AGGIORNAMENTI PER LA DIAGNOSI E LA GESTIONE CLINICA DELLE EPATITI CRONICHE DA HCV Premessa L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) rappresenta la causa più frequente di epatite cronica, di cirrosi epatica e di epatocarcinoma in Italia. L’incidenza di nuove infezioni si è notevolmente ridotta dopo la scoperta del virus C1 (1989) in conseguenza delle possibilità diagnostiche di rilevare l’infezione, dell’adozione di misure di protezione e profilassi da parte dei gruppi maggiormente a rischio (tossicodipendenti, politrasfusi, HIV positivi, ecc.), dello screening dei donatori di sangue e degli emoderivati. La prevalenza di infezione da HCV in Italia è stimata in circa il 3% della popolazione generale, con incremento da nord a sud e secondo l’età2,3. Si ritiene che la popolazione infetta da HCV sia attualmente di 1.5 milioni di individui. Le nuove infezioni sono nettamente diminuite negli ultimi anni ed hanno carattere sporadico, prevalentemente da esposizione accidentale al sangue dei soggetti infetti o, più raramente, da trasmissione sessuale o materno-fetale. Si ipotizza che ogni anno si verifichino circa 1000 nuovi casi di infezione e, considerando l’ampiezza della popolazione infetta, non è prevista una riduzione di nuove infezioni nel prossimo futuro. Tutto ciò porta a prevedere un ulteriore progressivo incremento delle complicanze dell’epatite cronica (cirrosi scompensata, epatocarcinoma) nei prossimi 10-20 anni.4,5 Decorso L’infezione acuta è generalmente asintomatica (60-70%) e, pertanto, di difficile individuazione. I pochi casi diagnosticati sono quelli sintomatici (astenia, malessere generale: 10-20%) e con ittero (10-20%) ed i soggetti sottoposti a monitoraggio dopo esposizione a rischio6,7. L’infezione acuta cronicizza nel 60-85% dei casi8. Dei soggetti con infezione cronica il 30-40% presenta una malattia stabilizzata e non evolutiva, prevalentemente si tratta di soggetti a transaminasi persistentemente normali, mentre il 60-70% sviluppa una epatite cronica con caratteri di attività, prevalentemente nei soggetti con transaminasi elevate o fluttuanti9. Dei soggetti con epatite cronica attiva il 20-30% sviluppa una cirrosi epatica in un periodo di 20-30 anni: 10-20% dopo 20 anni. Fattori che favoriscono la progressione di malattia10,11 sono: l’età avanzata all’infezione12, il sesso maschile, il consumo di alcool13, gli stati di immunodepressione (soprattutto l’infezione da HIV), le confezioni con HBV e HDV, l’accumulo di ferro, la steatosi epatica14, l’uso di farmaci epatotossici o l’esposizione a contaminanti ambientali epatotossici8. L’epatocarcinoma si sviluppa quasi esclusivamente nei soggetti con cirrosi epatica con una frequenza del 10-20% dopo 5 anni (incidenza 0.2-0.4% per anno)15. Oltre ai rischi di progressione della malattia epatica, i soggetti con epatite cronica C possono presentare manifestazioni extraepatiche, ancora non bene determinate né quantificate. Si tratta in genere di manifestazioni di tipo immunologico: la crioglobulinemia mista sintomatica o no (la più comune), la cheratocongiuntivite secca, il lichen planus, la glomerulonefrite, i linfomi di derivazione B. Inoltre sono state rilevate manifestazioni dermatologiche, come la porfiria cutanea tarda, e psichiatriche, come la depressione e altri deficit psico-intellettivi8. Diagnosi e iter diagnostico (Allegato 1) La diagnosi di infezione da HCV si basa essenzialmente sulla positività degli anticorpi anti HCV e sull’aumento delle transaminasi (soprattutto ALT). Considerando che la malattia è quasi sempre asintomatica, sia nella fase acuta che cronica non complicata, la diagnosi è molto spesso occasionale o a seguito di un test di screening di anticorpi anti HCV (per interventi chirurgici, in soggetti a rischio, in donatori di sangue, ecc.) o in caso di un riscontro casuale di ipertransaminasemia. 