la credibilità/non credibilità nell`azione di policy. un approccio

GIUSEPPE GAROFALO
LA CREDIBILITÀ/NON CREDIBILITÀ NELL’AZIONE DI
POLICY. UN APPROCCIO ANALITICO CON RIFERIMENTI
ALL’ESPERIENZA DEL BIENNIO 1994-96∗
Premessa
Il contesto nel quale vengono valutati gli interventi di politica
economica è da qualche tempo profondamente cambiato.
Non vi è più fiducia in un controllo del sistema “dall’esterno” e
in una regolazione ottimale del suo funzionamento nell’ipotesi di
completa prevedibilità delle risposte fornite dagli agenti privati agli
stimoli costituiti dalle variazioni quantitative (per ipotesi reversibili)
degli strumenti da parte del settore pubblico. E’ invece maturata la
consapevolezza che tra settore pubblico e settore privato
dell’economia intercorrono relazioni “strategiche”, da concepire nel
senso che ogni agente, privato o pubblico, definisce il proprio
comportamento in funzione di quello che prevede essere il
comportamento degli altri in un complesso intreccio di azioni e
reazioni, in un ambiente che, per di più, non è identificato
rigidamente dai confini nazionali.
Le vicende, narrate in questo volume, di quanto è avvenuto in
Italia nel biennio 1994-96 testimoniano in modo esemplare la giusta
prospettiva nella quale va riguardata l’azione di policy1.
Riconoscendo loro un carattere emblematico se ne fa un case
study rilevante anche al di fuori del particolare contesto storico.
L’articolazione data al presente contributo è la seguente. Nel
prossimo paragrafo vengono ricostruiti in modo sommario i due
diversi approcci alle problematiche della politica economica (il
primo, ripetiamo, concepisce il decisore pubblico come soggetto
razionale che opera dall’esterno sul sistema economico, il secondo
lo inquadra come giocatore alle prese con un problema di
∗
Ringrazio Massimo Tivegna per l’utile scambio di opinioni e Claudio Gnesutta
per la lettura attenta di una precedente stesura del saggio, esonerando tuttavia
entrambi da ogni responsabilità rispetto ad eventuali errori o imprecisioni.
1
Dà sostanza all'analisi contenuta in questo volume, svincolandola dalla mera
attualità politica, la circostanza, in parte voluta, che lo studio, avviato prima che
iniziasse con la XIV legislatura il secondo governo Berlusconi, sia stato lasciato
sedimentare e ripreso con il giusto distacco critico
interdipendenza strategica con gli agenti privati) e si mostra la
tensione che esiste tra azione dei “governi” e loro vaglio critico da
parte dei “mercati”. Nel successivo si individuano le grandezze
segnaletiche che meglio esprimono la valutazione che i mercati, in
particolare quelli finanziari, effettuano dell’azione di policy: il
differenziale dei tassi d’interesse, il tasso di cambio, l’indice del
mercato azionario, il tasso d’inflazione. Nel paragrafo 4 si
esaminano i rischi connessi al possesso di un’attività finanziaria e i
premi incorporati nel loro rendimento; dopo aver richiamato i
meccanismi di formulazione delle aspettative, sul piano dinamico si
illustra il problema dell’incoerenza temporale nell’azione dei poteri
pubblici. Nel paragrafo 5, dopo aver operato una distinzione tra
avvenimenti previsti dagli operatori e scontati nei loro
comportamenti, e avvenimenti inattesi, si spiega l’azione della
speculazione e il modo in cui si formano le bolle speculative; segue
l’illustrazione del meccanismo che porta alla autorealizzazione delle
aspettative cioè alla loro conferma in base alle risultanze effettive.
Nel paragrafo 6 si discute di come l’informazione primaria venga
raccolta, selezionata, decodificata, elaborata ed infine utilizzata per
le decisioni dagli operatori, di come si formi il clima dei mercati
(market sentiment) e della tendenza ad una market polarization. Nel
paragrafo 7 l’apparato concettuale precedente viene applicato, con
riferimento diretto all’esperienza del biennio 1994-96, al formarsi di
un circolo vizioso spesa per interessi-deficit-debito pubblico. Nel
paragrafo 8 si esaminano le circostanze nelle quali una politica
economica diventa non credibile e i costi che si riversano sul
sistema economico, con riferimento sia al breve sia alle prospettive
di più lungo periodo: l’esame prosegue con riferimento alla
definizione del costo connesso al recupero di credibilità. Nel
paragrafo 9 la questione della non credibilità nell’azione di policy
nel biennio 1994-96 viene prospettata nei suoi termini quantitativi.
Nelle conclusioni vengono sintetizzati i risultati raggiunti
mostrando il loro grado di generalità oltre i confini temporali sopra
definiti.
2. Governi e mercati nei “giochi” di politica economica
E’ diffusa l’idea che i mercati, in particolare quelli finanziari
data la maggiore velocità di reazione delle variabili finanziarie
rispetto a quelle reali, esprimano una valutazione continua
dell’operato dei governi, condizionandone i comportamenti in una
maniera che tende a confermare i principi dell’ortodossia finanziaria
(i mercati censurerebbero i comportamenti incoerenti dell’autorità
pubblica, il cui attivismo minerebbe la stabilità dell’equilibrio
raggiunto “naturalmente” dal sistema economico). Questa
convinzione va discussa perché presenta degli elementi di verità, ma
anche dei limiti logici.
Il modo appropriato di discuterne è di fare innanzitutto
riferimento al quadro concettuale nel quale sono collocate le azioni
in ambito economico dei governi e dei mercati.
La modellizzazione più corretta degli interventi dei poteri
pubblici nel sistema economico è quella fornita dalla teoria dei
giochi presupponendo agenti, il settore privato oltre a quello
pubblico, che si comportano in modo strategico date le
interdipendenze che legano i loro comportamenti.
La prospettiva indicata si contrappone a quella tradizionale che
assegna ai policy makers una conoscenza completa della struttura
economica sottostante che essi tentano di stabilizzare (più in
particolare delle preferenze dei cittadini e delle condizioni tecniche
di produzione) e concepisce la loro azione come esterna rispetto ad
agenti privati che, nei loro processi di massimizzazione di utilità
sotto il vincolo delle risorse a disposizione, si comportano in modo
parametrico data l’ininfluenza delle azioni del singolo
sull’equilibrio del sistema, e che rispondono in modo prevedibile
agli stimoli trasmessi dai poteri pubblici. In quest’ultima prospettiva
il decisore pubblico, comportandosi razionalmente, procederebbe a
massimizzare intertemporalmente (il termine sta a denotare il
processo di ottimizzazione dinamica) una funzione di preferenza
esogena quanto agli obiettivi conseguibili: si tratterebbe di una
funzione collettiva di benessere sociale o, viste le difficoltà della
sua definizione2, di una funzione del benessere del politico3; in
2
Ci si riferisce, ovviamente, a quanto espresso da Arrow nel suo “teorema di
impossibilità” sulla difficoltà di pervenire ad una volontà collettiva che sia
rispettosa delle preferenze individuali ed eviti che un’élite politica si erga a
alternativa si può pensare che egli si comporti “come se”
minimizzasse una funzione di costo riferita a dei “mali”, come
possono essere per un governo la disoccupazione e l’inflazione. La
massimizzazione/minimizzazione sarebbe vincolata dalla dotazione
di strumenti a disposizione del policy maker e da una struttura del
sistema economico che è presupposta invariante rispetto alle azioni
di policy4. L’impostazione appare insoddisfacente perché si scontra
con rilevanti difficoltà nei processi informativi e non tiene conto del
potere che i soggetti esprimono sui mercati. Con riferimento al
primo punto si può notare che le preferenze degli agenti privati
possono essere note al decisore pubblico solo se esse possono essere
derivate dall’esperienza passata, ma ciò contrasta con il principio di
razionalità che guiderebbe il loro comportamento. Per quanto
riguarda l’altro punto il potere di mercato non giustifica un
comportamento parametrico, ma ne presuppone uno strategico.
Alla prima difficoltà si è risposto introducendo l’ipotesi di
aspettative “forward looking” secondo cui il comportamento del
settore privato dipende non solo dallo stato corrente del sistema e
dalle decisioni correnti di politica economica, ma anche dai loro
valori futuri. La seconda questione può essere inquadrata in termini
rigorosi nell’ambito della teoria dei giochi. In presenza di giochi
dinamici si è in grado di considerare simultaneamente gli effetti sia
di un cambiamento nella policy sul comportamento dei soggetti
privati sia, all’opposto, delle variazioni nel comportamento dei
privati sulle decisioni del governo5. In questo caso ogni giocatore
(per semplicità sono solo due, il settore privato e quello pubblico)
minimizza la propria funzione di costo intertemporale (riferita agli
dittatore. V. K.J. Arrow, Social Choice and Individual Values, New York, Wiley,
1961,
3
V. J. Tinbergen, On the Theory of Economic Policy, Amsterdam, North Holland,
1952 e R. Frisch, Numerical Determination of a Quadratic Reference Function
for Use in Macroeconomic Programming, in “Memorandum from the Institute of
the Economics at the University of Oslo”, n. 14, 1957.
4
V. A.J. Preston e A.R. Pagan, The Theory of Economic Policy, Cambridge
University Press, 1982 e B.C.J van Velthoven, The Applicability of the
Traditional Theory of Economic Policy, “Journal of Economic Surveys”, n. 4,
1990. Si veda anche A. Stevenson, V. Muscatelli e Gregory M., Macroeconomic
Theory and Stabilization Policy, London, Philip Allan, 1988.
5
V. M.L. Petit, Control Theory and Dynamic Games in Economic Policy
Analysis, Cambridge, Cambridge University Press, 1991 e G. Ciccarone,
Fondamenti teorici della politica economica, Roma-Bari, Laterza, 1997.
scarti tra valori realizzati e valori desiderati degli obiettivi): tale
funzione trova espressione grafica in un insieme di “curve
d’indifferenza” (la loro forma è quella di circonferenze che fanno
perno su un punto centrale “di sazietà”, che individua il paniere
preferito relativamente agli obiettivi di policy, per cui l’inclinazione
è negativa quando il giocatore ha “troppo poco” o “troppo” di
entrambi, positiva quando soltanto uno dei due è in eccesso – nel
primo caso entrambi gli obiettivi mutano la loro natura da beni in
“mali”, nel secondo ciò accade solo per uno). La minimizzazione è
soggetta ai vincoli rappresentati dal modello dinamico che descrive
l’economia (si può trattare, per fare un esempio, di un insieme di
curve di Phillips aumentate per le aspettative, che descrivono la
relazione tra inflazione e disoccupazione, e che possono essere
ricavate nella loro espressione algebrica6 da una curva di offerta
aggregata à la Lucas) oltre che dalla soluzione del problema di
ottimizzazione dell’altro giocatore.
