RASSEGNE La riduzione della frequenza cardiaca nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. Aspetti clinici e strategie terapeutiche Maria Teresa La Rovere Divisione di Cardiologia, Istituto Scientifico di Montescano Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS - Pavia Riassunto La riduzione della frequenza cardiaca rappresenta un importante obiettivo della terapia dell’insufficienza cardiaca. Infatti esiste una correlazione lineare fra elevata frequenza cardiaca a riposo e mortalità cardiovascolare nei pazienti con scompenso cardiaco e l’entità del beneficio ottenuto dalla terapia beta-bloccante è proporzionale all’entità della riduzione della frequenza cardiaca. La riduzione della frequenza cardiaca risulta pertanto un meccanismo chiave attraverso cui i betabloccanti migliorano la disfunzione ventricolare sinistra e la prognosi. Il controllo diretto della frequenza cardiaca mediante farmaci ad azione bradicardizzante “pura” o mediante la stimolazione vagale presenta basi razionali e consolidate evidenze sperimentali. Uno studio attualmente in corso chiarirà il benefico clinico dell’inibizione diretta del nodo del seno in pazienti con scompenso cardiaco sistolico. Summary Heart rate reduction is an imporant target of heart failure treatment. Increased heart rate is linearly related to cardiovascular mortality in patients with heart failure. Beta blockers improve cardiac function and prolong survival in patients with heart failure. The extent of benefit of beta-blocker treatment in heart failure is closely related to heart rate reduction. Thus, a major contributor to the clinical benefit of beta-blockers in heart failure appears the heart rate lowering effect of these agents. Therapeutic attempts focused on direct control of heart rate by means of direct sinus node inhibition or direct vagal stimulation have a good rationale and experimental evidence. An ongoing study will address the clinical benefit of direct sinus node inhibition in patients with heart failure and left ventricular systolic dysfunction. Parole chiave: Riduzione della frequenza cardiaca, Insufficienza cardiaca, Beta-bloccanti Key words: Heart rate reduction, Heart failure, Beta-blocker treatment L a letteratura medica degli ultimi 30 anni ha progressivamente riconosciuto il ruolo della frequenza cardiaca come predittore di rischio di mortalità totale e cardiovascolare nella popalazione generale e nel contesto di numerose condizioni patologiche: dalla malattia coronarica, all’infarto miocardico, allo scompenso cardiaco. In alcuni contesti la forza di questa associazione e le evidenze sempre più consistenti sul ruolo patogenetico della frequenza cardiaca, hanno aperto la possibilità di considerare la frequenza cardiaca uno specifico target terapeutico1. Aspetti clinici Numerosi studi epidemiologici, che complessivamente coinvolgono una popolazione di oltre 100.000 CARDIOLOGY SCIENCE VOL 8 • APRILE-GIUGNO 2010 soggetti senza malattia cardiovascolare nota, prevalentemente di sesso maschile e seguiti per un tempo variabile dai 5 ai 36 anni, forniscono una consolidata evidenza del contributo indipendente della frequenza cardiaca alla mortalità cardiovascolare: il rischio di morte (inclusa la morte per malattia coronarica che è la causa di gran lunga più frequente) aumenta, indipendentemente dal sesso e dalla razza, in relazione all’aumentare della frequenza cardiaca a riposo2. In pazienti con infarto miocardico acuto la frequenza cardiaca è un predittore indipendente non solo di aumentata mortalità intraospedaliera ma anche di eventi fatali successivi alla dimissione nelle ampie casistiche degli studi GUSTO3 e GISSI4. Nell’ampio data-base elettrocardiografico degli studi GISSI è di particolare interesse l’osservazione che, sebbene l’uso del beta-bloccante (in un terzo dell’intera po- Per la corrispondenza: [email protected] 59 RASSEGNE Maria Teresa La Rovere polazione) sia associato all’attesa bradicardizzazione, tuttavia la linearità della relazione fra frequenza cardiaca pre-dimissione e mortalità a 6 mesi non viene influenzata dalla presenza o meno di tale trattamento. Nell’ambito dei pazienti