1) Test anti HCV Test immunoenzimatico (EIA) che evidenzia anticorpi contro il core ed antigeni non strutturali del virus. I test oggi utilizzati (EIA di III generazione) hanno una elevata attendibilità: 99% di sensibilità e specificità nei soggetti con sistema immunitario normale. Raramente sono necessari test di conferma (immunoblotting)8. La positività del test è di per sè diagnostica di infezione da HCV. Per precisare il tipo di infezione (cronica o acuta, attiva o non attiva, in atto o pregressa) sono necessarie altre indagini. 2) Transaminasi (ALT) L’aumento delle ALT esprime un’aumentata citolisi epatica e, se è associato a positività del test anti HCV, è indicativo di epatite C. Ogni soggetto con rilievo di ipertransaminasemia, di qualsiasi entità, che non abbia altra evidente giustificazione clinica, dovrebbe essere sottoposto a test anti HCV. In caso di positività è utile il monitoraggio mensile delle ALT per circa 6 mesi: se si confermano valori elevati o fluttuanti è accertata l’epatite cronica. Se le ALT risultano > 10 volte i valori normali, considerare la possibilità di un’epatite acuta o di una recidiva. Il valore delle ALT è inoltre utilizzato per valutare la risposta biochimica alla terapia e per monitorare il paziente con un’epatite cronica già accertata: utili almeno 1 o 2 determinazioni l’anno. Vi è una debole correlazione tra valore delle ALT e gravità del danno istologico epatico8. 3) Viremia (HCV RNA) qualitativa Il test si effettua oggi con metodica PCR, la positività documenta la replica virale: soglia di sensibilità di circa 100 copie di RNA/ml. In ogni soggetto con positività del test anticorpale, indipendentemente dal valore delle ALT, è utile una valutazione di HCV RNA qualitativo. Se è positivo, viene accertata l’attività replicativa virale e non servono ulteriori determinazioni che non abbiano una precisa motivazione clinica, come ad esempio la risposta virologica precoce durante la terapia, la risposta a fine terapia e la risposta sostenuta. Se è negativo, si tratta in genere di replica virale minima e non rilevabile, ma può trattarsi anche di guarigione, spontanea o indotta dalla terapia (vedi la valutazione della risposta alla terapia), pertanto è utile effettuare altri controlli a distanza8. I tempi di tali controlli non sono tuttavia standardizzati. 4) Viremia (HCV RNA) quantitativa Test eseguito con metodiche diverse, PCR quantitativa (qPCR) o branched DNA (bDNA), che forniscono un’informazione accurata sui livelli di HCV circolante (carica virale o viral load). I risultati espressi con le diverse metodiche in numero di copie di RNA per ml, oggi possono essere normalizzati in un titolo virale unico (UI/ml)16. Non è accertata una correlazione tra l’HCV RNA quantitativo e la gravità istologica o la progressione della malattia. E’ invece accertato il valore predittivo di risposta della riduzione > 2 log della carica virale dopo 12 settimane di trattamento, durante la terapia di combinazione interferon o interferon pegilato e ribavirina8,9. Pertanto la determinazione dell’HCV RNA quantitativo trova indicazione soltanto prima e durante la terapia dell’epatite. 4) Genotipo virale Sono stati identificati 6 genotipi di HCV (da 1 a 6) e diversi sottotipi degli stessi (a, b, c)17. Sono disponibili diversi test commerciali per la determinazione dei genotipi e sottotipi: il più diffuso è il test Inno-Lipa. Come per la carica virale, non vi è correlazione tra genotipo e gravità istologica o progressione della malattia. Non vi è neanche correlazione tra genotipo e carica virale 18,19. La determinazione del genotipo è utilizzata per studi epidemiologici o, nel singolo individuo, per determinare la probabilità di risposta e la durata della terapia con interferon o interferon pegilato più ribavirina20. Viene pertanto eseguito soltanto in previsione della terapia per valutare la probabilità di risposta e per stabilire la durata del trattamento. La conoscenza del genotipo, di per sé, non determina la decisione terapeutica. In casi in cui la decisione terapeutica è difficile (ad esempio nei soggetti di età avanzata) può rappresentare un dato aggiuntivo che aiuta a scegliere se trattare o no il soggetto9. 