MSDF 2011/12 G. De Luca - "PARTHENOPE"

Giovanni De Luca
Metodi statistici
per le decisioni finanziarie
A.A. 2011/2012
Università di Napoli Parthenope
e-mail: [email protected]
MSDF 2011/12 G. De Luca
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Capitolo 1
Definizione di rendimento
finanziario
L’analisi statistica dei mercati finanziari si concretizza nell’analisi delle piú rilevanti variabili nell’ambito dei mercati finanziari. Un ruolo cruciale è sicuramente
attribuito ai prezzi delle attività finanziarie. Varie sono le attività finanziarie
a disposizione per le contrattazioni. I titoli azionari rappresentano l’attività
finanziaria più diffusamente scambiata e per questo motivo la trattazione nel
seguito farà costante riferimento a questa tipologia di attività finanziaria. Giova
comunque sapere che esistono altre forme di attività finanziarie, talune anche
particolarmente complesse, come futures, options e cosı̀ via.
I titoli azionari sono scambiati in un apposito mercato, il mercato azionario,
normalmente gestito da una società, in Italia la Borsa Italiana del gruppo
London Stock Exchange Group.
La definizione di prezzo di un titolo azionario non è univoca. Nell’ambito di
una giornata di contrattazioni, si ha
• il prezzo di apertura (o prezzo Open);
• il prezzo di chiusura (o prezzo Close);
• il prezzo più elevato (o prezzo High);
• il prezzo più basso (o prezzo Low);
• il prezzo ufficiale (media dei prezzi di tutte le transazioni effettuate in una
giornata ponderati per le quantità scambiate);
• prezzo di riferimento (media ponderata dei prezzi dell’ultimo 10% delle
transazioni effettuate).
Tipicamente si fa riferimento al prezzo di chiusura oppure al prezzo di riferimento. Ma il maggiore interesse è focalizzato sull’analisi dei rendimenti, che dei
3
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CAPITOLO 1. DEFINIZIONE DI RENDIMENTO FINANZIARIO
prezzi sono trasformazioni, in quanto questi forniscono una misura della variazione relativa dei prezzi. Ogni investitore è infatti interessato ai guadagni o
alle perdite in valore relativo (es. 1% oppure 2%) e non in valore assoluto.
Il rendimento di un titolo finanziario al tempo t (indicato con rt ) può essere
definito in diversi modi. Avendo indicato il prezzo al tempo t di uno specifico
titolo con pt , e il prezzo al tempo t − j dello stesso titolo con pt−j , il rendimento
nell’intervallo temporale (t − j, t) è definito come
rt =
pt − pt−j
,
pt−j
ovvero come variazione relativa dei prezzi.
Se j = 1, allora il rendimento è calcolato rispetto al tempo precedente,
rt =
pt − pt−1
.
pt−1
Si pensi ai prezzi di un titolo rilevati giornalmente. Il tempo t − 1 indica un
giorno (es. 14 marzo), il tempo t indica il giorno successivo di apertura della
Borsa (es. 15 marzo). In questo caso il rendimento rt è dunque un rendimento
giornaliero. Nel corso delle lezioni si farà riferimento ai rendimenti giornalieri
quando non diversamente specificato.
Qualora si tenga conto anche dei dividendi riscossi tra il tempo t − j e il
tempo t (indicati con dt ), il rendimento rt viene definito come
rt =
pt + dt − pt−j
.
pt−j
Infine si parla di rendimenti logaritmici (log-returns nella terminologia anglosassone) quando il rendimento viene definito come logaritmo naturale del
rapporto tra il prezzo al tempo t e il prezzo al tempo t − j, ovvero
rt = ln
pt
,
pt−j
che, nel caso di rendimenti calcolati rispetto al periodo precedente (j = 1),
diviene
pt
rt = ln
.
pt−1
L’ipotesi di una legge di capitalizzazione composta continua è alla base della
nozione di log-returns. Sulla base di questa legge, ipotizzando un tasso d’interesse annuale i pari a 0.05 (5%), 100 euro producono dopo 1 anno (un montante
di) 100 exp(0.05) = 105.27. Se indico con Pt−1 la somma in euro investita al
generico tempo t− 1 e con Pt la somma finale al tempo t, e i è il tasso d’interesse
(o rendimento) del periodo che intercorre tra t − 1 e t, allora
pt−1 exp(i) = pt .
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Ricavando i dalla suddetta espressione, si ottiene
i = ln
pt
pt−1
.
Per i rendimenti logaritmici vale un’utile proprietà. Il rendimento del generpt
ico periodo (t − j, t), ln pt−j
, può essere espresso come somma dei rendimenti
intermedi. Infatti
ln
pt
pt−j
=
=
pt pt−1
pt−j+1
...
pt−1 pt−2
pt−j
pt
pt−1
pt−j+1
ln
+ ln
+ . . . + ln
.
pt−1
pt−2
pt−j
ln
Ad esempio, il rendimento settimanale di un titolo può essere calcolato come
somma dei rendimenti giornalieri della settimana.
È possibile dimostrare che
ln
pt
pt − pt−j
≈
pt−j
pt−j
pt
utilizzando la formula di Taylor.1
attraverso un’approssimazione di ln pt−j
pt
Poiché il rapporto pt−j assume solitamente un valore vicino all’unità, si approssima la suddetta funzione con un polinomio di grado 1 (ovvero una funzione
lineare) intorno al valore 1. Risulta
ln
pt
pt−j
≈ ln 1 +
≈
pt
−1
pt−j
pt − pt−j
.
pt−j
L’approssimazione è tanto migliore quanto più vicino all’unità è il rapporto
pt
pt−j .
1 Una
funzione f (x) può essere approssimata intorno ad un punto x0 secondo l’espressione
f (x) ≈ f (x0 ) +
k
X
i=1
di f (x)
dxi
(x − x0 )i
x0
i!
.
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CAPITOLO 1. DEFINIZIONE DI RENDIMENTO FINANZIARIO
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Capitolo 2
L’analisi statistica dei
rendimenti finanziari
La ricerca delle caratteristiche peculiari dei rendimenti finanziari è un tema che
è stato affrontato da una moltitudine di studiosi. L’analisi statistica dei mercati
finanziari si propone l’obiettivo di cogliere le principali caratteristiche di una
serie di rendimenti osservati in uno specifico periodo di tempo.
Come già detto, nel corso delle lezioni si utilizzeranno rendimenti giornalieri,
salvo differente specificazione. La scelta è motivata dalla semplice considerazione che l’analisi dei rendimenti finanziari tipicamente viene svolta su base
giornaliera. Sebbene un diverso intervallo temporale per il calcolo dei rendimenti (ad esempio la settimana o il mese) non altera del tutto certe caratteristiche,
tuttavia, in linea di principio, le conclusioni a cui si giunge con l’analisi dei
rendimenti giornalieri non possono essere automaticamente estese a rendimenti calcolati con riferimento a un diverso intervallo temporale (come rendimenti
settimanali o mensili).
Si suppone di disporre di una serie di rendimenti che nel loro insieme rappresentano un campione di rendimenti, da un periodo iniziale 1 fino ad un periodo
finale T . Il rendimento osservato al generico tempo t (t = 1, . . . , T ) è indicato
con rt . Al fine di svolgere specifiche procedure di inferenza statistica, come sarà
più chiaro nel prosieguo, è utile considerare il rendimento osservato rt come una
realizzazione della variabile casuale Rt . Tale variabile casuale riassume tutti i
possibili valori osservabili al tempo t.
Nelle lezioni si analizzano i rendimenti giornalieri del titolo Saipem calcolati come
variazioni relative dei prezzi di chiusura nel periodo dal 04/01/2005 al 30/12/2008
(1010 osservazioni). La rappresentazione grafica dei prezzi di chiusura è contenuta nella Figura 2.1. La rappresentazione grafica dei rendimenti è contenuta nella
Figura 2.2.
Le statistiche più frequentemente calcolate sono: la media, gli indici di variabilità (in particolare lo scarto quadratico medio o deviazione standard), gli
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8CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
35
30
25
20
15
10
5
0
200
400
600
800
1000
Figura 2.1: Andamento dei prezzi di chiusura Saipem nel periodo dal
04/01/2005 al 30/12/2008.
0.2
0.15
0.1
0.05
0
−0.05
−0.1
−0.15
−0.2
0
200
400
600
800
1000
Figura 2.2: Andamento dei rendimenti Saipem nel periodo dal 04/01/2005 al
30/12/2008.
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2.1. IL VALORE MEDIO
0.2
0.15
0.1
0.05
0
−0.05
−0.1
−0.15
−0.2
0
200
400
600
800
1000
Figura 2.3: Andamento dei rendimenti Saipem nel periodo dal 04/01/2005 al
30/12/2008 e media dei rendimenti (linea tratteggiata).
indici di asimmetria e curtosi e i coefficienti di autocorrelazione dei rendimenti
e dei rendimenti al quadrato.
2.1
Il valore medio
Data una serie di rendimenti rt con t = 1, . . . , T , il rendimento medio è dato da
r̄ =
T
1 X
rt
T t=1
Esso assume generalmente un valore prossimo alla zero.