con scompenso cardiaco la frequenza cardiaca gioca un ruolo importante nella stratificazione prognostica che, in questi pazienti, implica anche la definizione e temporizzazione di una indicazione trapiantologica. La frequenza cardiaca è, infatti, uno dei sette parametri che costituiscono lo Heart Failure Survival Score ottenuto e validato da una analisi che testava il valore prognostico di 80 variabili cliniche5. La frequenza cardiaca a riposo emergeva fra i parametri significativi anche in presenza di parametri di emodinamica invasiva. Nello studio CIBIS è stata valutata la relazione fra frequenza cardiaca basale e mortalità a 12 mesi. Sia nel gruppo di trattamento che nel gruppo placebo si osservava una relazione lineare fra il valore di frequenza cardica basale (in terzili: 울 72, fra 72 e 울 84 e > 84 bpm) e mortalità6. In un altro modello predittivo “The Seattle Heart Failure Model Prediction of Survival in Heart Failure”7, la frequenza cardiaca non appare più come fattore prognostico. Non è chiaro quanto l’uso estensivo della terapia beta-bloccante possa avere limitato il potere predittivo della frequenza cardiaca poiché lo Heart Failure Survival Score, sviluppato in epoca pre beta-bloccante, mantine il suo potere discriminante indipendentemente dalla terapia8. Non solo la mortalità, ma anche la frequenza delle reospedalizzazioni è legata alla presenza di una frequenza cardiaca elevata9. Il ruolo critico della frequenza cardiaca verso le ospedalizzazioni è confermato anche da dati recenti che derivano dal braccio placebo dello studio BEAUTIFUL10 in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra. Infatti, in questa popolazione esiste una linearità di rischio tra aumento della frequenza cardiaca ed eventi, con un aumento dell’8% della mortalità cardiovascolare per ogni incremento di 5 battiti della frequenza cardiaca e con un incremento del 16% delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, sempre per ogni incremento di 5 battiti della frequenza cardiaca. Un aspetto critico della relazione fra elevata frequenza cardiaca ed eventi cardiovascolari riguarda la definizione del rischio addizionale determinato dalla tachicardia in presenza di una cardiopatia nota. Poiché la tachicardia secondaria ad attivazione sim- 60 patica rappresenta uno dei primi meccanismi compensatori che entrano in gioco in presenza di disfunzione contrattile, la relazione fra frequenza cardiaca e eventi potrebbe essere facilmente ascrivibile alla relazione fra frequenza cardiaca e danno miocardico conseguente alla cardiopatia di base. Tuttavia, numerose evidenze suggeriscono che, sebbene il meccanismo della tachicardia sia effettivamente riconducibile (e talora proporzionale) al danno funzionale, le conseguenze fisiopatologiche negative della tachicardia siano tali da superare l’eventuale beneficio emodinamico e divenire esse stesse responsabili dello sviluppo di morbilità e mortalità. La frequenza cardiaca influenza vari aspetti della funzione cardiaca. È un determinante del consumo di ossigeno e della domanda metabolica11, 12, in presenza di stenosi critica coronarica l’aumento di frequenza cardiaca aumenta l’entità dell’ischemia miocardica e l’estensione dell’area infartuale13. Inoltre, lo stress emodinamico, relato alla tachicardia, può favorire la instabilizzazione di una placca coronarica vulnerabile14. Tuttavia, è importante riconoscere che il determinante patogenetico degli effetti metabolici ed emodinamici della tachicardia è rappresentato dalla iperattivazione adrenergica che sottende la tachicardia. Infatti, sebbene numerosi fattori possano influenzare la frequenza cardiaca (tra cui l’età, il peso, il fumo di sigaretta, la temperatura corporea, lo stiramento atriale), è indubbio che siano i fattori nervosi, sia di natura centrale che riflessa, a giocare un ruolo maggiore nel determinare la frequenza cardiaca a riposo. In condizioni di normalità la frequenza cardiaca a riposo è prevalentemente sotto il controllo parasimpatico. Infatti, il blocco vagale mediante atropina produce un consistente incremento della frequenza cardiaca mentre la somministrazione di propranololo