5) Istologia epatica La biopsia epatica è ancora oggi l’unico metodo che consente una valutazione della fibrosi (staging) e dell’attività necrotica e infiammatoria (grading) della malattia8. Dà pertanto un’indicazione importante sullo stato di evolutività in un determinato momento e, indirettamente, sulla prognosi a lungo termine. E’ importante ottenere una descrizione dell’istologia con un sistema di “score” di tipo quantitativo o semiquantitativo (Metavir, Knodell, Ishak)21,22,23. La biopsia epatica fornisce indicazioni su altri parametri utili come la coesistenza di steatosi, di accumulo di ferro, di un’epatopatia alcoolica. Infine può consentire di accertare altre patologie epatiche come le epatiti autoimmuni o la natura di eventuali lesioni focali (biopsie mirate). Anche se oggi, in mani esperte ed in condizioni idonee, presenta un rischio molto basso di effetti collaterali e quasi nullo di mortalità, si tratta pur sempre di una metodica cruenta non frequentemente ripetibile, per cui è necessario individuare le indicazioni ed il tempo di esecuzione con la maggiore accuratezza possibile. Nel soggetto con epatite cronica C la stadiazione istologica della malattia è utile soprattutto per valutare se intraprendere subito il trattamento o differirlo e quindi si colloca nella diagnostica pretrattamento. Va considerato che la valutazione istologica, in generale, rappresenta un utile standard di riferimento per confronti successivi, come nei soggetti con forme lievi che non vengono trattati o nei soggetti non responders o che avevano rifiutato il trattamento. Il controllo istologico dovrebbe essere effettuato a distanza di 4-5 anni, anche se non sono stati definiti con esattezza gli intervalli di tempo più appropriati9. Va sottolineato che i soggetti che rifiutano di sottoporsi alla biopsia o abbiano controindicazioni alla stessa (come ad esempio deficit di coagulazione) possono essere trattati sulla base degli altri parametri clinici e laboratoristici. Bisogna anche considerare che in soggetti di genotipo 2 o 3, che oggi hanno l’80% di probabilità di risposta al trattamento, l’esecuzione della biopsia epatica non è più determinante per la decisione terapeutica8. Terapia nei soggetti naive Obiettivi della terapia I possibili obiettivi del trattamento delle epatiti da HCV sono: 1. eradicare il virus (guarigione) 2. evitare la progressione istologica 3. prevenire la cirrosi e le sue complicanze 4. migliorare la qualità della vita e la sopravvivenza Definizione della risposta terapeutica L’indicatore principale di risposta terapeutica è la negativizzazione dell’HCV RNA qualitativo a fine terapia che si mantiene fino a 6-12 mesi8,9. I pazienti che ottengono questo risultato hanno una probabilità di recidiva < 5%, pertanto si può ritenere con buona approssimazione che abbiano eradicato l’infezione da HCV24,25. La conferma dell’eradicazione richiederebbe ulteriori indagini (virologiche, biochimiche e istologiche) in tempi più lunghi che, tuttavia, non sono ancora state definite26,27,28. Le principali definizioni di risposta terapeutica sono: ETR (risposta end of treatment): negativizzazione della viremia a fine terapia, SVR (risposta virologica sostenuta): negativizzazione persistente dopo 6-12 mesi, EVR (risposta virologica precoce): negativizzazione della viremia qualitativa o riduzione della viremia quantitativa > 2 log dopo 3 mesi di terapia8, Relapse: ETR con riattivazione della viremia dopo la fine della terapia, Breakthrough: risposta transitoria (EVR) con riattivazione in corso di terapia. Tutti i soggetti che non ottengono una SVR sono considerati non responders, ma è opportuno distinguere tra i diversi tipi di mancata risposta (relapsers, responders transitori, responders parziali, ecc.) per orientare le opzioni terapeutiche successive. Il mancato conseguimento della EVR comporta la sospensione della terapia, poichè nei trials clinici controllati si è visto che le possibilità di ottenere una SVR sono molto scarse (3%)33. Bisogna inoltre aggiungere che il monitoraggio mensile delle ALT durante la terapia resta un