Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
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SOMMARIO
Comitato d’onore
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Lo Spirito di Lugano
The Spirit oh Lugano
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Gaëlle Le Gallic
Mondanità della musica
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Audiences and Higt Society
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Carlo Piccardi
Programmi
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Artisti
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COMITATO D’ONORE
Giorgio Giudici
Sindaco della Città di Lugano,
Presidente della Fondazione Lugano Festival, Presidente del Comitato d’Onore
Fabio Amadò
Presidente di Lugano Turismo
Francesco Bolgiani
Presidente della FOSI (Fondazione dell’Orchestra della Svizzera Italiana)
Guy Gremper
Copromotore dell’iniziativa
Alfredo Gysi
Presidente della Direzione Generale di BSI SA e copromotore dell’iniziativa
Dino Balestra
Direttore regionale della RTSI
DIREZIONE ARTISTICA
Martha Argerich
Carlo Piccardi
Jacques Thelen
consiglieri
COMITATO ORGANIZZATIVO
Carlo Piccardi - Coordinamento
Giorgio Righetti - Finanze
Daniela Alberti - Amministrazione
Lucia Albertoni, Tiziana Pacchioni,
Jeannette Battegay - Segretariato
Lilo Pelloni - Vendita
Pietro Antonini - FOSI
Giuseppe Clericetti - RSI Rete Due
BSI - Comunicazione e PR
Danilo Prefumo
Testi
Harvey Sachs
Traduzioni
Adriano Heitmann
Alix Laveau
Fotografie
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Lugano e la Fondazione Lugano Festival hanno il piacere di salutare per la settima volta Martha Argerich e gli artisti partecipanti al Progetto a lei intitolato e ormai diventato un emblema della nostra città. “Live from Lugano Festival -Martha
Argerich and Friends”: da sette anni EMI Music così intitola
il cofanetto discografico periodicamente pubblicato sulla base delle registrazioni che la Rete Due della Radio Svizzera di
lingua italiana effettua regolarmente alla nostra manifestazione. Due volte, nel 2005 e nel 2006, queste produzioni
hanno ottenuto la “nomination” ai Grammy Awards di Los
Angeles portando il nome di Lugano al centro dell’attenzione del mondo musicale internazionale. Un altro disco, realizzato con le registrazioni effettuate nell’ambito del Progetto
Martha Argerich, non solo è stato “nominato” lo scorso novembre dal “BBC Music Magazine”, ma in aprile ha ottenuto dalla prestigiosa rivista musicale inglese il premio per la
categoria “opere orchestrali”, dove la grande pianista ha trascinato alla vittoria l’Orchestra della Svizzera italiana diretta
da Alexander Vedernikov nel Concerto op. 35 per pianoforte,
tromba e orchestra di Dmitri S ostakovic, portando in primo
piano non solo una manifestazione che si svolge nella nostra
città ma anche un complesso che a Lugano ha la sua radice
storica. Tanto più significativo è questo premio quanto più è
spontaneo, venendo dal pubblico chiamato a votare attraverso internet, in questo caso da una giuria di 80 mila persone.
Ce n’è abbastanza per affermare che Martha Argerich è diventata l’ambasciatrice di Lugano nel mondo, funzione non solo
maturata in forma indiretta attraverso l’effetto moltiplicatore
del suo nome abbinato a quello della nostra città, ma anche
in forma programmatica com’è stato il caso, lo scorso mese
di marzo, dei due concerti alla Salle Pleyel di Parigi, in cui ha
riunito alcuni artisti regolarmente presenti al suo Progetto
esibendosi sotto il cappello di Lugano Festival, nella stessa originale formula collaudata nella rassegna da lei animata alla
nostra latitudine, del collettivo che riunisce nello stesso concerto stelle di prima grandezza e giovani promesse del concertismo.
La nostra gratitudine nei suoi confronti è quindi doppia, innanzitutto per il fatto di arricchire la nostra scena culturale
con un programma concertistico vasto ed originale, riservandoci il privilegio di godere costantemente del frutto inestimabile della sua arte interpretativa e di quello dei musicisti sempre più numerosi radunati intorno a lei; secondariamente
per avere unito alla sua l’immagine di Lugano, la quale si augura di poterla accogliere ancora per molto tempo, più che
ospite ormai come “cittadina”.
For the seventh time, Lugano and the Lugano Festival
Foundation take pleasure in greeting Martha Argerich and
the other artists participating in the Progetto that bears her
name and that has become an emblem of our city. For seven
years, EMI Music has periodically published albums entitled “Live from the Lugano Festival – Martha Argerich and
Friends”, taken from recordings that Rete Due of the Radio
Svizzera di lingua italiana (RSI) regularly makes during
these events. Twice – in 2005 and 2006 – these albums have
been nominated for Grammy Awards at Los Angeles, thus
bringing Lugano’s name to the attention of the international
musical world. Another CD containing recordings made during the Progetto Martha Argerich was not only nominated by “BBC Music Magazine” last November: this past
April, the prestigious British magazine awarded it the prize
in the “orchestral works” category, with the great pianist leading the Orchestra della Svizzera italiana, conducted by
Alexander Vedernikov, to victory in Dmitri Shostakovich’s
Concerto for piano, trumpet and orchestra, Op. 35. This
focused the spotlight not only on an event that takes place in
our city but also on an ensemble with historic roots in Lugano. The prize is all the more meaningful because of its spontaneity, inasmuch as it was the public that voted for it via
the Internet; in this case, the jury was made up of 80,000
people.
There is more than enough evidence to confirm the fact that
Martha Argerich has become Lugano’s ambassador to the
world, not only indirectly, through the exponential effect of
having her name coupled with that of our city, but also intentionally, as was the case last March, when two concerts at
Paris’s Salle Pleyel brought together several artists who regularly take part in the Progetto and who performed under
the Lugano Festival banner, using the tried-and-true format
of the series to which she gives life here: at each concert, stars
of the highest magnitude are brought together with promising youngsters.
Thus we are doubly grateful to her, first of all, for having enriched our cultural life with broad, original concert programming that has given us the privilege of continually enjoying the inestimable fruits of her art as an interpreter and
of the art of the ever more numerous musicians who gather
around her; and secondly, for having blended her image with
that of Lugano, which hopes to be able to welcome her again
for many years to come – now more as a “citizen” than as a
guest.
Giorgio Giudici
Sindaco della Città di Lugano
Presidente della Fondazione Lugano Festival
Giorgio Giudici
Mayor of the City of Lugano
President of the Lugano Festival Foundation
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Si alza il sipario sulla sesta edizione del Progetto Martha Argerich. BSI è fiera di legare il proprio nome a questo progetto che si è consolidato nel corso degli anni assumendo una
sua specifica connotazione che lo rendono unico nel quadro
delle offerte musicali internazionali.
The curtain is rising on the sixth edition of the Progetto Martha Argerich. BSI is proud to be associated with this project,
which has grown and taken on special significance over the
years to become a unique event in the international music
scene.
Unico per la straordinaria personalità di Martha Argerich e
per il livello di eccellenza degli artisti che lo animano, per l’amicizia che li lega e, soprattutto, per l’atmosfera che accompagna le serate; serate caratterizzate da programmi inconsueti nei quali si alternano un gran numero di musicisti in
esecuzioni preziose ed irripetibili preparate appositamente
qui a Lugano per il Progetto, lontano dallo stress che caratterizza la loro attività durante le tournée internazionali.
It owes its special stature to the extraordinary personality of
Martha Argerich as well as to the high standard of the artists,
the spirit of friendship that unites them and, above all, the atmosphere of the musical evenings. The concerts have unconventional programmes, created by a great number of musicians. Far
removed from the stress of their lives during international tours,
these musicians contribute outstanding, unique performances
that they have specially prepared for the Project here in Lugano.
Unico per quanto Lugano è in grado di offrire ai protagonisti
del Progetto; dalla bellezza della nostra regione all’alto livello artistico garantito dall’Orchestra della Svizzera Italiana e,
nelle passate edizioni, dal Coro della Radiotelevisione Svizzera; senza dimenticare la competenza e le infrastrutture per
le prove, i concerti e le registrazioni offerte dalla Radio della
Svizzera Italiana, che ne permette un’ampia diffusione a livello internazionale e una ricca documentazione discografica, premiata addirittura da ben quattro nomination alle due
ultime edizioni dei Grammy Awards americani. Per questa
edizione sono particolarmente lieto di vedere coinvolti anche
la Fonoteca Nazionale Svizzera e il Conservatorio della Svizzera Italiana, due importanti realtà della nostra città.
The Progetto is also unique for what Lugano has to offer to those participating, including the beauty of our region and the high
artistic standard of the Orchestra della Svizzera Italiana, as
well as, in previous years, the Coro della Radiotelevisione Svizzera. Not to mention the expertise and infrastructure we have
in place for the rehearsals, the concerts and the recordings offered by Radio della Svizzera Italiana, which ensure that the
event has a broad, international audience and that it is comprehensively captured on CD. These recordings have received no fewer than four Grammy nominations. This year I am particularly delighted at the involvement of the Fonoteca Nazionale
Svizzera and the Conservatorio della Svizzera Italiana, which
are two important institutions of the city of Lugano.
Un bel esempio dunque di quanto la nostra regione possa essere attrattiva anche per iniziative di respiro internazionale
quando, all’interno di una forte progettualità, riesce a proporre in maniera coordinata ed unita i propri punti di forza e di
eccellenza. Un esempio sul quale penso valga la pena di riflettere anche in altri ambiti.
In short, the Progetto is a great example of how our region - by
successfully promoting its areas of strength and excellence, within a strong planning framework - can also attract initiatives
on an international scale. And I believe the Progetto can also
act as a model for exploring similar international initiatives in
other fields.
Alfredo Gysi
CEO BSI
Alfredo Gysi
CEO BSI
12 __ Progetto Martha Argerich
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LO SPIRITO DI LUGANO
Da tempo ormai Martha Argerich ha rinunciato alla vita del
solista: “solista” deriva da “solo”, e questa solitudine la opprime. A due pianoforti, in formazione cameristica, con orchestra, sì. Da sola, no. È il motivo per il quale ha formato attorno a lei una famiglia artistica senza eguali nel mondo, nella
quale coabitano più generazioni. Per esempio a Lugano, città
della Svizzera italiana, dove si tiene ogni mese di giugno, dal
2002 ormai, una manifestazione denominata “Progetto Martha Argerich”. Qui, ben lungi da un qualunque spirito scolastico, un nugolo di giovani si attiva e si rivela al pubblico. Sento, da dietro la porta, qualche variazione sconosciuta su un
tema noto.
È il programma di domani?
Martha Argerich : No. Domani ci saranno le Variazioni Diabelli. In origine Anton Diabelli aveva proposto a svariati compositori di comporre delle variazioni sul suo piccolo valzer.
L’unico brano conosciuto da tutti è quello di Beethoven, il capolavoro fra tutte. Eppure gli altri compositori, da Czerny a
Vorisek, avevano avuto un bel vantaggio su Beethoven, quello di arrivare… in tempo per la pubblicazione! C’erano Hummel, Schubert, il figlio di Mozart, l’allora undicenne Liszt… Le
suoneremo tutte e solo alla fine Nicholas Angelich eseguirà
le Variazioni Diabelli di Beethoven.
Concretamente questo “Progetto Martha Argerich”, anzi,
questi progetti, bisognerebbe dire, siccome ce ne sono tre…
M. A. : No, qui a Lugano ce n’è uno.
Ma nel mondo ce ne sono tre.
M. A. : Ah, sì! Anche a Beppu e in Argentina.
Si tratta dello stesso progetto?
M. A. : Assolutamente no. A Lugano si ritrovano le stesse persone, più qualche faccia nuova ogni tanto. È come una famiglia. Il rinnovamento viene piuttosto dai programmi, dal repertorio, anche dagli incontri. Ma alcuni sono qui dalla prima
edizione. Ci sentiamo molto bene, non c’è snobismo, né star
system. Ci sono delle star, ma quando arrivano qui non si comportano più come tali. È molto stimolante. Si fa musica, ho
l’impressione. La maggior parte dei concerti sono musicalmente validi.
È una maniera per Lei di misurare i progressi di questi giovani talenti?
M. A. : Misurare? Certamente no! Io non misuro assolutamente nulla.
Gli “allievi” potrebbero chiederglielo.
M. A. : Non lo fanno. Io ascolto, osservo, ma non misuro.
Come reperisce i giovani che entreranno a far parte della Sua
famiglia musicale?
M. A. : Non è difficile: conosco molti musicisti, molti giovani.
Li incontro durante i miei viaggi, oppure vengono loro, così,
come càpita. Ieri ho ascoltato una ragazza durante le prove. È
la figlia di una signora che suona la celesta nell’Orchestra di
Padova. Ecco, è andata così, semplicemente.
Le capita di rifiutare? Deve letteralmente crollare sotto le richieste!
M. A. : Evidentemente non posso ascoltarli tutti. Già lo faccio
tantissimo! Dipende dalla mia agenda e anche dalla mia diposizione del momento. In generale sono molto aperta, o per
lo meno ci provo.
Il mondo della musica è diventato più difficile per i giovani
musicisti di oggi?
M. A. : È un problema di giudizio, di chi ti giudica e di chi ti
sceglie. Se non sei conosciuto, nessuno ti ingaggia. E se nessuno ti ingaggia, nessuno ti conosce. Ci sono i concorsi, sempre più numerosi, ma questo sistema di selezione non si addice a tutti gli artisti. Dipende da talmente tante cose, da
parametri aleatori! Il mondo musicale è incoerente, illogico.
Molti elementi ci sfuggono. Anche la vita è così, caotica.
È quello che gli dice?
M. A. : No. Non sono una specie di mentore che dà consigli.
L’abituale gerarchia tra colui che sa e colui che impara qui
non esiste.
Molti però cercano proprio i consigli.
M. A. : Forse. Quelli che non mi conoscono. Ci incontriamo,
ci vediamo, ci parliamo, ci ascoltiamo; allora può nascere
qualcosa. Quelli che mi conoscono lo sanno e non vengono a
chiedermi consigli. Se succede, non so cosa dire; non posso
dare un consiglio campato in aria. Tutto dipende da cosa si
vuole fare, dalla personalità, dal momento, da ciò che significa essere musicisti oggi. Socialmente è una posizione un po’
strana. Un tempo i compositori suonavano la loro musica, le
loro proprie composizioni. Oggi pochi compositori hanno
una vita pubblica e pochissimi solisti compongono. Per cui
tutti suonano pressoché la stessa cosa, un repertorio registrato e ascoltato migliaia di volte. È molto strano, un po’ artificiale; nel contempo, però, c’è sempre qualcosa di nuovo.
Qualcosa come il piacere di condividere la scena con dei giovani musicisti?
M. A. : Non solo dei giovani, l’età conta poco. Non ci sono barriere di questo tipo. E poi non tutto ruota solo attorno a me:
per esempio Lilya Zilberstein e Maxim Vengerov si sono incontrati qui e ora formano un bel duo.
Durante i Suoi studi ha fatto degli incontri simili?
M. A. : La prima persona con cui ho suonato tanto a quattro
mani è stato Nelson Freire. Lui aveva quattordici anni ed io
diciassette. Eravamo molto amici; più che amici: fratello e sorella. Se uno di noi due era invitato a suonare da qualche parte e non aveva voglia di andarci, domandava all’altro, come se
fossimo interscambiabili. E poi ho suonato spesso col violinista Ruggiero Ricci e altri.
Ha l’impressione che questi giovani musicisti abbiano voglia
di ricreare quella fratellanza nella musica da camera che si
trovava un tempo fra molti grandi interpreti? C’è chi parla
dello “spirito di Lugano”.
M. A. : È possibile. Lo spirito è difficile da descrivere. Siamo
qui insieme, non prendiamo lezioni gli uni dagli altri. Se ci
perdiamo o cominciamo a dubitare, gli altri sono sempre lì,
pronti ad aiutarci. Mi piacciono le persone che dubitano. Sono attirata più dalla vulnerabilità che dalla sicurezza. Ciò vale anche quando si suona. Mi piace quando qualcosa sfugge
al controllo totale, come un’apertura imprevista. Non mi
piacciono le cose fissate una volta per tutte. È molto difficile
per me esprimere tutto ciò in teoria. Non penso nemmeno
che si debba mai essere soddisfatti perché ciò vorrebbe dire
che non si vuole progredire. E poi che cosa significa “essere
soddisfatti”? Non lo trovo interessante.
Al giorno d’oggi i giovani musicisti hanno una tale pressione sulle spalle…
M. A. : Perché “al giorno d’oggi”? Perché dice così?
Perché si pone la questione della precarietà del mestiere…
M. A. : Ma è sempre esistita! Grandi compositori come Bartók sono morti in miseria. Prokofiev si è sempre sentito in situazione precaria nel suo paese. Pensi a Van Gogh che ha
venduto un solo quadro durante la sua vita. E noi, che cosa
siamo noi? Degli interpreti, delle persone che vivono abbastanza bene dell’arte degli altri.
Lugano non è anche un po’ suonare nel senso ludico del termine (in francese “jouer”,n.d.t.)?
M. A. : Lo spero. C’è la natura, qui, che è una tale forza d’ispirazione! È molto bella; possiamo lasciarci pervadere da lei,
e quindi riuscire a dimenticare un po’ noi stessi. Ci sediamo
al pianoforte, ci buttiamo, tutto è spontaneo. Ma vale anche
il contrario: si può trovare la forza di smettere di divertirsi,
per concentrarsi senza essere distratti, per esempio per una
registrazione.
Torniamo ai concorsi. Che cosa pensa di queste grandi gare
internazionali?
M. A. : Ogni concorso ha la sua caratteristica, ma ne esistono così tanti! Credo almeno quattrocento per i pianisti, con o
senza limiti d’età. Al concorso Richter, in Russia, l’età minima è di ventitré anni, ma non vi è età massima. Altrove bisogna avere meno di trent’anni. In ogni caso non si può consigliare a una persona di iscriversi o meno ad un concorso;
tutto dipende dalla personalità, dal tipo di preparazione, dalla carriera, da molte cose. Io stessa, quando ero iscritta ad un
concorso, dapprima studiavo; solo dieci giorni prima decidevo se ero ben preparata oppure no. Se non lo ero, allora non
ci andavo. Nessuno ti costringe.
Non è un modo per rodare il proprio repertorio, o per lo meno per allargarlo?
M. A. : Certo. E in questo senso sono utili. Sono anche un’occasione per ascoltare altri musicisti e quindi, in un certo senso, per sapere dove ci si situa. Ma bisogna imparare a non
soffrire quando si è scartati già alle eliminatorie, e non è così facile. Degli artisti straordinari hanno dovuto affrontare
questo problema. Io stessa e Friedrich Gulda, che aveva vinto il primo premio a Ginevra, abbiamo superato delle eliminatorie per il rotto della cuffia, ben dietro molti altri concorrenti, per poi alla fine avere il primo premio. Mi è anche
capitato in qualità di membro della giuria: i miei colleghi giurati non volevano che un certo pianista accedesse al secondo
turno, ma io ho insistito perché avevo avuto l’impressione
che fosse semplicemente incappato in una giornataccia; alla
fine ha vinto il primo premio. Molti trionfano in un luogo e
sono eliminati al primo turno altrove. In ogni caso la vita incomincia dopo; non bisogna lasciarsi abbattere da una bocciatura. Alcuni si sentono umiliati perché hanno ascoltato un
concorrente che proprio non stimano e si dicono: “Suono ancora peggio di quello lì!”, ma non bisogna pensare così. Ci si
può sbagliare. La giuria può sbagliare. Un genio può avere
un appannamento e un musicista ordinario può essere in
stato di grazia: è imprevedibile. Mi ricordo di una giuria nella quale sedeva anche Nikita Magaloff. Ero rimasta impressionata da una ragazza che aveva appena suonato Chopin in
una maniera incredibile. L’ho sostenuta, quello Chopin era
così maturo, così bello! Ma poi della ragazza non s’è più sentito parlare. Il mistero fu poi chiarito: aveva studiato quel pezzo per due anni, un’ora e mezzo al giorno. In quel pezzo era
ineguagliabile, ma per il resto…!
Come si riconosce il talento?
M. A. : Il talento come nozione generale? O il modo in cui la
persona si esprime? O l’agilità, la facilità? O la finezza del fraseggio? O la sonorità? Ci sono tanti modi di aver talento! Ci
sono tanti talenti quanti sono i musicisti. Alcuni sono dei virtuosi prodigiosi, altri hanno un senso lirico molto personale… L’artista universale si incontra raramente. Senza contare
le attitudini necessarie che non sono sempre percettibili nel
modo di suonare: lo spessore umano, la concentrazione, la
capacità di lottare contro gli elementi, contro gli imprevisti
della carriera, contro i propri limiti…
Ciò fa parte dell’istinto?
M. A. : Suppongo. Non lo so.
Eppure le qualità che riposano sull’istinto sono poco considerate. Per esempio non si incitano molto i giovani pianisti
a improvvisare…
M. A. : È un gran peccato. A Lugano c’è una giovane pianista
venezuelana che si chiama Gabriela Montero: una straordinaria improvvisatrice. Bisognerebbe dare molta più importanza a questo aspetto del mestiere nei conservatori, perché
dà una libertà e una gioia straordinarie. Io non so farlo. Improvviso quando sono sola, ma non potrei mai farlo in pubblico. Gabriela ha avuto ragione a spingermi, ma non so. Ciò
che mi fa piacere, per contro, è che la maggior parte dei musicisti che vengono qui hanno sviluppato questo talento. Per
esempio i pianisti Alejandro Petrasso o Alexis Golovin, il violinista Geza Hosszu-Legocky sono tutti degli improvvisatori
meravigliosi.
È forse una maniera di sfuggire all’ossessione delle note
scritte?
M. A. : Sicuramente, ma l’improvvisazione è anch’essa una
scrittura. L’istinto non basta: bisogna avere delle vere conoscenze. Non si improvvisa il jazz come la musica zigana; ma
è pur vero che certe tecniche si acquisiscono solo per trasmissione orale.
L’accompagnamento, in tutti i sensi, dei giovani musicisti è
proprio diventato l’orientamento della Sua vita.
M. A. : In un certo senso sì. Qui, a Bruxelles, o altrove. Ma
non accompagno veramente: sono semplicemente presente.
Vengono a studiare da me e non con me. Non insegno, non
sono nemmeno sempre lì. Non impongo nulla a nessuno.
“Insegnamento” è una parola che non Le piace.
M. A. : Né la parola, né il concetto. Ci vogliono disciplina, costanza, orari fissi, disponibilità. Ci sono insegnanti formidabili, molto richiesti perché hanno una concezione particolare di certe opere. Io non voglio essere così; penso che lo scopo
14 __ Progetto Martha Argerich
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di un insegnamento utile sia quello di permettere all’allievo
di conoscere sé stesso, non di insegnargli chi è il maestro. Bisognerebbe sdoppiarsi per essere nel contempo qualcuno
che mostri e qualcuno che permetta. In generale si è o l’uno
o l’altro.
Non ha voglia di dare ciò che ha ricevuto?
M. A. : Non so se sono in grado di trasmetterlo. Capisce? Non
lo so proprio.
Ascoltare non è forse già donare?
M. A. : Non esattamente.
Ma Lei dona il Suo tempo, il Suo ascolto.
M. A. : È vero, ma non sono un’insegnante. Creo dei legami
di amicizia con tutti questi giovani. È abbastanza naturale. Se
posso essere d’aiuto perché me lo si domanda, allora, certamente, vengo in aiuto. Ma non è la cosa più importante. L’importante non lo si può richiedere; ricaviamo una certa qual
energia dai nostri scambi reciproci. E ho notato che nella maggior parte delle scuole si tende a trascurare questa energia. In
musica, come in tutti gli altri ambiti, la scuola di vita è il fatto di vivere. Credo che sia questo che impariamo insieme.
Intervista realizzata da Gaëlle Le Gallic per France Musique in
occasione del Progetto Martha Argerich 2006, trascritta ed elaborata da Ivan A. Alexandre. Traduzione dal francese di Silvia
Meier Camponovo.
(c) “Diapason” n. 547 (5 maggio 2007)
(per gentile concessione)
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
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THE SPIRIT OF LUGANO
For a long time, Martha Argerich has shunned the life of a soloist. “Soloist” has the same root as “solitude”, and solitude
weighs her down. In a two-piano combination, or as part of a
chamber ensemble, or playing a concerto – okay. But alone,
no. this is why she has created a multi-generational artistic family around her that has no equivalent in the world. For instance, in Lugano, a little Italian Swiss town, every June since 2002 an academy called the “Martha Argerich Project” is
held. This is where a swarm of young people works and performs, far from any formally scholastic notions. From behind
the door, I hear some new variations on a well-known theme.
Is this tomorrow’s programme?
Martha Argerich: No, tomorrow there will be the “Diabelli”
Variations. At first, Anton Diabelli had asked several composers for variations on his little waltz theme. The only popular
score is Beethoven’s – the masterpiece of the bunch. The other
composers, from Czerny to Voříšek, had the advantage over
Beethoven of having been on time! There were Hummel, Schubert, Mozart’s son, the eleven-year-old Liszt... We are going to
play all of them, and only at the end Nicholas Angelich will
play Beethoven’s “Diabelli” Variations.
In concrete terms, this “Martha Argerich Project” - or should
one say “these projects”, since there are three of them...
M.A.: No, here in Lugano there is only one.
There are three worldwide.
M.A.: Ah, yes. In Beppu [ Japan] and in Argentina, too.
Is it the same project?
M.A.: Not entirely. In Lugano the same people get together,
plus some new faces from time to time. It’s like a family. Renewal grows, rather, out of the programming, the repertoire,
and also the encounters. But some have been here since the
first year. We all feel good, and there is no snobbism or star
system. There are some stars, but when they’re here they don’t
behave like stars. It’s very stimulating. I have the impression
that we’re making music. Most of the concerts are good, musically.
Is it a way by which you can measure the progress of these
young talents?
M.A.: Measure? Certainly not! I’m not measuring absolutely
anything.
The “pupils” could ask you to do it.
M.A.: They don’t. I listen, I observe, but I don’t measure.
How do you find the young people who will become part of
your musical family?
M.A.: It’s not hard: I know many musicians, many young
ones. I meet them during my travels, or they may come to me,
just by chance. Yesterday, during the rehearsals, I listened to
a girl. She’s the daughter of a lady who plays the celesta in the
Orchestra di Padova. You see, that’s simply how it happened.
Do you turn people down? You must be completely swamped
with requests!
M.A.: Obviously, I can’t listen to all of them. I already do a
lot of that! It depends on my schedule and also on how I feel
at the moment. I’m generally very open, or at least I try to be.
Has the musical world become more difficult for today’s
young musicians?
M.A.: It’s a matter of judgement – who judges you, who
chooses you. If you’re unknown, no one engages you, and if
no one engages you no one knows you. There are competitions – more and more of them – but that means of selection
doesn’t work for all artists. It depends on so very many
things, on random parameters! The musical world is inconsistent, illogical. We don’t grasp many of the elements. Life,
too, is like that – chaotic.
Is that what you tell them?
M.A.: No. I’m not some sort of mentor who dispenses advice. The usual hierarchy that separates those who know from
those who learn doesn’t exist here.
But there are many who are actually seeking advice.
M.A.: Perhaps. Those who don’t know me. We meet, we see
each other, we talk, we listen to each other; so something can
come of that. Those who know me know this and don’t come
asking me for advice. When it happens, I don’t know what
to say; I can’t pull advice out of the air. Everything depends
on what one wants to do, on one’s personality, on the moment, on what being a musician means today. Socially, the
position is a bit strange. Time was that composers played
their music, their own compositions. Today, few composers
lead a public life and very few soloists compose. Therefore
everyone plays more or less the same things, a repertoire that’s been recorded and heard thousands of times. It’s very
strange, a bit artificial; at the same time, however, there is
always something new.
Did you have encounters of this sort when you were stud ying?
M.A.: The first person with whom I played a lot of four-hand
music was Nelson Freire. He was fourteen years old, I was
seventeen. We were very good friends; more than friends:
brother and sister. If one of us was invited to play somewhere and didn’t feel like going, we asked the other, as if we were interchangeable. And then I often played with the violinist Ruggiero Ricci and others.
Do you have the impression that these young musicians ha ve the desire to recreate that brotherhood in chamber music
that once existed among many great interpreters? There are
those who talk about the “spirit of Lugano”.
M.A.: It’s possible. That spirit is hard to describe. We’re here together; we don’t take lessons from each other. If we get
lost or begin to have doubts, the others are always there,
ready to help us. I like people who have doubts. I’m attracted more to vulnerability than to security. The same is true
when one plays. I like it when something is not totally under control, when there is an unforeseen opening-up. I don’t
like things that have been settled once and for all. It’s very
hard for me to explain all this in theory. Nor do I think that
one should ever be satisfied, because that would mean that
one doesn’t want to make progress. Anyway, what does
“being satisfied” mean? I don’t find it interesting.
These days, young musicians feel such pressure on them...
M.A.: Why “these days”? Why do you say that?
Because the precariousness of the profession is an issue...
M.A.: But it’s always existed! Great composers like Bartók
died in poverty. Prokofiev always felt that he was in a precarious situation in his country. Think of van Gogh, who sold
only one painting in his lifetime. And we – what are we? Interpreters, who live rather well off the art of others.
In Lugano, isn’t it also this contact with “playing” in the nonmusical sense of the word?
M.A.: I hope so. There is nature here, which is such a source
of inspiration! Nature is very beautiful. We can let ourselves
be pervaded by it and forget ourselves a little. We sit at the
piano, we throw ourselves into what we’re doing – it’s spontaneous. But the opposite is also true. We can also find the
strength for not amusing ourselves, for concentrating without
being distracted – when we record, for instance.
Let’s come back to competitions. What do you think of these
big international tournaments?
M.A.: Each competition has its own characteristics. But there are so many of them! At least four hundred for pianists, I
think. The Richter competition in Russia has a minimum age
limit of twenty-three, but there is no maximum age. Elsewhere, you must be under thirty. In any case, one cannot advise
someone to enter or not to enter a competition. Everything depends on the personality, on the type of preparation, on the
career – on lots of things. When I entered competitions, I
would work and then, ten days before, I would decide whether
or not I was well enough prepared. If I wasn’t, I wouldn’t go.
No one forces you.
Isn’t it a means for trying out your repertoire, or at any rate
for extending it?
M.A.: Yes. In that sense it’s useful. It’s also an occasion for listening to other musicians and so, in a way, to know where
you stand. But you have to learn not to suffer if you’re thrown
out in the early rounds, and that’s not easy. Some extraordinary artists have had to deal with this problem. I myself, and
Friedrich Gulda, my teacher, who had won first prize in Geneva, barely passed the early rounds but went on to win first
prize. I’ve also seen this happen as a member of the jury: they
didn’t want to let a pianist into the second round; I insisted,
because I had the impression that he was simply having a bad
day, and he won first prize. Many triumph in one place and
are eliminated in the first round elsewhere. In any case, life
begins afterwards. One must just pay attention to not allowing oneself to be disheartened by losing. Some feel humiliated, because they heard a competitor they didn’t respect, and
they say to themselves: “I’m even worse than that!” One mustn’t think that way. We can be mistaken; the jury can be mistaken. A genius can have a mishap and an ordinary musician can be in a state of grace: it’s unpredictable. I remember
a jury that Nikita Magaloff was on, too. I had been impressed by a young woman who had played Chopin incredibly. I
was in favour of her; her Chopin was so mature, so beautiful.
And she was never heard from again. The mystery was cleared up later: she had worked on that piece for two years, an
hour and a half each day. In that piece, she had no equal, but
the rest...!
How does one recognise talent?
M.A.: Talent as a general idea? Or the way a person expres-
ses himself or herself? Or dexterity, ease? Or refinement in the
phrasing? Or the sound? There are many ways of being talented! As many talents as there are musicians. Some are prodigious virtuosos, others have an individual lyrical sense...
One rarely finds a universal artist. Not to mention the requisite abilities that are not always perceptible in the playing:
human substance, concentration, readiness to struggle
against the elements, against the dangers of a career, against
one’s own limitations...
Does this depend on instinct?
M.A.: I suppose. I don’t know.
And yet, the qualities that depend on instinct aren’t given
much recognition. For instance, young pianists aren’t encou raged much to improvise...
M.A.: It’s really too bad. In Lugano there’s a young Venezuelan pianist named Gabriela Montero - an extraordinary improviser. Conservatories should put much more emphasis on
this aspect of the profession, because it’s an incredible freedom
and joy. I can’t do it. I improvise when I’m completely alone,
but I could never reproduce it in public. Gabriela was right
to encourage me, but I don’t know. On the other hand, what
makes me very happy is that most of the musicians who come
here have developed this talent. For instance, the pianists Alejandro Petrasso or Alexis Golovin and the violinist Géza
Hosszu-Legocky: they’re all marvellous improvisers.
Is it a way of escaping from an obsession with the written
text?
M.A.: Certainly, but improvisation is also a form of writing.
Instinct isn’t enough: one must have real knowledge. Jazz can’t be improvised in the same way as gypsy music. Some techniques can be acquired only through a sort of oral tradition.
Accompanying young musicians, in every sense of the term,
is a real direction for your life.
M.A.: In a way, yes. Here or in Brussels or elsewhere. But I
don’t really accompany. I’m there. They come to me to work,
but they don’t work with me. I don’t teach. I’m not even always there. I don’t impose anything on anyone.
“Teaching” is a word you don’t like.
M.A.: Neither the word nor the deed. One needs discipline,
perseverance, schedules, availability. There are remarkable
teachers who are much sought after because they have a special conception of specific pieces – which is why they are
sought after. But that’s not what I want to be. I think that the
goal of a useful sort of teaching is to allow each pupil to get to
know himself or herself, not to make it understood who the
teacher is. One must be two people: one who shows and one
who allows. In general, it tends to be the one or the other.
Don’t you wish to give back what you’ve received?
M.A.: I don’t know whether I know how to transmit it. Do
you understand? I don’t know.
Listen, hasn’t it already been given?
M.A.: Not so much.
You give your time; you listen.
M.A.: That’s true, but I’m not a professor. I create ties of
18 __ Progetto Martha Argerich
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friendship with all these young people. That’s natural enough.
If I can help because someone has asked me, of course I help.
But that’s not the most important thing. The most important
thing can’t be ordered. We draw a degree of strength from our
exchanges with each other, and I’ve noticed that this power is
neglected in most schools. In music as in every other area, the
school of life is to live. I think that this is what we learn together.
Remarks gathered by
Gaëlle Le Gallic (France-Musique),
transcribed and put together by
Ivan A. Alexandre
(c) “Diapason” n. 547 (5 May 2007)
(by kind permission)
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
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20 __ Progetto Martha Argerich
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21
MONDANITÀ DELLA MUSICA
In quanto “arte performativa” la musica dipende dall’interprete, attraverso il cui filtro essa può essere modificata anche
considerevolmente nella sostanza del messaggio originalmente inteso dall’autore. Nella fluidità di tale rapporto tuttavia esiste anche un terzo fattore di variabilità, quello del pubblico, il cui mutevole grado di fruizione non incide solo sul
destino dell’opera trasmessa ma anche sulla motivazione (e
quindi sulle scelte) dell’interprete. Non per niente, nella lingua francese, la prima esecuzione di un’opera è indicata con
il termine “création”, ad indicare che il suo momento risolutivo non è quello dell’atto scrittorio bensì quello della sua verifica di fronte al pubblico. Soprattutto oggi, con la moltiplicazione dei vettori di comunicazione della musica (disco,
radio, televisione, DVD, internet) l’interprete è sollecitato ad
adottare chiavi interpretative di volta in volta focalizzate sulla
finalità cangiante del prodotto, dove ad essere messo in gioco non è solo il registro interpretativo adottato nel singolo
evento sonoro, ma anche la dimensione acustica della mediazione tecnologica che non è mai neutra.
A dire il vero a questo livello, nonostante lo scarso peso dell’autorialità della musica nei tempi antichi (nel senso di dipendere essa essenzialmente dalla relatività della manifestazione sonora) il problema fu già al centro dell’attenzione in
epoca rinascimentale, quando il concetto di “musica reservata” mirava a sottrarla al possibile suo uso profanatorio da parte di chi non fosse in grado di apprezzarla. Non esisterebbe
infatti la grande tradizione del madrigale senza la corte come
luogo che l’aveva posta al centro di un interesse non solo estetico ma anche esistenziale. La nobiltà italiana del XVI secolo,
ormai resasi conto della marginalità politica e militare dei
propri staterelli incapaci di tener testa ai potenti regni che dominavano l’Europa diresse infatti le proprie energie verso le
arti e la cultura, il cui raffinamento, divenendo un obbligo, induceva a garantirne la distinzione. Ne fa stato il Cortegiano di
Baldassar Castiglione dove sono illustrati i doveri del gentiluomo proprio al livello di competenze artistiche direttamente arrogate in virtù del suo stato superiore, in forma addirittura esclusiva per quanto riguarda la danza. Ma anche per
quanto concerne la musica la sua presenza era circoscritta all’ambiente cortigiano dove veniva praticata come evento qualificante la riservatezza di un mondo che con ciò mirava ad affermare il grado di aristocraticità che vi era connesso. Non
furono pochi i casi di operazioni di spionaggio “culturale” intesi a carpire i segreti di maniere esclusive allo scopo di evitare di passare in secondo rango in una competizione al primato artistico da cui dipendeva il rispetto politico. Lo
testimonia Alessandro Striggio, inviato nel 1584 dal Granduca di Toscana alla corte estense proprio per riferire sul nuovo
stile praticato dal “Concerto delle dame” che, sotto la guida
di Luzzasco Luzzaschi, si orientavano già verso la raffinata
espressività della monodia, che proprio alla corte medicea
avrebbe trovato qualche anno dopo con L’Euridice di Jacopo
Peri lo sbocco più clamoroso.
Sarebbe perciò assurdo isolare quegli esiti artistici dalla mondanità che fece loro da cassa di risonanza, dalla condizione
aristocratica che li qualificava e che ne veniva qualificata. In
verità l’evoluzione delle forme musicali e di spettacolo durante tutto l’ancien régime è inscindibile dal rapporto organico di
quelle espressioni con la classe sociale detentrice del potere,
in grado di gestire le arti in modo monopolistico. Il fatto che
in non pochi casi la nobiltà arrivasse ad asservire l’arte alle
proprie necessità celebrative non necessariamente produceva opere minori, di scarso rilievo. Il rapporto che strutturalmente legava l’opera al committente essendone la premessa,
integrava senza scompensi lo stesso ambito sociale nel messaggio di cui essa era portatrice.
Con l’articolazione della società condizionata dall’emergere
della borghesia nei decenni precedenti l’800 si giunse al manifestarsi di canali paralleli facenti riferimento a pubblici diversi ed alternativi. L’opera buffa che guardava verso le classi popolari fu il segno dell’isolamento crescente dell’opera
seria arroccata nelle sedi dell’aristocrazia che, con la “querelle des bouffons” a metà del 700 a Parigi (dove la spontanea
e sbarazzina cantabilità italiana venne contrapposta al paludato impianto della “tragédie lyrique”), preannunciava lo
scontro sociale che sarebbe poi avvenuto con la Rivoluzione.
In altra geografia culturale, restia alle scelte radicali, l’evoluzione seguiva vie tendenti all’integrazione delle nuove realtà.
È vero ad esempio che Mozart, la cui esistenza di artista
emancipato a Vienna (in pratica nella storia il primo libero
professionista tra i compositori) lo portò a creare con Die
Zauberflöte il modello di Singspiel tedesco mescolandosi tra
i popolani del Teatro Auf der Wieden, si compiaceva del proprio successo presso una categoria sociale inferiore, ma nel
contempo egli non rinunciava a legare il suo destino alla corte al cui servizio rimase fino alla fine al punto da terminare
la propria carriera con La clemenza di Tito, un’opera imperiale per definizione. In verità in ambito asburgico l’alto grado
di rappresentatività assegnato alla musica (ancor oggi verificabile nella dimensione risonante di una città come Vienna
dove la musica è il collante dell’intera cittadinanza) induceva
a cercare la mediazione. Lo evinciamo dalla scena del ballo
mascherato al termine del primo atto del Don Giovanni con
la simultaneità dei tre livelli: quello del minuetto (la danza
aristocratica), quello della contraddanza (danza borghese) e
quello dell’allemanda (danza popolare), corrispondenti al diverso stato dei partecipanti all’intrattenimento, dove i contadini al seguito di Masetto si ritrovano con Donna Elvira, Don
Ottavio e Donn’Anna. Questo è il paradigma dell’integrazione tra le classi espunto di ogni conflittualità, assecondante il
paternalistico governo dell’illuminato Giuseppe II, che precedentemente aveva autorizzato Mozart e il suo librettista Da
Ponte a realizzare ciò che si riteneva non osabile, cioè di trasformare in opera Le mariage de Figaro del Baumarchais, vietato alle scene di quasi tutti i teatri per la sua critica del sistema feudale. In verità nessuna opera più delle Nozze di Figaro
si pone al di là dell’ancien régime per il fatto di dialogare attraverso le sue forme musicali contemporaneamente con l’aristocrazia e con il nuovo pubblico borghese, che non a caso
arriverà ad appropriarsi direttamente di quell’espressione attraverso le riduzioni delle sue arie circolanti in ogni angolo
della città, come documentò lo stesso musicista compiaciuto dell’effetto ottenuto a Praga nel 1786 dal successo del suo
Figaro, dove persino il suonatore di organetto per guadagnarsi l’attenzione nei ritrovi si sentiva in obbligo di modulare il
suo “Non più andrai farfallone amoroso”.
Con l’irruzione della borghesia nei teatri e nelle sale di concerto dell’800 avvenne certamente uno spostamento dell’asse evolutivo della musica, di obiettivi estetici dipendenti dalle attese di un pubblico già agente in fondo secondo la
dinamica di massa. La spettacolarità del grand’opéra sulla
scena e il virtuosismo nel concerto, orientati verso i palati
meno sopraffini, determinarono la reazione dell’élite romantica, che scelse di dialogare con la minoranza colta della società lasciando agli artisti moderati il campo libero per servire il gusto salottiero e Biedermeier. Ne fa stato Giuseppe
Mazzini nella sua Filosofia della musica (1835) in cui avvertiva il carattere vacuo e divagante di una musica ridotta a “trastullo d’un’impercettibile minorità, alle abitudini venali o frivole che s’impossessano dell’arte sacra”, dove si imponeva
chiaramente l’obiettivo dell’elevazione in senso quasi religioso, nella misura in cui non intendeva rassegnarsi ad essere
un traguardo privilegiato di minoranza bensì un fine additato all’umanità tutta, nella convinzione “che a rifiorire, la musica ha bisogno di spiritualizzarsi - che a levarla potente, è necessario riconsecrarla con una missione - che a non rovinarla
nell’inutile e nello strano è mestieri connettere, unificare
questa missione colla missione generale dell’arti nell’epoca,
e cercarne nell’epoca stessa i caratteri: in altri termini, farla
sociale, immedesimarla col moto progressivo dell’universo”.
Iniziava così una battaglia che, nella tensione visionaria carica di utopia, non poteva evitare di produrre strappi per certi versi insanabili. Quando Filippo Filippi, l’autorevole critico della “Gazzetta musicale di Milano” nel suo viaggio
oltralpe del 1870 si trovò conquistato dal fascino del modello wagneriano, si rese immediatamente conto che tale esito
era possibile date “certe condizioni di luogo, di pubblico e di
esecuzione: cioè a dire che ci vuole la Germania, un pubblico coltissimo e dedito all’idealità, e un’esecuzione assolutamente e squisitamente perfetta. Con ciò vengo a concludere
che i Meistersinger non è un’opera, almeno per ora, possibile
in Italia, [...] perché il nostro pubblico è un pubblico di sensazione e non di riflessione”.
v
Indipendentemente dalle differenze culturali delle distinte
tradizioni europee a questa constatazione soggiaceva la distinzione tra pubblico consapevole e pubblico di poche pretese, che aveva già spinto Robert Schumann a dichiarare battaglia ai “filistei” in nome degli spiriti eletti dei “Fratelli della
Lega di Davide” (gli immaginari Davidsbündler). La figura
centrale in tale contesto è quella di Franz Liszt, alter ego di Paganini come capacità di accendere l’entusiasmo dei pubblici
di ogni parte del continente grazie alle sue indiavolate cavalcate sulla tastiera ma nello stesso tempo cosciente del processo di banalizzazione innescato dai nuovi rapporti. Diversamente dai virtuosi contemporanei, compiaciuti del vasto
consenso arriso alle loro sfavillanti esibizioni tendenti ad assecondare l’ascolto edonistico, egli si rese ben presto conto
della china degenerante a cui il semplice appagamento dei
sensi avviava l’arte. La dimensione trascendentale connessa
all’effetto illusionistico della sua abbagliante tecnica pianistica (“trascendentale” fu il termine specificamente prescelto
per intitolare i suoi “studi”) gli fece intravvedere la potenza
di un messaggio in grado di scuotere le coscienze assopite
nella condizione di mediocrità, assegnando all’interprete un
ruolo quasi messianico, rivelatore di orizzonti superiori.
“Nobilita la banalità, ingrandisce ciò che è piccolo”, disse di
lui Busoni, mentre il contatto con la letteratura romantica determinò nel musicista una volontà progettuale che, prima di
imporre al pubblico lo sforzo di superare se stesso attraverso l’orgoglio, era cosciente di dover mettere alla prova per primo le proprie individuali capacità:
Il mio spirito e le mie dita lavorano come dei dannati: Omero, la
Bibbia, Platone, Locke, Byron, Hugo, Lamartine, Chateaubriand,
Beethoven, Bach, Hummel, Mozart, Weber sono tutti intorno a me
- scriveva nel 1832 all’allievo Pierre Wolf - Li studio, li medito, li divoro con furore; in più per quattro fino a cinque ore mi dedico agli
esercizi: terze, seste, ottave, tremoli, note ripetute, cadenze. Ah!
Purché non diventi folle, tu ritroverai un artista in me.
Nella coscienza del potere di elevazione assegnato all’interprete-compositore, Liszt era quindi predestinato all’incontro
con Wagner, ad approdare alla concezione di un’arte dalla
portata epica, tesa profeticamente al superamento delle condizioni dell’attualità, ad essere concepita per il pubblico del
futuro più che del presente, che nella sua visionarietà implicava una scelta iniziatica di tipo spiritualistico se non propriamente religioso.
