata di molti passaggi virtuosistici, fanno di questa sonata una delle pagine più avveniristiche e sperimentali di Liszt, destinata ad esercitare una profonda influenza su Wagner e su tutta la scuola neo-tedesca (ed anche al di fuori di questa, a voler solamente citare il caso di César Franck). Al momento di pubblicarla, Liszt la dedicò a Robert Schumann, quello stesso Schumann che, molti anni prima, aveva dedicato a lui una delle sue opere pianistiche più libere e visionarie, la Fantasia in Do Maggiore op. 17. Intorno al 1859, Franz Liszt scrisse due brani orchestrali ispirati al poema epico Faust del poeta austro-ungherese Nikolaus Lenau. Il secondo di questi brani, intitolato inizialmente Danza nella bettola del villaggio, divenne poi, in versione pianistica, il celebre Mephisto-Walzer. Il brano è, senza alcun dubbio, una delle interpretazioni musicali più suggestive del mito faustiano; in esso l’iniziale spunto di danza si fa preteso per una musica ricca di ambivalenze e di ambiguità, ma anche traboccante, nello stupendo episodio centrale, “espressivo amoroso”, di una inaspettata, stravolta, seducente dolcezza. In conclusione, il ritmo turbinoso e un po’ meccanico del valzer riprende il sopravvento, conducendo ad un finale veramente travolgente. Quantitativamente ricchissima, la produzione cameristica di Paul Hindemith annovera composizioni per organici strumentali anche atipici, come questo Trio per viola, Heckelphon (o sax tenore) e pianoforte op. 47, scritto nel 1929. Articolato in due tempi, il Trio si apre con un brano tripartito i cui tutti e tre gli strumenti si presentano in successione. Apre la composizione, con una sorta di rapida toccata, il pianoforte solo, che duetta poi con il sax tenore, cui è affidata una melodia meditabonda e rapsodica; ai due strumenti si unisce infine la viola. Il secondo movimento, Potpourri, ha invece inizialmente un andamento più sincopato, disinvolto e giocoso, che si complica però ben presto attraverso un progressivo ispessimento del tessuto contrappuntistico, in un continuo trascolorare di atteggiamenti. Conclude il movimento un Prestissimo ansioso e frenetico. Beethoven completed the Sonata in F minor, Op. 57 in 1805. As usual, it is not worth looking into the legitimacy of the subtitle “Appassionata”, wich was invented baythe Hamburg publisher Cranz and has been used ever since. The sonata has only three movements (there is no scherzo), and a sort of impressive, earthquake-like force seems to rock the two outer ones, in wich the eminently Beethovenian principle of conflict and dialectic development of the themes is brought to unheard-of levels of expressive power. The serene, central Andante con moto, in D-flat Major, makes a remarkable contrast with the two fast movements, its theme, as solemn as a chorale, functions as a pretext for three luminous variations. The Sonata in B minor, written in 1852-53, probably synthesises Franz Liszt’s linguistic and formal achievements and innovations better than any of his other works. It consists of only one, extended movement within which the traditional movements of the classical-romantic sonata are joined together. The composition is based, in essence, on the use of three themes (or “musical segments”, as they have been described), that circulate through the entire work and form its structural skeleton.The free tonal plan, the absence of rigorous development sections and the agitated violence of its many virtuosic passages make the Sonata in B minor one of Liszt’s most avant-garde, experimental pieces. It profoundly influenced Wagner and the whole new German school, not to mention such non-Theutonic composers as César Franck. Liszt dedicated the work to Robert Schumann, who, many years earlier, had dedicated the Fantasy in C Major , Op. 17 - one of his freest and most visionary work – to Liszt. In about 1859, Franz Liszt wrote two orchestral pieces inspired by the epic poem Faust by the Austro-Hungarian poet Nikolaus Lenau. The second of these pieces initially called “Dance in the Village Tavern”, eventually became the famous Mephisto-Waltz No. 1, for piano. The piece is undoubtedly one of the most evocative of all the musical settings of the Faust legend; its point of departure – the opening dance – is a pretext for a piece that is full of ambivalence and ambiguities but that also overflows with unespected, twisted, seductive sweetness in its central “espressivo amoroso” episode. At the end of this section, the whirling and somewhat mechanical waltz rhythm takes over once again and leads into a truly devastating finale. Paul Hindemith’s extremely abundant chamber music output contains compositions for atypical instrumental combinations, including this Trio for viola, heckelphone (or tenor saxophone) and piano, Op. 47, written in 1929. The first of the trio’s two movements is structured in three parts, in each of which one of the three instruments is successively introduced: the solo piano starts off with a sort of quick-paced toccata; it then dialogues with the tenor saxophone, which is given a meditative, rhapsodic melody, and the viola blends in last. The second movement, Potpourri, begins at a pace that is more syncopated, easygoing and playful, but it quickly becomes more complicated through a progressive thickening of the contrapuntal texture, which creates a continuous change of musical colour. The movement ends with an anxious, frenetic Prestissimo. Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata n. 23 in fa min. op. 57 “Appassionata” 1. Allegro assai 2. Andante con moto 3. Allegro ma non troppo Franz Liszt (1811-1886) Sonata in si min. Lento assai - Allegro energico - Andante sostenuto - Allegro energico - Andante sostenuto - Lento assai Mephisto-Waltz n.1 KATHIA BUNIATISHVILI Paul Hindemith (1895-1963) Trio op. 47 1. Solo, Arioso, Duett 2. Potpourri KATHIA BUNIATISHVILI, PETRA HORVATH, NORA ROMANOFF 47 48 __ Progetto Martha Argerich __ 49 19.06 - 18.00 - FONOTECA NAZIONALE SVIZZERA - AULA 418 Poeti e barbari: Jazz e avanguardia francese Conferenza di ANNIE DUTOIT (in francese) Negli anni Dieci e Venti del Novecento l’America si impose nell’immaginario dell’avanguardia francese. Ai suoi occhi l’America rappresentava il compendio del moderno. In essa si fondevano il nuovo e il barbarico: i futuristici grattacieli d’acciaio, e la violenza primitiva della nuova giungla urbana, i cui ritmi, frenetici e meccanici al tempo stesso, avevano lasciato il segno nella musica afro-americana, nel ragtime e nel jazz. Il jazz, la musica che i soldati americani diffusero durante la Prima Guerra mondiale, divenne rappresentativo di un mondo in trasformazione. Il jazz era la metafora della nuova era – l’età del jazz – una metafora della distruzione, del cambiamento e del ritorno all’istintualità. Cocteau lo descrisse come “pulsazione della Musa”, rassicurante e inquietante a un tempo. Attraverso le opere di Cocteau, Man Ray e altri, la relazione esplorerà l’influenza del jazz sugli artisti d’avanguardia a Parigi. In the 1910s and 20s, America captured the imagination of the French avant-garde. In their eyes, America represented the epitome of the modern. It brought together both the new and the barbaric: the futuristic steel skyscrapers, and the primitive violence of the new urban jungles, whose rhythms, at once frenetic and mechanized, were captured by African-American music, ragtime and jazz. It was jazz, the music that was disseminated by the American troops during the Great War, that became representative of a world in transformation. Jazz was the metaphor for a new age ? the Jazz age ? a metaphor for destruction, change and a return to instincts. Cocteau described it as the “pulse of the Muse,” at once reassuring and frightening. Through the works of Cocteau, Man Ray, and others, this lecture will explore the influence of jazz on avant-garde artists in Paris. In collaborazione con 50 __ Progetto Martha Argerich __ 20.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI Il Quartetto in Si bemolle maggiore per pianoforte e archi di Carl Maria von Weber è un’opera giovanile, che il compositore portò a termine nell’estate del 1809. Esso dimostra con chiarezza come Weber, compositore romantico per eccellenza nel campo dell’opera, non si spingesse oltre la soglia di un classicismo di forte impronta mozartiana nell’ambito della musica da camera: la quale annovera, peraltro, un numero di titoli piuttosto esiguo (il più importante dei quali è, senza dubbio, il bellissimo Quintetto per clarinetto e archi). Articolato nei quattro movimenti tradizionali, il Quartetto in Si bemolle maggiore è formato da un Allegro in forma sonata di struttura molto regolare, seguito da un Adagio più libero e fantasioso da un Minuetto con un Trio dalla gustosa inflessione popolaresca e da un Presto conclusivo che si apre su un fugato ricco di vigore e di energia. Robert Schumann scrisse le sue due Sonate per violino e pianoforte tra il 12 settembre e il 2 novembre del 1851. Mentre la prima Sonata (op. 105) si articola in tre soli movimenti, la seconda, (op. 121), è formata da quattro tempi, il primo dei quali, Ziemlich langsam – Lebhaft, è di gran lunga il più ampio, e mostra, accanto alla sovraeccitazione ritmica tipica di Schumann, anche una scrittura strumentale riccamente concertante. La frenesia ritmica del primo movimento sembra trapassare anche nel successivo Sehr lebhaft, sorta di Scherzo con due Trii. Il terzo movimento, Leise, einfach, è in realtà un tema con variazioni che si susseguono senza soluzione di continuità. Chiude la Sonata un Bewegt in cui la modernità inaudita del linguaggio, teso e concentrato, raggiunge momenti di espressionistica violenza. Affermatosi fin da ragazzo come “pianista prodigio”, SaintSaëns costituì un esempio perfetto di “virtuoso itinerante”, pronto ad esibirsi anche nei luoghi più impensati. Le tournées concertistiche lo portarono un po’ dappertutto, non solo in Europa, ma anche in India, in Africa e nelle Americhe, e spesso egli non ebbe neppure un domicilio fisso, soggiornando a lungo ad Algeri, dove morì nel 1921. Lo Scherzo op. 87 fu composto a Cadice nel 1887. È una pagina piena di verve, animatissima, in cui ritroviamo senza difficoltà tutte le caratteristiche più salienti del suo pianismo asciutto, antiromantico e con inflessioni, a volte, quasi percussive. Astor Piazzolla è oggi giustamente considerato come uno dei più importanti compositori argentini del Novecento. Certamente è il più eseguito. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, tuttavia, la musica di Piazzolla ha stentato parecchio prima di essere riconosciuta in tutta la sua grandezza proprio in Argentina, dove molti seguaci delle formule tradizionali del tango non hanno accolto di buon grado le contaminazioni col jazz e la tradizione colta presenti nella musica del compositore. Amico e sodale del più grande poeta argentino contemporaneo, Jorge Luis Borges, Piazzolla ha dedicato a Buenos Aires molti omaggi musicali, il più noto dei quali è costituito da Las cuatro estaciones porteñas (Le quattro stagioni di Buenos Aires), quattro pagine straordinarie per densità poetica e invenzione melodica, che possono essere considerate come l’equivalente musicale delle mirabili evocazioni letterarie borgesiane. Carl Maria von Weber’s Quartet in B-flat Major for piano and strings is a youthful work, which the composer completed in the summer of 1809. It clearly demonstrates that Weber – a Romantic composer par excellence in the field of opera – would not overstep the threshold of a decidedly Mozartian classicism in the area of chamber music; in the latter genre, moreover, his output was rather limited, the most important piece being, without a doubt, the beautiful Quintet for clarinet and strings. Composed in the traditional fourmovement format, the Quartet in B-flat Major is made up of a sonata-form Allegro, followed by a freer, more imaginative Adagio, an enjoyably folk-like Minuetto with trio, and a final Presto that begins with a richly vigorous, energetic fugato. Robert Schumann wrote his two sonatas for violin and piano between 12 September and 2 November 1851. Whereas the first sonata (in A minor, Op. 105) is in only three movements, the second (in D minor, Op. 121) is in four, of which the first, Ziemlich langsam – Lebhaft (Moderately slow – Fast), is by far the most substantial; it exhibits, alongside its typically Schumannesque agitated rhythms, a richly concertante style for both of the instruments. The first movement’s rhythmic frenzy seems to seep into the following Sehr lebhaft (Very fast) – a sort of scherzo with two trios. The third movement, Leise, einfach (Gently, simply), opens with a curious melody stated by the violin playing pizzicato, softly accompanied by the piano; in reality, this is a theme with variations that follow each other uninterruptedly. The sonata ends with a movement marked Bewegt (Brisk), in which the unprecedented modernity of the tense, concentrated musical language reaches moments of expressionistic violence. Having established himself as a piano prodigy from Saint-Saëns remained for the rest of his life a perfect example of the “itinerant virtuoso”, ready to perform in even the most unlikely places in order to make his formidable piano technique known and have it admired. His concert tours took him all over, not only within Europe but also to India, Africa and the Americas; often, he did not even maintain a permanent address, and he lived for quite a while in Algiers, where he died in 1921. Saint-Saëns composed the Scherzo Op. 87, at Cádiz, in 1887. The piece is very lively and full of verve, and it is easy for us to find in it all the most salient characteristics of the French composer’s pianistic style, which was clean-cut, anti-Romantic (later also anti-Impressionistic) and at times displaying almost percussive inflections. Astor Piazzolla is now justly considered one of the most important twentieth-century Argentine composers. He is certainly the most frequently performed. Contrary to common belief, however, in Argentina Piazzolla’s music was not immediately recognised in all its greatness, because many followers of the tango’s traditional formulas were unhappy with the composer’s admixtures of jazz and cultivated music in his works. As a friend and associate of Jorge Luis Borges, Argentina’s greatest contemporary poet, Piazzolla dedicated many musical tributes to Buenos Aires; the most famous of these is Las cuatro estaciones porteñas (The Four Seasons of Buenos Aires) four pieces that are extraordinary for their poetic density and melodic inventiveness, and that may be considered the musical equivalents of Borges’s wonderful literary evocations. Carl M. von Weber (1786-1826) Quartetto in si bem magg. op. 8 (Jähns 76) 1. Allegro - Adagio ma non troppo. Più moto e con fuoco, Tempo I 2. Menuetto (Allegro) 3. Fantasia (Adagio) 4. Rondò (Allegro) WALTER DELAHUNT, GEZA HOSSZU-LEGOCKY, LYDA CHEN, JORGE BOSSO Robert Schumann (1810-1856) Sonata n. 2 in re min. op. 121 1. Ziemlich langsam, Lebhaft 2. Sehr lebhaft 3. Leise, einfach 4. Bewegt RENAUD CAPUÇON, MARTHA ARGERICH Camille Saint-Saëns (1835-1921) Scherzo op. 87 LILYA ZILBERSTEIN, AKANE SAKAI Astor Piazzolla (1921-1992) Las cuatro Estaciones (arrangiamento José Bragato) 1. Primavera Porteña 2. Verano Porteño 3. Otoño Porteño 4. Invierno Porteño ALEXANDER GURNING, ALISSA MARGULIS, ALEXANDRE DEBRUS 51 52 __ Progetto Martha Argerich __ 21.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI La data di composizione dell’Andante con variazioni per pianoforte a quattro mani KV 501 di Wolfgang Amadeus Mozart è ancor oggi sconosciuta, ma si è supposto che essa risalga all’inverno del 1786. La composizione, insieme con le 12 Variazioni per pianoforte KV 500, faceva parte di una serie di titoli di esecuzione relativamente facile che l’editore Hoffmeister diede alle stampe l’anno successivo. A giudizio di alcuni studiosi, Mozart aveva concepito inizialmente le variazioni per due pianoforti, ripiegando poi su una versione per pianoforte a quattro mani, più facilmente smerciabile, forse su suggerimento dello stesso editore. Il tema dell’Andante non è mai stato identificato, e si suppone dunque che esso sia originale di Mozart. Le variazioni sono in tutto cinque, assai ben elaborate e con momenti di dialogo raffinato tra i due esecutori. La Sonata n. 1 in Sol maggiore per violino e pianoforte op. 78 fu portata a termine da Brahms nel 1878, nel villaggio di Pörtschach, in cui fu composto anche, quasi nello stesso periodo, il Concerto per violino. Formata da tre soli tempi, la Sonata n. 1 si apre con un Vivace ma non troppo dall’andamento fluido e cantabile, del tutto privo di connotazioni virtuosistiche. Impronta squisitamente liederistica troviamo anche nel secondo tempo, un malinconico e autunnale Adagio in Mi bemolle maggiore. Il tema principale del finale, Allegro molto moderato, è basato sul Lied op. 59 n. 3, il cosiddetto Regenlied (Canto della pioggia); per questo motivo la composizione è anche nota, nei paesi di lingua tedesca, col titolo di Regensonate. Questo è forse il brano più riuscito dell’intera composizione, che il severo critico Eduard Hanslick considerava come una delle gemme più preziose della produzione cameristica brahmsiana. Scritte tra il 1819 e il 1823, le 33 Variazioni su un tema di Diabelli op. 120 costituiscono uno dei punti più alti della produzione pianistica dell’ultimo Beethoven. Il motivo che sta alla base della loro composizione è noto: nel 1819 il compositore ed editore Anton Diabelli chiese a tutti i musicisti più importanti allora attivi a Vienna (tra cui anche Schubert, Liszt, Hummel, Moscheles e Czerny) di scrivere ciascuno una variazione sul tema di un suo valzer, in vista della pubblicazione di una raccolta che, alla fine, riunì i nomi di oltre cinquanta autori. Anche Beethoven fu naturalmente interpellato, ma il suo lavoro venne progressivamente ad ampliarsi fino ad assumere la forma definitiva delle 33 Variazioni che oggi conosciamo, e quindi fu pubblicato separatamente, per quanto sempre da Diabelli, nel 1823. La Vaterländischer Künstlerverein (questo fu il nome che Diabelli escogitò per la raccolta di variazioni sul suo tema) vide invece la luce a Vienna un anno dopo, nel 1824. The date of composition of Wolfgang Amadeus Mozart’s Andante and Variations for piano, four hands, K. 501, is unknown even today, but it was probably written during the winter of 1786. This work, together with the Twelve Variations for piano, K. 500, was part of a series of relatively easy-to-play pieces that the publisher Hoffmeister printed the following year. Some scholars believe that Mozart had originally conceived the variations for two pianos but had fallen back on a version for one piano, four hands – perhaps at the publisher’s suggestion – because it would be more saleable. The Andante’s theme has never been traced, thus it is supposed that it was an original one by Mozart. There are five variations in all; they are well developed, and there are moments of refined dialogue between the two performers. Brahms completed his Sonata No. 1, in G Major, for violin and piano, Op.78, in 1878 in the Austrian village of Pörtschach, where he also composed his Violin Concerto, almost contemporaneously. The three-movement sonata begins with a fluidly paced, lyrical Vivace ma non troppo that completely shuns virtuosic display. The second movement – also very lyrical – is a melancholy, autumnal Adagio in E-flat Major. The main theme of the finale, Allegro molto moderato, is based on the Lied, Op. 59, No. 3, called Regenlied (Rain Song) – which explains why this work is known in Germanspeaking countries by the nickname Regensonate. This is perhaps the most effective movement of the entire composition, which the severe critic Eduard Hanslick considered one of the gems of Brahms’s chamber music output. The Thirty-three Variations on a Theme of Diabelli, Op. 120, constitute one of the high points among the works that Beethoven wrote for piano during his last years. The reason behind their composition is well known: in 1819, the composer and publisher Anton Diabelli asked the most important musicians then living in Vienna (including Schubert, Liszt, Hummel, Moscheles and Czerny) to write one variation each on a waltz theme that he had composed; the intention was to publish a collection that, in the end, gathered together the names of over fifty composers. Beethoven, too, was of course asked to participate, but his work grew and grew until it took on the thirty-three-variation form by which we know it today; it was published separately by Diabelli in 1823. The Vaterländischer Künstlerverein (Artists’ Association of the Fatherland), as Diabelli called the collection of variations on his theme, saw the light of day in Vienna during the following year, 1824. Wolfgang A. Mozart (1756-1791) Andante e variazioni K 501 MARTHA ARGERICH, STEPHEN KOVACEVICH Johannes Brahms (1833-1897) Sonata in sol magg. op. 78 1. Vivace ma non troppo 2. Adagio 3. Allegro molto moderato DORA SCHWARZBERG, STEPHEN KOVACEVICH Ludwig van Beethoven (1770-1827) 33 Variazioni sopra un valzer di Diabelli op.120 Tema (Vivace) Variazione 1. Alla Marcia maestoso Variazione 2. Poco allegro Variazione 3. L'istesso tempo Variazione 4. Un poco più vivace Variazione 5. Allegro vivace Variazione 6. Allegro ma non troppo e serioso Variazione 7. Un poco più allegro Variazione 8. Poco vivace Variazione 9. Allegro pesante e risoluto Variazione 10. Presto Variazione 11. Allegretto Variazione 12. Un poco più moto Variazione 13. Vivace Variazione 14. Grave e maestoso Variazione 15. Presto scherzando Variazione 16. Allegro Variazione 17. Allegro Variazione 18. Poco moderato Variazione 19. Presto Variazione 20. Andante Variazione 21. Allegro con brio — Meno allegro Variazione 22. Allegro molto (alla “Notte e giorno faticar” di Mozart) Variazione 23. Allegro assai Variazione 24. Fughetta (Andante) Variazione 25. Allegro Variazione 26. (Piacevole) Variazione 27. Vivace Variazione 28. Allegro Variazione 29. Adagio ma non troppo Variazione 30. Andante sempre cantabile Variazione 31. Largo, molto espressivo Variazione 32. Fuga (Allegro - Poco adagio) Variazione 33. Tempo di Menuetto moderato, ma non tirarsi dietro STEPHEN KOVACEVICH 53 54 __ Progetto Martha Argerich Nel 1903, il Conservatorio di Parigi decise di aprire un corso di studi dedicato all’arpa cromatica, e poco tempo dopo la casa musicale Erard, una delle più importanti produttrici mondiali dello strumento, commissionò al non ancora trentenne Maurice Ravel una nuova composizione in cui l’arpa fosse utilizzata come protagonista. Nacque così, nel 1905. l’Introduzione e Allegro per arpa, flauto, clarinetto e quartetto d’archi, opera che ebbe la sua prima esecuzione a Parigi il 22 febbraio 1907 (all’arpa sedeva la celebre Micheline Kahn), e che noi ascolteremo oggi in una versione per due pianoforti. Amabile e disimpegnata, l’Introduzione e Allegro è una pagina ricca di fascino sonoro, priva di eccessive complicazioni armoniche, tutta giocata sulle capacità evocative dello strumento a corde pizzicate e sulla raffinatezza degli impasti timbrici tra le sonorità dell’arpa e quelle degli altri strumenti. Il Quartetto in Do minore per pianoforte e archi fu portato a termine da Richard Strauss il primo gennaio del 1885, e fu pubblicato nella primavera del 1886, con una dedica al conte Georg II di Meiningen, alla cui corte Strauss lavorò come Kapellmeister per qualche mese. L’opera vinse anche il concorso del Tonkünstlerverein di Monaco per un quartetto con pianoforte, sicché non si può escludere che Strauss abbia composto il suo lavoro proprio in vista di tale concorso. Pur essendo opera di un musicista poco più che ventenne, il quartetto ha un’impronta sicuramente personale, anche se non mancano occasionali omaggi a Schumann e, soprattutto, a Brahms. Ma l’accalorata pregnanza dei temi, l’enfatica scolpitura delle frasi musicali, il pathos dilagante, conducono ben presto Strauss molto lontano dai modelli di partenza, specialmente in quella che è forse la pagina più riuscita del quartetto, l’Andante in La bemolle maggiore, traboccante di lirismo, con la sua melodia che si distende senza alcuna fretta, per ampi intervalli, trascolorando dal pianoforte ai tre archi. I primi tre numeri d’opus del catalogo delle composizioni a stampa di Felix Mendelssohn Bartholdy sono occupati da tre Quartetti per pianoforte e archi. Si tratta di tre lavori scritti tra i quindici e i sedici anni ed oggi di esecuzione piuttosto rara, e tuttavia ricchissimi di idee musicali di prim’ordine: come enfant prodige nel campo della composizione, in effetti, Mendelssohn non fu secondo a nessuno, neppure a Mozart. Il più celebre di questi Quartetti è sicuramente il terzo op. 3, in Si minore, che il giovane compositore dedicò a Wolfgang Goethe; ma anche il Quartetto n. 1 in Do minore op. 1, che inaugura la serie, rivela già nel bell’Allegro vivace d’apertura i suoi molti meriti. A questo primo movimento seguono poi un toccante Adagio di chiara impronta beethoveniana, un Presto tutto pervaso da un inesauribile slancio motorio e, in conclusione, un Allegro moderato in cui gli omaggi a Beethoven si alternano a cospicue concessioni al più brillante stile Biedermeier. La Sonata per violino e pianoforte op. 18 è una delle più importanti tra le non molte opere cameristiche lasciateci da Richard Strauss. Formata da tre movimenti, si apre con un Allegro ma non troppo mosso e dalla ricca invenzione melodica, in cui però l’esuberante fantasia del compositore sembra dilatare la forma moltiplicando sviluppi e idee secondarie, con frequenti concessioni ad un certo eclettismo stilistico. Di questo distacco dall’equilibrio classico, presago di tempi nuovi, è eccellente testimonianza il successivo Andante cantabile, in La bemolle maggiore, sottotitolato Improvisation, in cui l’elegante grazia melodica ha ben presto la meglio sulla profondità espressiva. L’Allegro conclusivo è preceduto da nove battute affidate esclusivamente al pianoforte, di carattere cupo e meditativo. L’irruzione dell’Allegro risulta così imprevista e, in un certo senso, più teatrale. Non di meno questo movimento mostra un carattere espressivo chiaramente definito, grazie anche ad uno sviluppo teso e drammatico, con una ripresa e una coda trionfali. __ In 1903 the Paris Conservatoire initiated a course of study dedicated to the chromatic harp, and shortly thereafter the Erard Company – one of the most important manufacturers of harps in the world – commissioned the not yet thirty-year-old Maurice Ravel to write a composition in which the harp would be the protagonist. This is the origin of the Introduction and Allegro for harp, flute, clarinet and string quartet (1905), which had its first performance in Paris on 22 February 1907, with the celebrated Micheline Kahn as harpist. We will hear it today in a two-piano version. The Introduction and Allegro is a warm, easygoing piece, full of fascinating sounds and by no means excessively complicated, harmonically. Everything depends on the evocative capacities of the harp’s plucked strings and on the refinement of its sonorities, as well as on those of the other instruments. Richard Strauss completed his Quartet in C minor for piano and strings on 1 January 1885; it was published in the spring of 1886, with a dedication to Duke Georg II of Meiningen, at whose court Strauss worked as Kapellmeister for a few months. The work also won the piano quartet competition of the Munich Musicians’ Society, and it is possible that Strauss composed the piece with a view to participating in the competition. Although it was written by a musician who was barely more than twenty years old, the quartet has a distinctly personal imprint, notwithstanding occasional nods to Schumann and, above all, Brahms. But the heated meaningfulness of the themes, the emphatic limning of musical phrases and the overall pathos quickly carry Strauss far away from his models, especially in the Andante (A-flat Major), which is perhaps the piece’s most successful section: it overflows with lyricism, and its melodic line opens up unhurriedly and in broad intervals, with colours passing between the piano and the three stringed instruments. The first three opus numbers in the catalogue of Felix Mendelssohn-Bartholdy’s published compositions are occupied by three quartets for piano and strings. These works were written when he was fifteen to sixteen years old; they are not often played, and yet they are full of first-rate musical ideas. As a child prodigy in the field of composition, Mendelssohn was second to no one – not even to Mozart. The best known of these quartets is surely the third, Op. 3, in B minor, which the young composer dedicated to Goethe. But even the beautiful opening Allegro vivace of the Quartet No. 1, in C minor, Op. 1, with which the series begins, reveals all the work’s virtues. This first movement is followed by a touching Adagio, clearly Beethovenian in nature, then by a Presto of inexhaustible rhythmic drive and, finally, by an Allegro moderato in which tributes to Beethoven alternate with conspicuous concessions to more brilliant Biedermeier tastes. The Sonata for violin and piano, Op. 18, is one of the most important of Richard Strauss’s relatively few chamber works. The three-movement piece opens with a quick, melodically rich Allegro ma non troppo, in which, however, the composer’s exuberant imagination seems to dilate the form by multiplying developments and secondary ideas, with many concessions to stylistic eclecticism. The following Andante cantabile in A-flat Major, subtitled “Improvisation”, is an excellent example of Strauss’s disconnection from classical equilibrium and a premonition of things to come: elegant melodic grace quickly gains the upper hand over expressive depth. The final movement begins with nine dark, meditative bars for piano solo; the explosion of the Allegro is thus very sudden and, in a sense, more theatrical. Yet this movement demonstrates a clearly defined expressive nature, thanks also to a tense, dramatic development section, which is followed by a recapitulation and a triumphal coda. 22.