indicatore di grande utilità (risposta biochimica): nella maggior parte dei casi la normalizzazione delle ALT è concordante con la negativizzazione della viremia (spesso è anticipata), nei casi discordanti la viremia è considerata il parametro prevalente8,9. Risultati della terapia I soggetti con SVR ottengono la risoluzione del danno necrotico epatico e la riduzione della fibrosi con bassa possibilità di recidiva dell’infezione. E’ accertata la riduzione della progressione della malattia e dello sviluppo di complicanze nei soggetti cirrotici29,30,31,26. Secondo alcuni studi, condotti prevalentemente in Giappone, la SVR è associata a riduzione del rischio di epatocarcinoma (HCC)32,33,34,35. Secondo altri studi anche i pazienti relapsers o non responders possono avere una riduzione della progressione della fibrosi o della cirrosi, se pur di minore entità36,37. I fattori favorenti la risposta terapeutica sono: genotipo 2 o 3 bassi livelli di viremia basale minore stadio di fibrosi e grado di infiammazione epatica minore peso corporeo o minore superficie corporea (BMI)8. Trattamento dei soggetti naive: schemi terapeutici Recenti studi clinici registrativi hanno accertato che lo schema terapeutico più efficace è costituito dall’associazione di interferon pegilato (PEG) 2b o 2a con la ribavirina. L’interferon standard (IFN) 2b, associato alla ribavirina, ha efficacia analoga al PEG nel genotipo 2 o 3, ma inferiore nel genotipo 1. Gli schemi terapeutici di prima scelta per i soggetti naive e le relative probabilità di SVR, come riportato nei principali studi clinici pubblicati negli ultimi anni38,39,40,41, sono i seguenti: genotipo 1 o 4: PEG 2b (1-1,5 g/Kg/settimana) o PEG 2a (180g/settimana) SVR: 42% SVR: 46% + Ribavirina (1000-1200 mg/die) per 48 settimane genotipo 2 o 3: PEG 2b (1-1,5 g/Kg/settimana) o PEG 2a (180g/settimana) o IFN 2b (3-5 MU per tre volte la settimana) + Ribavirina (800-1000 mg/die) per 24 settimane SVR: 82% SVR: 76% SVR: 64-69% Le percentuali di SVR sono da intendersi orientative e non direttamente confrontabili tra loro, in quanto ricavate da studi clinici diversi. Condotta terapeutica Selezione del paziente Tutti i pazienti con epatite cronica C sono potenziali candidati al trattamento8. Attualmente la terapia è raccomandata per tutti i soggetti ad elevato rischio di sviluppare la cirrosi. Tuttavia non è possibile distinguere i soggetti con malattia non evolutiva (circa i 2/3 delle epatiti croniche) da quelli con rischio di evoluzione cirrotica, soprattutto nelle fasi precoci. Pertanto i pazienti sono selezionati in base ad alcuni criteri che sono stati correlati con un rischio evolutivo: Accertata replica virale: HCV RNA qualitativo positivo ALT elevate persistentemente o fluttuanti Segni istologici almeno di fibrosi portale o a ponte e necro-infiammazione lieve-moderata20,8. Tali criteri devono essere adattati al singolo paziente tenendo conto di altri fattori: l’età, la motivazione, la prevedibile aderenza, il concomitante uso di alcool o di droghe, la presenza di altre comorbidità, le possibili controindicazioni ai farmaci. Nessuno di tali fattori, di per sè, deve essere utilizzato per rifiutare l’accesso alla terapia, ma sarà la valutazione complessiva, in stretto contatto con il paziente stesso, a determinare la scelta di intraprendere o no il trattamento9. Valutazione dell’efficacia del trattamento Prima della terapia è opportuno esaminare il genotipo (per decidere la durata del trattamento), la viremia quantitativa (per poter valutare l’EVR), la biopsia epatica (per la stadiazione istologica). Durante la terapia è opportuno monitorare i seguenti parametri: ALT ogni mese in terapia, 3 e 6 mesi dopo la terapia (per gli ETR). Viremia quantitativa e qualitativa dopo 3 mesi (per determinare l’EVR) Viremia qualitativa dopo 6 mesi (per valutare l’ETR nel genotipo 2 e 3 e per decidere la prosecuzione nel genotipo 1 e 4), dopo 12 mesi (per valutare l’ETR nel genotipo 1 e 4) e 6 12 mesi dopo la fine della terapia negli ETR (per valutare la SVR). Soltanto i