Rimanendo comunque l’arte un’esperienza radicata nel reale non ci meravigliamo del fatto che tale programmaticità dovesse poi fare i conti con le difficoltà del pubblico di seguire
il genio nei suoi ardui traguardi, per cui da una parte esso si
divise fra i convinti assertori del nuovo verbo e i fedeli della
tradizione in tutte le sue sfumature, e dall’altra si manifestò
sempre più accompagnando la preferenza di gusto con atteggiamenti e comportamenti differenziati, con risvolti anche
stravaganti di costume che Filippi nel suo periplo in Germania documentò sagacemente:
I wagneriani puri hanno lunghi i capelli, scarmigliati molto, la
barba lunga, prolissa, incolta, le unghie lunghe ed anche incolte:
i lisztiani invece hanno la chioma lunghissima, ma con la discriminatura ben fatta, diritta, ed i capelli arrotondati con civetteria
dietro le orecchie; poi , per secondare le velleità pretine del celebre
abate, tengono raso il viso d’ogni minimo pelo, e portano possibilmente gli occhiali; quei volti serafici sono così lindi, puliti, levigati, da far supporre che il rasoio vi passi sopra almeno due volte al
giorno; alcuni, a cui il pelo vorrebbe escire per forza, hanno le
guance tutte azzurrognole e lucide pel recente sapone. I devoti a
Liszt hanno anche una gran cura delle loro mani, e, come fa talora il maestro, le fanno vedere alzandole in atto di apostolica benedizione. Alle ore sette precise, cioè col sole ancora al disopra dell’orizzonte, tutti ci precipitammo in teatro: io ero un po’
soddisfatto di me, parendomi di essere nel giusto mezzo fra Wagner e Liszt, cioè coi capelli abbastanza lunghi, col viso abbastanza provvisto d’un tenue decoro maschile, colle mani pulite e niente affatto apostoliche! Il teatro in un attimo fu pieno, da non starci
più un grano di miglio: le signore superavano quasi in quantità
gli uomini, come si dimostrarono poscia più esaltate e appassionate, In generale le donne dell’avvenire sono, come devono essere,
giovani e belle, e, all’inverso degli uomini, tengono i capelli castamente raccolti sulla nuca; solamente qualche eccentrica lascia cadere un diluvio di trecce, così disordinate ed incolte che non si può
nemmeno dubitare della loro autenticità.
Tale resoconto ironico fa stato di una realtà differenziata dove da una parte è confermata la realtà della musica come
espressione inevitabilmente radicata nella società da cui riceve la legittimazione, e dall’altra la logica che autonomamente assume il pubblico nelle pose e nei formalismi in cui
si atteggiano le sue manifestazioni di consenso e di dissenso nei confronti dell’opera. È evidente che la motivazione che
nutre il fruitore nell’atto dell’ascolto non è solo individuale
22 __ Progetto Martha Argerich
ma è un atteggiamento che mira a qualificarlo nel contesto
sociale. Una motivazione mondana è inevitabile nel momento stesso in cui la comunicazione del fatto musicale si determina in un contesto collettivo, non di singoli ascoltatori prescelti ma di un insieme di persone. Essa si rivela addirittura
necessaria nella misura in cui la musica, per attuare i propri
progetti, deve reggersi su apparati costosissimi sostenuti dalla collettività, chiamata quindi a fornire le risorse per la loro
costituzione. Nella misura in cui tale rapporto poggia su un
meccanismo di identificazione e di diretta partecipazione
del pubblico la dimensione mondana degli eventi musicali è
tutt’altro che da disconoscere. In verità essa riguarda anche
le manifestazioni di avanguardia, come dimostra la stagione
dei Ballets Russes, fondamentale per la promozione di Stravinsky, Satie, Picasso, Cocteau, ecc., che non avrebbe avuto
gli esiti che conosciamo senza il coinvolgimento del milieu
aristocratico parigino (Madame Bériza, il Conte di Beaumont, Madame Edmond de Polignac, Madame Jeanne Dubost, il Visconte di Noailles, la Regina di Romania, ecc.), distinto e perfino eccentrico nelle rispettive pose, ma
certamente competente e in grado di affermare organicamente la propria predilezione estetica.
La mondanità diventa una zavorra quando viene a mancare
il rapporto responsabile e partecipativo dell’ascoltatore, per
cui gli atti esteriori della sua adesione al messaggio non sono più tesi a sancire la sua identificazione nell’opera, come
manifestazione di una scelta, ma piuttosto a proclamare una
status symbol, esclusivamente finalizzato (attraverso tale atto)
ad affermare un privilegio sociale. In verità non è che le situazioni del passato indicate andassero esenti da tale distorsione, ma il fatto che esse si manifestassero in diretta contemporaneità con le opere che venivano “create” le
giustificava in quanto integrate alla stessa prospettiva. Diverso è il discorso relativo all’oggi, dove praticamente tutta la
musica proposta nei concerti è quella del passato (più o meno remoto), in una situazione di vero e proprio “museo sonoro” da cui è praticamente espunta la musica contemporanea. Qui le forme della distinzione mondana (che
caratterizzano come spettacolo nello spettacolo le prime scaligere, l’accesso selezionato ai grandi festival e simili) sono
ormai una realtà dissociata dalla natura dell’evento, che richiederebbe invece un approccio riverente, nel senso non di
sovrapporvi una falsa ragione partecipativa ma capace di calarsi nella prospettiva di ciò che l’opera ha significato nel momento in cui è stata concepita.
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stra costituita di esecutori israeliani e palestinesi nei luoghi
del tormentato Medio Oriente, o di Claudio Abbado nella sua
generosa disponibilità nei confronti della musica contemporanea e più recentemente nel sostegno all’esemplare esperienza delle orchestre giovanili del Venezuela.
Con la creazione del “Progetto” luganese Martha Argerich si
pone allo stesso livello attraverso una scelta che abolisce la
gerarchia del prestigio acquisito, chiamando a collaborare
senza distinzione artisti di varie generazioni, di destini consacrati e non, di fama ed esordienti, non disdegnando il ruolo di comprimario alternato a quello del solista, sollecitando
l’attenzione del pubblico per il valore intrinseco delle esecuzioni, pubblico al quale non è offerto il pretesto di attribuirsi un merito per la scelta di seguire questa manifestazione
più che un’altra. Con questo Lugano, di per sé già in evidenza per la costanza dell’offerta musicale di qualità, è venuta arricchendosi di una proposta singolare, attrattiva per la presenza catalizzatrice di un’artista di importanza mondiale ma
gestita con misura, facendo in modo che i riflettori inevitabilmente puntati su di essa portandola alla ribalta della scena internazionale non diventino prevaricanti. Con soddisfazione possiamo affermare che in questa sede si è formato un
pubblico che non ha lasciato spazio all’invadenza di spettatori prioritariamente interessati alla sensazione, impedendo
che si snaturasse l’equilibrio che si è felicemente instaurato
con gli interpreti, pubblico che comunque, in una rassegna
essenzialmente fondata sull’intimità della musica da camera, non manca di infiammarsi nei non pochi momenti di intensità espressiva documentati nei concerti degli scorsi anni,
preannunciando altrettanto viva partecipazione in quelli che
ancora ci attendono.
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Carlo Piccardi
In tale contesto è importante il ruolo degli interpreti, tanto
più fondamentale quanto più essi si trovano al centro del divismo che non può più essere orientato sui geni indiscussi
quali sono Beethoven o Wagner (ormai non più viventi ed
inevitabilmente archiviati). Trovandosi essi esposti a forme
idolatriche prevaricatrici, si producono i fenomeni di massima distorsione com’è stata recentemente alla Scala l’Aida
non di Verdi bensì di Zeffirelli e cose analoghe dovute anche
alla commercializzazione dell’evento. C’è quindi una responsabilità dell’interprete nel sapersi collocare in termini corretti nel processo comunicativo dell’opera, con spirito di servizio nei confronti sia dell’autore sia del pubblico. Non tutti
sanno farlo, anche se molti sono coscienti del problema,
osando scelte antidivistiche come è il caso di Daniel Barenboim nell’impegno profuso nella West-Eastern Divan OrcheFoto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
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24 __ Progetto Martha Argerich
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AUDIENCES AND HIGH SOCIETY
Because it is a performing art, music depends on interpreters who
function as filters through which it can be modified, even to a considerable degree, with respect to the substance of the message the
composer originally intended to communicate. And there is a third
variable, too, within this fluid relationship: the audience, whose
level of enjoyment influences not only the fate of the work being
communicated but also the motivation (thus also the choices) of
the interpreter. There is a reason why the French refer to a work’s
first performance as its création; this means that the work’s most
decisive moment comes not when the composer finishes writing it
but rather when it is first performed before an audience. Today more than ever before, with the proliferation of the means by which
music is communicated (CDs, radio, television, DVDs, Internet),
interpreters are required to adopt means of interpretation that are
determined by constantly shifting objectives. The type of sound needed for whatever technological medium is being used becomes, in
its non-neutrality, as important as the type of interpretation adopted for every single sound-event.
Yet the truth is that this problem was already central to musical
performance during the Renaissance, notwithstanding the relative unimportance in those days of authorial authority, which depended on the specific sound-event. The concept of musica reservata was meant to insure that music would not be profaned by
those incapable of appreciating it. In fact, the great madrigal tradition would not have existed without the courts that made it essential not only for aesthetic reasons but also for reasons related to
everyday life. By the sixteenth century, the Italian aristocracy was
already aware of the marginal political and military importance
of the peninsula’s tiny states, which could not keep pace with the
powerful kingdoms that dominated Europe; as a result, the aristocrats directed their interests towards the arts and culture, the continuous refinement of which became obligatory and, in turn, to
confer great distinction. Baldassar Castiglione, in his classic text,
The Courtier, describes what was required of a gentleman with
respect to artistic competence by virtue of his superior status. This
was especially true of dancing, over which the aristocracy held exclusive sway, but the presence of music, too, was reserved for those
who lived at court and who thereby affirmed the high level of their
nobility. There were more than a few examples of cultural espionage, with one court trying to steal secrets from another so as not
to be bypassed in the competition for artistic primacy: political respectability depended upon it. There was, for instance, the case of
Alessandro Striggio, whom the Grand Duke of Tuscany sent, in
1584, to the Este court in Ferrara so that he could report on the
new style of Luzzasco Luzzaschi’s Concerto delle dame (Ladies’
concert); these prefigured the refined expressivity of monody, which
was to have its most noteworthy exemplar in Jacopo Peri’s L’Euridice at the Medici court a few years later.
Thus, it would be absurd to consider those artistic achievements
separately from the high society that launched them – from the aristocracy that validated them and that was validated by them as
well. The truth is that as long as the ancien régime endured, the
evolution of the various musical forms and of the performing arts
as a whole was inseparable from their organic relationship to the
social class that held the reins of power and that was in a position
to run the arts as a monopoly. The fact that the nobility often subjugated art to the need to celebrate its own greatness did not necessarily lead to the creation of minor works or works of little value.
The relationship that, by its very structure, bound the work to whomever had commissioned it (and who was, in a sense, its premi-
se) also integrated the social situation into the message it sought
to communicate, without losing its balance.
Parallel channels – different, alternative audiences - developed
alongside the emerging middle classes in the decades leading up
to 1800. Comic opera, which was aimed at the non-aristocratic
classes, was a sign that opera seria was becoming more and more isolated, sheltered within the aristocrats’ homes; in the mideighteenth century, the querelle des bouffons - the contrast of comic opera’s spontaneous, impudent lyricism with the murky
structure of the tragédie lyrique - prefigured the social clash that
would lead to the French Revolution. In other parts of Europe, less
inclined towards radicalism, the tendency was towards the integration of the various new realities. Mozart, for instance, living
in Vienna as an emancipated artist (he was, in effect, the first freelance composer), created The Magic Flute, which became the
model for the German Singspiel, and he thus mixed with the
common people who frequented the Theater auf der Wieden. His
success with this lower social category pleased him, but at the same time he maintained his connection with the court and remained in its service to the end of his life; indeed, his last opera, La
clemenza di Tito, was an “imperial” opera almost by definition.
In reality, under the Habsburgs music enjoyed an important status as a mediator among the social classes, and this can still be
seen today in Vienna, where music is the glue that holds all the
citizenry together. The situation was evoked by the masked ball
scene at the end of Don Giovanni’s first act, with the simultaneous performance of a minuet (the aristocracy’s dance), a contradanza (representing the middle class) and an allemande (a
peasant dance); these correspond to the status of the ball’s participants: the peasants following Masetto find themselves with Donna Elvira, Don Ottavio and Donna Anna. This is a paradigm for
the non-conflictual integration of the classes in conformity with
the enlightened paternalism of Joseph II’s government; the emperor had previously authorised Mozart and his librettist, Da Ponte, to create what had previously been considered too daring: the
transformation into an opera of Beaumarchais’s play Le Mariage de Figaro, which had been banned in nearly every theatre elsewhere because it criticised the feudal system. In reality, no opera supersedes the ancien régime as does Le nozze di Figaro with
respect to its simultaneous musical dialoguing with the aristocracy and the new middle-class public. It was no wonder that the
latter directly appropriated this material through arrangements
of the arias that were circulating all over the city: the pleased composer himself described Figaro’s success in Prague in 1786, reporting that even the organ-grinder had to play the aria “Non più
andrai farfallone amoroso” in order to get people’s attention in
the taverns.
In the nineteenth century, the massive entrance of the bourgeoisie
in theatres and concert halls led without a doubt to a repositioning of the axis around which music revolved and evolved and to
the aesthetic objectives that depended upon the expectations of a
public that was in essence already subject to the conditions that
governed mass entertainment. The spectacular side of grand opera, in the theatre, and of virtuosity, in the concert hall, was aimed
at less-than-refined tastes and caused a reaction among the Romantic elite, who preferred to dialogue with society’s cultivated
minority and left more moderate artists free to serve the tastes of
Biedermeier-period salons. Giuseppe Mazzini’s Philosophy of
Music (1835) bears witness to this situation; it refers to the empty,
digressive nature of a type of music that has been reduced to “an
imperceptible minority’s game, to the venal or frivolous habits
that take hold of sacred art”. The almost religious objective of edification is clear here: music was not to resign itself to being a minority’s privileged goal; its purpose was, rather, to exist for all
mankind. Mazzini was of the conviction “that to flower again,
music needs to be spiritualised – that to become powerful, it must
be re-consecrated to a mission – that in order not to make it ruinously useless and strange, this mission must be connected to and
united with the overall mission of the arts of our times, and to seek
its nature within the times themselves: in other words, it must be
made social, it must identify itself with the progressive movement
of the universe.” It was the visionary, tension created by this utopia that gave rise to a battle that could only produce ruptures, some of them permanent. Filippo Filippi, the authoritative critic of
the Gazzetta musicale di Milano, travelled north of the Alps in
1870 and was enchanted with Wagnerian ideals, but he immediately recognised that such things were possible only under “certain conditions of place, audience and performance: in other
words, one requires a Germany [and] a highly cultivated public
dedicated to achieving an ideal, and absolutely, exquisitely perfect
performances. From this I draw the conclusion that Die Meistersinger is an impossible opera for Italy, at least for now, [...] because our public thrives on sensation, not on reflection.” Underlying
this opinion - apart from the presence of cultural differences
among the various European traditions – there was the distinction between an aware public and an undemanding public – a
distinction that had caused Robert Schumann to declare war on
the “Philistines” on behalf of the elect spirits of the “Brothers of the
League of David” (the imaginary Davidsbündler). The central
figure in this context is Franz Liszt, alter ego of Paganini, inasmuch as he could fire up the enthusiasm of audiences all over the
continent thanks to his diabolical gallops across the keyboard. At
the same time, however, Liszt was aware of the process of “banalisation” that was set in motion by this new situation. Unlike other
virtuosi of the day, who enjoyed the vast consensus that greeted
their exhibitions of brilliant technique (which tended to encourage purely hedonistic listening habits), Liszt quickly became aware of the slippery slope down which art was being thrust by mere
sensual gratification. The transcendental aspect of his astonishing
piano technique’s magical effect (he even chose the word “transcendental” for the title of the études that he composed) made him
recognise the power of a message that was capable of shaking up
consciences made drowsy by mediocrity; he bestowed on the interpreter a virtually messianic role, one that could reveal broader horizons. “He ennobled what was banal and enlarged what was
small,” Busoni said of him. At the same time, contact with Romantic literature gave Liszt the will to put his own abilities to the
test before making audiences take pride in surpassing themselves.
“My spirit and my fingers are working like the damned in
hell,” he wrote in 1832 to his student Pierre Wolf: “Homer,
the Bible, Plato, Locke, Byron, Hugo, Lamartine, Chateaubriand, Beethoven, Bach, Hummel, Mozart, Weber are all
around me. I study them, I think about them, I devour them
furiously; in addition, I dedicate four or even five hours to
exercises: thirds, sixths, octaves, tremolos, repeated notes,
cadenzas. Ah! If I don’t go mad, you will find an artist in me.”
Aware as he was of the educational power of the composer-interpreter, Liszt was thus practically predestined to encounter Wagner, to approach the concept of an epic art, prophetically aimed
at going beyond the conditions that then obtained, conceived mo-
re for the future than for the present, and that by its very visionary
nature depended upon the spiritual, quasi religious, devotion of
its initiates. Yet inasmuch as art is in any case an experience
grounded in the real, it is not surprising that such a project had
to take into account the difficulty that audiences found in following the genius toward his arduous goals; thus, on the one hand,
the public was split between convinced adherents of the new belief
and faithful followers of tradition in all its manifestations; and,
on the other hand, these segments increasingly demonstrated their
respective tastes through very different attitudes and types of behavior, with the sometimes exaggerated side-effects that Filippi documented judiciously during his travels in Germany:
“The pure Wagnerites have long, very disheveled hair; long,
thick, tangled beards; long, uncared-for fingernails. The Lisztians, on the other hand, have very long manes, but with proper, straight parts, and with the hair flirtatiously rounded behind the ears – and, in support of the abbé’s [Liszt’s]
unrealistic priestly ambitions, they shave every last hair off
their faces and, if possible, wear eyeglasses; their seraphic faces are so neat, clean and smooth as to convince us that a razor passes over them at least twice a day; some of these faces,
on which the hairs try to force their way through, have bluish,
shiny cheeks that have recently been lathered up. Liszt’s devotees are also beautifully manicured and, like the master,
they often show their hands by raising them in an act of apostolic benediction. At exactly seven o’clock – that is, with the
sun still above the horizon – we all rush into the theatre; I
was quite pleased with myself, as it seemed to me that I was
halfway between Wagner and Liszt - that is, my hair was somewhat long, my face was provided with light masculine decoration, and my hands were clean but not at all apostolic! In
an instant the theatre was so full that you couldn’t have squeezed in a grain of millet; there were almost more women than
men, and the women quickly demonstrated that they were
more fanatical and passionate than the men. In general, the
women of the future [the author is satirising Wagner’s term
“artwork of the future”] are young and beautiful, as they
ought to be, and, unlike the men, they wear their hair chastely bunched on the nape; only a few eccentric women let
down a deluge of braids so tangled and unkempt that one
cannot doubt their authenticity.”
This ironic account bears witness to a twofold reality: on the one
hand, music is shown to be inextricably rooted in the society that
legitimates its existence; on the other, we see members of an audience assuming attitudes of consensus or dissent with respect to
the work that is being performed. It is obvious that the motivation
that feeds our observer - who is making use of the opportunity provided by the listening experience - is not only individual: it is also an attempt to describe the overall social context. A motivation
connected to high society is inevitable, inasmuch as communication of the music takes place within a collective context; the listeners are not pre-selected individuals but rather a group of people.
This motivation is necessary to the extent that musical performance depends upon very costly organisational structures maintained by groups within society that are called upon to provide the
resources required for creating these structures. To the extent that
this relationship is built upon the public’s identification with and
direct participation in these structures, high society’s role in musical events cannot be ignored. In fact, this also applies to avantgarde events, as was the case at the time of the Ballets Russes,
26 __ Progetto Martha Argerich
which contributed in fundamental ways to the careers of Stravinsky, Satie, Picasso, Cocteau and others, and which would not
have enjoyed such great success without the participation of Paris’s aristocratic milieu - Madame Bériza, Count de Beaumont,
Madame Edmond de Polignac, Madame Jeanne Dubost, Viscount de Noailles, the queen of Romania and so on – each distinct from the others and in some cases highly eccentric, but certainly capable of asserting his or her own aesthetic predilections.
On the other hand, high society becomes mere ballast when there
is no responsible, participatory interest on the listener’s part. As a
result, superficial support for the message no longer demonstrates
the listener’s identification with the work as a matter of choice; it
becomes, instead, the display of a status symbol, with the sole aim
of confirming social privilege. The truth is that such distortions
existed even in the historic situations referred to above, but the fact
that they happened precisely while the works were being created
justified them, inasmuch as they shared the same perspective. The
situation today is different: nearly all the music heard in concerts
is music of the more or less distant past, within what amounts to
a real “museum of sound” from which contemporary music has
practically been expunged. High society’s participation takes the
form of spectacle-within-the-spectacle. The opening night of the
season at La Scala, attendance by invitation at major festivals
and the like, have become dissociated from the nature of the event
itself, which calls for a more reverent approach. This does not
mean superimposing a false reason for participating, but rather
acquiring the ability to steep oneself in the perspective of the work’s significance when it was conceived.
__
proportion, so that the spotlight that inevitably shines upon a woman who is at the forefront of international attention does not
lead to an abuse of power. It is with some satisfaction that we can
affirm that here, an audience has been created that rejects an invasion of spectators mainly interested in the sensational and that
has managed not to disturb the balance that has happily been
achieved among the performers. And yet, despite the fact that the
series is based essentially on the intimate art of chamber music,
this audience has shown great enthusiasm during the many moments of expressive intensity that have been well documented over
the last few years. We expect equally vital participation during the
events that await us.
Carlo Piccardi
The role of interpreters is important in this context – all the more so inasmuch as they find themselves the objects of idol-worship
that can no longer be directed towards undisputed geniuses like
Beethoven or Wagner, who are no longer alive. Interpreters are exposed to exaggerated forms of idol-worship, thus we witness phenomena of enormous distortion, as was recently the case at La
Scala with an Aida, not by Verdi but by Zeffirelli, or in similar
situations owing to the commercialisation of a given event. Thus
the interpreter has a responsibility to occupy the right place within the process of communicating a work; the idea should be to
serve both the composer and the audience. Not all of them know
how to do this, although many are aware of the problem, as, for
instance, Daniel Barenboim, who has lavished so much energy on
the West-Eastern Divna Orchestra, made up of Israeli and Palestinian performers from troubled areas in the Middle East, or
Claudio Abbado, who has generously dedicated himself to contemporary music and, more recently, has supported the exemplary
youth orchestras of Venezuela.
By creating her Lugano “Project”, Martha Argerich has placed
herself at a similar level by making choices that have nothing to
do with hierarchies dependent upon already-acquired prestige; she
has invited artists of all generations - well-known and not so wellknown, veterans and beginners - to participate, and she alternates the role of soloist with that of secondary role-player, thereby
drawing the audience’s attention to the intrinsic value of a performance. The public is not provided with a pretext for self-congratulation, for having chosen these events as opposed to others. As a
result, Lugano, which already offered high-quality musical events
on a regular basis, has been enriched by a singular series of events
– one that is attractive thanks to the catalyzing presence of an artist of worldwide importance but that is organised with a sense of
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
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28 __ Progetto Martha Argerich
L’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta fu scritta da Čajkovskij
su suggerimento di Mili Balakirev, cui fu anche dedicata. La prima esecuzione ebbe luogo, sotto la direzione di Nicolai Rubinstein, il 4 marzo 1870, a Mosca. Balakirev, tuttavia, non ne fu molto soddisfatto, e suggerì a Čajkovskij di mutarne l’introduzione,
parte dello sviluppo e la conclusione; la nuova versione, contenente tali modifiche, fu pubblicata nel 1871. Nel 1880, infine,
Čajkovskij ritornò per la terza ed ultima volta sul lavoro, riscrivendo completamente le ultime ottanta battute e dando così all’opera la forma definitiva che noi conosciamo. L’Ouverture, che
oggi ascoltiamo in una versione per due pianoforti elaborata da
Bartolomiej Wasik, si apre con una sorta di ampio corale, cui segue un Allegro in forma sonata nel quale i due temi principali
esprimono rispettivamente l’odio mortale tra i Capuleti e i Montecchi e l’amore tragico e appassionato di Romeo e Giulietta.
Quest’ultimo tema ritorna anche nella coda, assumendo l’andamento di una desolata marcia funebre.
La produzione cameristica di Edvard Grieg è limitata ad un
piccolo gruppo di composizione: le tre Sonate per violino e pianoforte, il Quartetto per archi op. 27 e, infine, questa Sonata per violoncello e pianoforte in La minore op. 36, che il musicista norvegese scrisse a Bergen nel 1883. Dedicata al fratello del
compositore, John, violoncellista dilettante di buon livello, la Sonata in La minore si articola in tre soli tempi e si apre con un movimento in forma sonata non privo di enfasi, in cui il violoncello assurge spesso al ruolo di assoluto protagonista. Il movimento
lento centrale, forse il migliore dell’intera composizione, si basa
su una melodia proveniente dalle musiche di scena per il dramma Sigurd Jorsalfar, che Grieg aveva composto nel 1872. Il tempo finale, al contrario, è forse il meno persuasivo dei tre, a causa
di una certa monotonia dei temi; ma degno di nota è, senza alcun dubbio, l’intenso recitativo del violoncello posto proprio in
apertura del movimento.
Edward Elgar scrisse le sue tre più importanti composizioni da camera (la Sonata per violino e pianoforte op. 82, il Quartetto per archi op. 83 e il Quintetto per pianoforte e archi op. 84
oggi in programma) quasi al termine della sua carriera e nel
giro di pochi mesi, tra l’estate del 1918 e la primavera del
1919. Il Quartetto e il Quintetto ebbero il loro battesimo pubblico la sera del 21 maggio 1919 alla Wigmore Hal di Londra,
ma il Quartetto divenne in breve tempo assai più popolare
dell’opera sorella. Articolato in tre solo movimenti, il Quintetto in La minore op. 84 si apre con un Moderato-Allegro riccamente contrastato in cui è quasi impossibile non pensare a
Brahms, sia nei momenti di maggior enfasi, sia nei ripiegamenti lirici. Il secondo movimento, Adagio, in Mi maggiore,
tutto pervaso da un calmo e autunnale crepuscolarismo. è
forse la pagina più personale dell’intera composizione. Conclude il Quintetto un Andante-Allegro ricco nuovamente di
suggestioni brahmsiane.
Di Dimitri Šostakovič ci restano due soli Trii per pianoforte,
violino e violoncello. Il Trio n. 2, op. 67, composto nel 1944 e dedicato alla memoria dell’amico Ivan Sollertinskij, morto all’età di
soli 41 anni per un attacco di cuore, è oggi universalmente riconosciuto come uno dei capisaldi della musica da camera del ventesimo secolo. Assai meno noto ed eseguito è invece il Trio n. 1
op. 8, scritto a soli diciassette anni, nel 1923 e formato da un solo movimento. Questo Trio, che Šostakovič dedicò alla sua coetanea Taiana Glivenko, di cui si era innamorato senza successo, fu
pubblicato solamente postumo, e sebbene riveli per molti aspetti tutta l’immaturità del suo autore, pure mostra, in nuce, molti
degli aspetti che saranno tipici dello Šostakovič maturo, come
ad esempio l’alternanza di momenti di disperato e quasi desolato lirismo con improvvisi scatti di umore acre e sovente anche
grottesco.
__
Tchaikovsky wrote his Romeo and Juliet Overture-Fantasy at
the suggestion of Mili Balakirev, to whom the piece is also dedicated. The first performance took place in Moscow on 4 March
1870, under the baton of Nikolai Rubinstein. Balakirev, however, was not very happy with it and suggested that Tchaikovsky
change the introduction, part of the development and the ending; the new version, which included those modifications, was
published in 1871. Finally, in 1880, Tchaikovsky went back over
the work for the third and last time: he completely rewrote the
last eighty bars, thereby creating the definitive version as we now
know it. We are hearing the overture today in a two-piano version arranged by Bartolomiej Wasik. The piece opens with
something akin to a broad chorale, which is followed by a
sonata-form Allegro in which the two principal themes express,
respectively, the mortal hatred between the Capulets and the
Montagues and the tragic, passionate love of Romeo and Juliet. The latter theme comes back again in the coda, where its pace
is that of a desolate funeral march.
Edvard Grieg’s chamber music output was limited to a small
group of compositions: the three sonatas for violin and piano,
the String Quartet, Op. 27 and, finally, the Sonata in A minor for cello and piano, Op. 36, which the Norwegian composer wrote in Bergen in 1883. Dedicated to his brother, John, a
competent amateur cellist, the Sonata in A minor is in only
three movements, beginning with a somewhat emphatic one in
sonata form, in which the cello often takes on the role of sole protagonist. The slow middle movement is perhaps the best part of
the entire work; it is based upon a melody drawn from the incidental music for the play Sigurd Jorsalfar, which Grieg had
composed in 1872. The last movement is, on the contrary, perhaps the least convincing of the three, owing to a certain thematic monotonousness; but the cello’s intense recitative, right at
the start of the movement, is without a doubt worthy of note.
Edward Elgar wrote his three most important chamber
music works (the Sonata for violin and piano, Op. 82; the
String Quartet, Op. 83; and the Quintet for piano and
strings, Op. 84, which is on today’s programme), towards
the end of his career and in only a few months – between the
summer of 1918 and the spring of 1919. The quartet and quintet were given their first public performances at London’s Wigmore Hall on the evening of 21 May 1919, but the quartet
quickly became much more popular than its sister piece. The
three-movement Quintet in A minor, Op. 84, begins with a
richly contrasted Moderato-Allegro, in which it is impossible not to think of Brahms in the more emphatic moments as
well as in the lyrical passages. The second movement – Adagio, in E Major – is permeated by a calm, autumnal twilight
mood and is perhaps the most intimate part of the whole composition. The quintet ends with an Andante-Allegro that is
once again rich in Brahmsian hints.
Dmitri Shostakovich left only two trios for piano, violin
and cello. The Trio No. 2, Op. 67 – composed in 1944 and
dedicated to the memory of his friend Ivan Sollertinsky, who
had died of a heart attack at the age of only 41 – is generally
recognised today as one of the fundamental pieces of twentieth-century chamber music. Much less often played is the single-movement Trio No. 1, Op. 8, which Shostakovich wrote in
1923, when he was only 17 years old. He dedicated this trio to
Tatiana Glivenko, who was his age and with whom he had
fallen unrequitedly in love; it was published only posthumously, and although in many respects it reveals its author’s immaturity, it also contains, in a nutshell, many of the characteristics that would become typical of the mature Shostakovich,
such as the alternation of moments of desperate, almost desolate, lyricism with sudden outbursts of bitter and often even
grotesque humour.
09.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
Pëtr Il’ic Čajkovskij (1840-1893)
Romeo e Giulietta, ouverture-fantasia op. 77
(versione per 2 pianoforti diBartolomiej Wasík)
SERGIO TIEMPO, KARIN LECHNER
Edward Grieg (1843-1907)
Sonata in la min. op. 36
1. Allegro agitato
2. Andante molto tranquillo
3. Allegro molto e marcato
MISCHA MAISKY, MARTHA ARGERICH
Edward Elgar (1857-1934)
Quintetto in la min. op. 84
1. Moderato-Allegro
2. Adagio
3. Andante
LILYA ZILBERSTEIN, DORA SCHWARZBERG, LUCIA HALL, NORA ROMANOFF, JORGE BOSSO
Dmitrij Šostakovič (1906-1975)
Trio n. 1 op.8
(in un movimento)
LILY MAISKY, ALISSA MARGULIS, MISCHA MAISKY
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30 __ Progetto Martha Argerich
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10.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
La carriera della compositrice russa Sofia Gubaidulina si è
sviluppata quasi tutta negli anni che vanno dalla morte di Stalin (1953) alla caduta del muro di Berlino e al crollo del regime
sovietico. Pur avendo vissuto e operato in un periodo estremamente difficile, in cui cauti segnali di rinnovamento convivevano con i retaggi polizieschi dello stalinismo, essa è riuscita
ad affermare ugualmente la propria forte personalità e un proprio stile, ed è ormai considerata una delle figure più autentiche ed apprezzate della nuova musica russa. La Ciaccona per
pianoforte, della durata è di circa 7 minuti, fu composta nel
1963 ed eseguita per la prima volta a Mosca nel 1966 dalla pianista Marina Midvani, che ne è anche la dedicataria. La breve
pagina potrebbe essere più correttamente definita una Fantasia in forma di Ciaccona a causa della sua estrema libertà formale.
Il balletto Lo schiaccianoci fu commissionato a Čajkovskij
nel 1891. Il compositore cominciò a lavorarvi prima della sua
partenza per l’America, e ne riprese la stesura al ritorno dalla
tournée statunitense, ultimando la partitura nel 1892. Il balletto completo fu messo in scena per la prima volta al Teatro Marinskij di San Pietroburgo il 6 dicembre 1892, sotto la direzione di Eduard Napravnik e con la coreografia di Marius Petipa
e Lev Ivanov. Ispirato ad un adattamento di Alexandre Dumas
del racconto Lo schiaccianoci e il re dei topi di E.T.A. Hoffmann,
il balletto evoca l’atmosfera fiabesca e infantile della vicenda,
che è quella del sogno di una bambina addormentatasi sotto
l’albero di Natale. Divenuta rapidamente popolarissima, la musica dello Schiaccianoci è nota anche attraverso innumerevoli
adattamenti e riduzioni; la suite e l’arrangimento che ascolteremo nel concerto di oggi sono dovuti al pianista e direttore
d’orchestra russo Mikhail Pletnev.
Terzultima delle nove Sonate per pianoforte di Sergei Prokofiev, la Sonata n. 7 in Si bemolle maggiore op. 83 fu ultimata
nel 1942, ed è senza alcun dubbio la più nota ed eseguita delle opere per pianoforte solo del compositore russo. E’ una composizione in cui tutti i caratteri più salienti del linguaggio prokofieviano – inquietudine, parossismi sonori, profondo
lirismo – si fondono e si alternano in una sapiente miscela di
effetti che non ha riscontri, per qualità musicale, in tutto il resto della pur ricca produzione pianistica di questo autore . La
Sonata è formata da tre movimenti e si apre con un Allegro inquieto che già nel titolo denuncia il suo carattere ansioso e dissonante, ai limiti dell’atonalità. Segue un Andante caloroso dalla cantabilità intensa e vibrante, di carattere più chiaramente
tonale; l’ultimo movimento, Precipitato, in un asimmetrico 7/8,
è celeberrimo anche come brano a sé, e richiede dall’interprete un impegno fisico e virtuosistico non indifferente
Opera esemplare per le sue suggestioni naturalistiche, così
care al romanticismo tedesco, le Waldszenen op.82 furono
composte da Robert Schumann nel 1848-49, in un momento
di particolare vena creativa, e dedicate alla signorina Annette
Preusser. Si trattava di un ritorno in piena regola a quel tipo di
composizione, formata da una raccolta di piccoli pezzi uniti da
un filo conduttore che, in anni precedenti, aveva prodotto alcuni dei massimi capolavori schumanniani, come le Kinderszenen op. 15 o il Carnaval op. 9. Anche nelle Waldszenen il genio
visionario di Schumann riesce in effetti a creare pagine indimenticabili, come il delicatissimo n. 3, Einsame Blumen (Fiori
solitari), o il misterioso e notturno n. 4, Verrufene Stelle (Luogo
maledetto), o lo splendido n. 7, Vogel als Prophet (L’uccello profeta) - che nella sua scrittura sembra già anticipare singolarmente l’impressionismo - fino alla poetica e sognante conclusione del n. 9, Abschied (Addio).
La trascrizione qui proposta per clarinetto e pianoforte è un
adattamento ricavato da una trascrizione per oboe e pianoforte curato da Wolfgang Renz.
The career of the Russian composer Sofia Gubaidulina is
located, historically, almost entirely during the years between
the death of Stalin (1953) and the fall of the Berlin Wall and
subsequent crumbling of the Soviet regime. Although she lived
and worked in an extremely difficult period, during which
timid signs of renewal cohabitated with a Stalinist police system, she managed nevertheless to affirm her strong personality and her individual style, and she is now considered one of
the truest and most admired exponents of contemporary Russian music. The Chaconne for piano, which lasts about seven
minutes, was composed in 1963 and performed for the first
time in Moscow in 1966 by Marina Midvani, to whom it is
also dedicated. This short piece could more correctly be described as a fantasy in the form of a chaconne, thanks to its
extreme structural freedom.
The Nutcracker ballet was commissioned of Tchaikovsky
in 1891; the composer began to work on it before he left for the
United States, took up the draft again upon returning from
his American journey and completed the score in 1892. The
full ballet was first performed at St. Petersburg’s Mariinsky
Theatre on 6 December 1892; Edward Napravnik conducted,
and the choreography was by Marius Petipa and Lev Ivanov.
The ballet, which was inspired by Alexandre Dumas’s adaptation of E. T. A. Hoffmann’s The Nutcracker and the
Mouse King, evokes the fable-like, child-like atmosphere of
the story, which tells of the dream of a little girl who falls asleep
under the Christmas tree. The Nutcracker’s music quickly became highly popular, and it has been arranged and transcribed innumerable times. Today’s concert presents the
arrangement made by the Russian pianist and conductor
Mikhail Pletnev.
Sergei Prokofiev’s Sonata No. 7 in B-flat Major, Op. 83,
completed in 1942, is the third-from-last of the Russian composer’s nine piano sonatas and without a doubt the best known
and most often played of his works for piano solo. In this composition, all of the most salient characteristics (disquietude,
paroxysms of sound, profound lyricism) of Prokofiev’s musical language blend and alternate in a masterly mixture of effects whose musical quality is unlike anything else in all the
rest of this author’s rich output for piano. The sonata is made
up of three movements, beginning with an Allegro inquieto
the very title of which announces its anxious, dissonant, nearly atonal nature. It is followed by an intensely, vibrantly lyrical and more obviously tonal Andante caloroso. The last
movement, Precipitato, in asymmetrical 7/8 time, is also famous as a separate piece that demands great physical and virtuosic abilities on the part of the interpreter.
Robert Schumann composed Waldszenen (Forest
Scenes) – a work typical of German Romanticism, thanks to
its naturalistic effects – in 1848-49, during a particularly creative period, and he dedicated it to Miss Annette Preusser. It
marked a full-fledged return to the type of composition that
was made up of a series of short pieces tied together by a single thread – a type that included some of Schumann’s earlier
masterpieces, such as Kinderszenen, Op. 15, and Carnaval,
Op. 9. In Waldszenen, too, Schumann effectively succeeded
in creating some unforgettable music – for instance, the delicate “Einsame Blumen” (“Lonely Flowers”; No. 3); the mysterious, nocturnal “Verrufene Stelle” (“Accursed Site”; No.
4); the splendid “Vogel als Prophet” (“Bird as Prophet”; No.
7), which seems to anticipate impressionism in a singular
way; or the poetic, dreamy concluding piece,
“Abschied”(“Farewell”).
The transcription heard here is an adaptation for clarinet and
piano of Wolfgang Renz’s arrangement for oboe and piano.
Sofia Gubaidulina (*1933)
Ciaccona
Pëtr Il’ic Čajkovskij (1840-1893)
Suite da “Lo schiaccianoci” (trascrizione Mikhail Pletnev)
1. Marche
2. Danse de la fée Dragée
3. Intermezzo
4. Danse russe
5. Danse chinoise
6. Pas de deux
Sergej Prokof’ev (1891-1953)
Sonata n. 7 in si bem. magg.
1. Allegro inquieto
2. Andante caloroso
3. Precipitato
YOULIA ZAICHKINA
Robert Schumann (1810-1856)
Waldszenen op. 82 (trascr. Wolfgang Renz)
1. Eintritt
2. Jäger auf der Laner
3. Einsame Blumen
4. Verrufene Stelle
5. Freundliche Landschaft
6. Herberge
7. Vogel als Prophet
8. Jagdlied
9. Abschied
MAREK DENEMARK, YOULIA ZAICHKINA
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32 __ Progetto Martha Argerich
__
11.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
Allievo di Rimskij-Korsakov al Conservatorio di Pietroburgo, Anton Arenskij visse una vita troppo breve per lasciare un
segno distintivo nella musica russa. Ideologicamente più vicino alle concezioni musicali di Ciakovskij che a quelle del
“Gruppo dei Cinque”, diede il meglio di sé, nell’ambito della musica da camera, lasciandoci nel Trio con pianoforte op. 32
e nel Quintetto con pianoforte op. 51 due lavori di qualità musicale sicuramente elevata. Il Quintetto op. 51 fu scritto nel
1900 ed è formato da quattro movimenti. Il primo tempo
magniloquente e pieno di slancio, evoca alla memoria il primo tempo del Quintetto di Schumann, mentre il successivo
Andante con variazioni ha un carattere melodico dalla forte
accentuazione russa, anche se a volte sembra inclinare ad un
lirismo scoperto di tipo un po’ salottiero. Piacevolissimo è lo
Scherzo, amabile e disimpegnato, cui segue, in conclusione,
una dotta fuga su un soggetto di ispirazione vagamente barocca.
Le Siete Canciones populares españolas di De Falla risalgono
al 1915, e possono essere considerate come un manifesto del
radicamento della sua ispirazione all’interno della musica popolare iberica. La raccolta propone melodie derivate dal folclore delle diverse regioni spagnole rielaborate all’interno di
una creazione affatto originale in cui al pianoforte è affidato
un ruolo di assoluto primo piano. Proprio in virtù della sua
adesione del canto popolare spagnolo, l’ambito melodico di
queste Canciones – sei delle quali vengono oggi proposte in
una versione per violoncello e pianoforte realizzata da Maurice Maréchal - non è molto esteso e, di fatto, non supera
l’ambito di una sesta.
Nell’estate del 1893, il ventenne Sergei Rachmaninov
compose la Fantaisie-Tableaux op. 5, in seguito divenuta nota
anche col titolo di Suite n. 1. Il titolo originale rende forse meglio conto del carattere specifico di questo lavoro, le cui quattro parti si ispirano ad altrettante poesie di autori diversi. Il
primo movimento è infatti una barcarola in Sol minore ispirata a versi di Lermontov; il secondo trae spunto da una citazione da Byron; la terza parte si basa invece sulla poesia Lacrime di Tjutcev, ed evoca il suono delle campane della chiesa
di Santa Sofia a Novgorod. La quarta parte fa riferimento ad
una poesia di Komjakov, Festa di Pasqua.
Tanto profondo conoscitore del repertorio musicale quanto interprete estroso, Ivry Gitlis è noto per la poliedricità della sua esperienza. Ad esempio ha contribuito alla musica per
vari film (Un temps pour la mémoire, 1970, Valparaiso, 1971,
Mireille dans la vie des autres, 1979, Stradivarius, 1985), dove
è apparso anche come violinista (Madame Rosa, 1977, Une
mère russe, 1981, Un amour de Schwann, 1984), come insegnante di violino (Les Cachtonneurs, 1998), come attore (Übernachtung in Tirol, 1974, L’Histoire d’Adèle H., 1975, Les Enquêtes du Commissaire Maigret, 1982, Sansa, 2003). Il suo
momento più singolare è legato a The Rolling Stones Rock and
Roll Circus (1968), in cui appare in mezzo a giocolieri, mangiafuoco, trapezisti, clown, accanto a John Lennon, Yoko
Ono, Jethro Tull, gli Who, Eric Clapton, Marianne Faithfull e
ovviamente i Rolling Stones. Per lui quindi non esistono confini fra i generi artistici; soprattutto egli ha sempre amato
mettersi in gioco e rinnovarsi attingendo ispirazioni anche in
espressioni lontane e quasi sconosciute. Fra gli interpreti
contemporanei è forse stato uno dei primi a rendersi conto
dell’importanza dell’improvvisazione. Tale attrazione per il
momento fisico della musica che nasce direttamente di fronte al pubblico l’ha avvicinato al jazz, inducendolo a collaborare occasionalmente con i musicisti di quell’estrazione e ultimamente anche a confrontarsi con le espressioni orientali.
Westwind - Eastwind, Incontri ravvicinati e fantasie fra Oriente
e Occidente, risultato del confronto artistico stimolante con
un pianista jazz e musicista di profonda tradizione giapponese, non mancherà di interrogarci sulla prospettiva delle
commistioni stilistiche nell’epoca della globalizzazione.
Anton Arensky lived too short a life to have left a distinctive mark
on Russia’s musical history. Although he had been a pupil of Rimsky-Korsakov’s at the St. Petersburg Conservatory, he was ideologically closer to Tchaikovsky’s musical way of thinking than to that of
“The Five”, and critics are nearly unanimous in declaring that his
best work is to be found in his chamber music: the Piano Trio, Op.
32, and the Piano Quintet, Op. 51, are of decidedly fine musical
quality. The Quintet, written in 1900, consists of four movements.
The first (Allegro moderato) is magniloquent and propulsive, and
it brings to mind the first movement of Schumann’s Piano Quintet,
whereas the following Andante con variazioni is very strongly Russian in its melodic character, even if it tends at times towards a hearton-sleeve, salon-style lyricism. The delightful Scherzo (Allegro vivace) is amiable and easygoing, and it is followed by a learned fugue
(Allegro moderato) – by way of conclusion – with a subject that is
vaguely Baroque in tone.
De Falla’s Siete Canciones populares españolas date from 1915
and may be considered a declaration of the composer’s artistic credo
and of his art’s deep roots in Iberian folk music and in its various
manifestations (ancient Mozarabic liturgical chant, cante jondo
etc.). Although it does not constitute an actual cycle, this collection
offers melodies derived from the folklore of various Spanish regions
(Murcia, Asturias, Aragon and Andalusia), re-elaborated within a
wholly original creation in which the piano is given a role of absolutely primary importance. Precisely because of their basis in
Spanish folksong, the pieces’ melodic ranges are not very extended
and do not, in fact, go beyond a major sixth. We are hearing six of
them today, in Maurice Maréchal’s arrangement for cello and piano.
During a brief holiday in the Kharkov province in the summer of
1893, twenty-year-old Sergei Rachmaninoff composed the Fantaisie-Tableaux, Op. 5, later known as the Suite No. 1. The original title perhaps gives a better idea of the specific nature of this work,
the four parts of which were inspired by poems by four poets. The
first movement is a barcarole in G minor, inspired by lines of Lermontov; the second takes a Byron quote as its point of departure; the
third part is based upon Tyutchev’s poem, Tears, and evokes the
sound of the bells of the church of St. Sophie in Novgorod. The fourth
and last part makes reference to Komyakov’s poem, Easter Holiday,
and uses the same Easter melody that Rimsky-Korsakov adopted in
his famous Russian Easter Overture.
As profound a connoisseur of the musical repertoire as he is an
imaginative interpreter, Ivry Gitlis is known and admired for his career’s many-faceted nature. He has, for instance, contributed to the
sound tracks of various films (Un temps pour la mémoire, 1970,
Valparaiso, 1971, Mireille dans la vie des autres, 1979, Stradivarius, 1985); in some, he has appeared as a violinist (Madame Rosa,
1977, Une mère russe, 1981, Un amour de Schwann, 1984), but
in others also as an actor (Übernachtung in Tirol, 1974, L’Histoire d’Adèle H., 1975, Les Enquêtes du Commissaire Maigret,
1982, Sansa, 2003). The most remarkable occurrence was his appearance among jugglers, fire-eaters, trapeze artists and clowns in
The Rolling Stones’ Rock and Roll Circus (1968), alongside John
Lennon, Yoko Ono, Jethro Tull, the Who, Eric Clapton, Marianne
Faithfull and, obviously, the Rolling Stones. Thus, Gitlis knows no
artistic boundaries; above all, he has always enjoyed putting himself
on the line and reinventing himself, drawing inspiration even from
distant, nearly unknown expressive genres. Among present-day interpreters, he was perhaps the first to become aware of the importance of improvisation. The quality of his interpretations is in itself
an indicator of his reliance on extemporising as a means of bringing even the great masterpieces to life. This attraction to the notion
of music being born directly before the public has brought him closer to jazz and has induced him to collaborate on occasion with musicians from that world. Recently, he even measured himself against
Oriental modes of expression. “Westwind-Eastwind: Close encounters and fantasies between Orient and Occident” – the result of a
stimulating artistic confrontation between a jazz pianist and a musician-actor profoundly committed to the Japanese tradition – will
not fail to surprise us and to make us question ourselves about the
perspective of stylistic cross-pollinations in a period of globalisation.