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI Maurice Ravel (1875-1937) Introduzione e Allegro (versione per 2 pianoforti dell’autore) GIORGIA TOMASSI, ALESSANDRO STELLA Richard Strauss (1864-1949) Quartetto per pianoforte e archi 1. Allegro 2. Presto 3. Andante 4. Finale (Vivace) NICHOLAS ANGELICH, RENAUD CAPUÇON, LYDA CHEN, GAUTIER CAPUÇON Felix Mendelssohn (1809-1847) Quartetto in do min. op. 1 n. 1 1. Allegro 2. Andante marciale 3. Larghetto sensibile 4. Presto MARTHA ARGERICH, DORA SCHWARZBERG, LYDA CHEN, MISCHA MAISKY Richard Strauss (1864-1949) Sonata in mi bem. magg. op. 18 1. Allegro ma non troppo 2. Improvvisazione (Andante cantabile) 3. Finale (Andante - Allegro) RENAUD CAPUÇON, NICHOLAS ANGELICH 55 56 __ Progetto Martha Argerich Heitor Villa Lobos è stato il più importante compositore brasiliano del XX secolo. La sua formazione fu quella di un autodidatta; imparò a suonare da solo il pianoforte, il violoncello, alcuni strumenti a fiato, e come autodidatta iniziò anche a comporre, lasciandoci una sterminata molte di lavori, di varia qualità, tra cui anche diversi Chôros destinati ai più diversi organici strumentali. Nella musica popolare brasiliana, il chôro è una forma di improvvisazione, ma Villa Lobos usa questo termine per riferirsi a tutte le diverse modalità della musica del suo paese, risalenti alle tradizioni dei popoli che lo hanno formato (indios, africani, europei). Il Chôro n. 5 per pianoforte fu composto nel 1925 e porta il sottotitolo “Alma brasileira”; si tratta di una breve pagina in tempo lento, con una sezione centrale ritmicamente più agitata, sorta di esplosione vitalistica che ben presto si smorza per lasciare il posto ad una conclusione più pacata. Nato a Rio de Janeiro da genitori spagnoli, Lorenzo Fernandez ebbe un’educazione musicale europea, benché sia entrato all’Istituto nazionale di musica solo a 20 anni, dopo una formazione umanistica scelta in funzione della scelta di studiare medicina (poi abbandonata). La sua inclinazione per la musica si manifestò presto attraverso la pratica di improvvisazione al pianoforte che lo avvicinò all’esperienza della musica popolare del proprio paese. Dalle danze in particolare ricavò ispirazione per molte composizioni strumentali, alle quali appartiene la terza Suite brasileira per pianoforte composta negli anni 1940-42, il cui ultimo brano (Jongo) è una danza negra. I pezzi che compongono la virtuale "trilogia argentina" di Eduardo Hubert sono nate in periodi diversi e per diverse ragioni. Humauala è stato il primo ad essere concepito anche se finito quattro anni più tardi del Fantango, il quale proviene dalla sintesi di due nomi “fantasia” e “tango” sulle note di BACH. Infatti è stato commissionato per un festival di musica contemporanea a Roma nel 1985 nell'anniversario della nascita del grande compositore. Esso si basa sulle quattro note che formano il nome di Bach in modo contrappuntistico e con un paio di temi tolti dai preludi del Clavicembalo ben temperato. Humauala, ispirato ad un momento di personale approccio alle montagne della Cordigliera delle Ande, proviene anche dalla sintesi di due nomi: Humahuaca (regione del nordovest argentino) e vidala (canzone del centro nord). Malambo invece è sorto come sigla di una trasmissione della RAI in 8 puntate chiamata appunto Malambo. Malambo è la danza più conosciuta del gaucho che si prodiga in acrobazie e virtuosismi. Nella versione originale esso viene accompagnato dal bombo, strumento di percussione molto usato nel folklore argentino. Nato a Buenos Aires nel 1916 da padre catalano e madre italiana, Alberto Ginastera ha rappresentato uno dei punti più alti della musica argentina del XX secolo, realizzando opere ispirate da un lato alle tradizioni popolari della sua terra natale, ma dall’altro aperte anche alle esperienze più originali ed innovative della musica occidentale. Sebbene profondamente legato al nazionalismo musicale, particolarmente rigoglioso in Argentina negli anni 30 e 40, Ginastera ha saputo dunque forgiarsi un linguaggio musicale di notevole originalità, che gli ha procurato ampi riconoscimenti a livello internazionale. Le Tres Danzas Argentinas furono composte nel 1937. Il primo dei tre pezzi, El viejo boyero (Il vecchio bovaro) ha un carattere decisamente motoristico e nervoso, mentre il secondo pezzo, La moza donosa (La ragazza graziosa) ha invece un andamento languido e cantabile, pieno di malinconia. Chiude il trittico El gaucho matrero (Il gaucho astuto), dalla scansione ritmica precipitata e incalzante. I pezzi che compongono la raccolta degli Humoreske op. 20 furono composti da Schumann nel 1839. La raccolta è riconducibile ad altre consimili composizioni pianistiche schumanniane, anche se qui i nove piccoli pezzi non sono contraddistinti da titoli caratteristici o evocativi, ma da semplici indicazioni di movimento e la struttura tonale appare piuttosto rigida, dal momento che tutti e nove i brani sono scritti nella tonalità di Si bemolle maggiore – con qualche occasionale scivolamento nel relativo minore. Una grande mutevolezza di stati d’animo caratterizza i nove brani, con momenti di meravigliosa intimità espressiva e poesia delicatissima nei brani in tempo lento. __ Heitor Villa-Lobos, was the most important Brazilian composer of the 20th century. He was basically self-educated: he learned to play the piano, cello, and a few wind instruments on his own, and he even began to teach himself to compose, eventually leaving a vast quantity of works that vary in quality. Among these there are various Chôros for the most widely variegated instrumental combinations. In Brazilian folk music, the chôro is an improvisational form, but Villa-Lobos uses the term to refer to all of his country’s various types of music, which draw upon the traditions of the peoples who inhabited Brazil: Indios, Africans and Europeans). The Chôro No. 5, for piano, was composed in 1925 and is subtitled Alma brasileira (Brazilian Soul); it is a short piece in a slow tempo, with a more rhythmically agitated middle section – a sort of life-enhancing explosion that quickly calms down and gives way to a more tranquil ending. Born to Spanish parents in Rio de Janeiro, Lorenzo Fernandez had a European-style musical education, although he entered the National Music Institute only at the age of 20; he had originally had a humanistic education and had later abandoned medical studies. His musical inclinations were manifested early on through his improvisations at the piano, which brought him into contact with his country’s folk music. Dance music, in particular, inspired many of his instrumental compositions – among them, the third Suite brasileira for piano, composed in 1940-42, which ends with a Jongo (black dance). The three pieces that comprise what is virtually an “Argentine Trilogy” by Eduardo Hubert were written at different times and for different reasons. Humauala was actually the first to have been conceived, although it was completed only four years after the Fantango, which blends the terms fantasia and tango and makes use of the notes B-A-C-H. It was commissioned for a contemporary music festival in Rome in 1985 – the 300th anniversary of the great composer’s birth. It treats the four notes contrapuntally, and two of its themes are taken from preludes from The Well-Tempered Clavier. Humauala was inspired by a personal trip to the Andes mountain range; its title combines two names: Humahuaca, a region in Northwest Argentina, and vidala, a type of song from North-Central Argentina. Malambo, on the other hand, grew out of an eight-part RAI (Italian radio) series of broadcasts by that name: it is the best-known dance of the gauchos, full of acrobatics and virtuosic displays. It is meant to be accompanied by the bombo, a percussion instrument often used in Argentine folk music. Alberto Ginastera, who was born in 1916 to a Catalan father and an Italian mother, was one of the greatest representatives of 20th-century Argentine music. He created works that were inspired by the folk traditions of his native land, but, on the other, he was open to the most original, innovative sides of Western music. Although he was deeply involved in musical nationalism, which thrived in Argentina during the 1930s and ‘40s, Ginastera was able to forge a remarkably original musical language that won him much international recognition. The Tres danzas argentinas were composed in 1937. El viejo boyero (The Old Herdsman) – the first piece - is decidedly motor-like and skittish, whereas the pace of the second one, La moza donosa (The Lovely Girl), is languid, lyrical and full of melancholy. Last of the three pieces, El gaucho matrero (The Astute Gaucho) is rhythmically dashing and increasingly heated. Schumann composed the nine pieces that make up his Humoreske, Op. 20, in 1839. The series is similar in many ways to other piano compositions by Schumann, although the present pieces are not given typical or evocative names; they bear only tempo indications – in German, rather than in the traditional Italian – and the tonal structure seems rather rigid, inasmuch as all nine pieces are in the key of B-flat Major, with occasional ventures into the relative minor. As always in compositions of this sort, quick changes in soul-state are common here. The slow movements contain moments of marvelous expressive intimacy and delicate poetry, as, for instance, in No. 1, Einfach (Simply), and No. 5, Innig (Intimately). 23.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO Heitor Villa-Lobos (1887-1959) Chôros n. 5 Lorenzo Fernandez (1897-1948) Jongo (danza negra) Eduardo Hubert (*1947) Fantango Humauala Malambo Alberto Ginastera (1916-1883) Tres danzas argentinas 1. El viejo Boyero 2. La Moza Donosa 3. El Gaucho Matrero Robert Schumann (1810-1856) Humoreske op. 20 1. Einfach 2. Sehr rasch und leicht 3. Hastig 4. Einfach und zart 5. Innig 6. Sehr lebhaft. Stretta 7. Mit einigem Pomp 8. Zum Beschluss EDUARDO HUBERT Jorge Bosso (*1966) Duo I DORA SCHWARZBERG, JORGE BOSSO 57 58 __ Progetto Martha Argerich L’esordio editoriale di Beethoven avvenne, nel 1795, con una serie di tre Trii per pianoforte, violino e violoncello op. 1 dedicati al principe Lichnovsky che il giovane musicista aveva portato a termine poco tempo prima e certamente non costituivano la sua “opera prima”, ma solo la prima che egli avesse ritenuto degna di dare alle stampe. Il Trio n. 1 in Mi bemolle maggiore, si apre con un Allegro in cui non è difficile cogliere echi haydniani. Molto più personale e chiaramente individuato è invece il bell’Adagio cantabile, in La bemolle maggiore, dall’andamento tranquillo e pacato, ma sempre ricco di idee melodiche. Un’impronta personale ha anche lo Scherzo, dai tratti sovente bizzarri e scherzosi, che ormai ha ben poco da spartire con il tradizionale Minuetto. Chiude la composizione un Finale, Presto in forma sonata dalla scrittura pianistica particolarmente brillante. Saint-Saëns ebbe un giorno a dire di sé che per lui scrivere musica era come, per un albero, produrre delle mele, volendo indicare quanto naturale e spontaneo gli venisse riempire fogli di carte pentagrammata. In effetti la sua produzione musicale è vastissima, anche se le opere rimaste nel repertorio corrente sono tutto sommato abbastanza poche. Tra queste, un ruolo di primo piano spetta alla Danse macabre, un breve lavoro orchestrale ispirato ad un poema di Henri Cazalis in cui la Morte suona il suo violino in un cimitero, a mezzanotte, per far danzare gli scheletri. Nella versione orchestrale, la danza degli scheletri è evocata con molto umorismo dal suono dello xilofono; solo all’alba, dopo che il Dies Irae è risuonato e dopo che il canto del gallo ha annunciato il sorgere del nuovo giorno, gli scheletri fanno mestamente ritorno nelle loro tombe. “Una volta era un’orgiastica diavoleria, oggi è un modo di camminare”. Così Jorge Luis Borges ha definito, una volta, il tango: e ancora: “Si direbbe che senza i crepuscoli e le notti di Buenos Aires non possa nascere un tango, e che in cielo attenda, noi argentini, l’idea platonica del tango, la sua forma universale”. Il programma di oggi propone tre tanghi di Astor Piazzolla, due dei quali (Oblivion e Libertango) sono da tempo tra le opere più note ed eseguite di questo autore; li propone in un arrangiamento per due pianoforti, da cui è escluso dunque lo strumento più caratteristico delle composizioni originali di Pazzolla, il bandoneòn, a conferma di come questa musica, per quanto così legata alle tradizioni dei luoghi che l’hanno vista nascere (i quartieri malfamati del porto di Buenos Aires, e in particolare quello della Boca, popolato da immigrati italiani), contenga in sé una carica di universalità che ne permette gli usi più svariati senza troppo snaturarne il senso. Quantitativamente piuttosto limitata, la produzione di Antonin Dvořák per violino e pianoforte trova nella Sonatina in Sol maggiore op. 100 e nella Sonata in Fa maggiore op. 57 le sue espressioni più significative. Delle due composizioni è sicuramente la Sonatina – composta nel 1893 negli Stati Uniti e largamente basata su materiali musicali di derivazione americana – a godere oggi di maggior popolarità. La Sonata op. 57, scritta nel 1880, è invece un lavoro di più schietta ascendenza brahmsiana, anche se la tematica rivela spesso una chiara ispirazione folclorica boema. La breve composizione si apre con un Allegro ma non troppo che è forse la pagina in cui le reminiscenze di Brahms sono più evidenti; ma già il successivo Poco sostenuto, gentile e meditativo, è una pagina del più puro Dvořák. Conclude la composizione un esuberante e festoso Allegro molto in forma di rondò. La Sonata per violoncello e pianoforte n. 1 in Mi minore op. 38 fu scritta da Brahms nel 1865, in un periodo in cui la personalità musicale del compositore manifestava con chiarezza il proprio affrancamento dai giovanili modelli schumanniani. In questo senso sono anche da intendere gli ammiccamenti di gusto vagamente neoclassico presenti in quest’opera, e destinati a rimanere caratteristica costante del linguaggio di Brahms. La Sonata in Mi minore presenta una struttura in tre soli movimenti, perfettamente equilibrata in termini musicali. In effetti, il sognante lirismo che impregna tutto il lungo, mirabile primo tempo (Allegro non troppo), finisce per rendere del tutto superfluo il tradizionale movimento lento; un’ampia sezione cantabile è del resto presente anche nell’Allegretto quasi Minuetto, mentre l’Allegro conclusivo, ricco di spunti contrappuntistici, mette in mostra una scrittura strumentale di tipo decisamente più brillante. __ In 1795 Beethoven published the earliest of his works that he considered to be fully mature: the three Trios for piano, violin and cello, Op. 1, dedicated to Prince Lichnowsky. The fourmovement Trio No. 1, in E-flat Major, begins with an Allegro in which echoes of Haydn can be heard without difficulty, whereas the Adagio cantabile, in A-flat Major, is much more personal and more clearly individualised, with its peaceful, tranquil pace and bounteous melodic invention. The Scherzo, too, bears a personal imprint: its frequently bizarre, jocular traits are already far removed from the traditional third-movement minuet. A finale (Presto) in sonata form, characterised by particularly brilliant piano writing, brings the composition to a close. Saint-Saëns once said that he produced music as an apple tree produces apples. By this he meant that it was natural and spontaneous for him to fill music paper with notes. In fact, the musical output of Saint-Saëns is extremely vast, although the works that have remained in the repertoire are rather few, when all is said and done. Among those that have endured, the Danse macabre certainly plays a leading role. This short orchestral piece was inspired by a poem by Henri Cazalis in which Death plays his violin in a cemetery at midnight, to make the skeletons dance. In the orchestral version, the skeletons’ dance is humorously described by the sound of the xylophone; it is only at dawn, after the Dies Irae has sounded and the rooster has announced the arrival of the new day, that the skeletons sadly return to their tombs. “Once, it was orgiastic deviltry; now, it’s a way of walking.” This is how Jorge Luis Borges once defined the tango. He also declared: “It could be said that without Buenos Aires’s twilights and nights a tango could not be born, and that the platonic idea of tango, the universal form of tango, awaits us Argentines in heaven.” Today’s programme includes three tangos by Astor Piazzolla, of which two (Oblivion and Libertango) have long been among this composer’s best known and most often played works. We shall hear them in an arrangement for two pianos, which therefore excludes the bandoneón – the instrument that most typifies Piazzolla’s original compositions. This confirms the fact that this music, however tied up it is with the traditions and places where it was born (the ill-famed quarter of Buenos Aires’s port area, and especially the Boca, inhabited by Italian immigrants), contains within itself a degree of universality that allows it to be used in the most variegated ways without grossly betraying its original meaning. The most significant works in Antonín Dvořák’s rather limited repertoire of music for violin and piano are the Sonatina in G Major, Op. 100, and the Sonata in F Major, Op. 57. Of the two, it is the sonatina – composed in the United States in 1893 and largely based upon American-derived musical material – that surely enjoys more popularity. The Sonata, Op. 57, written in 1880, clearly owes a great deal to Brahms, even though many of the themes were obviously inspired by Bohemian folk music. The brief work opens with an Allegro ma non troppo that is probably its most Brahmsian segment, whereas the gentle, meditative Poco sostenuto that follows is pure Dvořák. The composition ends with an exuberant, festive Allegro molto in rondo form. Brahms wrote his Sonata No. 1, in E minor, for cello and piano, Op. 38, in 1865, during a period in which the composer’s musical personality clearly demonstrated its liberation from its youthful, Schumannesque model. This also helps us to understand the flirtation with vaguely neoclassical ideas that are to be found in this work and that would then remain a constant in Brahms’s musical language. The Sonata in E minor is made up of only three movements that are perfectly equilibrated, in musical terms. The dreamy lyricism that permeates the long, wonderful first movement (Allegro non troppo) would have made a traditional slow movement entirely superfluous; for that matter, there is a substantial lyrical section in the Allegretto quasi Minuetto, too, whereas the final Allegro, full of contrapuntal ideas, displays decidedly more brilliant instrumental writing. 24.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI Ludwig van Beethoven (1770-1827) Trio in mi bem magg. op.1 n.1 1. Allegro 2. Adagio cantabile 3. Scherzo. Allegro assai 4. Finale. Presto DAGMAR CLOTTU, YUZUKO HORIGOME, ALEXANDRE DEBRUS Camille Saint-Saëns (1835-1921) Danse macabre op. 40 (trascrizione Akane Sakai) MARTHA ARGERICH, AKANE SAKAI Astor Piazzolla (1921-1992) Tre tanghi (trascrizione Eduardo Hubert) 3 minutos con la realidad Oblivion Libertango EDUARDO HUBERT, MARTHA ARGERICH Antonin Dvořák (1841-1904) Sonata in fa magg. op. 57 1. Allegro ma non troppo 2. Poco sostenuto 3. Allegro molto YUZUKO HORIGOME, AKANE SAKAI Johannes Brahms (1833-1897) Sonata n. 1 in mi min. op. 38 1. Allegro non troppo 2. Allegretto quasi minuetto 3. Allegro GAUTIER CAPUÇON, NICHOLAS ANGELICH 59 60 __ Progetto Martha Argerich __ 26.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI La fugue commedia musicale libretto e liriche Francis Lacombrade e Bernard Broca musica Alexis Weissenberg versione originale per due pianoforti riduzione in forma narrativa Francis Lacombrade JASMINE DAOUD MURIEL BRUNO ALBANE CARRÈRE NICOLAS DORIAN DENIS BOUDART Nana Caterina, Olga Samantha David, Concierge Harold FRANCIS LACOMBRADE Recitante DAVID MILLER Coordinamento musicale DEUXIÉME ÉPOQUE PREMIÈRE ÉPOQUE Tableau I: “hall du grand hôtel des villes civilisées et du crépuscule” en 1880 Tableau I: “au coeur de l’ordinateur emma-00-une” (an 2015) Rythmes syncopés Fugue Imprécations syncopées (Samantha, Tutti) Cadeau de violence (Harold) Il est expert (Harold, Concierge) Thème de l’enfant DAVID MILLER MARTHA ARGERICH ALEXANDER GURNING Tableau II: “chambre de David dans le même hôtel” Le “rendez-toi” (David) Elles sont trois soeurs (Samantha, Caterina, Nana) DAVID MILLER Motif en spirale Mon destin (Samantha) Tableu II: “hall du grand hôtel des villes civilisées et du crépuscule” (1980) Précipitations (Tutti) ALAN WEISS AKANE SAKAI ALEXANDER MOGILEWSKY YOULIA ZAICHKINA Non, non, je voeux (Samantha) Nous voici (David) Nostalgie (Hérold) C’est si facile (Nana) Et déjà je vous vois (Tutti) Imprécations syncopées L’abécédaire (Olga) Aparte (Nana) Tableau IV: “au casino termal” (même année) Les jeux sont faits (Tutti) Slow Casino Pour aimer il faudrait s’entraîner (Caterina) Tableau vivant (Samantha, Harold) GILA GOLDSTEIN FRANCESCO PIEMONTESI Slow-fugue Le piège (Tutti) Tableau III: “cour d’honneur du même hôtel” Américaines en Europe (Samantha, Caterina, Nana) Fanfare des chercheurs (Tutti) Emma-valse Ballets des ombres Conjuguer (Harold) “Anti-nue” (Samantha, Harold) GIORGIA TOMASSI ALESSANDRO STELLA DAVID MILLER EDUARDO HUBERT ALESSANDRO DE LUCA WALTER DELAHUNT GABRIELE BALDOCCI J’en reviens à cette larme (Harold) Tableau V: “appartement de David à Tomorrowille” (1930) Air d’enfant Charleston Je suis si heureuse (Nana) Avec des si par millier (Harold) Fugue MARTHA ARGERICH ALEXANDER GURNING 61 62 __ Progetto Martha Argerich Immaginate --- una fantastica storia d’amore, che si intreccia e si snoda in quattro epoche diverse ... Immaginate ... tre sorelle americane, Samantha, Caterina e Nana, strane inattese, insolenti (tenere, secondo il comodo loro ...), tre sorelle americane impegnate a solcare l’Europa alla ricerca dell’uomo ideale. L’avrebbero forse trovato nella persona di questo francese disinvolto e raffinato, Herold che sempre sguscia per meglio riprendersi? L’avrebbero trovato nella persona di suo figlio David, che si fa avanti con tutta la sua evidente vulnerabilità? Immaginate ... siamo nella fastosa hall di un palazzo dell’Europa fin de siècle; presto ci troveremo in America nel 1930; poi sfioreremo l’anno 2000, nell’epoca dove i computer si occuperanno anche sull’appetibile complessità degli andirivieni amorosi!.... Immaginate che questi “giochi umani” siano sorpresi e raccontati da un bambino ... un bambino-non-ancora-nato e che avrebbe il potere di aspettare il momento più giusto per venire al mondo ... Aggiungetevi un grano di follia e un pizzico di sogno ... Immaginate una fuga musicale, obbediente alle leggi del genere, da cui prorompono tutti i fuochi d’artificio dell’odierna jazzmusic, senza dimenticare la tenera e ironica strizzatina d’occhio al passato, quali “Le charleston”, “Le rendez-toi” e “Pour aimer il faudrait s’entraîner” che evocano altrettante cartoline postali ingiallite. La fugue andò in scena la prima volta nel 1979 al Théâtre de la Porte Saint-Martin a Parigi con la regia di Jean-Claude Brialy, la coreografia di Matt Mattox, la scenografia di Pier-Luigi Pizzi, i costumi di Jeanne Wakhevitch, l’orchestrazione e la direzione musicale di Alexander Wladiguerov. Scena di Pier-Luigi Pizzi Costumi di Jeanne Wakhevtch della rappresentazione parigina (1979) __ Imagine --- a fantastic love story that ravels and unravels through four different eras. Imagine… three American sisters, Samantha, Caterina and Nana, strange, unusual, insolent (gentle, if they see fit…), three American sisters intent on ploughing across Europe, searching for the ideal man. Have they perhaps found him in this nonchalant, refined Frenchman, Hérold, who always gives people the slip and comes out on top? Have they perhaps found him in the man’s son, David, who has come forward with all his obvious vulnerability? Imagine… We are in the sumptuous hall of a fin de siècle European palace; soon, we shall find ourselves in America in 1930; then we shall touch upon the year 2000, during a period in which computers will deal with even the tempting complexity of amorous comings and goings! Imagine that these “human games” are secretly being watched and recounted by a child – an as yet unborn child who has the ability to wait for the best possible moment for coming into the world… Add a grain of madness and a pinch of dream… Imagine a musical fugue that obeys its formal rules and from which all the fireworks of today’s jazz explode, not excluding tender, ironic winks at the past through the “Charleston”, “Le rendez-toi” and “Pour aimer il faudrait s’entraîner”, which evoke as many yellowed postcards. La Fugue was first produced in 1979 at the Théâtre de la Porte Saint-Martin in Paris, directed by Jean-Claude Brialy, choreography by Matt Mattox, sets by PierLuigi Pizzi, costumes by Jeanne Wakhevitch and orchestration and musical direction by Alexander Wladiguerov. 63 Coreografia Matt Mattox (1979) Preludio e fuga A trent’anni io e Bernard abbiamo condotto due attività piuttosto parallele di attore e scrittore e anche di uomini di radio. Io fui il protagonista del film La Amitiés Particulières. Egli aveva interpretato il ruolo di Mozart nell’opera di Guitry e Reynaldo Hahn per la televisione. Egli fu più attore di me ma io ero stato più scrittore di lui. Feci rappresentare sei lavori alla televisione e a teatro (tra cui Genitrix ricavato da Mauriac) e in alcuni pure recitò. Un giorno d’inverno pieni d’ambizione decidemmo di scrivere lo spettacolo che avremmo voluto vedere rappresentato in teatro, in cui si sarebbero mescolati musica, colore, ritmo, emozione, danza, humor, luce. Non ne sarebbe stata il veicolo ideale la “commedia musicale” (genere che, al di là dell’Atlantico, non è necessariamente una commedia leggera nel senso in cui lo intendiamo qui)? Non vi si è seri per essere ancora più gravi. Vi si mostra l’emozione per disfarsene subito dopo nelle strofe ironiche. Terminata la prima versione partimmo alla ricerca del compositore. Poiché l’ammiravamo e ne eravamo stati colpiti dall’entusiasmo e dalla sua personalità irradiante nel corso di una trasmissione televisiva a lui consacrata, ci rivolgemmo ad Alexis Weissenberg, senza nemmeno sapere che egli era anche compositore, mossi da ciò che bisogna proprio chiamare “un’intuizione”. Tremanti, gli portammo il manoscritto di 150 pagine che allora era intitolato “L’enfant ?”