produce soltanto una modesta riduzione15. Le malattie cardiovascolari, in particolare l’infarto miocardico e lo scompenso cardiaco, si associano spesso ad una alterazione dei meccanismi nervosi di controllo, che risulta in una riduzione della tonica inibizione dell’attività efferente simpatica, con conseguente sbilanciamento della fisiologica interazione simpato-vagale verso una cronica attivazione adrenergica. In relazione agli effetti deleteri della frequenza cardiaca non deve essere dimenticato il quadro della “tachicardiomiopatia”, termine utilizzato per descrivere il quadro di disfunzione ventricolare sinistra conseguente ad una tachiaritmia ad elevata frequen- CARDIOLOGY SCIENCE VOL 8 • APRILE-GIUGNO 2010 La riduzione della frequenza cardiaca nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. Aspetti clinici e strategie terapeutiche za, reversibile con l’interruzione dell’aritmia16. Molteplici ragioni rendono importante la comprensione degli effetti della frequenza cardiaca nei pazienti con scompenso cardiaco. Innanzitutto, definire il livello “soglia” di frequenza cardiaca che compromette la funzione miocardica del paziente scompensato potrebbe permettere di ottimizzare il trattamento. Inoltre, per i pazienti – sempre più numerosi – che vengono sottoposti a pacing non è nota la frequenza ottimale di pacing. Un gruppo di 13 pazienti sottoposto a pacing è stato randomizzato per due mesi a differenti frequenze di stimolazione: 60,75,90 bpm17 ed è stato valutato l’impatto sulla frazione di eiezione, picco di consumo di ossigeno e test dei 6 minuti. La frequenza di stimolazione più elevata induceva un importante deterioramento clinico, che si quantificava in una riduzione significativa della frazione di eiezione e del picco di VO2. La riduzione della performance risultava meno rilevante, seppur presente, nel passaggio da 60 a 7075 battiti, valore che potrebbe essere considerato come cut-off. Strategie terapeutiche In relazione alle implicazioni terapeutiche, un aspetto fondamentale è la distinzione fra la dimostrazione di una associazione biologica fra un determinato fattore di rischio e la prognosi a distanza e la dimostrazione pratica che il marker suddetto possa essere utilizzato per identificare i pazienti che possano beneficiare di uno specifico trattamento. La relazione lineare fra riduzione della frequenza cardiaca e miglioramento della prognosi, osservata in numerosi trials clinici in pazienti con scompenso cardiaco, sostiene fortemente il concetto che la frequenza cardiaca eserciti effetti negativi nel cuore scompensato18. Infatti, i farmaci ad azione inotropa, che nonostante benefici effetti emodinamici incrementano la frequenza cardiaca, hanno invece prodotto un incremento della mortalità nel trattamento a lungo termine. Ad es. il milrinone, un inibitore delle fosfodiesterasi, nello studio PROMISE, in pazienti con scompenso cardiaco severo, determinava un incremento del 34% della mortalità cardiovascolare in un follow-mediano di 6 mesi, rispetto al gruppo di controllo19. Anche per farmaci non dotati di uno specifico effetto sulla frequenza cardiaca, quali gli ace-inibitori, CARDIOLOGY SCIENCE VOL 8 • APRILE-GIUGNO 2010 RASSEGNE la riduzione di mortalità si associava ad una riduzione della frequenza cardiaca18. Una interessante sottoanalisi dello studio GESICA20 mostra come, nei pazienti con frequenza cardiaca basale superiore a 90 bpm, l’amiodarone riduce la mortalità per tutte le cause rispetto ai soggetti di controllo. È evidente, però, che il peso della relazione tra riduzione della mortalità e riduzione della frequenza cardiaca sia sostenuto in massima parte dai beta-bloccanti. Nello studio CIBIS, l’ampiezza della riduzione di frequenza cardiaca, dopo i primi due mesi di trattamento, correla in modo lineare con la riduzione del rischio di morte e risulta il predittore di sopravvivenza più significativo21. I differenti aspetti della relazione fra frequenza cardiaca e mortalità risultano in parte contraddittori fra i vari studi: in alcuni trials è predittiva la frequenza basale, in altri la variazione di frequenza dopo un certo periodo di trattamento ed in