Conoscere le piante spontanee e cucinarle

Conoscere le piante
spontanee e cucinarle
A cura della dott.ssa Lorenza Poggi
Università di Pavia
Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente
Le erbe spontanee come risorsa alimentare
L'uso delle erbe spontanee quali fonte di sostentamento, soprattutto per le
popolazioni rurali è diffuso in tutte le regioni del nostro Paese.
Sull'utilità delle erbe commestibili si hanno ampie tradizioni orali e diverse
testimonianze scritte; la prima pubblicazione che affronta l'argomento sotto il
profilo scientifico è quella del medico fiorentino GIOVANNI TARGIONITOZZETTI e risale al 1767. L'opera dal titolo De alimenti urgentia e sottotitolo
Alimurgia, ossia modo di rendere meno gravi le carestie per il sollievo dei
popoli, introduce la locuzione alimurgia dalla quale deriva il termine
fitoalimurgia che, ancora oggi, designa lo studio delle piante a scopo
gastronomico e che deriva da tre vocaboli greci, phytón = pianta, alimos = che
toglie la fame ed ergon = lavoro, attività.
Dopo TARGIONI-TOZZETTI, diversi ricercatori si sono occupati di fitoalimurgia;
tralasciando quelli dell'Ottocento, si segnalano MATTIROLO (1918), RICCARDO
(1921) e ARIETTI (1941).
L'impiego alimentare delle verdure spontanee è una pratica diffusa in tutta l'Italia
(ALIOTTA, 1987), ma la scelta delle piante può variare nei diversi distretti
regionali; mentre alcune specie sono ritenute mangerecce su tutto il territorio
nazionale, altre, invece, vengono raccolte e consumate solo all'interno di delimitate
aree geografiche (GULINO, 1984).
E' interessante sottolineare che, durante l'ultimo conflitto, le truppe statunitensi
sbarcate in Italia disponevano di un manuale di fitoalimurgia, approntato da una
commissione di botanici americani, da utilizzare come prontuario di sopravvivenza.
Nella società attuale, la fitoalimurgia riveste ruoli ben diversi rispetto a quelli del
passato: non più necessità alimentare, ma puro interesse per i prodotti naturali.
Durante gli ultimi anni, diversi studiosi, quali FRANKE (1985), SOUCI (1986) e
FRITZ (1989), hanno evidenziato che le verdure spontanee contengono elevate
concentrazioni di sali minerali, proteine, un alto tasso di vitamine A e C e
notevoli percentuali di fibre, in quantità maggiori rispetto agli ortaggi coltivati.
Per queste proprietà esse risultano utili a integrare e migliorare l'alimentazione,
al giorno d'oggi particolarmente ricca di cibi a base di carne e di piatti elaborati
che favoriscono l'insorgenza delle cosiddette malattie del benessere
(arteriosclerosi, obesità).
L'introduzione nella dieta di prodotti naturali quali le verdure, così ricche di fibre e
di principi nutritivi ridurrebbe la richiesta nelle farmacie e nelle erboristerie di
correttivi alimentari.
Le conoscenze fitoalimurgiche rendono, inoltre, possibile l'individuazione e la
conservazione dell'enorme potenziale genetico (germoplasma) delle specie
spontanee.
In un'epoca nella quale i processi di selezione artificiale sono orientati verso poche
cultivar merceologicamente produttive ed imposte dalla strategia di mercato, la
salvaguardia di tale patrimonio assume un ruolo di estrema importanza.
A proposito dei rischi della monocoltura, diversi agronomi del nostro Paese,
fra cui BIANCO e PIMPINI (1990) e BRANCA (1991), stanno svolgendo
accurati studi fitoalimurgici al fine di individuare le verdure spontanee che
manifestino potenzialità alimentari, in modo da poter trarre nuove forme
orticole e produrre miglioramenti genetici nelle attuali varietà di ortaggi,
mediante incroci con le specie spontanee botanicamente affini.
Inoltre dal 2005, presso l'Università degli Studi di Pavia, esiste la Banca del
Germoplasma, dove si conservano semi di piante spontanee della flora
lombarda e di piante ad uso alimentare prodotte in territori limitati, in grado di
essere congelati. Un'equipe di ricercatori con a capo il Professor Graziano
Rossi ha in gestione tale risorsa.
Nomi dialettali, volgari e scientifici
Da tempo immemorabile, l'uomo ha attribuito diversi nomi alle piante che lo circondano.
Ciò ha comportato che le diverse specie hanno nomi che rientrano, fondamentalmente, in
tre categorie diverse; precisamente la denominazione dialettale, quella volgare e quella
scientifica.
La denominazione dialettale è tipica delle specie conosciute dall'uomo e usate per fini
alimentari, merceologici (piante che forniscono fibre, legno), simbolici (piante di buon
augurio) o ornamentali (nelle case e nei cortili). Queste specie hanno la prerogativa di far
parte della cultura popolare locale che ha loro attribuito un nome tramandato verbalmente.
Tale denominazione è legata ad un'area linguistica ristretta, all'interno della quale viene
compresa ed ha una significativa rilevanza nella comunicazione tra i diversi individui.
La denominazione volgare è il nome (o i nomi) attribuito ad una specie nella
lingua nazionale. L'aggettivo volgare (dal latino vulgaris = comune) indica che il
termine si riferisce al linguaggio comune, affiancandosi a quello scientifico e a
quello dialettale. L'appellativo volgare è usato in tutto il territorio nazionale ed è
rivolto ad un pubblico colto ma non specializzato.