. Tre giorni dopo da Berlino ricevemmo per telefono la risposta; era “sì”. Ne siamo ancora meravigliati. Per tre anni tutti e tre abbiamo lavorato in continuazione: a volte una musica suscitava una scena, un dialogo era sacrificato affinché nascesse una canzone. Vi furono tre versioni. Abbiamo imparato la pazienza, l’umiltà, l’entusiasmo e una fratellanza indistruttibile. Evidentemente ci furono delle arrabbiature, dei disaccordi e tante occasioni di ridere, dei viaggi in capo al mondo che erano dei ritiri. Quando si trattò di montare lo spettacolo ci trovammo soli, irrimediabilmente soli, tutti e tre giudicati per le buone intenzioni e sommersi di consigli affliggenti, storditi da mille promesse senza futuro. Osservati nel modo in cui ci impantanavamo e stimolati dal nostro infaticabile generale, fu necessario prendere le redini in mano. Diventammo dunque piazzisti, segretari, globe-trotters, copisti, trasportatori, fattorini, pubblicisti, contabili, ripetitori e anche psicanalisti. Siamo diventati produttori. E il mondo ridiventò seducente. Francis Lacombrade (1979) Prelude and fugue At the age of thirty, Bernard and I were active more or less in parallel as writer and actor but also as radio personalities. I was the protagonist of the film Les Amitiés particulières; he had taken the role of Mozart, on television, in the opera by Guitry and Reynaldo Hahn. He was more of an actor than I, but I was more of a writer than he. Six of my works (including Genitrix, based on Mauriac) were performed on television and in the theatre, and I even acted in some of them. One winter’s day, when we were full of ambition, we decided to write the show that we would have liked to see performed in the theatre; there would be a mix of music, colour, rhythm, emotion, dance, humour and lights. Wouldn’t the ideal vehicle have been musical comedy – a genre that, on the other side of the Atlantic, isn’t necessarily a light comedy as we understand the term over here? One needn’t necessarily be serious in order to be even more profound. Emotion is demonstrated, then eliminated immediately afterwards in ironic verses. When we had completed the first draft, we began to look for a composer. We turned to Alexis Weissenberg, because we admired him and had been struck by his enthusiasm and his radiant personality during a television broadcast about him. We didn’t even know that he was also a composer; we were going on what must really be called intuition. We hesitantly brought him our 150-page manuscript, which was then called The Child? Three days later, we received his answer by telephone from Berlin: Yes. We are still marvelling over it. For three years, all three of us worked continuously: sometimes a bit of music created a scene, or a bit of dialogue was thrown out in favour of a song. There were three versions. We learned to be patient, humble and enthusiastic, and we created an indestructible fraternity. Of course there were outbursts and disagreements, but also many occasions for laughter, and travels to the ends of the earth – retreats. When it was time to put the show on the stage we felt alone, hopelessly alone; all three of us were judged by our good intentions and submerged under advice that tormented us, confused by a thousand promises that had no future. When our tireless general observed how bogged down we had become, he stimulated us to do what was necessary and take matters into our own hands. Thus we became agents, secretaries, globetrotters, copyists, furniture movers, errand boys, publicists, accountants, rehearsers and even psychoanalysts. We became producers. And the world became desirable again. Francis Lacombrade (1979) 64 __ Progetto Martha Argerich __ Ah no, non voi Oh no – not you! - Una commedia musicale? ... Ah no, non voi! Tale veemente protesta da parte di una certa signora indignata è per me molto rivelatrice di una certa mentalità. Prima mi ha fatto ridere, in seguito mi ha turbato, poi vi ho riflettuto. Il frutto di questa “meditazione”, che non ebbe nulla di trascendentale, lo affermo, fu: “Una commedia musicale ? Perché non io? ...” A mia difesa avrei potuto raccontare a questa signora della mia formazione musicale, evocare in proposito il mio maestro Vladigherov, grande compositore che ho avuto il dolore di perdere l’autunno scorso, mio caro Pancho, al quale non sarebbe mai venuta l’idea di separare l’arte e l’apprendistato al pianoforte da quelli della composizione. Non l’ho mai sentito separare le leggi dell’una e dell’altra. Come ogni bambino che ha la fortuna di contare sulla musica come primo compagno di giochi e nello stesso tempo grande sorella piena di gravità, alla nascita del Principe Ereditario scrissi un pezzo ispirato ai miei otto anni. Mia madre lo fece portare a quella villa che era il Palazzo di Sofia. Un bombardamento e una guerra distrussero l’uno e l’altro. La signora indignata, autrice del grido virtuoso: “Ah no, non voi !” si sarebbe segretamente rallegrata di sapere che la mia carriera di compositore in erba fu sospesa verso il 1948, negli Stati Uniti: un doppio successo in due concorsi internazionali (superati nella stessa settimana, senza crederci) l’annullamento di un concerto del grande Horowitz diedero un vantaggio netto al pianista diciassettenne. Il respiro tirato dalla signora, che dopo tutto leggerà queste righe, sarà stato di corta durata. A New York ci si strofinava con tutto ciò che il jazz implicava in fatto di artisti diventati meritatamente leggendari, che allora erano compagni alquanto abbordabili: Art Tatum, Oscar Peterson, Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie, Sarah Vaughn, tutti profeti di Birdland, la Mecca del jazz !. Capitava che a notte tarda, nei cabaret del Village, improvvisassimo insieme. Il jazz, ciò che chiamiamo il jazz, la sua straordinaria libertà nel cuore di un ritmo implacabile, questo pullulare di colori in una gamma decisa da un solo battito di palpebre, in un sorriso, mi aveva conquistato. Non mi mollerà più. “Ah no, non voi !...” E allora, sì , io mi misi a comporre canzoni per la mia compagnia di amici del Village, senza avere portato la minima infedeltà a Bach, che io sappia! ... Forse a volte arrivavo in ritardo alle prove quando Oscar Peterson o Art Tatum si esibivano la sera stessa in cui io suonavo Brahms a New York o a Chicago. Giunse poi il ritiro durato quasi dieci anni in cui decisi di appartarmi a lavorare, periodo che la signora indignata adora poiché è sicura che mi sono votato con spirito di sacrificio al Repertorio, senza mangiare e soprattutto senza commettere questa infamia: comporre. Con suo grande disappunto le farò sapere che si sbaglia. Più che mai ho scritto degli studi per pianoforte e anche arrangiamenti di varietà che ho registrato a due pianoforti, con la tecnica della sovrapposizione sotto lo pseudonimo di “Mister Mystery”, per guadagnarmi da vivere. - Ma al termine del vostro ritiro, quando la vostra carriera conosce un nuovo slancio, Maestro, quando vi esibite e registrate con Karajan, Giulini, Ozawa ... non mi direte che ... - No, certamente ... nemmeno una nota. Non scrivo più una nota, non ho più tempo. Mi accontento di andare a vedere le meravigliose commedie musicali di Broadway, con eccitazione e nostalgia, spesso più di una volta di seguito ... - Allora, come vi siete arrivato? Comporre una commedia musicale e farla rappresentare! A Parigi ! ... - Perché, Signora, amo Parigi, sono francese dal 1956, adoro ritrovarmi in questa città. Perché due giovani scrittori francesi hanno suonato, sì, letteral- “A musical comedy? Oh no – not you!” Such a vehement protest by one indignant lady is, I think, highly revealing of a certain mentality. At first, it made me laugh, then it disturbed me, and then it made me reflect. The outcome of this “meditation” – not at all transcendental, I can tell you – was: “A musical comedy? Why should I not do it?” I could have defended myself by telling the lady about my musical training, by mentioning in this regard my teacher, Vladigherov, a great composer who, to my great sorrow, passed away last autumn, my dear Pancho, who would never have dreamt of separating the art and apprenticeship of playing the piano from that of composition. I never heard him separate the rules of the one from those of the other. Like every child who is lucky enough to be able to count on music as a first playmate and at the same time as an older, very serious sister, I, at the age of eight, wrote a piece for the birth of the Crown Prince. My mother had it brought to the villa that was Sofia’s palace. A bombardment and a war destroyed both of them. The indignant lady, originator of the virtuous cry “Oh no – not you!” would have been secretly pleased to learn that my career as a budding composer was suspended around 1948, in the United States: a double success in two international competitions (in one week – I couldn’t believe it) and the cancellation of a concert by the great Horowitz clearly gave the upper hand to the seventeen-year-old pianist. But the sigh of relief of the lady (who, after all, will read these lines) did not last long. In New York one rubbed up against everything that comprised jazz, as far as the artists who had deservingly become legendary were concerned. In those days, they were truly approachable colleagues: Art Tatum, Oscar Peterson, Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie, Sarah Vaughan – all the prophets of Birdland, the Mecca of jazz! Sometimes, late at night in the clubs in the Village, we would improvise together. Jazz – what we call jazz, with its extraordinary freedom at the heart of an implacable rhythm, those teeming colours in a scale determined by a single raised eyebrow during a smile – had conquered me. I’ll never again abandon it. “Oh no – not you!” Well then, yes, I started composing songs for my band of friends in the Village, without ever having betrayed Bach in the slightest, so far as I know! … It may be that I sometimes arrived late for a rehearsal when Oscar Peterson or Art Tatum were playing the same evening in which I was playing Brahms, in New York or Chicago. Then came a period of nearly ten years when I decided to withdraw and work – a period that the indignant lady worships, because she is certain that I dedicated myself, in a spirit of selfdenial, to the Repertoire, never eating and above all never committing the vile deed of composing. She will be very disappointed to learn that she is mistaken. More than ever before, I wrote etudes for the piano and even arrangements of show tunes that I recorded on two pianos, using a technique of superimposition under the pseudonym “Mister Mystery”, to earn a living. “But at the end of your withdrawal, Maestro, when your career was launched again, when you performed and recorded with Karajan, Giulini and Ozawa… you’re not going to tell me that…” “No, certainly… not even a note. I no longer write a note – I no longer have any time. I’m content with going to see those marvellous Broadway musical comedies, with excitement and nostalgia, often twice or more in a row…” “So then, how did you do it? How did you compose a musical comedy and have it performed? In Paris!” mente suonato alla mia porta e mi hanno proposto un manoscritto. - Che cosa grossolana! Non vi credo proprio, siete stato Voi a commissionarla, tenendolo all’oscuro! ... di me, dei vostri amici che vi adorano!... - Perché ho amato subito questo testo nuovo, inventivo. Perché per me la commedia musicale è un esercizio d’amore di sogno e d’illusione, ho letto “la fugue” come una fantasmagoria organizzata - Qual è il soggetto? ... - Ci siamo imposti un percorso seminato di ostacoli. Nel momento di affrontare l’ultima tappa, verso lo spettatore, verso di voi, cara Signora indignata, non penso senza emozione alla gioia e alle lotte di questi ultimi tre anni, illuminati da questo lavoro nuovo, stimolante, molto più vicino di quanto voi non immaginiate a quello che, di sera in sera, da ... trent’anni e più, mi ha permesso di condividere la musica con voi, Signora ... - Veramente? Sono commossa da ciò che mi dite! ... - Alexis ... ho già preso i posti per il vostro recital del ... - Questa sera sulla scena non ci sarà quasi pianoforte; me ne consolo persuadendomi che sarò, in un certo senso, un po’ in tutte queste voci, nuove, entusiaste ... A proposito, posse farle una domanda? - Ma come, dunque? - Promettetemi di non produrre più quei terribili rumori con la carte delle caramelle. Quando Christie, Arielle, Élisabeth, Jean e Bertrand canteranno ... - Lo prometto, Alexis. Reciprocamente rispondete sinceramente alla mia domanda: vi piace sempre Brahms? Alexis Weissenberg (1979 65 “Because, madam, I love Paris, I have been French since 1956, I love to be in this city. Because two young French writers rang – yes, literally rang – my doorbell and handed me a manuscript.” “How rude! I don’t believe you at all; it was you who commissioned it, keeping it a secret – from me, from the friends who adore you!” “Because I immediately fell in love with this new, inventive text. Because for me, musical comedy is an exercise in love, dreams and illusions; I read La Fugue as an organised piece of phantasmagoria!” “What is it about?” “We forced ourselves to follow a path filled with obstacles. Now, as we confront the last segment – going towards the spectator, towards you, dear indignant lady – I think with emotion of the joy and the struggles of these last three years, brightened by this new, stimulating task, much closer than you would imagine to what has allowed me to share music with you, madam, evening after evening for thirty years and more.” “Really? I’m moved by what you tell me!” “Alexis, I’ve already bought tickets for your recital on the…” “This evening there will hardly ever be a piano on the stage; I console myself with the thought that, in a way, I’ll be a little bit present in all those new, enthusiastic voices. By the way, may I ask you a question?” “What is it, then?” “Promise me that you won’t make those horrible noises with candy wrappers when Christie, Arielle, Élisabeth, Jean and Bertrand are singing.” “I promise, Alexis. In return, answer my question frankly: do you still like Brahms?” Alexis Weissenberg (1979) Alexis Weissenberg, Bernard Broca, Francis Lacombrade durante le prove (1979) 66 __ Progetto Martha Argerich __ FRANCIS LACOMBRADE ALEXIS WEISSENBERG Nato a Sofia nel 1929 ha avuto le prime lezioni di pianoforte da Pancho Vladigherov, dando il suo primo recital a otto anni. Dopo essere emigrato nel 1945 in Palestina, dove studiò con Leo Kestenberg, l’anno dopo era già negli Stati Uniti per studiare alla Julliard School con Olga Samanoff e dove ebbe consigli da Arthur Schnabel e da Wanda Landowska. Nel 1947, dopo aver vinto il Concorso Internazionale Leventritt, debuttò a New York con l’Orchestra di Filadelfia sotto la direzione di George Szell nel Terzo Concerto di Rachmaninov. Tra il 1956 e il 1966 si prese un lungo periodo sabbatico con l’intenzione di studiare e insegnare. Riprese in seguito la carriera con un recital a Parigi e immediatamente dopo esibendosi nel Primo Concerto di Caikovskij sotto la direzione di Herbert von Karajan, che lo chiamò “uno dei migliori pianisti del nostro tempo”. Weissenberg è ritenuto una personalità della generazione posteriore alla grande scuola russa (Lhevinne, Horowitz, ecc.), più di ogni altro pianista dotato di smagliante e raffinata tecnica, comunque modulata non solo in funzione del solo virtuosismo. La sua registrazione della Sonata di Liszt all’inizio degli anni 70 è considerata una delle più eccitanti ed insieme liriche fra un centinaio di paragoni. È pure apprezzato per le sue letture di Schumann, Rachmaninov e di molte opere di Chopin, inclusi i concerti con orchestra, i notturni, i valzer e sonate 2 e 3. Altre sue notevoli interpretazioni sono il Primo Concerto di Brahms con Carlo Maria Giulini e Riccardo Muti, il Secondo Concerto di Rachmaninov con i Berliner Philharmoniker diretti da von Karajan e, dello stesso compositore, il Terzo con George Prêtre e Seiji Ozawa con la Boston Symphony Orchestra (anche con Leonard Bernstein e l’Orchestre National de France). Ha fondato un corso di perfezionamento a Engelberg, dove ha avuto come studenti vari pianisti della nuova generazione: Kirill Gerstein, Simon Mulligan, Mehmet Okonsar tra gli altri. Dal 1993 vive a Muzzano presso Lugano. Come compositore è autore di una “Sonate en état de jazz” e della commedia musicale La fugue su libretto di Fancis Lacombrade e Bernard Broca rappresentata nel 1979 a Parigi. Presentata di fronte a un pubblico scelto, alla presenza della Principessa Grace di Monaco e di Madame Giscard d’Estaing, nonostante le 60 rappresentazoni fu accolta dalla critica tra controversie. Particolarmente significativa fu la reazione della stampa americana: “Sebbene Weissenberg sia acclamato internazionalmente come pianista, è sconosciuto come compositore di commedie musicali. Egli ha scritto una vasta, variegata e impegnativa ed affascinante partitura. Qualcuno si aspetterebbe da lui un’obbedienza accademica alle regole della composizione. Nessuno si sarebbe aspettato così tanta vivacità e profusione melodica. I numeri di danza e i 22 pezzi cantati – canzoni, temi jazzistici, numeri di cabaret, charleston – sono collegati in una ricca e incalzante fuga che simboleggia lo scorrere dell’azione attraverso l’intreccio dei vari temi nell’urgenza di un contrappunto muscoloso. [...] Ciò dimostra che anche fuori dell’America è possibile sostenere un vigoroso teatro musicale; che il teatro musicale è abbastanza ricco da suscitare approcci diversi. Broadway ha certamente inventato il ‘musical’, ora è il momento di lasciare crescere il bambino nel teatro del mondo” (Martin Gottfried – “Saturday Review”), [...] “ Ho l’impressione che a New York con cantanti-danzatori abituati a un genere così estraneo agli artisti francesi, questa commedia musicale potrebbe diventare un vero hit internazionale (Norma McLaine-Stoop – “After Dark”). 67 He was born in Sofia (1929) and had piano lessons from the age of three with Pancho Vladigerov. He gave his first public performance at the age of eight. After escaping to Palestine in 1945, where he studied with Leo Kestenberg, he went to the Juilliard School in 1946 to study with Olga Samanoff. He also consulted Arthur Schnabel and Wanda Landowska. In 1947, after having won the Leventritt International Competition, he made his New York debut playing Rachmaninoff’s Piano Concerto No. 3 with the Philadelphia Orchestra under the baton of George Szell. Between 1956 and 1966 he took an extended sabbatical for the purpose of studying and teaching. He resumed his career in 1966 by giving a recital in Paris; later that year he gave Tchaikovsky’s Piano Concerto No. 1 in Berlin under Herbert von Karajan, who called him "one of the best pianists of our time". Weissenberg is said to possess one of the finest techniques of any pianist of the generation following the great Russian School pianists Lhévinne, Horowitz, et al.), however, it is claimed that he never uses it for the sole purpose of virtuosity. His recording of the Liszt’s Sonata in the early 1970s is considered to be one of the most exciting and lyrical versions, among over 100 recordings of the piece. He is also well known for his readings of Schumann, Rachmaninoff, and many works by Chopin, including the complete works for piano and orchestra, the piano sonatas Nos. 2 & 3, the nocturnes, and the waltzes. Among his other notable interpretations are those of Brahms’ Piano Concerto No. 1, with Carlo Maria Giulini and Riccardo Muti, Rachmaninoff's Piano Concerto No. 2 with Herbert von Karajan and the Berlin Philharmonic, and the same composer's Piano Concerto No. 3 with Georges Prêtre and Seiji Ozawa with the Boston Symphony Orchestra (also with Leonard Bernstein and the Orchestre National de France). He founded the Alexis Weissenberg's Piano Master Class in Engelberg, where he has had as students many pianists of the new generation: Kirill Gerstein, Simon Mulligan, Mehmet Okonsar among others. Since 1993 he has lived in Muzzano, near Lugano. As a composer, he is the author of a “Sonate en état de jazz” and of the musical comedy La Fugue, based on a libretto by Francis Lacombrade and Bernard Broca and first performed in Paris in 1979 before a select audience that included Princess Grace of Monaco and Madame Giscard d’Estaing. Although it had 60 performances, it aroused critical controversy. The reactions of the American press were particular significant: “Though Mr. Weissenberg is an internationally acclaimed concert pianist, he is unknown as a composer of musical comedy scores. He has written a large, diverse, and very engaging score, musicianly and yet of raffish charm. One would have expected him to know the rules of composing, to be academically correct. One would not have expected so much vivacity and melody. The dance music and 22 songs - chansons, jazz tunes, cabaret numbers, Charlestons - are connected in a rich, grinding fugue that symbolizes the show by weaving the various themes together in an urgent, muscular counterpoint. [..] They demonstrate that powerful musical theater can be made away from America; that the musical theater is rich enough to inspire diverse approaches. Broadway may have invented musicals, but perhaps it’s time to let the child take its place in world theater” (Martin Gottfried – “Saturday Review”), “I feel that in New York with dancer-singer actors accustomed to a form so foreign to French artists, this musical comedy could be a true international hit” (Norma McLaine-Stoop – “After Dark”). Protagonista adolescente del film Les amitiés particulières di Jean Delannoy (selezione ufficiale della Francia alla Mostra del cinema di Venezia nel 1964), nato a Tolosa da una famiglia di universitari studiosi dell’ellenismo, Francis Lacombrade ha esitato tra la vocazione del danzatore (incoraggiato da un premio al Conservatoire National Supérieur di Parigi), tra la sua attività all’Opéra di Parigi, l’arte drammatica e la scrittura. Il suo primo lavoro teatrale è stato l’adattamento di Madame Bovary di Flaubert, entrata nel repertorio del Teatro classico di Varsavia. Per la televisione ha firmato l’adattamento e i dialoghi di lavori di Henry James, François Mauriac, Ivy Compton-Burnettt, Patricia Highsmith, ecc. Oltre all’attività giornalistica radiofonica (Europe 1, R.T.L.) e nella stampa scritta, è autore di tre romanzi, tra cui La classe des garçons (Gallimard), definito dal critico Pierre Combescot, Prix Goncourt 1991) come “L’Ame et la Danse de Valéry revue par un Fellini”. Il suo lavoro La collection italienne è stato rappresentato da Françoise Fabian a Parigi e a Bruxelles nel 1998. È stato scelto da Christopher Hampton per l’adattamento del suo lavoro Total eclipse. Direttore letterario di una casa di produzione, appassionato di musica, è anche autore dell’unico saggio sul tenore Alfredo Kraus, Confidenze per una leggenda, pubblicato in Spagna. Born in Toulouse to university professor parents who specialised in Hellenistic studies, Francis Lacombrade appeared as the adolescent protagonist of Jean Delannoy’s film Les Amitiés particulières, officially selected for the 1964 Venice Film Festival. He was undecided whether to be a dancer (after having won a prize from Paris’s Conservatoire National Supérieur), work at the Paris Opéra, try a career in theatre arts or be a writer. His first work for the theatre was an adaptation of Flaubert’s Madame Bovary, which became part of the repertoire of Warsaw’s Classical Theatre. He was responsible for the television adaptations (and the dialogue) of works by Henry James, François Mauriac, Ivy Compton-Burnett, Patricia Highsmith and so on. In addition to his work in radio journalism (Europe 1 and R.T.L.) and print journalism, he has written three novels, including La Classe des garçons, which the critic Pierre Combescot – winner of the Prix Goncourt in 1991 – described as “Valéry’s L’Ame et la danse reexamined by Fellini.” His work La Collection italienne was performed by Françoise Fabian in Paris and Brussels in 1998. He was chosen by Christopher Hampton to adapt his work, Total Eclipse. He is the literary director of a production company, a music lover and the author of the only book on the tenor Alfredo Kraus, published in Spain as Confidencias para una leyenda. 