Anton S. Arensky (1861-1906)
Quintetto in re min. op. 51
1. Allegro moderato
2. Andante con variazioni
3. Scherzo. Allegro vivace
4. Allegro moderato
LILYA ZILBERSTEIN, DORA SCHWARZBERG, LUCIA HALL, NORA ROMANOFF, MARK DROBINSKY
Manuel De Falla (1876-1946)
Suite populaire espagnole (trascrizione di Maurice Maréchal) da Siete Canciones populares Españolas
1. El Paño moruno
2. Asturiana
3. Jota
4. Nana
5. Canciòn
6. Polo
MISCHA MAISKY, LILY MAISKY
Sergej Rachmaninov (1873-1949)
Suite n. 1 in sol min. op. 5
1. Barcarolle
2. La nuit...l’amour
3. Les larmes
4. Pâques
LILYA ZILBERSTEIN, MARTHA ARGERICH
Westwind - Eastwind
Incontri ravvicinati e fantasie fra Oriente e Occidente
IVRY GITLIS, CYRIL BARBESSOL, SHONOSUKE OKURA
33
34 __ Progetto Martha Argerich
__
12.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
Il ciclo pianistico Nella nebbia fu composto da Janáček nel
1912. Il ciclo è formato da quattro brani, e in esso ritroviamo
nella sua forma più pura tutti i tratti specifici del tardo stile del
compositore moravo. I temi sono di origine popolare, ma il loro trattamento e gli sviluppi che Janáček ne propone finiscono
ben presto per stravolgerne il senso. Il primo brano, Andante,
in Re bemolle maggiore, presenta una semplice forma tripartita e sembra quasi richiamare, nelle battute iniziali, certe atmosfere debussiane sfumate ed evanescenti. Il secondo, Molto Adagio, sempre in Re bemolle maggiore, inizia anch’esso in
maniera calma, ma l’atmosfera tranquilla delle prime battute è
spesso turbata da improvvisi sussulti e nervose accensioni, in
un continuo trascolorare di emozioni. Il terzo pezzo, Andantino, in Sol bemolle maggiore, è il più breve dei quattro ed ha un
carattere delicatemnte lirico, ma con una parte centrale piena
di foga. Conclude il ciclo un Presto che, nonostante la tonalità
di partenza di Re bemolle maggiore, si svolge quasi costantemente in modo minore.
I 12 Studi per pianoforte op. 8 furono portati a termine da
Skryabin nel marzo del 1895 (l’autore aveva allora solamente
ventitré anni), e sono una delle prime opere in cui la personalità musicale del compositore russo, dopo i primi saggi adolescenziali ancora influenzati da una concezione tardo romantica, acquista consistenza e piena cognizione di sé. Lo Studio n.
2 in Fa diesis minore (A capriccio, con forza) è una pagina di grande complessità ritmica, mentre lo Studio n. 11 in Si bemolle minore (Andante cantabile) ha un carattere sognante e quasi doloroso, non privo di qualche lontana reminiscenza di canti
popolari russi. Lo Studio n. 12 (Patetico), ultimo della raccolta,
è scritto nell’inusuale tonalità di Re diesis minore, ed è invece
una sorta di omaggio a Chopin e all’enfasi magniloquente delle sue Polacche e del celebre Studio op. 10 n. 12.
Le due Rapsodie per violino e pianoforte di Béla Bartók risalgono entrambe al 1928, e sono dedicate a due dei più celebri
violinisti magiari allora in attività, Joseph Szigeti (la prima) e
Zoltan Szekely (la seconda). Sono pagine chiaramente ispirate
ai moduli espressivi e stilistici del folclore ungherese, anche se
nessuna delle melodie che Bartók vi impiega è di origine realmente popolare, ma va considerata a tutti gli effetti una creazione originale del compositore. La Rapsodia n. 1 op. 86 è formata, esattamente come la Rapsodia n. 2, da un breve
movimento lento iniziale (Lassu) seguito da un movimento veloce (Friss) di carattere più brillante. La scrittura violinistica è
contenuta nei limiti di una moderata difficoltà, ben lontana dagli ardimenti e dalle asperità delle due Sonate per violino e pianoforte, di sei anni precedenti.
La Sonata in La maggiore per violino e pianoforte (che oggi
ascolteremo in una versione per violoncello e pianoforte) è l’opera cameristica più equilibrata di César Franck, quella in cui
il compositore franco-belga meglio è riuscito a fondere due
aspetti non sempre facilmente conciliabili della sua personalità musicale: l’inventiva melodica calda e appassionata, accesamente romantica, e il gusto per le ampie e solide architetture
formali. Articolata in quattro movimenti secondo un principio
ciclico caro al compositore, la Sonata si apre con un Allegretto
molto moderato, in 9/8, di classica impostazione bitematica, ma
del tutto privo di sviluppo e ripresa; più incisivo e drammatico
è invece il secondo tempo, un Allegro in Re minore, riccamente elaborato in forma sonata. Il terzo movimento, RecitativoFantasia, ha un carattere profondamente espressivo, mentre
nel quarto ed ultimo tempo, Allegretto poco mosso, ritroviamo
l’atmosfera festosa e serena, e lo slancio appassionato e un po’
ingenuo delle più originali melodie franckiane.
Janáček composed the piano cycle In the Mists in 1912. It
consists of four pieces and contains all the specific characteristics of the Moravian composer’s late style in its purest form.
The themes are of folk origin, but the way Janáček treats them
and develops them quickly aims them in a different direction.
The opening piece, Andante, in D-flat Major, is in a simple
three-part form, and its nuanced, evanescent opening bars almost seem to evoke a Debussy-like atmosphere. The second
piece, Molto adagio, also in D-flat Major, likewise begins
calmly, but the peaceful atmosphere of the opening bars is often interrupted by sudden starts and nervous contractions – a
continuous confounding of emotions. The third piece, Andantino, in G-flat Major, is the shortest of the four; it is delicately lyrical, but with a heated middle section. The cycle ends
with a Presto that is almost always in the minor mode, despite the fact that it begins in D-flat Major.
Skryabin completed his Twelve Etudes for piano, Op. 8,
in March 1895, when he was only twenty-three years old, and
they were among the first works in which the Russian composer’s musical personality acquired substance and full selfawareness, following some early, adolescent pieces written under the influence of late Romanticism. The Etude No. 2, in
F-sharp minor (A capriccio, con forza), is highly complex,
rhythmically, whereas No. 11, in B-flat minor (Andante
cantabile) is dreamy, almost sorrowful, and vaguely reminiscent of Russian folk songs. The Etude No. 12 (Patetico) – the
last of the group – is in the unusual key of D-sharp minor and
is a sort of homage to Chopin and to the magniloquent emphasis of his polonaises and of the celebrated “Revolutionary”
Etude, Op. 10, No. 12.
Béla Bartók’s two rhapsodies for violin and piano both date
from 1928, and they bear dedications to two of the most famous Hungarian violinists who were active at the time: Joseph
Szigeti (the first) and Zoltán Székely (the second). These
pieces were obviously inspired by expressive and stylistic models drawn from Hungarian folk music, but Bartók’s melodies
are not really of folk origin; they must be considered a completely original creation by the composer. The Rhapsody No.
1, like the Rhapsody No. 2, consists of a brief, slow opening
movement (Lassu) followed by a more brilliant fast movement (Friss). The violin writing in both pieces is kept within
the boundaries of moderate difficulty – very distant from the
arduousness and harshness of the two sonatas for violin and
piano, written in 1921 and ’22.
The Sonata in A Major for violin and piano (which will be
heard today in a version for cello and piano) is César Franck’s
most balanced chamber work – the one in which the FrancoBelgian composer best succeeded in blending two aspects of his
musical personality, which he did not always manage to reconcile: warm, passionate, intensely Romantic melodic invention and a taste for broad, solid formal structures. The sonata,
whose four movements follow a cyclical form that was dear to
the composer, opens with an Allegretto molto moderato in
9/8 time and in classic bi-thematic format, but with no development or recapitulation. The second movement – an Allegro
in D minor – is more incisive and dramatic and is in a richly developed sonata form. Profound expressivity characterises
the third movement – Recitativo-Fantasia – whereas in the
fourth and final movement (Allegretto poco mosso) the atmosphere is festive yet serene, and the passionate, somewhat
ingenuous impetuosity is typical of Franck’s most original
melodies.
Leos Janáček (1854-1928)
Nella nebbia
1. Andante
2. Molto Adagio
3. Andantino
4. Presto
Alexandr Skryabin (1872-1915)
Tre Studi op. 8
1. n. 2 in fa diesis min.
2. n. 11 in si bem. min
3. n. 12 in re diesis min.
LILY MAISKY
Béla Bartók (1881-1945)
Rapsodia n. 1
1. “Lassù” (Moderato)
2. “Friss” (Allegro moderato)
ALISSA MARGULIS, LILY MAISKY
César Franck (1822-1890)
Sonata in la magg.
(dall’originale per violino e pianoforte)
1. Allegretto moderato
2. Allegro
3. Recitativo-Fantasia
4. Allegretto poco mosso
MISCHA MAISKY, LILY MAISKY
35
36 __ Progetto Martha Argerich
Per lungo tempo, si è creduto che la data di composizione
dalla Fantasia cromatica e Fuga in Re minore BWV 903 cadesse
negli anni trascorsi da Johann Sebastian Bach alla corte di Cöthen (1717 . 1723); secondo studi più recenti, tuttavia, essa andrebbe collocata più verosimilmente negli anni di Lipsia (1723
– 1750). Pubblicata per la prima volta all’inizio dell’Ottocento,
l’opera è poi divenuta celebre attraverso le storiche edizioni pianistiche, ampiamente rielaborate, di Hans von Bülow e Ferruccio Busoni. La composizione presenta una struttura bipartita,
e si apre con una Fantasia in stile toccatistico caratterizzata dall’estrema audacia delle concatenazioni armoniche, che sfocia
poi in un drammatico Recitativo, di esplicita ascendenza vocalistica. A fare da contrappeso alla delirante libertà armonica
della prima parte giunge poi una Fuga a tre voci, in cui la scrittura cromatica appare come imprigionata in una struttura di
granitica compostezza, quasi a celebrazione di un rinnovato
equilibrio musicale.
Liszt trascrisse e arrangiò per pianoforte solo numerose
composizioni di Franz Schubert, testimoniando così nel modo
più diretto e sincero la sua ammirazione per lo sfortunato collega, morto a soli 31 anni nel 1828. Tra le trascrizioni lisztiane,
che devono essere considerate vere e proprie ricreazioni personali, particolare attenzione meritano gli arrangiamenti pianistici di ben 56 Lieder (due dei quali proposti in due differenti
versioni), tra cui spiccano l’intero Schwanengesang e 12 dei 24
Lieder della Winterreise. Ständchen (Serenata), su testo di Ludwig Rellstab, è per l’appunto il Lied n. 4 dello Schwanengesang
D 857, che Schubert compose negli ultimi mesi della sua vita,
portandolo a termine nell’autunno del 1828. L’arrangiamento
pianistico di Liszt fu pubblicato per la prima volta, insieme con
quello degli altri 13 Lieder della raccolta, nel 1840, ed è certamente una delle trascrizioni lisztiane più famose e riuscite.
Autentica opera-manifesto del pianismo romantico e degli
ideali artistici professati da Schumann nella Neue Zeitscrift für
Musik da lui fondata, le Davidsbündlertänze op. 6 sono una raccolta di 18 piccoli pezzi, ciascuno dei quali perfettamente autonomo, che videro la luce in due distinti fascicoli nel 1837. Com’è noto, i “Fratelli di Davide” erano una lega immaginaria che
esisteva solo nella mente di Schumann, impegnata combattere una lotta perennemente impari contro il Golia del filisteismo musicale, rappresentato dagli ideali di un vuoto e accademico formalismo cui i romantici risolutamente si opponevano.
Tra i diciotto brani della raccolta prevalgono come di consueto
quelli in tempo veloce, talora caratterizzati da una nevrotica insistenza ritmica o da una fantasiosa bizzarria. Ma sono soprattutto quelli in tempo lento, come ad esempio i nn. 2 (Innig), 11
(Einfach), 14 (Zart und singend) e 17 (Wie aus der Ferne), a contenere forse i momenti di più profonda e toccante poesia.
Paul Frankenburger nacque a Monaco nel 1897, e nel capoluogo bavarese compì i propri studi musicali, dedicandosi in
maniera definitiva alla composizione a partire dal 1931. Nel
1933, all’avvento del nazismo, si rifugiò in Palestina, e fu lì che
assunse il nome ebraico di Paul Ben-Haim. L’arrivo in Palestina ebbe un’influenza significativa anche sulle sue concezioni
musicali, che da quel momento in poi risultano fortemente influenzate dalla musica popolare della Palestina e dello Yemen,
nel segno, tuttavia, di un sostanziale eclettismo compositivo. I
Cinque pezzi op. 34 furono composti nel 1943, e si aprono con
una Pastorale in cui Ben-Haim riprende il motivo del movimento iniziale della sua Seconda Suite per pianoforte (1936). La
Toccata ricorda invece da vicino l’omonimo pezzo del Tombeau
de Couperin di Maurice Ravel, mentre strutture modali e pentatoniche riconducibili alla musica popolare ebraica sono ravvisabili nell’Intermezzo.
__
It was long believed that the Chromatic Fantasy and
Fugue in D minor, BWV 903, was composed during Johann
Sebastian Bach’s years at the court of Anhalt-Cöthen (171723), but according to more recent research it more likely dates
from his Leipzig years (1723-50). First published early in the
nineteenth century, the work later became famous thanks to the
historic, heavily arranged piano versions by Hans von Bülow
and Ferruccio Busoni. The composition, which is in two-part
form, begins with a toccata-like fantasy that is noteworthy for
the extreme audacity of its harmonic combinations; it flows into a dramatic recitative that is explicitly vocal in nature. A
three-part fugue then counterbalances the frenzied harmonic
freedom of the first part: its chromaticism seems almost to be
imprisoned in a structure of granitic composure, as if in celebration of this return to musical equilibrium.
Liszt transcribed and arranged for solo piano many of
Franz Schubert’s compositions, thus testifying in the most direct, sincere way to his admiration for his unfortunate colleague, who had died in 1828 at the age of only 31. Among
Liszt’s transcriptions – which must be considered actual personal re-creations – the piano arrangements of 56 lieder (two
of which exist in two versions each) deserve special attention,
and among these the whole Schwanengesang set and twelve
of the 24 Winterreise lieder particularly stand out. “Ständchen” (Serenade), a setting of a text by Ludwig Rellstab, is the
fourth number of the Schwanengesang, D. 857, which Schubert composed during the last months of his life and completed
in the autumn of 1828. Liszt’s piano arrangement of it was first
published in 1840, along with the other thirteen lieder of the
set, and it is undoubtedly one of Liszt’s best, and best-known,
transcriptions.
The Davidsbündlertänze, Op. 6, are a collection of eighteen short, perfectly autonomous pieces that first saw the light
of day in 1837, in two published instalments. The work was a
real manifesto of Romantic pianism and of the artistic ideals
that Schumann proclaimed in the Neue Zeitschrift für
Musik – the journal that he had founded. As is well known,
“David’s Band” was an imaginary league that existed only in
Schumann’s mind and that continually fought an unequal
struggle against the Goliath of philistinism, as represented by
the ideals of empty, academic formalism to which the Romantics were resolutely opposed. Among the set’s eighteen pieces,
those in quick tempos habitually prevail; some display a neurotic rhythmic persistence, others are imaginatively bizarre.
But it is in the slow pieces – for instance, Nos. 2 (Heartfelt),
11 (Simple), 14 (Tender and lyrical) and 17 (As if from afar)
that the deepest and most touchingly poetic moments are perhaps to be found.
Paul Frankenburger was born in Munich in 1897 and completed his musical studies in the Bavarian capital. From 1931
on, he dedicated himself entirely to composition, but in 1933,
with the advent of Nazism, he immigrated to Palestine, where
he changed his surname to the Hebrew Ben-Haim. His arrival
there also significantly influenced his musical ideas, which,
from that moment on, were heavily influenced by the folk music of Palestine and Yemen, albeit in a substantially eclectic
way. His Five Pieces, Op. 34, composed in 1943, begin with a
Pastorale in which Ben-Haim makes use of the motif of the first
movement of his Second Suite for piano (1936). The Toccata, on the other hand, is very reminiscent of the piece by the
same name in Maurice Ravel’s Le Tombeau de Couperin,
whereas in the Intermezzo one can recognise modal and pentatonic sequences taken from Jewish folk music.
13.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Fantasia cromatica e fuga in re min. BWV 903
Franz Schubert (1797-1828) / Franz Liszt (1811-1886)
Ständchen
Robert Schumann (1810-1856)
Davidsbündlertänze op. 6
1. Lebhaft
2. Inning
3. Mit Humor
4. Ungednldig
5. Einfach
6. Sehr rasch
7. Nicht schnell
8. Frisch
9. Lebhaft
10. Balladenmässig. Sehr rasch
11. Einfach
12. Mit Humor
13. Wild und lustig
14. Zart und singend
15. Frisch
16. Mit guten Humor
17. Wie aus der Ferne
18. Nicht schnell
Paul Ben-Haim (1897-1984)
Cinque pezzi op. 34
1. Pastorale
2. Intermezzo
3. Capriccio agitato
4. Canzonetta
5. Toccata
GILA GOLDSTEIN
37
38 __ Progetto Martha Argerich
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14.06 - 20.30 - CONCERTO SINFONICO - PALAZZO DEI CONGRESSI
Come tutte le opere maggiori di Dimitri Šostakovič, anche
il Concerto n. 1 in La minore per violino e orchestra op. 77/99
sembra portare su di sé il peso di contraddizioni espressive e
musicali non risolte, ed anzi esplicitamente ostentate. Il concerto fu composto nel 1947/48, in uno dei momenti più tragici delle purghe staliniane, in cui anche Šostakovič era sottoposto ad una feroce campagna denigratoria. La prima
esecuzione pubblica ebbe luogo, non a caso, solo nel 1955,
due anni dopo la morte di Stalin: da qui i due diversi numeri d’opus che lo contraddistinguono, uno relativo al periodo
in cui fu composto, il secondo (e definitivo) riferibile invece
all’epoca della sua pubblicazione. Il Concerto è formato da
quattro movimenti, e si apre con i desolati paesaggi del Notturno, cui fanno seguito uno Scherzo tutto pervaso di umori
grotteschi, una Passacaglia ove domina invece un disperato e
commosso lirismo ed infine un Burlesque in cui ritornano gli
umori acri e grotteschi del secondo movimento.
Di Carl Maria von Weber ci restano oggi due Concerti per
pianoforte e orchestra (op. 11 e op. 32), che sono però di rarissima esecuzione; miglior fortuna presso il pubblico e presso
i solisti ha avuto invece un’altra opera weberiana per il medesimo organico, il Konzertstück in Fa minore op. 79, composto
tra il 1815 e il 1821, e liberamente articolato in varie sezione
che si susseguono senza soluzione di continuità. Secondo la
testimonianza del pianista Julius Benedict, che di Weber era
stato allievo, la composizione racconta musicalmente l’ingenua vicenda del ritorno di un crociato dalla terra santa e il suo
felice ricongiungimento con l’amata sposa, che a lungo l’aveva atteso nella più profonda afflizione. Al momento della
pubblicazione dell’opera, nel 1823, Weber evitò tuttavia di dare alle stampe tale programma, la cui autenticità appare però suffragata dall’autorevolezza della testimonianza di Benedict.
Autore di una trentina di brani orchestrali e cameristici,
nonché di varie trascrizioni per pianoforte (tra cui la suite dalla Cenerentola di Prokof’ev da lui presentata per la prima volta nel 2002 proprio a Lugano in coppia con Martha Argerich), Pletnev è noto anche come compositore. Egli si
caratterizza per il solido mestiere e per l’orientamento verso
forme chiare e distinte, come dimostra in particolare la Sinfonia classica (1988). La Fantasia elvetica è nata nel 2006 come omaggio al paese a cui Pletnev si sente legato, in particolare a Lucerna, da lui scelta come domicilio e che volentieri
ricorda essere stata la città che ospitò Rachmaninov negli ultimi anni di vita. Dedicata ai pianisti gemelli Sascha e Mischa
Manz, tale fantasia si pone sulla linea dei compositori che trovarono ispirazione nel folclore. Così la descrive l’autore:
“Nel primo tempo domina l’immagine della natura montana
della Svizzera (cascate, ruscelli, mucche e pastori). Il secondo,
basato sul canto “Vo Luzärn uf Weggis zue”, corrisponde alla
discesa delle greggi dagli alpi fino ad incrociare la festa del carnevale lucernese, in cui si insinua la tristezza del tema di ”Vreneli” trattato in forma di corale. Il terzo tempo è aperto da una
polka e si conclude con una parte di bravura dominata da temi che esprimono l’amore per la Svizzera da parte del proprio
popolo: l’evocazione di “Es Buur Büebli” e di ”En Schwiizer
Knab” si completa con la citazione del salmo svizzero”.
Like all of Dmitri Shostakovich’s other major works, the
Concerto No. 1 in A minor for violin and orchestra, Op.
77/99, seems to bear a burden of unresolved expressive and
musical contradictions that are ostentatiously exhibited.
The concerto was composed in 1947-48, during one of the
most tragic periods in Stalin’s purges, when Shostakovich,
too, was subjected to a ferocious campaign of denigration. It
was not by accident that the first public performance did not
take place until 1955, two years after Stalin’s death, and this
explains why it has two different opus numbers – one from
the period in which it was composed, the other (definitive)
from the period of its publication. The concerto, which is in
four movements, opens with the desolate passages of the Notturno. This is followed first by a Scherzo permeated with
grotesque humour, then by a Passacaglia dominated by desperate, moving lyricism and finally by a Burlesque in which
the bitter, grotesque humour of the second movement returns.
Carl Maria von Weber wrote two concerti for piano and
orchestra (Op. 11 and Op. 32), but they are rarely played.
Another work by Weber for the same instrumental combination has enjoyed greater popularity with the public: the
Konzertstück (Concert Piece) in F minor, Op. 79, was
composed between 1815 and 1821 and is loosely divided into
various sections that follow each other in a discontinuous
way. According to the pianist Julius Benedict, who was a
pupil of Weber’s, the composition narrates, musically, the ingenuous story of a crusader’s return from the Holy Land and
his happy reunion with his beloved wife, who had long been
awaiting him in the greatest anxiety. Nevertheless, when Weber published the work, in 1823, he did not choose to print
this “programme”, yet its authenticity seems well founded,
thanks to the authoritativeness of Benedict’s testimony.
As the author of some thirty orchestral and chamber music pieces as well as various piano transcriptions (among
them, that of Prokofiev’s Cinderella Suite, which was first
performed in 2002, in Lugano, in duo with Martha Argerich), Pletnev is also known as a composer. His work is
characterised by its solid professionalism and by its orientation toward clear, distinct forms, as is especially evident in
his “Classical” Symphony (1988). The Fantasia elvetica
(Swiss Fantasy) was created in 2006 as an homage to a
country with which Pletnev feels kinship, and in particular
to Lucerne, where he has chosen to make his home and
which, he gladly recalls, hosted Rachmaninoff during his later years. Dedicated to the twin pianists Sascha and Mischa
Manz, the fantasy follows the line of composers who drew inspiration from folklore. The composer describes it thus:
“Switzerland’s mountainous nature (waterfalls, streams,
cows and shepherds) dominates the first movement. The second, based upon the song, “Vo Luzärn uf Weggis zue”, has
to do with the herds descending from the Alps until they come
upon Lucerne’s carnival festival, into which the sadness of
the “Vreneli” theme – treated in chorale form – insinuates
itself. The third movement begins with a polka and ends with
a bravura section dominated by themes that express the
Swiss people’s love of their country: the evocation of “Es Buur Büebli” and “En Schwiizer Knab” ends with a quotation of the Swiss psalm.”
Dmitrij Šostakovič (1906-1975)
Concerto n. 1 in la min. op. 99
1. Nocturne (Moderato)
2. Scherzo (Allegro)
3. Passacaglia (Andante)
4. Burlesque (Allegro con brio, Presto)
DORA SCHWARZBERG
Carl Maria von Weber (1786-1826)
Konzertstück in fa min. op. 79
Larghetto affettuoso - Allegro passionato, Adagio - Tempo di marcia - Più mosso, Presto giocoso
VLADIMIR SVERDLOV
Mikhail Pletnev (*1957)
Fantasia Elvetica
Maestoso - Tranquillo - Tempo di marcia - Andante - Tempo di polka - Più vivo - Allegro
MARTHA ARGERICH, ALEXANDER MOGILEVSKY
ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA
DIR. MIKHAIL PLETNEV
39
40 __ Progetto Martha Argerich
__
15.06 - 18.30 - CONCERTO POMERIDIANO - GRAND HOTEL VILLA CASTAGNOLA
Compositore italiano affacciatosi sulla scena musicale negli
anni immediatamente successivi alla guerra mondiale, Vittorio Rieti si impose per avere interpretato lo slancio di una generazione uscita dal conflitto rigenerata, che si lasciava alle
spalle le vecchie ideologie. La sua musica interpreta la vita moderna dominata dalla tecnica e dal modello ubano nell’attivismo di gesti meccanici e nel dinamismo di una ritmica incalzante, sull’onda delle pratiche dell’avanguardia parigina dal cui
carattere sbarazzino e dissacratorio fu spesso influenzato, pur
mostrando riverenza verso la tradizione strumentale italiana
settecentesca chiamata in causa ad indicare all’arte musicale
del Novecento la via di un linguaggio oggettivo scevro di sentimentalismi. Le drammatiche vicende dell’epoca successiva,
che, dopo l’introduzione delle leggi razziali fasciste, lo costrinsero all’esilio negli Stati Uniti, non compromisero la sua
espressione vitalistica ed essenzialmente serena, fondata sul riconoscimento della forza intrinseca dei valori formali. Lo testimonia la Suite champêtre composta nel 1948 e dedicata al celebre duo pianistico Gold-Fizdale, che prende il nome dal clima
pastorale della “Écossaise” che ne costituisce la parte centrale,
briosa e popolareggiante. Nella lunga “Bourrée” iniziale l’autore dà sfogo alla sua vocazione costruttivistica attraverso un contrappunto che ammicca al modello bachiano con estro inventivo di spunti melodici, mentre nella “Giga” conclusiva il tocco
di italianità è più evidente per il riferimento alla trasparenza e
alla spigliatezza delle sonate scarlattiane.
La produzione cameristica di Antonín Dvořák è assai copiosa (essa annovera, tra l’altro, 14 Quartetti per archi), ma scarsamente conosciuta ed eseguita, con la sola eccezione di tre opere: il Quartetto “Americano” op. 96, il Quintetto per pianoforte e
archi op. 81 e, per l’appunto, il Trio n. 4 op. 90 per pianoforte,
violino e violoncello, conosciuto anche come “Dumky–Trio”.
Scritto nella tonalità di Mi minore, particolarmente congeniale al compositore boemo (è la stessa tonalità della Sinfonia dal
Nuovo Mondo), questo lavoro presenta una forma piuttosto inusuale, in sei brevi movimenti. Sono questi, in effetti, i sei
dumky che danno l’origine al titolo, ovvero delle ballate il cui tono può passare rapidamente dalla più profonda malinconia alla gioia sfrenata. L’ispirazione folclorica che pervade tutta la
composizione è evidente fin dal primo movimento (Lento maestoso – Allegro), percorso dai ritmi gioiosi di danze popolari, e
si ripete in tutti i sei pezzi con una freschezza di accenti e di
movenze che non ha forse uguali in tutta l’opera da camera di
Dvořák.
I materiali musicali di Scaramouche op. 165b per due pianoforti di Darius Milhaud provengono, in gran parte, dalle musiche di scena per la commedia Le medecin volant di Moliere, che
il musicista francese aveva composto nel 1937 per il Théâtre
Scaramouche di Parigi. Il titolo, che richiama il nome di una
delle maschere della Commedia dell’Arte, venne quasi di conseguenza. Solo nel 1939 Milhaud curò un nuovo adattamento
della composizione per sassofono (o clarinetto) e orchestra, che
tuttavia non riuscì mai ad imporsi – a differenza della versione per due pianoforti – presso gli interpreti. Composta da tre
movimenti, Scaramouche si apre con un Vif giocoso e animatissimo, cui fanno seguito un Moderé centrale, in cui un ritmo
di siciliana si sposa ad un melodizzare ispirato al blues dei negri americani, e una Brasileira (Milhaud aveva vissuto per diverso tempo in Brasile) che risuona come un samba festoso e
ricco di sincopi.
Vittorio Rieti, an Italian composer who appeared on the musical scene in the immediate post-First War years, was noteworthy for having energized a generation that had emerged
from the war as if reborn and that had abandoned old ideologies. His music gave voice to the technological and urbanoriented aspect of modern life; it was based on mechanical
movements and on the dynamism of driving rhythms, and it
was often influenced by the cheeky, irreverent side of the
Parisian avant-garde. On the other hand, it also demonstrated devotion to the eighteenth-century Italian instrumental tradition, wich was called upon to help point the way
towards an objective, unsentimental twentieth-century musical language. The dramatic events of the following period,
and specifically the fascist government’s racial laws, force
Rieti to seek exile in the United States, but his vital, basically tranquil mode of expression, based on the recognition of
intrinsic power of formal considerations, remained untouched. The Suite champêtre of 1948 (dedicated to the famous duo-piano team Gold and Fizdale), bears witness to
his fact: it takes his name from the pastoral atmosphere of
the lively, folk-like Écossaise that is its middle. In the long,
opening Bourrée, the composer gives vent to his constructivist side by employing a type of counterpoint that flirts with
Bachian style via the inventive spirit of the melodic voices,
whereas in the final Giga the Italian touch is more obvious,
thanks to traces of the transparency and ease of Scarlatti’s
sonatas.
Antonín Dvořák’s chamber music output was highly
abundant (it includes fourteen string quartets, among much
else), but it is little known and infrequently performed – with
the exception of three works: the “American” String Quartet, Op. 96; the Quintet for piano and strings, Op. 81;
and the Trio No. 4 for piano, violin and cello, Op. 90, also known as the “Dumky” Trio. Written in the key of E minor, which was particularly congenial to the Bohemian composer (it is also the key of his “New World” Symphony),
this work is in a rather unusual, six-movement form. In effect, these are the six short dumkys that give the work its
name: the dumky is a ballad that can go quickly from the
deepest melancholy to the most unrestrained joy. The folkloristic element that pervades the entire composition is immediately audible in the first movement (Lento maestoso –
Allegro), which is filled with joyous folkdance rhythms, and
that element is repeated in all the other pieces with a freshness of tone and of movement that perhaps has no equal in
any of Dvořák’s other chamber works.
Much of the musical material of Darius Milhaud’s Scaramouche, Op. 165b, for two pianos, originated with the incidental music to Molière’s comedy Le Médecin volant,
which the French composer had written in 1937 for Paris’s
Théâtre Scaramouche. The title, taken from the name of a
commedia dell’arte figure, was a logical consequence. Not
until 1939 did Milhaud produce a new arrangement of the
piece for saxophone (or clarinet) and orchestra, but it did
not take hold among performers – unlike the version for two
pianos. The first of Scaramouche’s three movements is a
joyous, high-spirited Vif (lively), and it is followed first by a
Modéré middle movement, in which a siciliana rhythm is
blended with a tune inspired by African-American blues,
and then by a Brasileira (Milhaud had lived for some time
in Brazil) that resounds like a festive, syncopated samba.
Vittorio Rieti (1898-1994)
Suite champêtre
1. Bourrée
2. Aria e Ecossaise
3. Gigue
GABRIELE BALDOCCI, LILY MAISKY
Antonin Dvořák (1841-1904)
Trio n. 4 in mi min. op.90 (Dumky)
1. Lento maestoso, Allegro quasi doppio movimento, Lento maestoso, Allegro
2. Poco Adagio, Vivace non troppo, Poco Adagio, Vivace
3. Andante, Vivace ma non troppo, Andante, Allegretto
4. Andante moderato quasi tempo di marcia, Allegretto scherzando, Meno mosso, Allegro, Moderato
5. Allegro
6. Lento maestoso, Vivace, Allegro, Vivace
GABRIELE BALDOCCI, IVRY GITLIS, MARK DROBINSKY
Darius Milhaud (1892-1974)
Scaramouche op. 165 b
1. Vif
2. Modéré
3. Brasileira
KARIN MERLE, MARTHA ARGERICH
41
42 __ Progetto Martha Argerich
Nei primi anni del XX secolo, la rapida diffusione della musica riprodotta – su disco a 78 giri o su cilindro – permise uno scambio di
esperienze musicali, assolutamente senza precedenti. Fu soprattutto
grazie al disco che i compositori “colti” europei poterono fare la conoscenza di un fenomeno musicale esclusivamente americano, che soprattutto dopo la fine della prima guerra mondiale, grazie alla venuta
in Europa di numerosi complessi statunitensi, avrebbe riccamente
contaminato e ibridato il loro linguaggio: il jazz. Tipico prodotto dei
ghetti neri, il jazz era diventato in breve tempo un prodotto di largo
consumo di cui l’industria discografica si era rapidamente impadronita. Tra i musicisti europei, cui la tragedia della prima guerra mondiale aveva tolto ogni ottimistica illusione sulle “magnifiche sorti e
progressive” della società capitalistica, esso propalò per qualche tempo l’illusione di una sorta di purezza espressiva non contaminata dai
disastri della civiltà.
Musicista estremamente ricettivo, Claude Debussy ci ha lasciato
alcune pagine in cui ritmi jazzistici fanno capolino, prima tra tutte la
celebre suite pianistica Children’s Corner, del 1906 – 1908, che è forse la prima opera di un autore europeo chiaramente ispirata a ritmi
afro-americani. Le petit nègre fu pubblicato invece nel 1909, e mostra
in effetti una certa somiglianza con il Golliwogg’s Cake-walk che chiude Children’s Corner. Si tratta di una breve paginetta, di neppure un
minuto e mezzo di durata, che apparve per la prima volta nel Méthode de piano di Theodore Lack e che forse è addirittura anteriore, cronologicamente, a Children’s Corner.
Alexander Tansman, nato a Lodz, in Polonia, nel 1897, fece parlare per la prima volta di sé nel 1919, a ventidue anni, quando vinse i
primi tre premi nel primo concorso di composizione polacco presentando tre diverse opere sotto tre diversi pseudonimi. Nel 1927 si recò
per la prima volta negli Stati Uniti, dove fece eseguire il suo Secondo
Concerto per pianoforte e orchestra, dedicato a Charlie Chaplin, e dove ebbe la possibilità di incontrare e conoscere alcuni dei musicisti
jazz più apprezzati, come Louis Armstrong e Duke Ellington, entrando anche in rapporti di amicizia con George Gershwin. Frutto dell’esperienza americana fu la Sonatine transatlantique composta nel 1930
e dedicata a Irwing Schwerke. Essa è formata da tre movimenti (Fox
Trot, Allegro – Spiritual and Blues – Charleston, Molto vivo), in cui la
spensierata disinvoltura dei due movimenti veloci si contrappone al
pensoso incedere del tempo centrale.
Geniale e spregiudicato, dopo essere stato un bambino prodigio
Georges Auric fu allievo di Vincent d’Indy alla Schola Cantorum di Parigi. Divenuto amico di Jean Cocteau e di Eric Satie, entrò a far parte
del famoso “Gruppo dei Sei”, che cominciò a far parlare di sé intorno
al 1919 (Auric aveva allora solamente vent’anni.). Uno degli eventi più
memorabili del “Gruppo dei Sei” fu il concerto tenuto nel febbraio del
1920 al Théâtre des Champs-Elysées, a Parigi, nel quale furono eseguite alcune delle opere-manifesto del gruppo, e cioè Le Boeuf sur le
toit di Milhaud, Cocardes di Poulenc, le Trois Petites pièces montées di
Satie e, per l’appunto, Adieu New York di Auric, uno scatenato fox-trot.
Nel 1924, anno decisivo nella sua carriera musicale, Gershwin iniziò a comporre una serie di Preludi per pianoforte. Il numero effettivo di questi Preludi è ancor oggi oggetto di discussione. Sappiamo infatti che Gershwin eseguì cinque suoi Preludi in un concerto del 4
dicembre 1926, e sei il 16 gennaio 1927. Solamente tre Preludi, tuttavia, furono pubblicati in seguito dal compositore. Il primo di questi,
Allegro ben ritmato e deciso, fu definito da Gershwin “spagnolo”, per
certi suoi tratti melodici e per il suo ritmo di habanera. Il secondo,
Andante con moto e poco rubato - una delle non molte pagine pianistiche in tempo lento scritte Gershwin - è invece una sorta di ninna-nanna blues, che rivela, tra l’altro, una scrittura armonica fortemente influenzata dall’impressionismo. Il terzo Preludio, Allegro ben ritmato e
deciso, è brevissimo, come molte delle pagine più felici di Gershwin,
e sostenuto anch’esso da un’armonia di notevole originalità.
Wilhelm Grosz nacque a Vienna nel 1894, e morì a soli 45 anni a
New York. Come molti altri compositori ebrei di quell’epoca, dovette
subire l’onta della persecuzione da parte dei nazisti, la fuga dal suo
paese (nel 1934 si rifugiò in Inghilterra e poi negli Stati Uniti) e il difficile ambientamento in paesi tanto diversi dal suo per mentalità e tradizioni musicali. Partito come compositore d’avanguardia, di adattò,
per vivere, a scrivere canzonette, alcune delle quali divennero anche
abbastanza popolari. Jazzband, per violino e pianoforte, fu composto
da Grosz nel 1923, in un’epoca in cui nulla ancora faceva presagire la
catastrofe che di lì a poco si sarebbe abbattuta sul suo paese, condizionando in modo così decisivo anche il suo personale destino di compositore.
__
Early in the twentieth century, the quick spread of sound reproduction systems – on 78 r. p. m. discs and on cylinders – brought about an
worldwide exchange of musical experiences. It was thanks to recordings,
above all, that “cultivated” European composers were able to become acquainted with an exclusively American musical phenomenon: jazz. Especially after the First World War, many ensembles from the United
States came to Europe, and local composers blended and “hybridised”
their language with elements drawn from the new idiom. Jazz was born
in the southern states, but it became, in a short time, a popular product
of which the recording industry soon took possession. Among European
musicians, for whom the tragedy of the First World War had destroyed
the optimistic illusion of the “magnificent, progressive fate” of capitalistic society, jazz temporarily created the illusion of a sort of expressive purity, uncontaminated by civilisation’s disasters.
Claude Debussy, an extremely receptive man, composed some pieces that
toyed with jazz-like rhythms. The most important among them is the
celebrated Children’s Corner piano suite, which dates from 1906-1908
and is perhaps the first work by a European composer that was clearly
inspired by Afro-American rhythms. Le Petit nègre, on the other hand,
was published in 1909 and in fact bears a certain resemblance to the
Golliwog’s Cakewalk – the last piece in the Children’s Corner. It is a
short piece – it lasts less than a minute and a half – and it first appeared
in Theodore Lack’s Méthode de piano, which may have predated the
Children’s Corner.
Alexandre Tansman, born in Lodz, Poland, in 1897, first caused a
stir in 1919, at the age of twenty-two, when he won the first three prizes
in the first Polish composition competition: he had entered three different works under three different pseudonyms. He went to the United
States for the first time in 1927; his Second Concerto for piano and orchestra – dedicated to Charlie Chaplin – was performed there, and he
was able to meet some of the best known jazz musicians, such as Louis
Armstrong and Duke Ellington, in addition to developing a friendship
with George Gershwin. The Sonatine transatlantique, composed in
1930 and dedicated to Irwing Schwerke, was one of the fruits of his American experience. It consists of three movements (Fox Trot, Allegro; Spiritual and Blues; Charleston, Molto vivo) in which the carefree nonchalance of the two fast movements is counterbalanced by the thoughtful
pace of the middle one.
The brilliant and unconventional Georges Auric was a child prodigy
and then a pupil of Vincent d’Indy at Paris’s Schola Cantorum. He later became friendly with Jean Cocteau and Eric Satie and then joined the
famous group, “Les Six”, which began to make a stir around 1919, when
Auric was only twenty years old. One of the most memorable events created by “Les Six” was a concert held at Paris’s Théâtre des ChampsElysées in 1920, during which some of the group’s banner works were performed: Darius Milhaud’s Le Boeuf sur le toit, Francis Poulenc’s
Cocardes, the Trois petites pieces montées by Satie (who, however,
was not part of the group), and Auric’s Adieu New York – a free-wheeling fox-trot for piano, four hands.
In 1924 – a decisive year in his musical career – Gershwin began to compose a series of piano preludes, the quantity of which is still debated today. We know that Gershwin performed five of his preludes during a concert on 4 December 1926 and six of them on 16 January 1927. Only three
preludes, however, were eventually published by the composer. Gershwin
described the first of these, Allegro ben ritmato e deciso, as “Spanish”,
because of some of its melodic characteristics and its habanera-like
rhythm. The second, Andante con moto e poco rubato – one of Gershwin’s relatively few slow-tempo piano pieces – is, on the contrary, a sort
of blues lullaby that reveals, among other things, harmonic writing that
was strongly influenced by impressionism. Like many of Gershwin’s other best pieces, the third prelude, Allegro ben ritmato e deciso, is very
short and also has remarkably original harmonic underpinnings.
Wilhelm Grosz was born in Vienna in 1894 and died in New York
at the age of only 45. Like many other Jewish composers of his day, he
suffered from the Nazis’ shameful persecution, had to flee from his country (in 1934 he took refuge in England and then in the United States)
and found it difficult to acclimatise to countries whose mentality and
musical traditions were very different from those of his native country.
Although he started off as an avant-garde composer, he had to adapt –
in order to survive – by writing easy tunes, some of which even became
quite popular. Grosz wrote Jazzband, for violin and piano, in 1923, at
a time in which there were as yet no indications of the catastrophe that
would soon overtake his country, thereby determining for good his own
fate as a composer.
16.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
Alexandre Tansman (1897-1986)
Sonatine transatlantique
1. Fox Trot. Allegro
2. Spiritual and Blues
3. Charleston. Molto vivo
Claude Debussy (1862-1918)
Le petit nègre
George Gershwin (1898-1937)
Tre Preludi
1. Allegro ben ritmato e deciso
2. Andante con moto e poco rubato
3. Allegro ben ritmato e deciso
Wilhelm Grosz (1894-1939)
Jazzband
KARIN LECHNER, GEZA HOSZU-LEGOCKY
George Auric (1899-1983)
Adieu New York
FEDERICO E KARIN LECHNER
Improvvisazioni
FEDERICO LECHNER
43
44 __ Progetto Martha Argerich
La carriera e la fortuna di Antonín Dvořák non sarebbero state le stesse se il musicista boemo non avesse incontrato, in un
momento cruciale della sua vita, Johannes Brahms. Fu Brahms,
infatti, ad intuire le capacità e il “potenziale” del giovane compositore, e a raccomandarlo al suo editore Simrock, che da allora
in poi fu anche l’editore principe delle opere di Dvořák. Simrock
aveva uno spiccato talento per gli affari e fu dunque lui a suggerire a Dvořák una serie di composizioni, brevi e abbastanza facili, ispirate alle musiche della sua terra natale. Nacquero così, nel
1878, le Danze slave op. 46 per pianoforte a quattro mani (che poco tempo dopo, visto il grande successo editoriale, Dvořák si affrettò ad arrangiare per orchestra), che secondo le parole di uno
dei massimi studiosi di Dvořák, Jarmil Burghauser, «idealizzano e traspongono sul piano più elevato tutti gli elementi più tipici del folclore slavo, e specialmente boemo».
Nel corso della sua carriera di compositore, Bedřich Smetana
si occupò di musica da camera pochissime volte, e solo in occasioni molto particolari e dolorose della sua vita. A partire 1848,
dopo il fallimento dell’insurrezione anti-asburgica a Praga, Smetana decise di orientare in senso fortemente nazionalistico la propria produzione. Il teatro divenne dunque il luogo privilegiato
della sua attività, anche se Smetana cominciò a comporre seriamente per le scene solo a partire dal principio degli anni Sessanta. Il Trio in Sol minore op. 15 fu composto nel 1855 (Smetana aveva allora trentun anni), subito dopo la morte della figlia Bedriska
(Federica), scomparsa all’età di soli quattro anni.. Formato da tre
soli movimenti, profondamente pervasi (specialmente i primi
due) da un sentimento di malinconia, quasi di scoramento, il Trio
in Sol minore op. 15 fu accolto dapprima piuttosto freddamente
dal pubblico e solo in seguito ottenne un discreto successo - grazie anche al forte apprezzamento di Franz Liszt - pur senza mai
entrare stabilmente nel repertorio cameristico corrente
I due cicli di 15 piccoli pezzi pianistici intitolati Po zarostlém
chodníčku (letteralmente Su un sentiero ricoperto) furono composti da Leoš Janáček tra il 1902 e il 1911. I primi dieci brani sono
provvisti di sottotitoli che rimandano direttamente ad episodi
della vita del compositore, al ricordo dei giorni della sua giovinezze nel villaggio natale di Hukvaldy, in Moravia (nn. 1 – 7), oppure a momenti assai più dolorosi della sua vita, come la morte
dell’amatissima figlia Olga (n. 8, Ansietà indicibile: n. 9, In lacrime; n. 10, La civetta non ha preso il volo). I cinque pezzi della seconda serie non portano invece alcun sottotitolo, ma rivelano comunque un analogo tipo di scrittura strumentale, in cui melodie
di ascendenza popolare e a volte anche non prive di umori scherzosi sono spesso frammentate o interrotte da scale o successioni accordali atipiche, in un contesto di grande libertà formale.
Nato nel 1890 in un paese, Polycka, ai confini tra Boemia e
Moravia, Bohuslav Martinů è stato uno dei compositori più prolifici del ventesimo secolo, anche se di collocazione non facile
nella storia delle vicende musicali del Novecento. Dopo aver
esordito come autore di opere fortemente impregnate di valori
nazionalistici, Martinů sentì il bisogno di approfondire ulteriormente le proprie conoscenze musicali, specialmente dopo che le
tournées con la Filarmonica Cèca, di cui faceva parte come violinista, lo avevano portato in Italia e in Francia, facendogli conoscere gli ambienti musicali di quei due paesi. Formata da un solo movimento, la Sonatina per clarinetto e pianoforte fu composta
da Martinů nel 1956, tre anni prima della morte (che lo colse nel
1959 a Liestal, in Svizzera), ed è un’opera che presenta tutti i tratti più tipici dello stile ultimo del musicista cèco, primo tra tutti
l’abbandono della dialettica compositiva di stampo classico in favore di una continua proliferazione di nuove cellule tematiche.