La denominazione scientifica, basata sulla nomenclatura binomia in lingua latina
introdotta da Linneo nel 1753, rappresenta l'unica terminologia che designa in
modo inequivocabile una specie.
Riconoscimento
In primis bisogna imparare a saper distinguere con certezza un esemplare da un altro per
non rischiare di intossicarsi, e nei casi peggiori di avvelenarsi, visto che le specie botaniche
che possono dare questi “problemi” in natura non mancano.
Evitare quindi di mettere in bocca ciò che non si conosce e comunque tenere conto che anche
molte piante, apparentemente innocue che si ingeriscono possono far male, a seconda
delle circostanze e delle quantità.
Prima di imparare a riconoscere erbe, fiori, bacche e quant’altro è commestibile, è bene
imparare a riconoscere le piante tossiche e velenose.
Le prime volte che si vuole raccogliere e non si è certi di possedere la capacità nel riconoscerle
è opportuno andare con esperti e farsi consigliare manuali e testi sulle piante commestibili del
territorio e consultare manuali per il riconoscimento della flora della zona. Se si incerti sul
riconoscimento è bene rivolgersi a un esperto o al Dipartimento di Scienza della Terra e
dell'Ambiente.
Raccolta
Erborinare (o erborare o erborizzare) è il termine comunemente utilizzato
per indicare la raccolta di piante erbacee spontanee commestibili.
Le parti commestibili di una pianta sono diverse in rapporto alla specie:
foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi e bulbi.
La raccolta delle erbe è sempre manuale, a volte con l'aiuto di un coltello o di
una zappetta.
Vale la pena di fornire qualche avvertenza e qualche consiglio:
Primo: non siate come quelli che dove passano loro “non cresce più niente”.
Di Attila ne è bastato uno, e se doveste incontrate in giro per prati e boschi i
suoi eredi, non esitate a dir loro di comportarsi civilmente.
Secondo: non strappate alla radice ciò che vi serve, ma possibilmente tagliate
solo lo stretto indispensabile, e comunque in modo che la pianta possa
facilmente ricrescere. Se interessa la parte sotterranea accertatevi che nella
zona ci siano più esemplari della stessa pianta.
Terzo: ricordate che un cestino di vimini conserverà molto meglio di un
sacchetto di plastica ciò che dovete portare a casa. Se proprio non avete un
contenitore di vimini cercate di utilizzare quelli in materiale riciclabile, e
quando tornate a casa mettete subito il raccolto nelle condizioni di
conservarsi al meglio.
Quarto: non raccogliete vicino ai bordi delle strade, nei piccoli parchi urbani, vicino a campi
coltivati dove sicuramente si fa uso di fitofarmaci, diserbanti e quant’altro può contaminare anche
ciò che state raccogliendo, e neppure dove solitamente passeggiano cani e altri animali domestici.
Quinto (particolarmente importante): occorre ricordarsi che la flora spontanea a rischio è ormai
pressoché ovunque protetta. Forse anche con qualche esagerazione, ma tutte le Regioni hanno
emanato norme molto restrittive che possono riguardare anche le piante che avete intenzione di
raccogliere.
In Lombardia, ad esempio, la flora spontanea è protetta con la legge del 1977 e si distingue fra quella
di cui è vietata la raccolta (anche di un solo esemplare), e quella la cui raccolta è limitata a pochi
esemplari o a un certo quantitativo per persona al giorno.
È bene quindi tenere in debito conto queste regole e sapere cosa si può e cosa non si può
raccogliere. E dovete sapere che anche se i controlli possono sembrare scarsi o superficiali, ci sono
zone dove sono frequenti e le multe salate. In taluni casi anche il solo danneggiamento o
l’asportazione della cotica erbosa è sanzionato.
Molte piante sono considerate piante officinali, per le quali vige la Legge 6 gennaio 1931 n. 99, che
sancisce ulteriori limitazioni.
Naturalmente la normativa, da questa data si è molto evoluta.
Con la creazione delle Regioni ordinarie, agli inizi degli anni 70, sono state introdotte ulteriori norme
che negli ultimi decenni sono state modificate, soprattutto per una nuova sensibilità ambientale.
In materia di piante officinali ci sono spesso regole particolari per coloro che non svolgono
professionalmente attività di erboristeria o farmacia, per i quali vengono stabilite quantità massime di
prodotto secco da poter tenere in casa per uso personale. In genere si tratta di quantitativi molto più alti
del tradizionale consumo alimentare, ma in ogni caso la raccomandazione è di informarsi sulle
regole vigenti per il luogo dove ci si trova ad effettuare la raccolta.
Tenete presente infine che la competenza sulle sanzioni è variamente distribuita fra Provincie, Parchi e
Comuni.
Tempo di raccolta
La raccolta delle erbe deve rispettare delle regole che garantiscano di avere un
prodotto pulito ed efficiente, consono allo scopo per cui viene raccolto.
Ancora si raccomanda il massimo rispetto per le specie raccolte e per l'ambiente.
La raccolta non deve essere fatta in modo indiscriminato, raccogliendo tutti gli
esemplari possibili, ma molti di essi devono essere lasciati affinché possano,
sviluppandosi, disperdere i propri semi e garantire la continuità della specie.