pazienti che ottengono una EVR dopo 3 mesi proseguono il trattamento8. Soltanto i pazienti di genotipo 1 che ottengono la negativizzazione della viremia qualitativa dopo 6 mesi proseguono il trattamento fino a 12 mesi (48 settimane)20,8. I pazienti con viremia qualitativa negativa a fine trattamento sono considerati responders (ETR). I pazienti con viremia qualitativa negativa persistente a 6 – 12 mesi dopo il trattamento sono considerati responders sostenuti (SVR). Nei pazienti SVR è opportuno controllare ALT e viremia qualitativa 1 o 2 volte l’anno per qualche anno, per verificare il mantenimento della risposta (la durata di questo follow up non è ancora standardizzata). Controindicazioni alla terapia Le controindicazioni all’uso di IFN, PEG e Ribavirina sono riportate nelle Tab.1 e 2: E’ necessario che il paziente candidato al trattamento venga sottopostoad un accurato esame clinico e ad uno screening idoneo ad escludere le suddette controindicazioni: esami ematochimici (AST/ALT, GT, ALP, bilirubina, elettroforesi proteica, PT, emocromo completo, glicemia, creatinina, urea, uricemia, Na, K, fT4, TSH, alfa-fetoproteina), urinari (esame urine e test di gravidanza per le donne in età fertile), autoanticorpi (NA, SMA, LKM, MA e anti tiroide), anti HIV e HbsAg, ECG, ecografia epatosplenica, EGDS (nel paziente con cirrosi compensata). In caso di indicazione clinica può essere necessaria una visita psichiatrica, cardiologica, dermatologica, ecc. La monoterapia con IFN In caso di controindicazioni alla Ribavirina può essere effettuata terapia con il solo interferon, preferibilmente nella formulazione pegilato. Soltanto i pazienti che dopo 3 mesi presentano negativizzazione dell’HCV RNA qualitativo (EVR) continuano la terapia20. Gli schemi terapeutici consigliati e le relative percentuali di SVR sono i seguenti41,42,43,44,20: PEG 2b 1g/Kg/settimana per un anno (SVR genotipo 1: 14%, gen. 2-3: 47%) PEG 2a 180 g/settimana per un anno (SVR genotipo 1: 13-28%, gen. 2-3: 45-54%) IFN 2b 3MU x 3/settimana per un anno (SVR genotipo 1: 6%, gen. 2-3: 28%) Per la monoterapia si possono utilizzare anche gli altri tipi di interferon, con risultati presumibilmente analoghi anche se meno supportati dai dati della letteratura: interferon 2a ricombinante, interferon n-1 linfoblastoide, interferon alfacon-1 ricombinante (consensus interferon), interferon naturale n3 (leucocitario)9. Effetti collaterali in corso di terapia I principali effetti collaterali riscontrati e le relative frequenze sono riportati nella Tab.3 Per un intervento efficace e tempestivo sugli effetti collaterali è necessario che il paziente in trattamento sia sottoposto ad esame clinico ogni mese e al monitoraggio di alcuni parametri: emocromo e bilirubina: ogni 2 settimane per 2 mesi, poi ogni mese AST, ALT, glicemia, urea, creatinina (in tutti), Na, K, PT e albumina (nei cirrotici): ogni mese fT4, TSH, anticorpi antitiroide ogni 3 mesi autoanticorpi non organo specifici (NA, SMA, MA) ed ECG ogni 6 mesi In caso di effetti collaterali severi si interrompe la terapia. Se gli effetti collaterali non sono gravi si può ricorrere alla riduzione della dose del farmaco ritenuto responsabile, secondo i criteri indicati nella scala di tossicità del WHO. E’ indicato l’uso di FANS (es. paracetamolo) per il controllo della sindrome influenzale e della cefalea, e l’uso di antidepressivi per la depressione non grave. In casi particolari possono essere utilizzati i fattori di crescita per il trattamento della mielotossicità (anemia, neutropenia)8, considerando tuttavia che tale indicazione non è attualmente prevista nella normativa CUF. Nei casi di documentata intolleranza all’ IFN o al PEG è possibile sostituirlo con l’interferon naturale (n3 o leucocitario) alla dose di 3-6 MU in somministrazione trisettimanale ed in associazione con Ribavirina. I ritrattamenti L’efficacia dei ritrattamenti di soggetti che non hanno ottenuto una SVR al primo trattamento è influenzata da fattori specifici, come il precedente tipo di risposta e la maggiore potenza