Il valore medio dei rendimenti del titolo Saipem è risultato pari a 0.000632 (0.0632%
in termini percentuali), dunque, prossimo allo zero. Nella figura 2.3 è possibile
visualizzare graficamente il valore della media aritmetica (linea rossa tratteggiata).
Il rendimento medio tende ad essere abbastanza costante nel tempo. Se si
divide il periodo di osservazione in subperiodi e si confrontano i rendimenti
medi dei subperiodi, si rilevano differenze trascurabili e quindi il rendimento
medio dell’intero periodo tende a discostarsi assai lievemente dai rendimenti
medi dei subperiodi.
Per i rendimenti del titolo Saipem si divide il periodo considerato (quattro anni)
in quattro subperiodi di uguale ampiezza (ogni subperiodo equivale ad un anno).
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10CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
0.2
0.15
0.1
0.05
0
−0.05
−0.1
−0.15
−0.2
0
200
400
600
800
1000
Figura 2.4: Andamento dei rendimenti Saipem nel periodo dal 04/01/2005 al
30/12/2008 e medie dei rendimenti (linee tratteggiate) nei quattro subperiodi.
Nella figura 2.4 all’andamento del rendimento del titolo sono sovrapposti i quattro
valori medi dei subperiodi (linee rosse tratteggiate). Le differenze tra i valori medi
dei subperiodi sono effettivamente trascurabili.
Da un punto di vista empirico i rendimenti medi forniscono sempre valori molto
prossimi alla zero. Tuttavia, al fine di trarre conclusioni sulla popolazione dei
rendimenti, è opportuno implementare un test statistico sulla media (o valore
atteso) della popolazione. La popolazione dei rendimenti è indicata con R, con
media pari a µ e varianza pari a σ 2 . Le due ipotesi sono
H0 : µ = 0
H1 : µ 6= 0
Per la realizzazione di questo test è necessario definire la variabile casuale
rendimento medio campionario, indicata con R̄. Si tratta di una variabile casuale
che raccoglie tutti i possibili valori di r̄ al cambiare del campione osservato (r̄ è
un numero ed è una realizzazione della variabile casuale R̄). Più in dettaglio, r̄
è una stima di µ mentre R̄ è uno stimatore di µ.
È noto che per il teorema del limite centrale la variabile casuale R̄ può essere ben approssimata da una variabile casuale normale se le variabili casuali
R1 , . . . , RT sono incorrelate e identicamente distribuite e se il numero di osservazioni del campione è elevato (tali condizioni sono spesso verificate nelle analisi
statistiche di rendimenti finanziari). In particolare, risulta che
σ2
R̄ ∼ N µ,
.
T
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2.1. IL VALORE MEDIO
Standardizzando la variabile casuale normale R̄ sotto l’ipotesi nulla, si ottiene
√ R̄ − 0
∼ N(0, 1).
T
σ
√
Poiché r̄ è una realizzazione della variabile casuale R̄, allora T σr̄ è una
realizzazione di una variabile casuale normale standard. Stabilito un livello di
significatività α, v’è evidenza contro l’ipotesi nulla se
√ r̄ T > z α2
σ
dove z α2 è il percentile della variabile normale standard Z tale che
α
P Z > z α2 = .
2
Tuttavia, essendo nel caso in cui i parametri della popolazione sono ignoti,
è necessario sostituire il parametro σ con un quantità stimata dal campione di
osservazioni. Generalmente si considera la stima
v
u
T
u 1 X
(rt − r̄)2 .
s=t
T − 1 t=1
Standardizzando la variabile casuale normale R̄ sotto l’ipotesi nulla si ottiene
ora
√ R̄ − 0
T
∼ tT −1 ,
s
ovvero una variabile casuale t di Student con parametro ν = T − 1.
A rigore ci si dovrebbe dunque riferire ai percentili di questa variabile casuale. Ma è noto che all’aumentare del parametro ν, i percentili della t sono
ben approssimabili dai percentili della variabile casuale normale standard. In
pratica, con ν > 120 non sussiste alcuna differenza apprezzabile, e i percentili
della Z possono essere considerati con molta fiducia. Nelle analisi empiriche i
dati considerati sono sovente parecchie centinaia, per cui l’approssimazione alla
normale standard rappresenta la procedura piú frequentemente adottata.
In conclusione, si ritiene esserci un’evidenza contro l’ipotesi nulla se
√ r̄ (2.1)
T > z α2
s
La figura 2.5 riporta una curva Gaussiana standard in cui sono evidenziate la
regione di accettazione e le due regioni di rifiuto nell’ipotesi in cui α = 0.05.
L’ipotesi di media nulla per i rendimenti del titolo Saipem può essere ritenuta plausibile sulla base del campione osservato per il periodo dal 04/01/2005 al 30/12/2008?
Per rispondere è necessario implementare la procedura descritta, ovvero verificare
la (2.1).
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12CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
0.4
0.35
0.95
0.3
0.25
0.2
Regione di
accettazione
0.15
0.1
0.025
0.025
0.05
0
−4
−3
−2
−1
0
1
2
3
4
Figura 2.5: Regione di accettazione e regioni di rifiuto in una curva normale
standard con α = 0.05.
Poiché r̄ = 0.000632, s = 0.0259 e T = 1010,
√
1010 0.000632 = 0.7755.
0.0259 Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, per cui si conclude che
v’è una chiara evidenza a favore dell’ipotesi nulla di media nulla dei rendimenti.
2.1.1
L’effetto weekend
Una peculiarità dei rendimenti giornalieri è quella di presentare un valor medio
differente nei diversi giorni della settimana. In particolare, si verifica spesso che
i rendimenti del lunedı̀ presentino un segno negativo. Si tratta del cosiddetto effetto weekend, registrato già nei primi anni del XX secolo. Varie sono le
spiegazioni date a questo fenomeno, sebbene ancora nessuna di queste sia del
tutto convincente. Tra le spiegazioni più accreditate, si fa riferimento al fatto
che il lunedı̀ rappresenta un giorno con caratteristiche differenti rispetto agli altri giorni della settimana, poiché sconta l’informazione di un periodo più lungo
(venerdı̀ notte, sabato e domenica). Se in questo periodo vengono rilasciate notizie negative, allora il lunedı̀ tende ad esserci una riduzione dei prezzi azionari
e quindi dei rendimenti. Quindi tale spiegazione poggia la sua ragion d’essere su
un rilascio di notizie di tipo differente durante la settimana (notizie tendenzialmente buone) e durante il weekend (notizie negative). Il riconoscimento della
plausibilità di questa ipotesi incontra tuttora una buona dose di scetticismo. E
in ogni caso si ritiene che esso non possa che costituire una spiegazione parziale
al fenomeno.
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2.2. LA VARIABILITÀ
2.2
La variabilità
In statistica la media rappresenta un valore di sintesi che va opportunamente
integrato con un indicatore della variabilità del fenomeno in esame. Uno stesso
valore medio può infatti derivare da insiemi di dati con gradi di variabilità anche
molto eterogenei. La rilevanza della variabilità nell’ambito dell’analisi dei rendimenti finanziari è connessa alla sua interpretazione. Un’alta variabilità implica
alta dispersione dei rendimenti, ovvero scarsa concentrazione intorno al valore
medio. In altre parole, maggiore è la variabilità dei rendimenti, maggiore è la
volatilità dei rendimenti. E poichè un’elevata volatilità implica che i rendimenti
possano assumere valori molto bassi, il concetto di volatilità equivale a quello
di rischio. Maggiore è la variabilità dei rendimenti di un titolo, maggiore è il
rischio che si affronta detenendo quel titolo.
Tra la moltitudine di indici di variabilità che la letteratura statistica propone, si parlerà della deviazione standard (o scarto quadratico medio) che rappresenta l’indicatore sicuramente più rilevante e della cosiddetta semideviazione
standard.
2.2.1
La deviazione standard
Data una serie di rendimenti rt con t = 1, . . . , T , la deviazione standard è
definita come
v
u
T
u 1 X
s=t
(rt − r̄)2 .
T − 1 t=1
Essa è calcolata utilizzando tutti i rendimenti del periodo specificato. Maggiore è il valore assunto da σ, maggiore è il rischio che si affronta detenendo
quel titolo.
La deviazione standard calcolata con rendimenti giornalieri fornisce una
misura del rischio giornaliero. Se si intende avere una misura della volatilità
riferita non al periodo di un giorno ma al periodo di un anno, è necessario
annualizzare la deviazione standard attravero la formula
√
sA = s g
dove g rappresenta il numero di giorni (giorni di contrattazioni) in un anno.
Al fine di esprimere un giudizio sulla volatilità (e quindi sul rischio) del titolo Saipem
nel periodo indicato, è stata calcolata la deviazione standard. Si è ottenuto un
valore di 0.0259. Tale valore è stato ottenuto da dati giornalieri. Considerando che
mediamente ci sono 252 giorni di contrattazioni, la deviazione standard annualizzata
è data da
√
sA = 0.0259 252 = 0.4111
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14CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
0.2
0.15
0.1
0.05
0
−0.05
−0.1
−0.15
−0.2
0
200
400
600
800
1000
Figura 2.6: Andamento dei rendimenti Saipem nel periodo dal 04/01/2005 al
30/12/2008 suddivisi nei quattro subperiodi.