68 __ Progetto Martha Argerich Daniel Abrams è un pianista e un compositore riconosciuto internazionalmente, autore di pezzi per coro, orchestra, teatro, musica da camera e pianoforte. Recentemente ha completato una serie di variazioni e fantasie (Opera for piano), presentata a piû riprese in Europa e in America. I quattro sonetti qui eseguiti fanno parte di un ciclo di dodici composizioni composte nel 2002, riflettenti gli stati d’animo e le passioni dei poemi di Shakespeare – i “ritmi” e le “armonie” delle parole espresse in frasi musicali, Sebbene sia oggi ancora relativamente poco conosciuto dal grande pubblico, Georges Enesco fu una delle figura più importanti del Novecento musicale europeo. Alla classica formazione del duo violino-pianoforte Enesco dedicò tre Sonate, l’ultima delle quali, “nel carattere popolare romeno”, fu composta nel 1926. Articolata in tre soli movimenti, così come le due opere sorelle, la Sonata si apre con un Moderato malinconico d’andamento rapsodico in cui è soprattutto la scrittura delle melodie violinistiche a richiamare alla mente lo stile della musica popolare rumena. Il secondo tempo, Andante sostenuto e misterioso, combina con risultati di affascinante novità l’ispirazione folklorica dei temi con una scrittura armonica e un linguaggio strumentale cui non è estranea nessuna delle conquiste della musica del Novecento storico. Conclude la composizione un Allegro con Brio, ma non troppo mosso, nel quale ritornano gli accenti ritmici mutevoli e sghembi di danze popolari. Celeberrimo esecutore ed improvvisatore all’organo, Johann Sebastian Bach ci ha lasciato un’imponente lascito di opere organistiche, sulla cui datazione, tuttavia, gli studiosi sono ancora ben lungi dall’aver raggiunto l’unanimità dei giudizi. Il Preludio e Fuga in Re minore BWV 539 fu composto da Bach, cono ogni probabilità, durante i primi anni di Lipsia, verosimilmente intorno al 1724/25. Il corto Preludio è originale e fu scritto ex novo, ma la Fuga non è che un arrangiamento (trasposto in Re minore) della Fuga della Sonata n. 1 in Sol minore per violino solo BWV 1001, composta a Köthen alcuni anni prima. Questa Fuga era molto amata da Bach, e infatti ne esiste anche una trascrizione per liuto, sempre nella tonalità originale di Sol minore (BWV 1000). Nel concerto di oggi il Preludio e Fuga BWV 539 sarà eseguito in una trascrizione pianistica di Alan Weiss. Charles-Henri-Valentin Alkan fu uno dei pochi compositori francesi di una qualche rilevanza del XIX secolo ad essere nato a Parigi, città nella quale trascorse quasi tutta la vita e nella quale anche morì, settantacinquenne, nel 1888. Pianista di straordinario talento, si fece apprezzare dapprima come bambino-prodigio; poi, a partire dal 1833, dopo una tournée concertistica in Inghilterra, si stabilì definitivamente nella capitale francese e divenne celebre soprattutto come insegnante di pianoforte, godendo della stima di colleghi famosi come Fryderyk Chopin. Al pianoforte egli dedicò quasi tutta la sua produzione, di qualità, peraltro, spesso assai varia, ma contraddistinta per lo più da una spiccata concezione trascendentale. Le 12 Etudes dans tous les tons op. 39, pubblicate nel 1857, sono una delle sue opere più celebri; al centro di questa raccolta, i cui brani portano titoli evocativi o bizzarri come Le rythme molossique e Comme le vent), Alkan ha posto due opere per pianoforte solo di grande sostanza musicale, un amplissimo Concerto in tre tempi e la non meno impegnativa Sinfonia in quattro movimenti oggi in programma. __ Daniel Abrams is an internationally recognized pianist and composer whose compositions include works for chorus, orchestra, opera, chamber music, and solo piano. He has recently completed a series, Opera For Piano (variations and fantasies), some of which are receiving European and American premiers this season. The four sonnets, composed in 2002, to be presented are from a set of 12, all reflecting the moods and passions of the Shakespeare poems -- the "rhythms" and "harmonies" of the words expressed as musical phrases. Although his name means relatively little to the public at large today, Georges Enesco was one of twentieth-century Europe’s most important musical personalities. Enesco wrote three sonatas for the classic violin-piano combination; the last of them, “in Romanian folk style,” was composed in 1926. Like its two companion pieces, this sonata is in three-movement form. It begins with a rhapsodic Moderato malinconico in which it is above all the violin’s melodic line that brings Romanian folk music to mind. The second movement, Andante sostenuto e misterioso, blends the folkloric origins of the themes with harmonic and instrumental writing that testifies to Enesco’s familiarity with all the developments in early twentieth-century music. The composition ends with an Allegro con brio, ma non troppo mosso in which changeable, uneven folkdance rhythms are heard once again. Johann Sebastian Bach, who was famous for his playing and improvising on the organ, left an imposing quantity of organ music, about the dating of which, however, scholars are still far from having reached agreement. Bach most likely composed the Prelude and Fugue in D minor, BWV 539, during his first years in Leipzig, probably around 1724-25. The short prelude was completely original, but the fugue is simply an arrangement, transposed into D minor, of the fugue from the Sonata No. 1 in G minor for solo violin, BWV 1001, composed at Köthen some years earlier. Bach loved this fugue very much, and in fact there is a transcription of it for lute in the original key of G minor (BWV 1000). During today’s concert, the work will be performed in Alan Weiss’s piano transcription. Charles-Henri-Valentin Alkan was one of the few noteworthy nineteenth-century French composers to have been born in Paris; he lived there nearly all his life and died there in 1888, at the age of seventy-five. An extraordinarily talented pianist, he was admired early on as a child prodigy. Later, beginning in 1833 and in the aftermath of a concert tour in England, he settled for good in the French capital and became celebrated above all as a piano teacher, enjoying the esteem of such famous colleagues as Fryderyk Chopin. Nearly all of his output – which was highly variable in quality – was dedicated to the piano; it was distinguished by a decidedly transcendental approach to technique. The Twelve Etudes in All Keys, Op. 39, published in 1857, are among his best-known works; as a centrepiece within this collection – the numbers of which bear evocative or bizarre titles, such as “In Molossic Rhythm” or “Like the Wind” – Alkan placed two solo piano works of great musical substance: a very sizable concerto in three movements and the no less demanding, four-movement Sinfonia that is on today’s programme. 27.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO Daniel Abrams (*1931) Four Shakespeare Sonnets 1. #97, “How Like A Winter Hath My Absence Been” 2. #38, “How Can My Muse Want Subject To Invent” 3. #46, “Mine Eye And Heart Are At A Mortal War” 4. #18, “Shall I Compare Thee To A Summer's Day” ALAN WEISS George Enesco (1881-1955) Sonata n. 3 op. 25 1. Moderato malinconico 2. Andante sostenuto e misterioso 3. Allegro con brio, ma non troppo mosso ALISSA MARGULIS, ALAN WEISS Johann Sebastian Bach (1685-1750) Preludio e fuga in re min. BWV 539 (trascrizione AlanWeiss) Charles V. Alkan (1813-1888) Symphonie op. 39 1. Allegro moderato 2. Marcia funebre: Andantino 3. Tempo di Minuetto-Trio 4. Finale: Presto ALAN WEISS 69 70 __ Progetto Martha Argerich Primo tangibile frutto dell’incontro di Stravinskij con il mondo musicale statunitense, il Concerto in Mi bemolle “Dumbarton Oaks” fu commissionato dal mecenate americano Robert Woods Bliss per festeggiare il trentesimo anniversario della sue nozze. La prima esecuzione mondiale ebbe luogo privatamente l’8 maggio 1938, sotto la direzione di Nadia Boulanger, nella tenuta che Woods Bliss possedeva nei pressi di Washington D.C., chiamata “Dumbarton Oaks”, il cui nome è rimasto stabilmente legato alla composizione. L’organico originale del concerto prevede una piccola orchestra da camera. Articolato in tre brevi movimenti, il Concerto “Dumbarton Oaks” illumina adeguatamente il versante neoclassico del compositore, teso qui alla riproposizione, deformata e affettuosa, di modi ed andamenti ritmici tipicamente barocchi. Al pianoforte Maurice Ravel dedicò due Concerti, che furono portati a termine a breve distanza di tempo l’uno dall’altro: il Concerto in Re maggiore per la sola mano sinistra, scritto su richiesta del pianista austriaco Paul Wittgenstein, composto tra il 1929 e il 1930; e il Concerto in Sol maggiore, iniziato verso il 1927, poi messo da parte per comporre il Concerto in Re maggiore, e infine portato a termine nel novembre del 1931. I due lavori ebbero il battesimo pubblico a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Il Concerto in Re maggiore fu eseguito a Vienna il 5 gennaio 1932 col dedicatario come solista; il Concerto in Sol maggiore ebbe invece la sua prima esecuzione di fronte al pubblico parigino esattamente nove giorni dopo, la sera del 14 gennaio 1932, con solista Marguerite Long e l’Orchestre des Concerts Lamoureux diretta dall’autore. A differenza del Concerto in Re maggiore, il Concerto in Sol maggiore fu accolto fin da subito in maniera entusiastica. Nel 1932, sull’onda del successo, Ravel ne diresse anche una fortunata incisione discografica. sempre con Marguerite Long al pianoforte. Il Concerto n. 1 per violino e orchestra di Béla Bartók fu composto tra l’autunno del 1907 e il febbraio del 1908, ma la sua prima esecuzione pubblica ebbe luogo soltanto nel maggio del 1958, a Basilea. Bartók l’aveva scritto infatti per la violinista ungherese Stefi Geyer, con la quale aveva avuto una breve e tormentata relazione. La Geyer ebbe in dono dall’autore la partitura autografa, ma non volle mai proporla al pubblico, e solo dopo la sua morte, il lavoro poté essere pubblicato ed eseguito. Il Concerto è formato da due soli movimenti, di carattere contrastante, il primo dei quali, eminentemente lirico (Andante sostenuto) si apre con un motivo di quattro note che Bartok considerava come “il Leitmotiv di Stefi”. Secondo le parole dello stesso autore, questo movimento vuole essere un ritratto idealizzato della violinista, trascendente e intimo. Il secondo movimento (Andante giocoso), secondo le parole dell’autore, dipinge invece “la vera Stefi, gaia, spirituale e divertente”. Allontanatosi dalla Russia nel 1918, Sergei Prokofiev visse all’estero fino al 1932, e portò a termine il suo Terzo Concerto per pianoforte e orchestra op. 26 nell’estate del 1921, a St. Brévin-les-Pins, in Bretagna. Per molti aspetti, questo lavoro si basa su materiali melodici e tematici preesistenti, e in particolare su una serie di schizzi e abbozzi per un concerto per pianoforte risalenti addirittura al 1911, Il secondo movimento riprende e rielabora un tema di marcia scritto nel 1913, mentre il motivo del clarinetto che apre l’Andante iniziale risale al 1916/17. Eseguito per la prima volta a Chicago il 16 dicembre 1921 con l’autore come solista e la direzione di Frederick Stock, il Terzo Concerto è diventato il più popolare dei cinque concerti pianistici scritti da Prokofiev. Insieme con l’Introduzione e Rondò Capriccioso op. 28, l’Havanaise in Mi maggioreop. 83è l’opera per violino e orchestra più famosa ed eseguita di Camille Saint-Saëns, ed ha di gran lunga superato in popolarità i tre Concerti solistici che il musicista francese ha dedicato a questo strumento. I motivi di questo successo non sono difficili da ritrovare, soprattutto se si pensa che pochi compositori hanno amato la concisione quanto Saint-Saëns, che in queste pagine brevi egli ha saputo esprimere assai meglio che nei Concerti anche quel suo senso del “colore locale” che gli derivava dalla sua instancabile attività di viaggiatore e dal suo amore per l’esotico. Languorosa e molle nella prima parte, segnata dal sensuale ritmo di habanera, l’Havanaise si accende, prevedibilmente, nella sua seconda parte, lasciando libero sfogo agli estri virtuosistici del solista. __ The Concerto in E-flat Major, “Dumbarton Oaks”, was the first tangible creation born of Stravinsky’s encounter with the musical world of the United States. Robert Woods Bliss, an American patron of the arts, commissioned the Russian composer to write the piece to celebrate his thirtieth wedding anniversary; its world premiere took place privately on 8 May 1938 under Nadia Boulanger’s direction at Bliss’s estate, Dumbarton Oaks, near Washington, D.C., and the name has been applied to the composition ever since. Originally, the concerto required a small chamber orchestra. The “Dumbarton Oaks” Concerto is structured in three short movements, and it sufficiently illuminates Stravinsky’s neoclassical style, which in this instance was meant to restate – in a distorted but affectionate way – some typically Baroque usages and rhythmic pacing. The two concerti that Maurice Ravel dedicated to the piano were completed during the same period in his life: the Concerto in D Major for the left hand, commissioned by the Austrian pianist Paul Wittgenstein, was composed in 1929 and 1930; the Concerto in G Major, begun around 1927, was set aside in favour of work on the other piece and was then finished in November 1931. The two compositions were given their first public performances very close together – the Concerto in D in Vienna on 5 January 1932, with Wittgenstein as soloist, and the Concerto in G in Paris exactly nine days later, on 14 January, with Marguerite Long as soloist and the Orchestre des Concerts Lamoureux conducted by the composer. Unlike the Concerto for the left hand, the G Major Concerto was immediately received enthusiastically. This success led Ravel to conduct a fortunate recording of the work, again with Marguerite Long at the keyboard. Béla Bartók’s Concerto No. 1 for violin and orchestra was composed between the autumn of 1907 and February 1908, but its first public performance did not take place until May 1958, in Basel. Bartók had written it for the Hungarian violinist Stefi Geyer, with whom he had had a brief, tempestuous relationship. He gave Geyer the autograph score as a gift, but she never wished to perform the work in public; thus it was only after her death that the work could be played before an audience. It consists of only two, contrasting movements. The first, an eminently lyrical Andante sostenuto, begins with a four-note motif that Bartók described as “Stefi’s Leitmotiv”; according to the composer’s own words, this movement was meant to be an idealised, transcendent, intimate portrait of the violinist. On the other hand, the second movement depicts “the real Stefi – gay, spirited and amusing” –. Having left Russia in 1918, Sergei Prokofiev lived abroad until 1932 and completed his Concerto No. 3 for piano and orchestra, Op. 26, during the summer of 1921, at St. Brévin-les-Pins, in Brittany. Much of this work is based on already-extant melodic and thematic material – especially a series of sketches for a piano concerto, dating back as far as 1911. The second movement, takes up a march theme written in 1913, and the clarinet motif with which the opening Andante begins dates from 1916-17. The Third Concerto, which was first performed in Chicago on 16 December 1921, with the composer as soloist and Frederick Stock conducting, overflows with high spirits and originality. It quickly became the most popular of Prokofiev’s five piano concerti. Along with the Introduction and Rondo Capriccioso, Op. 28, the Havanaise in F. Major, Op. 83, is Camille Saint-Saëns’s most famous and most often-played work for violin and orchestra; both pieces have far surpassed the popularity of the three concerti that the French composer dedicated to this instrument. The reasons behind their success are not hard to ascertain, especially if we recall that few composers loved concision as much as Saint’Saëns, and that in these brief pieces he succeeded in expressing the sense of local colour that derived from his tireless travelling and his love of the exotic. The Havanaise, which begins languorously, softly and with a sensual habanera rhythm, predictably takes off in its second part, which gives free rein to the soloist’s virtuosity. 28.06 - 20.30 - CONCERTO SINFONICO - PALAZZO DEI CONGRESSI Igor Stravinsky (1882-1971) Concerto in mi bemolle magg. “Dumbarton Oaks” 1. Tempo giusto 2. Allegretto 3. Con moto Maurice Ravel (1875-1937) Concerto in sol magg. 1. Allegramente 2. Adagio assai 3. Presto NICHOLAS ANGELICH Béla Bartók (1881-1945) Concerto n. 1 Sz. 36, 1. Andante sostenuto 2. Allegro giocoso RENAUD CAPUÇON Sergej Prokof’ev (1891-1953) Concerto n. 3 in do magg. op. 26 1. Andante allegro 2. Tema e variazioni 3. Allegro ma non troppo MARTHA ARGERICH Camille Saint-Saëns (1835-1921) Havanaise op. 83 GEZA HOSSZU-LEGOCKY ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA DIR. CHARLES DUTOIT 71 __ GLI ARTISTI Pianoforte Nicholas Angelich Martha Argerich Gabriele Baldocci Cyril Barbessol Kathia Buniatishvili Dagmar Clottu Walter Delahunt Alessandro De Luca Gila Goldstein Alexander Gurning Eduardo Hubert Stephen Kovacevich Federico Lechner Karin Lechner Lily Maisky Karin Merle Alexander Mogilevsky Francesco Piemontesi Akane Sakai Alessandro Stella Vladimir Sverdlov Sergio Tiempo Giorgia Tomassi Alan Weiss Youlia Zaichkina Lilya Zilberstein Clarinetto Marek Denemark Corrado Giuffredi Violino Renaud Capuçon Ivry Gitlis Lucia Hall Yuzuko Horigome Geza Hosszu-Legocky Alissa Margulis Dora Schwarzberg Recitante Francis Lacombrade Viola Lyda Chen Nora Romanoff-Schwarzberg Violoncello Jorge Bosso Gautier Capuçon Alexandre Debrus Mark Drobinsky Mischa Maisky Corno Zora Slokar Fagotto Vincent Godel Sassofono Petra Horvath Cantanti Denis Boudart Muriel Bruno Albane Carrère Jasmine Daoud Nicolas Dorian Istruttore delle voci David Miller Percussionista Shonosuke Okura Orchestra della Svizzera italiana Dir. Charles Dutoit Dir. Mikhail Pletnev 73 74 __ Progetto Martha Argerich __ NICHOLAS ANGELICH Nato nel 1970 negli USA, ha iniziato lo studio del pianoforte a cinque anni con la madre. A tredici anni è entrato al Conservatorio nazionale superiore di musica di Parigi dove è stato allievo di Aldo Ciccolini, Yvonne Loriod, Michel Béroff, ottenendo il primo premio di pianoforte e musica da camera. Ha seguito classi di perfezionamento con Leon Fleisher, Dmitri Bashkirov, Maria Joao Pires. Nel 1989 ha vinto il secondo premio al Concorso internazionale R. Casadesus a Cleveland e nel 1994 il primo premio al Concorso internazionale Gina Bachauer. Recentemente si è esibito con Marc Minkowski e l’Orchestre Nationale de France, MyungWhun Chung e l’Orchestre Philharmonique de Radio France, David Robertson e l’Orchestre Nationale de Lyon. Yutako Sado e l’Orchestre National de Bordeaux, Matthias Bamert e l’Orchestre National de Lille, Alexandre Dimitriev e l’Orchestre de Liège, come pure in recital ad Hannover, Ginevra, Lussemburgo, Roma, Lisbona, Brescia, Parigi. Nel maggio 2003 ha debuttato con la New York Philharmonic sotto la direzione di Kurt Masur. Particolarmente dedito alla musica da camera, suona regolarmente con Renaud e Gautier Capuçon, Augustin Dumay, Gérard Caussé, Alexander Kniazev, Dmitri Makhtin e i quartetti Ysaye e Prazak. Ha registrato CD per Harmonia Mundi, Lyrinx e Virgin Classics. CYRIL BARBESSOL Born in the United States in 1970, Nicholas Angelich began studying the piano at the age of five with his mother. When he was thirteen, he entered the Conservatoire National Supérieur de Musique in Paris where he studied with Aldo Ciccolini, Yvonne Loriod, Michel Béroff and won the First Prize for piano and chamber music. Nicholas Angelich followed master-classes with Leon Fleisher, Dmitri Bashkirov, Maria Joao Pires. In 1989 he won the Second Prize of the International Piano Competition R. Casadesus in Cleveland and in 1994 the First Prize of the International Piano Competition Gina Bachauer. Recently he performed with the Orchestre National de France and Marc Minkowski, Orchestre Philharmonique de Radio France and MyungWhun Chung, Orchestre National de Lyon and David Robertson, Orchestre National de Bordeaux and Yutako Sado, Orchestre National de Lille and Matthias Bamert, Orchestre de Liège and Alexandre Dimitriev, as well as recitals in Hanover, Geneva, Luxembourg, Rome, Lisbon, Brescia, Paris. In May 2003, he made his debuts with the New-York Philharmonic under Kurt Masur. Always enthusiastic about playing chamber music, he has partners such as Gautier and Renaud Capuçon, Augustin Dumay, Gérard Caussé, Alexander Kniazev, Dmitri Makhtin and the Ysaye and Prazak Quartets. He has recorded for Harmonia Mundi, Lyrinx and Virgin Classics. GABRIELE BALDOCCI Nato a Livorno nel 1980 ha iniziato lo studio del pianoforte all'età di sei anni. Nel 1995 ha vinto il concorso di ammissione all' Accademia Pianistica Incontri con il Maestro di Imola, dove ha studiato regolarmente fino al 1999, sotto la guida di Franco Scala e Leonid Margarius. Nel 1999 ha iniziato a studiare con Paul BaduraSkoda e nello stesso anno è stato invitato a frequentare i corsi dell’ Accademia Internazionale per il Pianoforte sul Lago di Como, dove è stato allievo di William G. Naborè. Ha vinto vari concorsi e svolge una intensa attività concertistica suonando presso importanti centri musicali quali il Teatro Colòn di Buenos Aires, la Sala Verdi di Milano, il Teatro Ghione di Roma, il Palacio des Festivales di Santander. Nel 2003 ha ricevuto il premio americano alla carriera VAMG. Sempre nel 2003 è risultato vincitore della menzione d'onore al Secondo Concorso Martha Argerich di Buenos Aires. Nel 2005 ha debuttato come solista e camerista al Festival Martha Argerich partecipando alla tournée argentina insieme con Martha Argerich e all'orchestra a lei intitolata, come solista nel Quarto Concerto di Beethoven. Nato a Fontainebleau nel 1979 ha studiato il pianoforte alla Schola Cantorum di Parigi, poi il jazz al C.I.M.e all’American School of Modern Music. Ha studiato l’armonia, l’orchestrazione e la tecnica dell’arrangiamento con Ivan Julien et Bernard Maury. All’inizio degli anni 90, interessato alle varie espressioni musicali e al meticciato culturale parigino, si esibisce in formazioni variate: un Big Band cubano (MamboMania), con artisti magrebini in scena (Cheb Kader, Raï-cum) e in studio (Cheb Khaled), con musicisti di jazz (Pierrick Pedron, Laurent Robin, Benjamin Henocq), in studio con i rapper (Abd al Malik, Gibraltar), in commedie musicali (The Lion King), ma anche con artisti di varietà quali Marc Lavoine, i Gipsy King in Europa e negli USA (con la realizzazione di un DVD live in Inghilterra), Phil Collins e con Henri Salvador in occasione della sua ultima tournée nel 2007. Fedele alla musica classica e a compositori quali Milhaud, Granados, Chopin, Florent Schmitt , Debussy, ha incontrato Ivry Gitlis nel corso di alcune sedute di registrazione a Parigi, con il quale ha intrapreso una pratica improvvisatoria intorno agli standard del jazz. Born in Fontainebleau in 1979, Cyril Barbessol studied piano at Paris’s Schola Cantorum and jazz at C.I.M. and at the American School of Modern Music. He studied harmony, orchestration and arrangement techniques with Ivan Julien and Bernard Maury. His interests in various forms of musical expression and in Paris’s ethnically mixed culture led him, at the beginning of the 1990s, to begin to perform in various groups: a Cuban big band (Mambo-Mania); with North African artists, both on stage (Cheb Kader and Raï-cum) and in the studio (Cheb Khaled); with jazz musicians (Pierrick Pedron, Laurent Robin and Benjamin Henocq); in the studio with rappers (Abd al Malik and Gibraltar), in musical comedies (The Lion King), as well as with variety show performers such as Marc Lavoine, the Gypsy Kings (in Europe and the USA, and including a DVD made live in England), Phil Collins and Henri Salvador during his last tour, in 2007. Faithful to classical music and to composers like Milhaud, Granados, Chopin, Florent Schmitt and Debussy, Barbessol encountered Ivry Gitlis during some recording sessions in Paris, and together they have been doing improvisational work within the standard jazz repertoire. DENIS BOUDART Born in Livorno in 1980.Gabriele Baldocci started studying piano at the age of six. From 1995 to 1999 he studied in the Accademia Pianistica Incontri con il Maestro in Imola with Franco Scala and Leonid Margarius. On 1999 he became a student of Paul BaduraSkoda, and at the same time he was invited to the International Piano Academy on Lake Como. His main teacher was William G. Naborè. He won several competition, and he gave concerts in very important musical centers like Teatro Colòn in Buenos Aires, Sala Verdi in Milan, Teatro Ghione in Rome, Palacio des Festivales in Santander. On 2003 he was the winner of the Special Honorable Mention at the Second Martha Argerich Piano Competition in Buenos Aires. In 2003 he also got the American VAMG career prize.. In september 2005 he was invited by Martha Argerich to tour Argentina with her and the orchestra Sinfonietta Argerich playing Beethoven Fourth Piano Concerto and some four hands pieces with Argerich. Nato nel 1977 a Ottignies (nel Brabante) ha seguito corsi di teoria e di violino a partire dagli 8 anni all’Accademia di musica di La Hulpe, dove in seguito ha studiato organo con Alain Van Cauteren e canto nella classe di Anne Lubris. Nel 2000 è entrato al Conservatoire Royal de Musique di Liegi nella classe di Nicolas Christou, dove ha ottenuto il primo premio in canto nel 2003. Dal 1997 è attivo sia come sarto nel laboratorio dei costumi sia come corista al Théâtre Royal di Bruxelles. È membro del Brussel Operetten Theater con il quale ha in calendario la partecipazione a opere di Franz Lehar, Jacques Offenbach, Franz Von Suppé, Donizetti, Jacques Ibert, ecc. Born in 1977 at Ottignies in Brabant, Denis Boudart began taking theory and violin courses at the age of eight at the Music Academy in La Hulpe, where he later studied organ with Alain Van Cauteren and singing with Anne Lubris. He enrolled at Liège’s Royal Conservatory of Music in 2000 as a student of Nicolas Christou, and he won first prize in singing in 2003. Since 1997 he has been active at Brussels’ Théâtre Royal as both horn player and tailor, in the costume department. He is a member of the Brussels Operetta Theatre, and his forthcoming schedule includes works by Franz Lehár, Jacques Offenbach, Franz von Suppé, Donizetti, Jacques Ibert et al. 75 76 __ Progetto Martha Argerich __ JORGE BOSSO Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Come compositore, dopo aver effettuato gli studi cosiddetti accademici, si basa sulla fusione ed interazione fra gli schemi compositivi classici ed un concetto della musica più vicino ad una contaminazione di stili ed esperienze musicali che, estrapolati dal loro consueto ambito, creano un linguaggio ricco e denso di potenzialità e risorse espressive. Fra i suoi ultimi lavori sono da menzionare: O incoronata di viole, divina, dolce e ridente Saffo per recitante, sette musicisti, tre voci femminili, The Seven Letters to the Seven Churches per recitante, violoncello solista e ensemble, Songs for Psyche per due voci femminili, arpa, vibrafono e violoncello, Duo per violino e violoncello, Variazioni pagane su un tema russo per pianoforte e orchestra, L’Epitaffio di Seikilos, concerto per sassofono soprano, violoncello e orchestra, The Eternal Embrace, concerto per violoncello e orchestra, Requiem per coro maschile, soprano e violoncello concertante, Trio per violino, violoncello e pianoforte. Ha avuto grande consenso di pubblico e critica il suo lavoro per violino solista e orchestra basato sul tango argentino con brani originali e arrangiamenti propri, realizzato insieme con la rinomata violinista Dora Schwarzberg in numerose città e festival. KATHIA BUNIATISHVILI As a composer, after the so-called academic studies, he has undertook a path in which his way of writing music comprehends a fusion and interaction between the classical models and a concept nearer to a mixture of styles and musical experiences that creates a language rich and full of expressive resources. Some of his last works: The Seven Letters to the Seven Churches for recitant voice, solo cello and eight instruments, Songs for Psyche for two female voices, harp, vibraphone and cello, O incoronata di viole, divina, dolce e ridente Saffo for recitant voice, three female singers and seven instruments with the lyrics of the ancient poet, Duo, for violin and cello, Variazioni pagane su un tema russo for piano and orchestra, Requiem for male choir, soprano and violoncello concertante, L’Epitaffio di Seikilos, double concerto for saxophone soprano, cello and string orchestra, Trio for violin, cello and piano, The Eternal Embrace, concerto for cello and orchestra. He is also very active as arranger, having written works for Dora Schwarzberg with whom, he plays regularly his own music and arrangements, for solo violin and orchestra, based on the tango from Buenos Aires. MURIEL BRUNO-GODRON Dopo gli studi musicali e teatrali (pianoforte, arpa, canto, recitazione) si è consacrata alla musica e alle danze tradizionali, partecipando alla fondazione del Trio Virga, complesso di world music. Diplomata nei conservatori di Liegi e di Maastricht si è dedicata all’insegnamento. Strumentista, cantante, danzatrice, attrice partecipa a diversi spettacoli e a laboratori nel campo della musica antica, della commedia dell’arte, dell’oratorio, della commedia musicale e dell’opera. Nel 2003 ha debuttato all’OpéraStudio del Thèâtre de la Monnaie di Bruxelles sotto la direzione di Keith Warner e di Alessandro De Marchi. In seguito ha ricopero ruoli in varie opere rappresentate nel teatro della capitale belga: La giostra d’amore e Eurilia di Händel, Le Roi Arthus di Chausson, e diversi recital nell’ambito dei Concerts de midi. Recentemente si è esibita nel Requiem di Mozart con il Choeur symphonique de Liège, mentre l’Orchestre Philharmonique de Liège l’ha invitata a interpretare il ruolo di Gulnar in Aladin di Carl Nielsen e Robert le Cochon di M. O. Dupin. Con David Miller forma un duo impegnato in recital di musica classica e di jazz. 77 È nata a Batumi (Georgia) nel 1987. Dal 1991 al 1997 ha frequentato la Scuola musicale di Tbilisi dove, fino al 2004, è stata allieva di Z. Paliashvili. Dal 2004 al 2006 è stata allieva di V. Saradjishvili al Conservatorio di stato della capitale gergiana. Da un anno vive a Vienna dove segue i corsi di Oleg Maisenberg all’Università di musica e arti performative. Ha dato il suo primo concerto a sei anni con l’Orchestra da camera di Tbilisi. Ha frequentato corsi di perfezionamento con Claude Franck (a Verbier), con François-René Duchable (Annecy e Parigi). Ha tenuto concerti al Festival di Verbier, Gstaad, Lucerna, St. Moritz, Praga, Parigi, Vienna, Mosca. Nel 2005 con l’Ubs Verbier Festival Chamber Orchestra ha effettuato un giro di concerti a Ginevra, Zurigo, Nantes e Bruxelles, mentre con l’Orchestra sinfonica di Tbilisi diretta da Vakhtang Kakhidze ha partecipato al concerto finale dell’Autunno di Tbilisi, dove è tornata ad esibirsi nel 2007. Nel 2006 ha suonato con l’Orchestra filarmonica di S. Pietroburgo. Nel 2006 è stata invitata da Gidon Kremer a partecipare all’ Internationales Kammermusikfest di Lockenhaus. Lo scorso 19 aprile le è stata offerta l’occasione di esibirsi alla Carnegie Hall