L’interdipendenza strategica è espressa da “curve di reazione”
(una per ogni giocatore) che descrivono il miglior risultato che
ciascuno dei due può raggiungere per ogni data mossa dell’altro
(sono ottenute andando a considerare i punti di tangenza tra la
mappa delle curve di indifferenza e le curve di Phillips per diverse
aspettative inflazionistiche).
I risultati di equilibrio del gioco possono essere del tipo di Nash,
del tipo descritto da Stackelberg o di tipo Pareto ottimali.
Da un punto di vista grafico nel primo caso si ha l’intersezione
tra le due curve di reazione sicché ogni giocatore, anche qualora
fosse in grado di conoscere con certezza le decisioni dell’altro,
tenderebbe a confermare le proprie (il comportamento dei due
giocatori è supposto non cooperativo); nel secondo la curva di
reazione del giocatore che opera da leader è tangente alla curva
d’indifferenza più alta dell’altro che si comporta da follower (la
posizione di leader à la Stackelberg potrebbe essere assunta dal
governo nel caso avesse un vantaggio in termini di informazioni sul
settore privato o nel caso riuscisse ad affermare una fattiva
collaborazione col settore privato); nel terzo caso, che è quello che
si verifica allorché la soluzione non consente miglioramenti per
nessuno dei due giocatori se non a danno dell’altro ed è dunque
globalmente superiore (presupposto necessario è che esista
6
A conclusione del paragrafo 3 provvederemo a formalizzare tale espressione.
cooperazione tra i giocatori), vi è tangenza tra le curve
d’indifferenza dei due giocatori.
3. Aspettative e comportamenti degli operatori sui mercati: i riflessi
sul differenziale dei tassi d’interesse, sul tasso di cambio,
sull’indice del mercato azionario, sul tasso d’inflazione
Abbiamo già indicato come caratteristica centrale del
comportamento degli agenti privati la formulazione di aspettative
“forward looking” per cui essi tengono conto, nel formulare i loro
piani di azione, non solo dello stato corrente del sistema e delle
decisioni correnti di politica economica, ma anche dei loro valori
futuri. Tale condotta riguarda in primo luogo gli investitori che
operano sui mercati finanziari (l’elevata mobilità dei capitali
finanziari e la possibilità di operazioni di arbitraggio fanno sì che i
mercati nazionali siano strettamente integrati tra loro in un unico
mercato di fatto transnazionale). Per ogni attività finanziaria
l’investitore deve valutare il tasso di rendimento atteso.
Quest’ultimo può essere definito a partire dal tasso d’interesse su
attività risk-free come è tipicamente un titolo pubblico, se la
comparazione è tra attività denominate nella moneta nazionale, o,
nel caso si confrontino attività denominate in valute diverse, a
partire dal tasso d’interesse benchmark in un paese considerato
solido e credibile. Il differenziale nel tasso di rendimento atteso di
un titolo rispetto a quello preso a riferimento è in tal senso
espressione della valutazione che l’investitore esprime circa: la
natura del reddito esplicito atteso (nel caso di un’obbligazione la
cedola relativa agli interessi, nel caso di un’azione i dividendi) al
netto dei costi (compresi gli oneri fiscali); la variabilità del prezzo
dell’attività con conseguenti guadagni/perdite in conto capitale
attesi; l’affidabilità dell’emittente7. Ipotizzando di poter modellare
l’incertezza nel senso del rischio probabilistico, il rendimento atteso
di un’attività viene trattato come una variabile casuale, per cui è
espresso come media dei possibili valori, ciascuno ponderato con il
grado di probabilità del risultato, mentre il rischio viene quantificato
in base alla dispersione dei possibili rendimenti intorno alla
7
Nel paragrafo 4 si provvederà a scomporre analiticamente il tasso di
rendimento nelle sue diverse componenti.
tendenza centrale, dispersione definita dalla varianza (dallo scarto
quadratico medio)8.
Il rischio dal quale l’investitore (presupposto avverso al rischio)
intende tutelarsi è quello “non diversificabile” (o “sistematico”),
non essendo prevedibile alcun rendimento addizionale per quello
“diversificabile” (o “non sistematico”) che può essere eliminato o,
comunque, ridotto distribuendo la propria domanda tra differenti
attività tra loro non correlate, o attraverso forme di copertura
assicurativa o l’acquisizione di maggiori informazioni sulle scelte
possibili e sui risultati.
Per una determinata attività, le variazioni nelle valutazioni che
gli operatori esprimono sul mercato, e dunque il tasso di rendimento
atteso da chi la domanda (re), trovano riflesso nel tasso di
rendimento effettivo (r) perché è a quel determinato livello di re che
essi sono disposti a detenere lo stock esistente della stessa. La
peculiarità dei mercati finanziari, che li rende incompatibili con il
paradigma walrasiano dell’equilibrio, è che l’equilibrio dei flussi
sconta l’effetto delle variazioni involontarie degli stock, e che il lato
della domanda è prevalente.
Considerando attività finanziarie (identiche per quanto riguarda
scadenza, liquidità, rischio di insolvenza dell’emittente) denominate
in valute diverse (l’orizzonte dell’investimento è di n anni), i
relativi tassi di rendimento devono soddisfare la cosiddetta
condizione di “parità scoperta dei tassi d’interesse” in base alla
quale vi è indifferenza tra un titolo nazionale e uno estero (cessano
le operazioni di arbitraggio) allorché il rendimento medio annuo sul
primo ( rnt ) eguaglia quello sul secondo ( Rnt ) tenuto conto del
deprezzamento atteso della moneta nazionale
cte+ n − ct
(
ct
,
dove cte+ n è il tasso di cambio atteso tra n anni e ct quello
corrente).
8
Una tale misura del rischio vale nell’ipotesi di distribuzione normale e di
costanza dell’esperienza passata come indicatore del futuro.
Dalla condizione sopra enunciata:
c e − ct
nrnt = nRnt + t + n
[1]
ct
si ricava il tasso di cambio corrente in funzione di quello atteso tra n
anni e del differenziale tra i tassi di rendimento atteso interno ed
estero:
cte+ n
ct =
[2]
1 + n(rnt − Rnt )
L’influenza delle aspettative degli operatori trovano riflesso
dunque non solo nel tasso di rendimento delle diverse attività
finanziarie ma anche nel tasso di cambio, cioè nel prezzo della
moneta estera in termini di quella nazionale.
Una terza grandezza in grado di segnalare in tempo reale la
valutazione sempre aggiornata che i mercati, in particolare quelli
finanziari, effettuano dell’azione di policy è rappresentata
dall’indice del mercato azionario. In quanto indicatore
dell’andamento medio delle azioni esso rinvia alla determinazione
del loro prezzo (qt), che, in linea con la spiegazione
fondamentalista9, è dato dal valore attuale dei dividendi attesi nei
periodi successivi ( Divte+1 , Divte+ 2 ... ). Usando nel fattore di sconto il
tasso d’interesse corrente a un anno ( i1t ), il tasso d’interesse a un
anno atteso per l’anno successivo ( i1et +1 ), e così via, possiamo
scrivere:
Divte+1
Divte+ 2
qt =
+
+ ...
[3]
1 + i1t (1 + i1t )(1 + i1et +1 )
9
Rimane pur sempre da definire se l’efficienza informativa dei prezzi delle
azioni giunge fino al punto di riflettere tutte le informazioni, pubbliche e private,
passate e presenti (efficienza in senso forte), o solo parte di queste (efficienza
debole e semi-forte). V. E.F. Fama, Efficient Capital Markets: A Review of
Theory and Empirical Work, “Journal of Finance”, n. 2, 1970.
Pur con le riserve che vedremo meglio nel paragrafo 5
(l’informazione non è dispersa uniformemente nei mercati, ma è
raccolta ed elaborata da operatori professionali), la spiegazione
rinvia alle previsioni degli investitori sul futuro livello del tasso
d’interesse (e dunque al comportamento dell’autorità monetaria),
oltre alle attese sui dividendi, condizionati, a loro volta,
dall’andamento generale dell’economia.
Non dipendente dalle condizioni dei mercati finanziari ma, come
vedremo meglio nel prossimo paragrafo, a questi intimamente
collegato è anche l’ultima grandezza alla quale faremo riferimento,
il tasso d’inflazione. Il tasso a cui aumenta il livello generale dei
.
prezzi ( Pt ) risente delle aspettative degli operatori sullo stesso
.
aumento ( Pte ), come ricaviamo dalla già citata espressione di
Phillips:
.
.
1
[4]
Pt = − (U − U N ) + Pt e
λ
dove U e UN sono il tasso di disoccupazione, rispettivamente,
effettivo e naturale, mentre il parametro λ indica la reattività di U
all’errore di previsione circa la dinamica dei prezzi.
.
.
Il legame tra Pt e Pte può essere riguardato anche in una diversa
prospettiva: imprese dotate di potere di mercato adeguano i propri
listini alla dinamica prevista nei costi di produzione, ivi compresi i
salari, la cui contrattazione risente delle attese dei sindacati circa la
dinamica dei prezzi. E’ pur vero però che è in base al livello atteso
dei prezzi che gli agenti formulano le loro previsioni sul
comportamento futuro della banca centrale10.
.
.
La relazione P → M è derivata dall’identità degli scambi di Fisher,
invertendo il legame causale e facendo riferimento a variabili attese.
10
e
e
4. Tipi di rischio e di premio al rischio. Meccanismi di
formulazione delle aspettative. Il problema dell’incoerenza
temporale
Nel paragrafo precedente abbiamo parlato del tasso di
rendimento riferendolo a ogni singola attività finanziaria.