Il Concertino per pianoforte e sei strumenti fu composto da Janáček nel 1925 e dedicato al pianista Jan Herman, che ne era stato l’ispiratore; la sua prima esecuzione ebbe luogo a Brno il 16
febbraio 1926. Formato da quattro brevi movimenti, questo singolare lavoro colpisce, innanzitutto, per la ricerca di nuova sonorità (specialmente pianistiche), e per la rapida alternanza – sperimentata con successo da Janáček anche nei due bellissimi
Quartetti per archi – tra passaggi incisivi, secchi e pieni di vigore, e improvvise e suggestive oasi liriche. I quattro movimenti,
in origine, avevano sottotitoli che rimandavano al mondo della
natura e degli animali, ma in seguito il compositore preferì
escluderli. All’ascolto, tuttavia, i riferimenti naturalistici appaiono, almeno in alcuni casi, molto evidenti.
__
The career and fortunes of Antonín Dvořák would not have
been what they were had the Bohemian composer not met Johannes Brahms at a critical moment in the former’s life. It was
Brahms who sensed the younger composer’s abilities and potential and who recommended him to his publisher, Simrock, who
also became and remained Dvořák’s main publisher. Simrock
had a strong business sense, and it was he who suggested that
Dvořák write a series of short and relatively easy pieces inspired
by the music of his native land. Thus the Slavonic Dances,
Op. 46, for piano duet, came into being. (They were so successful that Dvofiák quickly arranged them for orchestra.) According to Jarmil Burghauser, one of the most important Dvořák
scholars, these pieces “idealise all the most typical elements of
Slavic – and especially Bohemian – folklore and raise them to
a higher plane.”
During the course of his career as a composer, Bedřich
Smetana did not often occupy himself with writing chamber
music; when he did so, it was only at exceptional, sorrowful
moments in his life. Beginning in 1848, at the time of the failed
anti-Habsburg uprising in Prague, Smetana decided to aim his
creativity in a highly nationalistic direction. Thus the theatre
became his main sphere of activity, despite the fact that it was
only at the beginning of the 1860s that he began to write seriously for the stage. The Trio in G minor, Op. 15, was composed
in 1855, immediately after the death of his daughter, Bedřiska,
at the age of only four; Smetana was then thirty-one years old.
The trio has only three movements, and it is profoundly pervaded with a sense of melancholy or even discouragement, especially in the first two movements. It was at first received coldly by
the public but later achieved a degree of success (thanks in particular to Franz Liszt’s high opinion of it), although it never
entered the chamber repertoire in a permanent way.
Leoš Janáček composed his Po zarostlém Chodníčku (On
an Overgrown Path) – fifteen short piano pieces – between
1902 and 1911. The first ten pieces bear titles that are directly
related to episodes in the composer’s life: youthful memories of
his native Moravian village, Hukvaldy (Nos. 1-7), or much
more sorrowful moments in his life, such as the death of his
beloved daughter Olga (No. 8 – “Unspeakable Anxiety”; No. 9
– “In Tears”; No. 10 – “The Owl Has Not Taken Flight”). The
five pieces of the second set, however, have no titles, yet the piano writing is similar: melodies – some of them light-hearted –
derived from folk music are often fragmented or interrupted by
scales or by atypical chord sequences, within a context of great
structural freedom.
Bohuslav Martinů – one of the most prolific of twentiethcentury composers, but also one of the most difficult to place
within the musical-historical context of his time – was born in
1890 in the village of Polycka, on the Bohemian-Moravian border. After having debuted as the author of works that were very
much permeated with nationalistic values, Martinů felt a need
to broaden his musical horizons, especially after the tours he
had made as a violinist in the Czech Philharmonic had taken
him to Italy and France and had familiarised him with those
two countries’ musical environments. Martinů composed the
Sonatina for clarinet and piano in 1956, three years before
his death (in Liestal, Switzerland). The work demonstrates all
the most typical characteristics of the Czech musician’s late style
– above all, his abandoning of classical-type compositional forms
in favour of an ongoing proliferation of new thematic cells.
Janáček composed his Concertino for piano and six instruments in 1925, and he dedicated it to the pianist Jan Herman, who had inspired it. The first performance took place in
Břno on 16 February 1926. This singular work, which is made
up of four short movements, is striking above all for the search
for new sonorities (especially pianistic ones) and for the rapid
alternation of incisive, dry, vigorous passages with sudden,
evocative, lyrical oases. (Janáček had successfully used this
technique in his two beautiful string quartets.) The four movements had originally been given subtitles that referred to the
world of nature and of animals, but the composer later decided to remove them. In listening to the music, however, the references to nature seem highly evident, at least in many instances.
17.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
MUSICA BOHEMICA
Antonin Dvořák (1831-1904)
Danze slave
op. 46 n. 1 in do min.
op.72 n. 4 in si bem. min.
op. 72 n. 2 in mi min.
op. 46 n. 7 in do min.
LILY MAISKY, KARIN LECHNER
Bedrich Smetana (1824-1884)
Trio in sol min. op. 15
1. Moderato assai
2. Allegro ma non agitato - Alternativo (Andante) - Tempo I - Alternativo II (Maestoso) - Tempo I
3. Finale (Presto - Meno presto, tranquillo assai. Grave, quasi marcia - Tempo I)
FRANCESCO PIEMONTESI, ALISSA MARGULIS, MARK DROBINSKY
Leos Janáček (1854-1928)
Su un sentiero di rovi (estratti)
FRANCESCO PIEMONTESI
Bohuslav Martinů (1890-1959)
Sonatina
1. Moderato - Poco meno - Tempo I - Moderato
2. Allegro
3. Poco Allegro
MAREK DENEMARK, GILA GOLDSTEIN
Leos Janáček (1854-1928)
Concertino per pianoforte, due violini, viola, clarinetto, corno, fagotto
1. Moderato
2. Più mosso
3. Con moto
4. Allegro
MARTHA ARGERICH, ALISSA MARGULIS, LUCIA HALL, NORA ROMANOFF,
CORRADO GIUFFREDI, ZORA SLOKAR, VINCENT GODEL
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18.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
La Sonata in Fa minore op. 57 fu portata a termine da Beethoven nel 1805. Non mette conto, come sempre, interrogarsi sulla liceità del sottotitolo “Appassionata” escogitato postumo dall’editore Cranz di Amburgo e comunemente accolto da allora a
designare questa composizione. La Sonata si articola in tre soli
movimenti (manca lo Scherzo), ed una sorta di impressionante forza tellurica sembra scuotere i due movimenti estremi, conducendo il principio eminentemente beethoveniano dello scontro e dell’elaborazione dialettica dei temi a livelli di inaudita
potenza espressiva. A far da mirabile contrasto con i due granitici movimenti veloci sta poi il sereno Andante con moto in Re
bemolle maggiore, in cui un tema solenne come quello di un
corale funge da pretesto per tre luminose variazioni.
Scritta nel 1852-53, la Sonata in Si minore è l’opera che forse
meglio di tutte sintetizza le conquiste e le innovazioni linguistiche e formali di Franz Liszt, ed è formata da un solo, ampio movimento in cui appaiono fusi i movimenti tradizionali della sonata classico-romantica. La composizione si basa
essenzialmente sull’utilizzazione di tre temi (o “segmenti musicali”, come anche sono stati definiti) che circolano per tutta l’opera e che ne costituiscono l’ossatura formale. Il piano tonale liberissimo, l’assenza di sviluppi rigorosi, la violenza eccitata di
molti passaggi virtuosistici, fanno di questa sonata una delle pagine più avveniristiche e sperimentali di Liszt, destinata ad esercitare una profonda influenza su Wagner e su tutta la scuola
neo-tedesca (ed anche al di fuori di questa, a voler solamente citare il caso di César Franck). Al momento di pubblicarla, Liszt
la dedicò a Robert Schumann, quello stesso Schumann che,
molti anni prima, aveva dedicato a lui una delle sue opere pianistiche più libere e visionarie, la Fantasia in Do Maggiore op. 17.
Intorno al 1859, Franz Liszt scrisse due brani orchestrali ispirati al poema epico Faust del poeta austro-ungherese Nikolaus
Lenau. Il secondo di questi brani, intitolato inizialmente Danza nella bettola del villaggio, divenne poi, in versione pianistica,
il celebre Mephisto-Walzer. Il brano è, senza alcun dubbio, una
delle interpretazioni musicali più suggestive del mito faustiano;
in esso l’iniziale spunto di danza si fa preteso per una musica
ricca di ambivalenze e di ambiguità, ma anche traboccante, nello stupendo episodio centrale, “espressivo amoroso”, di una inaspettata, stravolta, seducente dolcezza. In conclusione, il ritmo
turbinoso e un po’ meccanico del valzer riprende il sopravvento, conducendo ad un finale veramente travolgente.
Quantitativamente ricchissima, la produzione cameristica di
Paul Hindemith annovera composizioni per organici strumentali anche atipici, come questo Trio per viola, Heckelphon (o sax
tenore) e pianoforte op. 47, scritto nel 1929. Articolato in due
tempi, il Trio si apre con un brano tripartito i cui tutti e tre gli
strumenti si presentano in successione. Apre la composizione,
con una sorta di rapida toccata, il pianoforte solo, che duetta poi
con il sax tenore, cui è affidata una melodia meditabonda e rapsodica; ai due strumenti si unisce infine la viola. Il secondo movimento, Potpourri, ha invece inizialmente un andamento più
sincopato, disinvolto e giocoso, che si complica però ben presto
attraverso un progressivo ispessimento del tessuto contrappuntistico, in un continuo trascolorare di atteggiamenti. Conclude
il movimento un Prestissimo ansioso e frenetico.
Beethoven completed the Sonata in F minor, Op. 57 in
1805. As usual, it is not worth looking into the legitimacy of the
subtitle “Appassionata”, wich was invented baythe Hamburg
publisher Cranz and has been used ever since. The sonata has
only three movements (there is no scherzo), and a sort of impressive, earthquake-like force seems to rock the two outer ones,
in wich the eminently Beethovenian principle of conflict and
dialectic development of the themes is brought to unheard-of
levels of expressive power. The serene, central Andante con
moto, in D-flat Major, makes a remarkable contrast with the
two fast movements, its theme, as solemn as a chorale, functions as a pretext for three luminous variations.
The Sonata in B minor, written in 1852-53, probably synthesises Franz Liszt’s linguistic and formal achievements and
innovations better than any of his other works. It consists of only one, extended movement within which the traditional movements of the classical-romantic sonata are joined together. The
composition is based, in essence, on the use of three themes (or
“musical segments”, as they have been described), that circulate through the entire work and form its structural
skeleton.The free tonal plan, the absence of rigorous development sections and the agitated violence of its many virtuosic
passages make the Sonata in B minor one of Liszt’s most
avant-garde, experimental pieces. It profoundly influenced
Wagner and the whole new German school, not to mention
such non-Theutonic composers as César Franck. Liszt dedicated the work to Robert Schumann, who, many years earlier, had
dedicated the Fantasy in C Major , Op. 17 - one of his freest
and most visionary work – to Liszt.
In about 1859, Franz Liszt wrote two orchestral pieces inspired by the epic poem Faust by the Austro-Hungarian poet
Nikolaus Lenau. The second of these pieces initially called
“Dance in the Village Tavern”, eventually became the famous
Mephisto-Waltz No. 1, for piano. The piece is undoubtedly
one of the most evocative of all the musical settings of the Faust
legend; its point of departure – the opening dance – is a pretext
for a piece that is full of ambivalence and ambiguities but that
also overflows with unespected, twisted, seductive sweetness in
its central “espressivo amoroso” episode. At the end of this section, the whirling and somewhat mechanical waltz rhythm
takes over once again and leads into a truly devastating finale.
Paul Hindemith’s extremely abundant chamber music output contains compositions for atypical instrumental combinations, including this Trio for viola, heckelphone (or tenor
saxophone) and piano, Op. 47, written in 1929. The first of
the trio’s two movements is structured in three parts, in each of
which one of the three instruments is successively introduced:
the solo piano starts off with a sort of quick-paced toccata; it
then dialogues with the tenor saxophone, which is given a meditative, rhapsodic melody, and the viola blends in last. The second movement, Potpourri, begins at a pace that is more syncopated, easygoing and playful, but it quickly becomes more
complicated through a progressive thickening of the contrapuntal texture, which creates a continuous change of musical
colour. The movement ends with an anxious, frenetic Prestissimo.
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata n. 23 in fa min. op. 57 “Appassionata”
1. Allegro assai
2. Andante con moto
3. Allegro ma non troppo
Franz Liszt (1811-1886)
Sonata in si min.
Lento assai - Allegro energico - Andante sostenuto - Allegro energico - Andante sostenuto - Lento assai
Mephisto-Waltz n.1
KATHIA BUNIATISHVILI
Paul Hindemith (1895-1963)
Trio op. 47
1. Solo, Arioso, Duett
2. Potpourri
KATHIA BUNIATISHVILI, PETRA HORVATH, NORA ROMANOFF
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19.06 - 18.00 - FONOTECA NAZIONALE SVIZZERA - AULA 418
Poeti e barbari: Jazz e avanguardia francese
Conferenza di ANNIE DUTOIT
(in francese)
Negli anni Dieci e Venti del Novecento l’America si impose nell’immaginario dell’avanguardia francese. Ai suoi occhi l’America rappresentava il compendio del moderno. In essa si fondevano il nuovo e il barbarico: i futuristici grattacieli d’acciaio, e la
violenza primitiva della nuova giungla urbana, i cui ritmi, frenetici e meccanici al tempo stesso, avevano lasciato il segno nella musica afro-americana, nel ragtime e nel jazz. Il jazz, la musica che i soldati americani diffusero durante la Prima Guerra
mondiale, divenne rappresentativo di un mondo in trasformazione. Il jazz era la metafora della nuova era – l’età del jazz – una
metafora della distruzione, del cambiamento e del ritorno all’istintualità. Cocteau lo descrisse come “pulsazione della Musa”,
rassicurante e inquietante a un tempo. Attraverso le opere di
Cocteau, Man Ray e altri, la relazione esplorerà l’influenza del
jazz sugli artisti d’avanguardia a Parigi.
In the 1910s and 20s, America captured the imagination of the
French avant-garde. In their eyes, America represented the epitome of the modern. It brought together both the new and the
barbaric: the futuristic steel skyscrapers, and the primitive violence of the new urban jungles, whose rhythms, at once frenetic
and mechanized, were captured by African-American music,
ragtime and jazz. It was jazz, the music that was disseminated by the American troops during the Great War, that became
representative of a world in transformation. Jazz was the metaphor for a new age ? the Jazz age ? a metaphor for destruction, change and a return to instincts. Cocteau described it as
the “pulse of the Muse,” at once reassuring and frightening.
Through the works of Cocteau, Man Ray, and others, this lecture will explore the influence of jazz on avant-garde artists in
Paris.
In collaborazione con
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20.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
Il Quartetto in Si bemolle maggiore per pianoforte e archi di
Carl Maria von Weber è un’opera giovanile, che il compositore
portò a termine nell’estate del 1809. Esso dimostra con chiarezza come Weber, compositore romantico per eccellenza nel
campo dell’opera, non si spingesse oltre la soglia di un classicismo di forte impronta mozartiana nell’ambito della musica
da camera: la quale annovera, peraltro, un numero di titoli
piuttosto esiguo (il più importante dei quali è, senza dubbio, il
bellissimo Quintetto per clarinetto e archi). Articolato nei quattro movimenti tradizionali, il Quartetto in Si bemolle maggiore
è formato da un Allegro in forma sonata di struttura molto regolare, seguito da un Adagio più libero e fantasioso da un Minuetto con un Trio dalla gustosa inflessione popolaresca e da
un Presto conclusivo che si apre su un fugato ricco di vigore e
di energia.
Robert Schumann scrisse le sue due Sonate per violino e
pianoforte tra il 12 settembre e il 2 novembre del 1851. Mentre
la prima Sonata (op. 105) si articola in tre soli movimenti, la seconda, (op. 121), è formata da quattro tempi, il primo dei quali, Ziemlich langsam – Lebhaft, è di gran lunga il più ampio, e
mostra, accanto alla sovraeccitazione ritmica tipica di Schumann, anche una scrittura strumentale riccamente concertante. La frenesia ritmica del primo movimento sembra trapassare anche nel successivo Sehr lebhaft, sorta di Scherzo con due
Trii. Il terzo movimento, Leise, einfach, è in realtà un tema con
variazioni che si susseguono senza soluzione di continuità.
Chiude la Sonata un Bewegt in cui la modernità inaudita del
linguaggio, teso e concentrato, raggiunge momenti di espressionistica violenza.
Affermatosi fin da ragazzo come “pianista prodigio”, SaintSaëns costituì un esempio perfetto di “virtuoso itinerante”,
pronto ad esibirsi anche nei luoghi più impensati. Le tournées
concertistiche lo portarono un po’ dappertutto, non solo in Europa, ma anche in India, in Africa e nelle Americhe, e spesso
egli non ebbe neppure un domicilio fisso, soggiornando a lungo ad Algeri, dove morì nel 1921. Lo Scherzo op. 87 fu composto a Cadice nel 1887. È una pagina piena di verve, animatissima, in cui ritroviamo senza difficoltà tutte le caratteristiche più
salienti del suo pianismo asciutto, antiromantico e con inflessioni, a volte, quasi percussive.
Astor Piazzolla è oggi giustamente considerato come uno
dei più importanti compositori argentini del Novecento. Certamente è il più eseguito. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, tuttavia, la musica di Piazzolla ha stentato parecchio prima di essere riconosciuta in tutta la sua grandezza
proprio in Argentina, dove molti seguaci delle formule tradizionali del tango non hanno accolto di buon grado le contaminazioni col jazz e la tradizione colta presenti nella musica del
compositore. Amico e sodale del più grande poeta argentino
contemporaneo, Jorge Luis Borges, Piazzolla ha dedicato a
Buenos Aires molti omaggi musicali, il più noto dei quali è costituito da Las cuatro estaciones porteñas (Le quattro stagioni di
Buenos Aires), quattro pagine straordinarie per densità poetica
e invenzione melodica, che possono essere considerate come
l’equivalente musicale delle mirabili evocazioni letterarie borgesiane.
Carl Maria von Weber’s Quartet in B-flat Major for piano and
strings is a youthful work, which the composer completed in the summer of 1809. It clearly demonstrates that Weber – a Romantic composer par excellence in the field of opera – would not overstep the
threshold of a decidedly Mozartian classicism in the area of chamber music; in the latter genre, moreover, his output was rather limited, the most important piece being, without a doubt, the beautiful
Quintet for clarinet and strings. Composed in the traditional fourmovement format, the Quartet in B-flat Major is made up of a
sonata-form Allegro, followed by a freer, more imaginative Adagio,
an enjoyably folk-like Minuetto with trio, and a final Presto that
begins with a richly vigorous, energetic fugato.
Robert Schumann wrote his two sonatas for violin and piano between 12 September and 2 November 1851. Whereas the first sonata
(in A minor, Op. 105) is in only three movements, the second (in
D minor, Op. 121) is in four, of which the first, Ziemlich langsam
– Lebhaft (Moderately slow – Fast), is by far the most substantial;
it exhibits, alongside its typically Schumannesque agitated rhythms,
a richly concertante style for both of the instruments. The first movement’s rhythmic frenzy seems to seep into the following Sehr lebhaft
(Very fast) – a sort of scherzo with two trios. The third movement,
Leise, einfach (Gently, simply), opens with a curious melody stated by the violin playing pizzicato, softly accompanied by the piano;
in reality, this is a theme with variations that follow each other uninterruptedly. The sonata ends with a movement marked Bewegt
(Brisk), in which the unprecedented modernity of the tense, concentrated musical language reaches moments of expressionistic violence.
Having established himself as a piano prodigy from Saint-Saëns
remained for the rest of his life a perfect example of the “itinerant virtuoso”, ready to perform in even the most unlikely places in order to
make his formidable piano technique known and have it admired.
His concert tours took him all over, not only within Europe but also
to India, Africa and the Americas; often, he did not even maintain
a permanent address, and he lived for quite a while in Algiers, where
he died in 1921. Saint-Saëns composed the Scherzo Op. 87, at
Cádiz, in 1887. The piece is very lively and full of verve, and it is
easy for us to find in it all the most salient characteristics of the
French composer’s pianistic style, which was clean-cut, anti-Romantic (later also anti-Impressionistic) and at times displaying almost
percussive inflections.
Astor Piazzolla is now justly considered one of the most important twentieth-century Argentine composers. He is certainly the most
frequently performed. Contrary to common belief, however, in Argentina Piazzolla’s music was not immediately recognised in all its
greatness, because many followers of the tango’s traditional formulas were unhappy with the composer’s admixtures of jazz and cultivated music in his works. As a friend and associate of Jorge Luis
Borges, Argentina’s greatest contemporary poet, Piazzolla dedicated many musical tributes to Buenos Aires; the most famous of these
is Las cuatro estaciones porteñas (The Four Seasons of Buenos
Aires) four pieces that are extraordinary for their poetic density and
melodic inventiveness, and that may be considered the musical
equivalents of Borges’s wonderful literary evocations.
Carl M. von Weber (1786-1826)
Quartetto in si bem magg. op. 8 (Jähns 76)
1. Allegro - Adagio ma non troppo. Più moto e con fuoco, Tempo I
2. Menuetto (Allegro)
3. Fantasia (Adagio)
4. Rondò (Allegro)
WALTER DELAHUNT, GEZA HOSSZU-LEGOCKY, LYDA CHEN, JORGE BOSSO
Robert Schumann (1810-1856)
Sonata n. 2 in re min. op. 121
1. Ziemlich langsam, Lebhaft
2. Sehr lebhaft
3. Leise, einfach
4. Bewegt
RENAUD CAPUÇON, MARTHA ARGERICH
Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Scherzo op. 87
LILYA ZILBERSTEIN, AKANE SAKAI
Astor Piazzolla (1921-1992)
Las cuatro Estaciones (arrangiamento José Bragato)
1. Primavera Porteña
2. Verano Porteño
3. Otoño Porteño
4. Invierno Porteño
ALEXANDER GURNING, ALISSA MARGULIS, ALEXANDRE DEBRUS
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52 __ Progetto Martha Argerich
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21.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
La data di composizione dell’Andante con variazioni per
pianoforte a quattro mani KV 501 di Wolfgang Amadeus Mozart è ancor oggi sconosciuta, ma si è supposto che essa risalga all’inverno del 1786. La composizione, insieme con le
12 Variazioni per pianoforte KV 500, faceva parte di una serie
di titoli di esecuzione relativamente facile che l’editore Hoffmeister diede alle stampe l’anno successivo. A giudizio di alcuni studiosi, Mozart aveva concepito inizialmente le variazioni per due pianoforti, ripiegando poi su una versione per
pianoforte a quattro mani, più facilmente smerciabile, forse
su suggerimento dello stesso editore. Il tema dell’Andante
non è mai stato identificato, e si suppone dunque che esso
sia originale di Mozart. Le variazioni sono in tutto cinque, assai ben elaborate e con momenti di dialogo raffinato tra i due
esecutori.
La Sonata n. 1 in Sol maggiore per violino e pianoforte op. 78
fu portata a termine da Brahms nel 1878, nel villaggio di
Pörtschach, in cui fu composto anche, quasi nello stesso periodo, il Concerto per violino. Formata da tre soli tempi, la Sonata n. 1 si apre con un Vivace ma non troppo dall’andamento fluido e cantabile, del tutto privo di connotazioni
virtuosistiche. Impronta squisitamente liederistica troviamo anche nel secondo tempo, un malinconico e autunnale
Adagio in Mi bemolle maggiore. Il tema principale del finale, Allegro molto moderato, è basato sul Lied op. 59 n. 3, il cosiddetto Regenlied (Canto della pioggia); per questo motivo la
composizione è anche nota, nei paesi di lingua tedesca, col
titolo di Regensonate. Questo è forse il brano più riuscito dell’intera composizione, che il severo critico Eduard Hanslick
considerava come una delle gemme più preziose della produzione cameristica brahmsiana.
Scritte tra il 1819 e il 1823, le 33 Variazioni su un tema di
Diabelli op. 120 costituiscono uno dei punti più alti della produzione pianistica dell’ultimo Beethoven. Il motivo che sta alla base della loro composizione è noto: nel 1819 il compositore ed editore Anton Diabelli chiese a tutti i musicisti più
importanti allora attivi a Vienna (tra cui anche Schubert,
Liszt, Hummel, Moscheles e Czerny) di scrivere ciascuno
una variazione sul tema di un suo valzer, in vista della pubblicazione di una raccolta che, alla fine, riunì i nomi di oltre
cinquanta autori. Anche Beethoven fu naturalmente interpellato, ma il suo lavoro venne progressivamente ad ampliarsi fino ad assumere la forma definitiva delle 33 Variazioni che
oggi conosciamo, e quindi fu pubblicato separatamente, per
quanto sempre da Diabelli, nel 1823. La Vaterländischer Künstlerverein (questo fu il nome che Diabelli escogitò per la raccolta di variazioni sul suo tema) vide invece la luce a Vienna
un anno dopo, nel 1824.
The date of composition of Wolfgang Amadeus Mozart’s
Andante and Variations for piano, four hands, K. 501, is unknown even today, but it was probably written during the winter of 1786. This work, together with the Twelve Variations for
piano, K. 500, was part of a series of relatively easy-to-play pieces that the publisher Hoffmeister printed the following year.
Some scholars believe that Mozart had originally conceived the
variations for two pianos but had fallen back on a version for
one piano, four hands – perhaps at the publisher’s suggestion
– because it would be more saleable. The Andante’s theme has
never been traced, thus it is supposed that it was an original
one by Mozart. There are five variations in all; they are well
developed, and there are moments of refined dialogue between
the two performers.
Brahms completed his Sonata No. 1, in G Major, for
violin and piano, Op.78, in 1878 in the Austrian village of
Pörtschach, where he also composed his Violin Concerto, almost contemporaneously. The three-movement sonata begins
with a fluidly paced, lyrical Vivace ma non troppo that completely shuns virtuosic display. The second movement – also
very lyrical – is a melancholy, autumnal Adagio in E-flat Major. The main theme of the finale, Allegro molto moderato,
is based on the Lied, Op. 59, No. 3, called Regenlied (Rain
Song) – which explains why this work is known in Germanspeaking countries by the nickname Regensonate. This is perhaps the most effective movement of the entire composition,
which the severe critic Eduard Hanslick considered one of the
gems of Brahms’s chamber music output.
The Thirty-three Variations on a Theme of Diabelli, Op.
120, constitute one of the high points among the works that
Beethoven wrote for piano during his last years. The reason behind their composition is well known: in 1819, the composer
and publisher Anton Diabelli asked the most important musicians then living in Vienna (including Schubert, Liszt, Hummel, Moscheles and Czerny) to write one variation each on a
waltz theme that he had composed; the intention was to publish a collection that, in the end, gathered together the names
of over fifty composers. Beethoven, too, was of course asked to
participate, but his work grew and grew until it took on the
thirty-three-variation form by which we know it today; it was
published separately by Diabelli in 1823. The Vaterländischer
Künstlerverein (Artists’ Association of the Fatherland), as
Diabelli called the collection of variations on his theme, saw
the light of day in Vienna during the following year, 1824.
Wolfgang A. Mozart (1756-1791)
Andante e variazioni K 501
MARTHA ARGERICH, STEPHEN KOVACEVICH
Johannes Brahms (1833-1897)
Sonata in sol magg. op. 78
1. Vivace ma non troppo
2. Adagio
3. Allegro molto moderato
DORA SCHWARZBERG, STEPHEN KOVACEVICH
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
33 Variazioni sopra un valzer di Diabelli op.120
Tema (Vivace)
Variazione 1. Alla Marcia maestoso
Variazione 2. Poco allegro
Variazione 3. L'istesso tempo
Variazione 4. Un poco più vivace
Variazione 5. Allegro vivace
Variazione 6. Allegro ma non troppo e serioso
Variazione 7. Un poco più allegro
Variazione 8. Poco vivace
Variazione 9. Allegro pesante e risoluto
Variazione 10. Presto
Variazione 11. Allegretto
Variazione 12. Un poco più moto
Variazione 13. Vivace
Variazione 14. Grave e maestoso
Variazione 15. Presto scherzando
Variazione 16. Allegro
Variazione 17. Allegro
Variazione 18. Poco moderato
Variazione 19. Presto
Variazione 20. Andante
Variazione 21. Allegro con brio — Meno allegro
Variazione 22. Allegro molto (alla “Notte e giorno faticar” di Mozart)
Variazione 23. Allegro assai
Variazione 24. Fughetta (Andante)
Variazione 25. Allegro
Variazione 26. (Piacevole)
Variazione 27. Vivace
Variazione 28. Allegro
Variazione 29. Adagio ma non troppo
Variazione 30. Andante sempre cantabile
Variazione 31. Largo, molto espressivo
Variazione 32. Fuga (Allegro - Poco adagio)
Variazione 33. Tempo di Menuetto moderato, ma non tirarsi dietro
STEPHEN KOVACEVICH
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54 __ Progetto Martha Argerich
Nel 1903, il Conservatorio di Parigi decise di aprire un corso di studi dedicato all’arpa cromatica, e poco tempo dopo la
casa musicale Erard, una delle più importanti produttrici
mondiali dello strumento, commissionò al non ancora trentenne Maurice Ravel una nuova composizione in cui l’arpa
fosse utilizzata come protagonista. Nacque così, nel 1905. l’Introduzione e Allegro per arpa, flauto, clarinetto e quartetto d’archi, opera che ebbe la sua prima esecuzione a Parigi il 22 febbraio 1907 (all’arpa sedeva la celebre Micheline Kahn), e che
noi ascolteremo oggi in una versione per due pianoforti. Amabile e disimpegnata, l’Introduzione e Allegro è una pagina ricca di fascino sonoro, priva di eccessive complicazioni armoniche, tutta giocata sulle capacità evocative dello strumento a
corde pizzicate e sulla raffinatezza degli impasti timbrici tra
le sonorità dell’arpa e quelle degli altri strumenti.
Il Quartetto in Do minore per pianoforte e archi fu portato a
termine da Richard Strauss il primo gennaio del 1885, e fu
pubblicato nella primavera del 1886, con una dedica al conte
Georg II di Meiningen, alla cui corte Strauss lavorò come Kapellmeister per qualche mese. L’opera vinse anche il concorso del Tonkünstlerverein di Monaco per un quartetto con pianoforte, sicché non si può escludere che Strauss abbia
composto il suo lavoro proprio in vista di tale concorso. Pur
essendo opera di un musicista poco più che ventenne, il quartetto ha un’impronta sicuramente personale, anche se non
mancano occasionali omaggi a Schumann e, soprattutto, a
Brahms. Ma l’accalorata pregnanza dei temi, l’enfatica scolpitura delle frasi musicali, il pathos dilagante, conducono ben
presto Strauss molto lontano dai modelli di partenza, specialmente in quella che è forse la pagina più riuscita del quartetto, l’Andante in La bemolle maggiore, traboccante di lirismo,
con la sua melodia che si distende senza alcuna fretta, per ampi intervalli, trascolorando dal pianoforte ai tre archi.
I primi tre numeri d’opus del catalogo delle composizioni a stampa di Felix Mendelssohn Bartholdy sono occupati da
tre Quartetti per pianoforte e archi. Si tratta di tre lavori scritti tra i quindici e i sedici anni ed oggi di esecuzione piuttosto
rara, e tuttavia ricchissimi di idee musicali di prim’ordine: come enfant prodige nel campo della composizione, in effetti,
Mendelssohn non fu secondo a nessuno, neppure a Mozart.
Il più celebre di questi Quartetti è sicuramente il terzo op. 3,
in Si minore, che il giovane compositore dedicò a Wolfgang
Goethe; ma anche il Quartetto n. 1 in Do minore op. 1, che inaugura la serie, rivela già nel bell’Allegro vivace d’apertura i suoi
molti meriti. A questo primo movimento seguono poi un toccante Adagio di chiara impronta beethoveniana, un Presto tutto pervaso da un inesauribile slancio motorio e, in conclusione, un Allegro moderato in cui gli omaggi a Beethoven si
alternano a cospicue concessioni al più brillante stile Biedermeier.
La Sonata per violino e pianoforte op. 18 è una delle più importanti tra le non molte opere cameristiche lasciateci da Richard Strauss. Formata da tre movimenti, si apre con un Allegro ma non troppo mosso e dalla ricca invenzione melodica, in
cui però l’esuberante fantasia del compositore sembra dilatare la forma moltiplicando sviluppi e idee secondarie, con frequenti concessioni ad un certo eclettismo stilistico. Di questo
distacco dall’equilibrio classico, presago di tempi nuovi, è eccellente testimonianza il successivo Andante cantabile, in La
bemolle maggiore, sottotitolato Improvisation, in cui l’elegante grazia melodica ha ben presto la meglio sulla profondità
espressiva. L’Allegro conclusivo è preceduto da nove battute affidate esclusivamente al pianoforte, di carattere cupo e meditativo. L’irruzione dell’Allegro risulta così imprevista e, in un
certo senso, più teatrale. Non di meno questo movimento mostra un carattere espressivo chiaramente definito, grazie anche ad uno sviluppo teso e drammatico, con una ripresa e una
coda trionfali.
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In 1903 the Paris Conservatoire initiated a course of study
dedicated to the chromatic harp, and shortly thereafter the Erard Company – one of the most important manufacturers of
harps in the world – commissioned the not yet thirty-year-old
Maurice Ravel to write a composition in which the harp would
be the protagonist. This is the origin of the Introduction and
Allegro for harp, flute, clarinet and string quartet (1905),
which had its first performance in Paris on 22 February 1907,
with the celebrated Micheline Kahn as harpist. We will hear
it today in a two-piano version. The Introduction and Allegro is a warm, easygoing piece, full of fascinating sounds and
by no means excessively complicated, harmonically. Everything depends on the evocative capacities of the harp’s plucked
strings and on the refinement of its sonorities, as well as on
those of the other instruments.
Richard Strauss completed his Quartet in C minor for piano and strings on 1 January 1885; it was published in the
spring of 1886, with a dedication to Duke Georg II of Meiningen, at whose court Strauss worked as Kapellmeister for a few
months. The work also won the piano quartet competition of
the Munich Musicians’ Society, and it is possible that Strauss
composed the piece with a view to participating in the competition. Although it was written by a musician who was barely
more than twenty years old, the quartet has a distinctly personal imprint, notwithstanding occasional nods to Schumann
and, above all, Brahms. But the heated meaningfulness of the
themes, the emphatic limning of musical phrases and the overall pathos quickly carry Strauss far away from his models, especially in the Andante (A-flat Major), which is perhaps the
piece’s most successful section: it overflows with lyricism, and
its melodic line opens up unhurriedly and in broad intervals,
with colours passing between the piano and the three stringed
instruments.
The first three opus numbers in the catalogue of Felix
Mendelssohn-Bartholdy’s published compositions are occupied by three quartets for piano and strings. These works were
written when he was fifteen to sixteen years old; they are not
often played, and yet they are full of first-rate musical ideas.
As a child prodigy in the field of composition, Mendelssohn
was second to no one – not even to Mozart. The best known of
these quartets is surely the third, Op. 3, in B minor, which
the young composer dedicated to Goethe. But even the beautiful opening Allegro vivace of the Quartet No. 1, in C minor,
Op. 1, with which the series begins, reveals all the work’s
virtues. This first movement is followed by a touching Adagio,
clearly Beethovenian in nature, then by a Presto of inexhaustible rhythmic drive and, finally, by an Allegro moderato in which tributes to Beethoven alternate with conspicuous
concessions to more brilliant Biedermeier tastes.
The Sonata for violin and piano, Op. 18, is one of the
most important of Richard Strauss’s relatively few chamber
works. The three-movement piece opens with a quick, melodically rich Allegro ma non troppo, in which, however, the
composer’s exuberant imagination seems to dilate the form by
multiplying developments and secondary ideas, with many
concessions to stylistic eclecticism. The following Andante
cantabile in A-flat Major, subtitled “Improvisation”, is an excellent example of Strauss’s disconnection from classical equilibrium and a premonition of things to come: elegant melodic
grace quickly gains the upper hand over expressive depth. The
final movement begins with nine dark, meditative bars for piano solo; the explosion of the Allegro is thus very sudden and,
in a sense, more theatrical. Yet this movement demonstrates a
clearly defined expressive nature, thanks also to a tense, dramatic development section, which is followed by a recapitulation and a triumphal coda.
22.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
Maurice Ravel (1875-1937)
Introduzione e Allegro (versione per 2 pianoforti dell’autore)
GIORGIA TOMASSI, ALESSANDRO STELLA
Richard Strauss (1864-1949)
Quartetto per pianoforte e archi
1. Allegro
2. Presto
3. Andante
4. Finale (Vivace)
NICHOLAS ANGELICH, RENAUD CAPUÇON, LYDA CHEN, GAUTIER CAPUÇON
Felix Mendelssohn (1809-1847)
Quartetto in do min. op. 1 n. 1
1. Allegro
2. Andante marciale
3. Larghetto sensibile
4. Presto
MARTHA ARGERICH, DORA SCHWARZBERG, LYDA CHEN, MISCHA MAISKY
Richard Strauss (1864-1949)
Sonata in mi bem. magg. op. 18
1. Allegro ma non troppo
2. Improvvisazione (Andante cantabile)
3. Finale (Andante - Allegro)
RENAUD CAPUÇON, NICHOLAS ANGELICH
55
56 __ Progetto Martha Argerich
Heitor Villa Lobos è stato il più importante compositore brasiliano del XX secolo. La sua formazione fu quella di un autodidatta; imparò a suonare da solo il pianoforte, il violoncello, alcuni strumenti a fiato, e come autodidatta iniziò anche a comporre,
lasciandoci una sterminata molte di lavori, di varia qualità, tra
cui anche diversi Chôros destinati ai più diversi organici strumentali. Nella musica popolare brasiliana, il chôro è una forma
di improvvisazione, ma Villa Lobos usa questo termine per riferirsi a tutte le diverse modalità della musica del suo paese, risalenti alle tradizioni dei popoli che lo hanno formato (indios, africani, europei). Il Chôro n. 5 per pianoforte fu composto nel 1925
e porta il sottotitolo “Alma brasileira”; si tratta di una breve pagina in tempo lento, con una sezione centrale ritmicamente più
agitata, sorta di esplosione vitalistica che ben presto si smorza
per lasciare il posto ad una conclusione più pacata.
Nato a Rio de Janeiro da genitori spagnoli, Lorenzo Fernandez ebbe un’educazione musicale europea, benché sia entrato all’Istituto nazionale di musica solo a 20 anni, dopo una formazione umanistica scelta in funzione della scelta di studiare
medicina (poi abbandonata). La sua inclinazione per la musica
si manifestò presto attraverso la pratica di improvvisazione al
pianoforte che lo avvicinò all’esperienza della musica popolare
del proprio paese. Dalle danze in particolare ricavò ispirazione
per molte composizioni strumentali, alle quali appartiene la terza Suite brasileira per pianoforte composta negli anni 1940-42, il
cui ultimo brano (Jongo) è una danza negra.
I pezzi che compongono la virtuale "trilogia argentina" di
Eduardo Hubert sono nate in periodi diversi e per diverse ragioni.
Humauala è stato il primo ad essere concepito anche se finito
quattro anni più tardi del Fantango, il quale proviene dalla sintesi di due nomi “fantasia” e “tango” sulle note di BACH. Infatti è
stato commissionato per un festival di musica contemporanea a
Roma nel 1985 nell'anniversario della nascita del grande compositore. Esso si basa sulle quattro note che formano il nome di
Bach in modo contrappuntistico e con un paio di temi tolti dai
preludi del Clavicembalo ben temperato. Humauala, ispirato ad un
momento di personale approccio alle montagne della Cordigliera delle Ande, proviene anche dalla sintesi di due nomi: Humahuaca (regione del nordovest argentino) e vidala (canzone del
centro nord). Malambo invece è sorto come sigla di una trasmissione della RAI in 8 puntate chiamata appunto Malambo. Malambo è la danza più conosciuta del gaucho che si prodiga in
acrobazie e virtuosismi. Nella versione originale esso viene accompagnato dal bombo, strumento di percussione molto usato
nel folklore argentino.
Nato a Buenos Aires nel 1916 da padre catalano e madre italiana, Alberto Ginastera ha rappresentato uno dei punti più alti
della musica argentina del XX secolo, realizzando opere ispirate
da un lato alle tradizioni popolari della sua terra natale, ma dall’altro aperte anche alle esperienze più originali ed innovative
della musica occidentale. Sebbene profondamente legato al nazionalismo musicale, particolarmente rigoglioso in Argentina
negli anni 30 e 40, Ginastera ha saputo dunque forgiarsi un linguaggio musicale di notevole originalità, che gli ha procurato
ampi riconoscimenti a livello internazionale. Le Tres Danzas Argentinas furono composte nel 1937. Il primo dei tre pezzi, El viejo boyero (Il vecchio bovaro) ha un carattere decisamente motoristico e nervoso, mentre il secondo pezzo, La moza donosa (La
ragazza graziosa) ha invece un andamento languido e cantabile,
pieno di malinconia. Chiude il trittico El gaucho matrero (Il gaucho astuto), dalla scansione ritmica precipitata e incalzante.
I pezzi che compongono la raccolta degli Humoreske op. 20 furono composti da Schumann nel 1839. La raccolta è riconducibile ad altre consimili composizioni pianistiche schumanniane,
anche se qui i nove piccoli pezzi non sono contraddistinti da titoli caratteristici o evocativi, ma da semplici indicazioni di movimento e la struttura tonale appare piuttosto rigida, dal momento che tutti e nove i brani sono scritti nella tonalità di Si bemolle
maggiore – con qualche occasionale scivolamento nel relativo
minore. Una grande mutevolezza di stati d’animo caratterizza i
nove brani, con momenti di meravigliosa intimità espressiva e
poesia delicatissima nei brani in tempo lento.
__
Heitor Villa-Lobos, was the most important Brazilian composer
of the 20th century. He was basically self-educated: he learned to
play the piano, cello, and a few wind instruments on his own,
and he even began to teach himself to compose, eventually leaving a vast quantity of works that vary in quality. Among these
there are various Chôros for the most widely variegated instrumental combinations. In Brazilian folk music, the chôro is an
improvisational form, but Villa-Lobos uses the term to refer to all
of his country’s various types of music, which draw upon the traditions of the peoples who inhabited Brazil: Indios, Africans and
Europeans). The Chôro No. 5, for piano, was composed in 1925
and is subtitled Alma brasileira (Brazilian Soul); it is a short
piece in a slow tempo, with a more rhythmically agitated middle
section – a sort of life-enhancing explosion that quickly calms
down and gives way to a more tranquil ending.
Born to Spanish parents in Rio de Janeiro, Lorenzo Fernandez had a European-style musical education, although he entered the National Music Institute only at the age of 20; he had
originally had a humanistic education and had later abandoned
medical studies. His musical inclinations were manifested early
on through his improvisations at the piano, which brought him
into contact with his country’s folk music. Dance music, in particular, inspired many of his instrumental compositions – among
them, the third Suite brasileira for piano, composed in 1940-42,
which ends with a Jongo (black dance).
The three pieces that comprise what is virtually an “Argentine
Trilogy” by Eduardo Hubert were written at different times and
for different reasons. Humauala was actually the first to have
been conceived, although it was completed only four years after
the Fantango, which blends the terms fantasia and tango and
makes use of the notes B-A-C-H. It was commissioned for a contemporary music festival in Rome in 1985 – the 300th anniversary of the great composer’s birth. It treats the four notes contrapuntally, and two of its themes are taken from preludes from The
Well-Tempered Clavier. Humauala was inspired by a personal trip to the Andes mountain range; its title combines two
names: Humahuaca, a region in Northwest Argentina, and vidala, a type of song from North-Central Argentina. Malambo,
on the other hand, grew out of an eight-part RAI (Italian radio)
series of broadcasts by that name: it is the best-known dance of
the gauchos, full of acrobatics and virtuosic displays. It is meant
to be accompanied by the bombo, a percussion instrument often
used in Argentine folk music.
Alberto Ginastera, who was born in 1916 to a Catalan father
and an Italian mother, was one of the greatest representatives of
20th-century Argentine music. He created works that were inspired by the folk traditions of his native land, but, on the other,
he was open to the most original, innovative sides of Western music. Although he was deeply involved in musical nationalism,
which thrived in Argentina during the 1930s and ‘40s, Ginastera
was able to forge a remarkably original musical language that
won him much international recognition. The Tres danzas argentinas were composed in 1937. El viejo boyero (The Old
Herdsman) – the first piece - is decidedly motor-like and skittish,
whereas the pace of the second one, La moza donosa (The Lovely Girl), is languid, lyrical and full of melancholy. Last of the
three pieces, El gaucho matrero (The Astute Gaucho) is rhythmically dashing and increasingly heated.
Schumann composed the nine pieces that make up his Humoreske, Op. 20, in 1839. The series is similar in many ways
to other piano compositions by Schumann, although the present
pieces are not given typical or evocative names; they bear only
tempo indications – in German, rather than in the traditional
Italian – and the tonal structure seems rather rigid, inasmuch
as all nine pieces are in the key of B-flat Major, with occasional
ventures into the relative minor. As always in compositions of
this sort, quick changes in soul-state are common here. The slow
movements contain moments of marvelous expressive intimacy
and delicate poetry, as, for instance, in No. 1, Einfach (Simply),
and No. 5, Innig (Intimately).
23.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
Heitor Villa-Lobos (1887-1959)
Chôros n. 5
Lorenzo Fernandez (1897-1948)
Jongo (danza negra)
Eduardo Hubert (*1947)
Fantango
Humauala
Malambo
Alberto Ginastera (1916-1883)
Tres danzas argentinas
1. El viejo Boyero
2. La Moza Donosa
3. El Gaucho Matrero
Robert Schumann (1810-1856)
Humoreske op. 20
1. Einfach
2. Sehr rasch und leicht
3. Hastig
4. Einfach und zart
5. Innig
6. Sehr lebhaft. Stretta
7. Mit einigem Pomp
8. Zum Beschluss
EDUARDO HUBERT
Jorge Bosso (*1966)
Duo I
DORA SCHWARZBERG, JORGE BOSSO
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58 __ Progetto Martha Argerich
L’esordio editoriale di Beethoven avvenne, nel 1795, con una
serie di tre Trii per pianoforte, violino e violoncello op. 1 dedicati al
principe Lichnovsky che il giovane musicista aveva portato a termine poco tempo prima e certamente non costituivano la sua
“opera prima”, ma solo la prima che egli avesse ritenuto degna
di dare alle stampe. Il Trio n. 1 in Mi bemolle maggiore, si apre con
un Allegro in cui non è difficile cogliere echi haydniani. Molto più
personale e chiaramente individuato è invece il bell’Adagio cantabile, in La bemolle maggiore, dall’andamento tranquillo e pacato, ma sempre ricco di idee melodiche. Un’impronta personale
ha anche lo Scherzo, dai tratti sovente bizzarri e scherzosi, che ormai ha ben poco da spartire con il tradizionale Minuetto. Chiude
la composizione un Finale, Presto in forma sonata dalla scrittura
pianistica particolarmente brillante.
Saint-Saëns ebbe un giorno a dire di sé che per lui scrivere
musica era come, per un albero, produrre delle mele, volendo
indicare quanto naturale e spontaneo gli venisse riempire fogli di carte pentagrammata. In effetti la sua produzione musicale è vastissima, anche se le opere rimaste nel repertorio corrente sono tutto sommato abbastanza poche. Tra queste, un
ruolo di primo piano spetta alla Danse macabre, un breve lavoro orchestrale ispirato ad un poema di Henri Cazalis in cui la
Morte suona il suo violino in un cimitero, a mezzanotte, per
far danzare gli scheletri. Nella versione orchestrale, la danza
degli scheletri è evocata con molto umorismo dal suono dello
xilofono; solo all’alba, dopo che il Dies Irae è risuonato e dopo
che il canto del gallo ha annunciato il sorgere del nuovo giorno, gli scheletri fanno mestamente ritorno nelle loro tombe.