della nuova terapia rispetto alla precedente, e dagli stessi fattori che condizionano l’efficacia nei soggetti naive come la tollerabiltà, l’aderenza, la severità della malattia, il genotipo e la carica virale8. I maggiori studi clinici internazionali sulla terapia delle epatiti croniche C riguardano i soggetti naive, mentre le conoscenze sui ritrattamenti sono più limitate ed ancora non definitive. In linea di massima solo i pazienti che hanno ottenuto una risposta alla prima terapia, anche se parziale o transitoria, possono beneficiare di un ritrattamento. E’ anche accertato che ripetere un ciclo analogo al precedente non determina alcun beneficio. Nella normativa vigente in Italia (nota CUF 32) vi è l’indicazione al ritrattamento, con IFN o PEG in monoterapia o in combinazione con ribavirina, soltanto nei soggetti relapsers ad un primo ciclo di terapia interferonica e non nei non responders. Le conoscenze attuali sulle possibilità di ritrattamento possono essere riassunte come segue9: 1. Soggetti relapsers dopo monoterapia con interferon: con la combinazione IFN + Ribavirina si ottengono tassi di SVR dopo ritrattamento dal 49% (con basse dosi di IFN e durata di 6 mesi)45 al 72% (con dosi alte e durata di 12 mesi)46. Sono in corso studi con la combinazione PEG + Ribavirina, ma è ipotizzabile che diano risultati migliori. 2. Soggetti relapsers dopo terapia di combinazione: i soggetti trattati per 6 mesi sembra che possano beneficiare di un ritrattamento per 12 mesi utilizzando dosi maggiori di IFN (5-6 MU) o, meglio ancora, il PEG9. Non sono ancora disponibili i risultati di tali studi. 3. Soggetti non responders dopo monoterapia con interferon: il ritrattamento con IFN + Ribavirina porta ad un tasso medio di SVR del 14%47,48. Nei pazienti con genotipo 2-3 si ottiene fino al 30-35% di SVR, in quelli con genotipo 1 fino al 18-21%, con alte dosi di IFN e 12 mesi di durata49,50. Risultati preliminari con PEG + Ribavirina indicherebbero un tasso medio di SVR ancora migliore, del 15-20%8. Sono in corso anche studi con altre combinazioni terapeutiche che hanno dato risultati promettenti in studi preliminari, come la triplice associazione di IFN, Ribavirina e Amantadina (68% di risposte in uno studio pilota)51 e il Consensus inteferon + Ribavirina52 (l’unico interferon ad aver dimostrato un’efficacia > 10% in monoterapia nei non responders)53. 4. Soggetti non responders dopo terapia di combinazione: è una categoria di soggetti ancora limitata ma in incremento, che rappresenteranno il principale problema clinico e terapeutico nei prossimi 5-10 anni. Attualmente non si hanno ancora indicazioni sulla possibile efficacia del PEG in combinazione o di altri schemi terapeutici. Altre condizioni terapeutiche I soggetti con infezione da HCV e ALT persistentemente normali Circa 1/3 dei soggetti con infezione da HCV presenta ALT normali8. Alcuni di questi, tuttavia, presentano successivamente fluttuazioni delle ALT ed altri esacerbazioni (flares) dopo periodi, anche lunghi, di normalità. In questi casi la progressione della malattia è sostanzialmente analoga ai soggetti con ALT elevate. E’ pertanto importante individuare i pazienti evolutivi attraverso un monitoraggio delle ALT protratto nel tempo: controlli ogni 2-3 mesi per almeno 18 mesi, successivamente 1-2 volte l’anno54. I soggetti con ALT persistentemente normali hanno in genere una malattia lieve e non progressiva55,56 per cui attualmente non vi è indicazione al trattamento e neanche alla stadiazione istologica (biopsia epatica). Tuttavia considerando che una piccola quota hanno un grado di fibrosi avanzato, che la responsività alla terapia è analoga ai soggetti con ALT elevate8 e che rappresentano comunque una possibile fonte di infezione per altri soggetti, sono in corso studi sperimentali per valutare l’efficacia del trattamento anche in questa categoria. I soggetti con cirrosi Gli studi nei cirrotici sono limitati e quasi sempre derivati da sottogruppi di studi più vasti. L’indicazione alla terapia è notevolemente condizionata dalla