di New York. Kathia Buniatishvili è beneficiaria di una borsa di studio della banca BSI SA. Khatia Buniatishvili was born in Batumi, Georgia, in 1987. From 1991 to 1997 she attended the Tbilisi Music School, where she was a pupil of Z. Paliashvili, with whom she studied until 2004. From 2004 to 2006 she was a pupil of V. Saradjishvili at the State Conservatory of the Georgian capital. For the last year she has been living in Vienna, where she follows the classes of Oleg Maisenberg at the University of Music and the Performing Arts. She gave her first concert at the age of six, with the Tbilisi Chamber Orchestra. She attended master classes with Claude Frank at Verbier and with François-René Duchable at Annecy and Paris. She has given concerts at the Verbier, Gstaad, Lucerne, St. Moritz, Prague, Paris, Vienna and Moscow festivals. In 2005 she undertook a series of concerts with the UBS Verbier Festival Chamber Orchestra in Geneva, Zurich, Nantes and Brussels, and she participated in the Tbilisi Autumn festival’s final concert with the Tbilisi Symphony Orchestra conducted by Vakhtang Kakhidze. In 2006 she played with the St. Petersburg Philharmonic Orchestra and she was invited by Gidon Kremer to participate in the International Chamber Music festival at Lockenhaus. This past April 19th she was given the opportunity to perform at New York’s Carnegie Hall. Khatia Buniatishvili is the beneficiary of a scholarship from the BSI SA. GAUTIER CAPUÇON Following her musical and theatrical studies (piano, harp, voice and recitation), Muriel Bruno-Godron dedicated herself to music and to traditional dance. She was a co-founder of the Virga Trio, a world music ensemble. After having graduated from the conservatories of Liège and Maastricht, she began to teach. She takes part as instrumentalist, singer, dancer and actress in various performances and workshops in the fields of early music, commedia dell’arte, oratorio, musical comedy and opera. In 2003 she debuted at the Opéra-Studio of Brussels’ Théâtre le Monnaie under the direction of Keith Warner and Alessandro De Marchi. Since then, she has sung roles in various works presented at the Belgium capital’s opera house: the Handel pastiche La giostra d’amore and Eurilia, Chausson’s Le Roi Arthus and several recitals in the noon-hour concerts series. She recently performed with the Liège Symphonic Chorus in Mozart’s Requiem, and the Liège Philharmonic Orchestra invited her to perform the role of Gulnar in Carl Nielsen’s Aladdin and to sing in M. O. Dupin’s Robert le Cochon. With David Miller she performs duo recitals of classical music and jazz. Nato a Chambéry nel 1981, ha iniziato lo studio del violoncello nella città natale, proseguendolo al Conservatorio di Parigi nella classe di Annie Cochet-Zakine e Philippe Muller. Ha vinto alcuni prestigiosi concorsi, tra gli altri il primo premio al Concorso “André Navarra” di Tolosa. Ha suonato nell’ Orchestra giovanile della Comunità europea sotto la direzione di Haitink, e nella Gustav Mahler Jugendorchester sotto la direzione di Claudio Abbado, Kent Nagano, Seiji Ozawa, Pierre Boulez. Appassionato di musica da camera collabora con Hélène Grimaud, Gérard Caussé, Michel Dalberto, Paul Gulda e il Quartetto Ysaye. Nel 2001 ha effettuato una tournée (Francia, Svizzera e Germania) con la Chamber Orchestra of Europe sotto la direzione di Myung-Whun Chung ed è stato nominato “Talento dell’anno” alle Victoires de la Musique. Recentemente è stato invitato ai Festival di Divonne, Mentone, Strasburgo, Berlino, Davos, Gerusa- lemme, Lockenhaus, Verbier, Nantes. Nel 2002 ha debuttato con l’Orchestre de Paris sotto la direzione di Christoph Eschenbach. Artista esclusivo di Virgin Classics, ha tra l’altro registrato con il fratello Renaud e il pianista Frank Braley la musica da camera di Ravel. Gautier Capuçon suona un violoncello Matteo Goffriller del 1701 e un violoncello Contreras 1746 prestato dalla banca BSI di Lugano. Gautier Capuçon was born in Chambéry in 1981. He began his studies on the cello in Chambéry and then continued at the Paris Conservatory with Annie Cochet-Zakine and Philippe Muller. He has won some prestigious competitions, such as the first prize at the André Navarra Competition in Toulouse. He has played in the European Community Youth Orchestra conducted by Haitink and with the Gustav Mahler Youth Orchestra, conducted by Claudio Abbado, Kent Nagano, Seiji Ozawa and Pierre Boulez. He loves chamber music and plays together with Hélène Grimaud, Gérard Caussé, Michel Dalberto, Paul Gulda and the Ysaÿe Quartet. In 2001 he went on a tour (France, Switzerland and Germany) with the Chamber Orchestra of Europe and was judged “Talent of the Year” by Victoires de la Musique. He has recently been invited to the Divonne, Menton, Strasbourg, Berlin, Davos, Jerusalem, Lockenhaus, Verbier and Nantes festivals. In 2002 he made his debut with the Orchestre de Paris under the baton of Christoph Eschenbach. As an exclusive artist for the Virgin Classics label, he has recorded, among other works, Ravel’s chamber music, with his brother Renaud and the pianist Frank Braley. Gautier Capuçon plays a 1701 Matteo Goffriller cello and a Contreras cello, wich has been kindly lent him by bank BSI of Lugano. Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 78 __ Progetto Martha Argerich __ RENAUD CAPUÇON Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nato a Chambéry nel 1976, è stato ammesso a 14 anni al Conservatorio di Parigi nel 1976, dove ha studiato sotto la guida di Gérard Poulet e Veda Reynolds. Si è perfezionato con Thomas Brandis, Isaac Stern, Shlomo Mintz e Augustin Dumay. Vincitore di numerosi premi, è stato invitato da Claudio Abbado come primo violino della Gustav Mahler Jugendorchester (1998-2000). Invitato regolarmente ai festival di Berlino, Davos, Gerusalemme, Lockenhaus, Verbier, Aix-en-Provence, Strasburgo, suona spesso musica da camera con Hélène Grimaud, Maria Joao Pires, Myung-Whun Chung, Natalia Gutman, la Kremerata Baltica e in duo con il fratello Gautier. Ha creato il suo proprio festival a Chambéry. Intensa è inoltre la sua attività discografica, soprattutto presso Virgin, di cui è artista esclusivo. Renaud Capuçon, che partecipa al Progetto Martha Argerich di Lugano fin dall’origine, suona un violino Guarneri del Gesù del 1737 ex Panette che fu già di Isaac Stern, messogli a disposizione dalla banca BSI di Lugano. LYDA CHEN Renaud Capuçon was born in Chambéry in 1976. At the age of 14 he was admitted to the Paris Conservatory, where his studies were guided by Gérard Poulet and Veda Reynolds. In his advanced training he studied under Thomas Brandis, Isaac Stern, Shlomo Mintz and Augustin Dumay. The winner of many awards, Capuçon has also been first violin of the Gustav Mahler Youth Orchestra (1998-2000). He is regularly invited to the festivals of Berlin, Davos, Jerusalem, Lockenhaus, Verbier, Aix-en-Provence and Strasbourg, and often plays chamber music with Hélène Grimaux, Maria João Pires, MyungWhun Chung, Natalia Gutman, the Kremerata Baltica and in duo with his brother Gautier. He has created his own festival at Chambéry. His activities as a recording artist are also substantial, especially for the Virgin label, with which he has an exclusive contract. Renaud Capuçon, who has been participating in the Progetto Martha Argerich in Lugano since its inception, plays the Isaac Stern ex Panette, Guarneri del Gesù, 1737, thanks to the support of the Swiss BSI banking and finance group. ALBANE CARRÈRE Mezzosoprano francese nata a Vienna, ha iniziato il canto a 9 anni come solista in un coro. Formata vocalmente da Amaryllis Grégoire, è stata selezionata nel 2005 per partecipare al corso di perfezionamento di Loraine Nubar, professore alla Juilliard School. Dopo essere entrata al Conservatoire Royal de Musique di Bruxelles ha dato vari concerti in Europa. Nel 2006 ha interpretato il ruolo di Dorabella in Così fan tutte ed in seguito, a più riprese, è stata invitata come giovane talento alla rassegna Solistes au domaine a Bruxelles, patrocinata da Barbara Hendricks, José Van Dam, Amaryllis Grégoire e Yvan Rebroff. Nel 2007 ha partecipato come solista al festival 100% Schubert (Flagey – Bruxelles), a concerti in Spagna e in Così fan tutte al Festival de l’Été Mosan e ai Concerts Éuropéens di Bruxelles. Quest’anno si è esibita nel Requiem di Mozart e nei festival di musica contemporanea Les grandes traversées (Bordeaux) e Voltage (Courtrai). In ottobre interpreterà i ruoli di Malika e di Mistress Bentson in Lakmé di Delibes all’Opéra de Gand e il ruolo di Maria nella commedia musicale La mélodie du bonheur sotto la direzione di David Miller. 79 Nata a Ginevra ha iniziato a studiare il violino all’età di 8 anni. Dopo aver frequentato il Conservatorio di Ginevra ed essere stata allieva di Ayla Erduran, si è trasferita in Cina dove ha seguito i corsi del professor Lin Yao Ji al Conservatorio Centrale di Pechino. Ritornata in Svizzera si laurea in diritto all’Università di Ginevra nel 1992. In seguito continua lo studio della musica rivolgendosi alla viola, ma mantenendo un interesse per il violino che sperimenta a livello di musica jazz. In Svizzera Lyda Chen ha occasione di esibirsi regolarmente con il Trio Interlude, formazione di flauto, arpa e viola particolarmente dedita alla musica del Novecento. È molto impegnata nella musica da camera che pratica dal 1996 con la madre Martha Argerich e con gli strumentisti della sua cerchia, partecipando fin dall’origine al Festival Martha Argerich di Beppu dal 1998, e al Progetto Martha Argerich di Lugano, dal 2002. Born in Geneva, she began to study the violin at the age of 8. After having attended the Geneva Conservatory, where she was a pupil of Ayla Erduran, she moved to China, where she was enrolled in the course of Professor Lin Yao Ji at Beijing’s Central Conservatory. Back in Switzerland, she took a law degree at the University of Geneva in 1992. She later continued to study music, and specifically the viola, but thanks to her continuing interest in the violin she also experimented in jazz. In Switzerland, Lyda Chen often performs with the Interlude Trio, which is made up of flute, harp and viola and is especially involved in twentieth-century music. Since 1996 she has been playing a great deal of chamber music with her mother, Martha Argerich, and with instrumentalists from the Argerich circle; she has participated in the Festival Martha Argerich in Beppu since its start in 1998 and in the Progetto Martha Argerich in Lugano since 2002. DAGMAR CLOTTU French mezzo-soprano Albane Carrère was born in Vienna and began singing in a chorus at the age of nine. Trained by Amaryllis Groire, she was chosen in 2005 to participate in Loraine Nubar master class at the Juilliard School. After having enrolled at Brussels’ Royal Conservatory of Music, she gave various concerts in Europe. In 2006 she sang the role of Dorabella in Così fan tutte, after which she was invited several times as a talented young artist for the Solistes au domaine series in Brussels, under the aegis of Barbara Hendricks, José Van Dam, Amaryllis Grégoire and Ivan Rebroff. In 2007 she took part in the 100% Schubert Festival at Flagey, Brussels, as well as in concerts in Spain and in Così fan tutte at the Festival de l’Eté Mosan and at Brussels’ Concerts Européens. This year, she has performed in Mozart’s Requiem and in contemporary music festivals at Bordeaux (Les grandes traversées) and Courtrai (Voltage). In October she will perform the roles of Malika and Mistress Bentson in Delibes Lakmé at the Ghent Opera and the role of Maria in the musical comedy La Mélodie du Bonheur, under the baton of David Miller. Nata a Bienne, dove ha ottenuto il diploma di pianoforte al locale conservatorio, si è formata sotto la guida di Harry Datyner a Ginevra, dove ha ottenuto il primo Premio Paderevski a 22 anni. Ha conseguito anche il Prix Pembauer e il Prix Alex de Vries. Ha seguito corsi di perfezionamento con Vlado Perlemuter, Nikita Magaloff e Paul Badura-Skoda, oltre ad avere seguito i consigli di Martha Argerich e di Wolfgang Sawallisch. Ha tenuto concerti in Svizzera, Francia, Inghilterra, Belgio, Austria, Italia, Israele, Cile e USA, dove è stata invitata regolarmente in varie università per corsi di perfezionamento. Ha seguito corsi di tedesco e musicologia all’Università di Ginevra, da cui ha ricavato la motivazione per svolgere per un certo tempo l’attività di critico musicale. Ha presentato in prima esecuzione composizioni di Blaise Mettraux, Alfred Schweizer, René Gerber e Daniel Andres. Degli ultimi due ha anche registrato opere su disco, così come di Chopin, Schumann e Liszt. Si dedica molto alla musica da camera, in particolare alla liederistica, vantando l’esecuzione integrale dei Lieder di Mahler. È organizzatrice del festival Ars Musica di Bienne Born in Bienne, Switzerland, Dagmar Clottu received a diploma in piano at her home town’s conservatory and studied with Harry Datyner in Geneva, where she won the first Paderewski Prize at the age of 22. She also won the Pembauer and Alex de Vries prizes. She took master classes with Vlado Perlemuter, Nikita Magaloff, and Paul Badura-Skoda and received advice from Martha Argerich and Wolfgang Sawallisch. She has given concerts in Switzerland, France, England, Belgium, Austria, Italy, Israel, Chile and the USA, where she returns regularly to give master classes at various universities. She took courses in German and musicology at the University of Geneva, as a result of which she spent some time working as a music critic. Clottu has given the premiere of compositions by Blaise Mettraux, Alfred Schweizer, René Gerber and Daniel Andres and has recorded works by Gerber and Andres as well as pieces by Chopin, Schumann and Liszt. She performs a great deal of chamber music and lieder, and she is particularly proud of having performed all of Mahler’s lieder. She organises Bienne’s Ars Musica festival. Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 80 __ Progetto Martha Argerich __ JASMINE DAOUD Soprano lirico nata in Belgio. Accanto a studi commerciali, di pianoforte, flauto, danza, dopo un diploma di insegnatne di lingue (2002), ha studiato canto nel Conservatoire Royal de Musique (2002-03) di Liegi e in forma privata con Hanna Schaer a Parigi (2007). Nel 2006 ha seguito un corso con Mirella Freni al Centro Universale del Bel Canto. La sua più recente esperienza formativa à avvenuta nel Laboratorio Toscano per la Lirica che le ha permesso di esibirsi al Teatro Verdi (Pisa), al Teatro Goldoni (Livorno) e al Teatro del Giglio (Lucca). In ottobre si presenterà all’Opéra Royal de Wallonie. WALTER DELAHUNT Lyric soprano Jasmine Daoud was born in Belgium. Along with studies in business, piano, flute and dance, and after having received a diploma (2002) as a language teacher, she studied voice at the Royal Conservatory of Music in Liège (200203) and privately with Hanna Schaer in Paris (2007). In 2006 she took a course with Mirella Freni at the Centro Universale del Bel Canto. Her most recent learning experience took place at the Laboratorio Toscano per la Lirica, which gave her the opportunity to perform at Pisa’s Teatro Verdi, Livorno’s Teatro Goldoni and Lucca’s Teatro del Giglio. In October she will perform at the Opéra Royal de Wallonie (Belgium). ALEXANDRE DEBRUS Nato nel 1979 in una famiglia di musicisti, a quattro anni inizia a studiare il violoncello sotto la guida della madre. Dopo i primi concerti a 12 anni, a 16 è ammesso nella classe di Luc Dewez al Conservatoire Royal de Musique di Mons. Dopo il diploma a 19 anni si perfeziona nella Chapelle Musicale Reine Elisabeth. Nel 1996 segue i corsi di Mischa Maisky e Marc Drobinsky all’Accademia Chigiana di Siena, e in seguito alla Musikhochschule di Basilea con Yvan Monighetti. Nel 1999 vince un premio al Concours Marthilde Horlait Dapsens ed ottiene il diploma superiore di musica da camera con distinzione al conservatorio di Bruxelles, dove è assunto come incaricato di musica da camera a fianco di André Siwy, funzione che gli sarà attribuita nel 2002 anche dal conservatorio di Mons. Dopo il primo disco nel 1995 come solista nei concerti di Vivaldi, registrerà per EMI Music un disco in duo con Alexandre Mogilevsky nel 2000, seguito nel 2001 dalla registrazione del Concerto di Dvorak con l’orchestra ARPEGGIO per Artès Classics. Nel 2001 diventa presentatore di una trasmissione di cui è anche autore, La Clé de Fa, prodotta da TVCOM. Nel 2005 registra i concerti di Haydn per PAVANE Records e fonda il Trio à Clavier Carlo Van Neste. Oltre alla partecipazione a vari festival, nel 2005 è invitato al Festival Martha Argerich a Buenos Aires. Nel 2006 inizia una nuova serie televisiva dal titolo Les Cahiers des Notes. Ha dato concerti in vari paesi d’Europa, negli USA e in Giappone. Nato a Wolfville, il pianista d’origine canadese è fra i più richiesti esecutori di musica da camera, avendo collaborato con artisti rinomati quali Zara Nelsova, Gidon Kremer, Karl Leister, Ida Haendel, Truls Mork e Martha Argerich. Walter Delahunt è regolarmente ospitato nella serie cameristica dei Berliner Philharmoniker e da vari festival europei di musica da camera. Ha iniziato lo studio del pianoforte a nove anni proseguendo la formazione con Felicia Kalejs all’Acadia University della sua città natale. Nel 1978 si è diplomato all’Università di Toronto ottenendo il Premio di eccellenza W.O. Forsyth. Ha insegnato al Royal Conservatory of Music a Toronto, alla Banff School of Fine Arts, alla McGill University e alla Musikhochschule di Vienna. Ha registrato per varie case discografiche (BMG, Panton e EMI) e nel 2006 ha ottenuto due Nomination ai Grammy Awards. Born in Wolfville, this Canadian native pianist is in great demand as a chamber musician and has performed with some of the world's leading artists including Zara Nelsova, Gidon Kremer, Karl Leister, Ida Haendel, Truls Mörk und Martha Argerich. Walter Delahunt is a regular guest of the Berlin Philharmonic Chamber Music Series and many European chamber music festivals. He began his piano studies at the age of nine and went on to study with Felicia Kalejs at Acadia University in his hometown. In 1978 he graduated from the University of Toronto and was awarded the W. O. Forsyth Prize for outstanding performance. He has taught at the Royal Conservatory of Music in Toronto, the Banff School of Fine Arts, McGill University and the Vienna Academy of Music. He was nominated for two Grammy awards in 2006 and has recorded for BMG, Panton and EMI. ALESSANDRO DEL LUCA Born into a family of musicians in 1979, Alexandre Debrus began to study the cello at the age of four under his mother’s guidance. He gave his first concerts when he was 12, and at 16 he was admitted to Luc Dewez’s class at the Conservatoire Royal de Musique in Mons, Belgium. After receiving a diploma at the age of 19, he went on to advanced studies at the Chapelle Musicale Reine Elisabeth. He studied with Mischa Maisky and Marc Drobinsky at Siena’s Accademia Chigiana in 1996 and later with Yvan Monighetti at Basel’s Musikhochschule. In 1999 he won a prize at the Marthilde Horlait Dapsens Competition and received a higher diploma (“with distinction”) in chamber music at the Brussels Conservatory, where he was engaged as a chamber music instructor alongside André Siwy; he took on the same position at the Mons Conservatory as well in 2002. After having made his first recording (1995) as a soloist in concerti by Vivaldi, in 2000 he recorded a CD for EMI Music, together with Alexandre Mogilevsky; this was followed, in 2001, by a recording of the Dvofiák Concerto with the ARPEGGIO Orchestra, for Artès Classics. In 2001 he began to write and present a programme – La Clé de Fa – produced by TVCOM. In 2005 he recorded the Haydn concerti for PAVANE Records and founded the Carlo Van Neste Trio à Clavier. In addition to participating in various festivals, he was invited in 2005 to the Festival Martha Argerich in Buenos Aires. In 2006 he began a new television series, Les Cahiers des Notes. He has given concerts in various European countries, the USA and Japan. Allievo di Lydia Assenza, Rodolfo Caporali e Alexis Weissenberg, è uno dei più rappresentativi pianisti italiani della sua generazione. Fin dal suo precoce debutto è ospite delle più prestigiose istituzioni musicali sia in Italia (Teatro La Fenice di Venezia, Teatro San Carlo di Napoli, Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Accademia filarmonica Romana a Roma, Piccola Scala di Milano, Festival dei due Mondi di Spoleto, Sagra Musicale Umbra, ecc.) che all’estero, dove ha effettuato tournées, toccando le principali capitali culturali europee (Parigi, Londra, Monaco, Praga, Belgrado, Madrid, Mosca, Berna, San Pietroburgo, Bucarest, ecc.), spesso affiancato da celebri direttori d’orchestra come Lorin Maazel, Georges Prêtre, Yehudi Menuhin, Raphael Frühbeck de Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Peter Maag, Franco Mannino, Leopold Hager, Djansug Kakhidze, e da complessi orchestrali quali la Pittsburgh Symphony, la Bayerischer Rundfunk, l'Orchestra della Radiotelevisione di Mosca, la Filarmonica di Kiev, l’Orchestra della Radio di Stoccarda, ecc. Ha registrato inoltre per la RAI, la Radio Vaticana, il Bayerischer Rundfunk, la Radiotelevisione di Mosca, la Radio Nazionale di Spagna, le Radio e TV di Lituania, Georgia, Romania, e Yugoslavia. Ha inciso per Fonit-Cetra, Edipan, Excelsior, Polyart. Parallelamente si dedica all’attività didattica, detenendo la cattedra di pianoforte presso il Conservatorio A. Casella dell’Aquila. Alessandro De Luca, a pupil of Lydia Assenza, Rodolfo Caporali and Alexis Weissenberg, is one of the most representative Italian pianists of his generation. Ever since his precocious debut, he has performed at the most prestigious venues both in Italy – the Teatro La Fenice in Venice, Teatro San Carlo in Naples, Accademia Nazionale di Santa Cecilia and Accademia Filarmonica Romana in Rome, Piccola Scala in Milan, Festival dei Due Mondi in Spoleto, Sagra Musicale Umbra etc. – and abroad, where he has played in the major European musical centres: Paris, London, Munich, Prague, Belgrade, Madrid, Moscow, Bern, St. Petersburg, Bucharest etc.. He has often worked with such celebrated conductors as Lorin Maazel, Georges Prêtre, Yehudi Menuhin, Raphael Frühbeck de Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Peter Maag, Franco Mannino, Leopold Hager and Djansug Kakhidze, and with such orchestras as the Pittsburgh Symphony, Bavarian Radio Orchestra, Moscow Radio and Television Orchestra, Kiev Philharmonic, Stuttgart Radio Orchestra etc. He has recorded programmes for the RAI (Italian Radio and Television), Vatican Radio, Bavarian Radio, Moscow Radio and Television, Spanish National Radio and the radio and television networks of Lithuania, Georgia, Romania and Yugoslavia, and he has made recordings for the Fonit-Cetra, Edipan, Excelsior and Polyart labels. He also dedicates time to teaching activities, and he holds the chair of piano instruction at the A. Casella Conservatory of L’Aquila. 81 82 __ Progetto Martha Argerich __ MAREK DENEMARK A Chernowitz in Ucraina, dove è nato, ha compiuto i primi studi al Conservatorio di Stato, proseguendoli poi al Conservatorio di Mosca e alla Scuola musicopedagogica Gnessin con la professoressa Schaposchinikova. Nel 1980 si è stabilito a Berlino lavorando in orchestra e dando molti concerti in duo con il pianista Nicolas Economou. Nel 1993 ha partecipato al Festival “Pianisti non solo” a Venezia e al Festival internazionale di pianoforte e musica da camera di Guil-Durance (Francia). MARK DROBINSKY Marek Denemark was born in Chernovitz, Ukraine, where he completed his initial studies at the State Conservatory. He then continued his training at the Moscow Conservatory and the Gnessin Music School with professor Shaposhinikova. In 1980 he moved to Berlin, where he played in orchestras and gave many concerts in a duo with the pianist Nicolas Economou. In 1993 he participated in the festival titled “Pianisti non solo” in Venice and in the Festival International Piano et Musique de Chambre in Guil-Durance (France). Nato a Baku, è stato allievo di Mstislav Rostropovic al Conservatorio di Mosca. Dopo aver ottenuto riconoscimenti quali il primo premio al concorso di musica da camera di Monaco di Baviera, ha insegnato all’Istituto Gnessin di Mosca. Nel 1974 ha lasciato l’Unione Sovietica, stabilendosi dapprima in Israele e poi a Parigi. Si è distinto nei maggiori festival europei non solo nel repertorio classico ma anche nelle opere di compositori contemporanei come Henri Sauget, Henri Dutilleux e Alfred Schnittke. Mark Drobinsky was born in Baku and studied with Mstislav Rostropovich at the Moscow Conservatory. His talent has received recognition through such prizes as the top spot at the Munich Chamber Music Competition, and he has followed up these awards by teaching at the Gnessin Music School in Moscow. He left the Soviet Union in 1974, moving first to Israel and then to Paris. He distinguished himself at major European festivals, not only in playing his classical repertoire, but also in performing music by contemporary composers such as Henri Sauget, Henri Dutilleux and Alfred Schnittke. CHARLES DUTOIT NICOLAS DORIAN Nato nel 1986 a Bruxelles, ha iniziato lo studio della musica a quattro anni. A nove anni ha preso lezioni di canto pop da Chantal Nicaise ed è entrato nel coro Les Pastoureaux, dove ha affrontato il repertorio sacro e profano. A undici anni ha iniziato lo studio del canto calssico con Benoît Giaux, affiliandosi al complesso barocco dei Laudantes diretto da Guy Jannsens. Contemporaneamente ha studiato il pianoforte, il solfeggio e l’armonia. Nel 2000, acquisita la voce di tenore, è entrato a far parte dell’European Robert Schumann Choir. Nel 2001 ha preso parte a un corso di perfezionamento con il soprano Jeanette Thompson alla Summer Academy del Belgio, iniziando l’attività di cantante pop e di musical in un cabaret di Bruxelles, La Voix. Nel 2004 è entrato nella sezione vocale dell’IMEP (conservatorio) di Namur, nella classe di Benoît Giaux e di Laure Delcampe. Contemporaneamente prende parte a tre commedie musicali quale cantante e compositore per conto di L’Enfant des Étoiles, un’associazione di sostegno all’infanzia. Ha partecipato inoltre al coro Le Petit Sablon, sotto la direzione di Thibaut Lenaerts nel repertorio mottettistico francese del XVII secolo. Ha cantato per varie produzioni del Grand Théâtre di Vervier, quali Cinemusic 2 e The Eighties. Nel 2007 ha sostenuto il ruolo di Tony in West Side Story di Bernstein a Bruxelles e quello del Reverendo Walters in Tom Sawyer composto e diretto da David Miller. Dal 2005 è uno dei sei cantanti del nuovo gruppo vocale belga, Witloof Bay. 83 Born in 1986 in Brussels, Nicolas Dorian begins his musical journey at the age of four. At the age of nine, he takes his first classes of pop singing with Chantal Nicaise and joins the Belgian Boy’s Choir Les Pastoureaux where he approaches the sacred ant secular repertoire. At the age of eleven, he begins a classical vocal training with Benoît Giaux and starts singing in the baroque ensemble Laudantes under the direction of Guy Janssens. At the same times he studies classical piano, solfege and harmony. In 2000, with a new tenor voice, he joins the European Robert Schuman Choir. In 2001, he takes part to an Opera Master Class with the soprano Jeanette Thompson at the Summer Academy of Belgium. The same year, he stars singing pop and musical’s songs in a Brussel’s cabaret,“La Voix. In 2004, he enters the vocal section at the IMEP (Conservatoire) in Namur in the class of Benoît Giaux and Laure Delcampe. In the mean time, he takes part to three musicals as a singer and songwriter for L’Enfant des Etoiles, a Belgian association for childhood support. He also joins the choir Le Petit Sablon, under the direction of Thibaut Lenaerts, to sing French motets of the 17th century. He sings for several productions at the Grand Theatre of Verviers, like Cinemusic 2 and The Eighties. In 2007, he plays the role of Tony in Bernstein’s musical West Side Story in Brussels and the