altri ancora solo la frequenza raggiunta a terapia ottimizzata. Una recente metanalisi22 che comprende un insieme di circa 19.000 pazienti dimostra che la relazione tra variazioni di frequenza cardiaca e riduzione del rischio relativo di morte ha una significatività di tipo borderline, mentre molto significativa risulta la relazione tra il valore assoluto di frequenza cardiaca raggiunto in corso di terapia con beta-bloccante e la riduzione della mortalità annualizzata. Ampiamente significativo risulta anche l’impatto della riduzione di frequenza cardiaca sul miglioramento della funzione ventricolare sinistra, valutata in termini di frazione di eiezione. Se il target della terapia beta-bloccante nello scompenso debba essere rappresentato dalla riduzione di frequenza cardiaca o dalla dose di farmaco rappresenta l’oggetto di una ampia controversia23. Dall’analisi dei dati precedentemente esposti emerge un importante quesito fisiopatologico in merito ai meccanismi sottostanti i benefici clinici dei betabloccanti nello scompenso sistolico: la riduzione della frequenza cardiaca è un meccanismo chiave attraverso cui i beta-bloccanti migliorano la disfunzione ventricolare sinistra e la prognosi oppure la riduzione della frequenza cardiaca è solo un epifenomeno dell’efficacia del beta-blocco? Una possibile risposta a questo interrogativo è fornita da un modello sperimentale di scompenso da insufficienza mitralica nel cane24. A tre mesi dall’induzione di insufficienza mitralica, in condizione di scompenso cardiaco stabilizzato, gli animali da esperimento 61 RASSEGNE Maria Teresa La Rovere vengono randomizzati a terapia beta-bloccante oppure, a terapia beta bloccante+pacing alla frequenza rilevata precedentemente all’instaurazione della terapia beta-bloccante. Un terzo gruppo di animali viene utilizzato come controllo degli effetti deleteri della tachicardia in quanto non viene sottoposto ad induzione dell’insufficienza mitralica, ma al solo pacing alla stessa frequenza di stimolazione del gruppo di animali scompensati. All’analisi della contrattilità in vivo, attraverso la relazione stressvolume, in entrambi i gruppi di animali, dal momento iniziale al momento in cui viene sviluppato lo scompenso, si osserva una riduzione della contrattilità che, però, recupera negli animali che sono stati sottoposti a beta-blocco, a differenza di quelli che, nonostante la terapia con beta-blocco, mantengono una frequenza cardiaca elevata a causa del pacing. Infine, l’analisi negli animali di controllo (non sottoposti all’intervento di induzione di insufficienza mitralica ma solo al pacing) evidenziava un trend di riduzione sia della frazione di eiezione che della contrattilità, ma non significativo in quanto il numero di animali era abbastanza limitato. Una ulteriore conferma all’ipotesi che l’effetto bradicardizzante dei beta-bloccanti di per sé rappresenti il meccanismo più importante degli effetti sulla funzione ventricolare sinistra, deriva da uno studio clinico in cui soggetti con scompenso cardiaco sistolico, già in terapia beta-bloccante, venivano sottoposti a pacing a due differenti frequenze di stimolazione: 80 e 60 bpm25. Nei soggetti sottoposti a pacing ad elevata frequenza di stimolazione si osservava un rimodellamento sfavorevole con incremento dei volumi ventricolari e riduzione della frazione di eiezione, mentre i volumi ventricolari si riducevano e la frazione di eiezione incrementava nei soggetti sottoposti alla frequenza di pacing di 60 bpm. Al di là del beta-blocco, altre modalità terapeutiche, sia farmacologiche che non, sono state valutate sia in termini sperimentali che clinici, in soggetti con disfunzione ventricolare sinistra e scompenso cardiaco. Una possibilità di riduzione della frequenza cardiaca non mediata dal beta-blocco è rappresentata da farmaci ad azione bradicardizzante “pura”, ad esempio l’ivabradina, un inibitore selettivo della corrente I(f) che esercita una modulazione dell’attività del nodo del seno26. In un modello sperimentale di scompenso, la somministrazione a dosi crescenti di ivabradina riduceva progressivamente la frequenza car- 62 diaca cui si associava un