“Una volta era un’orgiastica diavoleria, oggi è un modo di
camminare”. Così Jorge Luis Borges ha definito, una volta, il
tango: e ancora: “Si direbbe che senza i crepuscoli e le notti di
Buenos Aires non possa nascere un tango, e che in cielo attenda, noi argentini, l’idea platonica del tango, la sua forma universale”. Il programma di oggi propone tre tanghi di Astor
Piazzolla, due dei quali (Oblivion e Libertango) sono da tempo
tra le opere più note ed eseguite di questo autore; li propone in
un arrangiamento per due pianoforti, da cui è escluso dunque
lo strumento più caratteristico delle composizioni originali di
Pazzolla, il bandoneòn, a conferma di come questa musica, per
quanto così legata alle tradizioni dei luoghi che l’hanno vista
nascere (i quartieri malfamati del porto di Buenos Aires, e in
particolare quello della Boca, popolato da immigrati italiani),
contenga in sé una carica di universalità che ne permette gli
usi più svariati senza troppo snaturarne il senso.
Quantitativamente piuttosto limitata, la produzione di Antonin Dvořák per violino e pianoforte trova nella Sonatina in Sol
maggiore op. 100 e nella Sonata in Fa maggiore op. 57 le sue
espressioni più significative. Delle due composizioni è sicuramente la Sonatina – composta nel 1893 negli Stati Uniti e largamente basata su materiali musicali di derivazione americana – a
godere oggi di maggior popolarità. La Sonata op. 57, scritta nel
1880, è invece un lavoro di più schietta ascendenza brahmsiana,
anche se la tematica rivela spesso una chiara ispirazione folclorica boema. La breve composizione si apre con un Allegro ma non
troppo che è forse la pagina in cui le reminiscenze di Brahms sono più evidenti; ma già il successivo Poco sostenuto, gentile e meditativo, è una pagina del più puro Dvořák. Conclude la composizione un esuberante e festoso Allegro molto in forma di rondò.
La Sonata per violoncello e pianoforte n. 1 in Mi minore op. 38 fu
scritta da Brahms nel 1865, in un periodo in cui la personalità
musicale del compositore manifestava con chiarezza il proprio
affrancamento dai giovanili modelli schumanniani. In questo
senso sono anche da intendere gli ammiccamenti di gusto vagamente neoclassico presenti in quest’opera, e destinati a rimanere caratteristica costante del linguaggio di Brahms. La Sonata in
Mi minore presenta una struttura in tre soli movimenti, perfettamente equilibrata in termini musicali. In effetti, il sognante lirismo che impregna tutto il lungo, mirabile primo tempo (Allegro
non troppo), finisce per rendere del tutto superfluo il tradizionale movimento lento; un’ampia sezione cantabile è del resto presente anche nell’Allegretto quasi Minuetto, mentre l’Allegro conclusivo, ricco di spunti contrappuntistici, mette in mostra una
scrittura strumentale di tipo decisamente più brillante.
__
In 1795 Beethoven published the earliest of his works that he
considered to be fully mature: the three Trios for piano, violin
and cello, Op. 1, dedicated to Prince Lichnowsky. The fourmovement Trio No. 1, in E-flat Major, begins with an Allegro
in which echoes of Haydn can be heard without difficulty,
whereas the Adagio cantabile, in A-flat Major, is much more
personal and more clearly individualised, with its peaceful,
tranquil pace and bounteous melodic invention. The Scherzo,
too, bears a personal imprint: its frequently bizarre, jocular
traits are already far removed from the traditional third-movement minuet. A finale (Presto) in sonata form, characterised
by particularly brilliant piano writing, brings the composition
to a close.
Saint-Saëns once said that he produced music as an apple tree
produces apples. By this he meant that it was natural and spontaneous for him to fill music paper with notes. In fact, the musical output of Saint-Saëns is extremely vast, although the works that have
remained in the repertoire are rather few, when all is said and done.
Among those that have endured, the Danse macabre certainly plays
a leading role. This short orchestral piece was inspired by a poem by
Henri Cazalis in which Death plays his violin in a cemetery at midnight, to make the skeletons dance. In the orchestral version, the skeletons’ dance is humorously described by the sound of the xylophone;
it is only at dawn, after the Dies Irae has sounded and the rooster
has announced the arrival of the new day, that the skeletons sadly return to their tombs.
“Once, it was orgiastic deviltry; now, it’s a way of walking.” This
is how Jorge Luis Borges once defined the tango. He also declared: “It
could be said that without Buenos Aires’s twilights and nights a tango could not be born, and that the platonic idea of tango, the universal form of tango, awaits us Argentines in heaven.” Today’s programme includes three tangos by Astor Piazzolla, of which two
(Oblivion and Libertango) have long been among this composer’s
best known and most often played works. We shall hear them in an
arrangement for two pianos, which therefore excludes the bandoneón
– the instrument that most typifies Piazzolla’s original compositions.
This confirms the fact that this music, however tied up it is with the
traditions and places where it was born (the ill-famed quarter of
Buenos Aires’s port area, and especially the Boca, inhabited by Italian immigrants), contains within itself a degree of universality that
allows it to be used in the most variegated ways without grossly betraying its original meaning.
The most significant works in Antonín Dvořák’s rather limited repertoire of music for violin and piano are the Sonatina
in G Major, Op. 100, and the Sonata in F Major, Op. 57. Of
the two, it is the sonatina – composed in the United States in
1893 and largely based upon American-derived musical material – that surely enjoys more popularity. The Sonata, Op. 57,
written in 1880, clearly owes a great deal to Brahms, even
though many of the themes were obviously inspired by Bohemian folk music. The brief work opens with an Allegro ma non
troppo that is probably its most Brahmsian segment, whereas
the gentle, meditative Poco sostenuto that follows is pure
Dvořák. The composition ends with an exuberant, festive Allegro molto in rondo form.
Brahms wrote his Sonata No. 1, in E minor, for cello and
piano, Op. 38, in 1865, during a period in which the composer’s musical personality clearly demonstrated its liberation from
its youthful, Schumannesque model. This also helps us to understand the flirtation with vaguely neoclassical ideas that are
to be found in this work and that would then remain a constant
in Brahms’s musical language. The Sonata in E minor is made
up of only three movements that are perfectly equilibrated, in
musical terms. The dreamy lyricism that permeates the long,
wonderful first movement (Allegro non troppo) would have
made a traditional slow movement entirely superfluous; for that
matter, there is a substantial lyrical section in the Allegretto
quasi Minuetto, too, whereas the final Allegro, full of contrapuntal ideas, displays decidedly more brilliant instrumental
writing.
24.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Trio in mi bem magg. op.1 n.1
1. Allegro
2. Adagio cantabile
3. Scherzo. Allegro assai
4. Finale. Presto
DAGMAR CLOTTU, YUZUKO HORIGOME, ALEXANDRE DEBRUS
Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Danse macabre op. 40 (trascrizione Akane Sakai)
MARTHA ARGERICH, AKANE SAKAI
Astor Piazzolla (1921-1992)
Tre tanghi (trascrizione Eduardo Hubert)
3 minutos con la realidad
Oblivion
Libertango
EDUARDO HUBERT, MARTHA ARGERICH
Antonin Dvořák (1841-1904)
Sonata in fa magg. op. 57
1. Allegro ma non troppo
2. Poco sostenuto
3. Allegro molto
YUZUKO HORIGOME, AKANE SAKAI
Johannes Brahms (1833-1897)
Sonata n. 1 in mi min. op. 38
1. Allegro non troppo
2. Allegretto quasi minuetto
3. Allegro
GAUTIER CAPUÇON, NICHOLAS ANGELICH
59
60 __ Progetto Martha Argerich
__
26.06 - 20.30 - CONCERTO DA CAMERA - AUDITORIO RSI
La fugue
commedia musicale
libretto e liriche
Francis Lacombrade e Bernard Broca
musica
Alexis Weissenberg
versione originale per due pianoforti
riduzione in forma narrativa
Francis Lacombrade
JASMINE DAOUD
MURIEL BRUNO
ALBANE CARRÈRE
NICOLAS DORIAN
DENIS BOUDART
Nana
Caterina, Olga
Samantha
David, Concierge
Harold
FRANCIS LACOMBRADE
Recitante
DAVID MILLER
Coordinamento musicale
DEUXIÉME ÉPOQUE
PREMIÈRE ÉPOQUE
Tableau I: “hall du grand hôtel des villes civilisées et du crépuscule” en 1880
Tableau I: “au coeur de l’ordinateur emma-00-une” (an 2015)
Rythmes syncopés
Fugue
Imprécations syncopées (Samantha, Tutti)
Cadeau de violence (Harold)
Il est expert (Harold, Concierge)
Thème de l’enfant
DAVID MILLER
MARTHA ARGERICH
ALEXANDER GURNING
Tableau II: “chambre de David dans le même hôtel”
Le “rendez-toi” (David)
Elles sont trois soeurs (Samantha, Caterina, Nana) DAVID MILLER
Motif en spirale
Mon destin (Samantha)
Tableu II: “hall du grand hôtel des villes civilisées et du crépuscule” (1980)
Précipitations (Tutti)
ALAN WEISS
AKANE SAKAI
ALEXANDER MOGILEWSKY
YOULIA ZAICHKINA
Non, non, je voeux (Samantha)
Nous voici (David)
Nostalgie (Hérold)
C’est si facile (Nana)
Et déjà je vous vois (Tutti)
Imprécations syncopées
L’abécédaire (Olga)
Aparte (Nana)
Tableau IV: “au casino termal” (même année)
Les jeux sont faits (Tutti)
Slow Casino
Pour aimer il faudrait s’entraîner (Caterina)
Tableau vivant (Samantha, Harold)
GILA GOLDSTEIN
FRANCESCO PIEMONTESI
Slow-fugue
Le piège (Tutti)
Tableau III: “cour d’honneur du même hôtel”
Américaines en Europe (Samantha, Caterina, Nana)
Fanfare des chercheurs (Tutti)
Emma-valse
Ballets des ombres
Conjuguer (Harold)
“Anti-nue” (Samantha, Harold)
GIORGIA TOMASSI
ALESSANDRO STELLA
DAVID MILLER
EDUARDO HUBERT
ALESSANDRO DE LUCA
WALTER DELAHUNT
GABRIELE BALDOCCI
J’en reviens à cette larme (Harold)
Tableau V: “appartement de David à Tomorrowille” (1930)
Air d’enfant
Charleston
Je suis si heureuse (Nana)
Avec des si par millier (Harold)
Fugue
MARTHA ARGERICH
ALEXANDER GURNING
61
62 __ Progetto Martha Argerich
Immaginate --- una fantastica storia d’amore, che si intreccia e
si snoda in quattro epoche diverse ...
Immaginate ... tre sorelle americane, Samantha, Caterina e Nana, strane inattese, insolenti (tenere, secondo il comodo loro ...),
tre sorelle americane impegnate a solcare l’Europa alla ricerca
dell’uomo ideale.
L’avrebbero forse trovato nella persona di questo francese disinvolto e raffinato, Herold che sempre sguscia per meglio riprendersi?
L’avrebbero trovato nella persona di suo figlio David, che si fa
avanti con tutta la sua evidente vulnerabilità?
Immaginate ... siamo nella fastosa hall di un palazzo dell’Europa fin de siècle; presto ci troveremo in America nel
1930; poi sfioreremo l’anno 2000, nell’epoca dove i computer si occuperanno anche sull’appetibile complessità degli andirivieni amorosi!....
Immaginate che questi “giochi umani” siano sorpresi e raccontati da un bambino ... un bambino-non-ancora-nato e che avrebbe il potere di aspettare il momento più giusto per venire al
mondo ...
Aggiungetevi un grano di follia e un pizzico di sogno ...
Immaginate una fuga musicale, obbediente alle leggi del genere, da cui prorompono tutti i fuochi d’artificio dell’odierna jazzmusic, senza dimenticare la tenera e ironica strizzatina d’occhio
al passato, quali “Le charleston”, “Le rendez-toi” e “Pour aimer
il faudrait s’entraîner” che evocano altrettante cartoline postali
ingiallite.
La fugue andò in scena la prima volta nel 1979 al Théâtre de la
Porte Saint-Martin a Parigi con la regia di Jean-Claude Brialy,
la coreografia di Matt Mattox, la scenografia di Pier-Luigi Pizzi,
i costumi di Jeanne Wakhevitch, l’orchestrazione e la direzione
musicale di Alexander Wladiguerov.
Scena di Pier-Luigi Pizzi
Costumi di Jeanne Wakhevtch
della rappresentazione parigina (1979)
__
Imagine --- a fantastic love story that ravels and unravels
through four different eras.
Imagine… three American sisters, Samantha, Caterina and
Nana, strange, unusual, insolent (gentle, if they see fit…),
three American sisters intent on ploughing across Europe,
searching for the ideal man.
Have they perhaps found him in this nonchalant, refined
Frenchman, Hérold, who always gives people the slip and
comes out on top?
Have they perhaps found him in the man’s son, David, who
has come forward with all his obvious vulnerability?
Imagine… We are in the sumptuous hall of a fin de siècle European palace; soon, we shall find ourselves in America in
1930; then we shall touch upon the year 2000, during a period in which computers will deal with even the tempting complexity of amorous comings and goings!
Imagine that these “human games” are secretly being watched
and recounted by a child – an as yet unborn child who has the
ability to wait for the best possible moment for coming into the
world…
Add a grain of madness and a pinch of dream…
Imagine a musical fugue that obeys its formal rules and from
which all the fireworks of today’s jazz explode, not excluding
tender, ironic winks at the past through the “Charleston”, “Le
rendez-toi” and “Pour aimer il faudrait s’entraîner”, which
evoke as many yellowed postcards.
La Fugue was first produced in 1979 at the Théâtre de la Porte
Saint-Martin in Paris, directed by Jean-Claude Brialy, choreography by Matt Mattox, sets by PierLuigi Pizzi, costumes by
Jeanne Wakhevitch and orchestration and musical direction
by Alexander Wladiguerov.
63
Coreografia
Matt Mattox
(1979)
Preludio e fuga
A trent’anni io e Bernard abbiamo condotto due attività piuttosto parallele di attore e scrittore e anche di uomini di radio. Io
fui il protagonista del film La Amitiés Particulières. Egli aveva interpretato il ruolo di Mozart nell’opera di Guitry e Reynaldo
Hahn per la televisione.
Egli fu più attore di me ma io ero stato più scrittore di lui. Feci
rappresentare sei lavori alla televisione e a teatro (tra cui Genitrix ricavato da Mauriac) e in alcuni pure recitò.
Un giorno d’inverno pieni d’ambizione decidemmo di scrivere
lo spettacolo che avremmo voluto vedere rappresentato in teatro, in cui si sarebbero mescolati musica, colore, ritmo, emozione, danza, humor, luce.
Non ne sarebbe stata il veicolo ideale la “commedia musicale”
(genere che, al di là dell’Atlantico, non è necessariamente una
commedia leggera nel senso in cui lo intendiamo qui)? Non vi
si è seri per essere ancora più gravi. Vi si mostra l’emozione per
disfarsene subito dopo nelle strofe ironiche.
Terminata la prima versione partimmo alla ricerca del compositore.
Poiché l’ammiravamo e ne eravamo stati colpiti dall’entusiasmo e dalla sua personalità irradiante nel corso di una trasmissione televisiva a lui consacrata, ci rivolgemmo ad Alexis Weissenberg, senza nemmeno sapere che egli era anche
compositore, mossi da ciò che bisogna proprio chiamare
“un’intuizione”.
Tremanti, gli portammo il manoscritto di 150 pagine che allora era intitolato “L’enfant ?”. Tre giorni dopo da Berlino ricevemmo per telefono la risposta; era “sì”.
Ne siamo ancora meravigliati. Per tre anni tutti e tre abbiamo
lavorato in continuazione: a volte una musica suscitava una scena, un dialogo era sacrificato affinché nascesse una canzone.
Vi furono tre versioni.
Abbiamo imparato la pazienza, l’umiltà, l’entusiasmo e una fratellanza indistruttibile. Evidentemente ci furono delle arrabbiature, dei disaccordi e tante occasioni di ridere, dei viaggi in capo al mondo che erano dei ritiri. Quando si trattò di montare
lo spettacolo ci trovammo soli, irrimediabilmente soli, tutti e tre
giudicati per le buone intenzioni e sommersi di consigli affliggenti, storditi da mille promesse senza futuro.
Osservati nel modo in cui ci impantanavamo e stimolati dal nostro infaticabile generale, fu necessario prendere le redini in
mano. Diventammo dunque piazzisti, segretari, globe-trotters,
copisti, trasportatori, fattorini, pubblicisti, contabili, ripetitori e
anche psicanalisti. Siamo diventati produttori.
E il mondo ridiventò seducente.
Francis Lacombrade
(1979)
Prelude and fugue
At the age of thirty, Bernard and I were active more or less in
parallel as writer and actor but also as radio personalities. I
was the protagonist of the film Les Amitiés particulières; he
had taken the role of Mozart, on television, in the opera by
Guitry and Reynaldo Hahn. He was more of an actor than I,
but I was more of a writer than he. Six of my works (including Genitrix, based on Mauriac) were performed on television
and in the theatre, and I even acted in some of them.
One winter’s day, when we were full of ambition, we decided to
write the show that we would have liked to see performed in the
theatre; there would be a mix of music, colour, rhythm, emotion, dance, humour and lights.
Wouldn’t the ideal vehicle have been musical comedy – a genre
that, on the other side of the Atlantic, isn’t necessarily a light
comedy as we understand the term over here? One needn’t necessarily be serious in order to be even more profound. Emotion
is demonstrated, then eliminated immediately afterwards in
ironic verses.
When we had completed the first draft, we began to look for a
composer. We turned to Alexis Weissenberg, because we admired him and had been struck by his enthusiasm and his radiant personality during a television broadcast about him. We
didn’t even know that he was also a composer; we were going
on what must really be called intuition. We hesitantly brought
him our 150-page manuscript, which was then called The
Child? Three days later, we received his answer by telephone
from Berlin: Yes.
We are still marvelling over it. For three years, all three of us
worked continuously: sometimes a bit of music created a scene,
or a bit of dialogue was thrown out in favour of a song. There
were three versions. We learned to be patient, humble and enthusiastic, and we created an indestructible fraternity. Of
course there were outbursts and disagreements, but also many
occasions for laughter, and travels to the ends of the earth – retreats. When it was time to put the show on the stage we felt
alone, hopelessly alone; all three of us were judged by our good
intentions and submerged under advice that tormented us,
confused by a thousand promises that had no future.
When our tireless general observed how bogged down we had
become, he stimulated us to do what was necessary and take
matters into our own hands. Thus we became agents, secretaries, globetrotters, copyists, furniture movers, errand boys,
publicists, accountants, rehearsers and even psychoanalysts.
We became producers. And the world became desirable again.
Francis Lacombrade
(1979)
64 __ Progetto Martha Argerich
__
Ah no, non voi
Oh no – not you!
- Una commedia musicale? ... Ah no, non voi!
Tale veemente protesta da parte di una certa signora indignata
è per me molto rivelatrice di una certa mentalità. Prima mi ha
fatto ridere, in seguito mi ha turbato, poi vi ho riflettuto.
Il frutto di questa “meditazione”, che non ebbe nulla di trascendentale, lo affermo, fu: “Una commedia musicale ? Perché non
io? ...”
A mia difesa avrei potuto raccontare a questa signora della mia
formazione musicale, evocare in proposito il mio maestro Vladigherov, grande compositore che ho avuto il dolore di perdere
l’autunno scorso, mio caro Pancho, al quale non sarebbe mai
venuta l’idea di separare l’arte e l’apprendistato al pianoforte da
quelli della composizione. Non l’ho mai sentito separare le leggi dell’una e dell’altra.
Come ogni bambino che ha la fortuna di contare sulla musica
come primo compagno di giochi e nello stesso tempo grande
sorella piena di gravità, alla nascita del Principe Ereditario scrissi un pezzo ispirato ai miei otto anni. Mia madre lo fece portare a quella villa che era il Palazzo di Sofia. Un bombardamento e una guerra distrussero l’uno e l’altro.
La signora indignata, autrice del grido virtuoso: “Ah no, non
voi !” si sarebbe segretamente rallegrata di sapere che la mia
carriera di compositore in erba fu sospesa verso il 1948, negli Stati Uniti: un doppio successo in due concorsi internazionali (superati nella stessa settimana, senza crederci) l’annullamento di un concerto del grande Horowitz diedero un
vantaggio netto al pianista diciassettenne.
Il respiro tirato dalla signora, che dopo tutto leggerà queste righe, sarà stato di corta durata.
A New York ci si strofinava con tutto ciò che il jazz implicava in
fatto di artisti diventati meritatamente leggendari, che allora
erano compagni alquanto abbordabili: Art Tatum, Oscar Peterson, Ella Fitzgerald, Dizzy Gillespie, Sarah Vaughn, tutti profeti di Birdland, la Mecca del jazz !.
Capitava che a notte tarda, nei cabaret del Village, improvvisassimo insieme.
Il jazz, ciò che chiamiamo il jazz, la sua straordinaria libertà nel
cuore di un ritmo implacabile, questo pullulare di colori in una
gamma decisa da un solo battito di palpebre, in un sorriso, mi
aveva conquistato. Non mi mollerà più.
“Ah no, non voi !...”
E allora, sì , io mi misi a comporre canzoni per la mia compagnia di amici del Village, senza avere portato la minima infedeltà a Bach, che io sappia! ... Forse a volte arrivavo in ritardo
alle prove quando Oscar Peterson o Art Tatum si esibivano la
sera stessa in cui io suonavo Brahms a New York o a Chicago.
Giunse poi il ritiro durato quasi dieci anni in cui decisi di appartarmi a lavorare, periodo che la signora indignata adora poiché è sicura che mi sono votato con spirito di sacrificio al Repertorio, senza mangiare e soprattutto senza commettere
questa infamia: comporre.
Con suo grande disappunto le farò sapere che si sbaglia. Più
che mai ho scritto degli studi per pianoforte e anche arrangiamenti di varietà che ho registrato a due pianoforti, con la tecnica della sovrapposizione sotto lo pseudonimo di “Mister
Mystery”, per guadagnarmi da vivere.
- Ma al termine del vostro ritiro, quando la vostra carriera conosce un nuovo slancio, Maestro, quando vi esibite e registrate
con Karajan, Giulini, Ozawa ... non mi direte che ...
- No, certamente ... nemmeno una nota. Non scrivo più una nota, non ho più tempo. Mi accontento di andare a vedere le meravigliose commedie musicali di Broadway, con eccitazione e
nostalgia, spesso più di una volta di seguito ...
- Allora, come vi siete arrivato? Comporre una commedia musicale e farla rappresentare! A Parigi ! ...
- Perché, Signora, amo Parigi, sono francese dal 1956, adoro ritrovarmi in questa città.
Perché due giovani scrittori francesi hanno suonato, sì, letteral-
“A musical comedy? Oh no – not you!”
Such a vehement protest by one indignant lady is, I think,
highly revealing of a certain mentality. At first, it made me
laugh, then it disturbed me, and then it made me reflect.
The outcome of this “meditation” – not at all transcendental, I
can tell you – was: “A musical comedy? Why should I not do
it?”
I could have defended myself by telling the lady about my musical training, by mentioning in this regard my teacher,
Vladigherov, a great composer who, to my great sorrow, passed
away last autumn, my dear Pancho, who would never have
dreamt of separating the art and apprenticeship of playing the
piano from that of composition. I never heard him separate the
rules of the one from those of the other.
Like every child who is lucky enough to be able to count on music as a first playmate and at the same time as an older, very serious sister, I, at the age of eight, wrote a piece for the birth of the
Crown Prince. My mother had it brought to the villa that was
Sofia’s palace. A bombardment and a war destroyed both of
them.
The indignant lady, originator of the virtuous cry “Oh no – not
you!” would have been secretly pleased to learn that my career
as a budding composer was suspended around 1948, in the
United States: a double success in two international competitions (in one week – I couldn’t believe it) and the cancellation
of a concert by the great Horowitz clearly gave the upper hand
to the seventeen-year-old pianist.
But the sigh of relief of the lady (who, after all, will read these
lines) did not last long.
In New York one rubbed up against everything that comprised
jazz, as far as the artists who had deservingly become legendary were concerned. In those days, they were truly approachable colleagues: Art Tatum, Oscar Peterson, Ella
Fitzgerald, Dizzy Gillespie, Sarah Vaughan – all the prophets
of Birdland, the Mecca of jazz!
Sometimes, late at night in the clubs in the Village, we would
improvise together.
Jazz – what we call jazz, with its extraordinary freedom at the
heart of an implacable rhythm, those teeming colours in a scale
determined by a single raised eyebrow during a smile – had
conquered me. I’ll never again abandon it.
“Oh no – not you!”
Well then, yes, I started composing songs for my band of friends
in the Village, without ever having betrayed Bach in the slightest, so far as I know! … It may be that I sometimes arrived late
for a rehearsal when Oscar Peterson or Art Tatum were playing the same evening in which I was playing Brahms, in New
York or Chicago.
Then came a period of nearly ten years when I decided to withdraw and work – a period that the indignant lady worships,
because she is certain that I dedicated myself, in a spirit of selfdenial, to the Repertoire, never eating and above all never committing the vile deed of composing.
She will be very disappointed to learn that she is mistaken.
More than ever before, I wrote etudes for the piano and even
arrangements of show tunes that I recorded on two pianos, using a technique of superimposition under the pseudonym “Mister Mystery”, to earn a living.
“But at the end of your withdrawal, Maestro, when your career
was launched again, when you performed and recorded with
Karajan, Giulini and Ozawa… you’re not going to tell me
that…”
“No, certainly… not even a note. I no longer write a note – I
no longer have any time. I’m content with going to see those
marvellous Broadway musical comedies, with excitement and
nostalgia, often twice or more in a row…”
“So then, how did you do it? How did you compose a musical
comedy and have it performed? In Paris!”
mente suonato alla mia porta e mi hanno proposto un manoscritto.
- Che cosa grossolana! Non vi credo proprio, siete stato Voi a
commissionarla, tenendolo all’oscuro! ... di me, dei vostri amici che vi adorano!...
- Perché ho amato subito questo testo nuovo, inventivo.
Perché per me la commedia musicale è un esercizio d’amore
di sogno e d’illusione, ho letto “la fugue” come una fantasmagoria organizzata
- Qual è il soggetto? ...
- Ci siamo imposti un percorso seminato di ostacoli. Nel momento di affrontare l’ultima tappa, verso lo spettatore, verso di
voi, cara Signora indignata, non penso senza emozione alla
gioia e alle lotte di questi ultimi tre anni, illuminati da questo
lavoro nuovo, stimolante, molto più vicino di quanto voi non
immaginiate a quello che, di sera in sera, da ... trent’anni e più,
mi ha permesso di condividere la musica con voi, Signora ...
- Veramente? Sono commossa da ciò che mi dite! ...
- Alexis ... ho già preso i posti per il vostro recital del ...
- Questa sera sulla scena non ci sarà quasi pianoforte; me ne
consolo persuadendomi che sarò, in un certo senso, un po’ in
tutte queste voci, nuove, entusiaste ... A proposito, posse farle
una domanda?
- Ma come, dunque?
- Promettetemi di non produrre più quei terribili rumori con la
carte delle caramelle. Quando Christie, Arielle, Élisabeth, Jean
e Bertrand canteranno ...
- Lo prometto, Alexis. Reciprocamente rispondete sinceramente alla mia domanda: vi piace sempre Brahms?
Alexis Weissenberg
(1979
65
“Because, madam, I love Paris, I have been French since 1956,
I love to be in this city. Because two young French writers rang
– yes, literally rang – my doorbell and handed me a manuscript.”
“How rude! I don’t believe you at all; it was you who commissioned it, keeping it a secret – from me, from the friends who
adore you!”
“Because I immediately fell in love with this new, inventive
text. Because for me, musical comedy is an exercise in love,
dreams and illusions; I read La Fugue as an organised piece of
phantasmagoria!”
“What is it about?”
“We forced ourselves to follow a path filled with obstacles. Now,
as we confront the last segment – going towards the spectator,
towards you, dear indignant lady – I think with emotion of the
joy and the struggles of these last three years, brightened by this
new, stimulating task, much closer than you would imagine to
what has allowed me to share music with you, madam, evening
after evening for thirty years and more.”
“Really? I’m moved by what you tell me!”
“Alexis, I’ve already bought tickets for your recital on the…”
“This evening there will hardly ever be a piano on the stage; I
console myself with the thought that, in a way, I’ll be a little
bit present in all those new, enthusiastic voices. By the way,
may I ask you a question?”
“What is it, then?”
“Promise me that you won’t make those horrible noises with
candy wrappers when Christie, Arielle, Élisabeth, Jean and
Bertrand are singing.”
“I promise, Alexis. In return, answer my question frankly: do
you still like Brahms?”
Alexis Weissenberg
(1979)
Alexis Weissenberg, Bernard Broca, Francis Lacombrade
durante le prove (1979)
66 __ Progetto Martha Argerich
__
FRANCIS LACOMBRADE
ALEXIS WEISSENBERG
Nato a Sofia nel 1929 ha avuto le prime lezioni di pianoforte
da Pancho Vladigherov, dando il suo primo recital a otto anni. Dopo essere emigrato nel 1945 in Palestina, dove studiò
con Leo Kestenberg, l’anno dopo era già negli Stati Uniti per
studiare alla Julliard School con Olga Samanoff e dove ebbe
consigli da Arthur Schnabel e da Wanda Landowska. Nel
1947, dopo aver vinto il Concorso Internazionale Leventritt, debuttò a New York con l’Orchestra di Filadelfia sotto la direzione di George Szell nel Terzo Concerto di Rachmaninov.
Tra il 1956 e il 1966 si prese un lungo periodo sabbatico con
l’intenzione di studiare e insegnare. Riprese in seguito la carriera con un recital a Parigi e immediatamente dopo esibendosi nel Primo Concerto di Caikovskij sotto la direzione di
Herbert von Karajan, che lo chiamò “uno dei migliori pianisti del nostro tempo”. Weissenberg è ritenuto una personalità della generazione posteriore alla grande scuola russa
(Lhevinne, Horowitz, ecc.), più di ogni altro pianista dotato
di smagliante e raffinata tecnica, comunque modulata non
solo in funzione del solo virtuosismo. La sua registrazione
della Sonata di Liszt all’inizio degli anni 70 è considerata una
delle più eccitanti ed insieme liriche fra un centinaio di
paragoni. È pure apprezzato per le sue letture di Schumann,
Rachmaninov e di molte opere di Chopin, inclusi i concerti
con orchestra, i notturni, i valzer e sonate 2 e 3. Altre sue
notevoli interpretazioni sono il Primo Concerto di Brahms
con Carlo Maria Giulini e Riccardo Muti, il Secondo Concerto di Rachmaninov con i Berliner Philharmoniker diretti da
von Karajan e, dello stesso compositore, il Terzo con George
Prêtre e Seiji Ozawa con la Boston Symphony Orchestra (anche con Leonard Bernstein e l’Orchestre National de France).
Ha fondato un corso di perfezionamento a Engelberg, dove
ha avuto come studenti vari pianisti della nuova generazione: Kirill Gerstein, Simon Mulligan, Mehmet Okonsar
tra gli altri. Dal 1993 vive a Muzzano presso Lugano.
Come compositore è autore di una “Sonate en état de jazz” e
della commedia musicale La fugue su libretto di Fancis Lacombrade e Bernard Broca rappresentata nel 1979 a Parigi.
Presentata di fronte a un pubblico scelto, alla presenza della Principessa Grace di Monaco e di Madame Giscard d’Estaing, nonostante le 60 rappresentazoni fu accolta dalla critica tra controversie. Particolarmente significativa fu la
reazione della stampa americana:
“Sebbene Weissenberg sia acclamato internazionalmente
come pianista, è sconosciuto come compositore di commedie musicali. Egli ha scritto una vasta, variegata e impegnativa ed affascinante partitura. Qualcuno si aspetterebbe da
lui un’obbedienza accademica alle regole della composizione. Nessuno si sarebbe aspettato così tanta vivacità e
profusione melodica. I numeri di danza e i 22 pezzi cantati
– canzoni, temi jazzistici, numeri di cabaret, charleston –
sono collegati in una ricca e incalzante fuga che simboleggia
lo scorrere dell’azione attraverso l’intreccio dei vari temi nell’urgenza di un contrappunto muscoloso.
[...] Ciò dimostra che anche fuori dell’America è possibile
sostenere un vigoroso teatro musicale; che il teatro musicale
è abbastanza ricco da suscitare approcci diversi. Broadway
ha certamente inventato il ‘musical’, ora è il momento di lasciare crescere il bambino nel teatro del mondo” (Martin Gottfried – “Saturday Review”),
[...] “ Ho l’impressione che a New York con cantanti-danzatori abituati a un genere così estraneo agli artisti francesi,
questa commedia musicale potrebbe diventare un vero hit
internazionale (Norma McLaine-Stoop – “After Dark”).
67
He was born in Sofia (1929) and had piano lessons from the
age of three with Pancho Vladigerov. He gave his first public
performance at the age of eight. After escaping to Palestine in
1945, where he studied with Leo Kestenberg, he went to the Juilliard School in 1946 to study with Olga Samanoff. He also
consulted Arthur Schnabel and Wanda Landowska. In 1947,
after having won the Leventritt International Competition,
he made his New York debut playing Rachmaninoff’s Piano
Concerto No. 3 with the Philadelphia Orchestra under the
baton of George Szell. Between 1956 and 1966 he took an extended sabbatical for the purpose of studying and teaching. He
resumed his career in 1966 by giving a recital in Paris; later
that year he gave Tchaikovsky’s Piano Concerto No. 1 in
Berlin under Herbert von Karajan, who called him "one of the
best pianists of our time". Weissenberg is said to possess one of
the finest techniques of any pianist of the generation following
the great Russian School pianists Lhévinne, Horowitz, et al.),
however, it is claimed that he never uses it for the sole purpose
of virtuosity. His recording of the Liszt’s Sonata in the early
1970s is considered to be one of the most exciting and lyrical
versions, among over 100 recordings of the piece. He is also well
known for his readings of Schumann, Rachmaninoff, and
many works by Chopin, including the complete works for piano and orchestra, the piano sonatas Nos. 2 & 3, the nocturnes,
and the waltzes. Among his other notable interpretations are
those of Brahms’ Piano Concerto No. 1, with Carlo Maria
Giulini and Riccardo Muti, Rachmaninoff's Piano Concerto
No. 2 with Herbert von Karajan and the Berlin Philharmonic, and the same composer's Piano Concerto No. 3 with
Georges Prêtre and Seiji Ozawa with the Boston Symphony
Orchestra (also with Leonard Bernstein and the Orchestre
National de France). He founded the Alexis Weissenberg's Piano Master Class in Engelberg, where he has had as students
many pianists of the new generation: Kirill Gerstein, Simon
Mulligan, Mehmet Okonsar among others. Since 1993 he has
lived in Muzzano, near Lugano.
As a composer, he is the author of a “Sonate en état de jazz”
and of the musical comedy La Fugue, based on a libretto by
Francis Lacombrade and Bernard Broca and first performed
in Paris in 1979 before a select audience that included Princess
Grace of Monaco and Madame Giscard d’Estaing. Although it
had 60 performances, it aroused critical controversy. The reactions of the American press were particular significant:
“Though Mr. Weissenberg is an internationally acclaimed
concert pianist, he is unknown as a composer of musical comedy scores. He has written a large, diverse, and very engaging
score, musicianly and yet of raffish charm. One would have expected him to know the rules of composing, to be academically correct. One would not have expected so much vivacity and
melody. The dance music and 22 songs - chansons, jazz tunes,
cabaret numbers, Charlestons - are connected in a rich, grinding fugue that symbolizes the show by weaving the various
themes together in an urgent, muscular counterpoint.
[..] They demonstrate that powerful musical theater can be
made away from America; that the musical theater is rich
enough to inspire diverse approaches. Broadway may have invented musicals, but perhaps it’s time to let the child take its
place in world theater” (Martin Gottfried – “Saturday Review”),
“I feel that in New York with dancer-singer actors accustomed
to a form so foreign to French artists, this musical comedy
could be a true international hit” (Norma McLaine-Stoop –
“After Dark”).
Protagonista adolescente del film Les amitiés particulières di
Jean Delannoy (selezione ufficiale della Francia alla Mostra
del cinema di Venezia nel 1964), nato a Tolosa da una famiglia di universitari studiosi dell’ellenismo, Francis Lacombrade ha esitato tra la vocazione del danzatore (incoraggiato da
un premio al Conservatoire National Supérieur di Parigi), tra
la sua attività all’Opéra di Parigi, l’arte drammatica e la scrittura.
Il suo primo lavoro teatrale è stato l’adattamento di Madame
Bovary di Flaubert, entrata nel repertorio del Teatro classico di
Varsavia. Per la televisione ha firmato l’adattamento e i dialoghi di lavori di Henry James, François Mauriac, Ivy Compton-Burnettt, Patricia Highsmith, ecc. Oltre all’attività giornalistica radiofonica (Europe 1, R.T.L.) e nella stampa scritta,
è autore di tre romanzi, tra cui La classe des garçons (Gallimard), definito dal critico Pierre Combescot, Prix Goncourt
1991) come “L’Ame et la Danse de Valéry revue par un Fellini”.
Il suo lavoro La collection italienne è stato rappresentato da
Françoise Fabian a Parigi e a Bruxelles nel 1998. È stato scelto da Christopher Hampton per l’adattamento del suo lavoro
Total eclipse.
Direttore letterario di una casa di produzione, appassionato
di musica, è anche autore dell’unico saggio sul tenore Alfredo Kraus, Confidenze per una leggenda, pubblicato in Spagna.
Born in Toulouse to university professor parents who specialised
in Hellenistic studies, Francis Lacombrade appeared as the adolescent protagonist of Jean Delannoy’s film Les Amitiés particulières, officially selected for the 1964 Venice Film Festival. He
was undecided whether to be a dancer (after having won a prize
from Paris’s Conservatoire National Supérieur), work at the
Paris Opéra, try a career in theatre arts or be a writer.
His first work for the theatre was an adaptation of Flaubert’s Madame Bovary, which became part of the repertoire of Warsaw’s
Classical Theatre. He was responsible for the television adaptations (and the dialogue) of works by Henry James, François Mauriac, Ivy Compton-Burnett, Patricia Highsmith and so on. In addition to his work in radio journalism (Europe 1 and R.T.L.) and
print journalism, he has written three novels, including La Classe des garçons, which the critic Pierre Combescot – winner of the
Prix Goncourt in 1991 – described as “Valéry’s L’Ame et la danse reexamined by Fellini.” His work La Collection italienne was
performed by Françoise Fabian in Paris and Brussels in 1998. He
was chosen by Christopher Hampton to adapt his work, Total
Eclipse.
He is the literary director of a production company, a music lover
and the author of the only book on the tenor Alfredo Kraus, published in Spain as Confidencias para una leyenda.
68 __ Progetto Martha Argerich
Daniel Abrams è un pianista e un compositore riconosciuto internazionalmente, autore di pezzi per coro, orchestra,
teatro, musica da camera e pianoforte. Recentemente ha
completato una serie di variazioni e fantasie (Opera for piano), presentata a piû riprese in Europa e in America. I quattro sonetti qui eseguiti fanno parte di un ciclo di dodici composizioni composte nel 2002, riflettenti gli stati d’animo e le
passioni dei poemi di Shakespeare – i “ritmi” e le “armonie”
delle parole espresse in frasi musicali,
Sebbene sia oggi ancora relativamente poco conosciuto
dal grande pubblico, Georges Enesco fu una delle figura più
importanti del Novecento musicale europeo. Alla classica formazione del duo violino-pianoforte Enesco dedicò tre Sonate, l’ultima delle quali, “nel carattere popolare romeno”, fu
composta nel 1926. Articolata in tre soli movimenti, così come le due opere sorelle, la Sonata si apre con un Moderato
malinconico d’andamento rapsodico in cui è soprattutto la
scrittura delle melodie violinistiche a richiamare alla mente
lo stile della musica popolare rumena. Il secondo tempo, Andante sostenuto e misterioso, combina con risultati di affascinante novità l’ispirazione folklorica dei temi con una scrittura armonica e un linguaggio strumentale cui non è estranea
nessuna delle conquiste della musica del Novecento storico.
Conclude la composizione un Allegro con Brio, ma non troppo
mosso, nel quale ritornano gli accenti ritmici mutevoli e
sghembi di danze popolari.
Celeberrimo esecutore ed improvvisatore all’organo, Johann Sebastian Bach ci ha lasciato un’imponente lascito di
opere organistiche, sulla cui datazione, tuttavia, gli studiosi
sono ancora ben lungi dall’aver raggiunto l’unanimità dei
giudizi. Il Preludio e Fuga in Re minore BWV 539 fu composto
da Bach, cono ogni probabilità, durante i primi anni di Lipsia, verosimilmente intorno al 1724/25. Il corto Preludio è originale e fu scritto ex novo, ma la Fuga non è che un arrangiamento (trasposto in Re minore) della Fuga della Sonata n. 1
in Sol minore per violino solo BWV 1001, composta a Köthen
alcuni anni prima. Questa Fuga era molto amata da Bach, e
infatti ne esiste anche una trascrizione per liuto, sempre nella tonalità originale di Sol minore (BWV 1000). Nel concerto
di oggi il Preludio e Fuga BWV 539 sarà eseguito in una trascrizione pianistica di Alan Weiss.
Charles-Henri-Valentin Alkan fu uno dei pochi compositori francesi di una qualche rilevanza del XIX secolo ad essere nato a Parigi, città nella quale trascorse quasi tutta la vita
e nella quale anche morì, settantacinquenne, nel 1888. Pianista di straordinario talento, si fece apprezzare dapprima come bambino-prodigio; poi, a partire dal 1833, dopo una tournée concertistica in Inghilterra, si stabilì definitivamente
nella capitale francese e divenne celebre soprattutto come insegnante di pianoforte, godendo della stima di colleghi famosi come Fryderyk Chopin. Al pianoforte egli dedicò quasi tutta la sua produzione, di qualità, peraltro, spesso assai varia,
ma contraddistinta per lo più da una spiccata concezione trascendentale. Le 12 Etudes dans tous les tons op. 39, pubblicate
nel 1857, sono una delle sue opere più celebri; al centro di
questa raccolta, i cui brani portano titoli evocativi o bizzarri
come Le rythme molossique e Comme le vent), Alkan ha posto
due opere per pianoforte solo di grande sostanza musicale,
un amplissimo Concerto in tre tempi e la non meno impegnativa Sinfonia in quattro movimenti oggi in programma.
__
Daniel Abrams is an internationally recognized pianist and
composer whose compositions include works for chorus, orchestra, opera, chamber music, and solo piano. He has recently
completed a series, Opera For Piano (variations and fantasies), some of which are receiving European and American
premiers this season. The four sonnets, composed in 2002, to be
presented are from a set of 12, all reflecting the moods and passions of the Shakespeare poems -- the "rhythms" and "harmonies" of the words expressed as musical phrases.
Although his name means relatively little to the public at
large today, Georges Enesco was one of twentieth-century Europe’s most important musical personalities. Enesco wrote three
sonatas for the classic violin-piano combination; the last of
them, “in Romanian folk style,” was composed in 1926. Like its
two companion pieces, this sonata is in three-movement form.
It begins with a rhapsodic Moderato malinconico in which it
is above all the violin’s melodic line that brings Romanian folk
music to mind. The second movement, Andante sostenuto e
misterioso, blends the folkloric origins of the themes with harmonic and instrumental writing that testifies to Enesco’s familiarity with all the developments in early twentieth-century music. The composition ends with an Allegro con brio, ma non
troppo mosso in which changeable, uneven folkdance rhythms
are heard once again.
Johann Sebastian Bach, who was famous for his playing and
improvising on the organ, left an imposing quantity of organ
music, about the dating of which, however, scholars are still far
from having reached agreement. Bach most likely composed the
Prelude and Fugue in D minor, BWV 539, during his first
years in Leipzig, probably around 1724-25. The short prelude
was completely original, but the fugue is simply an arrangement, transposed into D minor, of the fugue from the Sonata
No. 1 in G minor for solo violin, BWV 1001, composed at
Köthen some years earlier. Bach loved this fugue very much, and
in fact there is a transcription of it for lute in the original key of
G minor (BWV 1000). During today’s concert, the work will
be performed in Alan Weiss’s piano transcription.
Charles-Henri-Valentin Alkan was one of the few noteworthy nineteenth-century French composers to have been born in
Paris; he lived there nearly all his life and died there in 1888, at
the age of seventy-five. An extraordinarily talented pianist, he
was admired early on as a child prodigy. Later, beginning in
1833 and in the aftermath of a concert tour in England, he settled for good in the French capital and became celebrated above
all as a piano teacher, enjoying the esteem of such famous colleagues as Fryderyk Chopin. Nearly all of his output – which
was highly variable in quality – was dedicated to the piano; it
was distinguished by a decidedly transcendental approach to
technique. The Twelve Etudes in All Keys, Op. 39, published
in 1857, are among his best-known works; as a centrepiece within this collection – the numbers of which bear evocative or
bizarre titles, such as “In Molossic Rhythm” or “Like the Wind”
– Alkan placed two solo piano works of great musical substance:
a very sizable concerto in three movements and the no less demanding, four-movement Sinfonia that is on today’s programme.
27.06 - 18.30 - RECITAL POMERIDIANO - CHIESA DI S. ROCCO
Daniel Abrams (*1931)
Four Shakespeare Sonnets
1. #97, “How Like A Winter Hath My Absence Been”
2. #38, “How Can My Muse Want Subject To Invent”
3. #46, “Mine Eye And Heart Are At A Mortal War”
4. #18, “Shall I Compare Thee To A Summer's Day”
ALAN WEISS
George Enesco (1881-1955)
Sonata n. 3 op. 25
1. Moderato malinconico
2. Andante sostenuto e misterioso
3. Allegro con brio, ma non troppo mosso
ALISSA MARGULIS, ALAN WEISS
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Preludio e fuga in re min. BWV 539 (trascrizione AlanWeiss)
Charles V. Alkan (1813-1888)
Symphonie op. 39
1. Allegro moderato
2. Marcia funebre: Andantino
3. Tempo di Minuetto-Trio
4. Finale: Presto
ALAN WEISS
69
70 __ Progetto Martha Argerich
Primo tangibile frutto dell’incontro di Stravinskij con il mondo musicale statunitense, il Concerto in Mi bemolle “Dumbarton Oaks” fu commissionato dal mecenate americano Robert Woods Bliss per festeggiare il trentesimo anniversario della sue nozze. La prima esecuzione
mondiale ebbe luogo privatamente l’8 maggio 1938, sotto la direzione
di Nadia Boulanger, nella tenuta che Woods Bliss possedeva nei pressi di Washington D.C., chiamata “Dumbarton Oaks”, il cui nome è rimasto stabilmente legato alla composizione. L’organico originale del
concerto prevede una piccola orchestra da camera. Articolato in tre brevi movimenti, il Concerto “Dumbarton Oaks” illumina adeguatamente
il versante neoclassico del compositore, teso qui alla riproposizione, deformata e affettuosa, di modi ed andamenti ritmici tipicamente barocchi.