role of the Reverend Walters in Tom Sawyer, the new musical composed and directed by David Miller. Since 2005, he is also one of the six singers of the new Belgian vocal jazz group Witloof Bay. Nato a Losanna, si è diplomato al Conservatorio di Ginevra, vincendo un primo premio in direzione. Nei primi anni assistette spesso alle prove di Ansermet, da cui apprese molte conoscenze. Studiò anche con Charles Münch a Tanglewood. Iniziò la carriera professionale nel 1957 come violista in varie orchestre attraverso l’Europa e l’America del Sud. Ritornato in Svizzera si concentrò sulla direzione. Dal 1959 fu direttore ospite dell’Orchestre de la Suisse Romande e dell’Orchestre de chambre de Lausanne. Successivamente fu direttore dell’orchestra di Radio Zurigo, che lasciò nel 1967 quando divenne successore di Paul Klecki all’Orchestra sinfonica di Berna, carica che mantenne per undici anni. Ha diretto anche l’Orchestra sinfonica nazionale del Messico dal 1973 al 1975, e l’Orchestra sinfonica di Gothenburg (Svezia) dal 1975 al 1978. Dutoit è stato direttore principale della Minnesota Orchestra nei primi anni 80. Nel 1977 è diventato direttore artistico dell’ Orchestre Symphonique de Montréal (OSM), da lui trasformata in 25 anni di attività in una delle più raffinate orchestre canadesi e delle migliori nel mondo. Ha ottenuto più di 40 premi e distinzioni, tra cui due Grammy Awards (USA), vari Juno Awards (Canada), il Grand Prix du Président de la République (Francia), il Prix Mondial du Disque (Montreux), l’Amsterdam Edison Award, il Japan Record Academy Award, il Premio della critica musicale tedesca. Con l’OSM ha realizzato numerose registrazioni per la Decca/London. Dal 1990 è stato direttore artistico e direttore principale del festival estivo della Philadelphia Orchestra a Saratoga Springs, e del Pacific Music Festival in Giappone. Dal 1991 al 2001 è stato direttore musicale dell’ Orchestre National de France. Nel 1996 è stato nominato direttore della Tokyo’s NHK Symphony Orchestra. Nel febbraio del 2007 è stato nominato direttore principale e consigliere artistico della Philadelphia Orchestra. Nell’aprile 2007 Dutoit è stato nominato direttore principale e artistico della Royal Philharmonic Orchestra dal 2009. Dutoit was born in Lausanne and graduated from the Geneva Conservatory where he won first prize in conducting. In his younger days, he frequently attended Ansermet's reharsals and had a personal acquaintance with him. He also studied with Charles Münch a Tanglewood.. Dutoit began his professional music career in 1957 as a viola player with various orchestras across Europe and South America. After two years, he returned to Switzerland to concentrate on conducting. From 1959 he was a guest conductor of the Orchestre de la Suisse Romande and the Orchestre de chambre de Lausanne. After this, he was the conductor for Radio Zurich until 1967, when he took over the Bern Symphony Orchestra from Paul Klecki, where he stayed for eleven years.He also conducted the National Symphony Orchestra of Mexico from 1973 to 1975, and Sweden’s Gothenburg Symphony from 1975 to 1978. Dutoit was principal guest conductor of the Minnesota Orchestra in the early 1980's. In 1977 he became the Artistic Director of the Orchestre Symphonique de Montréal (OSM). During his 25 years with the Montreal Symphony, he turned it into the finest orchestra in Canada and one of the best in the world. He has earned more than 40 international awards and distinctions, including two Grammy Awards (USA), several Juno Awards (Canada), the Grand Prix du Président de la République (France), the Prix Mondial du Disque (Montgreux, Switzerland), the Amsterdam Edison Award, the Japan Record Academy Award, and the German Music Critics’ Award. He and the OSM made many recordings for the Decca/London label. Since 1990, he has been the artistic director and principal conductor of the Philadelphia Orchestra's summer festival in Saratoga Springs, and of the Pacific Music Festival in Japan. From 1991 to 2001, Dutoit was Music Director of the Orchestre National de France. In 1996 he was appointed principal conductor of Tokyo’s NHK Symphony Orchestra. In February 2007, he was named chief conductor and artistic adviser of The Philadelphia Orchestra. In April 2007, Dutoit was named principal conductor and artistic director of the Royal Philharmonic Orchestra as of 2009. Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 84 __ Progetto Martha Argerich __ IVRY GITLIS Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nel mondo musicale egli è diventato per molti una figura leggendaria. Nato in Israele, dopo essere stato scoperto da Bronislaw Hubermann che gli aprì le porte del Conservatoire National de Paris (a 12 anni), la sua formazione fu segnata dalle più illustri figure violinistiche del secolo: Georges Enescu, Jacques Thibaud, Carl Flesch. Concertista di fama, oltre a prodursi con le più importanti orchestre e i più grandi direttori, ha fondato vari festival. Il suo primo disco, comprendente il Concerto di Alban Berg, ottenne il “Grand Prix du Disque”, mentre sono considerate di particolare referenza le sue registrazioni dei concerti di Paganini, Ciaikovskij, Mendelssohn, Wieniawski, Sibelius, Stravinsky. Con Martha Argerich ha registrato la Sonata a Kreutzer di Beethoven e le sonate di Franck e Debussy. Gitlis è anche un rinomato pedagogo che tiene corsi di perfezionamento in tutto il mondo, regolarmente impegnato in estate al Mozarteum di Salisburgo e in Francia. Ha contribuito spesso al cinema come compositore e come attore, in film di Truffaut e Schlondorff. Nel 1981 il suo libro autobiografico, “L’Âme et la Corde”, fu accolto dal favore della critica. VINCENT GODEL To many in the musical world he has become a legendary figure. Born in Israel, Gitlis was discovered by Bronislaw Huberman, thanks to whom the doors of the Conservatoire National de Paris were opened to him. His training was marked by some of the most illustrious violinists of the century: Georges Enescu, Jacques Thibaud and Carl Flesh. In addition to appearing with the most important orchestras and the greatest conductors, this famous concert artist has founded various festivals. His first recording - Alban Berg’s Concerto – received the “Grand Prix du Disque”, and his recordings of concertos by Paganini, Tchaikovsky, Mendelssohn, Wieniawski, Sibelius, and Stravinsky are particularly significant. He has recorded the Beethoven’s Kreutzer Sonata and Franck and Debussy sonatas with Martha Argerich. Gitlis is also a renowned pedagogue, giving master classes all over the world, regularly spending summers at the Mozarteum in Salzburg and in France, where he has created memorable festivals. A frequent contributor to the cinema as a composer as well as an actor, he has worked with the likes of Truffaut and Schlondorff. In 1981 his autobiographical book, “L’Âme et la Corde”, was published to unanimous critical acclaim. Nato a Ginevra nel 1977, ha studiato pianoforte prima di proseguire con il fagotto. Dopo la maturità nel 1996 è ammesso nella “School of Music” dell’Università di Blomington (USA, dove nel 1999 ottiene il “Performer Diploma” nella classe di Kim Walker. Prosegue gli studi con Daniele Damiano al Conservatorio di Ginevra, dove nel 2001 ottiene il “1er prix de Virtuosité” e il diploma di insegnamento; successivamente il diploma di orchestra nella classe di Alfonso Venturieri. Collabora in seguito con varie orchestre reputate: Orchestra della Tonhalle di Zurigo, l’Orchestre de Chambre de Lausanne, l’Orchestre de l’Opéra de Lyon, l’Orchestra del Teatro la Fenice di Venezia, il Berner Symphonie Orchester, suonando spesso come primo fagotto. Nel 1999 è invitato come primo fagotto al Pacific Music Festival in Giappone sotto la direzone di Michael Tilson Thomas, dove partecipa a un concerto di musica da camera all’aperto con i solisti dei Wiener Philharmoniker davanti a 4000 spettatori. Nel 2002 è nominato quale prima parte all’Orchestre de Chambre de Genève e nel 2003 quale primo fagotto nell’Orchestra della Svizzera Italiana, con cui si è esibito anche come solista. Dal 2007 insegna controfagotto alla Hochschule der Künste a Berna. Born in Geneva in 1977, Vincent Godel studied piano before switching to the bassoon. In 1996, after having graduated from high school, he entered Kim Walker’s class at Indiana University’s School of Music (Bloomington, USA), where he received a Performer Diploma in 1999. He went on to study with Daniele Damiano at Geneva’s Conservatory, and in 2001 he was awarded the “1er Prix de Virtuosité” and a teaching diploma, as well as – a little later – the orchestra diploma in Alfonso Venturieri’s class. He has since played in various first-rate orchestras (often as first bassoon): Zurich’s Tonhalle Orchestra, the Orchestre de Chambre de Lausanne, the Opéra de Lyon orchestra, the orchestra of Venice’s Teatro La Fenice and the Bern Symphony Orchestra. In 1999 he was invited to play first bassoon at the Pacific Music Festival in Japan under the direction of Michael Tilson Thomas; there, before an audience of 4,000, he participated in an outdoor chamber music concert with first-desk players from the Vienna Philharmonic. In 2002 he became principal bassoon of the Orchestre de Chambre de Genève, and in 2003 he took up the same position with the Orchestra della Svizzera Italiana, with which he has also appeared as soloist. Since 2007 he has been teaching contrabassoon at Bern’s Hochschule der Künste. GILA GOLDSTEIN CORRADO GIUFFREDI Diplomato al Conservatorio di Parma, vincitore del Primo Premio al Concorso Internazionale "Saverio Mercadante" di Altamura e premiato al Concorso Valentino Bucchi di Roma, dal 2003 è primo clarinetto solista dell'Orchestra della Svizzera Italiana. È regolarmente invitato come primo clarinetto dall'Orchestra Filarmonica della Scala con la quale ha partecipato a molte tournées, sotto la direzione di Riccardo Muti. Ha fatto parte dell'”Orchestra del Bicentenario del Tricolore” in occasione del concerto di Reggio Emilia diretto da Claudio Abbado ed è ospite regolare del Festival Internazionale di Musica da Camera di Aschau im Chiemgau in Germania. Di rilievo l'attività discografica: le fantasie per clarinetto e pianoforte da opere di Giuseppe Verdi, i quartetti di Mercadante e Rossini con il Rossini Quartet, l'integrale della musica per fiati di Beethoven e la trascrizione del Barbiere di Siviglia di Rossini con l'Ottetto Italiano, i due quintetti per pianoforte e fiati di Mozart e Beethoven con Michel Dalberto. Ha eseguito in prima esecuzione italiana il concerto per clarinetto e orchestra di Krzistof Penderecki sotto la direzione dell’autore. Nel 1999 ha partecipato alla serata di gala del Clarinetfest in Belgio dove si è esibito in duo con Eddie Daniels. Direttore e solista dei Filarmonici di Busseto, è docente di clarinetto all'Istituto Musicale Superiore di Modena. Corrado Giuffredi, who graduated from the Parma Conservatory and won first prize at the Saverio Mercadante International Competition at Altamura and at Rome’s Valentino Bucchi Competition, his principal clarinet of the Orchestra della Svizzera Italiana since 2003. He frequently appears as principal clarinet with the La Scala Philharmonic, with which he participated in many tours under the direction of Riccardo Muti. He was a member of the “Orchestra of the Bicentenary of the Tricolor” on the occasion of a concert in Reggio Emilia conducted by Claudio Abbado, and he is a frequent guest at the International Chamber Music Festival at Aschau im Chiemgau, Germany. His activities as a recording artist are significant: the fantasies for clarinet and piano based on Giuseppe Verdi’s operas; quartets by Mercadante and Rossini with the Rossini Quartet; Beethoven’s complete music for wind instruments and a transcription of Rossini’s Barber of Seville with the Italian Octet; and Mozart and Beethoven’s quintets for piano and winds, with Michel Dalberto. He gave the Italian premiere of Krzysztof Penderecki’s Concerto for clarinet and orchestra, under the composer’s baton. In 1999 he participated at the gala soirée of the Clarinetfest in Belgium, where he and Eddie Daniels performed as a duo. He is conductor of and soloist with the Filarmonici di Busseto and professor of clarinet at Modena’s Istituto Musicale Superiore. Nata in Israele, risiede dal 1988 a New York, dove si è diplomata alla Manhattan School of Music sotto la guida di Nina Svetlanova e ottenendo il Bachelor of Music all’Accademia di musica dell’Università di Tel-Aviv dove ebbe come insegnante Victor Derevianko. Si è esibita individualmente e come pianista collaboratore negli USA, in Canada, Messco, Asia sudorientale, Europa e Israele. Le sue prestazioni maggiori sono avvenute con l’Orchestra sinfonica di Gerusalemme, l’Orchestra sinfonica di Manila, l’Orquesta Da Camera di Città del Messico, mentre ha tenuto recital e concerti a New York (Merkin Hall e Steinway Hall), a Londra (Purcell Room e South Bank Center ), a Berlino (Konzerthaus ), Parigi (Musée de Louvre e Cité des Arts). Toronto ( Roy Thomson Hall), Washington D.C. (Kennedy Center), San Francisco (Old First Church), Ann Arbor (University of Michigan), Santa Barbara (University of California), Miami (University of Florida, Steinway Gallery), Boston (Gardner Museum), Dame Myra Hess concert series, Ravinia “Rising Stars” Series e Symphony Hall a Chicago, “Great Performances” Series a St. Louis, Henry Crown Hall a Gerusalemme e al museo di Tel Aviv. Membro del consiglio dell’American Liszt Society (ALS) e presidente fondatore della sezione di NY/NJ dal 1992, Gila Goldstein è ospite regolare del festival annuale dell’ALS e del Great Romantics International Festival a Hamilton nell’Ontario (Canada). Impegnata da un decennio a valorizzare la musica del compositore israeliano Paul Ben-Haim, ha registrato due volumi della sua opera pianistica. Originally from Israel, she resides in New York City since 1988. Gila Goldstein holds a Master of Music from the Manhattan School of Music where she studied with Mrs. Nina Svetlanova and a Bachelor of Music from the Tel-Aviv University's Academy of Music, where her teacher was Prof. Victor Derevianko. She has performed as a solo artist and collaborative pianist throughout the USA, Canada, Mexico, Southeast Asia, Europe and Israel. Her most notable performances included the Jerusalem Symphony Orchestra, the Manila Symphony Orchestra and Orquesta Da Camera in Mexico City, as well as recitals and concerts at Merkin Hall and Steinway Hall in New York City, the Purcell Room at the South Bank Center in London, Konzerthaus in Berlin, Musée de Louvre and Cité des Arts in Paris, Roy Thomson Hall in Toronto, Kennedy Center in Washington DC, Old First Church in San Francisco, University of Michigan in Ann Arbor, University of California in Santa Barbara, University of Florida, Steinway Gallery in Miami, Gardner Museum in Boston, Dame Myra Hess concert series, Ravinia “Rising Stars” Series and Symphony Hall in Chicago, “Great Performances” Series in St. Louis, Henry Crown Hall in Jerusalem and the Tel Aviv Museum. A Board member of the American Liszt Society (ALS) and the Founder-President of its NY/NJ Chapter since 1992, she is a frequent guest performer at the ALS annual festivals and at the Great Romantics International Festival in Hamilton, Ontario (Canada). A champion of the music of Israel's leading composer Paul Ben-Haim in the past decade as a performer and recording artist, Gila has recorded two volumes of his entire piano works. 85 86 __ Progetto Martha Argerich __ ALEXANDER GURNING Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nato a Bruxelles nel 1973, ha studiato al Conservatorio Reale della capitale belga nella classe di Nicole Henriot-Schweitzer, perfezionandosi con i professori Naumov e Merzhanov al Conservatorio di Mosca. Ha partecipato al Festival dello SchleswigHolstein, allo Chopin di Duskniki-Zdroj (Polonia), al Martha Argerich Meeting Point di Taipei (Taiwan) e di Beppu (Giappone), ai Festival di Obido (Portogallo) e della Roque d'Antheron (Francia). Insieme all'Ensemble Soledad ha inciso per la Virgin Classics un CD con tanghi di Piazzolla e Stravinskij. Ha avuto anche l'occasione di suonare con Martha Argerich, Renaud Capuçon e Laurent Korcia. YUZUKO HORIGOME Alexandre Gurning was born in Brussels in 1973. He studied at the Royal Conservatory in Brussels with Nicole Henriot-Schweitzer and had advanced training with professors Naumov and Merzhanov at the Moscow Conservatory. He has participated in the Schleswig-Holstein Festival, the Chopin Festival in Duskniki-Zdroj (Poland), the Martha Argerich Meeting Point in Taipei (Taiwan) and in Beppu (Japan), the Obido Festival (Portugal) and in the International Piano Festival in La Roque d'Anthéron (France). Together with the Ensemble Soledad he made a CD for Virgin Records with tangos by Piazzolla and Stravinsky. He has also had the opportunity to play with Martha Argerich, Renaud Capuçon and Laurent Korcia. LUCIA HALL Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Lucia Hall è nata in Canada. Ancora adolescente è stata tra i fondatori dell’ensemble I Musici di Montreal. Nel 1989 si è trasferita a Vienna per continuare gli studi con Dora Schwarzberg, dove ha anche approfittato di corsi di perfezionamento con Y. Menuhin, D. Sitkovetzky, I. Ozim e V. Berlinsky. Ha conseguito vari premi in molti concorsi e riconoscimenti dal Canada Council e dal governo del Quebec. Dopo aver partecipato al ciclo Schumann con Martha Argerich and Friends ha collaborato con A. Rabinovitch-Barakovsky e Mark Drobinsky in festival quali l’Oleg Kagan Festival, Festival de Mégève e Les Classiques de Villars. La violinista giapponese, cresciuta in una famiglia di musicisti, accanto alla musica ha avuto una formazione scientifica completa (dottorato in elettrochimica). Si è imposta all’attenzione nel 1980, ottenendo il primo premio al Concorso Internazionale Reine Elisabeth. Da allora è regolarmente invitata ad esibirsi con le maggiori orchestre (Berlino, Amsterdam, la Scala di Milano, New York, Chicago, S.Pietroburgo). Con le orchestre di Montréal, Birmingham, Vienna, Tokyo, Mozarteum di Salisburgo è stata anche in tournée. Particolare impegno riserva alla musica da camera, condiviso con colleghi di rinomanza internazionale quali Martha Argerich, Misha Maisky, Pascal Roger, Nobuko Imai, Antonio Meneses, Wolfgang Manz, Philippe Graffin, partecipando a numerosi festival internazionali quali Marlboro, Lockenhaus, Tanglewood, Musicfest La Jolla California, Buenos Aires. Professore invitato al Koninklijke Conservatorium di Bruxelles, è anche titolare di diverse master class. Suona un violino Guarneri del Gesù del 1741. This Japanese violinist grew up in a family of musicians but was also trained in the sciences and holds a doctorate in electrochemistry. She first made herself known in 1980 when she won first prize in the International Queen Elisabeth (Belgium) competition. Since then she has regularly been invited to perform with the finest orchestras (Berlin, Amsterdam, La Scala (Milan), New York, Chicago and St. Petersburg), and she has also toured with the orchestras of Montreal, Birmingham, Vienna, Tokyo and the Salzburg Mozarteum. She gives special attention to chamber music, which she plays with internationally renowned colleagues such as Martha Argerich, Misha Maisky, Pascal Roger, Nobuko Imai, Antonio Meneses, Wolfgang Manz and Philippe Graffin, and she participates in such international festivals as Marlboro, Lockenhaus, Tanglewood, Musicfest La Jolla (California) and Buenos Aires. She is a guest professor at Brussels’s Koninklijke Conservatorium and holds various master classes. She plays a 1741 Guarneri del Gesù violin. PETRA HORVATH Lucia Hall was born in Canada. As a teenager she was a founding member of the prominent chamber ensemble Musici de Montreal. In 1989 she moved to Vienna to continue her studies with Dora Schwarzberg, where she also profited from masterclasses with, among others, Y. Menuhin, D. Sitkovetzky, I. Ozim and V. Berlinsky. She is prizewinner of several competitions and beneficiary of grants from the Canada Council and the Quebec gouvernement. Since participating in the Schumann Cycle with Martha Argerich and Friends she has joined A. Rabinovitch-Barakovsky and M. Drobinsky regularly for festivals, such as Oleg Kagan Festival, Festival de Musique Classique de Megève and Les Classiques de Villars. Nata a Varazdin (Croazia) nel 1983, iniziò a suonare il sassofono all’età di dieci anni. Da bambina vinse vari primi premi in concorsi giovanili del proprio paese. Dal 2000 studia in Austria, dapprima con P. Staub a Graz, in seguito a Vienna con O. Vrhovnic all’Università di musica e arti performative e con L. Mlekusch al Conservatorio. È stata membro di alcuni quartetti di sassofononi tra cui Quadrofon e AIBaTESo Tzigane, con cui si è esibita in Austria, Croazia, Slovenia e Cina. Nel 2003 sostituì il proprio maestro in un progetto con il Wiener Saxophone Quartett. Nel 2006 ha ricevuto una borsa di studio dalla Fondazione Yamaha come migliore strumentista a fiato. Petra ha frequentato corsi di perfezionamento con rinomati sassofonisti quali Arno Bornkamp, Claude Delangle, Eric Devalon, Matjaz Drvensek, Dragan Sremec e Maximiliano Doninnelli. Dedita alla musica contemporanea, il maggiore interesse di Petra si rivolge alla musica da camera rara e alle combinazioni strumentali singolari. Born in Varazdin, Croatia, in 1983. She started playing Saxophone age 10. As a child she recieved several 1st prizes at croatian youth competitions. Since 2000 she studies in Austria, first with Prof. P. Staub in Graz, later with Prof. O. Vrhovnic at the University for music and performing arts and with Prof. L. Mlekusch at the Conservatory, both in Vienna. She was member of a few Saxophone quartetts, including Quadrofon, AIBaTESo Tzigane with which she performed throughout Austria, Croatia, Slovenia and China. In 2003 she supstituted her teacher for a project in the Wiener Saxophone Quartett. In 2006 she received a scholarship from the Yamaha Foundation as best woodwind instrumentalist. Petra attended masterclasses with many renowned Saxophonists like Arno Bornkamp, Claude Delangle, Eric Devalon, Matjaz Drvensek, Dragan Sremec and Maximilanao Doninnelli among others. Devoted to contemporary music, Petra´s interest lies on infamous chambermusic works and rare instrumentations. 87 88 __ Progetto Martha Argerich __ GÉZA HOSSZU-LEGOCKY Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nato a Losanna nel 1985 da una famiglia di tradizioni musicali, dopo aver studiato privatamente a Ginevra, ha proseguito all’Accademia musicale di Vienna. Nel 1993 ha iniziato il perfezionamento sotto la guida di Marina Sokorova e Dora Schwarzberg. Già all’età di nove anni ha compiuto una serie di concerti con l’Orchestra Nazionale Ungherese a Budapest, e tournée in Italia e in Francia. Esecutore appassionato sia nel campo classico che in quello jazzistico, si è esibito al Festival di Verbier (2000) e al Martha Argerich di Buenos Aires (2004). STEPHEN KOVACEVICH Géza Hosszu-Legocky was born in Lausanne in 1985 into a family with a musical tradition. He first took private lessons in Geneva and then continued his studies at the Vienna Academy of Music. He started his advanced training in 1993, under the guidance of Marina Sokorova and Dora Schwarzberg. At the age of nine he had already played in a series of concerts with the national Hungarian orchestra in Budapest and had been on tour in Italy and France. He performs equally well in classical music or jazz and played at the Verbier Festival (2000) and the Martha Argerich Festival in Buenos Aires (2004). EDUARDO HUBERT Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Si è diplomato presso il Conservatorio Nazionale di Musica di Buenos Aires con Antonio De Raco, seguendo la scuola di Vincenzo Scaramuzza. Nel 1974 si è trasferito in Italia perfezionandosi con Fausto Zadra, Carlo Zecchi, Guido Agosti e studiando la direzione d’orchestra con Franco Ferrara e Leonard Bernstein. Ha conseguito la “licence de concert” e il “Prix de virtuosité” presso il Conservatorio di Losanna. Negli ultimi anni si dedica fondamentalemnte alla musica da camera, diventata materia del suo insegnamento presso i conservatori di Karlsruhe e di Pescara. Ha collaborato con artisti quali di Martha Argerich, Sandor Vegh, Franco Petracchi, Ivry Gitlis, ecc. Ha fequentato i corsi di musica elettronica di Franco Evangelisti presso il Conservatorio di S. Cecilia a Roma e si dedica a progetti di ricerca come membro fondatore del gruppo Suono-Immagine. Molte delle sue composizioni sono state eseguite in centri importanti quali il Teatro Colon, i Berliner Philharmoniker, Teatro Rossini di Pesaro, Smeraldo di Milano, Sydney, Beppu, ecc., e trasmesse dalla RAI, BBC, ABC New York. Ha creato e diretto la prima Orchestra da camera del Molise “A.Lualdi” e l’Orchestra Filarmonica Adriatica. Dal 2000 è coordinatore artistico del Festival Incontro Martha Argerich che si svolge a Buenos Aires. Dal 2006 collabora con il sistema di orchestre giovanili del Venezuela. È nato a Los Angeles dove si è esibito come pianista all’età di 11 anni. A 18 anni si è trasferito in Inghilterra per studiare con Myra Hess. Nella sua carriera di pianista spiccano le se interpretazioni di Beethoven, Brahms. Mozart e Schubert. Le sue registrazioni di Beethoven (Sonate op. 53, 78 e 110, e op. 13, 14 e 22) hanno ricevuto la Nomination nella categoria strumentale nel 1994 e nel 1999 ai Gramophone Awards. Con la London Philharmonic Orchestra sotto la direzione di Wolfgang Sawallisch ha registrato i due concerti per pianoforte di Brahms, di cui il primo vinse nel 1993 il Gramophone Award e lo Stereo Review Record of the Year. Negli ultimi dieci anni ha registrato l’integrale delle 32 sonate di Beethoven. Come omaggio alle sue interpretazioni beethoveniane, gli è stata offerta l’occasione di esibirsi in una serie di sei concerti. Il progetto, denominato “Kovacevich, Beethoven and the Piano”, ha incluso il Concerto n. 5 con Kurt Masur in Grand Bretagna e in Germania, tre recital beethoveniani al Royal Festival Hall, concerti con la London Philharmonic con cui si è presentato come solista e direttore. Oltre all’attività solistica Kovacevich intrattiene buone relazioni con le orchestre come direttore (London Mozart Players, Royal Liverpool Philharmonic Orchestra e Vancouver Symphony Orchestra). Nei concerti di musica da camera fra i suoi partner sono da menzionare Steven Isserlis, Nigel Kennedy, Lynn Harrell, Sarah Chang, Renaud e Gautier Capuçon, Kyung-Wha Chung, Truls MØrk e Emmanuel Pahud Stephen Kovacevich was born in Los Angeles and made his debut as a pianist at the age of 11. At the age of 18 he moved to England to study with Dame Myra Hess. He has had a distinguished career as a concert pianist. His interpretations of Beethoven, Brahms, Mozart and Schubert are renowned. His recordings of the Beethoven Sonatas Op. 53, 78 & 110, and Op. 13, 14 & 22 were nominated for the instrumental category of the 1994 and 1999 Gramophone Awards. He has recorded both Brahms Piano Concertos with the London Philharmonic Orchestra and Wolfgang Sawallisch; No 1 and won the 1993 Gramophone Award and the Stereo Review Record of the Year. Over the last 10 years Kovacevich has recorded Beethoven’s 32 piano sonatas. As a tribute to his interpretations of works of Beethoven, Stephen Kovacevich was featured in a six-concert project ”Kovacevich, Beethoven and the Piano” The project included the Emperor Concerto with Kurt Masur in the UK and Germany, three Beethoven recitals in the Royal Festival Hall, playing/directing the London Philharmonic Youth Orchestra. In addition to his solo work, Kovacevich enjoys good relations with orchestras as a conductor and by directing from the keyboard (London Mozart Players, Royal Liverpool Philharmonic Orchestra and Vancouver Symphony Orchestra). Chamber music partners include Steven Isserlis, Nigel Kennedy, Lynn Harrell, Sarah Chang, Gautier Capuçon, Renaud Capuçon, Kyung-Wha Chung, Truls MØrk and Emmanuel Pahud FEDERICO LECHNER He received a diploma from the National Conservatory of Music in Buenos Aires, where he studied with Antonio De Raco, of Vincenzo Scaramuzza’s School. In 1974 he moved to Italy for further piano studies with Fausto Zadra, Carlo Zecchi and Guido Agosti as well as conducting studies with Franco Ferrara and Leonard Bernstein. He received the “Licence de concert” and “Prix de virtuosité” from the Lausanne Conservatory. In recent years he has dedicated himself mainly to chamber music, which is the subject he teaches at the Karlsruhe and Pescara conservatories. He has worked together with artists of the caliber of Martha Argerich, Sandor Vegh, Franco Petracchi, Ivry Gitlis and so on. He attended Franco Evangelisti’s courses in electronic music at the Santa Cecilia Conservatory in Rome, and he undertakes research projects as a founding member of the Suono-Immagine [Sound-Image] group. Many of his compositions have been performed at such important venues as the Teatro Colón in Buenos Aires, Berlin’s Philharmonie, Pesaro’s Teatro Rossini, Milan’s Teatro Smeraldo, and in Sydney, Beppu etc., and they have been broadcast by RAI, BBC and ABC in New York. He has created and conducts the “A. Lualdi” Molise Chamber Orchestra and the Adriatic Philharmonic Orchestra. Since 2000 he is the artistic coordinator of the Festival Martha Argerich that takes place in Buenos Aires. Since 2006 he has been working with Venezuela’s youth orchestra network. Nato a Buenos Aires nel1974, ha iniziato a suonare il pianoforte a tre anni, studiando con Lolita Lechner e Elizabeth Westerkamp. A 10 anni si è trasferito con la famiglia in Spagna. A 15 ha iniziato a praticare il jazz e la musica moderna, sotto la guida di Horacio Icasto (pianoforte), Julio Daud (tromba), Miguel Gil (ritmi). Da allora ha suonato con musicisti jazz in Spagna, quali Jorge Pardo, Ximo Tebar, Antonio Serrano, Israel Sandoval, Pedro Ruy Blas, così come con grandi artisti americani quali Jerry Gonzalez, Christian Howes, Rez Abbasi, Ugonna Okewo, Bob Sand e altri, con giri di concerti in Europa, Stati Uniti e Sudafrica. Ha collaborato con artisti del pop e del rock, tra cui Miguel Rios, Pablo Carbonell, Sergio Makaroff, Andy Chango, Javier Krahe, Ariel Rot, Joan Manuel Serrat. Ha pubblicato più di 40 album, di cui uno (A Primera Vista) in duo con Jerry Gonzalez è stato segnalato come finalista allo Spanish Music Awards come migliore album jazz. Uno dei suoi campi di attività è l’improvvisazione su temi classici, che ha sviluppato in recital o in collettivo (Howes/Lechner/Martín Trio). Come insegnante di improvvisazione è attivo presso l’Escuela Municipal de Tres Cantos a Madrid.Una sua composizione (Iboga) ha vinto il primo Jazz Composition Award “Tete Montoliu” nel 2005. Born in Buenos Aires in 1974, begins to play piano at the age of three. He studies piano with Lolita Lechner and Elizabeth Westerkamp. At the age of ten he moves with his family to Spain. At the age of fifteen beguins to study jazz and modern music: piano with Horacio Icasto, Trumpet with Julio Daud, and Rythm with Miguel Gil. From these years from now he has played with some jazz musicians of Spain, such as Jorge Pardo, Ximo Tebar, Antonio Serrano, Israel Sandoval, Pedro Ruy Blas, as well as with great American jazz artists, as Jerry Gonzalez, Christian Howes, Rez Abbasi, Ugonna Okewo, Bob Sands, and others, touring in Europe, the U.S. and South America. He has also worked with many pop and rock artist. Some of them: Miguel Rios, Pablo Carbonell, Sergio Makaroff, Andy Chango, Javier Krahe, Ariel Rot, Joan Manuel Serrat. He has recorded over 40 albums. One of them, A Primera Vista, duo with Jerry Gonzalez, was nominated Finalist as Best Jazz Album 2002 on the Spanish Music Awards. One of his active project is the Improvisation over Classical Music that he develops with the Howes/Lechner/Martín Trio, and also on solo recitals. He has achieved a long experience as teacher of improvisation (particularly at the Escuela Municipal de Tres Cantos in Madrid).