2.2.2
La semideviazione standard
La deviazione standard è ottenuta come sintesi degli scarti al quadrato tra i
rendimenti e il rendimento medio. Come è noto, questi scarti possono essere negativi (il rendimento è inferiore al rendimento medio) oppure positivi
(il rendimento è superiore al rendimento medio), assumendo nei due casi una
diversa rilevanza. In effetti, sono gli scarti negativi a suscitare preoccupazione.
Si definisce allora la semideviazione standard dei rendimenti di un titolo, s∗ ,
ovvero la deviazione standard calcolata attribuendo valore nullo ad ogni scarto
positivo dal rendimento medio. La semideviazione standard è una misura del
cosiddetto downside risk. Essa viene stimata con i dati a disposizione attraverso
v
u
u
∗
s =t
T
1 X
2
(rt − r̄) I [rt − r̄ < 0],
T − 1 t=1
dove I [rt − r̄ < 0] è una funzione indicatrice, tale che
I [rt − r̄ < 0] =
1
0
se
se
rt − r̄ < 0
rt − r̄ ≥ 0
Al fine di esprimere un giudizio sul downside risk del titolo Saipem nel periodo
indicato, è stata calcolata la semideviazione standard. Si è ottenuto un valore pari
a 0.0180.
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15
2.3. L’ASIMMETRIA
2.2.3
La variabilità della volatilità
Una caratteristica rilevante della volatilità dei titoli finanziari è la non costanza
del tempo. In altre parole, è frequente osservare, per uno specifico titolo, periodi caratterizzati da ampie oscillazioni (e quindi maggiore variabilità e maggiore
rischio) e periodi caratterizzati da oscillazioni di lieve entità (minore variabilità
e minore rischio).
Per verificare se questa caratteristica appartiene anche alla serie che si sta esaminando, si suddivide il periodo di osservazione ancora in quattro anni. Dalla figura 2.6
è già possibile intuire che il quarto anno è caratterizato da una marcata variabilità
rispetto ai precedenti tre anni. Si calcolano quindi per ciascun anno la deviazione
standard e la semideviazione standard. La deviazione standard è pari a 0.0167
(2005), 0.0217 (2006), 0.0184 (2007) e 0.0398 (2008). La semideviazione standard
risulta 0.0120 (2005), 0.0161 (2006), 0.0128 (2007) e 0.0278 (2008). Per tutti e
due gli indici il valore più elevato si registra nell’ultimo anno (2008) e il valore più
basso nel primo anno (2005). Si può notare che i valori più elevati sono più del
doppio dei corrispondenti valori più bassi.
2.3
L’asimmetria
Una distribuzione è simmetrica intorno alla media µ se valori equidistanti da
µ presentano la stessa frequenza. Se f è una funzione di densità, allora si ha
simmetria se in un intorno di µ
f (µ − k) = f (µ + k),
ovvero se la funzione di densità della grandezza (µ − k) è uguale a quella di
(µ + k). Se f (µ − k) 6= f (µ + k), allora si parla di asimmetria (skewness nella
terminologia anglosassone).
La simmetria o asimmetria può essere individuata utilizzando un opportuno
indice statistico, appunto un indice di asimmetria. L’indice di asimmetria più
diffuso è il cosiddetto indice di skewness. Data una serie di rendimenti rt con
t = 1, . . . , T , l’indice di asimmetria è dato da
sk =
m̄3
σ̂ 3
dove m̄3 è il momento centrale di ordine 3,
m̄3 =
e σ̂ è
T
1X
(rt − r̄)3
T t=1
v
u
T
u1 X
2
σ̂ = t
(rt − r̄)
T t=1
MSDF 2011/12 G. De Luca
16CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
−2
−1
0
1
2
3
4
Figura 2.7: Esempio di distribuzione con asimmetria positiva e media nulla
L’indice di asimmetria può anche scriversi come
3
T 1 X rt − r̄
sk =
.
T t=1
σ̂
Se sk = 0 (e ciò si verifica se m̄3 = 0) la distribuzione è simmetrica, in caso
contrario si parla di distribuzione asimmetrica. L’asimmetria può essere positiva
oppure negativa. L’asimmetria è positiva se sk > 0, o anche se m̄3 > 0.1 La
positività implica che la distribuzione dei valori del fenomeno tende ad allungarsi
verso la coda destra, ovvero, in un intorno di µ, f (µ−k) > f (µ+k). Un esempio
di distribuzione positivamente asimmetrica (o asimmetrica a destra) con media
pari a zero è riportato in figura 2.7. Da questa si evince che la moda della
distribuzione è minore della media. Inoltre, caratteristica di ogni distribuzione
asimmetrica a destra è la differenza tra media e mediana (o valore centrale). La
mediana è minore della media. Ciò implica che il numero di osservazioni con un
valore inferiore alla media è maggiore del numero di osservazioni con un valore
superiore (nelle distribuzioni simmetriche essi coincidono).
L’asimmetria è negativa se sk < 0 (m̄3 < 0). In tal caso la distribuzione dei
valori del fenomeno (in questo caso i rendimenti) tende ad allungarsi verso la
coda sinistra, ovvero, in un intorno di µ, f (µ − k) < f (µ + k). Un esempio di
distribuzione negativamente asimmetrica (o asimmetrica a sinistra) è riportato
in figura 2.8. In questo caso sia la moda che la mediana della distribuzione sono
maggiori della media. Il numero di osservazioni con un valore superiore alla
media è maggiore del numero di osservazioni con un valore inferiore.
1 Infatti
σ̂3 non può mai essere negativo.
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17
2.3. L’ASIMMETRIA
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
−4
−3
−2
−1
0
1
2
Figura 2.8: Esempio di distribuzione con asimmetria negativa e media nulla
Tuttavia va specificato che l’indice sk è altamente sensibile a valori molto
lontani dalla media. Qualora esista un rendimento molto basso (molto alto),
questo può influenzare l’indice di asimmetria sk rendendolo negativo (positivo)
indipendentemente dalla forma della distribuzione.
Le indagini empiriche tendono a rilevare nei rendimenti finanziari l’assenza di asimmetria oppure un un lieve grado di asimmetria (in genere negativa).
Una delle ipotesi finalizzate a spiegare l’esistenza di un certo grado di asimmetria negativa nella distribuzione dei rendimenti è rappresentata dalle differenti
reazioni degli operatori finanziari alle informazioni. Reazioni più marcate si
registrano in presenza di notizie non buone (con conseguente discesa dei prezzi
e dei rendimenti), mentre reazioni più caute solitamente seguono notizie buone
(i prezzi e i rendimenti aumentano ma non nella stessa misura delle riduzioni).
La più nota teoria che spiega l’esistenza di una asimmetria negativa nella
distribuzione dei rendimenti è basata sull’assunzione del cosiddetto volatility
feedback, che può essere definito come il risultato dell’effetto delle notizie e della volatilità sui prezzi (e quindi sui rendimenti) di titoli finanziari. Se una
notizia rilevante e non positiva arriva sul mercato, il prezzo di un’attività finanziaria tende a ridursi. Questa riduzione causa un aumento della volatilità
(variabilità). Ma l’aumento della volatilità (aumento del rischio) implica una
ulteriore riduzione del prezzo. Il primo effetto è dunque rafforzato dal secondo.
Essi vanno nella stessa direzione. Al contrario, se una notizia rilevante e positiva
arriva sul mercato il prezzo dell’attività tende ad aumentare. Tuttavia, il movimento causa un aumento della volatilità (variabilità) che causa una riduzione del
prezzo. Questo secondo effetto è dunque di segno opposto al primo e ha l’effetto
di mitigare l’effetto iniziale dei prezzi. La conseguenza di questo meccanismo
è un certo grado di asimmetria negativa dei rendimenti finanziari, in quanto
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18CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
−0.2
−0.15
−0.1
−0.05
0
0.05
0.1
0.15
0.2
Figura 2.9: Istogramma dei rendimenti del titolo Saipem.
grandi rendimenti negativi sono più frequenti di larghi rendimenti positivi.
L’indice di asimmetria calcolato per i rendimenti del titolo Saipem è risultato pari
a 0.0317. C’è, in pratica, assenza di asimmetria.
La figura 2.9 fornisce un riscontro grafico. Essa contiene l’istogramma dei rendimenti del titolo.
Per sottoporre a test l’ipotesi di simmetria (o asimmetria nulla) nella distribuzione della popolazione dei rendimenti,
H0 : Sk = 0
H1 : Sk 6= 0
si può dimostare che, stabilito un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi
nulla se
r
T sk > z α2 .
6 L’ipotesi di asimmetria nulla nella distribuzione dei rendimenti del titolo Saipem può
essere ritenuta plausibile sulla base del campione osservato?
Poiché sk = 0.0317,
r
1010
(0.0317) = 0.4113
6
Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, e poiché 0.4113 < 1.96,
si conclude che v’è una evidenza a favore dell’ipotesi di assenza di asimmetria nella
distribuzione dei rendimenti Saipem.