controindicazione all’interferon nella cirrosi scompensata: classe Child Pugh > B8 e/o segni di ipertensione portale (vedi Tab.1). La frequenza di SVR è generalmente minore rispetto ai non cirrotici e la tollerabilità peggiore, con maggiore frequenza di effetti collaterali come trombocitopenia e leucopenia57,20. I soggetti con cirrosi compensata in terapia devono essere controllati ancora più accuratamente rispetto agli altri. D’altra parte è evidente il beneficio clinico che determina una SVR in questi soggetti a rischio evolutivo elevato e rapido. Inoltre è stato riportato che anche i soggetti non responsivi a livello biochimico-virologico possono ottenere un miglioramento dell’istologia epatica in corso di terapia32,34,35. I risultati migliori sono stati ottenuti con il PEG 2a (180 g/settimana per un anno) con tassi di SVR del 30% in monoterapia e del 43% in combinazione con Ribavirina, nei soggetti con genotipo favorevole si arriva oltre il 50%43. Il trattamento dei soggetti con cirrosi compensata è pertanto raccomandato, con gli stessi schemi terapeutici proposti per le epatiti croniche9 ed esposti precedentemente. Sono in corso studi per valutare se una terapia interferonica di lunga durata (da 3 a 5 anni) possa determinare il miglioramento o la non-progressione dell’istologia epatica anche in assenza di risposta virologica, e migliorare anche l’incidenza di epatocarcinoma. Per i soggetti con cirrosi scompensata la prospettiva terapeutica più efficace resta il trapianto epatico. I soggetti sottoposti a trapianto epatico Nei soggetti sottoposti a trapianto epatico la reinfezione da HCV è quasi del 100% ed avviene entro 6 mesi. Il decorso è più rapido rispetto ai soggetti immunocompetenti: dopo 2 anni il 55-70% hanno un’epatite cronica, dopo 5 anni il 20-44% hanno una cirrosi, dopo 1 anno dall’esordio la cirrosi si scompensa nel 42%, le cirrosi scompensate causano una mortalità del 60% già dopo 1 anno58. Il trattamento della reinfezione di HCV nel trapiantato di fegato rappresenta pertanto un problema di grande rilevanza. La combinazione IFN + Ribavirina ha un’efficacia scarsa: il tasso di SVR nelle limitate casistiche pubblicate è di circa il 20%, ma bisogna considerare che circa la metà dei soggetti non riesce a completare il ciclo per l’elevata frequenza di effetti collaterali (soprattutto da Ribavirina). Sono in corso studi con PEG + Ribavirina e con strategie di trattamento precoce: subito dopo il trapianto o in occasione della reinfezione acuta. Il trattamento dell’epatite acuta da HCV L’epatite acuta da HCV è spesso asintomatica e viene difficilmente diagnosticata. Pertanto gli studi di trattamento pubblicati sono scarsi, con casistiche limitate, eterogenei per schedula terapeutica e diversità nei tempi di inizio59. Recentemente alcuni studi hanno riportato alte percentuali di risposta (83-100%) al trattamento con IFN in monoterapia60,61. In particolare lo studio di Jaeckel riporta la guarigione in 43/44 pazienti trattati con IFN 2b 5 MU al giorno per 4 settimane seguiti da 5 MU per tre volte la settimana per altre 20 settimane. L’indicazione a trattare le epatiti acute C è evidente anche se restano da stabilire definitivamente il regime terapeutico e il tempo di inizio8. Il trattamento della coinfezione HIV-HCV Un numero rilevante di persone con infezione da HIV presenta anche una confezione da HCV, pertanto tutti i soggetti HIV positivi dovrebbero effettuare uno screening anti HCV. E’ accertato che la coinfezione HIV può aumentare la cronicizzazione dell’epatite C ed accelerarne il decorso8. L’aumentata sopravvivenza dei pazienti, ottenuta con le nuove terapie antiretrovirali, rende ancora più forte l’indicazione al trattamento dell’epatite C62,63. Negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni studi in pazienti con infezione da HIV stabilizzata, sistema immunitario ancora parzialmente conservato e malattia epatica ben compensata. Tali studi hanno evidenziato l’efficacia della terapia in questi pazienti, anche se di minore entità rispetto ai soggetti