aumento della frazione di accorciamento del ventricolo sinistro27. Il trattamento a lungo termine produceva anche modificazioni strutturali, dovute ad una riduzione della quantità del collagene e della noradrenalina plasmatica. Pertanto, il miglioramento della funzione ventricolare era interpretabile non solo come conseguente alla semplice riduzione della frequenza cardiaca di per sè, ma anche a modificazioni della matrice extracellulare e/o della funzione dei miociti secondarie alla riduzione a lungo termine della frequenza cardiaca. Gli effetti della somministrazione acuta di ivabradina sono stati valutati in un gruppo di 10 pazienti con scompenso cardiaco avanzato (classe NYHA III), frazione di eiezione marcatamente depressa (21 ± 7%) e frequenza cardiaca basale superiore a 80 bpm28. I pazienti, sotto monitoraggio emodinamico protratto per 24 ore, sono stati sottoposti ad infusione endovenosa di ivabradina della durata di 3 ore. L’ivabradina riduceva in modo significativo la frequenza cardiaca fino ad un massimo del 27% a 4 ore in assenza di modificazioni dell’indice cardiaco, ma con un incremento dello stroke volume fino ad un massimo del 51% a 4 ore. Dati relativi all’efficacia della somministrazione cronica, in soggetti scompensati, non sono ancora disponibili ma saranno presentati a breve i risultati dello studio SHIFT che ha arruolato pazienti con scompenso cardiaco cronico in classe NYHA II-IV, in terapia ottimizzata, e frequenza a riposo superiore a 70 bpm, nonostante il beta-blocco29. I dati dello studio BEAUTIFUL30, condotto su pazienti coronaropatici con sola disfunzione ventricolare sinistra, non mostrano una significativa differenza in termini di mortalità e morbilità cardiovascolare rispetto alla popolazione di controllo. Differenze significative si osservavano, invece, nel sottogruppo di pazienti con frequenza cardiaca superiore a 70 bpm, in termini di ospedalizzazione per infarto fatale e non-fatale e procedure di rivascolarizzazione. Poiché l’attivazione adrenergica rappresenta un meccanismo che, inizialmente compensatorio, sostiene poi la progressione dello scompenso, una logica ipotesi è che un incremento – strumentalmente indotto – dell’attività vagale possa ripristinare un più fisiologico bilancio nervoso e quindi attenuare gli effetti maladattativi dell’iperattività simpatica. L’ipotesi è stata testata inizialmente a livello sperimentale in un modello di scompenso cardiaco postinfartuale nel ratto31. Gli animali da esperimento CARDIOLOGY SCIENCE VOL 8 • APRILE-GIUGNO 2010 La riduzione della frequenza cardiaca nel trattamento dell’insufficienza cardiaca. Aspetti clinici e strategie terapeutiche RASSEGNE venivano instrumentati con un device che stimolava il nervo vago di destra e veniva eseguita una valutazione emodinamica e del profilo neuroormonale, sia in condizioni di base che dopo sei settimane di trattamento attivo o placebo. Un terzo gruppo di animali, non scompensati né stimolati, rappresentava il gruppo di controllo. Nel corso delle sei settimane di osservazione, negli animali di controllo e negli animali scompensati ma non stimolati, non si osservava alcuna modificazione significativa della frequenza cardiaca che, invece, si riduceva già dopo una settimana di trattamento e continuava a decrescere nelle settimane successive negli animali sottoposti a stimolazione vagale. La riduzione della frequenza cardiaca si associava ad un beneficio emodinamico e del profilo neuroormonale con una riduzione della pressione tele-diastolica e un incremento del dP/dt, che risultavano rispettivamente aumentata e depresso dopo l’induzione dell’infarto miocardico ed una riduzione della norepinefrina e del peptide natriuretico atriale. La stimolazione vagale è risultata fattibile, sicura e ben tollerata anche nell’uomo32. La prima esperienza clinica è stata condotta su 8 pazienti, severamente compromessi, con frazione di eiezione media del 24%, di cui 7, precedentemente candidati a trapianto cardiaco, erano stati sospesi dalla lista per controindicazioni o rifiuto. Sette pazienti erano in terapia con beta-bloccante. La procedura di impianto, effettuata in anestesia