Da tenere presente è l'inquinamento, ormai sempre più presente. Contro
l'inquinamento atmosferico, le nostre preoccupazioni possono essere vane, ma per
l'inquinamento dell'aria, del terreno e dei corsi d'acqua, la nostra attenzione deve
essere massima.
Occorre inoltre considerare il "momento magico" o tempo balsamico che
rappresenta il periodo più adatto alla raccolta quando la pianta è più ricca di
principi attivi.
Le regole sono abbastanza semplici e generali.
Per le gemme, quando queste sono ancora chiuse e la perula non si è ancora staccata. La perula
è la fogliolina scura, coriacea, che ricopre e protegge la gemma.
La sommità fiorita, va raccolta comprendendo alcune foglie. Le foglie inferiori non vanno
raccolte essendo le prime a nascere e quindi le più deteriorate.
Per la corteccia, il tempo balsamico è quello della ripresa vegetativa, in primavera, nel
momento di risalita della linfa.
Per le radici, quando la pianta è a riposo, e la loro raccolta non deve distruggere la pianta.
Non raccogliere in giornate di pioggia o ventose, ma in giornate di tempo bello e secco, quando
la rugiada è evaporata.
Ribadiamo di trasportare le piante in capaci recipienti, per garantire un'efficace aerazione ed
evitare possibili fermentazioni.
ATTENZIONE: ricordate che moltissime erbe aromatiche assomigliano ad erbe velenose,
quindi se non si è certi non raccogliere.
Usi
Le erbe spontanee, una volta raccolte, possono essere
consumate direttamente o conservate. In quest'ultimo caso è
consigliabile legarle a mazzetti e riporle in un luogo asciutto e
buio, dentro fodere di lino o cotone per preservarle dalla
polvere, dalle muffe e dagli insetti.
Per poter essere consumate, devono essere innanzitutto pulite.
Pulire l'erbaggio è un'operazione, di norma, molto semplice,
che consiste nella eliminazione delle parti secche e dei
frammenti non commestibili accidentalmente frammisti. Deve
sempre seguire un lavaggio molto accurato con acqua fredda.
Dopo la pulitura, le erbe possono essere consumate crude o
cotte a seconda del tipo. Le erbe crude si preparano
generalmente in insalata, quelle destinate alla cottura possono
essere consumate da sole o mescolate ad altre e in tal caso si
parla di misticanze che di solito si approntano per bilanciare il
sapore forte di certi erbaggi con quello debole di altri.
Nella maggior parte dei casi, però, prevale l'uso di verdure di un solo tipo che si
preparano lessate, al vapore o saltate in padella e servite come contorno, o per
preparare delle frittate. Si possono realizzare ottime minestre di verdure nel
quale inzuppare crostini di pane o cuocere la pasta.
Per alcune erbe la cottura deve essere preceduta da opportuni accorgimenti; ad
esempio, alcune vanno sbollentate in abbondante acqua per eliminare le
sostanze tossiche in esse presenti, oppure devono subire un complesso
trattamento in acqua e sale per allontanare la sostanza amara che contengono.
Alcune erbe spontanee commestibili
della Flora Lombarda
Achillea millefolium L. Achillea
Allium schoenoprasum L. Erba cipollina
Asparago tenuifolius Lam. Asparago selvatico
Artemisia dracunculus L. Dragoncello o estragone
Calendula officinalis L. Calendula
Cichorium intybus L. Cicoria
Humulus lupulus L. Luppolo
Rosa canina L. Rosa selvatica
Urtica dioica L. Ortica
Ricette inusuali con piante spontanee
Sambucus nigra L. Sambuco
Heliantus tuberosus L. Topinanbur
Malva silvestris L. Malva
Equisetum telmateia L. Equiseto massimo
Borago officinalis L. Borragine
Mentha x piperita L. Menta
Fragaria vesca L. Fragolina di bosco
Melissa officinalis L. Melissa
Menù
Aperitivo : Cocktail Primavera con fiori di Sambuco
Antipasto: Crostini ai Topinambur
Primo: Zuppa delicata alla Malva dei prati
Secondo: Polpettine gratinate di Equiseto massimo
Contorno: Insalata di Borragine
Dolce: Crema inglese alla Menta
Frutta: Fragoline in gelatina
Liquore: di Melissa
Aperitivo
Cocktail Primavera con fiori di Sambuco
Ingredienti:
1/3 di sciroppo di fiori di Sambuco
1/3 di seltz o acqua tonica
1/3 di gin
Mescolare in un bicchiere lungo e stretto e servire.
Sciroppo di fiori di Sambuco:
Ingredienti:
15 fiori di sambuco
2 limoni
2 litri d’acqua
3 kg zucchero
60 g succo di limone
Lasciar marinare per due ore e mezza i fiori nell’acqua con i limoni tagliati a metà. Togliere i
fiori e i limoni, aggiungere lo zucchero e il succo di limone, mescolare il tutto finché lo
zucchero si sia sciolto.
Lasciare riposare per 24 ore, imbottigliare e conservare in frigo.
Sambuco
Sambucus nigra L. (fam. Caprifoliaceae)
Altre proprietà
La droga: i fiori, i frutti, la corteccia. La droga deve essere essiccata.
Proprietà: diuretica, antiastenica, antireumatica, lassativa, sudorifera, antigottoso, detersive risolutive se
usato esternamente.