MSDF 2011/12 G. De Luca
19
2.4. LA CURTOSI
2.4
La curtosi
L’indice di curtosi rappresenta un indicatore di forma della distribuzione dei
dati. Piú in dettaglio l’indice di curtosi serve a misurare la distanza della distribuzione di cui si dispone da uno specifico modello teorico, il modello normale
(o gaussiano).
Data una serie di rendimenti rt con t = 1, . . . , T , l’indice di curtosi è dato
da
m̄4
k= 4
σ̂
dove m̄4 è il momento centrale di ordine 4,
m̄4 =
T
1X
(rt − r̄)4
T t=1
e σ̂ è stato già definito.
L’indice di curtosi può anche scriversi come
k=
4
T 1 X rt − r̄
.
T t=1
σ̂
Nel modello gaussiano k = 3. Valori dell’indice inferiori a 3 sono indicativi
di una distribuzione platicurtica, ovvero con i valori centrali, quelli intorno alla media, e valori estremi, quelli lontani dalla media, meno frequenti rispetto
al modello normale. Valori dell’indice superiori a 3 sono indicativi di una distribuzione leptocurtica, ovvero con i valori centrali e valori estremi piú frequenti
rispetto al modello normale.
Un esempio di distribuzione leptocurtica (o ipernormale) è riportato in figura
2.10.
L’evidenza empirica supporta in modo netto la leptocurtosi delle distribuzioni
dei rendimenti. Lo stesso fenomeno è anche indicato con l’espressione fat tails
largamente utilizzata per indicare, in particolare, la maggiore frequenza rispetto
al modello gaussiano delle osservazioni lontane dalla media e ubicate, quindi,
nelle code della distribuzione.
L’indice di curtosi dei rendimenti del titolo Saipem è largamente superiore a 3
(11.425), evidenziando la presenza del fenomeno della leptocurtosi. Nella figura
2.12 la curva Gaussiana è sovrapposta all’istogramma. Si nota immediatamente la
frequenza osservata dei valori intorno alla media è maggiore rispetto alla frequenza
attesa, mentre per quanto riguarda le code la sola coda sinistra mostra un allontamento dall’ipotesi di Gaussianità.
Per sottoporre a test l’ipotesi di curtosi pari a 3 (ovvero normalità) per i
rendimenti,
H0 : K = 3
H1 : K 6= 3
MSDF 2011/12 G. De Luca
20CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
−5
−4
−3
−2
−1
0
1
2
3
4
5
Figura 2.10: Confronto tra una distribuzione normale (linea puntata) e una
distribuzione leptocurtica (linea continua)
si può dimostrare che, stabilito un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi
nulla se
r
T
(k − 3) > z α2 .
24
L’ipotesi di curtosi pari a 3 nella distribuzione dei rendimenti del titolo Saipem può
essere ritenuta plausibile sulla base del campione osservato?
Poiché k = 11.425,
r
1010
(11.425 − 3) = 54.654.
24
Fissato il livello di significatività α = 0.05, z α2 = 1.96, e poiché 54.654 > 1.96,
si conclude che v’è una forte evidenza contro l’ipotesi di curtosi pari a 3 nella
distribuzione dei rendimenti Saipem. In particolare il campione fornisce una forte
evidenza a favore dell’ipotesi di una distribuzione leptocurtica.
2.5
2.5.1
Test di normalità
Il test di Jarque-Bera
Al fine di verificare l’ipotesi di distribuzione normale di una popolazione da
un campione di osservazioni, una delle piú note procedure è il test di JarqueBera (noto anche come test di Bowman e Shenton) la cui ipotesi nulla è la
MSDF 2011/12 G. De Luca
21
2.5. TEST DI NORMALITÀ
distribuzione normale del fenomeno in esame. Come già osservato sia l’indice di
asimmetria che l’indice di curtosi rappresentano un’indicazione sulla normalità
del fenomeno in esame. In particolare, se si rifiuta l’ipotesi nulla di simmetria
dei rendimenti oppure se si rifiuta l’ipotesi nulla di curtosi uguale a 3 per i
rendimenti, allora l’ipotesi di normalità va riufiutata. Jarque e Bera non fanno
altro che considerare congiuntamente simmetria e curtosi in un’unica procedura
test finalizzata alla verifica di normalità di un campione di rendimenti.
Data una serie di rendimenti rt con t = 1, . . . , T , le due ipotesi (nulla e
alternativa) del test di Jarque-Bera sono dunque
H0 : R ∼ N
H1 : R ∼ F
dove con R si intende la popolazione dei rendimenti, con l’espressione R ∼ N
si intende che la popolazione dei rendimenti segue una distribuzione normale
e infine con l’espressione R ∼ F si intende che la popolazione dei rendimenti
segue una distribuzione F differente dalla normale.
Poiché, come detto, tale test si basa sugli indici di asimmetria e curtosi,
allora le due ipotesi potrebbero anche essere scritte come
H0 : (Sk = 0) ∩ (K = 3)
H1 : (Sk 6= 0) ∪ (K 6= 3)
Si può dimostrare che, dato un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi
nulla se
T 2
T
sk + (k − 3)2 > χ22,α .
(2.2)
6
24
dove χ22,α è il percentile della variabile χ22 tale che
P χ22 > χ22,α = α.
L’ipotesi nulla di normalità è rifiutata per valori alti della statistica. Infatti
valori alti della (2.2) sono causati da un alto valore di sk 2 e/o (k−3)2 , eventi che
si verificano quando si è lontani dall’ipotesi di normalità. Si tratta ovviamente
di un test unilaterale, poiché c’è evidenza contro l’ipotesi nulla solo per valori
molto alti della statistica.
L’ipotesi di distribuzione normale dei rendimenti del titolo Saipem può essere ritenuta plausibile sulla base del campione osservato?
Poiché sk = 0.0317 e k = 11.425,
1010
1010
2
(0.0317) +
(11.425 − 3)2 = 2987.6
6
24
Fissato il livello di significatività α = 0.05, χ2,α = 5.99, e poiché 2987.6 > 5.99
si conclude che v’è una netta evidenza contro l’ipotesi di normalità distributiva dei
rendimenti Saipem.
MSDF 2011/12 G. De Luca
22CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
2.5.2
Il test di Lilliefors
Il test di Lilliefors rappresenta un caso specifico del generico test di Kolmogorov
per verificare la specifica ipotesi di normalità da un campione di osservazioni.
Essa si basa sul confronto tra la funzione di distribuzione (o ripartizione) ipotizzata, ovvero quella normale, e la funzione di distribuzione empirica. Si ricorda
che data una variabile casuale X, la sua funzione di distribuzione è definita da
F (x) = P (X ≤ x). La funzione di distribuzione empirica, indicata con F̂ (x), è
pari alla probabilità di osservare un valore inferiore o uguale a x calcolata come
rapporto tra il numero di osservazioni effettivamente inferiori o uguali al valore
x e il numero totale di osservazioni.
Data una serie di rendimenti rt con t = 1, . . . , T , per implementare la
procedura, occorre inizialmente calcolare i rendimenti standardizzati, ovvero
zt =
rt − r̄
s
quindi si calcola la funzione di distribuzione empirica
F̂ (z) =
#{zt ≤ z}
T
dove il simbolo #{·} indica il numero di volte in cui si è osservato l’evento in
parentesi.
Quanto più la funzione di distribuzione normale ipotizzata Φ(z) si avvicina
alla funzione di distribuzione empirica, tanto più affidabile è l’ipotesi. Il confronto può avvenire, oltre che graficamente, anche statisticamente, utilizzando
un’appropriata procedura di test di ipotesi. Il test si basa sul massimo delle
differenze in valore assoluto tra la funzione di distribuzione empirica e quella
specificata, ovvero
D∗ = sup F̂ (z) − Φ(z) .
Il valore ottenuto deve essere confrontato con dei valori critici opportunamente calcolati. Tuttavia, per un campione maggiore di 35, situazione sempre
verificata per i rendimenti finanziari, si possono utilizzare delle approssimazioni.
In pratica, si calcola la statistica D∗ , quindi si rifiuta l’ipotesi nulla di normalità
se
dα
D∗ > √
T
con dα che dipende dal livello di significatività del test, α. Tra i valori più
utilizzati, si ricorda d0.05 = 0.89 e d0.01 = 1.04.
Per i rendimenti del √
titolo Saipem√ si calcola il test di Lilliefors. Risulta D∗ =
0.070. Poiché d0.05 / T = 0.89/ 1010 = 0.028, si rifuta l’ipotesi di normalità.
La figura 2.11 riporta le funzioni di distribuzione empirica e teorica. Esse appaiono
decisamente distinguibili, chiaro segno che esse non possono essere considerate
uguali.
Nella figura 2.12 all’istogramma dei rendimenti Saipem è stata sovrapposta
la curva normale la cui inadeguatezza è palese. In particolare, è evidente che
MSDF 2011/12 G. De Luca
23
2.6. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI
1
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
0
200
400
600
800
1000
Figura 2.11:
Confronto tra funzione di distribuzione empirica (linea
tratteggiata) e funzione di distribuzione teorica normale (linea continua).
per i valori centrali (intorno alla media) la frequenza dei rendimenti osservati
è ampiamente maggiore della frequenza attesa sulla base della curva normale.