La pluralità di tali tassi può essere ricondotta ad un unico tasso,
propriamente d’interesse, riferito ad un’attività risk-free, dal quale,
come si è già notato, ciascun altro si discosta per le differenti
caratteristiche di rischio e di liquidità. In effetti compito del sistema
finanziario non è solo quello di consentire una valutazione univoca
di ogni attività finanziaria, ma anche quello di definire una struttura
che lega tra loro i diversi tassi di rendimento. In tale prospettiva
definiremo le tipologie di rischio nei confronti delle quali gli
investitori cercano copertura richiedendo un rendimento
addizionale. Il rischio legato al possesso di attività finanziarie
emesse da soggetti, pubblici o privati, appartenenti ad un
determinato paese può essere scomposto in quattro elementi
principali:
• rischio di default legato alla probabilità di insolvenza nel futuro
dell’emittente (se quest’ultimo è lo Stato, il rischio riguarda
l’eventualità che vi sia consolidamento o ripudio del debito
pubblico11);
• rischio di cambio;
• rischio di inflazione;
• rischio Paese.
Il primo riflette le caratteristiche specifiche dell’emittente e,
dunque, l’impiego che viene fatto dei fondi raccolti nonché la sua
esposizione debitoria.
Il secondo esprime l’esposizione rispetto alle oscillazioni dei
prezzi delle valute, per cui riguarda il termine
c
e
t + n
c
− c
t
t
visto in precedenza.
11
Il rischio potrebbe riguardare l’introduzione nel futuro di controlli sui
movimenti di capitali.
Il terzo si riferisce alla dinamica prevista dei prezzi nei suoi
riflessi sul potere d’acquisto della moneta. A tale proposito, in base
all’equazione di Fisher si ha che il tasso d’interesse nominale ( i ) è
pari al tasso d’interesse reale (ir) − che riflette nell’ottica
neoclassica la parsimonia e la produttività del capitale, fattori
convenzionali nell’ottica keynesiana, come diremo nel prossimo
paragrafo − più il tasso di variazione atteso dei prezzi ( P
.
e
t
):
.
[5]
i = ir + P e
Un risultato importante che ricaviamo dall’ultima espressione è
che, se l’inflazione futura è anticipata, i tassi nominali sono adattati
già nel periodo corrente. In presenza di aggiustamenti imperfetti e
ritardi per carenza di informazioni, invece, si verificano fenomeni
ciclici; nel corso dei cicli si producono variazioni dei profitti che si
riflettono sulla domanda di credito e, tramite la spesa di
investimento, sulla domanda aggregata; nella fase transitoria sono
riconoscibili fenomeni di overshooting che accentuano l’andamento
ciclico12. Il quarto fattore di rischio è connesso da un lato a squilibri
correnti o emergenti di tipo macroeconomico che incidono sul
valore atteso dei titoli, dall’altro alla reputazione delle autorità di
politica economica.
L’accenno più volte fatto al ruolo delle aspettative impone di
definire in modo preciso il meccanismo attraverso il quale esse
vengono formulate13.
La previsione sul valore futuro di una determinata grandezza
rinvia a:
• l’andamento fatto registrare in passato dalla stessa, nel caso di
aspettative “estrapolative”;
• l’andamento passato della grandezza stessa rivisto però in modo
da correggere l’errore di stima commesso, nel caso di aspettative
“adattive”;
12
Il meccanismo descritto ha evidenti punti di contatto con l’analisi contenuta in
K. Wicksell, Lectures on Political Economy, London, Routledge & Sons 1935 (Ia
ed. 1906), 1935.
13
Nel paragrafo 5 l’esame delle aspettative sarà ripreso e completato.
• la distribuzione di probabilità condizionata al set informativo a
disposizione del soggetto, che viene da lui utilizzato in modo
ottimale in una previsione che in media è corretta, nel caso di
aspettative “razionali”.
E’ diventato usuale nelle analisi più recenti far riferimento a
quest’ultimo meccanismo da cui si fa discendere una conclusione di
inefficacia della politica economica14.
Comportamenti prevedibili dei policy makers sono
correttamente anticipati dagli operatori privati che, adeguando
immediatamente i propri comportamenti, determinano la
convergenza del sistema economico ad un equilibrio che viene
definito “naturale” in quanto libero da interferenze esterne.
L’idea della censura dei mercati nei confronti di comportamenti
irrazionali dei governi e della inutilità/dannosità dell’attivismo dei
poteri pubblici trova in questo tipo di impostazione il proprio
fondamento teorico.
Non è la sede questa per discutere analiticamente di questo
approccio; non è improprio però sottoporre ad un esame logico
alcune proposizioni e conclusioni.
Certamente opportuna è l’attenzione portata per gli aspetti
informativi che intervengono nella definizione del comportamento
degli agenti, come pertinente è la critica di Lucas rispetto
all’assunzione, che si compie nei modelli tradizionali di politica
economica, di invarianza dei parametri e di indipendenza degli
stessi dagli interventi attuati o in via di definizione da parte dei
poteri pubblici15. L’azione dei governi è rilevante “nel bene e nel
male” perché interagisce in modo strettissimo con quella dei
mercati (del settore privato). In un sistema economico a decisioni
decentrate, decisioni che devono essere prese in condizioni di
incertezza in senso forte, non riducibile a rischio probabilistico, gli
14
E’ questa l’essenza della cosiddetta “critica di Lucas” se si ammette che in
assenza di disturbi, il livello di attività economica è completamente determinato
dalle scelte razionali degli agenti economici, l’unico modo in cui le politiche
economiche possono risultare efficaci è quello di “ingannare” gli agenti stessi
falsandone i calcoli ottimizzanti. R.E. Lucas, Econometric Policy Evaluation: A
Critique, in K. Brunner e A.H. Metzler (a cura di), “The Phillips Curve and
Labor Markets”, Carnagie-Rochester Conference Series on Public Policy, vol. I,
Amsterdam, North Holland, 1976.
15
Su questa questione si è già insistito nel paragrafo 2.
operatori traggono dal comportamento dei governi informazioni
importanti e irrinunciabili.
Tutto ciò sottolinea il problema della credibilità dell’azione
pubblica, credibilità che è riferita non solo al breve periodo, ma
all’intera durata nella quale gli effetti dell’azione hanno modo di
esplicarsi. E’ con riferimento all’ultima specificazione che
possiamo porre in modo corretto il problema dell’incoerenza
temporale16. In presenza di agenti dotati di aspettative “forward
looking” le decisioni del policy maker non possono essere
simultaneamente ottime e temporalmente coerenti.
Allorché si manifesta un conflitto tra gli obiettivi dell’operatore
pubblico e quelli dell’operatore privato, il risultato sarà
temporalmente incoerente perché i governi sono indotti ad
abbandonare la politica annunciata ex ante in modo da cogliere di
sorpresa il settore privato e massimizzare la propria soddisfazione;
sub-ottimale perché gli agenti privati, non ritenendo credibile
l’annuncio del piano fatto ex ante dalle autorità, per evitare i suoi
effetti distorsivi, compiono scelte che risultano negative a livello di
sistema.
E’ questa la logica per cui a parità di disoccupazione si tenderà
ad avere una maggiore inflazione (dunque un risultato subottimale): i privati, da cui dipende l’inflazione attesa, non riterranno
credibile l’annuncio delle autorità di voler deflazionare l’economia
per conseguire un tasso d’inflazione nullo perché scontano
l’incentivo che le stesse autorità hanno di provocare un aumento
inatteso dei prezzi per ridurre il salario reale e aumentare così il
reddito e l’occupazione.
L’equilibrio temporalmente coerente sarà del tipo non
cooperativo di Nash (e non Pareto ottimale) perché solo in tale
situazione ogni giocatore, anche qualora fosse in grado di conoscere
con certezza le decisioni dell’altro, non avrebbe motivo di
modificare le proprie. La soluzione paretiana può essere conseguita
solo se i policy makers si creano in qualche modo una
“reputazione”, nel caso ipotizzato non inflazionistica, la cui perdita
avesse un costo maggiore di quello associato alla tentazione di
annunciare una regola (autoimporsi vincoli istituzionali – regole
16
V. F.E Kydland. e E.C. Prescott, Rules Rather than Discretion: The
Inconsistency of Optimal Plans, “Journal of Political Economy”, n. 85, 1977.
monetarie, costituzioni fiscali − in modo da “legarsi le mani”) e
successivamente deviare da essa.
Anche in questo caso, come già rilevato a proposito dell’ipotesi
di aspettative razionali, la “strumentalizzazione” porta a conclusioni
errate: non è detto che la politica economica discrezionale debba
essere abbandonata a vantaggio di regole irrevocabili; è vero però
che l’azione dei poteri pubblici, per imporsi, deve acquisire e
mantenere credibilità nel tempo.
5. Avvenimenti previsti ed eventi inattesi: l’azione della
speculazione e le bolle speculative. L’autorealizzazione delle
aspettative
L’ambiente stocastico (dunque non deterministico) nel quale
vengono assunte le decisioni del settore pubblico e di quello privato
impone di distinguere tra avvenimenti previsti ed eventi inattesi. Sui
primi l’analisi teorica si è a lungo soffermata anche se, come si è
visto prima, sbilanciando molto il discorso nel senso di riconoscere
pieno controllo delle aspettative da parte di privati con un
comportamento di tipo “forward looking”. In realtà i governi sono
in grado di svolgere una funzione importantissima di stabilizzazione
delle aspettative del settore privato a patto che abbiano un
comportamento proiettato verso il futuro. Minore attenzione viene
in genere dedicata agli eventi inattesi che colgono di sorpresa gli
operatori inducendoli a commettere errori di previsione. Possiamo
associare a questi una condizione di incertezza in senso forte,
irriducibile, come già detto, ad un possibile calcolo di tipo
probabilistico come avviene nei confronti del rischio.
La condizione di incertezza rende i soggetti incapaci non solo di
prevedere in modo accurato ciò che accadrà in futuro, ma anche di
conoscere in modo corretto le decisioni che gli altri stanno
assumendo nel presente17.