Contiene:
olio
essenziale,
tannino,
pectine,
l'alcaloide
sambucina,
il
glucoside
cianogenetico sambunigrina, mucillagini e nei frutti, acido malico e valerianico.
I fiori contengono: olio essenziale, flavonoidi (rutina, isoquercitina), acidi fenolici (caffeico, clorogenico).
I frutti contengono: rutina, antociani (quercitina, cianidina 3-sambubioside e 5-glucoside, la proteina
agglutinina III, la sambunigrina, acido viburnico, vitamine A, C).
Indicazioni: stati gravi di stanchezza (astenia), carenza difese immunologiche, come antisettico, per le vie
respiratorie, urinarie e per il fegato. Negli stati influenzali aiuta a risolvere i sintomi a carico dell'apparato
respiratorio e i sintomi di raffreddore e sinusite. Stimola anche l'apparato immunologico.
Tempo balsamico: Maggio
La corteccia è la parte più attiva, specialmente se fresca, usata come decotto ha azione purgativa e
diuretica; a piccole dosi è diuretica a dosi maggiori è purgante, a dosi più alte, g 3 per Kg di peso produce
vomito e sonnolenza. Il grande valore diuretico della corteccia è dovuto al fatto che non si accompagna ad
alcuna azione dannosa; agisce direttamente sull'epitelio renale senza influire sulla circolazione e sul cuore.
Le foglie hanno la stessa azione della corteccia, applicate esternamente sono irritanti e provocano
dermatite. I fiori sono più usati, hanno azione sudorifera e sono indicati nella cura delle malattie
dell'apparato respiratorio.
L'infuso è più efficace se caldo e la sudorazione è utile contro l'influenza, i raffreddori, il catarro. Il succo
dei frutti è, lassativo, purgativo e antinevralgico, adatto per le nevralgie del trigemino e dello sciatico. Il
vino di sambuco è purgativo, rinfrescante, diuretico.
ATTENZIONE: la droga immatura contiene acido cianidrico. Non usare mai la droga fresca o i frutti
acerbi.
Antipasto
Crostini ai topinambur
Ingredienti:
4 tuberi di topinambur
1 scalogno
1 cucchiaio di capperi
prezzemolo tritato
fette di pane tostato
olio
Lavare e sbucciare i topinambur e tagliarli a cubetti.
In un tegame fare appassire nell’olio lo scalogno tritato finemente,
aggiungere i topinambur e farli cuocere a fuoco basso per circa 15 minuti.
Unire i capperi e il prezzemolo tritati, regolare se necessario di sale,
continuando la cottura ancora per qualche minuto.
Spalmare su fettine di pane tostato e mangiare caldo.
Topinambur
Heliantus tuberosus L. (fam. Asteraceae)
Altre proprietà
Veniva usata per la sua radice commestibile poi è stata soppiantata dalla patata. I tuberi di topinambur si raccolgono in
inverno, sono molto nutrienti e la cottura è simile alle patate. Nella cucina piemontese sono tipici con la bagna càuda e la
fonduta.
Grazie al contenuto di inulina è una pianta molto adatta ed indicata nella dieta di persone diabetiche in quanto l'inulina
funziona come riserva di carboidrati (in sostituzione all'amido) indipendentemente dall'insulina. L'inulina è costituita da una
catena di molecole di fruttosio terminanti con glucosio. A seconda della stagione della raccolta la lunghezza delle molecole
di inulina varia e quindi la loro solubilità. Il Topinambur passa per lo stomaco ed il primo tratto dell'intestino senza venire
digerito, solamente nell'ultimo tratto dell'intestino sono presenti dei "bifido" batteri e dei lattobacilli in grado di rompere le
lunghe molecole dell'helianthus tuberosus il cui carattere fibroso ha un effetto molto positivo sulla flora batterica. Il tubero
inoltre è ricco di sali minerali ed in particolare potassio, magnesio, fosforo e ferro come pure di selenio e zinco. Il
topinambur è da sempre famoso per ridurre il colesterolo e per stabilizzare la concentrazione dello zucchero nel sangue e
dell'acido urico.
È una pianta perenne, il cui organo di sopravvivenza è un tubero. I suoi lunghi steli possono arrivare ad una altezza di tre
metri. La fioritura è molto caratteristica e avviene a fine estate, con la comparsa di molti fiori giallo oro. I capolini di colore
giallo acceso hanno un diametro che raggiunge i 9 cm. Terminata la fioritura la pianta si secca, ma in primavera dai tuberi
nasceranno i nuovi getti Le foglie sono ovato oblunghe molto ruvide.
È possibile coltivare i topinambur anche nell'orto familiare, visto che si adattano bene anche a terreni marginali, purché
soleggiati. La pianta, infatti, è molto rustica e può diventare addirittura invasiva. La coltivazione si riduce, praticamente,
alla piantagione. In inverno, una volta seccata la parte aerea della pianta, sarà possibile raccogliere i tuberi, lasciando quelli
più piccoli a continuare la coltivazione (che può avvenire per molti anni sullo stesso terreno senza problemi).
Primo
Zuppa delicata di malva dei prati
Ingredienti:
500 g di foglie tenere di malva
1 gambo di sedano
2 carote
1 cipolla
2 zucchine
2 patate
Sale e pepe q.b.
Preparare un brodo vegetale con le verdure.
Sbollentare a parte la malva in acqua non salata. Scolarla e strizzarla molto bene,
quindi aggiungerla al brodo vegetale.