Al pianoforte Maurice Ravel dedicò due Concerti, che furono portati a termine a breve distanza di tempo l’uno dall’altro: il Concerto in Re
maggiore per la sola mano sinistra, scritto su richiesta del pianista austriaco Paul Wittgenstein, composto tra il 1929 e il 1930; e il Concerto
in Sol maggiore, iniziato verso il 1927, poi messo da parte per comporre il Concerto in Re maggiore, e infine portato a termine nel novembre
del 1931. I due lavori ebbero il battesimo pubblico a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Il Concerto in Re maggiore fu eseguito a Vienna
il 5 gennaio 1932 col dedicatario come solista; il Concerto in Sol maggiore ebbe invece la sua prima esecuzione di fronte al pubblico parigino
esattamente nove giorni dopo, la sera del 14 gennaio 1932, con solista
Marguerite Long e l’Orchestre des Concerts Lamoureux diretta dall’autore. A differenza del Concerto in Re maggiore, il Concerto in Sol maggiore fu accolto fin da subito in maniera entusiastica. Nel 1932, sull’onda
del successo, Ravel ne diresse anche una fortunata incisione discografica. sempre con Marguerite Long al pianoforte.
Il Concerto n. 1 per violino e orchestra di Béla Bartók fu composto tra
l’autunno del 1907 e il febbraio del 1908, ma la sua prima esecuzione
pubblica ebbe luogo soltanto nel maggio del 1958, a Basilea. Bartók l’aveva scritto infatti per la violinista ungherese Stefi Geyer, con la quale
aveva avuto una breve e tormentata relazione. La Geyer ebbe in dono
dall’autore la partitura autografa, ma non volle mai proporla al pubblico, e solo dopo la sua morte, il lavoro poté essere pubblicato ed eseguito. Il Concerto è formato da due soli movimenti, di carattere contrastante, il primo dei quali, eminentemente lirico (Andante sostenuto) si apre
con un motivo di quattro note che Bartok considerava come “il Leitmotiv di Stefi”. Secondo le parole dello stesso autore, questo movimento
vuole essere un ritratto idealizzato della violinista, trascendente e intimo. Il secondo movimento (Andante giocoso), secondo le parole dell’autore, dipinge invece “la vera Stefi, gaia, spirituale e divertente”.
Allontanatosi dalla Russia nel 1918, Sergei Prokofiev visse all’estero
fino al 1932, e portò a termine il suo Terzo Concerto per pianoforte e orchestra op. 26 nell’estate del 1921, a St. Brévin-les-Pins, in Bretagna. Per
molti aspetti, questo lavoro si basa su materiali melodici e tematici preesistenti, e in particolare su una serie di schizzi e abbozzi per un concerto per pianoforte risalenti addirittura al 1911, Il secondo movimento riprende e rielabora un tema di marcia scritto nel 1913, mentre il motivo
del clarinetto che apre l’Andante iniziale risale al 1916/17. Eseguito per
la prima volta a Chicago il 16 dicembre 1921 con l’autore come solista
e la direzione di Frederick Stock, il Terzo Concerto è diventato il più popolare dei cinque concerti pianistici scritti da Prokofiev.
Insieme con l’Introduzione e Rondò Capriccioso op. 28, l’Havanaise
in Mi maggioreop. 83è l’opera per violino e orchestra più famosa ed eseguita di Camille Saint-Saëns, ed ha di gran lunga superato in popolarità i tre Concerti solistici che il musicista francese ha dedicato a questo
strumento. I motivi di questo successo non sono difficili da ritrovare,
soprattutto se si pensa che pochi compositori hanno amato la concisione quanto Saint-Saëns, che in queste pagine brevi egli ha saputo esprimere assai meglio che nei Concerti anche quel suo senso del “colore
locale” che gli derivava dalla sua instancabile attività di viaggiatore e dal
suo amore per l’esotico. Languorosa e molle nella prima parte, segnata dal sensuale ritmo di habanera, l’Havanaise si accende, prevedibilmente, nella sua seconda parte, lasciando libero sfogo agli estri virtuosistici del solista.
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The Concerto in E-flat Major, “Dumbarton Oaks”, was the
first tangible creation born of Stravinsky’s encounter with the musical world of the United States. Robert Woods Bliss, an American
patron of the arts, commissioned the Russian composer to write the
piece to celebrate his thirtieth wedding anniversary; its world premiere took place privately on 8 May 1938 under Nadia Boulanger’s
direction at Bliss’s estate, Dumbarton Oaks, near Washington,
D.C., and the name has been applied to the composition ever since.
Originally, the concerto required a small chamber orchestra. The
“Dumbarton Oaks” Concerto is structured in three short movements, and it sufficiently illuminates Stravinsky’s neoclassical style,
which in this instance was meant to restate – in a distorted but affectionate way – some typically Baroque usages and rhythmic pacing.
The two concerti that Maurice Ravel dedicated to the piano were
completed during the same period in his life: the Concerto in D
Major for the left hand, commissioned by the Austrian pianist
Paul Wittgenstein, was composed in 1929 and 1930; the Concerto in G Major, begun around 1927, was set aside in favour of work
on the other piece and was then finished in November 1931. The
two compositions were given their first public performances very
close together – the Concerto in D in Vienna on 5 January 1932,
with Wittgenstein as soloist, and the Concerto in G in Paris exactly nine days later, on 14 January, with Marguerite Long as soloist
and the Orchestre des Concerts Lamoureux conducted by the composer. Unlike the Concerto for the left hand, the G Major Concerto was immediately received enthusiastically. This success led
Ravel to conduct a fortunate recording of the work, again with Marguerite Long at the keyboard.
Béla Bartók’s Concerto No. 1 for violin and orchestra was
composed between the autumn of 1907 and February 1908, but its
first public performance did not take place until May 1958, in
Basel. Bartók had written it for the Hungarian violinist Stefi Geyer, with whom he had had a brief, tempestuous relationship. He
gave Geyer the autograph score as a gift, but she never wished to
perform the work in public; thus it was only after her death that the
work could be played before an audience. It consists of only two,
contrasting movements. The first, an eminently lyrical Andante
sostenuto, begins with a four-note motif that Bartók described as
“Stefi’s Leitmotiv”; according to the composer’s own words, this
movement was meant to be an idealised, transcendent, intimate
portrait of the violinist. On the other hand, the second movement
depicts “the real Stefi – gay, spirited and amusing” –.
Having left Russia in 1918, Sergei Prokofiev lived abroad until
1932 and completed his Concerto No. 3 for piano and orchestra,
Op. 26, during the summer of 1921, at St. Brévin-les-Pins, in Brittany. Much of this work is based on already-extant melodic and thematic material – especially a series of sketches for a piano concerto, dating back as far as 1911. The second movement, takes up a
march theme written in 1913, and the clarinet motif with which the
opening Andante begins dates from 1916-17. The Third Concerto, which was first performed in Chicago on 16 December 1921,
with the composer as soloist and Frederick Stock conducting, overflows with high spirits and originality. It quickly became the most
popular of Prokofiev’s five piano concerti.
Along with the Introduction and Rondo Capriccioso, Op. 28,
the Havanaise in F. Major, Op. 83, is Camille Saint-Saëns’s most
famous and most often-played work for violin and orchestra; both
pieces have far surpassed the popularity of the three concerti that
the French composer dedicated to this instrument. The reasons behind their success are not hard to ascertain, especially if we recall
that few composers loved concision as much as Saint’Saëns, and
that in these brief pieces he succeeded in expressing the sense of local colour that derived from his tireless travelling and his love of the
exotic. The Havanaise, which begins languorously, softly and with
a sensual habanera rhythm, predictably takes off in its second part,
which gives free rein to the soloist’s virtuosity.
28.06 - 20.30 - CONCERTO SINFONICO - PALAZZO DEI CONGRESSI
Igor Stravinsky (1882-1971)
Concerto in mi bemolle magg. “Dumbarton Oaks”
1. Tempo giusto
2. Allegretto
3. Con moto
Maurice Ravel (1875-1937)
Concerto in sol magg.
1. Allegramente
2. Adagio assai
3. Presto
NICHOLAS ANGELICH
Béla Bartók (1881-1945)
Concerto n. 1 Sz. 36,
1. Andante sostenuto
2. Allegro giocoso
RENAUD CAPUÇON
Sergej Prokof’ev (1891-1953)
Concerto n. 3 in do magg. op. 26
1. Andante allegro
2. Tema e variazioni
3. Allegro ma non troppo
MARTHA ARGERICH
Camille Saint-Saëns (1835-1921)
Havanaise op. 83
GEZA HOSSZU-LEGOCKY
ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA
DIR. CHARLES DUTOIT
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GLI ARTISTI
Pianoforte
Nicholas Angelich
Martha Argerich
Gabriele Baldocci
Cyril Barbessol
Kathia Buniatishvili
Dagmar Clottu
Walter Delahunt
Alessandro De Luca
Gila Goldstein
Alexander Gurning
Eduardo Hubert
Stephen Kovacevich
Federico Lechner
Karin Lechner
Lily Maisky
Karin Merle
Alexander Mogilevsky
Francesco Piemontesi
Akane Sakai
Alessandro Stella
Vladimir Sverdlov
Sergio Tiempo
Giorgia Tomassi
Alan Weiss
Youlia Zaichkina
Lilya Zilberstein
Clarinetto
Marek Denemark
Corrado Giuffredi
Violino
Renaud Capuçon
Ivry Gitlis
Lucia Hall
Yuzuko Horigome
Geza Hosszu-Legocky
Alissa Margulis
Dora Schwarzberg
Recitante
Francis Lacombrade
Viola
Lyda Chen
Nora Romanoff-Schwarzberg
Violoncello
Jorge Bosso
Gautier Capuçon
Alexandre Debrus
Mark Drobinsky
Mischa Maisky
Corno
Zora Slokar
Fagotto
Vincent Godel
Sassofono
Petra Horvath
Cantanti
Denis Boudart
Muriel Bruno
Albane Carrère
Jasmine Daoud
Nicolas Dorian
Istruttore delle voci
David Miller
Percussionista
Shonosuke Okura
Orchestra
della Svizzera italiana
Dir. Charles Dutoit
Dir. Mikhail Pletnev
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74 __ Progetto Martha Argerich
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NICHOLAS ANGELICH
Nato nel 1970 negli USA, ha iniziato lo studio
del pianoforte a cinque anni con la madre. A
tredici anni è entrato al Conservatorio nazionale superiore di musica di Parigi dove è stato allievo di Aldo Ciccolini, Yvonne Loriod, Michel Béroff, ottenendo il primo premio di pianoforte e
musica da camera. Ha seguito classi di perfezionamento con Leon Fleisher, Dmitri Bashkirov, Maria Joao Pires. Nel 1989 ha vinto il secondo premio al Concorso internazionale R.
Casadesus a Cleveland e nel 1994 il primo premio al Concorso internazionale Gina Bachauer.
Recentemente si è esibito con Marc Minkowski e l’Orchestre Nationale de France, MyungWhun Chung e l’Orchestre Philharmonique de
Radio France, David Robertson e l’Orchestre Nationale de Lyon. Yutako Sado e l’Orchestre National de Bordeaux, Matthias Bamert e l’Orchestre
National de Lille, Alexandre Dimitriev e l’Orchestre de Liège, come pure in recital ad Hannover,
Ginevra, Lussemburgo, Roma, Lisbona, Brescia, Parigi. Nel maggio 2003 ha debuttato con
la New York Philharmonic sotto la direzione di
Kurt Masur. Particolarmente dedito alla musica da camera, suona regolarmente con Renaud
e Gautier Capuçon, Augustin Dumay, Gérard
Caussé, Alexander Kniazev, Dmitri Makhtin e
i quartetti Ysaye e Prazak. Ha registrato CD per
Harmonia Mundi, Lyrinx e Virgin Classics.
CYRIL BARBESSOL
Born in the United States in 1970, Nicholas Angelich began studying the piano at the age of five
with his mother. When he was thirteen, he entered
the Conservatoire National Supérieur de Musique in Paris where he studied with Aldo Ciccolini, Yvonne Loriod, Michel Béroff and won the First
Prize for piano and chamber music.
Nicholas Angelich followed master-classes with
Leon Fleisher, Dmitri Bashkirov, Maria Joao Pires. In 1989 he won the Second Prize of the International Piano Competition R. Casadesus in
Cleveland and in 1994 the First Prize of the International Piano Competition Gina Bachauer.
Recently he performed with the Orchestre National de France and Marc Minkowski, Orchestre
Philharmonique de Radio France and MyungWhun Chung, Orchestre National de Lyon and
David Robertson, Orchestre National de Bordeaux and Yutako Sado, Orchestre National de
Lille and Matthias Bamert, Orchestre de Liège
and Alexandre Dimitriev, as well as recitals in Hanover, Geneva, Luxembourg, Rome, Lisbon, Brescia, Paris. In May 2003, he made his debuts with
the New-York Philharmonic under Kurt Masur.
Always enthusiastic about playing chamber music, he has partners such as Gautier and Renaud
Capuçon, Augustin Dumay, Gérard Caussé, Alexander Kniazev, Dmitri Makhtin and the Ysaye
and Prazak Quartets. He has recorded for Harmonia Mundi, Lyrinx and Virgin Classics.
GABRIELE BALDOCCI
Nato a Livorno nel 1980 ha iniziato lo studio
del pianoforte all'età di sei anni. Nel 1995 ha
vinto il concorso di ammissione all' Accademia
Pianistica Incontri con il Maestro di Imola, dove
ha studiato regolarmente fino al 1999, sotto la
guida di Franco Scala e Leonid Margarius. Nel
1999 ha iniziato a studiare con Paul BaduraSkoda e nello stesso anno è stato invitato a frequentare i corsi dell’ Accademia Internazionale
per il Pianoforte sul Lago di Como, dove è stato
allievo di William G. Naborè. Ha vinto vari concorsi e svolge una intensa attività concertistica
suonando presso importanti centri musicali
quali il Teatro Colòn di Buenos Aires, la Sala
Verdi di Milano, il Teatro Ghione di Roma, il Palacio des Festivales di Santander. Nel 2003 ha ricevuto il premio americano alla carriera
VAMG. Sempre nel 2003 è risultato vincitore
della menzione d'onore al Secondo Concorso
Martha Argerich di Buenos Aires. Nel 2005 ha
debuttato come solista e camerista al Festival
Martha Argerich partecipando alla tournée argentina insieme con Martha Argerich e all'orchestra a lei intitolata, come solista nel Quarto
Concerto di Beethoven.
Nato a Fontainebleau nel 1979 ha studiato il
pianoforte alla Schola Cantorum di Parigi, poi il
jazz al C.I.M.e all’American School of Modern
Music. Ha studiato l’armonia, l’orchestrazione
e la tecnica dell’arrangiamento con Ivan Julien
et Bernard Maury. All’inizio degli anni 90, interessato alle varie espressioni musicali e al
meticciato culturale parigino, si esibisce in formazioni variate: un Big Band cubano (MamboMania), con artisti magrebini in scena (Cheb
Kader, Raï-cum) e in studio (Cheb Khaled), con
musicisti di jazz (Pierrick Pedron, Laurent Robin, Benjamin Henocq), in studio con i rapper
(Abd al Malik, Gibraltar), in commedie musicali (The Lion King), ma anche con artisti di varietà quali Marc Lavoine, i Gipsy King in Europa e negli USA (con la realizzazione di un DVD
live in Inghilterra), Phil Collins e con Henri
Salvador in occasione della sua ultima tournée
nel 2007.
Fedele alla musica classica e a compositori
quali Milhaud, Granados, Chopin, Florent
Schmitt , Debussy, ha incontrato Ivry Gitlis nel
corso di alcune sedute di registrazione a Parigi, con il quale ha intrapreso una pratica improvvisatoria intorno agli standard del jazz.
Born in Fontainebleau in 1979, Cyril Barbessol
studied piano at Paris’s Schola Cantorum and
jazz at C.I.M. and at the American School of
Modern Music. He studied harmony, orchestration and arrangement techniques with Ivan
Julien and Bernard Maury. His interests in various forms of musical expression and in Paris’s
ethnically mixed culture led him, at the beginning of the 1990s, to begin to perform in various
groups: a Cuban big band (Mambo-Mania);
with North African artists, both on stage (Cheb
Kader and Raï-cum) and in the studio (Cheb
Khaled); with jazz musicians (Pierrick Pedron,
Laurent Robin and Benjamin Henocq); in the
studio with rappers (Abd al Malik and Gibraltar), in musical comedies (The Lion King), as
well as with variety show performers such as
Marc Lavoine, the Gypsy Kings (in Europe and
the USA, and including a DVD made live in England), Phil Collins and Henri Salvador during
his last tour, in 2007.
Faithful to classical music and to composers like
Milhaud, Granados, Chopin, Florent Schmitt
and Debussy, Barbessol encountered Ivry Gitlis
during some recording sessions in Paris, and together they have been doing improvisational
work within the standard jazz repertoire.
DENIS BOUDART
Born in Livorno in 1980.Gabriele Baldocci
started studying piano at the age of six. From
1995 to 1999 he studied in the Accademia Pianistica Incontri con il Maestro in Imola
with Franco Scala and Leonid Margarius. On
1999 he became a student of Paul BaduraSkoda, and at the same time he was invited to
the International Piano Academy on Lake
Como. His main teacher was William G.
Naborè. He won several competition, and he
gave concerts in very important musical centers like Teatro Colòn in Buenos Aires, Sala
Verdi in Milan, Teatro Ghione in Rome,
Palacio des Festivales in Santander. On
2003 he was the winner of the Special Honorable Mention at the Second Martha Argerich Piano Competition in Buenos Aires.
In 2003 he also got the American VAMG career prize.. In september 2005 he was invited
by Martha Argerich to tour Argentina with
her and the orchestra Sinfonietta Argerich
playing Beethoven Fourth Piano Concerto
and some four hands pieces with Argerich.
Nato nel 1977 a Ottignies (nel Brabante) ha seguito corsi di teoria e di violino a partire dagli
8 anni all’Accademia di musica di La Hulpe, dove in seguito ha studiato organo con Alain Van
Cauteren e canto nella classe di Anne Lubris.
Nel 2000 è entrato al Conservatoire Royal de
Musique di Liegi nella classe di Nicolas Christou, dove ha ottenuto il primo premio in canto nel 2003. Dal 1997 è attivo sia come sarto
nel laboratorio dei costumi sia come corista al
Théâtre Royal di Bruxelles. È membro del Brussel Operetten Theater con il quale ha in calendario la partecipazione a opere di Franz Lehar,
Jacques Offenbach, Franz Von Suppé, Donizetti, Jacques Ibert, ecc.
Born in 1977 at Ottignies in Brabant, Denis
Boudart began taking theory and violin courses
at the age of eight at the Music Academy in La
Hulpe, where he later studied organ with Alain
Van Cauteren and singing with Anne Lubris. He
enrolled at Liège’s Royal Conservatory of Music
in 2000 as a student of Nicolas Christou, and he
won first prize in singing in 2003. Since 1997 he
has been active at Brussels’ Théâtre Royal as
both horn player and tailor, in the costume department. He is a member of the Brussels Operetta Theatre, and his forthcoming schedule includes works by Franz Lehár, Jacques Offenbach,
Franz von Suppé, Donizetti, Jacques Ibert et al.
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76 __ Progetto Martha Argerich
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JORGE BOSSO
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Come compositore, dopo aver effettuato gli
studi cosiddetti accademici, si basa sulla fusione ed interazione fra gli schemi compositivi
classici ed un concetto della musica più vicino
ad una contaminazione di stili ed esperienze
musicali che, estrapolati dal loro consueto ambito, creano un linguaggio ricco e denso di potenzialità e risorse espressive.
Fra i suoi ultimi lavori sono da menzionare: O
incoronata di viole, divina, dolce e ridente Saffo
per recitante, sette musicisti, tre voci femminili, The Seven Letters to the Seven Churches per recitante, violoncello solista e ensemble, Songs
for Psyche per due voci femminili, arpa, vibrafono e violoncello, Duo per violino e violoncello, Variazioni pagane su un tema russo per pianoforte e orchestra, L’Epitaffio di Seikilos,
concerto per sassofono soprano, violoncello e
orchestra, The Eternal Embrace, concerto per
violoncello e orchestra, Requiem per coro maschile, soprano e violoncello concertante, Trio
per violino, violoncello e pianoforte.
Ha avuto grande consenso di pubblico e critica il suo lavoro per violino solista e orchestra
basato sul tango argentino con brani originali
e arrangiamenti propri, realizzato insieme con
la rinomata violinista Dora Schwarzberg in numerose città e festival.
KATHIA BUNIATISHVILI
As a composer, after the so-called academic studies, he has undertook a path in which his way
of writing music comprehends a fusion and interaction between the classical models and a concept nearer to a mixture of styles and musical
experiences that creates a language rich and full
of expressive resources. Some of his last works:
The Seven Letters to the Seven Churches for
recitant voice, solo cello and eight instruments,
Songs for Psyche for two female voices, harp,
vibraphone and cello, O incoronata di viole, divina, dolce e ridente Saffo for recitant voice,
three female singers and seven instruments with
the lyrics of the ancient poet, Duo, for violin and
cello, Variazioni pagane su un tema russo for
piano and orchestra, Requiem for male choir,
soprano and violoncello concertante, L’Epitaffio
di Seikilos, double concerto for saxophone soprano, cello and string orchestra, Trio for violin,
cello and piano, The Eternal Embrace, concerto for cello and orchestra.
He is also very active as arranger, having written works for Dora Schwarzberg with whom, he
plays regularly his own music and arrangements, for solo violin and orchestra, based on the
tango from Buenos Aires.
MURIEL BRUNO-GODRON
Dopo gli studi musicali e teatrali (pianoforte,
arpa, canto, recitazione) si è consacrata alla
musica e alle danze tradizionali, partecipando
alla fondazione del Trio Virga, complesso di
world music. Diplomata nei conservatori di Liegi e di Maastricht si è dedicata all’insegnamento. Strumentista, cantante, danzatrice, attrice
partecipa a diversi spettacoli e a laboratori nel
campo della musica antica, della commedia
dell’arte, dell’oratorio, della commedia musicale e dell’opera. Nel 2003 ha debuttato all’OpéraStudio del Thèâtre de la Monnaie di Bruxelles
sotto la direzione di Keith Warner e di Alessandro De Marchi. In seguito ha ricopero ruoli in
varie opere rappresentate nel teatro della capitale belga: La giostra d’amore e Eurilia di Händel, Le Roi Arthus di Chausson, e diversi recital
nell’ambito dei Concerts de midi. Recentemente si è esibita nel Requiem di Mozart con il
Choeur symphonique de Liège, mentre l’Orchestre
Philharmonique de Liège l’ha invitata a interpretare il ruolo di Gulnar in Aladin di Carl Nielsen
e Robert le Cochon di M. O. Dupin.
Con David Miller forma un duo impegnato in
recital di musica classica e di jazz.
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È nata a Batumi (Georgia) nel 1987. Dal 1991
al 1997 ha frequentato la Scuola musicale di
Tbilisi dove, fino al 2004, è stata allieva di Z.
Paliashvili. Dal 2004 al 2006 è stata allieva di
V. Saradjishvili al Conservatorio di stato della capitale gergiana. Da un anno vive a Vienna dove segue i corsi di Oleg Maisenberg all’Università di musica e arti performative. Ha dato il suo
primo concerto a sei anni con l’Orchestra da camera di Tbilisi. Ha frequentato corsi di perfezionamento con Claude Franck (a Verbier),
con François-René Duchable (Annecy e Parigi). Ha tenuto concerti al Festival di Verbier,
Gstaad, Lucerna, St. Moritz, Praga, Parigi,
Vienna, Mosca.
Nel 2005 con l’Ubs Verbier Festival Chamber Orchestra ha effettuato un giro di concerti a Ginevra, Zurigo, Nantes e Bruxelles, mentre con
l’Orchestra sinfonica di Tbilisi diretta da Vakhtang Kakhidze ha partecipato al concerto finale dell’Autunno di Tbilisi, dove è tornata ad esibirsi nel 2007. Nel 2006 ha suonato con
l’Orchestra filarmonica di S. Pietroburgo. Nel
2006 è stata invitata da Gidon Kremer a partecipare all’ Internationales Kammermusikfest di
Lockenhaus. Lo scorso 19 aprile le è stata offerta l’occasione di esibirsi alla Carnegie Hall di
New York. Kathia Buniatishvili è beneficiaria
di una borsa di studio della banca BSI SA.
Khatia Buniatishvili was born in Batumi, Georgia, in 1987. From 1991 to 1997 she attended the
Tbilisi Music School, where she was a pupil of
Z. Paliashvili, with whom she studied until 2004.
From 2004 to 2006 she was a pupil of V. Saradjishvili at the State Conservatory of the Georgian
capital. For the last year she has been living in
Vienna, where she follows the classes of Oleg Maisenberg at the University of Music and the Performing Arts. She gave her first concert at the age
of six, with the Tbilisi Chamber Orchestra. She
attended master classes with Claude Frank at Verbier and with François-René Duchable at Annecy
and Paris. She has given concerts at the Verbier,
Gstaad, Lucerne, St. Moritz, Prague, Paris, Vienna and Moscow festivals.
In 2005 she undertook a series of concerts with the
UBS Verbier Festival Chamber Orchestra in
Geneva, Zurich, Nantes and Brussels, and she
participated in the Tbilisi Autumn festival’s final concert with the Tbilisi Symphony Orchestra conducted by Vakhtang Kakhidze. In 2006
she played with the St. Petersburg Philharmonic Orchestra and she was invited by Gidon Kremer to participate in the International Chamber
Music festival at Lockenhaus. This past April
19th she was given the opportunity to perform at
New York’s Carnegie Hall. Khatia Buniatishvili
is the beneficiary of a scholarship from the BSI
SA.
GAUTIER CAPUÇON
Following her musical and theatrical studies
(piano, harp, voice and recitation), Muriel Bruno-Godron dedicated herself to music and to traditional dance. She was a co-founder of the Virga Trio, a world music ensemble. After having
graduated from the conservatories of Liège and
Maastricht, she began to teach. She takes part as
instrumentalist, singer, dancer and actress in various performances and workshops in the fields
of early music, commedia dell’arte, oratorio, musical comedy and opera. In 2003 she debuted at
the Opéra-Studio of Brussels’ Théâtre le Monnaie under the direction of Keith Warner and
Alessandro De Marchi. Since then, she has sung
roles in various works presented at the Belgium
capital’s opera house: the Handel pastiche La
giostra d’amore and Eurilia, Chausson’s Le
Roi Arthus and several recitals in the noon-hour
concerts series. She recently performed with the
Liège Symphonic Chorus in Mozart’s Requiem, and the Liège Philharmonic Orchestra invited her to perform the role of Gulnar in
Carl Nielsen’s Aladdin and to sing in M. O. Dupin’s Robert le Cochon. With David Miller she
performs duo recitals of classical music and jazz.
Nato a Chambéry nel 1981, ha iniziato lo studio del violoncello nella città natale, proseguendolo al Conservatorio di Parigi nella classe
di Annie Cochet-Zakine e Philippe Muller. Ha
vinto alcuni prestigiosi concorsi, tra gli altri il
primo premio al Concorso “André Navarra” di
Tolosa. Ha suonato nell’ Orchestra giovanile della Comunità europea sotto la direzione di Haitink, e nella Gustav Mahler Jugendorchester sotto la direzione di Claudio Abbado, Kent
Nagano, Seiji Ozawa, Pierre Boulez. Appassionato di musica da camera collabora con Hélène Grimaud, Gérard Caussé, Michel Dalberto,
Paul Gulda e il Quartetto Ysaye. Nel 2001 ha effettuato una tournée (Francia, Svizzera e Germania) con la Chamber Orchestra of Europe sotto la direzione di Myung-Whun Chung ed è
stato nominato “Talento dell’anno” alle Victoires de la Musique. Recentemente è stato invitato ai Festival di Divonne, Mentone, Strasburgo,
Berlino, Davos, Gerusa- lemme, Lockenhaus,
Verbier, Nantes. Nel 2002 ha debuttato con
l’Orchestre de Paris sotto la direzione di Christoph Eschenbach. Artista esclusivo di Virgin
Classics, ha tra l’altro registrato con il fratello
Renaud e il pianista Frank Braley la musica da
camera di Ravel. Gautier Capuçon suona un
violoncello Matteo Goffriller del 1701 e un violoncello Contreras 1746 prestato dalla banca
BSI di Lugano.
Gautier Capuçon was born in Chambéry in 1981.
He began his studies on the cello in Chambéry and
then continued at the Paris Conservatory with
Annie Cochet-Zakine and Philippe Muller. He
has won some prestigious competitions, such as the
first prize at the André Navarra Competition in
Toulouse. He has played in the European Community Youth Orchestra conducted by Haitink
and with the Gustav Mahler Youth Orchestra,
conducted by Claudio Abbado, Kent Nagano, Seiji Ozawa and Pierre Boulez.
He loves chamber music and plays together with
Hélène Grimaud, Gérard Caussé, Michel Dalberto, Paul Gulda and the Ysaÿe Quartet. In 2001 he
went on a tour (France, Switzerland and Germany) with the Chamber Orchestra of Europe
and was judged “Talent of the Year” by Victoires
de la Musique.
He has recently been invited to the Divonne, Menton, Strasbourg, Berlin, Davos, Jerusalem, Lockenhaus, Verbier and Nantes festivals. In 2002 he
made his debut with the Orchestre de Paris under the baton of Christoph Eschenbach. As an exclusive artist for the Virgin Classics label, he has
recorded, among other works, Ravel’s chamber
music, with his brother Renaud and the pianist
Frank Braley. Gautier Capuçon plays a 1701 Matteo Goffriller cello and a Contreras cello, wich has
been kindly lent him by bank BSI of Lugano.
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
78 __ Progetto Martha Argerich
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RENAUD CAPUÇON
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nato a Chambéry nel 1976, è stato ammesso a
14 anni al Conservatorio di Parigi nel 1976, dove ha studiato sotto la guida di Gérard Poulet e
Veda Reynolds. Si è perfezionato con Thomas
Brandis, Isaac Stern, Shlomo Mintz e Augustin Dumay. Vincitore di numerosi premi, è
stato invitato da Claudio Abbado come primo
violino della Gustav Mahler Jugendorchester
(1998-2000). Invitato regolarmente ai festival
di Berlino, Davos, Gerusalemme, Lockenhaus,
Verbier, Aix-en-Provence, Strasburgo, suona
spesso musica da camera con Hélène Grimaud, Maria Joao Pires, Myung-Whun Chung,
Natalia Gutman, la Kremerata Baltica e in duo
con il fratello Gautier.
Ha creato il suo proprio festival a Chambéry.
Intensa è inoltre la sua attività discografica, soprattutto presso Virgin, di cui è artista esclusivo. Renaud Capuçon, che partecipa al Progetto
Martha Argerich di Lugano fin dall’origine,
suona un violino Guarneri del Gesù del 1737
ex Panette che fu già di Isaac Stern, messogli
a disposizione dalla banca BSI di Lugano.
LYDA CHEN
Renaud Capuçon was born in Chambéry in
1976. At the age of 14 he was admitted to the Paris Conservatory, where his studies were guided
by Gérard Poulet and Veda Reynolds. In his advanced training he studied under Thomas Brandis, Isaac Stern, Shlomo Mintz and Augustin
Dumay. The winner of many awards, Capuçon
has also been first violin of the Gustav Mahler
Youth Orchestra (1998-2000). He is regularly
invited to the festivals of Berlin, Davos, Jerusalem, Lockenhaus, Verbier, Aix-en-Provence and
Strasbourg, and often plays chamber music with
Hélène Grimaux, Maria João Pires, MyungWhun Chung, Natalia Gutman, the Kremerata
Baltica and in duo with his brother Gautier.
He has created his own festival at Chambéry.
His activities as a recording artist are also substantial, especially for the Virgin label, with
which he has an exclusive contract. Renaud Capuçon, who has been participating in the Progetto Martha Argerich in Lugano since its inception, plays the Isaac Stern ex Panette, Guarneri
del Gesù, 1737, thanks to the support of the Swiss
BSI banking and finance group.
ALBANE CARRÈRE
Mezzosoprano francese nata a Vienna, ha iniziato il canto a 9 anni come solista in un coro.
Formata vocalmente da Amaryllis Grégoire, è
stata selezionata nel 2005 per partecipare al
corso di perfezionamento di Loraine Nubar,
professore alla Juilliard School. Dopo essere entrata al Conservatoire Royal de Musique di
Bruxelles ha dato vari concerti in Europa. Nel
2006 ha interpretato il ruolo di Dorabella in
Così fan tutte ed in seguito, a più riprese, è stata invitata come giovane talento alla rassegna
Solistes au domaine a Bruxelles, patrocinata da
Barbara Hendricks, José Van Dam, Amaryllis
Grégoire e Yvan Rebroff. Nel 2007 ha partecipato come solista al festival 100% Schubert (Flagey – Bruxelles), a concerti in Spagna e in Così fan tutte al Festival de l’Été Mosan e ai Concerts
Éuropéens di Bruxelles. Quest’anno si è esibita
nel Requiem di Mozart e nei festival di musica
contemporanea Les grandes traversées (Bordeaux) e Voltage (Courtrai). In ottobre interpreterà i ruoli di Malika e di Mistress Bentson in
Lakmé di Delibes all’Opéra de Gand e il ruolo di
Maria nella commedia musicale La mélodie du
bonheur sotto la direzione di David Miller.
79
Nata a Ginevra ha iniziato a studiare il violino
all’età di 8 anni. Dopo aver frequentato il Conservatorio di Ginevra ed essere stata allieva di
Ayla Erduran, si è trasferita in Cina dove ha seguito i corsi del professor Lin Yao Ji al Conservatorio Centrale di Pechino. Ritornata in Svizzera si laurea in diritto all’Università di Ginevra
nel 1992. In seguito continua lo studio della
musica rivolgendosi alla viola, ma mantenendo un interesse per il violino che sperimenta a
livello di musica jazz. In Svizzera Lyda Chen
ha occasione di esibirsi regolarmente con il
Trio Interlude, formazione di flauto, arpa e viola particolarmente dedita alla musica del Novecento. È molto impegnata nella musica da camera che pratica dal 1996 con la madre Martha
Argerich e con gli strumentisti della sua cerchia, partecipando fin dall’origine al Festival
Martha Argerich di Beppu dal 1998, e al Progetto Martha Argerich di Lugano, dal 2002.
Born in Geneva, she began to study the violin at
the age of 8. After having attended the Geneva
Conservatory, where she was a pupil of Ayla Erduran, she moved to China, where she was enrolled in the course of Professor Lin Yao Ji at Beijing’s Central Conservatory. Back in Switzerland,
she took a law degree at the University of Geneva in 1992. She later continued to study music,
and specifically the viola, but thanks to her continuing interest in the violin she also experimented
in jazz. In Switzerland, Lyda Chen often performs
with the Interlude Trio, which is made up of flute, harp and viola and is especially involved in
twentieth-century music. Since 1996 she has been
playing a great deal of chamber music with her
mother, Martha Argerich, and with instrumentalists from the Argerich circle; she has participated
in the Festival Martha Argerich in Beppu since
its start in 1998 and in the Progetto Martha Argerich in Lugano since 2002.
DAGMAR CLOTTU
French mezzo-soprano Albane Carrère was born
in Vienna and began singing in a chorus at the
age of nine. Trained by Amaryllis Groire, she was
chosen in 2005 to participate in Loraine Nubar
master class at the Juilliard School. After having
enrolled at Brussels’ Royal Conservatory of Music, she gave various concerts in Europe. In 2006
she sang the role of Dorabella in Così fan tutte,
after which she was invited several times as a talented young artist for the Solistes au domaine series in Brussels, under the aegis of Barbara Hendricks, José Van Dam, Amaryllis Grégoire and
Ivan Rebroff. In 2007 she took part in the 100%
Schubert Festival at Flagey, Brussels, as well as
in concerts in Spain and in Così fan tutte at the
Festival de l’Eté Mosan and at Brussels’ Concerts Européens. This year, she has performed
in Mozart’s Requiem and in contemporary music festivals at Bordeaux (Les grandes traversées) and Courtrai (Voltage). In October she
will perform the roles of Malika and Mistress
Bentson in Delibes Lakmé at the Ghent Opera
and the role of Maria in the musical comedy La
Mélodie du Bonheur, under the baton of David
Miller.
Nata a Bienne, dove ha ottenuto il diploma di
pianoforte al locale conservatorio, si è formata
sotto la guida di Harry Datyner a Ginevra, dove ha ottenuto il primo Premio Paderevski a 22
anni. Ha conseguito anche il Prix Pembauer e
il Prix Alex de Vries. Ha seguito corsi di perfezionamento con Vlado Perlemuter, Nikita Magaloff e Paul Badura-Skoda, oltre ad avere seguito i consigli di Martha Argerich e di
Wolfgang Sawallisch. Ha tenuto concerti in
Svizzera, Francia, Inghilterra, Belgio, Austria,
Italia, Israele, Cile e USA, dove è stata invitata
regolarmente in varie università per corsi di
perfezionamento. Ha seguito corsi di tedesco e
musicologia all’Università di Ginevra, da cui
ha ricavato la motivazione per svolgere per un
certo tempo l’attività di critico musicale. Ha
presentato in prima esecuzione composizioni
di Blaise Mettraux, Alfred Schweizer, René
Gerber e Daniel Andres. Degli ultimi due ha
anche registrato opere su disco, così come di
Chopin, Schumann e Liszt. Si dedica molto alla musica da camera, in particolare alla liederistica, vantando l’esecuzione integrale dei Lieder di Mahler. È organizzatrice del festival Ars
Musica di Bienne
Born in Bienne, Switzerland, Dagmar Clottu received a diploma in piano at her home town’s
conservatory and studied with Harry Datyner in
Geneva, where she won the first Paderewski Prize at the age of 22. She also won the Pembauer
and Alex de Vries prizes. She took master classes with Vlado Perlemuter, Nikita Magaloff, and
Paul Badura-Skoda and received advice from
Martha Argerich and Wolfgang Sawallisch. She
has given concerts in Switzerland, France, England, Belgium, Austria, Italy, Israel, Chile and
the USA, where she returns regularly to give master classes at various universities. She took courses in German and musicology at the University
of Geneva, as a result of which she spent some time working as a music critic. Clottu has given the
premiere of compositions by Blaise Mettraux, Alfred Schweizer, René Gerber and Daniel Andres
and has recorded works by Gerber and Andres as
well as pieces by Chopin, Schumann and Liszt.
She performs a great deal of chamber music and
lieder, and she is particularly proud of having
performed all of Mahler’s lieder. She organises
Bienne’s Ars Musica festival.
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
80 __ Progetto Martha Argerich
__
JASMINE DAOUD
Soprano lirico nata in Belgio. Accanto a studi
commerciali, di pianoforte, flauto, danza, dopo un diploma di insegnatne di lingue
(2002), ha studiato canto nel Conservatoire
Royal de Musique (2002-03) di Liegi e in forma privata con Hanna Schaer a Parigi (2007).
Nel 2006 ha seguito un corso con Mirella Freni al Centro Universale del Bel Canto. La sua
più recente esperienza formativa à avvenuta
nel Laboratorio Toscano per la Lirica che le ha
permesso di esibirsi al Teatro Verdi (Pisa), al
Teatro Goldoni (Livorno) e al Teatro del Giglio
(Lucca). In ottobre si presenterà all’Opéra Royal de Wallonie.
WALTER DELAHUNT
Lyric soprano Jasmine Daoud was born in Belgium. Along with studies in business, piano, flute
and dance, and after having received a diploma
(2002) as a language teacher, she studied voice at
the Royal Conservatory of Music in Liège (200203) and privately with Hanna Schaer in Paris
(2007). In 2006 she took a course with Mirella
Freni at the Centro Universale del Bel Canto.
Her most recent learning experience took place at
the Laboratorio Toscano per la Lirica, which gave her the opportunity to perform at Pisa’s Teatro
Verdi, Livorno’s Teatro Goldoni and Lucca’s Teatro del Giglio. In October she will perform at the
Opéra Royal de Wallonie (Belgium).
ALEXANDRE DEBRUS
Nato nel 1979 in una famiglia di musicisti, a
quattro anni inizia a studiare il violoncello
sotto la guida della madre. Dopo i primi concerti a 12 anni, a 16 è ammesso nella classe di
Luc Dewez al Conservatoire Royal de Musique
di Mons. Dopo il diploma a 19 anni si perfeziona nella Chapelle Musicale Reine Elisabeth.
Nel 1996 segue i corsi di Mischa Maisky e
Marc Drobinsky all’Accademia Chigiana di
Siena, e in seguito alla Musikhochschule di Basilea con Yvan Monighetti. Nel 1999 vince un
premio al Concours Marthilde Horlait Dapsens
ed ottiene il diploma superiore di musica da
camera con distinzione al conservatorio di
Bruxelles, dove è assunto come incaricato di
musica da camera a fianco di André Siwy,
funzione che gli sarà attribuita nel 2002 anche dal conservatorio di Mons. Dopo il primo
disco nel 1995 come solista nei concerti di Vivaldi, registrerà per EMI Music un disco in
duo con Alexandre Mogilevsky nel 2000, seguito nel 2001 dalla registrazione del Concerto di Dvorak con l’orchestra ARPEGGIO per
Artès Classics. Nel 2001 diventa presentatore
di una trasmissione di cui è anche autore, La
Clé de Fa, prodotta da TVCOM. Nel 2005 registra i concerti di Haydn per PAVANE Records e fonda il Trio à Clavier Carlo Van Neste.
Oltre alla partecipazione a vari festival, nel
2005 è invitato al Festival Martha Argerich a
Buenos Aires. Nel 2006 inizia una nuova serie televisiva dal titolo Les Cahiers des Notes.
Ha dato concerti in vari paesi d’Europa, negli
USA e in Giappone.
Nato a Wolfville, il pianista d’origine canadese
è fra i più richiesti esecutori di musica da camera, avendo collaborato con artisti rinomati
quali Zara Nelsova, Gidon Kremer, Karl Leister, Ida Haendel, Truls Mork e Martha Argerich. Walter Delahunt è regolarmente ospitato
nella serie cameristica dei Berliner Philharmoniker e da vari festival europei di musica da camera. Ha iniziato lo studio del pianoforte a nove anni proseguendo la formazione con Felicia
Kalejs all’Acadia University della sua città natale. Nel 1978 si è diplomato all’Università di Toronto ottenendo il Premio di eccellenza W.O.
Forsyth. Ha insegnato al Royal Conservatory of
Music a Toronto, alla Banff School of Fine Arts,
alla McGill University e alla Musikhochschule di
Vienna. Ha registrato per varie case discografiche (BMG, Panton e EMI) e nel 2006 ha ottenuto due Nomination ai Grammy Awards.
Born in Wolfville, this Canadian native pianist is
in great demand as a chamber musician and has
performed with some of the world's leading artists
including Zara Nelsova, Gidon Kremer, Karl Leister, Ida Haendel, Truls Mörk und Martha Argerich. Walter Delahunt is a regular guest of the Berlin Philharmonic Chamber Music Series and
many European chamber music festivals. He began his piano studies at the age of nine and went
on to study with Felicia Kalejs at Acadia University in his hometown. In 1978 he graduated from
the University of Toronto and was awarded the W.
O. Forsyth Prize for outstanding performance.
He has taught at the Royal Conservatory of Music in Toronto, the Banff School of Fine Arts,
McGill University and the Vienna Academy of
Music. He was nominated for two Grammy
awards in 2006 and has recorded for BMG, Panton and EMI.
ALESSANDRO DEL LUCA
Born into a family of musicians in 1979, Alexandre Debrus began to study the cello at the age of
four under his mother’s guidance. He gave his first
concerts when he was 12, and at 16 he was admitted to Luc Dewez’s class at the Conservatoire Royal de Musique in Mons, Belgium. After receiving
a diploma at the age of 19, he went on to advanced studies at the Chapelle Musicale Reine Elisabeth. He studied with Mischa Maisky and
Marc Drobinsky at Siena’s Accademia Chigiana
in 1996 and later with Yvan Monighetti at Basel’s Musikhochschule. In 1999 he won a prize at
the Marthilde Horlait Dapsens Competition
and received a higher diploma (“with distinction”)
in chamber music at the Brussels Conservatory,
where he was engaged as a chamber music instructor alongside André Siwy; he took on the same position at the Mons Conservatory as well in 2002.
After having made his first recording (1995) as a
soloist in concerti by Vivaldi, in 2000 he recorded
a CD for EMI Music, together with Alexandre
Mogilevsky; this was followed, in 2001, by a recording of the Dvofiák Concerto with the ARPEGGIO Orchestra, for Artès Classics. In 2001 he began to write and present a programme – La Clé de
Fa – produced by TVCOM. In 2005 he recorded
the Haydn concerti for PAVANE Records and
founded the Carlo Van Neste Trio à Clavier. In
addition to participating in various festivals, he
was invited in 2005 to the Festival Martha Argerich in Buenos Aires. In 2006 he began a new television series, Les Cahiers des Notes. He has given concerts in various European countries, the
USA and Japan.
Allievo di Lydia Assenza, Rodolfo Caporali e
Alexis Weissenberg, è uno dei più rappresentativi pianisti italiani della sua generazione.
Fin dal suo precoce debutto è ospite delle più
prestigiose istituzioni musicali sia in Italia
(Teatro La Fenice di Venezia, Teatro San Carlo
di Napoli, Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Accademia filarmonica Romana a Roma,
Piccola Scala di Milano, Festival dei due Mondi
di Spoleto, Sagra Musicale Umbra, ecc.) che all’estero, dove ha effettuato tournées, toccando
le principali capitali culturali europee (Parigi,
Londra, Monaco, Praga, Belgrado, Madrid,
Mosca, Berna, San Pietroburgo, Bucarest,
ecc.), spesso affiancato da celebri direttori d’orchestra come Lorin Maazel, Georges Prêtre,
Yehudi Menuhin, Raphael Frühbeck de Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Peter Maag, Franco Mannino, Leopold Hager, Djansug Kakhidze, e da complessi orchestrali quali la
Pittsburgh Symphony, la Bayerischer Rundfunk,
l'Orchestra della Radiotelevisione di Mosca, la Filarmonica di Kiev, l’Orchestra della Radio di
Stoccarda, ecc. Ha registrato inoltre per la RAI,
la Radio Vaticana, il Bayerischer Rundfunk, la
Radiotelevisione di Mosca, la Radio Nazionale di
Spagna, le Radio e TV di Lituania, Georgia, Romania, e Yugoslavia. Ha inciso per Fonit-Cetra,
Edipan, Excelsior, Polyart. Parallelamente si dedica all’attività didattica, detenendo la cattedra
di pianoforte presso il Conservatorio A. Casella
dell’Aquila.