Questa condizione si verifica in primo luogo sui mercati
finanziari dove, come ci ricorda Keynes con gli esempi del
concorso di bellezza (dove vince chi più si avvicina con la sua
scelta alla media tra le risposte di tutti i concorrenti) o di giochi di
società (dove vince chi riesce a passare al momento giusto al vicino
il “cerino acceso”), ogni investitore cerca di interpretare in anticipo
17
J.M. Keynes, Treatise on Probability, London, Macmillan, 1921.
il sentimento del mercato sui migliori investimenti in modo da
“battere sul tempo” gli altri, evitando di trovarli, nel momento in cui
l’informazione si diffonde, interessati ad effettuare la transazione
nella stessa direzione18. Se l’obiettivo degli operatori professionali è
quello di “indovinare meglio della folla come la folla stessa si
comporterà” e se i mercati finanziari sono dominati dalla liquidità
dell’investimento, quello che conta è la “base convenzionale di
valutazione” dell’investimento stesso o meglio le sue variazioni19.
E’ connaturato ai mercati finanziari la formazione di “bolle
speculative” che prescindono dai rendimenti prospettici di un
investimento: le ondate di ottimismo e di pessimismo, pur
irragionevoli, sono razionali “qualora non esista alcuna base solida
per un calcolo ragionevole”. Da ciò discende che è insito nelle
aspettative che gli operatori formulano sui mercati, in primo luogo
finanziari, un meccanismo di autorealizzazione. Se un “grado di
convinzione” è razionale, è condiviso da tutti i soggetti che si
trovino nelle stesse circostanze e abbiano la stessa informazione.
Tale conclusione non è contraddetta dalla possibile esistenza di
asimmetrie informative tra operatori più o meno informati.
L’esistenza di costi per l’acquisizione delle informazioni,
crescente in relazione alla sempre maggiore complessità dei
mercati, rende prevalenti comportamenti imitativi da parte degli
investitori “non informati” del portafoglio di riferimento di mercato
in quanto espressione di tutta l’informazione disponibile presso gli
operatori “informati”20.
Non discende da questo genere di analisi, come a prima vista
potrebbe apparire, la conclusione che vi è un primato dei mercati sui
governi.
18
J.M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money,
London, Macmillan, 1936.
19
La base convenzionale viene riconosciuta da Keynes anche per quanto
riguarda il livello del tasso d’interesse reale. Sono i giudizi degli investitori che
determinano i “fondamentali” e anche i comportamenti delle autorità.
20
V. G.A. Calvo e E.G. Mendoza, Rational Contagion and the Globalization of
Securities Markets, “NBER W.P.”, n. 6850, 1999. Comportamenti imitativi del
portafoglio di mercato si riscontrano anche presso gli operatori più informati e
sono prodotti dalla pratica diffusa per cui la remunerazione dei gestori di ampi
portafogli, come i fondi di investimento, dipende da un rendimento di
riferimento (benchmarking rule).
Il ruolo di questi ultimi è infatti fondamentale nell’affermazione
di una convenzione e nel definire il grado di convinzione che è
razionale assumere in date condizioni.
Ciò accade però nei due sensi, per cui un’azione pubblica
credibile è in grado di orientare i privati e favorire la convergenza
delle decisioni individuali nella direzione auspicata dai governi;
all’opposto interventi pubblici incoerenti rendono precarie le basi
della conoscenza sui mercati e tendono ad affermare giochi non
cooperativi tra i due soggetti.
6. Market sentiment e market polarization
“Le modalità con cui gli operatori decodificano le informazioni
della politica, dell’economia e dei mercati possono essere utilmente
analizzate con le concettualizzazioni della teoria della
comunicazione”21: l’analisi dei fenomeni comunicativi e dei metodi
interpretativi è decisiva per capire il processo attraverso il quale
l’informazione primaria viene raccolta, selezionata, decodificata,
elaborata ed infine utilizzata per le decisioni dagli operatori22.
L’azione per esplicarsi presuppone tutta una serie di fasi
preliminari nelle quali gli operatori sono impegnati
nell’acquisizione e trasformazione delle informazioni economiche,
politiche e finanziarie da utilizzare come guida operativa (lo schema
concettuale è sintetizzato nella Figura 1).
Nella fase di “selezione” dell’informazione si inserisce il clima
dei mercati (market sentiment) che può condurre ad una diversa
interpretazione degli stessi eventi (valutazione dei tipi di rischio - di
default, di cambio, di inflazione - ; valutazione delle prospettive
degli utili aziendali e delle prospettive di crescita dell’economia;
21
V. M. Tivegna e G. Chiofi, News e dinamica dei tassi di cambio, Bologna, Il
Mulino, 2000, 238. Gli autori rinviano a due lavori seminali, l’uno matematico
l’altro semiotico a forte contenuto interdisciplinare: C.E. Shannon e W. Weaver,
The Mathematical Theory of Communication, Urbana, University of Illinois
Press, 1949 e U. Eco, P. Fabbri, P. Giglioli, F. Lumach, T. Seppilli e G. Tinacci
Mannelli G. , Prima proposta per un modello interdisciplinare sul rapporto
televisione-pubblico, Perugia, Istituto di Etnologia e Antropologia culturale,
mimeo, 1965.
22
Sugli aspetti informativi e comunicativi si insiste molto anche in G. Nardozzi,
The Relevance of Keynes’s Thought on Financial Markets, in G. Gandolfo e F.
Marzano (a cura di), “Economic Theory and Social Justice”, London, Macmillan,
1998.
previsione sul livello futuro del tasso d’interesse e dunque del
comportamento della banca centrale).
Se generalmente il clima dei mercati è la risultante di valutazioni
di segno diverso dei diversi operatori presenti sul mercato, talora si
manifesta una uniformità di interpretazione (market polarization).
I due fenomeni possono manifestarsi, oltre che nella fase di
selezione dell’informazione, direttamente nell’azione degli
operatori finanziari che, anche per effetto delle spinte speculative,
possono condurre a movimenti monotoni dei prezzi in un senso o
nell’altro e alla formazione e crescita di bolle e alla loro successiva
esplosione.
fig. 1 − Uno schema dei processi comunicativo-comportamentali sui
mercati finanziari
Acquisizione
• Documenti
ufficiali (ad es.
Considerazioni
finali del
governatore di
Bankitalia,
Documento di
programmazione
del ministro del
Tesoro)
• Notizie
programmate
(ad es. dati
congiunturali
pubblicati dagli
uffici statistici)
• Notizie non
programmate
(ad es.
dichiarazioni dei
policy maker)
• Mercati
(prezzi)
• Rumore
(disturbi
stocastici)
Informazione
Organizzazione
Processi di
selezione
• Agenzie di
stampa
specializzate
• Strutture di
analisi e ricerca,
di supporto
all’attività degli
operatori
• Grandi
quotidiani
economicofinanziari
• Analisi
fondamentale
• Fornitori
specializzati di
informazione agli
operatori
finanziari
Azione
Output
informativo
• Documenti
interni delle
istituzioni
finanziarie
• Pubblicazioni
• Analisi tecnica delle istituzioni
finanziarie per
la clientela
• Decodifica del
contesto politico
• Interpretazione
del segnale
depurato dal
rumore
Fonte: adattato da Tivegna e Chiofi
• Domanda
di attività
(reali e
finanziarie)
7. Il circolo vizioso riferito alle grandezze di finanza pubblica e i
pericoli di dissesto finanziario
Gli strumenti analitici di cui ci siamo dotati finora ci consentono
di iniziare a porre le vicende dell’economia italiana nel biennio
1994-96 nella giusta prospettiva districandosi tra la miriade di fatti e
di loro interpretazioni.
L’economia italiana, uscita dalla spirale salari-prezzisvalutazione che l’aveva avvinghiata nel corso degli anni ’70,
sperimenta nel decennio successivo un nuovo circolo vizioso
riferito però alle grandezze di finanza pubblica, spesa per interessideficit-debito pubblico. La crescita degli oneri finanziari sostiene il
deficit pubblico alimentando la crescita dello stock di debito e
facendo schizzare verso l’alto i premi al rischio di default, di
cambio, di inflazione pretesi dagli operatori per detenere titoli
nazionali, tra cui i titoli pubblici indispensabili per finanziare i
deficit.
Al deficit pubblico si associa il “gemello” deficit estero: il
peggioramento del tasso di cambio reale (prodotto dalla relativa
stabilità del cambio nominale, imposto dalla seconda fase dello Sme
e in prospettiva dal progetto di Unione monetaria, e dal permanere
del differenziale inflazionistico con i partner europei), e quindi la
perdita di competitività, determina uno squilibrio della bilancia
delle partite correnti, compensato con un avanzo dei movimenti di
capitale grazie agli alti tassi d’interesse, in un equilibrio sempre più
precario dato il progressivo accumulo di debito estero e le tensioni
sui cambi. Non è la sede questa per approfondire il tema, che è stato
del resto sviscerato a sufficienza nel nostro volume precedente23,
alla ricerca delle cause più o meno remote dell’esplodere della crisi
finanziaria, valutaria e politico-istituzionale e, successivamente,
dell’avvio dell’azione di risanamento, avvenimenti tutti concentrati
nel biennio 1992-94.
23
V. Atripaldi, G. Garofalo, C. Gnesutta e P.F. Lotito (a cura di), Governi ed
economia. La transizione istituzionale nella XI legislatura, Padova, Cedam,
1998.
tab. 1 – Indicatori sintetici dell’economia italiana
Tassi d’interesse
sui titoli pubblici a
5 anni:
differenziale ItaliaGermania
Spesa pubblica in
conto interessi (in
% del Pil)
Reddito reale
annuale a
disposizione delle
famiglie (milioni
di £ 1990)
Indice Comit:
valori di
riferimento1
Prezzi al consumo:
differenziale Italiamedia UE
Livello degli ordini
e della domanda
nell’industria: saldo
tra risposte positive
e negative (Isco)
Tassi di cambio
reali della lira (nei
confronti dei paesi
UE) basati sui
prezzi alla
produzione dei
manufatti (1993 =
100)
Investimenti di
portafoglio
dell’estero in Italia:
saldo in miliardi di
£
Investimenti di
portafoglio italiani
all’estero: saldo in
miliardi di £
1992
1993
1994
1995
1996
1997
5,683
4,888
4,210
6,040
3,756
0,969
11,60
12,30
10,90
11,30
10,38
9,49
53,88
51,61
50,84
50,28
50,58
50,28
16-09-92
354,93
23-07-93
550,17
22-12-94
627,3
16-01-95
666,9
(+5,08)
21-0496
645,81
28-10-97
881,4
(- 8,12)
0,8
0,8
1,1
2,3
1,5
0,1
- 32,0
- 35,6
- 6,9
1,4
- 22,7
- 8,5
112,5
100
98,1
91,8
102,1
103,4
28681
103390
43871
61490
125349
119428
- 27393
10095
- 52135
- 11865
- 52143
- 112528
Nota: I valori dell’indice Comit si riferiscono alle seguenti giornate: 16-09-92 la
lira esce dallo Sme; 23-07-93 suicidio di Raul Gardini; 22-12-94 dimissioni del
governo Berlusconi; 16-01-95 insediamento del governo Dini; 21-04-96 elezioni
politiche; 28-10-97 la crisi asiatica scuote Wall Street e poi l’Europa. Tra
parentesi, ove significativa, la variazione dell’indice rispetto alla giornata
precedente.