^is composition Iboga won the First Jazz Composition Award “Tete Montoliu” on 2005. 89 90 __ Progetto Martha Argerich __ KARIN LECHNER Nata a Buenos Aires, ha studiato con la madre, Lyl Tiempo, a Caracas. Trasferitasi in Europa, ha proseguito gli studi con Maria Curcio a Londra e Pierre Cancan a Parigi. Più avanti ha ricevuto consigli da Martha Argerich, Daniel Baremboim e Nelson Freire. Ha dato concerti con numerosissime orchestre, fra le quali, le filarmoniche di Amsterdam, Rotterdam, Stoccarda, Buenos Aires, le sinfoniche di Berlino, Amburgo, Miami, l’Orchestra nazionale belga e quella di Francia, sotto la direzione, tra gli altri, di Jean Fournet, Christoph von Dohnanyi, Leopold Hager. Suona spesso in duo con il fratello Sergio Daniel Tiempo, con il quale ha inciso brani per due pianoforti. MISCHA MAISKY Karin Lechner was born in Buenos Aires and studied with her mother, Lyl Tiempo, in Caracas. After moving to Europe, she continued her studies with Maria Curcio in London and Pierre Cancan in Paris. Later she received additional instructions from Martha Arge- rich, Daniel Baremboim and Nelson Freire. She has performed with many orchestras, including the philharmonic orchestras of Amsterdam, Rotterdam, Stuttgart, Buenos Aires; the symphony orchestras of Berlin, Hamburg, and Miami; and the Belgian and French national orchestras, conducted by Jean Fournet, Christoph von Dohnanyi, Leopold Hager and many others. She often plays in a duo with her brother Sergio Daniel Tiempo, with whom she has recorded works for two pianos. LILY MAISKY Lily Maisky è nata a Parigi nel 1987, trasferendosi subito dopo a Bruxelles. Ha iniziato lo studio del pianoforte a quattro anni con Lyl Tiempo, proseguendolo con Hagit Kerbel e Alan Weiss. Ha approfittato dei corsi di perfezionamento e dei consigli di personalità quali Martha Argerich, Dmitri Bashkirov, Joseph Kalichstein, Evgeny Mogilevsky, Pavel Gililov, Vitali Margulis e Marielle Labeque. Ha partecipato all’Accademia di Verbier e ai corsi estivi di Oxford Philomusica nel 2004. Nel 1977 ha preso parte all’esecuzione del Carnevale degli animali alla Carnegie Hall nell’ambito del Rainforest Foundation Charity Gala Concert, da cui è stata ricavata una registrazione discografica. Le sue apparizioni concertistiche hanno avuto luogo in Gran Bretagna, Belgio, Germania, Italia, Austria, Spagna, Turchia, Olanda, Svizzera, ecc. Fra i momenti salienti sono da menzionare il concerto di gala al Freiburg Zelt Music Festival in Germania, l’apparizione alla Royal Festival Hall a Londra, così come il Concerto di Grieg e il Triplo di Beethoven insieme con il padre e il fratello in Belgio. Recentemente, dopo aver completato gli studi alla Purcell School of Music con Ilana Davids e con Simon Colam per il pianoforte jazz, studia privatamente con Alan Weiss. 91 Nato a Riga nel 1948, ha studiato a Leningrado, dove nel 1966 vinse il Concorso Ciaikovskij, che gli aprì subito la carriera, proiettata a livello internazionale dopo l’emigrazione in Israele nel 1972. Nel 1973 vinse il Concorso Gaspard Cassadò di Firenze, debuttando un anno dopo a New York. In quell’occasione un anonimo benefattore gli regalò un violoncello Montagnana del XVIII sec. col quale si esibisce ancora oggi. Nel 1974 studiò con Gregor Piatigorsky, potendo vantare di essere il solo violoncellista che (dopo aver studiato a Mosca con Rostropovic) è stato allievo dei due grandi maestri russi del violoncello. Maisky svolge da anni un’intensa attività concertistica con le più grandi orchestre e i più importanti direttori. La sua predilezione per la musica da camera l’ha portato a collaborare strettamente con Gidon Kremer e con Martha Argerich. Born in Riga in 1948, Maisky studied in Leningrad, where he won the 1966 Tchaikovsky Competition; this immediately launched his career, which reached the international level after his immigration to Israel in 1972. In 1973 he won the Gaspar Cassadó Competition in Florence, and a year later he made his New York debut. On that occasion, an anonymous benefactor gave him an 18th-century Montagnana cello, with which he still performs today. In 1974 he studied with Gregor Piatigorsky, and as he had already studied with Rostropovich in Moscow, he is the only cellist who can claim to have studied with both of the greatest Russian masters of the cello. For years, Maisky has been a highly active concert artist who appears with the greatest orchestras and the most important conductors. His predilection for chamber music has brought him into close collaboration with Gidon Kremer and Martha Argerich. ALISSA MARGULIS Lily Maisky was born in Paris in 1987, moving to Brussels soon after. She began her piano studies at the age of four, with Lyl Tiempo, also studying with Hagit Kerbel and Alan Weiss. She has received master classes and musical advice from such renowned artists including Martha Argerich, Dmitri Bashkirov, Joseph Kalichstein, Evgeny Mogilevsky, Pavel Gililov, Vitali Margulis and Marielle Labeque. She also participated in the prestigious Verbier Academy and the Oxford Philomusica piano courses in the summer of 2004. In 1997, Lily took part in a performance of The Carnival of the Animals within the Rainforest Foundation Charity Gala Concert in Carnegie Hall, from which a recording was issued. Concert appearances have taken her to the UK, Belgium, Germany, Italy, Austria, Spain, Turkey, Holland, Switzerland etc… Notable solo events include a Gala concert in the Freiburg Zelt Music Festival in Germany, a performance at the Royal Festival Hall in London, as well as Grieg Concerto and Beethoven Triple with her brother and father in Belgium. Recently completing her studies at the Purcell School of Music in the UK, studying with Ilana Davids as well as Jazz Piano with Simon Colam, she now studies privately with Alan Weiss. Alissa Margulis è nata nel 1981 a Friburgo i.B. in una famiglia di musicisti russi. Ha iniziato a studiare il violino a quattro anni con W. Marschner dedicandosi pure al pianoforte. Ha dato il suo primo concerto a sette anni. A dieci ha vinto il primo premio al concorso giovanile “Ludwig Spohr” e il primo premio al concorso federale “Jugend musiziert”. A tredici anni è diventata allieva di Zakhar Bron al Conservatorio di Colonia. Si è poi perfezionata attraverso numerose master classes con Ana Chumachenko, Vladimir Spivakov, Ida Haendel, Shlomo Mintz, Gyorgy Pauk, Hermann Krebbers, Augustin Dumay, Ivry Gitlis. Ha vinto premi in vari concorsi: Concorso Wieniawsky, Concorso Viotti (Vercelli), Unisa String Competition di Pretoria, Concorso di musica da camera di Osaka, Concorso Vittorio Gui (Firenze). Nel 2002 ha ricevuto da Daniel Barenboim il “prix d’encouragement Pro Europa” a Berlino, dove si è esibita nel locale teatro d’opera e nel castello Bellevue. Alissa Margulis è stata invitata a suonare come solista e in formazioni cameristiche in vari festival quali Tours, Davos, Gstaad, l’Encuentro di musica di Santander, lo Schleswig Holstein Musikfestival, i Lockenhaus Festspiele di Gidon Kremer, il Festival di Mentone. Ha suonato con l’Orchestra filarmonica di Novosibirsk, l’Orchestra del Südwestfunk, i Solisti di Budapest, l’Orchestra di Johannesburg, l’Orchestra sinfonica di Praga, l’Orchestra della NDR e altre. Nel 2004 ha ricevuto il premio “nouvelle artiste” al Festival Juventus di Cambrai. Alissa Margulis was born in 1981 in Freiburg into a family of russian musicians. She started to play the violin at age 4 with prof. W. Marschner and also the piano. She gave her first public performance at age 7. With 10 years she won the 1.prize at the Spohr Yuth Competition and later the 1prize at the Bundeswettbewerb 'Jugend musiziert'. With 13 years she became a pupil of Zakhar Bron at the Musikhochschule Koeln. Further musical advice and participation in masterclasses she received from Ana Chumachenko, Vladimir Spivakov, Ida Haendel, Shlomo Mintz, Gyorgy Pauk, Herman Krebbers, Augustin Dumay, Ivry Gitlis. She is a prizewinner of many competitions: Wieniawsky Competition in Poland, the Concorso Viotti (Vercelli), the Unisa String Competition in Pretoria, Osaka Chambermusic Competition, Concorso Vittorio Gui in Florence. In 2002 she received the prix d'encouragement “Pro Europa” by Daniel Barenboim in Berlin, where she performed at the Berlin Opera and the Chateau Bellevue. Alissa Margulis has has been invited to perform as a soloist and chambermusic in many international festivals as the Tours, Davos and Gstaad festivals, the Encuentro di musica Santander, Schleswig Holstein Musikfestival, the Lockenhaus Festspiele by Gidon Kremer, the Menton Festival in Monaco. She played with the Novosibirsk Philharmonic Orchestra, the Südwestfunk Orchestra, the Budapest soloists, the Johannesburg Symphony, the Prague Symphony, the NDR Orchestra and others and she received the “nouvelle artiste” award of the year in 2004 at the Juventus Festival de Cambrai. Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 92 __ Progetto Martha Argerich __ KARIN MERLE Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nata in Spangna, ma di origine austriaca, ha studiato a Vienna con il leggendario Bruno Seidlhofer. Durante gli studi ha incontrato Martha Argerich con la quale si è presentata in duo nei festival di Beppu (Giappone) e di Buenos Aires, dove si è anche esibita come solista e in concerti di musica da camera. Tiene una cattedra di pianoforte nella Musikhochschule di Colonia ed è invitata a tenere corsi di perfezionamento in varie parti del mondo. SHONOSUKE OKURA Karin Merle, austrian, was born in Spain. While her piano studies in Vienna with the legendary teacher Bruno Seidlhofer, she meet Martha Argerich. She was her Duo-Partner in the Festivals in Beppu (Japan) and in Buenos Aires, where she also played as a soloist and in different chamber music groups. Karin Merle is Professor at the Musikhochschule Cologne (Germany) and extremely succesfull as a teacher. She is invited to master courses all over the world. DAVID MILLER Nato ed educato negli USA, vive a Bruxelles. Maestro collaboratore a Liegi dell’Opéra Royal de Wallonie, è regolarmente invitato da altri teatri ed orchestre. Le ultime stagioni lo hanno visto dirigere opere e balletti alla Semperoper di Dresda, al Teatro Carlo Felice di Genova e al Teatro Municipal di Santiago del Cile. A Liegi ha diretto Candide, Il Barbiere di Siviglia, La Traviata, Riders to the Sea, La Bohême. Ha inoltre diretto una serie di concerti con l’Orchestre de chambre de Wallonie e José Van Dam. Il suo annuale concerto natalizio al Palais des Beaux Arts, con la partecipazione di 200 coristi, è diventato un evento nella vita musicale di Bruxelles, mentre i suoi allestimenti con la Brussels Light Opera Company hanno recentemente avuto il loro culmine in un brillante Kismet. Ha al suo attivo un lungo apprendistato come pianista accompagnatore in molti teatri d’opera. Ha diretto La Tragédie de Carmen di Peter Brook in Italia e in Germania. Ha lavorato a stretto contatto con Maurice Béjart, Gian-Carlo Menotti, John Pritchard, Sir Colin Davis, Alberto Zedda e soprattutto Giuseppe Sinopoli. Le sue originali composizioni fanno parte della colonna sonora dei film Le Maître de Musique e L’Année de l’Éveil di Gérard Corbiau. Le sue orchestrazioni delle canzoni di Duke Ellington sono state eseguite in Belgio, Italia e Turchia da Jeannette Thompson. In recital ha accompagnato José Van Dam, Jane Manning e Julia Migenes. Born and educated in the United States, David Miller lives in Brussels. Staff conductor at the Opéra Royal de Wallonie in Liège, he is also regularly invited to other theatres and orchestras. The last few seasons have seen him conduct opera and ballet performances at the Semperoper in Dresden, the Teatro Carlo Felice in Genova and the Teatro Municipal in Santiago de Chile. In Liège he has conducted, to grat acclaim, Candide, Il Barbiere di Siviglia, La Traviata, Riders to the Sea, La Bohême. He as also led a series of concerts with de Orchestre de chambre de Wallonie and José Van Dam. His annual Christmas concert at the Palais de Beaux Arts, with close to 200 singers, has become a highlight of the Brussels holiday season, and a series of productions with the Brussels Light Opera Company recently culminated in a sparkling Kismet. David Miller has ad a long apprenticeship at piano in various opera house. He conducted Peter Brook’s La Tragédie de Carmen throughout Italy and Germany. He has also worked closely with Maurice Béjart, GianCarlo Menotti, the late John Pritchard, Sir Colin Davis, Alberto Zedda and Giuseppe Sinopoli. Mr. Miller’s original compositions can be heard in Gérard Corbiau’s films, Le Maître de Musique and L’Année de l’Éveil. His orchestrations of Duke Ellington songs have been performed, with Jeannette Thompson, in Belgium, Italy and Turkey. The singers who have been accompanied in recital by Mr. Miller include José Van Dam, Jane Manning and Julia Migenes. ALEXANDER MOGILEVSKI Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nato nel 1977 a Odessa, ha studiato al Conservatorio di Mosca con Lev Naumov, diplomandosi nel 1999. Nel 1993 ha suonato con Vladimir Spivakov e i Solisti di Mosca e con l’Orchestra Filarmonica di Israele. Nello stesso anno ha debuttato come solista alla Wigmore Hall di Londra, attività proseguita con recital alla Tonhalle di Zurigo, al Théâtre du Châtelet di Parigi, a Istanbul, Zagabria e Baden-Baden. Altrettanto significativa l’attività in Festival come quelli di Verbier e Gstaad (dove ha eseguito i due concerti per pianoforte di Chopin), alla Roque d’Anthéron (Francia), al Gergiev Festival di Rotterdam e di Mikkeli (Finlandia). Alexander Mogilevsky was born in Odessa in 1977, studied at the Moscow Conservatory with Lev Naumov and graduated in 1999. In 1993 he played with Vladimir Spivakov and the Moscow Soloists, and with the Israel Philharmonic Orchestra. In the same year he began to play as a soloist at Wigmore Hall in London, followed by recitals at the Tonhalle in Zurich, the Théâtre du Châtelet in Paris, as well as in Istanbul, Zagreb and Baden-Baden. Furthermore, he has been very active in festivals, such as in Verbier and Gstaad (where he performed the piano concertos by Chopin), at La Roque d’Anthéron (France) and the Gergiev Festival in Rotterdam and Mikkeli (Finland). Shonosuke Okura è il figlio maggiore della quindicesima generazione della Scuola Okura, Chojuro Okura. L’eredità della famiglia Okura, una delle famiglie musicali più importanti nel campo delle percussioni giapponesi (Otsuzumi e Kotsuzumi) ha attraversato le epoche fin dal periodo Muromachi. Egli ha ricevuto l’insegnamento dal padre e dal nonno e, all’età di nove anni, è apparso per la prima volta in pubblico sulla scena. Accanto alle esecuzioni del tradizionale teatro No, si è affermato nel campo dell’esecuzione a solo come suonatore di Otsuzumi, perseverando a suonare con le proprie mani, ciò che è estremamente difficile. Ha collaborato con vari artisti in Giappone e altrove nel mondo in combinazione anche con altre espessioni artistiche. È stato invitato ad esibirsi in Vaticano alla presenza del Papa e in vari eventi e cerimonie altrove. È un promotore riconosciuto di cultura giapponese, che ha ottenuto nel 2005 lo Japan Cultural Design Award. Fra i CD pubblicati sono da menzionare World Beat e Hiten. È autore di un’autobiografia dal titolo Kodo-Beat. Shonosuke Okura is the eldest son of the late 15th generation head of the Okura School, Chojuro Okura. (The Okura family legacy has been passed down since the Muromachi Period, as one of the Noh musical families in the field of Otsuzumi and Kotsuzumi Japanese drums. ) He has taken lessons from his grandfather and father, and at age 9, he appeared on his debut stage. Besides performing on the traditional Noh stages, he has established his position in the field as a solo Otsuzumi player and insists on playing with his hands, a task of extreme difficulty. Since then, with Otsuzumi, which is a Japanese traditional percussion instrument, he has collaborated with various artists in Japan and internationally travelling in all directions through wide genre of arts. He has been invited by the Pope to play in the Vatican Palace Concert Hall and has performed at various ceremonies and events around the world. He is a cultural producer who promotes the wonder of Japanese culture abroad. A recipient of Japan Cultural Design Award 2005. He released his CDs World Beat from America Piazza Plus and Hiten from Universal Music and his autobiography Kodo - Beat from Chichi Publication. FRANCESCO PIEMONTESI È nato a Locarno nel 1983. Si è diplomato nel 2003 al Conservatorio della Svizzera italiana sotto la guida di Nora Doallo. Attualmente vive ad Hannover dove continua i suoi studi alla Hochschule für Musik und Theater con Arie Vardi. È vincitore di vari premi internazionali, tra cui il Concorso Chopin di Göttingen e il Seiler di Kitzingen. Ha rappresentato la Svizzera al concorso dell'Eurovisione a Vienna e, nel 2006, è stato finalista al Clara Haskil di Vevey. Ha partecipato a corsi di perfezionamento di Alexis Weissenberg, Bernd Glemser e Homero Francesch. Ha tenuto concerti in molti paesi europei, negli Stati Uniti, in Giappone, Cina e Corea, partecipando al Festival di Ludwigsburg, al Septembre Musical di Montreux, al Festival Chopin di Duszniki-Zdroy in Polonia, agli Orpheum Musiktage di Zurigo, al "Next Generation" di Dortmund, al Festival di Musica da Camera di Kronberg e alle settimane musicali di Schloss Elmau. Si è esibito tra l'altro alla Filarmonia di Berlino, al Konzerthaus di Vienna, alla Tonhalle di Zurigo, alla Filarmonia di Monaco di Baviera, all'Opéra de la Bastille a Parigi e al Beethoven-Saal a Bonn. Come solista ha collaborato con l'Orchestra di Radio Saarbrücken, i London Mozart Players, la Zürcher Kammerorchester e l'Orchestra da camera di Losanna, gli European Strings, l’Orchestra della Svizzera Italiana. Come camerista si esibisce tra l'altro con Yuri Bashmet, Heinrich Schiff, Maria Kliegel, Anne Queffélec, il quartetto Sine Nomine e con musicisti dei Berliner Philharmoniker. Nel 2007 ha ottenuto il 3° premio nel concorso Reine Elisabeth di Bruxelles. Francesco Piemontesi was born in 1983 in Locarno. He studied with Prof. Nora Doallo, gaining the Diploma from the Conservatorio della Svizzera italiana. He is currently studying with Arie Vardi at the Hochschule für Musik und Theater, Hanover. Piemontesi is a prize-winner of numerous contests, including the Göttingen Chopin-Competition and the Seiler Piano Competition in Kitzingen. He was also selected to represent Switzerland at the Eurovision Contest in Vienna and was finalist at the 21st Clara-Haskil-Competition in 2006. Piemontesi has taken part in masterclasses with Alexis Weissenberg, Homero Francesch and Bernd Glemser. He has performed widely throughout Europe, in Japan, Korea and in the USA. He has given concerts at festivals including the Ludwigsburger Schlossfestspiele, the Chopin Festival in Duszniki-Zdroy, the Septembre Musical de Montreux, the Orpheum Musiktage Zürich, the "Next Generation" in Dortmund, the Chamber Music Weeks at Schloss Elmau and in major concert halls, including the Philharmonie in Berlin, the Vienna Konzerthaus, the Tonhalle Zürich, the Munich Philharmonic Hall, the Opéra de la Bastille in Paris and the Beethoven-Saal in Bonn. Francesco Piemontesi has performed with the Saarbrücken Radio-Symphony Orchestra, the London Mozart Players, the Zurich and Lausanne Chamber Orchestras, the Orchestra della Svizzera italiana and the European Strings. His work in the field of chamber music includes performances with Yuri Bashmet, Heinrich Schiff, Maria Kliegel, Anne Queffélec, the Sine Nomine Quartett and with members of the Berlin Philharmonic Orchestra. He won the 3th Prize at the Concours Reine Elisabeth 2007 (Bruxelles). 93 94 __ Progetto Martha Argerich __ MIKHAIL PLETNEV Pianista, direttore d'orchestra e compositore, è uno dei musicisti piú completi e affascinanti oggi in attività. Iniziata la carriera come pianista allievo di Jakob Flier e Lev Vlasenko al Conservatorio di Mosca, vincitore della medaglia d'oro al Concorso Cajkovskil nel 1978, ben presto ha cominciato a dirigere. La sua formazione, tuttavia, è stata polivalente fin dall'inizio. La grande svolta nella sua carriera avvenne nel 1990, quand’egli riuscì a concretizzare il progetto di creazione della prima orchestra russa ad organizzarsi su basì private. L’ Orchestra Nazionale Russa, in pochissimo tempo, è diventata una delle formazioni di punta nella vasta panoramica delle grandi compagini internazionali. Precisione, potenza, sobrietà e fantasia sono le caratteristiche di questo complesso, che eccelle, naturalmente, nel repertorio russo. Contemporaneamente Pletnev prosegue la carriera come pianista e, soprattutto, come direttore ospite delle più importanti orchestre, dalla Philarmonia Orchestra di Londra alla London Symphony Orchestra, dalla Los Angeles Philharmonic ai Wiener Symphoniker. Con l'Orchestra della Svizzera italiana Mikhail Pletnev ha stabilito un rapporto che lo ha già visto apparire ripetutamente come solista e come direttore e che è maturato al punto che nei prossimi mesi egli ricoprirà il ruolo di suo “primo maestro ospite”. La sua ampia discografia comprende diversi recital incisi per la EMI Virgin Classics e a DGG. Anche il repertorio sinfonico con l'Orchestra Nazionale Russa è apparso nel catalogo della DGG. La prestigiosa antologia pubblicata della Philips "Great Pianists of the 20' Century" ha incluso un CD dedicato a Pletnev interprete del Concerto n. 2 di Ciaikovskij e del ciclo Le Stagioni. Nel 1996 la sua incisione con sonate di Scarlatti è stata insignita del Gramophone Award. 