Frullare il tutto fino ad ottenere una purea della giusta consistenza.
Servire la zuppa ben calda con l'aggiunta di dadini di pane tostato.
Malva
Malva silvestris L. (fam. Malvaceae)
Altre proprietà
La droga: le foglie e i fiori.
Proprietà: lassative, emollienti, antinfiammatorio, antisudorifere.
Contiene: mucillagine, tannino, glucosidi.
Indicazioni: regolarizza il ciclo mestruale, aiuta la digestione specialmente quando si formano gas intestinali,
antisudorifero nelle malattie infettive; in questi casi si usa come infuso. Come emolliente si usa come oleolito
per i dolori artritici e reumatismi, in quanto disinfiamma le articolazioni e attiva la circolazione del sangue.
Tempo balsamico: Giugno
Avvertenza: nessun effetto collaterale.
Infuso: g 150 di foglie e fiori, in 1 litro d'acqua, bollente per 10 minuti, alcune tazze nella giornata.
Calma la tosse, facilita la diuresi, porta beneficio nelle infiammazioni dell'intestinali e dello stomaco.
Tisana: g 5 di fiori, g 5 di fiori di viola mammola in ml 200 d'acqua bollente per 30 minuti. Blando purgativo
per vecchi e bambini.
Decotto: g 100 di foglie e fiori, in 1 litro d'acqua bollente per 15 minuti, 3 tazze al giorno.
Oleolito: una manciata di foglie fresche si pestano in un mortaio, poi si aggiunge una tazzina di olio d'oliva e si
riscalda a bagnomaria mantenendo l'ebollizione per 8 minuti mescolando, filtrare e conservare in una bottiglietta
di vetro scuro. Si usa per frizionare la parte dolorante.
Secondo
Polpettine gratinate di Equiseto massimo
Ingredienti:
400 g di equiseto (fusti fertili)
uno spicchio d’aglio
200 g di ricotta
un cucchiaio di formaggio grana grattugiato
6 cucchiai di pangrattato
Sale
Uova
Peperoncino
Burro
Cuocere al dente in acqua 400 grammi di fusti fertili giovanissimi di equiseto, scolarli e
tritarli. Aggiungere all’equiseto uno spicchio d’aglio tritato, 200 grammi di ricotta, un
cucchiaio di formaggio grana grattugiato, 6 cucchiai di pangrattato, sale, un pizzico di
peperoncino a piacere e tante uova quante ne servono per ottenere un impasto lavorabile.
Fare delle polpettine schiacciate e immergerle in acqua bollente per 3 minuti; scolarle e
farle asciugare un poco. Metterle in una pirofila imburrata, guarnirle con riccioli di burro
e passare la pirofila al forno a gratinare. Servire le polpette calde.
Equiseto massimo
Equisetum telmateia L. (fam. Equisetaceae)
Altre proprietà
L' Equiseto massimo (nome scientifico Equisetum telmateia L.. 1753) è una pianta erbacea, perenne.
La pianta di questa scheda appartiene alla grande divisione delle Pteridophyte, gruppo di piante più primitive rispetto le Angiosperme,
senza organi sessuali distinti, che si propagano e riproducono per mezzo di spore. La famiglia di appartenenza (Equisetaceae)
comprende il solo genere Equisetum con circa 20 o 30 specie (a seconda dei vari Autori) delle quali una decina appartengono alla nostra
flora spontanea.
Il genere è diviso in due sezioni: Hippochaete e Euequisetum. La pianta di questa scheda appartiene alla seconda sezione cui
appartengono specie di luoghi temperati, con stomi superficiali e parti aeree che durante l'inverno si dissecano completamente.
Normalmente i fusti fertili non hanno rametti; in alcune varietà raramente si possono trovare fusti fertili ramificati.
Il nome generico (Equisetum) deriva dal latino e significa “crine di cavallo”; mentre il nome specifico (“telmateia”) deriva da una
radice greca telma che significa palude. Dobbiamo a Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa - 90 circa), che fu un medico,
botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell'imperatore Nerone, una delle prime descrizioni dettagliate di
questa pianta.
Il binomio scientifico attualmente accettato (Equisetum telmateia) è stato proposto dal botanico svizzero Jakob Friedrich Ehrhart
(Holderbank, 4 novembre 1742 – Herrenhäuser, 26 giugno 1795) in una pubblicazione del 1783.
In lingua tedesca questa pianta si chiama Riesen-Schachtelhalm; in francese si chiama Prêle géante; in inglese si chiama Great
Horsetail.
Morfologia
La forma biologica della specie è geofita rizomatosa (G rhiz), ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione
sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei detti rizomi (un fusto
ipogeo dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei). Il ciclo biologico è perenne. L'altezza media varia da 5 a 20 dm.
Radici
Le radici sono secondarie (fascicolate) da rizoma e di tipo avventizio. Generalmente sono dei ciuffi che si diramano dai nodi del rizoma
e durano un anno al massimo.
Fusto
Parte ipogea: la parte ipogea del fusto consiste in un rizoma orizzontale a varie ramificazioni a volte anche intricate che danno luogo a
germogli aerei eretti e quindi ai corrispondenti fusti epigei. I germogli hanno la caratteristica di essere provvisti di una sola cellula
apicale, molto grande, a forma di tetraedro (più o meno piramidale), dalla quale si generano per divisione le cellule successive per lo
sviluppo del fusto adulto.