Fonte: elaborazioni su dati Bankitalia, Datastream.
Quel che interessa in questa occasione studiare è la nuova
rottura, nel corso dei governi Berlusconi e Dini, del clima di fiducia
appena ritrovata con difficoltà, fiducia minata dalla mancata
correzione strutturale delle grandezze di finanza pubblica e dal
riprodursi di quella instabilità politico-istituzionale che tanto danno
aveva provocato in precedenza.
I principali dati economico-finanziari di riferimento sono
sintetizzati nella Tabella 1, dove i risultati nel biennio studiato sono
comparati con quello precedente e successivo. Gli indicatori scelti
sono: il differenziale Italia-Germania nei tassi d’interesse sui titoli
pubblici a cinque anni; l’incidenza sul Pil della spesa pubblica in
conto interessi; il reddito reale annuale a disposizione delle
famiglie; l’indice Comit della borsa italiana; il differenziale Italiamedia UE nei prezzi al consumo; il livello degli ordini e della
domanda nell’industria risultante dall’indagine congiunturale
dell’Isco (dal 1999 Isae); i tassi di cambio reali della lira nei
confronti dei paesi UE, tratti sulla base dei prezzi alla produzione
dei manufatti; gli investimenti di portafoglio dell’estero in Italia; gli
investimenti di portafoglio italiani all’estero. Avremo modo nel
paragrafo 8 di ritornare sul significato di questi dati.
Riprendendo la descrizione dello scenario di fondo è opportuno
ricordare come l’ombra della crisi finanziaria torni pericolosamente
ad allungarsi sull’economia italiana in contemporanea con eventi
internazionali: l’esplodere, nei primi mesi del 1995, della crisi
messicana (la cosiddetta Tequila crisis) e il rialzo dei tassi
d’interesse. Il riferimento al contesto internazionale richiama un
aspetto centrale: il peso crescente sui mercati internazionali dei
flussi finanziari rispetto a quelli reali. Indicatori al riguardo sono
dati da due rapporti: quello tra le transazioni che si svolgono
giornalmente sui mercati valutari e le esportazioni mondiali; quello
tra le stesse transazioni valutarie e lo stock mondiale delle riserve
ufficiali in valute convertibili (si veda la Tabella 2). I confronti sono
riferiti a due date significative: 1985, in coincidenza con gli accordi
del Plaza che posero fine all’ascesa del dollaro24, e 1995, nel pieno
del periodo oggetto d’indagine e a ridosso della crisi dello Sme del
24
Il cambio medio del dollaro con il marco passò da 2,94 nel 1985 a 1,53 agli
inizi del 1991. In cinque anni la Fed operò acquisti netti di marchi e yen per circa
7 miliardi di dollari. Sensibilmente più contenuti furono gli interventi della
Bundesbank. Nel complesso l’operazione ebbe successo con un costo accettabile.
settembre 199225. Per memoria si riportano anche i dati riferiti al
2000.
In quindici anni, pur non essendo cambiate le regole del gioco,
che vedono gli operatori privati presenti sui mercati periodicamente
alla ricerca degli “anelli deboli”, gli equilibri mostrano una
crescente precarietà, che è tanto più intensa quanto meno credibili
sono gli interventi dei governi.
tab. 2 – Transazioni valutarie, esportazioni e riserve valutarie
(miliardi di $ e rapporti percentuali)
1985
1995
2000
(A) Transazioni giornaliere sui mercati
valutari
(B) Esportazioni mondiali annue
200
1200
1900
2700
6200
7500
(C) Riserve valutarie mondiali (stock)
450
900
1300
Rapporto A/B
7,4
19,4
25,3
Rapporto A/C
44,4
133,3
146,2
Fonte: elaborazioni su dati FMI, BRI, Bankitalia
8. Il costo della non credibilità: tipi di costo nel breve e nel lungo
periodo; il costo del recupero di credibilità
L’azione pubblica non credibile spinge gli operatori privati a
ritirare la loro fiducia; affermandosi un clima di incertezza, essi
cercano protezione aumentando i premi al rischio; gli aumenti sono
generalmente tanto maggiori quanto meno liquide sono le attività
finanziarie. Cresce in tal senso il differenziale nei tassi d’interesse
tra titoli nazionali ed esteri. La perdita di credibilità si riflette sulle
aspettative relative ai valori azionari, al deprezzamento della
moneta nazionale rispetto alle valute estere, al mantenimento del
potere d’acquisto della moneta nazionale all’interno del paese. Il
mutamento delle valutazioni trova conferma nei valori effettivi delle
grandezze alimentando una rincorsa tra le prime e i secondi.
25
In questo caso gli interventi delle banche centrali non ebbero successo. In
quattro mesi furono bruciate inutilmente riserve per oltre 40 miliardi di dollari.
I costi che si riversano sul sistema economico sono immediati e
risultano difficilmente assorbibili proprio perché le previsioni sono
corrette inducendo gli operatori a confermarle in maniera sempre
più radicale. Non meno pesanti sono però i costi dilazionati che il
sistema economico deve sopportare, sia direttamente per le risorse
che devono essere destinate all’azione di risanamento, sia
indirettamente perché tali risorse sono sottratte anche ad impegni
rilevanti per le prospettive di crescita (la spesa di investimento e
l’accumulazione del capitale, fisico ed umano). Il primo è un costo
contabile (le manovre previste dalla legge finanziaria), il secondo,
non meno rilevante, è un costo opportunità perché si riferisce ad
alternative a cui si rinuncia.
Un’ulteriore voce di costo da valutare è riferita al recupero di
credibilità che i governi devono guadagnarsi nuovamente per uscire
dalla spirale perversa e riportare il sistema economico sul sentiero
di sviluppo. Anche in questa caso la valutazione è più economica e
politica che contabile. Tale azione di recupero va valutata non solo
nei confronti dei mercati (gli investitori domestici e quelli stranieri)
e dei cittadini, ma anche rispetto ai paesi con i quali si hanno
rapporti di partnership e nei confronti dei quali si sono assunti
impegni.
La perdita di credibilità è molto più rapida a determinarsi di
quanto sia il tempo necessario per recuperarla. Il costo del recupero
di credibilità è tanto più alto quanto più profondi sono i motivi
strutturali che hanno determinato l’insorgenza della non credibilità e
ripetute sono le occasioni nelle quali l’azione pubblica è risultata
incoerente e distorsiva. Per riconquistare la fiducia dei mercati, dei
cittadini, dei partner, delle agenzie di rating, i governi possono
essere costretti ad “alzare il prezzo” mostrando una severità
maggiore del dovuto.
Con riferimento specifico al caso oggetto di studio, possiamo
ricordare a questo proposito l’esperienza della manovra di circa
65.000 miliardi di lire attuata dal governo Prodi nel periodo
immediatamente successivo a quello analizzato nel presente volume
(nel settembre 1996), raddoppiando, sotto l’impellenza della
scadenza della seconda fase dell’Unione monetaria, l’importo
fissato tre mesi prima: una manovra che è seconda per entità
soltanto a quella di 93.000 miliardi di lire prevista, nel pieno della
crisi del 1992, dal governo Amato.
9. Metodologie di analisi e risultati di alcune verifiche empiriche
Abbiamo utilizzato un approccio analitico con lo scopo di dare
solidità concettuale a categorie sfuggenti come credibilità/non
credibilità. Lo studio condotto ci consente ora di procedere alla
verifica di alcune evidenze empiriche. Quanto faremo nel presente
paragrafo è di riprendere alcuni studi per quantificare i costi che
l’economia italiana ha sopportato, nel biennio 1994-96, per
fronteggiare una situazione di rinnovata instabilità politicoistituzionale ed economica.
Avendo all’epoca gran peso il tasso di cambio lira-marco, faremo
riferimento innanzitutto a tale grandezza. Nella sua analisi26
Tivegna utilizza come previsore del cambio della lira nei confronti
del marco (lire per un marco) il cambio del marco contro il dollaro
(marchi per un dollaro), dato l’adeguamento alla moneta americana
mostrato dalle monete europee soggette alla leadership della moneta
tedesca: tale regolarità, ampiamente verificata nel periodo di
fluttuazione della lira, è anticipato dagli operatori presenti sui
mercati finanziari e valutari nelle loro previsioni. In tale contesto
annunci relativi all’andamento dell’economia italiana e al
comportamento dei policy makers su finanza pubblica, inflazione,
attività economica, tassi di interesse, orientamenti di politica
economica tout court, e agli episodi di micro e macro conflittualità
politica (il cosiddetto “rumore politico”) si configurano come eventi
inattesi, news, che fanno mutare in modo discontinuo il cambio da
quello fondamentale sopra definito. Tali news sono elaborate dagli
operatori di mercato sulla base di modelli economici di riferimento
per la determinazione dei cambi27.
26
M. Tivegna, News politiche ed economiche nelle fluttuazioni della lira,
"Rivista di politica economica", nov.- dic. 1996.
27
Una schematizzazione grossolana porta a distinguere tra modelli tradizionali e
modelli dell’asset approach (questi ultimi riconoscono un ruolo fondamentale
alle aspettative circa il futuro andamento del cambio) e, nell’ambito dei primi, tra
modelli basati sulle “parità internazionali” (parità dei poteri d’acquisto o parità
scoperta dei tassi d’interesse) e modelli di flusso (il cosiddetto approccio
elasticità) o di bilancia dei pagamenti (schema di Mundell-Fleming), nell’ambito
dei secondi, tra modelli monetari e modelli di portafoglio (tra questi ultimi,
appunto, quelli con news).