Inoltre anche la coda sinistra della distribuzione non è ben descritta dalla curva
normale: la frequenza dei rendimenti osservati è ancora maggiore della frequenza
attesa.
2.6
L’autocorrelazione dei rendimenti
Il coefficiente di correlazione lineare è un indice statistico che misura il legame
lineare esistente tra due variabili X e Y . La correlazione è data dal rapporto
tra la covarianza tra le due variabili e il prodotto dei rispettivi scarti quadratici
medi, ovvero
Cov(X, Y )
p
Corr(X, Y ) = p
.
Var(X) Var(Y )
Il coefficiente di correlazione assume valori compresi tra -1 e +1,
−1 ≤ Corr(X,Y) ≤ +1
Si tratta di un indice che fornisce informazioni sul legame lineare esistente
tra le due variabili. L’indice è pari a 0 se non esite alcuna correlazione di tipo
lineare tra le due variabili. L’indice è diverso da 0 in presenza di un legame
di tipo lineare. L’indice è negativo in presenza di un legame di tipo lineare
indiretto, è positivo in presenza di un legame di tipo lineare diretto. Tanto più
l’indice si allontana dallo 0, maggiore è la forza del legame lineare. Un legame di
tipo lineare (ad es. X = aY ) fa sı̀ che l’indice assuma il suo valore più estremo
MSDF 2011/12 G. De Luca
24CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
−0.2
−0.15
−0.1
−0.05
0
0.05
0.1
0.15
0.2
Figura 2.12: Istogramma dei rendimenti del titolo Saipem e curva normale.
(-1 se a < 0 oppure +1 se a > 0). Al contrario, un eventuale legame di tipo non
lineare non viene colto da questo indice. In altre parole, la correlazione tra due
variabili X e Y può risultare nulla anche in presenza di una relazione tra le due
variabili che è però di tipo non lineare.
Il coefficiente di correlazione lineare viene utilizzato per misurare l’eventuale
legame tra il rendimento di un generico tempo t e il rendimento del tempo t − k.
Poiché si tratta di una correlazione misurata tra lo stesso fenomeno osservato in
tempi diversi, si parla di autocorrelazione. L’intero k viene anche detto ritardo
(o lag).
Le ricerche empiriche sui rendimenti evidenziano una correlazione prossima
allo zero per ogni ritardo k considerato.
Data una serie di rendimenti rt con t = 1, . . . , T , il coefficiente di autocorrelazione al ritardo k, Corr(Rt , Rt−k ), è generalmente indicato con ρk . Esso è
calcolato dai rendimenti osservati come
Cov(rt , rt−k )
p
ρ̂k = p
,
Var(rt ) Var(rt−k )
che, sotto l’assunzione Var(rt ) = Var(rt−k ), diviene
PT
(rt − r̄) (rt−k − r̄)
ρ̂k = t=k+1
.
PT
2
t=1 (rt − r̄)
Si riportano graficamente le autocorrelazioni fino al ritardo k = 25 per i rendimenti
del titolo Saipem (figura 2.13).
Tutte le autocorrelazioni, siano esse positive o negative, sono molto vicine allo
zero, evidenziando l’assenza di un significativo legame tra i rendimenti osservati in
tempi diversi.
MSDF 2011/12 G. De Luca
25
2.6. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI
1
0.8
0.6
0.4
0.2
ρ̂ k
0
−0.2
−0.4
−0.6
−0.8
−1
0
5
10
15
20
25
k
Figura 2.13: Autocorrelazione per i rendimenti del titolo Saipem fino al ritardo
25.
Al fine di trarre conclusioni sulla popolazione, si considera un test di ipotesi
con
H0 : ρ k = 0
H1 : ρk 6= 0
dove ρk indica il coefficiente di autocorrelazione al ritardo k della popolazione.
Si può dimostrare che, dato un livello di significatività α, si rifiuta l’ipotesi
nulla se
√
T ρ̂k > z α2 .
È fondamentale notare che la regola decisionale (accettare o rifiutare l’ipotesi
nulla) può essere riscritta nel seguente modo: si rifiuta l’ipotesi nulla se
zα
|ρ̂k | > √2 ,
T
ovvero se
zα
ρ̂k > √2 ,
T
oppure
zα
ρ̂k < − √2 .
T
Ciò vuol dire che i valori critici che separano la regione di accettazione e
zα
zα
la regione di rifiuto, ovvero − √2T e √2T non dipendono da k, ovvero non mutano qualunque sia il valore di k. Ciò è di grande aiuto nella costruzione di
un grafico, detto correlogramma, che si ottiene semplicemente aggiungendo al
MSDF 2011/12 G. De Luca
26CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
1
0.8
0.6
0.4
0.2
ρ̂ k
0
−0.2
−0.4
−0.6
−0.8
−1
0
5
10
15
20
25
k
Figura 2.14: Autocorrelazione per i rendimenti del titolo Saipem fino al ritardo
25 con le bande di confidenza al livello di significatività α = 0.05.
grafico precedente, che riporta le autocorrelazioni in funzione dei ritardi, due
zα
zα
linee parallele all’asse delle ascisse ai livelli − √2T e √2T .
√
e
In particolare, se α = 0.05, allora z α2 = 1.96 e le due bande sono −1.96
T
1.96
√ .
T
È facile verificare dal grafico se ad uno specifico ritardo k si accetta l’ipotesi
nulla (in questo caso l’autocorrelazione deve essere compresa tra le due bande)
o se rifiuta l’ipotesi nulla (in questo caso l’autocorrelazione deve fuoriuscire da
una delle due bande, a seconda del segno).
L’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti del
titolo Saipem può essere ritenuta plausibile sulla base del campione osservato?
Il test di ipotesi si configura con le seguenti ipotesi:
H0 : ρ 1 = 0
H1 : ρ1 6= 0
Dalla figura 2.14 è evidente che l’autocorrelazione al ritardo 1 è compresa tra le
due bande e dunque si accetta l’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1. Più
in dettaglio, risulta ρ̂1 = −0.0086 e, con α = 0.05,
zα
1.96
√ 2 = √
= 0.0617
1010
1010
Poiché −0.0617 < −0.0086 < 0.0617, si conclude che v’è una evidenza a favore
dell’ipotesi di autocorrelazione nulla al ritardo 1 nella distribuzione dei rendimenti
Saipem. Dal grafico è poi evidente che l’ipotesi nulla si accetta per tutti i valori di
k (ad eccezione di k = 13 e k = 17). Da un punto di vista interpretativo i ritardi
MSDF 2011/12 G. De Luca
27
2.6. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI
0.16
0.14
0.95
0.12
0.1
0.08
Regione di
accetazione
0.06
0.04
0.05
0.02
0
0
5
10
15
Figura 2.15: Regione di accettazione e regione di rifiuto in una χ25 con α = 0.05.
più rilevanti sono i primi (in linea di massimo i primi 5, poiché in una settimana ci
sono 5 giorni di contrattazioni). Un’autocorrelazione significativa al ritardo 13 o al
ritardo 17 è dunque da considerare scarsamente rilevante a fini interpretativi.
Una più generale procedura è rappresentata dal test di Ljung-Box, la cui ipotesi
da verificare è l’assenza di correlazione per i primi m ritardi,
H0 : ρ 1 = ρ 2 = . . . = ρ m = 0
contro l’ipotesi alternativa che almeno uno dei coefficienti di autocorrelazione
sia diverso da zero.
Il test si basa sul calcolo della statistica
Q(m) = T (T + 2)
m
X
k=1
(T − k)−1 ρ̂2k .
Si può dimostrare che, fissato un livello di significatività α, l’ipotesi nulla è
rifiutata se
m
X
T (T + 2)
(T − k)−1 ρ̂2k > χ2m,α .
k=1
χ25
La figura 2.15 riporta una
in cui sono evidenziate la regione di accettazione
e la regione di rifiuto con α = 0.05.
L’ipotesi nulla di autocorrelazione nulla ai primi 5 ritardi nella distribuzione dei
rendimenti del titolo Saipem può essere ritenuta plausibile sulla base del campione
osservato? Dopo aver calcolato le prime 5 autocorrelazioni si ottiene
Q(5) = 2.7233
MSDF 2011/12 G. De Luca
28CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
Fissato il livello di significatività α = 0.05, il valore critico che separa regione di
accettazione e regione di rifiuto risulta, utilizzando la tavola della χ25 , pari a 11.07.
Poiché 2.7233 < 11.07, si conclude quindi che v’è una chiara evidenza a favore
del’ipotesi nulla
H0 : ρ1 = ρ2 = ρ3 = ρ4 = ρ5 = 0.
2.7
L’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato
Lo stesso coefficiente di correlazione lineare viene utilizzato per misurare il
legame che esiste tra i rendimenti al quadrato ai tempi t e t − k.
L’analisi della correlazione tra i rendimenti al quadrato può essere vista
come un’analisi della relazione tra l’entità dei rendimenti nel tempo, indipendentemente dal segno. Una correlazione elevata implica che rendimenti lontani
dallo zero (ovvero lontani dalla media) tendono ad essere seguiti da rendimenti
lontani dalla media, anche se di segno opposto. Una correlazione bassa implica
l’assenza di questo tipo di relazione.