immunocompetenti. Le possibilità di ottenere una SVR con la terapia di combinazione IFN + Ribavirina per 12 mesi, risultano del 17-25%64,65,66,67,68. Sono in corso altri studi per valutare l’efficacia dell’introduzione del PEG nella terapia di combinazione. Sono ancora da definire alcune problematiche connesse al trattamento di tali pazienti, come la durata più idonea della terapia, l’interazione con l’infezione da HIV (i dati attuali sembrano negare un effetto negativo)69, le possibili interazioni con i farmaci antiretrovirali70, gli effetti tossici già noti o aggiuntivi, come in particolare il rischio di acidosi lattica71. Pertanto è raccomandato il trattamento dell’epatite cronica nei soggetti con coinfezione HIV-HCV nell’ambito di protocolli terapeutici sperimentali controllati8. P.S: queste linee guida sono state redatte nell’ottobre 2002, sulla base delle conoscenze al momento disponibili, considerando, in particolare, le conclusioni della Consensus Conference dell’ NIH e le linee guida dell’ AISF. Allegato 1: Algoritmo dell’iter diagnostico per la scelta di trattamento delle epatiti croniche C anti HCV pos ALT x 6 mesi HCV RNA qual ALT elevate HCV RNA pos determinare GENOTIPO GENOTIPO 1-4 NON TRATTARE (4) ALT normali HCV RNA neg HCV RNA pos ripetere HCV RNA qual controllare ALT x 18 mesi HCV RNA neg ripetere HCV RNA qual (1) ALT persistentemente normali GENOTIPO 2-3 BIOPSIA EPATICA FIBROSI assente FLOGOSI lieve occasionali ALT elevate utile (2) BIOPSIA EPATICA NON TRATTARE (3) FIBROSI presente FLOGOSI lieve o moderata TRATTARE (1): se ALT persistentemente normali e HCV RNA neg = possibile guarigione (utile controllo ALT, anti HCV e HCV RNA a distanza, 1-2 volte l’anno) (2): utile per la valutazione dell’istologia attuale (es. cirrosi?) o per controlli successivi (es. se non responder) (3): utile controllo ALT 1-2 volte l’anno = possibile flare epatitico (4): utile controllo ALT 1-2 volte l’anno ed eventuale II biopsia epatica dopo 3-5 anni Tab. 1: controindicazioni all’uso di IFN e PEG9. Controindicazioni assolute 1. Cirrosi avanzata o scompensata: albumina < 3 g/dl, PT < 60%, bilirubina > 2 mg/dl, varici esofago-gastriche a rischio emorragico, presenza attuale o anamnesi pregressa di ascite, di emorragie da ipertensione portale, di encefalopatia epatica 2. Leucopenia (WBC < 3000/mmc, PMN < 1500/mmc) e/o trombocitopenia (PLT < 80.000/mmc) 3. Tossicodipendenza o alcoolismo attivi. 4. Ipersensibilità all’IFN 5. Depressione severa o malattie psichiatriche maggiori 6. Gravidanza o incapacità di una contraccezione efficace (donne) 7. Malattie autoimmuni, malattie tiroidee non controllate con la terapia 8. Qualsiasi grave patologia concomitante di altri organi ed apparati 9. Epilessia o convulsioni non controllate Controindicazioni relative Diabete poco controllato Cardiopatie non gravi Tireopatie (in particolare se con ipertiroidismo) Positività di autoanticorpi senza segni clinici di malattia autoimmune Retinopatie Psoriasi Tab.2: controindicazioni all’uso di Ribavirina9. Controindicazioni assolute 1. 2. 3. 4. Anemia (Hb < 11-12 g/l) Malattie cardiovascolari severe Gravidanza Incapacità ad una contraccezione efficace, sia per la donna che per l’uomo (da protrarre fino a 6 mesi dopo la fine della terapia) 5. Insufficienza renale Controindicazioni relative Emoglobinopatie Ipertensione arteriosa non controllata Età > 60 anni Tab.3: principali effetti collaterali da IFN e Ribavirina e relative frequenze9. Frequenza > 30 – 50% 1 – 30% < 1% Interferon Sindrome influenzale Stanchezza Cefalea Disfunzione tiroidea (ipo o iper) Anoressia Alopecia Depressione Irritabilità Diarrea Neutropenia Trombocitopenia Depressione grave (idee suicide) Infezioni batteriche/fungine gravi Retinopatia Neuropatia Diabete Perdita permanente della libido Malattie autoimmuni Ribavirina Emolisi con lieve anemia Dispepsia Anemia (Hb < 10 g/l) Prurito Rash Dispnea Tosse Stanchezza Secchezza degli occhi Angina severa Infarto miocardio Gotta BIBLIOGRAFIA 1. 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