In termini semplificati il cambio è pari a:
[6]
£ / DM = a + bDM / $ + cnews + ε
dove l’attesa sul segno dei parametri, confermata dai risultati, è: a
≤ 0 (la significatività delle stime è convalidata da un valore di a
prossimo a zero), b < 0 (all’epoca “la lira era forte rispetto al marco
quando lo era anche il dollaro”), c > 0, mentre le news sono sia
economiche sia politiche, e dunque sia quantitative sia qualitative.
Come base di riferimento per le rilevazioni sulle news qualitative
Tivegna28 utilizza le prime due pagine del principale quotidiano
economico italiano, “Il Sole 24 ore”. Di tipo economico sono quelle
relative a due variabili del modello: FP annunci sulla finanza
pubblica e sui tassi d'interesse; PC annunci sull’inflazione.
Gli episodi di tipo strettamente politico-istituzionale sono,
invece, raggruppati in otto famiglie: VE risultati elettorali (politiche,
europee, regionali, comunali, provinciali e referendarie), CP
conflitti nel Polo delle libertà, CI conflitti in materia istituzionale,
CR vicende giudiziarie del presidente del Consiglio Berlusconi e di
suo fratello, CG vicende di politica e cronaca giudiziaria, MA azioni
del guardasigilli Mancuso, GD azione di politica economica del
governo Dini (manovra bis, riforma pensionistica, Legge finanziaria
1996) con l’altalenante atteggiamento del Polo, SC episodi
distensivi Polo-Ulivo (in merito al cosiddetto tavolo delle regole).
I risultati della stima econometrica dei coefficienti del modello,
basata sul metodo dei minimi quadrati, dimostrano che tra le
variabili il peso maggiore lo hanno avuto: nel periodo Berlusconi i
28
La letteratura che viene presa a riferimento comprende T. Ito e V.V. Roley ,
News from the US and Japan. Which Moves the Yen/Dollar Exchange Rate?,
“Journal of Monetary Economics”, n. 19, 1987, M.K. Deravi, P. Gregorowicz e
C.E. Hegji, Balance of Trade Announcements and Movements in Exchange
Rates, “Southern Economic Journal”, n. 55, 1988, G. Hardouvelis, Economic
News, Exchange Rates and Interest Rates, “Journal of International Money and
Finance”, n. 7, 1988, D. Irwin, Trade Deficit Announcements, Interventions and
the Dollar, “Economic Letters”, n. 31, 1989, K. Hogan, M. Melvin e D. Roberts,
Trade Balance News and the Exchange Rate: Is There a Political Signal?,
“Journal of International Money and Finance”, supplement, vol. 10, 1991, L.
Ederington e J. Lee, How Markets Process Information: News Releases and
Volatily, “Journal of Finance”, n. 48, 1993, J. Doukas e S. Lifeland, Exchange
Rates and the Role of the Trade Balance Account, “Managerial Finance”, n. 20,
1994.
conflitti nel Polo (CP) e le vicende di politica e cronaca giudiziaria
(CG); nel periodo Dini l’azione di politica economica del governo e
lo scontro con il Polo (GD), le news sulla finanza pubblica e sui
tassi d’interesse (FP), nonché i conflitti istituzionali con il
presidente della Repubblica (CI).
L’iper-reattività dei mercati legandosi alla conflittualità politica
rendono fortemente volatile la lira, con conseguenze in termini di
eteroschedasticità e quindi di sottostima delle varianze degli
stimatori dei coefficienti. Per ovviare a questo problema Tivegna
utilizza schemi GARCH riuscendo a descrivere il profilo della
volatilità.
Dopo l’euforia per la vittoria elettorale del marzo 1994, i mercati
segnalano con disappunto le polemiche all’interno della
maggioranza. Dopo una diminuzione della volatilità per la
conclusione positiva dei negoziati nel Polo su programma e
distribuzione degli incarichi ministeriali, si ha una sua ripresa per
l’inattesa sentenza della Corte costituzionale sui rimborsi Inps. La
vittoria del Polo alle elezioni europee attenua la volatilità, che
riprende da metà giugno toccando un picco intorno al 12 agosto, per
il forte aumento del tasso di conflittualità politica (polemica sul
decreto Biondi, sostituzione del Consiglio di amministrazione Rai,
temporaneo arresto del fratello del presidente del Consiglio,
polemiche sul conflitto di interessi) e a seguito della decisione della
banca centrale di aumentare il tasso di sconto. Segue una nuova
diminuzione della volatilità, che riprende in novembre con l’avviso
di garanzia a Berlusconi, i risultati delle elezioni comunali, negativi
per la maggioranza di governo, e l’avvio di quello che è stato
polemicamente definito “ribaltone” (la turbolenza sui mercati
esplode l’8 e il 9 dicembre).
La volatilità della lira si accentua nel periodo del governo Dini.
Un minipicco viene raggiunto già a fine gennaio – primi di
febbraio1995 in occasione della fiducia al governo al Senato, in un
periodo di forti tensioni istituzionali tra il Polo e il presidente della
Repubblica. In coincidenza con l’approvazione alla Camera della
manovra bis la volatilità del cambio raggiunge due picchi di uguale
consistenza: il primo episodio è tra il 28 febbraio e il 3 marzo in
coincidenza con il cambiamento di atteggiamento del Polo nei
confronti di detta manovra; il secondo episodio è tra il 14 e il 15
marzo quando il governo, battuto, è costretto a porre la fiducia sulla
manovra di finanza pubblica (si esclude di considerare il venerdì
“nero” 17 marzo allorché la lira subisce in poche ore, senza
apparenti ragioni, un deprezzamento del 5,6% nei confronti del
marco, e i tre giorni lavorativi successivi che segnano un parziale
recupero della lira). Nel periodo immediatamente precedente le
elezioni regionali, che segneranno la sconfitta del Polo, la volatilità
scende ad un minimo, ma torna ad aumentare nel corso del
negoziato tra governo e sindacati sulla riforma pensionistica,
raggiungendo un minipicco il 15 maggio, anche in seguito alle
prime azioni del guardasigilli Mancuso. Il nuovo episodio di forte
volatilità dei primi di giugno si associa al rafforzamento del dollaro
(e di concerto della lira) per interventi coordinati delle banche
centrali del G-3. Le dichiarazioni incaute dell’On. D’Alema e del
ministro delle finanze tedesco Weigel, che mettono in dubbio la
partecipazione dell’Italia al primo gruppo di paesi aderenti all’Ume,
producono piccoli picchi. Più forte è invece la reazione, verso la
fine di ottobre, allorché il ministro Mancuso viene sfiduciato e il
Polo tenta di sfiduciare il presidente Dini nel corso
dell’approvazione della Legge finanziaria. E’ appena il caso di
ricordare che, come emerge anche dalle altre analisi che ci
accingiamo ad esaminare, ad una accentuazione del livello medio di
volatilità del cambio si accompagna un incremento del premio al
rischio preteso dagli operatori per detenere attività denominate nella
moneta nazionale. L’influenza delle aspettative sul meccanismo di
trasmissione della politica monetaria, attraverso gli effetti sui tassi
di cambio e sui tassi d’interesse a lungo termine, viene studiato nel
lavoro di Gaiotti e Nicoletti-Altimari29. Le aspettative sui tassi di
cambio vengono analizzate a partire da una formulazione eclettica,
quella del modello quadrimestrale della Banca d’Italia, che
incorpora sia un meccanismo di tipo estrapolativo basato sui valori
passati della stessa grandezza, sia la condizione di parità nei poteri
d’acquisto riferita ai prezzi dei beni commerciati a livello
internazionale, sia la condizione di parità scoperta dei tassi
d’interesse di cui alla nostra espressione [1]: lo scarto tra il cambio
atteso per il futuro e la previsione formulata nel periodo precedente
è pertanto posto in relazione con lo scarto tra detta previsione e il
cambio spot nel periodo corrente, dei prezzi relativi dei beni
esportati prodotti all’interno e di provenienza estera, del
29
E. Gaiotti e S. Nicoletti-Altimari, Monetary Policy Transmission, the Exchange
Rate and Long-Term Yields under Different Hypotheses on Expectations, "Temi
di discussione", Roma, Banca d'Italia, n. 276, 1996.
differenziale nei tassi d’interesse (domestici e internazionali) a tre
mesi, e di un termine di errore stocastico. I risultati della stima
econometrica, basata sui risultati dell’indagine congiunturale
condotta dall’Isco (dal 1999 Isae) e dalla rivista “Mondo
economico” quantificando le risposte qualitative fornite nei
questionari da un campione di operatori (appartenenti a diversi
settori, dalla finanza al commercio, dall’industria all’accademia),
dimostrano la forte incidenza nella formulazione delle previsioni di
atteggiamenti adattivi, con la conseguenza di rendere molto
persistenti gli shocks che interessano il cambio spot. Si conferma
per il resto l’importanza del differenziale nei tassi d’interesse
dovuta al crescente peso degli investimenti di portafoglio nel
determinare i flussi di domanda-offerta di valuta estera. Dal
confronto tra i dati effettivi e quelli previsti dagli operatori
sull’andamento del cambio lira-marco si evince peraltro un margine
di errore molto accentuato a partire dalla metà del 1992 e fino a
tutto il 1995.
Manovre nei tassi d’interesse controllati dall’autorità monetaria,
contrariamente a quanto si può prevedere in base al cosiddetto
effetto liquidità (che vede un collegamento tra tassi ufficiali e tassi a
breve), influenzano le aspettative inflazionistiche e per questa via,
in base all’equazione di Fisher (si veda l’espressione [5] riportata in
precedenza), i tassi d’interesse a lungo termine30. Ne segue che
incrementi nei tassi di policy che rendano credibile la previsione di
una stabilizzazione dell’inflazione, possono non influenzare i tassi
d’interesse a lungo termine o, addirittura, ridurli. Questo risultato,
convenzionale se si assume l’ipotesi di aspettative razionali, nello
studio di Gaiotti e Nicoletti-Altimari viene ottenuto a partire da una
formulazione delle aspettative inflazionistiche sufficientemente
generale in linea con la forma ridotta del modello quadrimestrale
della Banca d’Italia31 e utilizzando le aspettative osservate nelle
30
Questi risultati sono ottenuti anche per altri paesi europei in J. Fell, The Role
of Short Rates and Foreign Long Rates in the Determination of Long Term
Interest Rates, Eeuropean Monetary Institute, Staff Papers, n. 4, 1996.