In genere, si rileva una correlazione abbastanza alta, comunque maggiore
di quella tra i rendimenti analizzata nel paragrafo precedente. Tale relazione
è stata enfatizzata per la prima volta da Mandelbrot nel 1963.2 Egli diede a
tale fenomeno la denominazione di volatility clustering e ancora oggi si utilizza
questa espressione per indicare l’aggregazione temporale tra rendimenti lontani
dallo zero e rendimenti prossimi allo zero. L’esistenza del fenomeno del volatility
clustering implica l’alternarsi di periodi turbolenti, caratterizzati da rendimenti
lontani dalla media, e periodi di calma, con rendimenti che non si discostano
molto dalla media.
Il plot dei rendimenti del titolo Saipem (figure 2.2) esemplifica l’esistenza di periodi
di calma e periodi turbolenti. La figura 2.16 conferma l’esistenza di una correlazione
tra i rendimenti al quadrato non trascurabile.
Al fine di trarre conclusioni sulla popolazione, si considera un test di ipotesi
con
H0 : ρ k = 0
H1 : ρk 6= 0
dove ora ρk indica il coefficiente di autocorrelazione tra i rendimenti al quadrato
al ritardo k della popolazione, ovvero
2
ρk = Corr(Rt2 , Rt−k
).
2 ”...large changes tend to be followed by large changes - of either sign - and small changes
tend to be followed by small changes” (Mandelbrot, 1963).
MSDF 2011/12 G. De Luca
2.7. L’AUTOCORRELAZIONE DEI RENDIMENTI AL QUADRATO
29
1
0.8
0.6
0.4
0.2
ρ̂ k
0
−0.2
−0.4
−0.6
−0.8
−1
0
5
10
15
20
25
k
Figura 2.16: Autocorrelazione per i rendimenti al quadrato del titolo Saipem
fino al ritardo 25.
Per l’eventuale rifiuto dell’ipotesi nulla, dato un livello di significatività α,
si segue la procedura già vista.
Da un punto di vista grafico si considera il correlogramma, ovvero il grafico
delle autocorrelazioni integrato con le bande di confidenza.
Dal grafico 2.17 è evidente che l’ipotesi nulla si rifiuta per tutti i valori di k
considerati.
Il test di Ljung-Box fornisce con m = 5 un valore pari a 214.99, palesemente
al di sopra del valore critico 11.07.
Una diffusa alternativap
è quella di esaminare i rendimenti in valore assoluto,
dunque |rt |. Poiché |rt | = rt2 , ovvero una trasformazione monotona dei rendimenti al quadrato, è naturale che le indicazioni che emergono dall’analisi dei
rendimenti in valore assoluto non si discostano da quelle emerse dai rendimenti
al quadrato.
La figura 2.18 evidenzia che le autocorrelazioni fino al ritardo 25 dei rendimenti in valore assoluto sono tutte significativamente diverse da zero, come per
i rendimenti al quadrato.
MSDF 2011/12 G. De Luca
30CAPITOLO 2. L’ANALISI STATISTICA DEI RENDIMENTI FINANZIARI
1
0.8
0.6
0.4
0.2
ρ̂ k
0
−0.2
−0.4
−0.6
−0.8
−1
0
5
10
15
20
25
k
Figura 2.17: Autocorrelazione per i rendimenti al quadrato del titolo Saipem
fino al ritardo 25 con le bande di confidenza al livello di significatività α = 0.05.
1
0.8
0.6
0.4
0.2
ρ̂ k
0
−0.2
−0.4
−0.6
−0.8
−1
0
5
10
15
20
25
k
Figura 2.18: Autocorrelazione per i rendimenti in valore assoluto del titolo
Saipem fino al ritardo 25 con le bande di confidenza al livello di significatività
α = 0.05.
MSDF 2011/12 G. De Luca
Capitolo 3
L’analisi del portafoglio
Per portafoglio si intende un generico insieme di N titoli finanziari detenuti in
proporzioni (w1 , w2 , . . . , wN ). La somma delle proporzioni deve essere pari a 1,
PN
i=1 wi = 1.
L’analisi dei portafogli è sicuramente di rilevante interesse pratico, poiché
nella realtà l’acquisto e la detenzione di più titoli rappresenta un’elementare
regola di diversificazione del rischio.
Ad essere più precisi, tale obiettivo di diversificazione dipende crucialmente
dalla relazione esistente tra i rendimenti dei titoli costituenti il portafoglio. Un
esempio limite potrebbe essere utile. Se il portafoglio fosse costituito da titoli
azionari di società diverse ma appartenenti allo stesso settore, una crisi del settore potrebbe causare una discesa dei rendimenti di tutti i titoli. In tal caso il
rischio non è diversificato, ma piuttosto amplificato. Intuitivamente, la diversificazione è ottenuta componendo il portafoglio di titoli che si presume non siano
influenzati dagli stessi fattori. Da un punto di vista statistico, occorre guardare
agli indici che esprimono la relazione esistente tra i titoli che compongono il
portafoglio.
Un esempio che considera un portafoglio P composto di due soli titoli può
essere didatticamente efficace. I titoli considerati sono indicati con 1 e 2 detenuti
rispettivamente in proporzione w1 e w2 .
Indicando con Ri la variabile casuale che descrive il rendimento del generico
titolo i = 1, 2 in ogni tempo t di media E(Ri ) = µi e varianza Var(Ri ) =
σi2 , si definisce il rendimento del portafoglio come la combinazione lineare dei
rendimenti dei titoli costituenti il portafoglio secondo i pesi specificati,
RP = w1 R1 + w2 R2 .
Ad esempio si consideri di avere un portafoglio costituito da 2 titoli, il titolo
1 e il titolo 2 aventi al tempo t come prezzi P1 = 20 e P2 = 5. Al tempo t il
nostro portafoglio ha un valore pari a 25. Il peso del titolo 1 è ottenuto come
5
20
= 0.80 mentre il peso del titolo 2 è w2 = 25
= 0.20. Se i rendimenti al
w1 = 25
tempo t + 1 sono rispettivamente R1 = 0.10 e R2 = 0.20, allora il rendimento
31
MSDF 2011/12 G. De Luca
32
CAPITOLO 3. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO
del portafoglio è
RP = 0.80 · 0.10 + 0.20 · 0.20 = 0.12,
il che implica che al tempo t+1 il valore del portafoglio diviene 25·(1+0.12) = 28.
Allo stesso risultato si perviene consierando che al tempo t+ 1 il valore del titolo
1 diviene 20 · (1 + 0.10) = 22 e il valore del titolo 2 5 · (1 + 0.20) = 6. La somma
22 + 6 = 28 riporta al risultato prima ottenuto.
Il valore atteso e la varianza della variabile casuale RP sono
E(RP ) = w1 µ1 + w2 µ2 ,
e
Var(RP ) = w12 σ12 + w22 σ22 + 2w1 w2 σ12 .
Fissate le quantità σ12 e σ22 , Var(RP ) muterà al mutare della quantità σ12
che esprime la covarianza (quindi il legame lineare) esistente tra i rendimenti
dei due titoli. Se si considerano i tre casi possibili, σ12 < 0, σ12 = 0 e σ12 > 0,
è evidente che essi corrispondono a situazioni di crescente variabilità (Var(RP )
aumenta) ovvero situazioni caratterizzate da una decrescente diversificazione del
rischio.
Il livello più basso che Var(RP ) può raggiungere in questo esempio si ha
quando tra i due titoli esiste una perfetta relazione lineare negativa1
σ12 = −σ1 σ2 .
In generale, considerando un portafoglio P costituito da N titoli, si ha
RP =
N
X
wi Ri .
i=1
La variabile casuale RP ha media
E(RP ) =
N
X
wi µi
i=1
e varianza
Var(RP ) =
N
X
wi2 σi2 + 2
i=1
N
−1 X
X
wi wj σij ,
i=1 j>i
dove σij è la covarianza tra Ri e Rj .
1 Il
risultato si basa sulla considerazione che ρij , il coefficiente di correlazione lineare tra
σ
Ri e Rj , è uguale a σ ij
, e poiché −1 ≤ ρij ≤ 1, il valore minimo che può assumere σij è
i σj
−σi σj .
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3.1. LA FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI CON N TITOLI RISCHIOSI33
3.1
La frontiera dei portafogli efficienti con N
titoli rischiosi
Dati N titoli rischiosi è possibile costruire infiniti portafogli cambiando le proporzioni dei diversi titoli. È possibile che esistano portafogli che dominino altri
portafogli. È possibile, cioè, che esistano 2 portafogli, PA e PB , tali che
1. E(RPA ) > E(RPB )
2. Var(RPA ) ≤ Var(RPB )
In questo caso, il portafoglio PA domina il portafoglio PB , poiché ha un rendimento atteso maggiore e un rischio minore o al massimo uguale rispetto al rischio
di PB . È razionale, dunque, scegliere il portafoglio PA .