locale, consisteva nell’isolamento del nervo vago a livello del quale veniva posizionato un elettrodo stimolatore, mentre lo stimolatore veniva posizionato a livello toracico. I pazienti venivano ricontrollati ad 1, 3 e 6 mesi dall’inizio della stimolazione. Accanto ad un importante miglioramento della classe NYHA e della qualità della vita, si osservava anche una significativa riduzione dei volumi ventricolari con un trend di incremento della frazione di eiezione. Fra le modalità non farmacologiche di controllo della frequenza cardiaca è importante ricordare il ruolo del training fisico. Una recente metanalisi degli studi che hanno valutato l’efficacia del training fisico controllato in pazienti con scompenso mostra effetti positivi, sia in termini di mortalità totale che in termini di morte o ospedalizzazioni33. Uno degli effetti del training fisico è la riduzione della frequenza cardiaca, sia attraverso un meccanismo di inibizione simpatica sia mediante un potenziamento dell’attività vagale. In conclusione, dati clinici e sperimentali sostengono che la riduzione della frequenza cardiaca sia un meccanismo rilevante nello spiegare gli effetti positivi del trattamento beta-bloccante sulla prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco. Altre modalità di riduzione della frequenza cardiaca, sostenute da un consistente razionale sperimentale, sono in attesa di conferma e di validazione in studi clinici adeguati. Bibliografia 8. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Tavazzi L. Heart rate as a therapeutic target in heart failure? Eur Heart J Suppl 2003; 5 (Suppl G): G15-G18. Aboyans V, Criqui MH. Can we improve cardiovascular risk prediction beyond risk equations in the physician’s office? J Clin Epidemiol 2006; 59: 547-558. Lee KL, Woodlief LH, Topol EJ, et al. Prediction of 30-day mortality in the era of reperfusion for acute myocardial infarction. Results from an international trial of 41021 patients. GUSTO-I Investigators. Circulation 1995; 91: 1659-1668. Zuanetti G, Hernandez-Bernal F, Rossi A, et al. Relevance of heart rate as a prognostic factor in myocardial infarction: the GISSI experience. Eur Heart J Suppl 1999; 1 (Suppl H): H52-H57. Aaronson KD, Schwartz JS, Chen T, et al. Development and prospective validation of a clinical index to predict survival in ambulatory patients referred for cardiac transplant evaluation. Circulation 1997; 95: 26602667. Lechat P, Hulot JS, Escolano S, et al. on behalf of the CIBIS II Investigators. Heart rate and cardiac rhythm relationship with bisoprolol benefit in chronic heart failure in CIBIS II trial. Circulation 2001; 103: 1428-1433. Levy WC, et al. The Seattle Heart Failure Model. Circulation 2006; 113: 1424-1433. CARDIOLOGY SCIENCE VOL 8 • APRILE-GIUGNO 2010 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Koelling TM, Joseph S, Aaronson KD. Heart failure survival score continues to predict clinical outcomes in patients with heart failure receiving 웁-blockers. J Heart Lung Transplant 2004; 23: 1414-1422. Opasich C, Rapezzi C, Lucci D, et al. on behalf of the Italian Network on Congestive Heart Failure (IN-CHF) Investigators. Precipitating factors and decision making processes of short-term worsening heart failure despite “optimal” treatment (from the IN-CHF registry). Am J Cardiol 2001; 88: 382-387. Fox K, Ford I, Steg G, et al. on behalf of the BEAUTIFUL Investigators. Heart rate as a prognostic risk factor in patients with coronary artery disease and left-ventricular systolic dysfunction (BEAUTIFUL): a subgroup analysis of a randomized controlled trial. The Lancet 2008; 372: 817-821. Levine HJ. Rest heart rate and life expectancy. J Am Coll Cardiol 1997; 30: 1104-1106. Ferrari R, Nesta F, Boraso A. Increased heart rate is detrimental: the myocardial metabolic theory. Eur Heart J Suppl 1999; 1 (Suppl H): H24-H28. Stangewlad L, Grong K, Vik-Mo H, et al. Is reduced cardiac performance the only mechanism for myocardial infarct size reduction during beta adrenergic blockade? Cardiovasc Res 1986; 20: 322-330. Heidland UE, Stauer BE. Left ventricular mass and elevated heart rate are associated with coronary