31
Le aspettative inflazionistiche sono poste in relazione con il tasso di cambio, il
tasso d’inflazione all’estero (più in particolare il tasso di variazione dei prezzi dei
manufatti dei quattordici principali partners commerciali dell’Italia, pesati in
base alle nostre importazioni), il tasso di incremento dei prezzi dell’energia, e la
pressione della domanda così come espressa dal tasso di disoccupazione e dal
tasso di utilizzo della capacità produttiva. Le aspettative incorporano un
meccanismo di adeguamento all’errore commesso nel periodo precedente.
indagini campionarie. Un incremento nei tassi di policy può indurre
un apprezzamento del cambio e, attraverso una catena causale che
coinvolge i prezzi delle merci importate e i prezzi delle merci
prodotte internamente esposte alla concorrenza internazionale, una
più bassa crescita dei prezzi al consumo L’impatto stimato della
politica monetaria sulle aspettative inflazionistiche è sostanziale: un
incremento nel tasso ufficiale di sconto di 100 punti base riduce le
aspettative inflazionistiche di circa 0,4 punti percentuali su base
annua. Dal confronto tra i dati effettivi e quelli previsti dagli
operatori riguardo all’inflazione si evince peraltro un margine di
errore molto ridotto nella stima della grandezza nel periodo 199495. Da ultimo, simulando in alcuni esercizi gli effetti di shocks
monetari (in particolare una riduzione permanente del target
inflazionistico di un punto percentuale su base annua) in presenza di
aspettative stimate in base alle indagini Isco-ME e confrontandoli
con quelli ottenuti sotto l’ipotesi di aspettative razionali, gli autori
dimostrano come il fatto che la velocità di aggiustamento ad
un’inflazione più bassa sia inferiore comporta costi maggiori e più
prolungati in termini di riduzione dell’output rispetto al trend.
La conclusione dello studio è che la politica monetaria può
sfruttare il circolo virtuoso prima evidenziato aumento dei tassi di
policy ⇒ miglioramento del tasso di cambio ⇒ riduzione delle
aspettative inflazionistiche ⇒ riduzione del tasso d’interesse a
lungo termine, conseguendo apprezzamento della moneta e più
bassa inflazione. Contemporaneamente però l’economia si mostra
più vulnerabile a fattori di disturbo esterni e in particolare a shocks
al premio al rischio sui titoli nazionali, che possono agire
negativamente sui tassi a lungo termine, sul tasso di cambio e sui
prezzi al consumo.
Nel lavoro di Baldassarri, Malgarini e Valente32 vengono
proposte due misure del valore della “non credibilità” della politica
economica e dei ritardi nei tempi delle decisioni di risanamento
attuate dai policy makers. La prima quantifica la credibilità
attraverso il differenziale tra i tassi d’interesse Italia-Germania (data
l’esistenza di una struttura di tassi articolata rispetto non solo alle
scadenze ma anche alle tipologie di strumenti finanziari, si fa
riferimento all’intera struttura a termine dei differenziali), dato un
32
M. Baldassarri, M. Malgarini e G. Valente, Il secondo miracolo possibile,
Milano, Il Sole24 ore, 1999.
modello Var con switch markoviani; la seconda invece utilizza le
cosiddette simulazioni controfattuali33 sulla scorta di modelli
econometrici dell’intera economia (nel caso specifico quello del
Centro studi di Confindustria).
Con riferimento alla prima metodologia34 vengono individuati
due regimi o stati di natura: uno con bassi differenziali dei tassi
d’interesse, a denotare un’alta credibilità da parte del mercato nei
confronti dell’Italia (lo si designa con il pedice 0); uno con alti
differenziali e bassa credibilità (il pedice è in questo caso 1).
La scomposizione del differenziale tra i Btp e i Bund a cinque
anni tra il 1991 e il 1997 dimostra che il 77% del maggior tasso
d’interesse richiesto dal mercato in relazione alla sottoscrizione di
titoli denominati in lire emessi dal governo italiano è dovuto alla
copertura di un’eventuale crisi finanziaria dell’emittente35; il valore
di tale premio al rischio, partendo da una media dell’1% prima della
crisi del 1992, tocca punte superiori al 2% nel periodo seguente e,
33
La simulazione di scenari macroeconomici controfattuali, pur andando
incontro alla ben nota obiezione che “la storia non si fa con i se”, si dimostra
utile per vagliare il fondamento di alcune asserzioni e per ricordarci che le scelte
(o non scelte) sul terreno della politica economica producono conseguenze
rilevanti. L’uso di tali simulazioni è del resto molto diffuso: basti ricordare il
lavoro di A. Locarno e S. Rossi, Inflazione e conti con l’estero nell’economia
italiana post-svalutazione: due luoghi comuni da sfatare, “Temi di discussione”,
Roma, Banca d’Italia, n. 254, 1995, per quanto riguarda le conseguenze
sull’inflazione e sui conti con l’estero della svalutazione della lira del 1992-93.
Ipotizzando la tenuta del tasso di cambio sui livelli ante-svalutazione, gli autori
dimostrano come in Italia si sarebbe accelerato il processo di disinflazione,
mentre si sarebbe realizzato ugualmente l’avanzo commerciale a motivo della
fase ciclica negativa a livello interno ed internazionale (ribassi dei prezzi in
dollari delle materie di base). Per un’analisi e una critica di tale metodologia in
esercizi di politica economica si veda comunque K.F. Wallis e J.D. Withley,
Conterfactual Analysis with Macroeconometric Models: The UK Economy 197984, Esrc Macroeconomic Modelling Bureau, Discussion Paper, n. 29, 1992.
34
Si veda J.D. Hamilton, Rational-expectations Econometric Analysis of
Changes in Regime, “Journal of Economics Dynamics and Control”, 1988, Id., A
New Approach to the Economic Analysis of Nonstazionary Time Series and the
Business Cycle, “Econometrica”, n. 2, 1989 e Id., Analysis of Time Series Subject
to Change in Regime, “Journal of Econometrics”, n. 45, 1990.
35
Sul rischio di insolvenza dell’emittente si vedano A. Alesina, A. Prati e G.
Tabellini, Public Confidence and Debt Management: A Model and a Case Study
of Italy, in R. Dornbusch e M. Draghi (a cura di), “Public Debt Management:
Theory and History”, Cambridge, Cambridge University Press, 1990 e C.
Favero, F. Giavazzi e L. Spaventa, High Yields: The Spread on German Interest
Rates, “The Economic Journal”, n. 447, 1997.
dopo esser giunto quasi ad annullarsi nell’aprile 1994, si impenna
immediatamente dopo portandosi ad un livello dell’1,70% nei primi
mesi del 1995, allorché, per il cumularsi di tensioni politiche interne
e di crisi finanziarie internazionali (l’esplodere della già richiamata
crisi messicana), il “sentimento” del mercato è che lo Stato italiano
sia prossimo ad una crisi finanziaria (opinione del resto confermata
retrospettivamente dal Governatore della Banca d’Italia).
In un contesto dinamico, facendo riferimento ad un arco
temporale sufficientemente lungo (dal gennaio 1989 al luglio 1997)
e all’intera struttura a termine dei differenziali, vengono analizzate
le probabilità di transizione da uno stato di natura all’altro e
viceversa (p con il doppio pedice), nel giudizio dei mercati.
Dall’esame dei dati risulta che i mercati hanno assegnato una
probabilità del 90% al verificarsi di bassi differenziali quando il
regime è già credibile ( p 00 = 0,9 ), mentre molto meno probabile è
ritenuta l’eventualità che da alti differenziali si evolva verso un
regime credibile ( p10 = 0,1 ). Completano il quadro le probabilità
assegnate alla transizione dallo stato credibile a quello non credibile
( p 01 = 0,35 ) e al verificarsi di alti differenziali quando il regime è
già non credibile ( p11 = 0,65 ). La conclusione è che vi è una
asimmetria tra i tempi rapidi con cui si perde la credibilità e i tempi
ben più lunghi necessari per riconquistarla. I giudizi impliciti che il
mercato esprime in relazione alle manovre di politica economica
vengono stimati attraverso la probabilità condizionata relativa al
regime di credibilità (sempre misurata attraverso il differenziale dei
tassi d’interesse). Il profilo che si evince è molto significativo:
rispetto ad oscillazioni contenute evidenziabili prima e dopo, tra il
maggio 1992 e i primi mesi del 1995 vengono a manifestarsi
riduzioni di credibilità in modo molto radicale (probabilità di essere
in un regime credibile pari a zero) in almeno nove circostanze. Nel
periodo della XII legislatura da noi analizzato gli episodi di totale
crisi di fiducia sono almeno tre: maggio 1994, estate dello stesso
anno, gennaio-febbraio 1995; il motivo risiede sempre nella
mancata correzione strutturale delle grandezze di finanza pubblica
(il permanere del circolo vizioso spesa per interessi-deficit-debito
pubblico) e nel riprodursi di quella instabilità politico-istituzionale
che tanto danno aveva provocato in precedenza.