Allo stesso modo, se
1. E(RPA ) ≥ E(RPB )
2. Var(RPA ) < Var(RPB )
il portafoglio PA domina il portafoglio PB perché presenta un rischio minore e
un rendimento atteso maggiore o al limite uguale al rendimento atteso di PB .
Anche in questo caso è razionale scegliere il portafoglio PA .
In generale, sono definiti efficienti quei portafogli che presentano la più bassa
varianza a parità di valore atteso e il più alto valore atteso a parità di varianza.
Si pone dunque il problema della individuazione dei portafogli efficienti
tra tutti i possibili portafogli che si possono formare con N titoli. Si tratta di un problema di ottimizzazione vincolata. Fissato un rendimento atteso
E(RP ) = µ̄P , si vogliono individuare quei pesi (w1 , w2 , . . . , wN ) che minimizzano la varianza del portafoglio Var(RP ) = σP2 .2
Da un punto di vista formale si tratta di un problema di minimizzazione
vincolata:
PN
PN −1 P
2 2
Minwi σP2 =
i=1 wi σi + 2
i=1
j>i wi wj σij
s.v.
PN
w
= µ̄P
i=1 i µi
P
N
w
=
1
i=1 i
wi ≥ 0 ∀i
Il primo vincolo stabilisce qual è il rendimento atteso che si desidera ottenere.
Il secondo vincolo assicura che la somma delle proporzioni sia pari all’unità.
Inoltre, è imposto un vincolo di non-negatività delle proporzioni. Ciò implica
che una proporzione wi non può risultare negativa.3
2 In alternativa, fissato un valore della varianza, si vogliono individuare quei pesi
(w1 , w2 , . . . , wN ) che massimizzano il rendimento atteso E(RP ).
3 Un w negativo è teoricamente concepibile. Esso descrive una posizione short, ovvero
i
una vendita allo scoperto del titolo i. Tuttavia, poiché tali posizioni short sono difficili da
implementare, non pochi operatori preferiscono considerare il vincolo di non-negatività dei
pesi wi .
MSDF 2011/12 G. De Luca
34
CAPITOLO 3. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO
0.12
b
0.1
c
0.08
µ
P
0.06
a
GMV
d
0.04
0.02
0
1.8
1.9
2
2.1
σ
2.2
2.3
2.4
2.5
P
Figura 3.1: La curva che descrive i portafogli a varianza minima.
Lo stesso problema di minimizzazione può essere scritto in maniera più compatta utilizzando la forma matriciale. Definendo:
R il vettore di ordine N × 1 dei rendimenti degli n titoli,
w il vettore di ordine N × 1 delle proporzioni degli N titoli,
µ il vettore di ordine N × 1 dei valori attesi dei rendimenti degli N titoli,
Σ la matrice N × N di varianza e covarianza dei rendimenti degli N titoli,4
1 il vettore N × 1 composto da 1, [1 1 . . . 1]′ ,
il problema di minimizzazione vincolato può impostarsi come
Minwi
σP2
s.v.
w′ µ
w′ 1
wi
= w′ Σw
= µ̄P
= 1
≥ 0 ∀i
La risoluzione analitica di un problema di ottimizzazione vincolato richiede
l’impiego del metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Ma il progresso informatico consente di utilizzare semplici algoritmi numerici per raggiungere lo stesso
obiettivo in pochi secondi.5
Al termine si ottiene una coppia di valori (σP2 , µP ) che contraddistingue
un portafoglio a varianza minima. A partire dagli N titoli considerati non è
4 Più
in dettaglio

σ12
Σ =  ..
.
σN1
σ12
...
σN2
...
σ1N
..
.
2
σN

 .
5 In Excel la funzione Risolutore fornisce le soluzioni di un problema di ottimizzazione
vincolato.
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3.1. LA FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI CON N TITOLI RISCHIOSI35
0.12
0.1
0.08
µ
P
0.06
0.04
0.02
0
1.8
1.9
2
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
σP
Figura 3.2: La frontiera efficiente nel caso di soli titoli rischiosi.
cioè possibile costituire un portafoglio con lo stesso rendimento atteso e una
varianza (rischio) minore. Ripetendo il problema per diversi valori di E(RP ),
si ottengono diverse coppie (σP2 , E(RP )). Riportando queste coppie di valori su
un sistema di assi cartesiani e congiungendo i relativi punti si ottiene una curva.
Tradizionalmente si considera sull’asse delle ascisse lo scarto quadratico medio
(in luogo della varianza) di un portafoglio.
La rappresentazione grafica dell’insieme delle soluzioni è riportata in figura
3.1, dove sull’asse delle ascisse viene considerata la deviazione standard σP e
sull’asse delle ordinate il rendimento medio µP .
Tutti punti interni alla curva rappresentano portafogli realizzabili (ad esempio il punto a). L’insieme dei punti esterni alla curva sono portafogli non
realizzabili. Si consideri ad esempio il punto b: esso rappresenta una coppia rendimento atteso - scarto quadratico medio che non è possibile ottenere
combinando gli N titoli esistenti sul mercato.
Il portafoglio ubicato sul vertice sinistro della curva è il portafoglio con la
varianza minima globale (GM V ). Ogni portafoglio situato sulla parte crescente
della curva è un portafoglio efficiente. Si confrontino, ad esempio, i portafogli c
e d. Essi risultano dalla risoluzione di due distinti problemi di minimizzazione
vincolata, partendo da differenti livelli del rendimento atteso. Tuttavia, è evidente che il portafoglio c domina il portafoglio d, poiché ha un valore atteso
maggiore, a parità di varianza. Quindi il portafoglio c è efficiente, mentre il
portafoglio d non è efficiente. Lo stesso ragionamento può essere fatto per dimostrare che ogni portafoglio della parte decrescente della curva è dominato da
un portafoglio situato nella parte crescente della curva. L’insieme dei portafogli
efficienti dà luogo alla cosiddetta frontiera dei portafogli efficienti (figura 3.2).
MSDF 2011/12 G. De Luca
36
3.2
CAPITOLO 3. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO
La frontiera dei portafogli efficienti in presenza di un riskfree
Il problema della individuazione della frontiera dei portafogli efficienti dà origine
ad una diversa soluzione quando in aggiunta agli N titoli rischiosi (dunque con
varianza non nulla) si considera un (N + 1)-esimo titolo caratterizzato da un
rendimento certo, senza alcun rischio (riskfree nella terminologia anglosassone).
Il rendimento del titolo riskfree, Rf , non è dunque una variabile casuale, ma
una costante, un dato certo. Quindi E(Rf ) = Rf e Var(Rf ) = 0. L’inserimento
di un riskfree in un portafoglio costituito da N titoli rischiosi modifica il rendimento atteso del portafoglio, ma non la sua varianza. Infatti un rendimento di
un portafoglio P costituito da N + 1 titoli, di cui N rischiosi e uno non rischioso
in proporzione wf , è dato da
E(RP ) =
N
X
wi E(Ri ) + wf Rf ,
i=1
PN
PN −1 P
mentre la sua varianza continua ad essere σP2 = i=1 wi2 σi2 +2 i=1
j>i wi wj σij .
Il problema di minimizzazione vincolata diviene allora
PN
PN −1 P
2 2
Minwi σP2 =
i=1 wi σi + 2
i=1
j>i wi wj σij
s.v.
PN
wi µi + wf Rf = µ̄P
i=1P
N
= 1
i=1 wi + wf
wi ≥ 0 ∀i
wf ≥ 0
oppure, scritto in forma matriciale,
Minwi σP2
s.v.
w′ µ + wf Rf
w′ 1 + wf
wi
wf
= w′ Σw
=
=
≥
≥
µ̄P
1
0 ∀i
0
La soluzione di questo problema ci dice come il portafoglio è efficientemente
ripartito tra componente non rischiosa e componente rischiosa, e la composizione
di quest’ultima.
La rappresentazione grafica dell’insieme delle soluzioni origina la frontiera
dei portafogli efficienti in presenza di un risk-free. Un esempio è riportato in
figura 3.3. In tal caso la relazione tra σP e µP è di tipo lineare. Dunque è la
linea retta a rappresentare la frontiera efficiente nel caso di N titoli rischiosi e
un titolo privo di rischio. L’altra curva nel grafico è la frontiera efficiente ricavata in precedenza (N titoli rischiosi). Le due curve sono tangenti in un punto
che sarà successivamente richiamato. La retta interseca l’asse delle ascisse nel
MSDF 2011/12 G. De Luca
3.2. LA FRONTIERA DEI PORTAFOGLI EFFICIENTI IN PRESENZA DI UN RISKFREE37
0.12
0.1
M
0.08
µ
P
0.06
0.04
0.02
R
f
0
0
0.5
1
1.5
2
σ
2.5
3
3.5
4
P
Figura 3.3: Frontiera efficiente nel caso di N titoli rischiosi e un titolo privo di
rischio.
punto di coordinate (0, Rf ). Questo punto individua un portafoglio costituito
esclusivamente dal titolo privo di rischio, ovvero quel portafoglio caratterizzato da pesi wi = 0 per i = 1, . . . , N e wf = 1. Naturalmente il rendimento
medio di un simile portafoglio è uguale al rendimento del risk-free, Rf e la sua
deviazione standard è nulla. Spostandosi da questo punto lungo la retta si incontrano portafogli caratterizzati da un rendimento medio via via superiore e
una variabilità (non nulla) crescente. Questi portafogli sono costituiti non solo
dal risk-free (wf < 1), ma anche da altri titoli rischiosi. Ad un certo punto si
incontra il portafoglio caratterizzato da wf = 0, ovvero un portafoglio costituito
solamente da titoli rischiosi. Si può dimostrare che questo portafoglio, indicato con M , appartiene anche alla frontiera dei portafogli efficienti costruita in
presenza solamente di N titoli rischiosi. Da un punto di vista grafico, questo
portafoglio è ubicato nel punto di tangenza tra le due curve.