Alessandro De Luca, a pupil of Lydia Assenza, Rodolfo Caporali and Alexis Weissenberg, is one of
the most representative Italian pianists of his generation. Ever since his precocious debut, he has
performed at the most prestigious venues both in
Italy – the Teatro La Fenice in Venice, Teatro San
Carlo in Naples, Accademia Nazionale di Santa
Cecilia and Accademia Filarmonica Romana in
Rome, Piccola Scala in Milan, Festival dei Due
Mondi in Spoleto, Sagra Musicale Umbra etc. –
and abroad, where he has played in the major European musical centres: Paris, London, Munich,
Prague, Belgrade, Madrid, Moscow, Bern, St. Petersburg, Bucharest etc.. He has often worked with
such celebrated conductors as Lorin Maazel, Georges Prêtre, Yehudi Menuhin, Raphael Frühbeck de
Burgos, Gianandrea Gavazzeni, Peter Maag,
Franco Mannino, Leopold Hager and Djansug
Kakhidze, and with such orchestras as the Pittsburgh Symphony, Bavarian Radio Orchestra,
Moscow Radio and Television Orchestra, Kiev
Philharmonic, Stuttgart Radio Orchestra etc.
He has recorded programmes for the RAI (Italian
Radio and Television), Vatican Radio, Bavarian
Radio, Moscow Radio and Television, Spanish
National Radio and the radio and television networks of Lithuania, Georgia, Romania and Yugoslavia, and he has made recordings for the Fonit-Cetra, Edipan, Excelsior and Polyart labels.
He also dedicates time to teaching activities, and
he holds the chair of piano instruction at the A.
Casella Conservatory of L’Aquila.
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82 __ Progetto Martha Argerich
__
MAREK DENEMARK
A Chernowitz in Ucraina, dove è nato, ha compiuto i primi studi al Conservatorio di Stato, proseguendoli poi al Conservatorio di Mosca e alla
Scuola musicopedagogica Gnessin con la professoressa Schaposchinikova.
Nel 1980 si è stabilito a Berlino lavorando in
orchestra e dando molti concerti in duo con il
pianista Nicolas Economou. Nel 1993 ha partecipato al Festival “Pianisti non solo” a Venezia
e al Festival internazionale di pianoforte e musica da camera di Guil-Durance (Francia).
MARK DROBINSKY
Marek Denemark was born in Chernovitz, Ukraine, where he completed his initial studies at the
State Conservatory. He then continued his training at the Moscow Conservatory and the Gnessin Music School with professor Shaposhinikova.
In 1980 he moved to Berlin, where he played in orchestras and gave many concerts in a duo with the
pianist Nicolas Economou. In 1993 he participated in the festival titled “Pianisti non solo” in Venice and in the Festival International Piano et
Musique de Chambre in Guil-Durance (France).
Nato a Baku, è stato allievo di Mstislav Rostropovic al Conservatorio di Mosca. Dopo aver ottenuto riconoscimenti quali il primo premio
al concorso di musica da camera di Monaco
di Baviera, ha insegnato all’Istituto Gnessin di
Mosca.
Nel 1974 ha lasciato l’Unione Sovietica, stabilendosi dapprima in Israele e poi a Parigi. Si
è distinto nei maggiori festival europei non
solo nel repertorio classico ma anche nelle
opere di compositori contemporanei come
Henri Sauget, Henri Dutilleux e Alfred
Schnittke.
Mark Drobinsky was born in Baku and studied
with Mstislav Rostropovich at the Moscow Conservatory. His talent has received recognition
through such prizes as the top spot at the Munich
Chamber Music Competition, and he has followed
up these awards by teaching at the Gnessin Music School in Moscow.
He left the Soviet Union in 1974, moving first to
Israel and then to Paris. He distinguished himself
at major European festivals, not only in playing
his classical repertoire, but also in performing music by contemporary composers such as Henri Sauget, Henri Dutilleux and Alfred Schnittke.
CHARLES DUTOIT
NICOLAS DORIAN
Nato nel 1986 a Bruxelles, ha iniziato lo studio
della musica a quattro anni. A nove anni ha
preso lezioni di canto pop da Chantal Nicaise
ed è entrato nel coro Les Pastoureaux, dove ha
affrontato il repertorio sacro e profano. A undici anni ha iniziato lo studio del canto calssico con Benoît Giaux, affiliandosi al complesso
barocco dei Laudantes diretto da Guy Jannsens.
Contemporaneamente ha studiato il pianoforte, il solfeggio e l’armonia. Nel 2000, acquisita la voce di tenore, è entrato a far parte dell’European Robert Schumann Choir. Nel 2001 ha
preso parte a un corso di perfezionamento con
il soprano Jeanette Thompson alla Summer
Academy del Belgio, iniziando l’attività di cantante pop e di musical in un cabaret di Bruxelles, La Voix. Nel 2004 è entrato nella sezione
vocale dell’IMEP (conservatorio) di Namur,
nella classe di Benoît Giaux e di Laure Delcampe. Contemporaneamente prende parte a tre
commedie musicali quale cantante e compositore per conto di L’Enfant des Étoiles, un’associazione di sostegno all’infanzia. Ha partecipato
inoltre al coro Le Petit Sablon, sotto la direzione di Thibaut Lenaerts nel repertorio mottettistico francese del XVII secolo. Ha cantato per
varie produzioni del Grand Théâtre di Vervier,
quali Cinemusic 2 e The Eighties. Nel 2007 ha
sostenuto il ruolo di Tony in West Side Story di
Bernstein a Bruxelles e quello del Reverendo
Walters in Tom Sawyer composto e diretto da
David Miller. Dal 2005 è uno dei sei cantanti
del nuovo gruppo vocale belga, Witloof Bay.
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Born in 1986 in Brussels, Nicolas Dorian begins his
musical journey at the age of four. At the age of nine, he takes his first classes of pop singing with
Chantal Nicaise and joins the Belgian Boy’s Choir
Les Pastoureaux where he approaches the sacred
ant secular repertoire. At the age of eleven, he begins
a classical vocal training with Benoît Giaux and
starts singing in the baroque ensemble Laudantes
under the direction of Guy Janssens. At the same times he studies classical piano, solfege and harmony.
In 2000, with a new tenor voice, he joins the European Robert Schuman Choir. In 2001, he takes
part to an Opera Master Class with the soprano Jeanette Thompson at the Summer Academy of Belgium. The same year, he stars singing pop and musical’s songs in a Brussel’s cabaret,“La Voix. In
2004, he enters the vocal section at the IMEP (Conservatoire) in Namur in the class of Benoît Giaux
and Laure Delcampe. In the mean time, he takes
part to three musicals as a singer and songwriter for
L’Enfant des Etoiles, a Belgian association for
childhood support.
He also joins the choir Le Petit Sablon, under the
direction of Thibaut Lenaerts, to sing French motets
of the 17th century. He sings for several productions
at the Grand Theatre of Verviers, like Cinemusic 2
and The Eighties. In 2007, he plays the role of Tony
in Bernstein’s musical West Side Story in Brussels
and the role of the Reverend Walters in Tom Sawyer, the new musical composed and directed by David Miller. Since 2005, he is also one of the six singers of the new Belgian vocal jazz group Witloof
Bay.
Nato a Losanna, si è diplomato al Conservatorio di Ginevra, vincendo un primo premio in
direzione. Nei primi anni assistette spesso alle prove di Ansermet, da cui apprese molte conoscenze. Studiò anche con Charles Münch a
Tanglewood. Iniziò la carriera professionale
nel 1957 come violista in varie orchestre attraverso l’Europa e l’America del Sud. Ritornato
in Svizzera si concentrò sulla direzione. Dal
1959 fu direttore ospite dell’Orchestre de la
Suisse Romande e dell’Orchestre de chambre de
Lausanne. Successivamente fu direttore dell’orchestra di Radio Zurigo, che lasciò nel
1967 quando divenne successore di Paul Klecki all’Orchestra sinfonica di Berna, carica che
mantenne per undici anni. Ha diretto anche
l’Orchestra sinfonica nazionale del Messico dal
1973 al 1975, e l’Orchestra sinfonica di Gothenburg (Svezia) dal 1975 al 1978. Dutoit è stato
direttore principale della Minnesota Orchestra
nei primi anni 80. Nel 1977 è diventato direttore artistico dell’ Orchestre Symphonique de
Montréal (OSM), da lui trasformata in 25 anni di attività in una delle più raffinate orchestre canadesi e delle migliori nel mondo. Ha
ottenuto più di 40 premi e distinzioni, tra cui
due Grammy Awards (USA), vari Juno Awards
(Canada), il Grand Prix du Président de la République (Francia), il Prix Mondial du Disque
(Montreux), l’Amsterdam Edison Award, il Japan Record Academy Award, il Premio della critica musicale tedesca. Con l’OSM ha realizzato
numerose
registrazioni
per
la
Decca/London. Dal 1990 è stato direttore artistico e direttore principale del festival estivo
della Philadelphia Orchestra a Saratoga Springs,
e del Pacific Music Festival in Giappone. Dal
1991 al 2001 è stato direttore musicale dell’
Orchestre National de France. Nel 1996 è stato
nominato direttore della Tokyo’s NHK
Symphony Orchestra. Nel febbraio del 2007 è
stato nominato direttore principale e consigliere artistico della Philadelphia Orchestra.
Nell’aprile 2007 Dutoit è stato nominato direttore principale e artistico della Royal Philharmonic Orchestra dal 2009.
Dutoit was born in Lausanne and graduated from
the Geneva Conservatory where he won first prize
in conducting. In his younger days, he frequently
attended Ansermet's reharsals and had a personal
acquaintance with him. He also studied with
Charles Münch a Tanglewood.. Dutoit began his
professional music career in 1957 as a viola player
with various orchestras across Europe and South
America. After two years, he returned to Switzerland to concentrate on conducting. From 1959 he
was a guest conductor of the Orchestre de la Suisse Romande and the Orchestre de chambre de
Lausanne. After this, he was the conductor for Radio Zurich until 1967, when he took over the Bern
Symphony Orchestra from Paul Klecki, where he
stayed for eleven years.He also conducted the National Symphony Orchestra of Mexico from 1973
to 1975, and Sweden’s Gothenburg Symphony
from 1975 to 1978. Dutoit was principal guest conductor of the Minnesota Orchestra in the early
1980's. In 1977 he became the Artistic Director of
the Orchestre Symphonique de Montréal
(OSM). During his 25 years with the Montreal
Symphony, he turned it into the finest orchestra in
Canada and one of the best in the world. He has
earned more than 40 international awards and distinctions, including two Grammy Awards
(USA), several Juno Awards (Canada), the
Grand Prix du Président de la République
(France), the Prix Mondial du Disque (Montgreux, Switzerland), the Amsterdam Edison
Award, the Japan Record Academy Award, and
the German Music Critics’ Award. He and the
OSM made many recordings for the Decca/London label. Since 1990, he has been the artistic director and principal conductor of the Philadelphia
Orchestra's summer festival in Saratoga Springs,
and of the Pacific Music Festival in Japan. From
1991 to 2001, Dutoit was Music Director of the Orchestre National de France. In 1996 he was appointed principal conductor of Tokyo’s NHK
Symphony Orchestra. In February 2007, he was
named chief conductor and artistic adviser of The
Philadelphia Orchestra. In April 2007, Dutoit
was named principal conductor and artistic director of the Royal Philharmonic Orchestra as of
2009.
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
84 __ Progetto Martha Argerich
__
IVRY GITLIS
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nel mondo musicale egli è diventato per molti una figura leggendaria. Nato in Israele, dopo
essere stato scoperto da Bronislaw Hubermann che gli aprì le porte del Conservatoire National de Paris (a 12 anni), la sua formazione fu
segnata dalle più illustri figure violinistiche del
secolo: Georges Enescu, Jacques Thibaud, Carl
Flesch. Concertista di fama, oltre a prodursi
con le più importanti orchestre e i più grandi
direttori, ha fondato vari festival. Il suo primo
disco, comprendente il Concerto di Alban Berg,
ottenne il “Grand Prix du Disque”, mentre sono considerate di particolare referenza le sue
registrazioni dei concerti di Paganini, Ciaikovskij, Mendelssohn, Wieniawski, Sibelius, Stravinsky. Con Martha Argerich ha registrato la
Sonata a Kreutzer di Beethoven e le sonate di
Franck e Debussy.
Gitlis è anche un rinomato pedagogo che tiene
corsi di perfezionamento in tutto il mondo, regolarmente impegnato in estate al Mozarteum
di Salisburgo e in Francia. Ha contribuito spesso al cinema come compositore e come attore,
in film di Truffaut e Schlondorff. Nel 1981 il
suo libro autobiografico, “L’Âme et la Corde”, fu
accolto dal favore della critica.
VINCENT GODEL
To many in the musical world he has become a legendary figure. Born in Israel, Gitlis was discovered by Bronislaw Huberman, thanks to whom the
doors of the Conservatoire National de Paris were opened to him. His training was marked by some of the most illustrious violinists of the century:
Georges Enescu, Jacques Thibaud and Carl Flesh.
In addition to appearing with the most important
orchestras and the greatest conductors, this famous
concert artist has founded various festivals. His
first recording - Alban Berg’s Concerto – received
the “Grand Prix du Disque”, and his recordings
of concertos by Paganini, Tchaikovsky, Mendelssohn, Wieniawski, Sibelius, and Stravinsky are
particularly significant. He has recorded the Beethoven’s Kreutzer Sonata and Franck and Debussy sonatas with Martha Argerich. Gitlis is also
a renowned pedagogue, giving master classes all
over the world, regularly spending summers at the
Mozarteum in Salzburg and in France, where he
has created memorable festivals. A frequent contributor to the cinema as a composer as well as an actor, he has worked with the likes of Truffaut and
Schlondorff. In 1981 his autobiographical book,
“L’Âme et la Corde”, was published to unanimous critical acclaim.
Nato a Ginevra nel 1977, ha studiato pianoforte prima di proseguire con il fagotto. Dopo la maturità
nel 1996 è ammesso nella “School of Music” dell’Università di Blomington (USA, dove nel 1999 ottiene il “Performer Diploma” nella classe di Kim
Walker. Prosegue gli studi con Daniele Damiano al
Conservatorio di Ginevra, dove nel 2001 ottiene il
“1er prix de Virtuosité” e il diploma di insegnamento; successivamente il diploma di orchestra nella
classe di Alfonso Venturieri. Collabora in seguito
con varie orchestre reputate: Orchestra della Tonhalle di Zurigo, l’Orchestre de Chambre de Lausanne,
l’Orchestre de l’Opéra de Lyon, l’Orchestra del Teatro la
Fenice di Venezia, il Berner Symphonie Orchester,
suonando spesso come primo fagotto. Nel 1999 è
invitato come primo fagotto al Pacific Music Festival
in Giappone sotto la direzone di Michael Tilson
Thomas, dove partecipa a un concerto di musica da
camera all’aperto con i solisti dei Wiener Philharmoniker davanti a 4000 spettatori. Nel 2002 è nominato quale prima parte all’Orchestre de Chambre de
Genève e nel 2003 quale primo fagotto nell’Orchestra della Svizzera Italiana, con cui si è esibito anche come solista. Dal 2007 insegna controfagotto
alla Hochschule der Künste a Berna.
Born in Geneva in 1977, Vincent Godel studied piano before switching to the bassoon. In 1996, after having graduated from high school, he entered Kim Walker’s class at
Indiana University’s School of Music (Bloomington,
USA), where he received a Performer Diploma in 1999.
He went on to study with Daniele Damiano at Geneva’s
Conservatory, and in 2001 he was awarded the “1er Prix
de Virtuosité” and a teaching diploma, as well as – a little later – the orchestra diploma in Alfonso Venturieri’s
class. He has since played in various first-rate orchestras
(often as first bassoon): Zurich’s Tonhalle Orchestra, the
Orchestre de Chambre de Lausanne, the Opéra de
Lyon orchestra, the orchestra of Venice’s Teatro La Fenice and the Bern Symphony Orchestra. In 1999 he was
invited to play first bassoon at the Pacific Music Festival
in Japan under the direction of Michael Tilson Thomas;
there, before an audience of 4,000, he participated in an
outdoor chamber music concert with first-desk players
from the Vienna Philharmonic. In 2002 he became
principal bassoon of the Orchestre de Chambre de Genève, and in 2003 he took up the same position with the
Orchestra della Svizzera Italiana, with which he has also appeared as soloist. Since 2007 he has been teaching
contrabassoon at Bern’s Hochschule der Künste.
GILA GOLDSTEIN
CORRADO GIUFFREDI
Diplomato al Conservatorio di Parma, vincitore del Primo Premio al Concorso Internazionale "Saverio Mercadante" di Altamura e premiato al Concorso Valentino Bucchi di Roma, dal
2003 è primo clarinetto solista dell'Orchestra
della Svizzera Italiana. È regolarmente invitato
come primo clarinetto dall'Orchestra Filarmonica della Scala con la quale ha partecipato a
molte tournées, sotto la direzione di Riccardo
Muti. Ha fatto parte dell'”Orchestra del Bicentenario del Tricolore” in occasione del concerto di Reggio Emilia diretto da Claudio Abbado
ed è ospite regolare del Festival Internazionale
di Musica da Camera di Aschau im Chiemgau
in Germania. Di rilievo l'attività discografica: le
fantasie per clarinetto e pianoforte da opere di
Giuseppe Verdi, i quartetti di Mercadante e
Rossini con il Rossini Quartet, l'integrale della
musica per fiati di Beethoven e la trascrizione
del Barbiere di Siviglia di Rossini con l'Ottetto
Italiano, i due quintetti per pianoforte e fiati di
Mozart e Beethoven con Michel Dalberto. Ha
eseguito in prima esecuzione italiana il concerto per clarinetto e orchestra di Krzistof Penderecki sotto la direzione dell’autore. Nel 1999 ha
partecipato alla serata di gala del Clarinetfest in
Belgio dove si è esibito in duo con Eddie Daniels. Direttore e solista dei Filarmonici di Busseto, è docente di clarinetto all'Istituto Musicale Superiore di Modena.
Corrado Giuffredi, who graduated from the Parma
Conservatory and won first prize at the Saverio
Mercadante International Competition at Altamura and at Rome’s Valentino Bucchi Competition, his principal clarinet of the Orchestra della
Svizzera Italiana since 2003. He frequently appears
as principal clarinet with the La Scala Philharmonic, with which he participated in many tours under the direction of Riccardo Muti. He was a member of the “Orchestra of the Bicentenary of the
Tricolor” on the occasion of a concert in Reggio Emilia conducted by Claudio Abbado, and he is a frequent guest at the International Chamber Music
Festival at Aschau im Chiemgau, Germany. His activities as a recording artist are significant: the fantasies for clarinet and piano based on Giuseppe Verdi’s operas; quartets by Mercadante and Rossini
with the Rossini Quartet; Beethoven’s complete music for wind instruments and a transcription of Rossini’s Barber of Seville with the Italian Octet; and
Mozart and Beethoven’s quintets for piano and
winds, with Michel Dalberto. He gave the Italian
premiere of Krzysztof Penderecki’s Concerto for clarinet and orchestra, under the composer’s baton. In
1999 he participated at the gala soirée of the Clarinetfest in Belgium, where he and Eddie Daniels performed as a duo. He is conductor of and soloist with
the Filarmonici di Busseto and professor of clarinet
at Modena’s Istituto Musicale Superiore.
Nata in Israele, risiede dal 1988 a New York,
dove si è diplomata alla Manhattan School of
Music sotto la guida di Nina Svetlanova e ottenendo il Bachelor of Music all’Accademia
di musica dell’Università di Tel-Aviv dove
ebbe come insegnante Victor Derevianko.
Si è esibita individualmente e come pianista collaboratore negli USA, in Canada,
Messco, Asia sudorientale, Europa e Israele. Le sue prestazioni maggiori sono avvenute con l’Orchestra sinfonica di Gerusalemme, l’Orchestra sinfonica di Manila,
l’Orquesta Da Camera di Città del Messico,
mentre ha tenuto recital e concerti a New
York (Merkin Hall e Steinway Hall), a Londra
(Purcell Room e South Bank Center ), a Berlino (Konzerthaus ), Parigi (Musée de Louvre e
Cité des Arts). Toronto ( Roy Thomson Hall),
Washington D.C. (Kennedy Center), San
Francisco (Old First Church), Ann Arbor
(University of Michigan), Santa Barbara
(University of California), Miami (University of Florida, Steinway Gallery), Boston
(Gardner Museum), Dame Myra Hess concert
series, Ravinia “Rising Stars” Series e
Symphony Hall a Chicago, “Great Performances” Series a St. Louis, Henry Crown Hall a
Gerusalemme e al museo di Tel Aviv.
Membro del consiglio dell’American Liszt
Society (ALS) e presidente fondatore della
sezione di NY/NJ dal 1992, Gila Goldstein è
ospite regolare del festival annuale dell’ALS
e del Great Romantics International Festival a
Hamilton nell’Ontario (Canada). Impegnata da un decennio a valorizzare la musica
del compositore israeliano Paul Ben-Haim,
ha registrato due volumi della sua opera
pianistica.
Originally from Israel, she resides in New York
City since 1988. Gila Goldstein holds a Master of
Music from the Manhattan School of Music where she studied with Mrs. Nina Svetlanova and a
Bachelor of Music from the Tel-Aviv University's
Academy of Music, where her teacher was Prof.
Victor Derevianko. She has performed as a solo artist and collaborative pianist throughout the USA,
Canada, Mexico, Southeast Asia, Europe and
Israel. Her most notable performances included
the Jerusalem Symphony Orchestra, the Manila Symphony Orchestra and Orquesta Da Camera in Mexico City, as well as recitals and concerts at Merkin Hall and Steinway Hall in New
York City, the Purcell Room at the South Bank
Center in London, Konzerthaus in Berlin, Musée de Louvre and Cité des Arts in Paris, Roy
Thomson Hall in Toronto, Kennedy Center in
Washington DC, Old First Church in San Francisco, University of Michigan in Ann Arbor, University of California in Santa Barbara, University
of Florida, Steinway Gallery in Miami, Gardner
Museum in Boston, Dame Myra Hess concert series, Ravinia “Rising Stars” Series and
Symphony Hall in Chicago, “Great Performances” Series in St. Louis, Henry Crown Hall in Jerusalem and the Tel Aviv Museum.
A Board member of the American Liszt Society
(ALS) and the Founder-President of its NY/NJ
Chapter since 1992, she is a frequent guest performer at the ALS annual festivals and at the Great
Romantics International Festival in Hamilton,
Ontario (Canada).
A champion of the music of Israel's leading composer Paul Ben-Haim in the past decade as a performer and recording artist, Gila has recorded two
volumes of his entire piano works.
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86 __ Progetto Martha Argerich
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ALEXANDER GURNING
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nato a Bruxelles nel 1973, ha studiato al
Conservatorio Reale della capitale belga
nella classe di Nicole Henriot-Schweitzer,
perfezionandosi con i professori Naumov e
Merzhanov al Conservatorio di Mosca.
Ha partecipato al Festival dello SchleswigHolstein, allo Chopin di Duskniki-Zdroj (Polonia), al Martha Argerich Meeting Point di
Taipei (Taiwan) e di Beppu (Giappone), ai
Festival di Obido (Portogallo) e della Roque
d'Antheron (Francia). Insieme all'Ensemble
Soledad ha inciso per la Virgin Classics un
CD con tanghi di Piazzolla e Stravinskij. Ha
avuto anche l'occasione di suonare con
Martha Argerich, Renaud Capuçon e Laurent Korcia.
YUZUKO HORIGOME
Alexandre Gurning was born in Brussels in 1973.
He studied at the Royal Conservatory in Brussels
with Nicole Henriot-Schweitzer and had advanced training with professors Naumov and Merzhanov at the Moscow Conservatory.
He has participated in the Schleswig-Holstein
Festival, the Chopin Festival in Duskniki-Zdroj
(Poland), the Martha Argerich Meeting Point
in Taipei (Taiwan) and in Beppu (Japan), the
Obido Festival (Portugal) and in the International Piano Festival in La Roque d'Anthéron (France). Together with the Ensemble Soledad he made a CD for Virgin Records with tangos by
Piazzolla and Stravinsky. He has also had the opportunity to play with Martha Argerich, Renaud
Capuçon and Laurent Korcia.
LUCIA HALL
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Lucia Hall è nata in Canada. Ancora adolescente è stata tra i fondatori dell’ensemble I Musici
di Montreal. Nel 1989 si è trasferita a Vienna
per continuare gli studi con Dora Schwarzberg, dove ha anche approfittato di corsi di perfezionamento con Y. Menuhin, D. Sitkovetzky,
I. Ozim e V. Berlinsky. Ha conseguito vari premi in molti concorsi e riconoscimenti dal Canada Council e dal governo del Quebec. Dopo
aver partecipato al ciclo Schumann con Martha
Argerich and Friends ha collaborato con A. Rabinovitch-Barakovsky e Mark Drobinsky in festival quali l’Oleg Kagan Festival, Festival de Mégève e Les Classiques de Villars.
La violinista giapponese, cresciuta in una
famiglia di musicisti, accanto alla musica ha
avuto una formazione scientifica completa
(dottorato in elettrochimica). Si è imposta
all’attenzione nel 1980, ottenendo il primo
premio al Concorso Internazionale Reine Elisabeth. Da allora è regolarmente invitata ad esibirsi con le maggiori orchestre (Berlino,
Amsterdam, la Scala di Milano, New York,
Chicago, S.Pietroburgo). Con le orchestre di
Montréal, Birmingham, Vienna, Tokyo, Mozarteum di Salisburgo è stata anche in tournée.
Particolare impegno riserva alla musica da
camera, condiviso con colleghi di rinomanza
internazionale quali Martha Argerich, Misha
Maisky, Pascal Roger, Nobuko Imai, Antonio
Meneses, Wolfgang Manz, Philippe Graffin,
partecipando a numerosi festival internazionali
quali Marlboro, Lockenhaus, Tanglewood, Musicfest La Jolla California, Buenos Aires.
Professore invitato al Koninklijke Conservatorium di Bruxelles, è anche titolare di diverse
master class.
Suona un violino Guarneri del Gesù del 1741.
This Japanese violinist grew up in a family of
musicians but was also trained in the sciences
and holds a doctorate in electrochemistry. She
first made herself known in 1980 when she won
first prize in the International Queen Elisabeth
(Belgium) competition. Since then she has regularly been invited to perform with the finest
orchestras (Berlin, Amsterdam, La Scala
(Milan), New York, Chicago and St. Petersburg),
and she has also toured with the orchestras of
Montreal, Birmingham, Vienna, Tokyo and the
Salzburg Mozarteum.
She gives special attention to chamber music,
which she plays with internationally renowned
colleagues such as Martha Argerich, Misha
Maisky, Pascal Roger, Nobuko Imai, Antonio
Meneses, Wolfgang Manz and Philippe Graffin,
and she participates in such international festivals as Marlboro, Lockenhaus, Tanglewood,
Musicfest La Jolla (California) and Buenos
Aires.
She is a guest professor at Brussels’s Koninklijke
Conservatorium and holds various master classes.
She plays a 1741 Guarneri del Gesù violin.
PETRA HORVATH
Lucia Hall was born in Canada. As a teenager she
was a founding member of the prominent chamber
ensemble Musici de Montreal. In 1989 she moved to
Vienna to continue her studies with Dora Schwarzberg, where she also profited from masterclasses with,
among others, Y. Menuhin, D. Sitkovetzky, I. Ozim
and V. Berlinsky. She is prizewinner of several competitions and beneficiary of grants from the Canada Council and the Quebec gouvernement. Since participating in the Schumann Cycle with Martha Argerich
and Friends she has joined A. Rabinovitch-Barakovsky and M. Drobinsky regularly for festivals, such
as Oleg Kagan Festival, Festival de Musique Classique de Megève and Les Classiques de Villars.
Nata a Varazdin (Croazia) nel 1983, iniziò a
suonare il sassofono all’età di dieci anni. Da
bambina vinse vari primi premi in concorsi
giovanili del proprio paese. Dal 2000 studia in
Austria, dapprima con P. Staub a Graz, in seguito a Vienna con O. Vrhovnic all’Università di
musica e arti performative e con L. Mlekusch al
Conservatorio. È stata membro di alcuni quartetti di sassofononi tra cui Quadrofon e AIBaTESo Tzigane, con cui si è esibita in Austria,
Croazia, Slovenia e Cina. Nel 2003 sostituì il
proprio maestro in un progetto con il Wiener
Saxophone Quartett. Nel 2006 ha ricevuto una
borsa di studio dalla Fondazione Yamaha come
migliore strumentista a fiato. Petra ha frequentato corsi di perfezionamento con rinomati
sassofonisti quali Arno Bornkamp, Claude Delangle, Eric Devalon, Matjaz Drvensek, Dragan
Sremec e Maximiliano Doninnelli. Dedita alla
musica contemporanea, il maggiore interesse
di Petra si rivolge alla musica da camera rara e
alle combinazioni strumentali singolari.
Born in Varazdin, Croatia, in 1983. She started
playing Saxophone age 10. As a child she recieved several 1st prizes at croatian youth competitions. Since 2000 she studies in Austria, first
with Prof. P. Staub in Graz, later with Prof. O.
Vrhovnic at the University for music and performing arts and with Prof. L. Mlekusch at the
Conservatory, both in Vienna. She was member
of a few Saxophone quartetts, including Quadrofon, AIBaTESo Tzigane with which she performed throughout Austria, Croatia, Slovenia
and China. In 2003 she supstituted her teacher
for a project in the Wiener Saxophone Quartett. In 2006 she received a scholarship from the
Yamaha Foundation as best woodwind instrumentalist. Petra attended masterclasses with
many renowned Saxophonists like Arno Bornkamp, Claude Delangle, Eric Devalon, Matjaz
Drvensek, Dragan Sremec and Maximilanao
Doninnelli among others. Devoted to contemporary music, Petra´s interest lies on infamous
chambermusic works and rare instrumentations.
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88 __ Progetto Martha Argerich
__
GÉZA HOSSZU-LEGOCKY
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nato a Losanna nel 1985 da una famiglia di tradizioni musicali, dopo aver studiato privatamente a Ginevra, ha proseguito all’Accademia
musicale di Vienna. Nel 1993 ha iniziato il perfezionamento sotto la guida di Marina Sokorova e Dora Schwarzberg. Già all’età di nove anni ha compiuto una serie di concerti con
l’Orchestra Nazionale Ungherese a Budapest, e
tournée in Italia e in Francia. Esecutore appassionato sia nel campo classico che in quello jazzistico, si è esibito al Festival di Verbier (2000)
e al Martha Argerich di Buenos Aires (2004).
STEPHEN KOVACEVICH
Géza Hosszu-Legocky was born in Lausanne in
1985 into a family with a musical tradition. He
first took private lessons in Geneva and then continued his studies at the Vienna Academy of Music. He started his advanced training in 1993, under the guidance of Marina Sokorova and Dora
Schwarzberg. At the age of nine he had already
played in a series of concerts with the national
Hungarian orchestra in Budapest and had been
on tour in Italy and France. He performs equally
well in classical music or jazz and played at the
Verbier Festival (2000) and the Martha Argerich Festival in Buenos Aires (2004).
EDUARDO HUBERT
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Si è diplomato presso il Conservatorio Nazionale di Musica di Buenos Aires con Antonio
De Raco, seguendo la scuola di Vincenzo
Scaramuzza. Nel 1974 si è trasferito in Italia perfezionandosi con Fausto Zadra, Carlo
Zecchi, Guido Agosti e studiando la direzione d’orchestra con Franco Ferrara e Leonard
Bernstein. Ha conseguito la “licence de
concert” e il “Prix de virtuosité” presso il
Conservatorio di Losanna. Negli ultimi anni
si dedica fondamentalemnte alla musica da
camera, diventata materia del suo insegnamento presso i conservatori di Karlsruhe e
di Pescara. Ha collaborato con artisti quali
di Martha Argerich, Sandor Vegh, Franco
Petracchi, Ivry Gitlis, ecc.
Ha fequentato i corsi di musica elettronica
di Franco Evangelisti presso il Conservatorio
di S. Cecilia a Roma e si dedica a progetti di
ricerca come membro fondatore del gruppo
Suono-Immagine. Molte delle sue composizioni sono state eseguite in centri importanti quali il Teatro Colon, i Berliner Philharmoniker, Teatro Rossini di Pesaro,
Smeraldo di Milano, Sydney, Beppu, ecc., e
trasmesse dalla RAI, BBC, ABC New York.
Ha creato e diretto la prima Orchestra da camera del Molise “A.Lualdi” e l’Orchestra Filarmonica Adriatica. Dal 2000 è coordinatore
artistico del Festival Incontro Martha Argerich che si svolge a Buenos Aires. Dal 2006
collabora con il sistema di orchestre giovanili del Venezuela.
È nato a Los Angeles dove si è esibito come pianista all’età di 11 anni. A 18 anni si è trasferito in Inghilterra per studiare con Myra Hess. Nella sua carriera di pianista spiccano le se interpretazioni di
Beethoven, Brahms. Mozart e Schubert. Le sue registrazioni di Beethoven (Sonate op. 53, 78 e 110, e
op. 13, 14 e 22) hanno ricevuto la Nomination nella
categoria strumentale nel 1994 e nel 1999 ai Gramophone Awards. Con la London Philharmonic Orchestra sotto la direzione di Wolfgang Sawallisch ha
registrato i due concerti per pianoforte di Brahms,
di cui il primo vinse nel 1993 il Gramophone Award
e lo Stereo Review Record of the Year. Negli ultimi dieci anni ha registrato l’integrale delle 32 sonate di
Beethoven. Come omaggio alle sue interpretazioni
beethoveniane, gli è stata offerta l’occasione di esibirsi in una serie di sei concerti. Il progetto, denominato “Kovacevich, Beethoven and the Piano”, ha incluso il Concerto n. 5 con Kurt Masur in Grand
Bretagna e in Germania, tre recital beethoveniani
al Royal Festival Hall, concerti con la London Philharmonic con cui si è presentato come solista e direttore. Oltre all’attività solistica Kovacevich intrattiene buone relazioni con le orchestre come
direttore (London Mozart Players, Royal Liverpool
Philharmonic Orchestra e Vancouver Symphony Orchestra). Nei concerti di musica da camera fra i suoi
partner sono da menzionare Steven Isserlis, Nigel
Kennedy, Lynn Harrell, Sarah Chang, Renaud e
Gautier Capuçon, Kyung-Wha Chung, Truls MØrk
e Emmanuel Pahud
Stephen Kovacevich was born in Los Angeles and made his debut as a pianist at the age of 11. At the age of
18 he moved to England to study with Dame Myra
Hess. He has had a distinguished career as a concert
pianist. His interpretations of Beethoven, Brahms, Mozart and Schubert are renowned.
His recordings of the Beethoven Sonatas Op. 53, 78 &
110, and Op. 13, 14 & 22 were nominated for the instrumental category of the 1994 and 1999 Gramophone Awards. He has recorded both Brahms Piano Concertos with the London Philharmonic Orchestra and
Wolfgang Sawallisch; No 1 and won the 1993 Gramophone Award and the Stereo Review Record of the
Year. Over the last 10 years Kovacevich has recorded
Beethoven’s 32 piano sonatas. As a tribute to his interpretations of works of Beethoven, Stephen Kovacevich
was featured in a six-concert project ”Kovacevich, Beethoven and the Piano” The project included the Emperor Concerto with Kurt Masur in the UK and Germany, three Beethoven recitals in the Royal Festival
Hall, playing/directing the London Philharmonic
Youth Orchestra. In addition to his solo work, Kovacevich enjoys good relations with orchestras as a conductor and by directing from the keyboard (London
Mozart Players, Royal Liverpool Philharmonic Orchestra and Vancouver Symphony Orchestra).
Chamber music partners include Steven Isserlis, Nigel
Kennedy, Lynn Harrell, Sarah Chang, Gautier Capuçon, Renaud Capuçon, Kyung-Wha Chung, Truls
MØrk and Emmanuel Pahud
FEDERICO LECHNER
He received a diploma from the National Conservatory of Music in Buenos Aires, where he studied
with Antonio De Raco, of Vincenzo Scaramuzza’s School. In 1974 he moved to Italy for further
piano studies with Fausto Zadra, Carlo Zecchi
and Guido Agosti as well as conducting studies
with Franco Ferrara and Leonard Bernstein. He
received the “Licence de concert” and “Prix de virtuosité” from the Lausanne Conservatory. In recent years he has dedicated himself mainly to
chamber music, which is the subject he teaches at
the Karlsruhe and Pescara conservatories. He has
worked together with artists of the caliber of Martha Argerich, Sandor Vegh, Franco Petracchi, Ivry
Gitlis and so on.
He attended Franco Evangelisti’s courses in electronic music at the Santa Cecilia Conservatory
in Rome, and he undertakes research projects as a
founding member of the Suono-Immagine
[Sound-Image] group. Many of his compositions
have been performed at such important venues as
the Teatro Colón in Buenos Aires, Berlin’s Philharmonie, Pesaro’s Teatro Rossini, Milan’s Teatro Smeraldo, and in Sydney, Beppu etc., and
they have been broadcast by RAI, BBC and ABC
in New York.
He has created and conducts the “A. Lualdi” Molise Chamber Orchestra and the Adriatic Philharmonic Orchestra. Since 2000 he is the artistic
coordinator of the Festival Martha Argerich that
takes place in Buenos Aires. Since 2006 he has
been working with Venezuela’s youth orchestra
network.
Nato a Buenos Aires nel1974, ha iniziato a suonare il pianoforte a tre anni, studiando con Lolita Lechner e Elizabeth Westerkamp. A 10 anni si è trasferito con la famiglia in Spagna. A 15
ha iniziato a praticare il jazz e la musica moderna, sotto la guida di Horacio Icasto (pianoforte), Julio Daud (tromba), Miguel Gil (ritmi).
Da allora ha suonato con musicisti jazz in Spagna, quali Jorge Pardo, Ximo Tebar, Antonio
Serrano, Israel Sandoval, Pedro Ruy Blas, così
come con grandi artisti americani quali Jerry
Gonzalez, Christian Howes, Rez Abbasi,
Ugonna Okewo, Bob Sand e altri, con giri di
concerti in Europa, Stati Uniti e Sudafrica.
Ha collaborato con artisti del pop e del rock, tra
cui Miguel Rios, Pablo Carbonell, Sergio Makaroff, Andy Chango, Javier Krahe, Ariel Rot,
Joan Manuel Serrat. Ha pubblicato più di 40 album, di cui uno (A Primera Vista) in duo con
Jerry Gonzalez è stato segnalato come finalista
allo Spanish Music Awards come migliore album jazz.
Uno dei suoi campi di attività è l’improvvisazione su temi classici, che ha sviluppato in recital o in collettivo (Howes/Lechner/Martín
Trio). Come insegnante di improvvisazione è
attivo presso l’Escuela Municipal de Tres Cantos
a Madrid.Una sua composizione (Iboga) ha
vinto il primo Jazz Composition Award “Tete
Montoliu” nel 2005.
Born in Buenos Aires in 1974, begins to play piano at the age of three. He studies piano with Lolita Lechner and Elizabeth Westerkamp. At the age
of ten he moves with his family to Spain. At the
age of fifteen beguins to study jazz and modern
music: piano with Horacio Icasto, Trumpet with
Julio Daud, and Rythm with Miguel Gil. From
these years from now he has played with some jazz
musicians of Spain, such as Jorge Pardo, Ximo Tebar, Antonio Serrano, Israel Sandoval, Pedro Ruy
Blas, as well as with great American jazz artists,
as Jerry Gonzalez, Christian Howes, Rez Abbasi,
Ugonna Okewo, Bob Sands, and others, touring
in Europe, the U.S. and South America. He has
also worked with many pop and rock artist. Some
of them: Miguel Rios, Pablo Carbonell, Sergio
Makaroff, Andy Chango, Javier Krahe, Ariel Rot,
Joan Manuel Serrat.
He has recorded over 40 albums. One of them, A
Primera Vista, duo with Jerry Gonzalez, was nominated Finalist as Best Jazz Album 2002 on the
Spanish Music Awards. One of his active project
is the Improvisation over Classical Music that he
develops with the Howes/Lechner/Martín Trio,
and also on solo recitals. He has achieved a long
experience as teacher of improvisation (particularly at the Escuela Municipal de Tres Cantos in
Madrid).^is composition Iboga won the First Jazz
Composition Award “Tete Montoliu” on 2005.
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90 __ Progetto Martha Argerich
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KARIN LECHNER
Nata a Buenos Aires, ha studiato con la madre,
Lyl Tiempo, a Caracas.
Trasferitasi in Europa, ha proseguito gli studi
con Maria Curcio a Londra e Pierre Cancan a
Parigi. Più avanti ha ricevuto consigli da Martha Argerich, Daniel Baremboim e Nelson
Freire. Ha dato concerti con numerosissime
orchestre, fra le quali, le filarmoniche di Amsterdam, Rotterdam, Stoccarda, Buenos Aires,
le sinfoniche di Berlino, Amburgo, Miami,
l’Orchestra nazionale belga e quella di Francia,
sotto la direzione, tra gli altri, di Jean Fournet,
Christoph von Dohnanyi, Leopold Hager. Suona spesso in duo con il fratello Sergio Daniel
Tiempo, con il quale ha inciso brani per due
pianoforti.
MISCHA MAISKY
Karin Lechner was born in Buenos Aires and studied with her mother, Lyl Tiempo, in Caracas. After moving to Europe, she continued her studies
with Maria Curcio in London and Pierre Cancan
in Paris. Later she received additional instructions
from Martha Arge- rich, Daniel Baremboim and
Nelson Freire. She has performed with many orchestras, including the philharmonic orchestras of
Amsterdam, Rotterdam, Stuttgart, Buenos Aires;
the symphony orchestras of Berlin, Hamburg, and
Miami; and the Belgian and French national orchestras, conducted by Jean Fournet, Christoph
von Dohnanyi, Leopold Hager and many others.
She often plays in a duo with her brother Sergio
Daniel Tiempo, with whom she has recorded
works for two pianos.
LILY MAISKY
Lily Maisky è nata a Parigi nel 1987, trasferendosi subito dopo a Bruxelles. Ha iniziato lo studio del pianoforte a quattro anni con Lyl Tiempo, proseguendolo con Hagit Kerbel e Alan
Weiss. Ha approfittato dei corsi di perfezionamento e dei consigli di personalità quali Martha Argerich, Dmitri Bashkirov, Joseph Kalichstein, Evgeny Mogilevsky, Pavel Gililov, Vitali
Margulis e Marielle Labeque. Ha partecipato
all’Accademia di Verbier e ai corsi estivi di Oxford Philomusica nel 2004.
Nel 1977 ha preso parte all’esecuzione del Carnevale degli animali alla Carnegie Hall nell’ambito del Rainforest Foundation Charity Gala
Concert, da cui è stata ricavata una registrazione discografica. Le sue apparizioni concertistiche hanno avuto luogo in Gran Bretagna, Belgio, Germania, Italia, Austria, Spagna,
Turchia, Olanda, Svizzera, ecc. Fra i momenti
salienti sono da menzionare il concerto di gala
al Freiburg Zelt Music Festival in Germania, l’apparizione alla Royal Festival Hall a Londra, così come il Concerto di Grieg e il Triplo di Beethoven insieme con il padre e il fratello in
Belgio. Recentemente, dopo aver completato
gli studi alla Purcell School of Music con Ilana
Davids e con Simon Colam per il pianoforte
jazz, studia privatamente con Alan Weiss.
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Nato a Riga nel 1948, ha studiato a Leningrado, dove nel 1966 vinse il Concorso Ciaikovskij,
che gli aprì subito la carriera, proiettata a livello internazionale dopo l’emigrazione in Israele nel 1972. Nel 1973 vinse il Concorso Gaspard
Cassadò di Firenze, debuttando un anno dopo
a New York. In quell’occasione un anonimo benefattore gli regalò un violoncello Montagnana
del XVIII sec. col quale si esibisce ancora oggi.
Nel 1974 studiò con Gregor Piatigorsky, potendo vantare di essere il solo violoncellista che
(dopo aver studiato a Mosca con Rostropovic) è
stato allievo dei due grandi maestri russi del
violoncello. Maisky svolge da anni un’intensa
attività concertistica con le più grandi orchestre e i più importanti direttori. La sua predilezione per la musica da camera l’ha portato a
collaborare strettamente con Gidon Kremer e
con Martha Argerich.
Born in Riga in 1948, Maisky studied in Leningrad, where he won the 1966 Tchaikovsky Competition; this immediately launched his career,
which reached the international level after his immigration to Israel in 1972. In 1973 he won the
Gaspar Cassadó Competition in Florence, and a
year later he made his New York debut. On that
occasion, an anonymous benefactor gave him an
18th-century Montagnana cello, with which he
still performs today. In 1974 he studied with Gregor Piatigorsky, and as he had already studied
with Rostropovich in Moscow, he is the only cellist
who can claim to have studied with both of the
greatest Russian masters of the cello. For years,
Maisky has been a highly active concert artist who
appears with the greatest orchestras and the most
important conductors. His predilection for chamber music has brought him into close collaboration
with Gidon Kremer and Martha Argerich.
ALISSA MARGULIS
Lily Maisky was born in Paris in 1987, moving
to Brussels soon after. She began her piano studies at the age of four, with Lyl Tiempo, also studying with Hagit Kerbel and Alan Weiss. She
has received master classes and musical advice
from such renowned artists including Martha
Argerich, Dmitri Bashkirov, Joseph Kalichstein,
Evgeny Mogilevsky, Pavel Gililov, Vitali Margulis and Marielle Labeque. She also participated
in the prestigious Verbier Academy and the Oxford Philomusica piano courses in the summer
of 2004.
In 1997, Lily took part in a performance of The
Carnival of the Animals within the Rainforest
Foundation Charity Gala Concert in Carnegie Hall, from which a recording was issued.
Concert appearances have taken her to the UK,
Belgium, Germany, Italy, Austria, Spain, Turkey, Holland, Switzerland etc… Notable solo
events include a Gala concert in the Freiburg
Zelt Music Festival in Germany, a performance at the Royal Festival Hall in London, as well
as Grieg Concerto and Beethoven Triple with
her brother and father in Belgium. Recently
completing her studies at the Purcell School of
Music in the UK, studying with Ilana Davids as
well as Jazz Piano with Simon Colam, she now
studies privately with Alan Weiss.
Alissa Margulis è nata nel 1981 a Friburgo i.B.
in una famiglia di musicisti russi. Ha iniziato
a studiare il violino a quattro anni con W.
Marschner dedicandosi pure al pianoforte. Ha
dato il suo primo concerto a sette anni. A dieci
ha vinto il primo premio al concorso giovanile
“Ludwig Spohr” e il primo premio al concorso
federale “Jugend musiziert”. A tredici anni è diventata allieva di Zakhar Bron al Conservatorio
di Colonia. Si è poi perfezionata attraverso numerose master classes con Ana Chumachenko, Vladimir Spivakov, Ida Haendel, Shlomo
Mintz, Gyorgy Pauk, Hermann Krebbers, Augustin Dumay, Ivry Gitlis. Ha vinto premi in
vari concorsi: Concorso Wieniawsky, Concorso
Viotti (Vercelli), Unisa String Competition di
Pretoria, Concorso di musica da camera di Osaka, Concorso Vittorio Gui (Firenze). Nel 2002
ha ricevuto da Daniel Barenboim il “prix d’encouragement Pro Europa” a Berlino, dove si è
esibita nel locale teatro d’opera e nel castello
Bellevue. Alissa Margulis è stata invitata a suonare come solista e in formazioni cameristiche
in vari festival quali Tours, Davos, Gstaad, l’Encuentro di musica di Santander, lo Schleswig
Holstein Musikfestival, i Lockenhaus Festspiele di
Gidon Kremer, il Festival di Mentone. Ha suonato con l’Orchestra filarmonica di Novosibirsk,
l’Orchestra del Südwestfunk, i Solisti di Budapest,
l’Orchestra di Johannesburg, l’Orchestra sinfonica
di Praga, l’Orchestra della NDR e altre. Nel
2004 ha ricevuto il premio “nouvelle artiste” al
Festival Juventus di Cambrai.