L’effetto credibilità (il suo costo quando viene a mancare, il
dividendo che si ottiene se il governo ha la fiducia del mercato)
viene quantificato simulando le conseguenze che si sarebbero
prodotte qualora i governi avessero anticipato al 1990 (ricordiamo
che le radici della crisi di credibilità apparivano già evidenti sul
finire degli anni ’80) la manovra Amato del 1992. In un primo
esercizio gli autori si limitano a stimare l’abbassamento dei
differenziali di interesse che si sarebbero ottenuti mantenendo la
probabilità di acquisire credibilità da parte della politica economica
decisamente al di sopra del 50%. La sovrapposizione delle curve
che mostrano l’andamento effettivo dei tassi, rispettivamente, dei
Bot a un anno e del Btp a cinque anni e di quello ipotizzabile nel
regime di credibilità (quest’ultimo sarebbe risultato molto più
stabile e soprattutto avrebbe presentato un netto trend decrescente,
pur coincidendo alla fine del ’97 con quello storicamente
sperimentato) evidenzia il costo della non-credibilità, che tocca
punte di 6 punti percentuali sui tassi a breve e di 3 punti percentuali
su quelli a lungo a fine ’92 e, dopo essersi azzerato tra la fine del
’93 e l’aprile del ’94, si riproduce in una estensione temporale
particolarmente lunga tra il maggio del ’94 e l’estate del ’97, con
punte di 5 e di 4 punti percentuali riferite rispettivamente ai tassi a
breve e a lungo termine. Questo costo ha appesantito il bilancio
pubblico con maggiori spese per interessi alimentando per un verso
la crescita del deficit e del debito e rendendo inevitabile alla fine la
manovra correttiva di circa 65.000 miliardi di lire attuata dal
governo Prodi, e ipotecando per un altro verso le prospettive di
crescita dell’economia italiana e dell’occupazione data anche la
qualità delle manovre definite dalla legge finanziaria (aumento della
pressione fiscale, frenata della spesa per investimenti pubblici).
L’aggravio sulle grandezze di finanza pubblica è riportato nella
tabella 3:
tab. 3 − Costo della non credibilità: valori effettivi − valori
prodotti in uno scenario di credibilità. (valori assoluti in miliardi di
lire; in parentesi valori in % del Pil)
1994
Spesa per interessi
41.506 (2,35)
Deficit pubblico
41.004 (1,86)
Debito pubblico
179.749 (11,33)
1995
107.167 (4,99)
74.388 (3,73)
307.969 (18,00)
1996
80.147 (4,39)
86.149 (3,67)
405.885 (22,13)
Fonte: elaborazioni di Baldassarri et al. (1999) su dati Bankitalia.
Complementare a questa valutazione è quella dello scenario
vizioso senza credibilità di politica economica che si sarebbe
prodotto in assenza delle manovre correttive del 1992-93 e del
1994-95. In questo caso si registra una dinamica esplosiva delle
grandezze di finanza pubblica e un avvitamento incontrollabile
dell’economia italiana.
La misurazione dell’effetto credibilità viene raffinata in un
secondo esercizio nel quale si tiene conto, con il sussidio di un
modello macroeconometrico (quello di Confindustria), del
complesso delle interrelazioni che legano tra loro le variabili
economiche e finanziarie, e dunque di tutti i possibili effetti di
feedback (in particolare su crescita del reddito e occupazione). In
questo caso non solo le dimensioni della manovra di correzione si
sarebbero ridotte di circa 20.000 miliardi rispetto a quella attuata
dal governo Amato nel 1992, limitandosi a “solo” 56.000 miliardi
(di cui circa 30.000 dal lato delle entrate), ma non si sarebbe più
resa necessaria, a fine periodo, la manovra del governo Prodi36.
La riduzione anticipata del deficit pubblico ipotizzata nella
simulazione avrebbe prodotto i seguenti effetti (si veda la tab. 4):
• il premio per il rischio sui tassi d’interesse sarebbe stato
annullato consentendo una decisa azione di risanamento finanziario;
• nel breve periodo (1990-’93) si sarebbe manifestata una minor
crescita, ma in seguito si sarebbe avuta una robusta espansione
economica grazie alla ripresa degli investimenti dovuta al principio
dell’acceleratore (investimenti-crescita-investimenti-…);
• l’impatto sull’occupazione sarebbe stato limitato nel brevemedio termine (i posti di lavoro in più sarebbero stati circa 80.000
nel 1997);
• la contenuta dinamica dei prezzi (dovuta anche al rallentamento
della crescita dei salari pubblici) si sarebbe riflessa positivamente
sul cambio della lira (si ipotizza un cambio stabilizzato attorno alle
950 lire per un marco, con la sola eccezione del 1995), retroagendo
nuovamente e in senso positivo sui prezzi;
• nonostante la minore svalutazione si sarebbe comunque
annullato il disavanzo commerciale grazie alla maggiore
competitività determinata dal minor aumento dei prezzi interni;
36
Nell’esercizio di simulazione vengono comunque mantenute nell’entità e
nell’anno di realizzazione le manovre restrittive degli anni 1993-’95.
• la fuoriuscita da una logica di emergenza finanziaria avrebbe
consentito ai policy makers di riappropriarsi del bilancio pubblico
come strumento effettivo di politica economica indirizzato a
promuovere sviluppo e occupazione in un contesto di maggiore
equità e giustizia distributiva.
tab. 4 − Valutazione dell’effetto credibilità in una simulazione
controfattuale: dinamica delle grandezze macroeconomiche nel
caso di anticipazione delle manovre di correzione al 1990
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Pil (var.%)
- 0,0
- 0,2
0,7
0,1
4,0
3,5
1,5
1,0
Consumi (var.%)
- 0,7
0,3
0,2
- 0,6
4,2
3,1
3,0
1,9
Investimenti (var.%)
- 0,8
- 2,9
- 1,5
- 9,6
5,3
8,2
2,2
0,8
Esportaz. nette (var.%)
0,5
0,4
0,4
3,1
2,8
3,4
2,9
2,4
Inflazione al consumo
5,8
6,6
4,7
1,8
3,1
2,6
2,9
1,2
T.d’interesse sui Bot
12,3
11,9
11,2
8,4
7,1
6,5
5,3
4,7
T. di disoccupazione
11,3
11,9
12,8
11,5
12,2
12,4
12,1
12,1
Bil. dei pagam. (% del
Pil)
Disav. pubbl. (% del Pil)
- 0,3
- 0,2
- 0,0
2,6
1,8
3,4
3,5
3,5
8,3
6,9
5,5
6,7
6,3
4,8
3,6
- 0,1
Spesa x interessi (% del
Pil)
Spesa in c/capit. (% del
Pil)
Entrate totali (% del Pil)
9,8
10,2
10,7
10,4
8,7
8,5
7,3
6,2
5,6
4,5
4,5
4,8
3,9
4,4
3,7
3,2
45,5
46,6
49,4
49,8
46,0
46,3
46,0
48,3
Debito pubbl. (% del Pil)
98,1
99,2
101,9
108,3
108,2
107,4
105,0
101,3
Fonte: elaborazioni di Baldassarri et al. (1999) sulla scorta del
modello econometrico del Csc.
10. Conclusioni
Le misurazioni proposte del costo della non-credibilità e
dell’effetto di un regime di politica economica credibile non
interessano tanto nei risultati empirici, sempre criticabili, ma per
l’attenzione posta sul tipo e sui tempi dell’intervento pubblico.
D’altra parte, come abbiamo chiarito già in premessa, le vicende
del biennio 1994-96 (con gli effetti di trascinamento del biennio
1992-94 – l’XI legislatura – da noi analizzati nel nostro volume
precedente) non interessano di per sé ma per i problemi che
suscitano anche oltre i propri confini temporali.
Un’azione pubblica credibile è in grado di influenzare le
aspettative degli operatori sui mercati modificando l’entità e la
distribuzione dei benefici e dei costi dei processi economici.
La credibilità dell’azione di policy si alimenta con la coerenza
degli obiettivi e, rispetto a questi, degli strumenti di intervento e con
un quadro istituzionale nitido nei suoi contorni. In questo campo il
confronto tra economisti e giuristi diventa essenziale.
Nella definizione delle “regole del gioco” la classe politica,
intesa nella sua accezione ampia che coinvolge la maggioranza che
governa e l’opposizione che controlla, ha un ruolo e una
responsabilità decisivi. Ai governi i mercati chiedono soprattutto
un’azione stabilizzatrice delle aspettative e una guida per assumere
decisioni in un contesto di incertezza in senso forte, con un
atteggiamento “laico” rispetto alle discriminanti ideologiche, fatte
salve le condizioni di sostenibilità economico-finanziaria di breve e
di lungo periodo37, rispetto alle quali si esercita l’azione di
monitoraggio svolta dai mercati medesimi in modo continuo.
37
Fuoriuscendo dal riferimento alla situazione italiana, in E. Nell, Limiti di
comprensione: la trasformazione della crescita e il ruolo dello Stato, in A.
Graziani (a cura di), “L’economia mondiale in trasformazione”, Roma,
Manifestolibri, 1998, si mostra che negli Stati Uniti, nel periodo 1948-93, le
medie, ponderate in base al numero di anni di governo (18 per i democratici e 28
per i repubblicani), segnalano come nel corso delle amministrazioni
democratiche la disoccupazione sia risultata più bassa (5,472, a fronte di 6,109
nel corso delle amministrazioni repubblicane), ed altrettanto sia accaduto al tasso
d’inflazione (rispettivamente, 4,092 e 4,342), mentre più alta sia risultata la
crescita del Pil (4,669 a fronte di 2,334) e della produttività (2,977 contro 1,702).
Questo giudizio è sostanzialmente confermato anche se si tiene conto dell’intero
periodo di presidenza Clinton, dunque, aggiungendo altri otto anni di
amministrazione democratica. Da notare come il sistema americano abbia finora
garantito contemporaneamente la stabilità e l’alternanza di governo: partendo dai
5 anni di presidenza del democratico Truman, si sono avuti 8 anni ciascuno per il
repubblicano Eisenhower, i democratici Kennedy-Johnson, i repubblicani NixonFord; dopo la parentesi di 4 anni del democratico Carter, si sono avuti la lunga
presidenza (12 anni) dei repubblicani Reagan-Bush, gli 8 anni di
amministrazione del democratico Clinton, 4 anni (alla scadenza di autunno 2004)
del repubblicano Bush junior.
La stabilità politica è il presupposto della stabilità delle
aspettative e del loro orientamento in un senso favorevole alla
crescita economica. Tale stabilità politica si nutre di una solida e
coesa maggioranza di governo e di un corretto rapporto con
l’opposizione.
Su questo terreno in Italia le vicende del biennio 1994-96 hanno
lasciato una pesante ipoteca: i tanti nodi aggrovigliati che si sono
allora venuti intrecciando sul terreno istituzionale non sono stati
ancora sciolti. La soluzione è rinviata con il monito per cui ogni
ritardo ha costi economici consistenti che coinvolgono non solo il
breve periodo ma anche il sentiero di espansione.