Equiseto massimo
Equisetum telmateia L. (fam. Equisetaceae)
Parte epigea: la parte epigea (detta anche più precisamente culmo) consiste in due tipi di fusti:
fusti sterili, ruvidi di colore verde e quindi fotosintetici. In questi fusti le foglie sono così poco significative che il fusto si sostituisce ad esse
per il processo fotosintetico tramite delle cellule clorofilliane poste appena al di sotto dell'epidermide. Questi fusti sono densamente
ramificati a strati; ogni strato consiste in una dozzina di rametti a quattro coste posti in verticilli alla base delle foglie a sua volta poste nei
nodi del fusto; anche i rametti sono articolati in nodi e relativi internodi e quelli superiori sono allungati in modo che superano l'apice del
fusto stesso. I fusti sterili si sviluppano solamente dopo che quelli fertili hanno assolto alla loro funzione riproduttiva;
fusti fertili, bianchicci o bruni (a volte di colore giallastro) e quindi privi di clorofilla), atti alla riproduzione; normalmente non ramificati
ma con nodi e internodi con un solo strobilo apicale di sporofilli (foglia modificata che porta gli sporangi, alloggiamento delle spore - i
“semi” delle Pteridophyte); anche in questo fusto ai nodi sono presenti delle foglie ma quasi mai i rami; lo strobilo termina in modo
arrotondato (non mucronato). Lunghezza dei fusti fertili : 1 – 4 dm.
Entrambi i fusti sono scanalati longitudinalmente (20 – 40 striature nei fusti sterili) e suddivisi in diversi nodi e relativi internodi. I fusti
sono cavi (cavità midollare) o fistolosi, infatti all'interno è presente una sottile cavità longitudinale; questa, nel caso della specie di questa
scheda, è larga almeno i 2/3 del diametro totale. Diametro dei fusti : 10 – 20 m.
Sezione trasversale (solo uno spicchio) del fusto (figura a destra) in corrispondenza di un internodo: la parte più esterna consiste in una
epidermide (e) contenente diversi granuli di silice (da qui le proprietà meccaniche tipo taglio o abrasione di queste piante). In
corrispondenza delle costole longitudinali del fusto il tessuto vegetale (chiamato cordone sclerenchimatico) è ulteriormente ispessito (s).
All'interno dell'epidermide è presente un tessuto di tipo collenchimoso (cl), interrotto solamente dagli stomi e sotto il quale si trovano le
cellule clorofilliane (cc). Gli stomi sono delle aperture stomatiche (as) la cui funzione è di consentire lo scambio gassoso fra interno ed
esterno del vegetale, in particolare la fuoriuscita di vapore acqueo e l’entrata di ossigeno e di anidride carbonica. Più internamente, immersi
nel parenchima (p), abbiamo i canali vallecolari (cv), probabilmente la loro funzione è di facilitare la circolazione dell'aria in tutta la pianta,
e i fasci cribro-vascolari (fv), altre strutture conduttrici di sostanze liquide. Al centro è presente una grande cavità vuota (c ) che nel rizoma
e nei rametti laterali serve a contenere il midollo. Questa cavità è almeno sei volte più grande delle cavità laterali.
Le foglie (in questo caso chiamate più precisamente microfille) sono situate in corrispondenza dei nodi del fusto. Sono erette e appressate
al fusto stesso. Sono concresciute le une alle altre (formano una specie di collaretto lobato o guaina attorno al fusto) e non sono
differenziate in picciolo e lamina fogliare; le loro dimensioni sono tali per cui, nel caso dei fusti fertili, ricoprono quasi tutto l'internodo. La
forma è lanceolata, squamiforme con un unico nervo dorsale e apice acuminato di colore bruno. Per ogni nodo sono presenti dalle 20 alle
30 foglie.
Equiseto massimo
Equisetum telmateia L. (fam. Equisetaceae)
Apparato riproduttivo
Strobilo: l'apparato riproduttivo è posto nello strobilo, struttura apicale ai fusti fertili. Lo strobilo è ricoperto
quasi completamente dai sporofilli a forma di foglia peltata, ossia un corto peduncolo è inserito al centro della
pagina inferiore di questa foglia modificata, mentre la parte opposta del peduncolo si collega all'asse centrale
del fusto e quindi allo strobilo. La forma della foglia è irregolarmente esagonale. Tutto intorno all'estremità
inferiore della foglia sono inseriti diversi sporangi (i contenitori delle spore). Questi si aprono a maturità
attraverso una fessura longitudinale. Lunghezza dello Strobilo: 2 – 9 cm.
Spore: le spore sono del tipo isospore ossia sono tutte uguali (indifferenziate sessualmente); la loro superficie
è stratificata in quattro livelli sovrapposti. Il più importante di tutti è il primo livello (quello più esterno
chiamato esosporio) che lacerandosi lascia libere quattro appendici chiamate "apteri" (simili agli “elateri”
delle Epatiche) che hanno la funzione di far muovere la spora essendo dotate di movimenti igroscopici (utili
nel processo di disseminazione). Spore che in seguito secondo le condizioni ambientali produrranno un
protallo maschile o femminile, dal quale poi, tramite la fecondazione di una oosfera da parte di un
“spermatozoide” (o gamete maschile cigliato), potrà finalmente svilupparsi il nuovo sporofito (ossia altri fusti
di “equiseto”).