Alissa Margulis was born in 1981 in Freiburg into a
family of russian musicians. She started to play the
violin at age 4 with prof. W. Marschner and also the
piano. She gave her first public performance at age
7. With 10 years she won the 1.prize at the Spohr
Yuth Competition and later the 1prize at the Bundeswettbewerb 'Jugend musiziert'. With 13 years
she became a pupil of Zakhar Bron at the Musikhochschule Koeln. Further musical advice and
participation in masterclasses she received from Ana
Chumachenko, Vladimir Spivakov, Ida Haendel,
Shlomo Mintz, Gyorgy Pauk, Herman Krebbers,
Augustin Dumay, Ivry Gitlis. She is a prizewinner
of many competitions: Wieniawsky Competition
in Poland, the Concorso Viotti (Vercelli), the Unisa String Competition in Pretoria, Osaka Chambermusic Competition, Concorso Vittorio Gui in
Florence. In 2002 she received the prix d'encouragement “Pro Europa” by Daniel Barenboim in Berlin,
where she performed at the Berlin Opera and the
Chateau Bellevue. Alissa Margulis has has been invited to perform as a soloist and chambermusic in
many international festivals as the Tours, Davos
and Gstaad festivals, the Encuentro di musica
Santander, Schleswig Holstein Musikfestival, the
Lockenhaus Festspiele by Gidon Kremer, the Menton Festival in Monaco. She played with the Novosibirsk Philharmonic Orchestra, the Südwestfunk Orchestra, the Budapest soloists, the
Johannesburg
Symphony,
the
Prague
Symphony, the NDR Orchestra and others and she
received the “nouvelle artiste” award of the year in
2004 at the Juventus Festival de Cambrai.
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
92 __ Progetto Martha Argerich
__
KARIN MERLE
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nata in Spangna, ma di origine austriaca, ha
studiato a Vienna con il leggendario Bruno
Seidlhofer. Durante gli studi ha incontrato
Martha Argerich con la quale si è presentata in
duo nei festival di Beppu (Giappone) e di Buenos Aires, dove si è anche esibita come solista
e in concerti di musica da camera. Tiene una
cattedra di pianoforte nella Musikhochschule di
Colonia ed è invitata a tenere corsi di perfezionamento in varie parti del mondo.
SHONOSUKE OKURA
Karin Merle, austrian, was born in Spain. While
her piano studies in Vienna with the legendary teacher Bruno Seidlhofer, she meet Martha Argerich.
She was her Duo-Partner in the Festivals in Beppu (Japan) and in Buenos Aires, where she also
played as a soloist and in different chamber music
groups. Karin Merle is Professor at the Musikhochschule Cologne (Germany) and extremely
succesfull as a teacher. She is invited to master courses all over the world.
DAVID MILLER
Nato ed educato negli USA, vive a Bruxelles.
Maestro collaboratore a Liegi dell’Opéra Royal
de Wallonie, è regolarmente invitato da altri teatri ed orchestre. Le ultime stagioni lo hanno visto dirigere opere e balletti alla Semperoper di
Dresda, al Teatro Carlo Felice di Genova e al Teatro Municipal di Santiago del Cile. A Liegi ha diretto Candide, Il Barbiere di Siviglia, La Traviata, Riders to the Sea, La Bohême. Ha inoltre
diretto una serie di concerti con l’Orchestre de
chambre de Wallonie e José Van Dam. Il suo annuale concerto natalizio al Palais des Beaux
Arts, con la partecipazione di 200 coristi, è diventato un evento nella vita musicale di Bruxelles, mentre i suoi allestimenti con la Brussels
Light Opera Company hanno recentemente
avuto il loro culmine in un brillante Kismet. Ha
al suo attivo un lungo apprendistato come pianista accompagnatore in molti teatri d’opera.
Ha diretto La Tragédie de Carmen di Peter Brook
in Italia e in Germania. Ha lavorato a stretto
contatto con Maurice Béjart, Gian-Carlo Menotti, John Pritchard, Sir Colin Davis, Alberto
Zedda e soprattutto Giuseppe Sinopoli. Le sue
originali composizioni fanno parte della colonna sonora dei film Le Maître de Musique e L’Année de l’Éveil di Gérard Corbiau. Le sue orchestrazioni delle canzoni di Duke Ellington sono
state eseguite in Belgio, Italia e Turchia da
Jeannette Thompson. In recital ha accompagnato José Van Dam, Jane Manning e Julia Migenes.
Born and educated in the United States, David
Miller lives in Brussels. Staff conductor at the
Opéra Royal de Wallonie in Liège, he is also regularly invited to other theatres and orchestras.
The last few seasons have seen him conduct opera
and ballet performances at the Semperoper in
Dresden, the Teatro Carlo Felice in Genova and
the Teatro Municipal in Santiago de Chile. In
Liège he has conducted, to grat acclaim, Candide,
Il Barbiere di Siviglia, La Traviata, Riders to the
Sea, La Bohême. He as also led a series of concerts
with de Orchestre de chambre de Wallonie and
José Van Dam. His annual Christmas concert at
the Palais de Beaux Arts, with close to 200 singers, has become a highlight of the Brussels holiday season, and a series of productions with the
Brussels Light Opera Company recently culminated in a sparkling Kismet. David Miller has ad
a long apprenticeship at piano in various opera
house. He conducted Peter Brook’s La Tragédie de
Carmen throughout Italy and Germany. He has
also worked closely with Maurice Béjart, GianCarlo Menotti, the late John Pritchard, Sir Colin
Davis, Alberto Zedda and Giuseppe Sinopoli. Mr.
Miller’s original compositions can be heard in Gérard Corbiau’s films, Le Maître de Musique and
L’Année de l’Éveil. His orchestrations of Duke Ellington songs have been performed, with Jeannette Thompson, in Belgium, Italy and Turkey. The
singers who have been accompanied in recital by
Mr. Miller include José Van Dam, Jane Manning
and Julia Migenes.
ALEXANDER MOGILEVSKI
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nato nel 1977 a Odessa, ha studiato al Conservatorio di Mosca con Lev Naumov, diplomandosi nel 1999. Nel 1993 ha suonato con Vladimir
Spivakov e i Solisti di Mosca e con l’Orchestra Filarmonica di Israele. Nello stesso anno ha debuttato come solista alla Wigmore Hall di Londra, attività proseguita con recital alla Tonhalle
di Zurigo, al Théâtre du Châtelet di Parigi, a
Istanbul, Zagabria e Baden-Baden. Altrettanto
significativa l’attività in Festival come quelli di
Verbier e Gstaad (dove ha eseguito i due concerti per pianoforte di Chopin), alla Roque
d’Anthéron (Francia), al Gergiev Festival di Rotterdam e di Mikkeli (Finlandia).
Alexander Mogilevsky was born in Odessa in 1977,
studied at the Moscow Conservatory with Lev
Naumov and graduated in 1999. In 1993 he played
with Vladimir Spivakov and the Moscow Soloists,
and with the Israel Philharmonic Orchestra. In
the same year he began to play as a soloist at Wigmore Hall in London, followed by recitals at the
Tonhalle in Zurich, the Théâtre du Châtelet in
Paris, as well as in Istanbul, Zagreb and Baden-Baden. Furthermore, he has been very active in festivals, such as in Verbier and Gstaad (where he performed the piano concertos by Chopin), at La
Roque d’Anthéron (France) and the Gergiev Festival in Rotterdam and Mikkeli (Finland).
Shonosuke Okura è il figlio maggiore della
quindicesima generazione della Scuola Okura,
Chojuro Okura. L’eredità della famiglia Okura,
una delle famiglie musicali più importanti nel
campo delle percussioni giapponesi (Otsuzumi e Kotsuzumi) ha attraversato le epoche fin
dal periodo Muromachi. Egli ha ricevuto l’insegnamento dal padre e dal nonno e, all’età di nove anni, è apparso per la prima volta in pubblico sulla scena. Accanto alle esecuzioni del
tradizionale teatro No, si è affermato nel campo dell’esecuzione a solo come suonatore di Otsuzumi, perseverando a suonare con le proprie
mani, ciò che è estremamente difficile. Ha collaborato con vari artisti in Giappone e altrove
nel mondo in combinazione anche con altre
espessioni artistiche. È stato invitato ad esibirsi in Vaticano alla presenza del Papa e in vari
eventi e cerimonie altrove. È un promotore riconosciuto di cultura giapponese, che ha ottenuto nel 2005 lo Japan Cultural Design Award.
Fra i CD pubblicati sono da menzionare World
Beat e Hiten. È autore di un’autobiografia dal titolo Kodo-Beat.
Shonosuke Okura is the eldest son of the late 15th generation head of the Okura School, Chojuro Okura.
(The Okura family legacy has been passed down since the Muromachi Period, as one of the Noh musical
families in the field of Otsuzumi and Kotsuzumi Japanese drums. ) He has taken lessons from his grandfather and father, and at age 9, he appeared on his
debut stage. Besides performing on the traditional
Noh stages, he has established his position in the field
as a solo Otsuzumi player and insists on playing with
his hands, a task of extreme difficulty. Since then,
with Otsuzumi, which is a Japanese traditional percussion instrument, he has collaborated with various
artists in Japan and internationally travelling in all
directions through wide genre of arts. He has been invited by the Pope to play in the Vatican Palace Concert Hall and has performed at various ceremonies
and events around the world. He is a cultural producer who promotes the wonder of Japanese culture
abroad. A recipient of Japan Cultural Design
Award 2005. He released his CDs World Beat from
America Piazza Plus and Hiten from Universal
Music and his autobiography Kodo - Beat from Chichi Publication.
FRANCESCO PIEMONTESI
È nato a Locarno nel 1983. Si è diplomato nel
2003 al Conservatorio della Svizzera italiana
sotto la guida di Nora Doallo. Attualmente vive ad Hannover dove continua i suoi studi alla
Hochschule für Musik und Theater con Arie Vardi. È vincitore di vari premi internazionali, tra
cui il Concorso Chopin di Göttingen e il Seiler di
Kitzingen. Ha rappresentato la Svizzera al concorso dell'Eurovisione a Vienna e, nel 2006, è
stato finalista al Clara Haskil di Vevey. Ha partecipato a corsi di perfezionamento di Alexis
Weissenberg, Bernd Glemser e Homero Francesch. Ha tenuto concerti in molti paesi europei, negli Stati Uniti, in Giappone, Cina e Corea, partecipando al Festival di Ludwigsburg, al
Septembre Musical di Montreux, al Festival Chopin di Duszniki-Zdroy in Polonia, agli Orpheum Musiktage di Zurigo, al "Next Generation" di Dortmund, al Festival di Musica da
Camera di Kronberg e alle settimane musicali
di Schloss Elmau. Si è esibito tra l'altro alla Filarmonia di Berlino, al Konzerthaus di Vienna,
alla Tonhalle di Zurigo, alla Filarmonia di Monaco di Baviera, all'Opéra de la Bastille a Parigi e al
Beethoven-Saal a Bonn. Come solista ha collaborato con l'Orchestra di Radio Saarbrücken, i
London Mozart Players, la Zürcher Kammerorchester e l'Orchestra da camera di Losanna, gli
European Strings, l’Orchestra della Svizzera Italiana. Come camerista si esibisce tra l'altro con
Yuri Bashmet, Heinrich Schiff, Maria Kliegel,
Anne Queffélec, il quartetto Sine Nomine e con
musicisti dei Berliner Philharmoniker.
Nel 2007 ha ottenuto il 3° premio nel concorso
Reine Elisabeth di Bruxelles.
Francesco Piemontesi was born in 1983 in Locarno.
He studied with Prof. Nora Doallo, gaining the Diploma from the Conservatorio della Svizzera italiana. He is currently studying with Arie Vardi at
the Hochschule für Musik und Theater, Hanover. Piemontesi is a prize-winner of numerous contests, including the Göttingen Chopin-Competition and the Seiler Piano Competition in
Kitzingen. He was also selected to represent Switzerland at the Eurovision Contest in Vienna and
was finalist at the 21st Clara-Haskil-Competition
in 2006. Piemontesi has taken part in masterclasses with Alexis Weissenberg, Homero Francesch
and Bernd Glemser. He has performed widely
throughout Europe, in Japan, Korea and in the
USA. He has given concerts at festivals including
the Ludwigsburger Schlossfestspiele, the Chopin Festival in Duszniki-Zdroy, the Septembre
Musical de Montreux, the Orpheum Musiktage
Zürich, the "Next Generation" in Dortmund, the
Chamber Music Weeks at Schloss Elmau and in
major concert halls, including the Philharmonie in
Berlin, the Vienna Konzerthaus, the Tonhalle Zürich, the Munich Philharmonic Hall, the Opéra
de la Bastille in Paris and the Beethoven-Saal in
Bonn. Francesco Piemontesi has performed with the
Saarbrücken Radio-Symphony Orchestra, the
London Mozart Players, the Zurich and Lausanne Chamber Orchestras, the Orchestra della
Svizzera italiana and the European Strings.
His work in the field of chamber music includes performances with Yuri Bashmet, Heinrich Schiff,
Maria Kliegel, Anne Queffélec, the Sine Nomine
Quartett and with members of the Berlin Philharmonic Orchestra. He won the 3th Prize at the Concours Reine Elisabeth 2007 (Bruxelles).
93
94 __ Progetto Martha Argerich
__
MIKHAIL PLETNEV
Pianista, direttore d'orchestra e compositore, è
uno dei musicisti piú completi e affascinanti
oggi in attività. Iniziata la carriera come pianista allievo di Jakob Flier e Lev Vlasenko al Conservatorio di Mosca, vincitore della medaglia
d'oro al Concorso Cajkovskil nel 1978, ben presto ha cominciato a dirigere.
La sua formazione, tuttavia, è stata polivalente
fin dall'inizio. La grande svolta nella sua carriera avvenne nel 1990, quand’egli riuscì a concretizzare il progetto di creazione della prima
orchestra russa ad organizzarsi su basì private.
L’ Orchestra Nazionale Russa, in pochissimo
tempo, è diventata una delle formazioni di
punta nella vasta panoramica delle grandi
compagini internazionali. Precisione, potenza, sobrietà e fantasia sono le caratteristiche di
questo complesso, che eccelle, naturalmente,
nel repertorio russo. Contemporaneamente
Pletnev prosegue la carriera come pianista e,
soprattutto, come direttore ospite delle più importanti orchestre, dalla Philarmonia Orchestra
di Londra alla London Symphony Orchestra, dalla Los Angeles Philharmonic ai Wiener Symphoniker.
Con l'Orchestra della Svizzera italiana Mikhail
Pletnev ha stabilito un rapporto che lo ha già
visto apparire ripetutamente come solista e come direttore e che è maturato al punto che nei
prossimi mesi egli ricoprirà il ruolo di suo “primo maestro ospite”. La sua ampia discografia
comprende diversi recital incisi per la EMI Virgin Classics e a DGG. Anche il repertorio
sinfonico con l'Orchestra Nazionale Russa è apparso nel catalogo della DGG. La prestigiosa
antologia pubblicata della Philips "Great Pianists of the 20' Century" ha incluso un CD dedicato a Pletnev interprete del Concerto n. 2 di
Ciaikovskij e del ciclo Le Stagioni.
Nel 1996 la sua incisione con sonate di Scarlatti è stata insignita del Gramophone Award.
95
NORA ROMANOFF-SCHWARZBERG
Mihail Pletnev – pianist, conductor and composer – is one of the most complete and fascinating
musicians active today. A pupil of Jakob Flier
and Lev Vlasenko at the Moscow Conservatory,
he began his career as a pianist by winning the
gold medal at the 1978 Tchaikovsky Competition,
and he soon began to conduct.
His training was broad from the beginning. The
turning point in his career came in 1990, when
he managed to realise his plan to create what became the first Russian orchestra organised on a
private basis.
The Russian National Orchestra very quickly
became one of the finest groups within the vast
panorama of international ensembles.
Precision, power, sobriety and imagination are
characteristic of this orchestra, which excels, naturally, in the Russian repertoire. Simultaneity
Pletnev continues to advance his career as a pianist and, above all, as guest conductor of the most
important orchestras, from the Philharmonia
Orchestra of London to the London Symphony
Orchestra and from the Los Angeles Philharmonic to the Vienna Symphony.
Mikhail Pletnev has established a relationship
with the Orchestra della Svizzera Italiana that
has already led to many appearances as soloist
and conductor and that has developed to such an
extent that during the coming months he will undertake the role of Principal Guest Conductor.
His broad discography includes several recitals
recorded for EMI-Virgin Classics and DGG. His
symphonic repertoire with the Russian National
Orchestra has also appeared in the DGG catalogue. Philips’ prestigious anthology, “Great Pianists of the 20th Century”, includes a CD dedicated to Pletnev playing Tchaikovsky’s Concerto
No. 2 and the cycle, “The Seasons”.
His recording of Scarlatti sonatas won the 1996
Gramophone Award.
Nata nel 1985 a New York è cresciuta in un ambiente musicale a contatto con grandi artisti
quali Isaac Stern, Mstislav Rostropovich, Zubin Mehta, Yehudi Menuhin e Valentin Berlinsky, importanti come ispirazione per la sua
formazione, A sei anni è stato ammessa nella
classe di violino di sua madre (Dora Schwarzberg) all’Accademia di musica e di arti rappresentative di Vienna, dove ha anche studiato con
Lucy Hall e Marina Sorokowa. Dai primi anni
ha avuto occasione di esibirsi come solista con
orchestra e in concerti cameristici in Italia,
Croazia, Lituania, Georgia, Russia, USA e Austria. Nel 2000 cominciò lo studio con il Prof.
Kugel nel Conservatorio reale di Maastricht e
con il Prof. Thomas Kakuska all’Accademia di
musica di Vienna. Ha potuto beneficiare dei
corsi di perfezionamento con Hatto Bayerle,
Patrick Jüdt e Wladimir Kossjanenko. Partecipa regolarmente ai festival Progetto Martha Argerich (Lugano), Festival Martha Argerich (Buenos Aires), Andrey Sacharov Festival (Russia),
Fanfare Festival (Luisiana, USA) e Les Classiques
de Villars (Svizzera). Nora è stata premiata in
vari concorsi internazionali, comprendento il
Concorso internazionale per archi UpBeat di
Hvar (Croazia) e il Concorso internazionale di
musica di Pinerolo. Nel 2004 è stata scelta come uno degli artisti della fondazione Live Music Now a Vienna. Nora suona una viola “Pietro
Palotta” del 1790.
Born 1985 in New York, Nora grew up in a musical environment where she came in contact with
great artists such as Isaac Stern, Mstislav Rostropovitch, Zubin Mehta, Yehudi Menuhin and Valentin Berlinsky who were important inspirational guides in her formative developement. At age 6 she was
accepted in the violin class of her mother Prof. Dora Schwarzberg at the University of music and
performing arts in Vienna where she also studied
with Lucy Hall and Marina Sorokowa. Since an
early age she has had the opportunity to perform as
a soloist with orchestras and chambermusic venues
in Italy, Kroatia, Lithuania, Georgia, Russia, the
US and Austria. In 2000 she began her studies both
with Prof. Kugel at the Royal Conservatory of
Maastricht and Prof. Thomas Kakuska at the University of music and performing arts in Vienna.
She has benefited from masterclasses with Prof.
Hatto Bayerle, Patrick Jüdt and Wladimir Kossjanenko. She is a regular participant in Festivals such
as the Progetto Martha Argerich (CH), Festival
Martha Argerich (ARG), the Andrey Sacharov
Festival (RUS), the Fanfare Festival (Louisiana,
USA) and Les Classiques de Villars (CH). Nora
has been prizewinner at several international competitions, including the International string competition UpBeat Hvar in Kroatia and the Concorso internationale di musica in Pinerolo, Italy. In
2004 she has been chosen as one of the artists for the
foundation Live Music Now in Vienna. Nora plays
on a 1790 "Pietro Palotta" viola.
AKANE SAKAI
Nata a Nagoya (Giappone), Akane Sakai ha iniziato lo studio del pianoforte in tenera età sotto la guida della madre. Si è diplomata nella Toho-Gauken School of music (Giappone) nella
classe di Midori Miura. Successivamente ha ottenuto il primo premio del livello concertistico
e nel 2003 il grado di “master” nel corso diretto da Alan Weiss al Lemmensinstituut in Belgio.
Dopo essersi perfezionata con Lilya Zilberstein
e Pavel Gililov, si è esibita nel febbraio di quest’anno alla Salle Pleyel di Parigi con la Kremerata Baltica (fondata da Gidon Kremer) nel
Concerto in re minore di Bach-Busoni. Ha partecipato a varie edizioni del Progetto Martha Argerich a Lugano, al Festival di Sintra (Portogallo), al Pacific Music Festival (Giappone), al
Festival Argerich di Beppu e a quello di Buenos
Aires. Nel campo della musica da camera si
esibisce in duo con il violinista Geza HosszuLegocky. Fra le occasioni rilevanti sono le sue
apparizioni con Martha Argerich, Lylia Zilberstein, Ivry Gitlis e Yuzuko Horigome.
Born in Nagoya (Japan), Akane Sakai began her
piano studies at early age under the influence of
her mother. Graduated Toho-Gakuen School of
music (Japan) in the Class of Prof. Midori Miura. Later she obtained a 1er prix at highest degree,
and 2003 got biggest diploma at master degree under Prof. Alan Weiss in Lemmensinstituut in
Belgium.
Also her advanced training she guided with Lilya
Zilberstein and Pavel Gililov.
On February 2007 made her debut at Salle Pleyel
in Paris with Kremerata-Baltica (founded by Gidon Kremer) by Bach-Busoni concerto d-minor
(Piano/conducting). She is regularly invited to
the Progetto Martha Argerich, Sintra (Portugal), Pacific Music Festival (Japan), Beppu Argerich Festival and Buenos Aires Argerich Festival. Akane Sakai loves chamber music, as duo
with Geza Hosszu-Legocky (violin) and already
had opportunities to play with such as Martha Argerich, Lilya Zilberstein, Ivry Gitlis and Yuzuko
Horigome.
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
96 __ Progetto Martha Argerich
__
DORA SCHWARZBERG
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Dora Schwarzberg è nata tra le quinte di un
teatro ebraico dove operavano come musicisti
i suoi genitori, da cui ricavò il principio che
può essere riassunto nelle parole che guidavano il padre: “il violino deve parlare e piangere!”.
Il suo rapporto personale ed artistico con musicisti quali il Prof. Yankelevich, V. Berlinsky,
A. Schtern, Isaac Stern, Dorothy Delay, Menuhin ha avuto un’influenza tale su di lei, che un
ben noto musicista americano ha dichiarato:
“Dora Schwarzberg è un tipico rappresentante
della scuola violinistica di Odessa-Mosca-Gerusalemme-New York”.
Per Dora Schwarzberg la musica non è solo una
professione ma un modo di vita. È un mezzo di
comunicazione con la gente, tanto vario e individualizzato quanti sono gli artisti con i quali collabora (Martha Argerich, Misha Maisky, Berezovsky, Gililov, Imai Rudin, Geringas,
Drobinsky, Rabinovitch, Bashmet fra gli altri).
Attività concertistica e attività pedagogica si sono
integrate, con la sua cattedra di violino a Vienna,
dove continua ad esplorare la musica e la vita con
i suoi studenti, molti dei quali vincitori di concorsi internazionali e oggi in posizioni guida nelle
maggiori orchestre del mondo. Dora Schwarzberg tiene corsi di perfezionamento internazionali. Il suo repertorio va dalla sonata barocca al
tango argentino, dove l’estensione del quadro riflette l’amore per ciascuno di questi aspetti e il desiderio di irradiarlo verso il pubblico.
ALESSANDRO STELLA
She was born in the backstage of a Jewish Theatre
where her musician parents worked. It is perhaps
this fact which formed her artistic Credo, expressed in the words of her father: "the violin must
speak and cry!". Personal and artistic communication with musicians such as Prof. Yankelevich,
V. Berlinsky, A. Schtern, Isaac Stern, Dorothy Delay, Menuhin made such an impact on DS that
the wellknown American musician FG exclaimed"Dora Schwarzberg is a typical representative of
the Odessa-Moscow-Jerusalem-NY violin school!".
For Dora music is not only a profession but a lifestyle. It is a means of communication with people, as varied and individual as the artists with
whom she collaborated. They include Martha Argherich, Misha Maisky, Berezovsky, Gililov, Imai
Rudin, Geringas, Drobinsky, Rabinovitch, Bashmet to name but a few. Performance and pedagogical activities have naturally complemented each
other, and she holds Professorship at Vienna, where she continues to explore music and life with her
students. The great majority of her students are
prizewinners of international competitions, and
hold leading positions with major orchestras and
chamber ensembles all over the world. She also gives master classes internationally. The repertoire of
this violinist envelops music from baroque sonatas
to Argentinian Tangos where the defining link in
this extensive chain of works is her love for each of
them and a desire to radiate this love to her audiences.
Born in Rome in 1979, Alessandro Stella studied
with Raffaella d’Esposito at the Santa Cecilia Conservatory, from which he graduated, and he continued his studies at Cremona’s Accademia di Alto
Perfezionamento, under Franco Scala (piano)
and Marco Di Bari (composition). He participated
in seminars and master classes with Alexis Weissenberg, Bruno Canino, Maurizio Pollini, Jean Yves
Thibaudet and Christian Zacharias.
He has performed in Italy’s major cities and in
many cities elsewhere in Europe.
Along with his solo work, he performs chamber music with, among others, Géza Hosszu-Legocky, Emilia Baranowska, Giovanni Gnocchi, Raffaella and
Giorgia Milanesi and Marco Rogliano. He frequently performs in a duo team with Giorgia Tomassi.
Since 1999 he has been in charge of music programming at the Centre Saint Louis de France, which is
the cultural centre of the French Embassy at the Vatican.
He has recorded many television and radio performances, especially for Vatican Radio.
A CD that he and Giorgia Tomassi made recently
for the KHA.it label is dedicated entirely to music
for two pianos by Maurice Ravel.
VLADIMIR SVERDLOV
ZORA SLOKAR
Nata a Berna nel 1980 ha iniziato a suonare il
violino. A 16 anni ha avuto la prima lezione di
corno dal padre. Nel 1998 è entrata nella classe di Thomas Müller alla Hochschule für Musik
und Theater di Berna, dove contemporamente
ha continuato studiare il violino nella classe di
Monika Urbaniak Lisik.
Nel 2001 ha ottenuto il “Lehrdiplom” in violino, mentre per quanto riguarda il corno ha
concluso lo studio al Conservatorio di Maastricht sotto la guida di E. Penzel nel 2003, proseguendo poi a Salisburgo lo “studio magister”
con R. Vlatkovic. Nel 2002 ha vinto il primo
premio al Concorso “Anemos” a Roma, giungendo in finale al Concorso “Young Horn Players” di
Paxman. Nel 2003 ha vinto il primo premio al
Concorso “D. Ceccarossi” a Orsogna. Ha suonato come primo corno nella Gustav Mahler Jugendorchester e nell`UBS Verbier Festival Orchestra, sotto la direzione tra gli altri di Boulez,
Levine, von Dohnahny. Ha suonato alla Kronberg Academy in Germania, fra altri con G. Kremer, E. Brunner e L. Harrell.
Attualmente è primo corno nell’Orchestra della Svizzera italiana.
Nato a Roma nel 1979, si è diplomato al Conservatorio di S. Cecilia sotto la guida di Raffaella d’Esposito, proseguendo gli studi all’Accademia di Alto Perfezionamento di Cremona con
Franco Scala per il pianoforte e Marco Di Bari
per la composizione. Ha seguito seminari e
corsi di perfezionamento con Alexis Weissenberg, Bruno Canino, Maurizio Pollini, Jean
Yves Thibaudet e Christian Zacharias.
Si è esibito nelle principali città italiane ed in
numerose città europee.
All'attività solistica affianca quella cameristica
collaborando fra l'altro con Géza Hosszu-Legocky, Emilia Baranowska, Giovanni Gnocchi,
Raffaella e Giorgia Milanesi, Marco Rogliano.
In particolare si esibisce in duo pianistico con
Giorgia Tomassi.
Dal 1999 è responsabile della programmazione musicale del Centre S. Louis de France, centro culturale dell’Ambasciata di Francia presso
la Santa Sede. Ha effettuato numerose registrazioni televisive e radiofoniche in particolare per la Radio Vaticana. Di recente pubblicazione è un disco monografico dedicato alla
musica per 2 pianoforti di Maurice Ravel in
duo con Giorgia Tomassi per l’etichetta
KHA.it.
Born in Bern, she began to study the violin in
1980. At the age of 16 she had her first horn lesson
from her father. In 1998 she entered Thomas Müller’s class at Bern’s Hochschule für Musik und
Theater, where she continued her violin studies in
the class of Monika Urbaniak Lisik. In 2001 she
received her violin diploma and in 2003 she completed her horn studies at the Maastricht Conservatory under the guidance of E. Penzel; she then
went on to post-graduate studied under R. Vlatkovic in Salzburg. She won the Anemos Competition in Rome and was a finalist in the Young
Horn Players Competition in Paxman, both in
2002, and the following year she won first prize in
the D. Ceccarossi Competition in Orsogna. She
was principal horn in the Gustav Mahler Youth
Orchestra and in the UBS Verbier Festival Orchestra under the direction of Pierre Boulez, James Levine and Christoph von Dohnányi, among
others. At the Kronberg Academy in Germany
she has played with G. Kremer, E. Brunner and L.
Harrell, among others, and her concert activities
include a recital at the International Prague
Horn 2004 Festival. Currently, she is principal
horn in the Orchestra della Svizzera Italiana.
Nato nel 1976 a Mosca da una famiglia di solide tradizioni musicali, iniziò lo studio del pianoforte con la madre e in seguito con Vasilisa
Tuticschkina e Ida Lescinskaja. A quindici anni vinse il primo premio al Concorso pianistico
di Mosca, esibendosi poco dopo con l’Orchestra
dello Hessischer Rundfunk sotto la direzione di
Dmitri Kitaenko. A sedici anni iniziò una serie
di recital in Russia, Francia, Germania e Svizzera. Durante gli studi con Vladimir Krainev e
Nikita Magaloff conseguì il primo premio al
concorso internazionale di pianoforte Città di
Senigalia (1993), proseguendo in seguito la formazione alla Musikhochschule di Hannover con
Arie Vardi.
Sverdlov è già apparso in alcuni dei maggiori
centri musicali, quali il Conservatorio di Mosca,
la Filarmonica di Israele a Tel Aviv (1994), la
Suntory Hall in Giappone (1997), De Doelen a
Rotterdam, Concertgebouw a Amsterdam
(2000), Palais des Beaux-Arts a Bruxelles
(2001), Salle Gaveau a Parigi (2006). Nel 1999
ha vinto il Concorso Reine Elisabeth a Bruxelles.
Nel 2006 ha ottenuto il premio unico al concorso Monte Carlo Piano Masters, competizione
riservata ai finalisti dei concorsi internazionali.
Vladimir Sverdlov was born in 1976 into a Moscow family with deep musicals traditions. His
first teacher was his mother, followed by Vasilisa
Tuticschkina and Ida Leschinskaia. At the age of
15, he became first price winner at the Moscow
Piano Competition playing the same year with
the Hessischer Rundfunk Orchestra conducted
by Dmitri Kitaenko. At the age of 16, he appears
in recitals in France, Russia, Switzerland and
Germany.
While studying with Vladimir Krainev and Nikita Magaloff, he became first prizewinner (1993) of
Città di Senigalia International Piano Competition. He continued his training at the Hannover Highschool for Musik with Arie Vardi.
Vladimir Sverdlov has already appeared at some
of the worlds leading halls including Moscow
Conservatory, Tel Aviv with Israel Philharmonic (1994, Suntory Hall Japan (1997), De Doelen in Rotterdam, Concertgebouw in Amsterdam (2000), Palais des Beaux-Arts in Bruxelles
(2001), Salle Gaveau in Paris (2006). In May
1999 he became a prizewinner of the Queen Elisabeth International Music Competition, Brussels. In 2006 he won the first and only prize at the
Monte Carlo Piano Masters competition for the
finalists of international piano competitions
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98 __ Progetto Martha Argerich
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SERGIO TIEMPO
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nato a Caracas nel 1972 iniziò a studiare il
pianoforte con la madre, Lyl Tiempo. A tre anni già si esibiva in pubblico, a sette diede recital a Mentone e a Londra. Nel 1986 ha debuttato nella serie “Grandi pianisti” al
Concertgebouw di Amsterdam. Da allora ha
suonato con grandi orchestre quali quelle di
Chicago, Houston, Dallas , Montréal, Cleveland, Los Angeles, Rotterdam, Lione, Liegi,
Tokio (Metropolitan, Yomiuri, Philharmonic),
con i Solisti di Mosca diretti da Vladimir Spivakov. Ha partecipato a numerosi festival:
Schleswig-Holstein, Verbier (accanto a Martha
Argerich, Misha Maisky, Barbara Hendricks),
Tolosa (nel ciclo Beethoven con Alicia de Larrocha e Maria-Joao Pires), La Roque d’Anteron, Colmar, Montpellier e al Festival pianistico “Arturo Benedetti Michelangeli” di
Bergamo-Brescia. Si dedica intensamente alla musica da camera, particolarmente in duo
con la sorella Karin Lechner. Ha accompagnato in tournée Misha Maisky e Martha Argerich. Ha registrato vari dischi per JCV Victor.
ALAN WEISS
Born in Caracas in 1972, he began studying the
piano with his mother, Lyl Tiempo. He was performing in public by the age of three, and at seven he
gave recitals in Menton and London. In 1986 he
debuted in the Amsterdam Concertgebouw’s
“Great Pianists” series. Since then he has played
with such great orchestras as those of Chicago,
Houston, Dallas, Montreal, Cleveland, Los Angeles, Rotterdam, Lyons, Liège and Tokyo (Metropolitan, Yomiuri, Philharmonic) and with the Solisti di Mosca conducted by Vladimir Spivakov.
He has taken part in numerous festivals, such as
Schleswig-Holstein, Verbier (together with Martha Argerich, Misha Maisky and Barbara Hendricks), Toulouse (in a Beethoven Cycle with Alicia de Larrocha and Maria-João Pires), La Roque
d’Anteron, Colmar, Montpellier and the Arturo
Benedetti Michelangeli Piano Festival in Bergamo and Brescia. He dedicates much of his time to
chamber music, especially as part of a duo with his
sister, Karin Lechner. He has accompanied Mischa Maisky and Martha Argerich on tour and
has made several recordings for JCV.
GIORGIA TOMASSI
Nata a Napoli, ha ricevuto le prime lezioni
dalla madre per poi consolidare la sua maturazione artistica all’ Accademia Pianistica di
Imola sotto la guida di Franco Scala. Nel 1992
ha vinto il primo premio al Concorso “Arthur
Rubinstein” di Tel Aviv. Ha suonato in importanti sale europee (Teatro alla Scala, Wighmore Hall di Londra, Santa Cecilia a Roma, Herkulessaal di Monaco, Konzerthaus di Berlino),
negli USA, Brasile, Cile, Uruguay, Corea del
Sud e Giappone. Suona regolarmente con il
famoso violinista Salvatore Accardo. In campo cameristico collabora con l’Ensemble WienBerlin, col Quartetto Artis di Vienna e suona in
trio con Hansjörg Schellenberger e Milan Rukovic, con Danilo Rossi e Alessandro Travaglini. Per la EMI ha registrato gli Studi di
Chopin i concerti per pianoforte e orchestra
di Nino Rota con la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti.
Born in Naples, Giorgia Tomassi was at first
taught by her mother but completed her artistic development at the Accademia Pianistica in Imola, Italy, under the guidance of Franco Scala. In
1992 she won first prize in the Arthur Rubinstein
Competition in Tel Aviv. She has played in such
major European venues as La Scala in Milan, the
Wigmore Hall in London, Santa Cecilia in Rome, Munich’s Herkulessaal, and Berlin’s Konzerthaus, as well as in the USA, Brazil, Chile,
Uruguay, South Korea, and Japan. She regularly
performs with the famous violinist Salvatore Accardo. In the chamber music area, she plays with
the Ensemble Wien-Berlin, the Artis Quartet of
Vienna, and in trio with Hansjörg Schellenberger
and Milan Rukovic as well as with Danilo Rossi
and Alessandro Travaglini. She has recorded, for
EMI, the Chopin Etudes and Nino Rota’s piano
concerti – these last with the Filarmonica della
Scala conducted by Riccardo Muti.
Nato a New York City, la sua formazione è stata variata, avendo iniziato a studiare la chitarra classica, ricevendo incoraggiamento e consigli da parte di Andrés Segovia dall’età di
dieci anni. Seguì lo studio del pianoforte con
Adlah Grossman, Sylvia Rabinof e Daniel
Abrams. David Saperton, l’illustre maestro di
Cherkassky, Katchen e Bolet, fu un punto determinante nel suo sviluppo pianistico. Sotto
la guida autorevole di Rudolf Firkusny ha ottenuto il grado di Dottore nell’arte musicale
alla Juilliard School. Nel 1974 fu invitato da
Rudolf Serkin a partecipare al Marlboro Music
Festival. L’anno successivo vinse la Naumburg
Piano Competition alla Carnegie Hall. Seguì
nel 1978 la medaglia d’argento al Concours
Reine Elisabeth. Da allora risiede in Belgio, tenendo numerosi recital e concerti neli USA,
in Gran Bretagna, Europa continentale, America del Sud, Medio ed Estremo Oriente. In
esecuzioni cameristiche si è esibito con Rudolf Firkusny, Martha Argerich, Mischa
Maisky, Ivry Gitlis, Alexander Rabinovitch,
Pina Carmirelli e altri. Ha registrato per varie
case discografiche quali Pavane, Vox, Phonic,
DG, Sony, in particolare la musica per pianoforte di Alkan per Fidelio. Quest’anno apparirà un disco di composizioni pianistiche di Alkan e Brahms per la Brilliant. Alan Weiss è
professore al Lemmens Institute del Conservatorio di Utrecht ed è stato nominato “professeur extraordinaire à la Chapelle Musicale
Reine Elisabeth” nel Belgio. Oltre a corsi di
perfezionamento tenuti in Francia, Belgio e
Stati Uniti, è stato invitato da Martha Argerich a partecipare ai suoi festival in Giappone
e in Argentina, in concerti e master classes nel
2001, 2002 e 2007.
Alan Weiss was born in New York City. His background is unusually varied, having begun his studies on the classical guitar, receiving advice and encouragement, from the age of ten, of Andrés
Segovia. Piano studies followed with Adlah Grossman, Sylvia Rabinof and Daniel Abrams. David
Saperton, the illustrious teacher of Cherkassky,
Katchen and Bolet; served at a crucial point in Alan’s pianistic development. Under the guidance of
Firkusny’s deep musicianship he earned a Doctor
of Musical Arts degree from the Juilliard School.
In 1974 was invited by Rudolf Serkin to participate in his Marlboro Music Festival. The following
year he was a winner of the Naumburg Piano
Competition in Carnegie Hall. In 1978 he was
awarded a silver-medal in the Queen Elisabeth
International Competition. He then established
residence in Belgium and has since played numerous recitals and concerts in Europe, South America, and the Middle and Far East. Chamber music
concerts have included performances with Rudolf
Firkušný, Martha Argerich, Mischa Maisky, Ivry
Gitlis, Alexander Rabinovitch and Pina Carmirelli, among others. His recordings of solo and chamber music have appeared on the Pavane, Vox, Phonic, DG and Sony labels, and a CD of solo piano
music by Alkan for Fidelio was greeted as one of
the great recordings of that composer. New recordings of solo music by Alkan and Brahms are appearing this year on the Brilliant label. Mr. Weiss
is piano professor at the Lemmens Institute and
Utrecht Conservatory, and was named “professor
extraordinaire à la Chapelle Musicale Reine Elisabeth” in Belgium. He has been invited by Martha
Argerich to participate in her music festivals in Japan and Argentina, giving performances and master classes there in 2001, 2002 and 2007.
JOULIA ZAICHKINA
Nata a Nizhni Novgorod nel 1982, Youlia
Zaichkina ha studiato al Collegio musicale della sua città natale dove ha debuttato all’età di
sette anni. A nove anni si è presentata in una
serie di sei recital nelle più importanti città tedesche. Tra i vari premi sono da segnalare:
primo premio e titolo di “Miglior pianista dell’anno” al Concorso nazionale “Vocation”
(1997), International Yamaha Award, (2002),
Concorso pianistico internazionale della Città di
Huesca in Spagna (2003). Nel settembre
2002 ha suonato sotto la direzione di Valery
Gergiev nel concerto inaugurale del suo Festival a Rotterdam, per la celebrazione dei 50 anni in musica del Maestro. Nell’agosto 2003 si
è esibita al Covent Garden di Londra. Ha effettuato numerose registrazioni radiofoniche e
televisive in Russia, Francia, Norvegia. Nel
giugno 2004 Youlia Zaichkina ha partecipato
al Progetto Martha Argerich a Lugano suonando insieme con Martha Argerich Les Noces di
Stravinsky. Nel febbraio 2006 è apparsa a Parigi con Martha Argerich in concerti al Théâtre des Champs Elysées e alla Maison de Radio
France.
Born in Nizhni Novgorod in 1982, Joulia Zaichkina studied at the Musical College of Nizhni Novgorod and made her debut in the age of seven.
In the age of nine she made a concert tour in Germany playing six recitals in the most important
cities. Among the several Prizes: First Prize and
the title of “The Best Pianist Of The Year” at the
National Competition “Vocation” (1997), International Yamaha Award (2002), International
Piano Competition of the City of Huesca in
Spain (2003). In September 2002 she performed
at the Opening Concert of Valery Gergiev’s Festival in Rotterdam, which has been dedicated to celebrate the Maestro’s 50 years in Music. In august
2003 Youlia Zaichkina appeared at London's Royal Covent Garden Theatre. She has made numerous recordings on TV and Radio in Russia, France, Norway. In June 2004 Youlia Zaichkina
appeared at Progetto Martha Argerich in Lugano performing together with Martha Argerich Les
Noces by Stravinsky. In February 2006 she appeared together with Martha Argerich in Paris at
Théâtre des Champs Elysées and at Maison de
Radio France.
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100 __ Progetto Martha Argerich
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LILYA ZILBERSTEIN
Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
Nata a Mosca e diplomatasi all’Istituto Gnessin, ha vinto il prestigioso Concorso “Ferruccio
Busoni” di Bolzano (1997) e il premio dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena (1998).
Da allora ha suonato con le orchestre filarmoniche di Berlino, Helsinki, la Staatskapelle di Dresda, le sinfoniche di Londra, Vienna,
della Rai di Torino, Tokyo, Lipsia, Saint
Louis, Milwaukee, San Antonio e Chicago.
Altrettanto intensa l’attività come solista in
recital negli Stati Uniti, in Giappone e in Europa. I più recenti appuntamenti l’hanno vista a San Francisco, Toronto, Rotterdam, Praga, Dresda, Stoccarda, Berlino, Firenze e
Vienna, e in due eccezionali concerti insieme
a Martha Argerich al Festival di Ludwigsburg.
Ha inciso numerosi CD per la Deutsche
Grammophon, fra i quali i Concerti n. 2 e 3 di
Rachmaninov con i Berliner Philharmoniker e
Claudio Abbado.
ORCHESTRA DELLA SVIZZERA ITALIANA
Lilya Zilberstein graduated from the Gnessin
Music School. In 1997 she won the prestigious
Ferruccio Busoni Competition in Bolzano, and
in 1998 the award of the Chigiana Music Academy in Siena. Since then she has played with the
philharmonic orchestras of Berlin, Helsinki, the
Dresden Staatskapelle, the symphony orchestras
of London, Vienna, RAI (Italian radio and television) in Turin, Tokyo, Leipzig, Saint Louis, Milwaukee, San Antonio and Chicago. She has also
played as a soloist in recitals in the United States,
Japan and Europe. Her most recent performances
have been in San Francisco, Toronto, Rotterdam,
Prague, Dresden, Stuttgart, Berlin, Florence and
Vienna, as well as two exceptional concerts together with Martha Argerich at the Ludwigsburg
Festival. She has made a number of CDs for
Deutsche Grammophon, including Rachmaninov’s Piano concertos no. 2 & 3 with the Berlin
Philharmonic Orchestra and Claudio Abbado.
Costituita nel 1935 come Orchestra della Radiotelevisione della Svizzera italiana, sotto la direzione di Otmar Nussio (1938-1968) e Marc Andreae (1969-1990): l'attuale direttore stabile è
Alain Lombard.
L'orchestra ha collaborato con grandi compositori come Luciano Berio, Hans-Werner Henze, Paul Hindemith, Arthur Honegger, Frank
Martin, Pietro Mascagni, Darius Milhaud, Richard Strauss, Igor Stravinskij, Ermanno WolfFerrari.
Altrettanto illustre la galleria di direttori che
hanno collaborato con l'orchestra, fra i quali Ernest Ansermet, Frans Brüggen, Sergiu Celibidache, Riccardo Chailly, André Cluytens, Rafael
Kubelik, Igor Markevitch, Pierre Monteux, Eugene Ormandy, Paul Paray, Hermann Scherchen, Carl Schuricht, Leopold Stokowski.
L'Orchestra della Svizzera italiana ha avuto un
ruolo determinante nella creazione e nella crescita delle Settimane musicali di Ascona, dei
Concerti di Lugano e della Primavera concertistica di Lugano.
Da quando è retta da una Fondazione, l'orchestra alterna l'attività fra la Svizzera italiana ed
apparizioni in varie località della Confederazione (Interlaken, Coira, Ginevra e Zurigo) e
all'estero (Vienna, Amsterdam, Milano, Salisburgo, Praga, Cremona, Colmar, Genova, Torino, S. Pietroburgo).
The Orchestra della Svizzera Italiana was established in 1935 as the orchestra for Ticino radio
and television. It has been conducted by Otmar
Nussio (1938-1968) and Marc Andreae (19691990). Its current, regular conductor is Alain
Lombard.
The orchestra has worked together with great composers, such as Luciano Berio, Hans-Werner Henze, Paul Hindemith, Arthur Honegger, Frank
Martin, Pietro Mascagni, Darius Milhaud, Richard Strauss, Igor Stravinsky, Ermanno WolfFerrari.
The many conductors who have worked with the
orchestra are just as famous and include Ernest
Ansermet, Frans Brüggen, Sergiu Celibidache,
Riccardo Chailly, André Cluytens, Rafael Kubelik,
Igor Markevitch, Pierre Monteux, Eugene Ormandy, Paul Paray, Hermann Scherchen, Carl
Schuricht, and Leopold Stokovsky.
The Orchestra della Svizzera Italiana played a
decisive role in the creation and development of the
Ascona Music Weeks, the Concerti di Lugano
and the Primavera concertistica di Lugano.
Now that it is managed by a foundation, the orchestra alternates its performances between Ticino and various other locations in Switzerland
(Interlaken, Chur, Geneva and Zurich) and
abroad (Vienna, Amsterdam, Milan, Salzburg,
Prague, Cremona, Colmar, Genoa, Turin, St.
Petersburg).
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Foto: Adriano Heitmann/IMMAGINA
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