95 NORA ROMANOFF-SCHWARZBERG Mihail Pletnev – pianist, conductor and composer – is one of the most complete and fascinating musicians active today. A pupil of Jakob Flier and Lev Vlasenko at the Moscow Conservatory, he began his career as a pianist by winning the gold medal at the 1978 Tchaikovsky Competition, and he soon began to conduct. His training was broad from the beginning. The turning point in his career came in 1990, when he managed to realise his plan to create what became the first Russian orchestra organised on a private basis. The Russian National Orchestra very quickly became one of the finest groups within the vast panorama of international ensembles. Precision, power, sobriety and imagination are characteristic of this orchestra, which excels, naturally, in the Russian repertoire. Simultaneity Pletnev continues to advance his career as a pianist and, above all, as guest conductor of the most important orchestras, from the Philharmonia Orchestra of London to the London Symphony Orchestra and from the Los Angeles Philharmonic to the Vienna Symphony. Mikhail Pletnev has established a relationship with the Orchestra della Svizzera Italiana that has already led to many appearances as soloist and conductor and that has developed to such an extent that during the coming months he will undertake the role of Principal Guest Conductor. His broad discography includes several recitals recorded for EMI-Virgin Classics and DGG. His symphonic repertoire with the Russian National Orchestra has also appeared in the DGG catalogue. Philips’ prestigious anthology, “Great Pianists of the 20th Century”, includes a CD dedicated to Pletnev playing Tchaikovsky’s Concerto No. 2 and the cycle, “The Seasons”. His recording of Scarlatti sonatas won the 1996 Gramophone Award. Nata nel 1985 a New York è cresciuta in un ambiente musicale a contatto con grandi artisti quali Isaac Stern, Mstislav Rostropovich, Zubin Mehta, Yehudi Menuhin e Valentin Berlinsky, importanti come ispirazione per la sua formazione, A sei anni è stato ammessa nella classe di violino di sua madre (Dora Schwarzberg) all’Accademia di musica e di arti rappresentative di Vienna, dove ha anche studiato con Lucy Hall e Marina Sorokowa. Dai primi anni ha avuto occasione di esibirsi come solista con orchestra e in concerti cameristici in Italia, Croazia, Lituania, Georgia, Russia, USA e Austria. Nel 2000 cominciò lo studio con il Prof. Kugel nel Conservatorio reale di Maastricht e con il Prof. Thomas Kakuska all’Accademia di musica di Vienna. Ha potuto beneficiare dei corsi di perfezionamento con Hatto Bayerle, Patrick Jüdt e Wladimir Kossjanenko. Partecipa regolarmente ai festival Progetto Martha Argerich (Lugano), Festival Martha Argerich (Buenos Aires), Andrey Sacharov Festival (Russia), Fanfare Festival (Luisiana, USA) e Les Classiques de Villars (Svizzera). Nora è stata premiata in vari concorsi internazionali, comprendento il Concorso internazionale per archi UpBeat di Hvar (Croazia) e il Concorso internazionale di musica di Pinerolo. Nel 2004 è stata scelta come uno degli artisti della fondazione Live Music Now a Vienna. Nora suona una viola “Pietro Palotta” del 1790. Born 1985 in New York, Nora grew up in a musical environment where she came in contact with great artists such as Isaac Stern, Mstislav Rostropovitch, Zubin Mehta, Yehudi Menuhin and Valentin Berlinsky who were important inspirational guides in her formative developement. At age 6 she was accepted in the violin class of her mother Prof. Dora Schwarzberg at the University of music and performing arts in Vienna where she also studied with Lucy Hall and Marina Sorokowa. Since an early age she has had the opportunity to perform as a soloist with orchestras and chambermusic venues in Italy, Kroatia, Lithuania, Georgia, Russia, the US and Austria. In 2000 she began her studies both with Prof. Kugel at the Royal Conservatory of Maastricht and Prof. Thomas Kakuska at the University of music and performing arts in Vienna. She has benefited from masterclasses with Prof. Hatto Bayerle, Patrick Jüdt and Wladimir Kossjanenko. She is a regular participant in Festivals such as the Progetto Martha Argerich (CH), Festival Martha Argerich (ARG), the Andrey Sacharov Festival (RUS), the Fanfare Festival (Louisiana, USA) and Les Classiques de Villars (CH). Nora has been prizewinner at several international competitions, including the International string competition UpBeat Hvar in Kroatia and the Concorso internationale di musica in Pinerolo, Italy. In 2004 she has been chosen as one of the artists for the foundation Live Music Now in Vienna. Nora plays on a 1790 "Pietro Palotta" viola. AKANE SAKAI Nata a Nagoya (Giappone), Akane Sakai ha iniziato lo studio del pianoforte in tenera età sotto la guida della madre. Si è diplomata nella Toho-Gauken School of music (Giappone) nella classe di Midori Miura. Successivamente ha ottenuto il primo premio del livello concertistico e nel 2003 il grado di “master” nel corso diretto da Alan Weiss al Lemmensinstituut in Belgio. Dopo essersi perfezionata con Lilya Zilberstein e Pavel Gililov, si è esibita nel febbraio di quest’anno alla Salle Pleyel di Parigi con la Kremerata Baltica (fondata da Gidon Kremer) nel Concerto in re minore di Bach-Busoni. Ha partecipato a varie edizioni del Progetto Martha Argerich a Lugano, al Festival di Sintra (Portogallo), al Pacific Music Festival (Giappone), al Festival Argerich di Beppu e a quello di Buenos Aires. Nel campo della musica da camera si esibisce in duo con il violinista Geza HosszuLegocky. Fra le occasioni rilevanti sono le sue apparizioni con Martha Argerich, Lylia Zilberstein, Ivry Gitlis e Yuzuko Horigome. Born in Nagoya (Japan), Akane Sakai began her piano studies at early age under the influence of her mother. Graduated Toho-Gakuen School of music (Japan) in the Class of Prof. Midori Miura. Later she obtained a 1er prix at highest degree, and 2003 got biggest diploma at master degree under Prof. Alan Weiss in Lemmensinstituut in Belgium. Also her advanced training she guided with Lilya Zilberstein and Pavel Gililov. On February 2007 made her debut at Salle Pleyel in Paris with Kremerata-Baltica (founded by Gidon Kremer) by Bach-Busoni concerto d-minor (Piano/conducting). She is regularly invited to the Progetto Martha Argerich, Sintra (Portugal), Pacific Music Festival (Japan), Beppu Argerich Festival and Buenos Aires Argerich Festival. Akane Sakai loves chamber music, as duo with Geza Hosszu-Legocky (violin) and already had opportunities to play with such as Martha Argerich, Lilya Zilberstein, Ivry Gitlis and Yuzuko Horigome. Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 96 __ Progetto Martha Argerich __ DORA SCHWARZBERG Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Dora Schwarzberg è nata tra le quinte di un teatro ebraico dove operavano come musicisti i suoi genitori, da cui ricavò il principio che può essere riassunto nelle parole che guidavano il padre: “il violino deve parlare e piangere!”. Il suo rapporto personale ed artistico con musicisti quali il Prof. Yankelevich, V. Berlinsky, A. Schtern, Isaac Stern, Dorothy Delay, Menuhin ha avuto un’influenza tale su di lei, che un ben noto musicista americano ha dichiarato: “Dora Schwarzberg è un tipico rappresentante della scuola violinistica di Odessa-Mosca-Gerusalemme-New York”. Per Dora Schwarzberg la musica non è solo una professione ma un modo di vita. È un mezzo di comunicazione con la gente, tanto vario e individualizzato quanti sono gli artisti con i quali collabora (Martha Argerich, Misha Maisky, Berezovsky, Gililov, Imai Rudin, Geringas, Drobinsky, Rabinovitch, Bashmet fra gli altri). Attività concertistica e attività pedagogica si sono integrate, con la sua cattedra di violino a Vienna, dove continua ad esplorare la musica e la vita con i suoi studenti, molti dei quali vincitori di concorsi internazionali e oggi in posizioni guida nelle maggiori orchestre del mondo. Dora Schwarzberg tiene corsi di perfezionamento internazionali. Il suo repertorio va dalla sonata barocca al tango argentino, dove l’estensione del quadro riflette l’amore per ciascuno di questi aspetti e il desiderio di irradiarlo verso il pubblico. ALESSANDRO STELLA She was born in the backstage of a Jewish Theatre where her musician parents worked. It is perhaps this fact which formed her artistic Credo, expressed in the words of her father: "the violin must speak and cry!". Personal and artistic communication with musicians such as Prof. Yankelevich, V. Berlinsky, A. Schtern, Isaac Stern, Dorothy Delay, Menuhin made such an impact on DS that the wellknown American musician FG exclaimed"Dora Schwarzberg is a typical representative of the Odessa-Moscow-Jerusalem-NY violin school!". For Dora music is not only a profession but a lifestyle. It is a means of communication with people, as varied and individual as the artists with whom she collaborated. They include Martha Argherich, Misha Maisky, Berezovsky, Gililov, Imai Rudin, Geringas, Drobinsky, Rabinovitch, Bashmet to name but a few. Performance and pedagogical activities have naturally complemented each other, and she holds Professorship at Vienna, where she continues to explore music and life with her students. The great majority of her students are prizewinners of international competitions, and hold leading positions with major orchestras and chamber ensembles all over the world. She also gives master classes internationally. The repertoire of this violinist envelops music from baroque sonatas to Argentinian Tangos where the defining link in this extensive chain of works is her love for each of them and a desire to radiate this love to her audiences. Born in Rome in 1979, Alessandro Stella studied with Raffaella d’Esposito at the Santa Cecilia Conservatory, from which he graduated, and he continued his studies at Cremona’s Accademia di Alto Perfezionamento, under Franco Scala (piano) and Marco Di Bari (composition). He participated in seminars and master classes with Alexis Weissenberg, Bruno Canino, Maurizio Pollini, Jean Yves Thibaudet and Christian Zacharias. He has performed in Italy’s major cities and in many cities elsewhere in Europe. Along with his solo work, he performs chamber music with, among others, Géza Hosszu-Legocky, Emilia Baranowska, Giovanni Gnocchi, Raffaella and Giorgia Milanesi and Marco Rogliano. He frequently performs in a duo team with Giorgia Tomassi. Since 1999 he has been in charge of music programming at the Centre Saint Louis de France, which is the cultural centre of the French Embassy at the Vatican. He has recorded many television and radio performances, especially for Vatican Radio. A CD that he and Giorgia Tomassi made recently for the KHA.it label is dedicated entirely to music for two pianos by Maurice Ravel. VLADIMIR SVERDLOV ZORA SLOKAR Nata a Berna nel 1980 ha iniziato a suonare il violino. A 16 anni ha avuto la prima lezione di corno dal padre. Nel 1998 è entrata nella classe di Thomas Müller alla Hochschule für Musik und Theater di Berna, dove contemporamente ha continuato studiare il violino nella classe di Monika Urbaniak Lisik. Nel 2001 ha ottenuto il “Lehrdiplom” in violino, mentre per quanto riguarda il corno ha concluso lo studio al Conservatorio di Maastricht sotto la guida di E. Penzel nel 2003, proseguendo poi a Salisburgo lo “studio magister” con R. Vlatkovic. Nel 2002 ha vinto il primo premio al Concorso “Anemos” a Roma, giungendo in finale al Concorso “Young Horn Players” di Paxman. Nel 2003 ha vinto il primo premio al Concorso “D. Ceccarossi” a Orsogna. Ha suonato come primo corno nella Gustav Mahler Jugendorchester e nell`UBS Verbier Festival Orchestra, sotto la direzione tra gli altri di Boulez, Levine, von Dohnahny. Ha suonato alla Kronberg Academy in Germania, fra altri con G. Kremer, E. Brunner e L. Harrell. Attualmente è primo corno nell’Orchestra della Svizzera italiana. Nato a Roma nel 1979, si è diplomato al Conservatorio di S. Cecilia sotto la guida di Raffaella d’Esposito, proseguendo gli studi all’Accademia di Alto Perfezionamento di Cremona con Franco Scala per il pianoforte e Marco Di Bari per la composizione. Ha seguito seminari e corsi di perfezionamento con Alexis Weissenberg, Bruno Canino, Maurizio Pollini, Jean Yves Thibaudet e Christian Zacharias. Si è esibito nelle principali città italiane ed in numerose città europee. All'attività solistica affianca quella cameristica collaborando fra l'altro con Géza Hosszu-Legocky, Emilia Baranowska, Giovanni Gnocchi, Raffaella e Giorgia Milanesi, Marco Rogliano. In particolare si esibisce in duo pianistico con Giorgia Tomassi. Dal 1999 è responsabile della programmazione musicale del Centre S. Louis de France, centro culturale dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Ha effettuato numerose registrazioni televisive e radiofoniche in particolare per la Radio Vaticana. Di recente pubblicazione è un disco monografico dedicato alla musica per 2 pianoforti di Maurice Ravel in duo con Giorgia Tomassi per l’etichetta KHA.it. Born in Bern, she began to study the violin in 1980. At the age of 16 she had her first horn lesson from her father. In 1998 she entered Thomas Müller’s class at Bern’s Hochschule für Musik und Theater, where she continued her violin studies in the class of Monika Urbaniak Lisik. In 2001 she received her violin diploma and in 2003 she completed her horn studies at the Maastricht Conservatory under the guidance of E. Penzel; she then went on to post-graduate studied under R. Vlatkovic in Salzburg. She won the Anemos Competition in Rome and was a finalist in the Young Horn Players Competition in Paxman, both in 2002, and the following year she won first prize in the D. Ceccarossi Competition in Orsogna. She was principal horn in the Gustav Mahler Youth Orchestra and in the UBS Verbier Festival Orchestra under the direction of Pierre Boulez, James Levine and Christoph von Dohnányi, among others. At the Kronberg Academy in Germany she has played with G. Kremer, E. Brunner and L. Harrell, among others, and her concert activities include a recital at the International Prague Horn 2004 Festival. Currently, she is principal horn in the Orchestra della Svizzera Italiana. Nato nel 1976 a Mosca da una famiglia di solide tradizioni musicali, iniziò lo studio del pianoforte con la madre e in seguito con Vasilisa Tuticschkina e Ida Lescinskaja. A quindici anni vinse il primo premio al Concorso pianistico di Mosca, esibendosi poco dopo con l’Orchestra dello Hessischer Rundfunk sotto la direzione di Dmitri Kitaenko. A sedici anni iniziò una serie di recital in Russia, Francia, Germania e Svizzera. Durante gli studi con Vladimir Krainev e Nikita Magaloff conseguì il primo premio al concorso internazionale di pianoforte Città di Senigalia (1993), proseguendo in seguito la formazione alla Musikhochschule di Hannover con Arie Vardi. Sverdlov è già apparso in alcuni dei maggiori centri musicali, quali il Conservatorio di Mosca, la Filarmonica di Israele a Tel Aviv (1994), la Suntory Hall in Giappone (1997), De Doelen a Rotterdam, Concertgebouw a Amsterdam (2000), Palais des Beaux-Arts a Bruxelles (2001), Salle Gaveau a Parigi (2006). Nel 1999 ha vinto il Concorso Reine Elisabeth a Bruxelles. Nel 2006 ha ottenuto il premio unico al concorso Monte Carlo Piano Masters, competizione riservata ai finalisti dei concorsi internazionali. Vladimir Sverdlov was born in 1976 into a Moscow family with deep musicals traditions. His first teacher was his mother, followed by Vasilisa Tuticschkina and Ida Leschinskaia. At the age of 15, he became first price winner at the Moscow Piano Competition playing the same year with the Hessischer Rundfunk Orchestra conducted by Dmitri Kitaenko. At the age of 16, he appears in recitals in France, Russia, Switzerland and Germany. While studying with Vladimir Krainev and Nikita Magaloff, he became first prizewinner (1993) of Città di Senigalia International Piano Competition. He continued his training at the Hannover Highschool for Musik with Arie Vardi. Vladimir Sverdlov has already appeared at some of the worlds leading halls including Moscow Conservatory, Tel Aviv with Israel Philharmonic (1994, Suntory Hall Japan (1997), De Doelen in Rotterdam, Concertgebouw in Amsterdam (2000), Palais des Beaux-Arts in Bruxelles (2001), Salle Gaveau in Paris (2006). In May 1999 he became a prizewinner of the Queen Elisabeth International Music Competition, Brussels. In 2006 he won the first and only prize at the Monte Carlo Piano Masters competition for the finalists of international piano competitions 97 98 __ Progetto Martha Argerich __ SERGIO TIEMPO Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nato a Caracas nel 1972 iniziò a studiare il pianoforte con la madre, Lyl Tiempo. A tre anni già si esibiva in pubblico, a sette diede recital a Mentone e a Londra. Nel 1986 ha debuttato nella serie “Grandi pianisti” al Concertgebouw di Amsterdam. Da allora ha suonato con grandi orchestre quali quelle di Chicago, Houston, Dallas , Montréal, Cleveland, Los Angeles, Rotterdam, Lione, Liegi, Tokio (Metropolitan, Yomiuri, Philharmonic), con i Solisti di Mosca diretti da Vladimir Spivakov. Ha partecipato a numerosi festival: Schleswig-Holstein, Verbier (accanto a Martha Argerich, Misha Maisky, Barbara Hendricks), Tolosa (nel ciclo Beethoven con Alicia de Larrocha e Maria-Joao Pires), La Roque d’Anteron, Colmar, Montpellier e al Festival pianistico “Arturo Benedetti Michelangeli” di Bergamo-Brescia. Si dedica intensamente alla musica da camera, particolarmente in duo con la sorella Karin Lechner. Ha accompagnato in tournée Misha Maisky e Martha Argerich. Ha registrato vari dischi per JCV Victor. ALAN WEISS Born in Caracas in 1972, he began studying the piano with his mother, Lyl Tiempo. He was performing in public by the age of three, and at seven he gave recitals in Menton and London. In 1986 he debuted in the Amsterdam Concertgebouw’s “Great Pianists” series. Since then he has played with such great orchestras as those of Chicago, Houston, Dallas, Montreal, Cleveland, Los Angeles, Rotterdam, Lyons, Liège and Tokyo (Metropolitan, Yomiuri, Philharmonic) and with the Solisti di Mosca conducted by Vladimir Spivakov. He has taken part in numerous festivals, such as Schleswig-Holstein, Verbier (together with Martha Argerich, Misha Maisky and Barbara Hendricks), Toulouse (in a Beethoven Cycle with Alicia de Larrocha and Maria-João Pires), La Roque d’Anteron, Colmar, Montpellier and the Arturo Benedetti Michelangeli Piano Festival in Bergamo and Brescia. He dedicates much of his time to chamber music, especially as part of a duo with his sister, Karin Lechner. He has accompanied Mischa Maisky and Martha Argerich on tour and has made several recordings for JCV. GIORGIA TOMASSI Nata a Napoli, ha ricevuto le prime lezioni dalla madre per poi consolidare la sua maturazione artistica all’ Accademia Pianistica di Imola sotto la guida di Franco Scala. Nel 1992 ha vinto il primo premio al Concorso “Arthur Rubinstein” di Tel Aviv. Ha suonato in importanti sale europee (Teatro alla Scala, Wighmore Hall di Londra, Santa Cecilia a Roma, Herkulessaal di Monaco, Konzerthaus di Berlino), negli USA, Brasile, Cile, Uruguay, Corea del Sud e Giappone. Suona regolarmente con il famoso violinista Salvatore Accardo. In campo cameristico collabora con l’Ensemble WienBerlin, col Quartetto Artis di Vienna e suona in trio con Hansjörg Schellenberger e Milan Rukovic, con Danilo Rossi e Alessandro Travaglini. Per la EMI ha registrato gli Studi di Chopin i concerti per pianoforte e orchestra di Nino Rota con la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti. Born in Naples, Giorgia Tomassi was at first taught by her mother but completed her artistic development at the Accademia Pianistica in Imola, Italy, under the guidance of Franco Scala. In 1992 she won first prize in the Arthur Rubinstein Competition in Tel Aviv. She has played in such major European venues as La Scala in Milan, the Wigmore Hall in London, Santa Cecilia in Rome, Munich’s Herkulessaal, and Berlin’s Konzerthaus, as well as in the USA, Brazil, Chile, Uruguay, South Korea, and Japan. She regularly performs with the famous violinist Salvatore Accardo. In the chamber music area, she plays with the Ensemble Wien-Berlin, the Artis Quartet of Vienna, and in trio with Hansjörg Schellenberger and Milan Rukovic as well as with Danilo Rossi and Alessandro Travaglini. She has recorded, for EMI, the Chopin Etudes and Nino Rota’s piano concerti – these last with the Filarmonica della Scala conducted by Riccardo Muti. Nato a New York City, la sua formazione è stata variata, avendo iniziato a studiare la chitarra classica, ricevendo incoraggiamento e consigli da parte di Andrés Segovia dall’età di dieci anni. Seguì lo studio del pianoforte con Adlah Grossman, Sylvia Rabinof e Daniel Abrams. David Saperton, l’illustre maestro di Cherkassky, Katchen e Bolet, fu un punto determinante nel suo sviluppo pianistico. Sotto la guida autorevole di Rudolf Firkusny ha ottenuto il grado di Dottore nell’arte musicale alla Juilliard School. Nel 1974 fu invitato da Rudolf Serkin a partecipare al Marlboro Music Festival. L’anno successivo vinse la Naumburg Piano Competition alla Carnegie Hall. Seguì nel 1978 la medaglia d’argento al Concours Reine Elisabeth. Da allora risiede in Belgio, tenendo numerosi recital e concerti neli USA, in Gran Bretagna, Europa continentale, America del Sud, Medio ed Estremo Oriente. In esecuzioni cameristiche si è esibito con Rudolf Firkusny, Martha Argerich, Mischa Maisky, Ivry Gitlis, Alexander Rabinovitch, Pina Carmirelli e altri. Ha registrato per varie case discografiche quali Pavane, Vox, Phonic, DG, Sony, in particolare la musica per pianoforte di Alkan per Fidelio. Quest’anno apparirà un disco di composizioni pianistiche di Alkan e Brahms per la Brilliant. Alan Weiss è professore al Lemmens Institute del Conservatorio di Utrecht ed è stato nominato “professeur extraordinaire à la Chapelle Musicale Reine Elisabeth” nel Belgio. Oltre a corsi di perfezionamento tenuti in Francia, Belgio e Stati Uniti, è stato invitato da Martha Argerich a partecipare ai suoi festival in Giappone e in Argentina, in concerti e master classes nel 2001, 2002 e 2007. Alan Weiss was born in New York City. His background is unusually varied, having begun his studies on the classical guitar, receiving advice and encouragement, from the age of ten, of Andrés Segovia. Piano studies followed with Adlah Grossman, Sylvia Rabinof and Daniel Abrams. David Saperton, the illustrious teacher of Cherkassky, Katchen and Bolet; served at a crucial point in Alan’s pianistic development. Under the guidance of Firkusny’s deep musicianship he earned a Doctor of Musical Arts degree from the Juilliard School. In 1974 was invited by Rudolf Serkin to participate in his Marlboro Music Festival. The following year he was a winner of the Naumburg Piano Competition in Carnegie Hall. In 1978 he was awarded a silver-medal in the Queen Elisabeth International Competition. He then established residence in Belgium and has since played numerous recitals and concerts in Europe, South America, and the Middle and Far East. Chamber music concerts have included performances with Rudolf Firkušný, Martha Argerich, Mischa Maisky, Ivry Gitlis, Alexander Rabinovitch and Pina Carmirelli, among others. His recordings of solo and chamber music have appeared on the Pavane, Vox, Phonic, DG and Sony labels, and a CD of solo piano music by Alkan for Fidelio was greeted as one of the great recordings of that composer. New recordings of solo music by Alkan and Brahms are appearing this year on the Brilliant label. Mr. Weiss is piano professor at the Lemmens Institute and Utrecht Conservatory, and was named “professor extraordinaire à la Chapelle Musicale Reine Elisabeth” in Belgium. He has been invited by Martha Argerich to participate in her music festivals in Japan and Argentina, giving performances and master classes there in 2001, 2002 and 2007. JOULIA ZAICHKINA Nata a Nizhni Novgorod nel 1982, Youlia Zaichkina ha studiato al Collegio musicale della sua città natale dove ha debuttato all’età di sette anni. A nove anni si è presentata in una serie di sei recital nelle più importanti città tedesche. Tra i vari premi sono da segnalare: primo premio e titolo di “Miglior pianista dell’anno” al Concorso nazionale “Vocation” (1997), International Yamaha Award, (2002), Concorso pianistico internazionale della Città di Huesca in Spagna (2003). Nel settembre 2002 ha suonato sotto la direzione di Valery Gergiev nel concerto inaugurale del suo Festival a Rotterdam, per la celebrazione dei 50 anni in musica del Maestro. Nell’agosto 2003 si è esibita al Covent Garden di Londra. Ha effettuato numerose registrazioni radiofoniche e televisive in Russia, Francia, Norvegia. Nel giugno 2004 Youlia Zaichkina ha partecipato al Progetto Martha Argerich a Lugano suonando insieme con Martha Argerich Les Noces di Stravinsky. Nel febbraio 2006 è apparsa a Parigi con Martha Argerich in concerti al Théâtre des Champs Elysées e alla Maison de Radio France. Born in Nizhni Novgorod in 1982, Joulia Zaichkina studied at the Musical College of Nizhni Novgorod and made her debut in the age of seven. In the age of nine she made a concert tour in Germany playing six recitals in the most important cities. Among the several Prizes: First Prize and the title of “The Best Pianist Of The Year” at the National Competition “Vocation” (1997), International Yamaha Award (2002), International Piano Competition of the City of Huesca in Spain (2003). In September 2002 she performed at the Opening Concert of Valery Gergiev’s Festival in Rotterdam, which has been dedicated to celebrate the Maestro’s 50 years in Music. In august 2003 Youlia Zaichkina appeared at London's Royal Covent Garden Theatre. She has made numerous recordings on TV and Radio in Russia, France, Norway. In June 2004 Youlia Zaichkina appeared at Progetto Martha Argerich in Lugano performing together with Martha Argerich Les Noces by Stravinsky. In February 2006 she appeared together with Martha Argerich in Paris at Théâtre des Champs Elysées and at Maison de Radio France. 99 100 __ Progetto Martha Argerich __ LILYA ZILBERSTEIN Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA Nata a Mosca e diplomatasi all’Istituto Gnessin, ha vinto il prestigioso Concorso “Ferruccio Busoni” di Bolzano (1997) e il premio dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena (1998). Da allora ha suonato con le orchestre filarmoniche di Berlino, Helsinki, la Staatskapelle di Dresda, le sinfoniche di Londra, Vienna, della Rai di Torino, Tokyo, Lipsia, Saint Louis, Milwaukee, San Antonio e Chicago. Altrettanto intensa l’attività come solista in recital negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa. I più recenti appuntamenti l’hanno vista a San Francisco, Toronto, Rotterdam, Praga, Dresda, Stoccarda, Berlino, Firenze e Vienna, e in due eccezionali concerti insieme a Martha Argerich al Festival di Ludwigsburg. Ha inciso numerosi CD per la Deutsche Grammophon, fra i quali i Concerti n. 2 e 3 di Rachmaninov con i Berliner Philharmoniker e Claudio Abbado. ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA Lilya Zilberstein graduated from the Gnessin Music School. In 1997 she won the prestigious Ferruccio Busoni Competition in Bolzano, and in 1998 the award of the Chigiana Music Academy in Siena. Since then she has played with the philharmonic orchestras of Berlin, Helsinki, the Dresden Staatskapelle, the symphony orchestras of London, Vienna, RAI (Italian radio and television) in Turin, Tokyo, Leipzig, Saint Louis, Milwaukee, San Antonio and Chicago. She has also played as a soloist in recitals in the United States, Japan and Europe. Her most recent performances have been in San Francisco, Toronto, Rotterdam, Prague, Dresden, Stuttgart, Berlin, Florence and Vienna, as well as two exceptional concerts together with Martha Argerich at the Ludwigsburg Festival. She has made a number of CDs for Deutsche Grammophon, including Rachmaninov’s Piano concertos no. 2 & 3 with the Berlin Philharmonic Orchestra and Claudio Abbado. Costituita nel 1935 come Orchestra della Radiotelevisione della Svizzera italiana, sotto la direzione di Otmar Nussio (1938-1968) e Marc Andreae (1969-1990): l'attuale direttore stabile è Alain Lombard. L'orchestra ha collaborato con grandi compositori come Luciano Berio, Hans-Werner Henze, Paul Hindemith, Arthur Honegger, Frank Martin, Pietro Mascagni, Darius Milhaud, Richard Strauss, Igor Stravinskij, Ermanno WolfFerrari. Altrettanto illustre la galleria di direttori che hanno collaborato con l'orchestra, fra i quali Ernest Ansermet, Frans Brüggen, Sergiu Celibidache, Riccardo Chailly, André Cluytens, Rafael Kubelik, Igor Markevitch, Pierre Monteux, Eugene Ormandy, Paul Paray, Hermann Scherchen, Carl Schuricht, Leopold Stokowski. L'Orchestra della Svizzera italiana ha avuto un ruolo determinante nella creazione e nella crescita delle Settimane musicali di Ascona, dei Concerti di Lugano e della Primavera concertistica di Lugano. Da quando è retta da una Fondazione, l'orchestra alterna l'attività fra la Svizzera italiana ed apparizioni in varie località della Confederazione (Interlaken, Coira, Ginevra e Zurigo) e all'estero (Vienna, Amsterdam, Milano, Salisburgo, Praga, Cremona, Colmar, Genova, Torino, S. Pietroburgo). The Orchestra della Svizzera Italiana was established in 1935 as the orchestra for Ticino radio and television. It has been conducted by Otmar Nussio (1938-1968) and Marc Andreae (19691990). Its current, regular conductor is Alain Lombard. The orchestra has worked together with great composers, such as Luciano Berio, Hans-Werner Henze, Paul Hindemith, Arthur Honegger, Frank Martin, Pietro Mascagni, Darius Milhaud, Richard Strauss, Igor Stravinsky, Ermanno WolfFerrari. The many conductors who have worked with the orchestra are just as famous and include Ernest Ansermet, Frans Brüggen, Sergiu Celibidache, Riccardo Chailly, André Cluytens, Rafael Kubelik, Igor Markevitch, Pierre Monteux, Eugene Ormandy, Paul Paray, Hermann Scherchen, Carl Schuricht, and Leopold Stokovsky. The Orchestra della Svizzera Italiana played a decisive role in the creation and development of the Ascona Music Weeks, the Concerti di Lugano and the Primavera concertistica di Lugano. Now that it is managed by a foundation, the orchestra alternates its performances between Ticino and various other locations in Switzerland (Interlaken, Chur, Geneva and Zurich) and abroad (Vienna, Amsterdam, Milan, Salzburg, Prague, Cremona, Colmar, Genoa, Turin, St. Petersburg). 101 102 __ Progetto Martha Argerich __ Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA 103 Fr. 12.-