Periodo di maturazione: per gli strobili lo sviluppo avviene tra febbraio – marzo, mentre le spore
raggiungono la maturazione nel periodo di marzo-aprile. Mentre in maggio si sviluppano i fusti sterili (quelli
fertili sono già secchi).
Equiseto massimo
Equisetum telmateia L. (fam. Equisetaceae)
Usi
Farmacia
Sostanze presenti: acido silicico, glucoside, delle saponine (equisetonina), flavonoidi, piccole quantità di
alcaloidi, resine e acidi organici (anche acido ascorbico), sostanze amare e altre sostanze minerali (sali di
potassio, alluminio, manganese, ferro e calcio).
Proprietà curative: antiemorragiche, cicatrizzanti (accelera la guarigione di ferite), emostatiche (blocca la
fuoriuscita del sangue in caso di emorragia), diuretiche (facilita il rilascio dell'urina), astringenti (limita la
secrezione dei liquidi), antitubercolari e remineralizzanti (valide soprattutto per i malati di tubercolosi
polmonare).
Parti usate: rizoma e parti aeree.
Cucina
In passato, presso le famiglie contadine, i germogli venivano occasionalmente impanati e fritti o conditi con
aceto. Può essere aggiunto a zuppe o minestroni come integratore di sali minerali.
Secondo alcuni testi[5] questa pianta se ingerita in grandi quantità può presentare una certa tossicità in quanto
contiene l'enzima thiaminase che assorbe il complesso vitaminico B.
Altri usi
L'Equiseto viene usato anche in cosmetica come crema antirughe e sembra che rallenti l'invecchiamento della
pelle in genere (ha delle proprietà anticellulitiche). Questa pianta, come altre dello stesso genere in quanto
provviste superficialmente di granuli di silicio, anticamente veniva utilizzata per levigare (sgrassare e
lucidare) superfici anche metalliche.
Contorno
Insalata di borragine
Ingredienti:
20-30 fiori freschi di borragine
Insalata verde di stagione (poco amara)
Carote
Limone, sale e pepe
senape
olio extravergine di oliva
Preparare una salsa con limone, senape, olio, sale e pepe mescolando con cura. Tagliare le
carote a julienne e metterle in una insalatiera, aggiungere l’insalata verde lavata, asciugata e
spezzettata a mano. Condire con la salsa. Aggiungere infine i fiori di borragine. Sono buono
e decorativi.
Borragine
Borago officinalis L. (fam. Boraginaceae)
Altre proprietà
La droga: le sommità fiorite e le foglie.
Proprietà: tonico del sistema nervoso, diuretico, emmolienti, sudorifere, depurative.
Contiene: olio essenziale, mucillagine, tannino, sali di potassio, calcio e magnesio, acido fosforico.
Indicazioni: reumatismi, eczema, malattie respiratorie, previene l'esaurimento nervoso, tonifica il
cuore, cura le infiammazioni dell'apparato genito-urinario, come nefriti e cistiti.
Per certe forme di eczema è usato l'olio di Borragine.
Tempo balsamico: Giugno-Agosto
Tisana: g 20 di foglie fresche in 1 litro d'acqua bollente, infondere per 30 min.
Decotto: (reumatismi - depurativo - malattie respiratorie) g 40-50 di fiori e foglie a bollire per 20
minuti in 1 litro d'acqua, filtrare e bere 4 tazzine al giorno.
Enolito: g 50 di fiori a macerare in 1 litro di vino bianco secco per 7-10 giorni. Filtrare e bere 1
bicchierino prima dei pasti.
Le foglie bollite possono essere applicate sulla cute come cataplasmi nelle malattie della pelle, nella
gotta (sono però migliori il Verbasco e la Bardana).
Dolce
Crema inglese alla menta
Ingredienti:
Mezzo litro di latte
100 g di zucchero
4 rossi d’uovo
10 g di maizena
un pugno di menta
Bollire il latte con la menta, lasciarlo intiepidire e filtrarlo.
Sbattere i tuorli con lo zucchero e, amalgamando, aggiungere la maizena e il latte.
Rimettere sul fuoco e continuare a mescolare (la crema non deve bollire).
Appena il composto vela il cucchiaio togliere dal fuoco. È ottima per
accompagnare i dolci secchi.
Menta
Mentha x piperita L., M. aquatica, M. longifolia. (fam.
Lamiaceae)
Altre proprietà
La droga: le foglie e i fiori.
Proprietà: aromatiche, sedative, dissetanti, toniche, digestive, carminative, stomachico, antimicrobico,
antiprurito, analgesico gastrointestinale, stimolante il sistema nervoso centrale.
Contiene: olio essenziale, mentolo libero ed esterificato con acido acetico e valerianico, mentone (chetone),
terpeni.
Indicazioni: spasmi gastrici, aerofagia, astenia, atonia gastrica.
Tempo balsamico: Luglio
Infuso: Alcune foglie in una tazza d'acqua bollente per circa 10 minuti, prima dei pasti (stomatico). Come
sedativo g 50 di foglie in 1 litro d'acqua, una tazza mattino e sera.
Tintura: g 50 di fiori in ml.200 di alcole 70° per 10 giorni. 1 cucchiaino diluito con poca acqua calda.
Ottima per pediluvi e bagni aromatici e per gargarismi (g 80 di foglie)
Enolito: g 40 di foglie frantumate a macero in vino bianco secco per due settimane.