plaque disruption. Circulation 2001; 104: 1477-1482. Katona PG, McLean M, Dighton DH, Guz A. Sympathetic and parasym- 63 RASSEGNE 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. Maria Teresa La Rovere pathetic cardiac control in athletes and nonathletes at rest. J Appl Physiol 1982; 52: 1652-1657. Walker NL, Cobbe SM, Birnie DH. Tachycardiomyopathy: a diagnosis not to be missed. Heart 2004; 90: e7. Rao K, Fisher ML, Robinson S, et al. Effect of chronic changes in heart rate on congestive heart failure. J Cardiac fail 2007; 13: 269-274. Kiekshus J, et al. Relationship. Eur Heart J Suppl 1999; 1 (Suppl H): H 64-H69. Packer M, Craver JR, Rodeheffer RJ, et al. Effect of oral milrinone on mortality in severe chronic heart failure. The PROMISE study research group. N Engl J Med 1991; 325: 1468-75. Nul DR, Doval HC, Grancelli HO, et al. on behalf of the GESICA-GEMA Investigators. Heart rate is a marker of amiodarone mortality reduction in severe heart failure. J Am Coll Cardiol 1997; 29: 1199-205. Lechat P, Escolano S, Goldmar JL, et al. on behalf of the CIBIS Investigators. Prognostic value of bisoprolol-induced hemodynamic effects in heart failure during the cardiac Insufficiency Bisoprolol Study (CIBIS). Circulation 1997; 96: 2197-2205. Flannery G, Gehrig-Mills R, Billah B, Krum H. Analysis of randomized controlled trials on the effect of magnitude of heart rate reduction on clinical outcomes in patients with systolic chronic heart failure receiving beta-blockers. Am J Cardiol 2008; 101: 865-869. Huang RL, Listerman J, Goring J, et al. Beta-blocker therapy for heart failure: should the therapeutic target be dose or heart rate reduction? CHF 2006; 12: 206-210. Nagatsu M, Spinale FG, Koide M, et al. Bradycardia and the role of 웁blockade in the amelioration of left ventricular dysfunction. Circulation 2000; 101: 653-659. Thackray SDR, Ghost JM, Wright GA, et al. The effect of altering heart 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. rate on ventricular function in patients with heart failure treated with 웁-blockers. Am Heart J 2006; 152: 713.e9-713.e13. DiFrancesco D, Borer JS. The funny current: cellular basis for the control of heart rate. Drugs 2007; 67 (Suppl 2): 2: 15-24. Mulder P, Barbier S, Chagraoui A, et al. Long-term heart rate reduction induced by the selective If current inhibitor ivabradine improves left ventricular function and intrincis myocardial structure in congestive heart failure. Circulation 2004; 109: 1674-1679. De Ferrari GM, Mazzuero A, Agnesina L, et al. Favourable effects of heart arte reduction with intravenous ivabradine in patients with advanced heart failure. Eur J Heart Fail 2007; 10: 550-555. Swesberg K, Komajda M, Bohm M, et al. Rationale and design of a randomized, double blind, placebo-controlled outcome trial of ivabradine in chronic heart failure: the Systolic Heart Failure Treatment with the I(f) Inhibitor Ivabradine Trial (SHIFT). Eur J Heart Fail 2010; 12: 75-81. Fox K, Ford I, Steg G, Ferrari R on behalf of the BEAUTIFUL Investigators. Ivabradine for patients with stable coronary artery disease and left-ventricular systolic dysfunction (BEAUTIFUL): a randomized double-blind, placebo-controlled trial. The Lancet 2008; 372: 807-816. Li M, Zheng C, Sato T, et al. Vagal nerve stimulation markedly improves long-term survival after chronic heart failure in rats. Circulation 2004; 109: 120-124. Schwartz PJ, De Ferrari GM, Sanzo A, et al. Long term vagal stimulation in with advanced heart failure: first experience in man. Eur J Heart Fail 2008; 10: 884-891. Piepoli MF, davos C, Francis DP, Coats AJ, ExTraMATCH Collaborative. Exercise training meta-analysis in patients with chronic heart failure (ExTraMATCH). BMJ 2004; 328: 189. INVITO ALLA COLLABORAZIONE DEI SOCI Tutti i Soci possono inviare per la pubblicazione articoli scientifici originali, descrizione di casi clinici redatti secondo le regole indicate nelle “Norme redazionali per gli Autori. I lavori verranno preliminarmente vagliati dal Comitato di Redazione ed inviati agli specifici referee per la valutazione di pubblicabilità. 64 CARDIOLOGY SCIENCE VOL 8 • APRILE-GIUGNO 2010