Un bicchierino dopo i pasti.
L'infuso può essere usato per frizionare e così disinfestare gli animali domestici dalle pulci.
Frutta
Fragoline in gelatina
Ingredienti:
350 g di fragoline mature
150 g di zucchero a velo
mezzo litro di panna montata
10 g di colla di pesce in fogli
mezzo bicchierino di maraschino
1 bustina di zucchero vanigliato
il succo di mezzo limone
Immergere i foglietti di colla di pesce in acqua fredda per 15 minuti, quindi farli
sciogliere a bagnomaria aggiungendo acqua quanto basta.
Passare al setaccio fine 350 g di fragoline e porle in una terrina. Unire lo zucchero a velo, il succo di
limone, la colla di pesce.
Porre le fragoline residue in una ciotola a macerare nel maraschino (o altro liquore aromatico) fino a
quando il composto comincerà a solidificarsi. Incorporare allora al composto, mescolando
delicatamente, la panna montata a cucchiaiate, le fragoline residue e il liquore nel quale erano state
fatte macerare.
Inumidire con acqua fredda uno stampo, versare il composto e livellare la superficie con una lama
bagnata. Porre il contenuto coperto con carta oleata per almeno 3 ore in frigorifero.
Capovolgere il dolce su un piatto di portata, decorando il bordo del piatto con fragoline e polvere di
zucchero vanigliato.
Fragola di bosco
Fragaria vesca L. (fam. Rosaceae)
Altre proprietà
La Fragaria vesca (fragola di bosco) è una pianta erbacea della famiglia delle rosacee. Spontanea nei
sottoboschi italiani, è coltivata per i suoi frutti: piccole fragole dal profumo molto intenso. Si distingue dalle
varietà ibride coltivate di Fragaria per il fatto che il frutto è piccolo e morbido (da cui il nome vesca che in
latino significa molle). È da notare che, secondo alcune fonti, il nome fragaria derivi dal sanscrito ghra, il cui
significato è "fragranza".
Le foglie riunite alla base in piccoli ciuffi, sono trifoglie e dentellate.
I piccoli fiori bianchi da 4 a 6 petali fioriscono in tutto il periodo da aprile a luglio, talvolta le piante
rifioriscono nuovamente in autunno.
Il frutto è in realtà uno falso-frutto, che sorregge i frutti propriamente detti che sono i semini di cui è cosparsa
la superficie.
Habitat
Sottobosco, boschi radi, scarpate. Si trova quasi in tutta Europa.
Coltivazione
Preferisce un suolo fresco, piuttosto acido ed un'esposizione soleggiata o di mezz'ombra.
La riproduzione avviene per moltiplicazione vegetativa agamica.
I frutti possono esser raccolti non prima di 8 mesi dall'impianto. Inoltre sono di difficile conservazione e
devono essere consumati o lavorati rapidamente.
Usi
Come erba medicinale la fragola di bosco può essere impiegata per alleviare disturbi gastrointestinali.
I principi attivi contenuti nella pianta sono olii essenziali, tannino e flavone.
Contiene buoni dosi di vitamina C, di iodio, di ferro, di calcio, di fosforo. Da non sottovalutare la presenza,
nel frutto, di acido salicilico. Le sono attribuite le proprietà di depurativa e diuretica. È indicata nelle
infiammazioni del cavo orale.
Può confondersi con
Ad uno sguardo superficiale può essere confusa impunemente (in quanto non tossica), con la falsa fragola
(Duchesnea indica L.) inodore ed insapore, oltre che diversa per dettagli morfologici e di portamento.
Liquore
Liquore di Melissa
g 100 di foglie e sommità fiorite di Melissa
1 litro di alcol a 95°
g 500 d'acqua
g 300 di zucchero
Macerare le foglie e le sommità fiorite nell'alcol per 3-4
giorni, aggiungere quindi, la soluzione d'acqua e zucchero, lasciare
riposare per almeno 20 giorni e filtrare.
Melissa o Erba cedrina o Cedronella
Melissa officinalis L. (fam. Lamiaceae)
Il nome deriva dal greco e significa ape ad indicare le qualità mellifere della pianta.
Altre proprietà
La droga: le sommità fiorite e le foglie.
Proprietà: aromatiche, toniche, stomachiche, carminative, antimicrobico, antiprurito,
antispasmodico, tonico del sistema nervoso centrale, del cuore, dell'apparato digestivo, ottimo
tranquillante e calmante.
Contiene: olio essenziale, tannino, mucillagine, canfora
Indicazioni: emicrania, nevralgie, ipermotività, spasmi, stati depressivi, anemia, contro l'insonnia,
lenitivo contro la puntura degli insetti.
Infuso: g 30 in 1 litro d'acqua bollente per circa 10 minuti, bere 2 - 3 tazze al giorno.
Dopo i pasti aiuta la digestione, consigliato contro l'insonnia.
Enolito: g 60 di foglie in 1 litro di vino del Reno a macero per 24 ore: 2 cucchiai al giorno, come
rivitalizzante.
Tintura: g 50 di fiori in ml 200 di alcole 70° per 20 giorni, in un recipiente chiuso ermeticamente.
7 - 8 g in infuso anche con menta. Nota è l'acqua dei carmelitani.
Ringrazio per l’attenzione
Lorenza Poggi, Tecnico laureato, responsabile della didattica
nell’Orto botanico di Pavia