Questo particolare portafoglio M è noto come portafoglio di mercato e riveste
una grande importanza nella teoria del portafoglio. Esso rappresenta la combinazione ottimale di titoli rischiosi, poiché è una combinazione non migliorabile.
Tutti i portafogli efficienti situati sulla frontiera individuata nel caso di N titoli
rischiosi, ad eccezione del portafoglio di mercato, infatti, sono migliorabili poiché
l’inclusione del titolo privo di rischio consente di individuare un portafoglio con
lo stesso rischio ma con un rendimento maggiore.
È semplice verificare che la soluzione dei problemi di minimizzazione vincolata nel caso di N titoli rischiosi e un titolo privo di rischio dà origine ad una
retta. Infatti, si consideri il portafoglio P costituito da una componente rischiosa
(l’insieme dei titoli rischiosi presenti in P ) e una componente non rischiosa. Si
indichi con A la componente rischiosa, che a sua volta è un portafoglio, e con
MSDF 2011/12 G. De Luca
38
CAPITOLO 3. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO
RA la variabile casuale che descrive il rendimento di A di media µA e varianza
2
σA
.
La proporzione di questa componente rischiosa del portafoglio è pari a 1−wf ;
quindi il rendimento del portafoglio P può scriversi come
RP = (1 − wf )RA + wf Rf ,
per cui il rendimento atteso è
µP = (1 − wf )µA + wf Rf ,
(3.1)
mentre la varianza può scriversi come
2
σP2 = (1 − wf )2 σA
.
Dall’espressione della varianza si deduce l’espressione di (1 − wf ), come rapporto tra la deviazione standard del portafoglio P e la deviazione standard del
portafoglio A,
σP
1 − wf =
(3.2)
σA
A questo punto, sostituendo la (3.2) nella (3.1) si ottiene
σP
σP
µP =
µA + 1 −
Rf ,
σA
σA
da cui si facilmente si deduce
µP = Rf +
1
(µA − Rf ) σP .
σA
(3.3)
È evidente l’esistenza di una relazione lineare tra µP e σP . La retta (3.3) ha
intercetta Rf e coefficiente angolare pari a σ1A (µA − Rf ).
La (3.3) è la cosidetta capital market line.
Alla risoluzione pratica dei problemi di minimizzazione vincolata presentati
(con e senza il titolo privo di rischio) si giunge sostituendo ai valori non noti
della popolazione, (µi , σi e σij ) le stime ottenute dai dati a disposizione (r̄i , σ̂i
e σ̂ij ).
3.3
L’asset allocation
Il problema della scelta dei titoli e dei loro pesi per la composizione di un
portafoglio è noto come asset allocation. In questa sede si è tralasciata la prima
fase, la scelta dei titoli (stock selection) e si è posto l’accento sul problema per
l’individuazione dei pesi dei singoli titoli. Il modello più semplice e largamente
utilizzato è stato esposto nei paragrafi precedenti. Esso è ampiamente noto
come modello di Markowitz. Questa struttura di base può essere modificata o
integrata sulla base di specifiche esigenze.
MSDF 2011/12 G. De Luca
3.3. L’ASSET ALLOCATION
39
1. È possibile inserire ulteriori vincoli che tengano conto di limiti (inferiori
e/o superiori) sui pesi dei titoli. Ad esempio, si potrebbe voler imporre che
il peso di ogni titolo non sia superiore al 5%. Il problema di minimizzazione
vincolata diviene
PN
PN −1 P
2 2
Minwi σP2 =
i=1 wi σi + 2
i=1
j>i wi wj σij
s.v.
PN
wi µi + wf Rf = µ̄P
i=1P
N
= 1
i=1 wi + wf
0 ≤ wi ≤ 0.05 ∀i
0 ≤ wf ≤ 0.05
In alternativa si potrebbe voler imporre che il peso dei titoli appartenenti
ad uno specifico settore (titoli indicati da 1 a M ) non sia inferiore al 30%.
Il problema di minimizzazione vincolata diviene
Minwi σP2
s.v.
PN
w
µ
+
w
Rf
i
i
f
i=1P
N
w
+
wf
i=1 i
wi
wf
PM
i=1 wi
=
=
=
≥
≥
≥
PN
i=1
wi2 σi2 + 2
µ̄P
1
0 ∀i
0
0.30
PN −1 P
i=1
j>i
wi wj σij
2. È possibile modificare la funzione obiettivo. Tipicamente, l’obiettivo è
la minimizzazione della varianza, ovvero la minimizzazione della somma
degli scarti al quadrato tra i rendimenti e il rendimento medio. Come
è noto, questi scarti possono essere negativi (il rendimento è inferiore al
rendimento medio) oppure positivi (il rendimento è superiore al rendimento medio), assumendo nei due casi una diversa rilevanza. Sono gli scarti
negativi a suscitare preoccupazione. Si definisce allora la semivarianza dei
rendimenti del titolo i, σi2∗ , ovvero la varianza calcolata attribuendo valore nullo ad ogni scarto positivo dal rendimento medio. La semivarianza
è una misura del cosiddetto down-side risk. Essa viene stimata con i dati
a disposizione attraverso
σ̂i2∗ =
T
1X
2
(rit − r̄i ) I [rit − r̄i < 0] ,
T t=1
dove rit è il rendimento del titolo i al tempo t, r̄i è il rendimento medio
del titolo i calcolato nel periodo da 1 a T e I [rit − r̄i < 0] è una funzione
indicatrice, tale che
1 se rit − r̄i < 0
I [rit − r̄i < 0] =
0 se rit − r̄i > 0
MSDF 2011/12 G. De Luca
40
CAPITOLO 3. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO
L’obiettivo diviene la minimizzazione della semivarianza del portafoglio.
Il problema di minimizzazione vincolata è
Minwi σP2∗
s.v.
PN
w
µ
+
w
f Rf
i=1Pi i
N
i=1 wi + wf
wi
wf
=
=
≥
≥
µ̄P
1
0
0
3. È possibile ancora modificare la funzione obiettivo. Non ci si pone più
l’obiettivo di comporre un portafoglio che, sotto certi vincoli, abbia la
minima varianza (o semivarianza), ma si intende comporre un portafoglio
che si avvicini il più possibile ad un benchmark.
Per benchmark si intende un portafoglio che rappresenta l’obiettivo di un
investitore. Se si intende acquistare un portafoglio di azioni italiane, allora
un benchmark potrebbe essere costituito da un indice che viene considerato
rappresentativo del mercato azionario italiano (es. FTSE Mib). La bontà
della gestione di un portafoglio di titoli (ovvero, in altre parole, l’abilità
del gestore) viene valutata confrontando il rendimento del portafoglio con
il rendimento del benchmark.
Quando l’obiettivo è quello di replicare il rendimento del benchmark, ovvero
ottenere un rendimento uguale o molto vicino a quello del benchmark, si
parla di gestione passiva di un portafoglio. La problematica connessa con
una gestione passiva del portafoglio concerne la scelta di un opportuno
sottoinsieme dei titoli che compongono il benchmark. Se, ad esempio, il
benchmark è rappresentato dall’indice FTSE Mib, un indice composto da
40 titoli azionari, allora l’obiettivo di una gestione passiva può essere quello
di raggiungere un rendimento uguale (o molto vicino) a quello dell’indice
con un portafoglio costituito da 10-12 titoli. Si parla di gestione attiva
di un portafoglio quando l’obiettivo del gestore finanziario è quello di ottenere un rendimento superiore a quello del benchmark, ovvero superiore a
quello che si otterebbe se si detenesse un portafoglio costituito dagli stessi
titoli del benchmark e con gli stessi pesi.
La differenza tra il rendimento ottenuto con il portafoglio scelto dal gestore
e il rendimento del benchmark viene denominata tracking error. Il tracking
error misura la bontà della strategia di replica del benchmark. Più piccolo
è il tracking error, più somigliante al benchmark è il portafoglio selezionato.
Definito RP il rendimento del portafoglio scelto dal gestore e RB il rendimento del benchmark, il tracking error è semplicemente dato dalla differenza
RP − RB .
Poiché RP e RB sono, dal punto di vista statistico, due variabili casuali, anche la differenza (tracking error) rappresenta una variabile casuale.
MSDF 2011/12 G. De Luca
3.3. L’ASSET ALLOCATION
41
L’analisi statistica del tracking error è dunque l’analisi statistica della
variabile casuale RP − RB .
Nell’ambito del problema di asset allocation, l’obiettivo diviene quello di
minimizzare la varianza non centrata del tracking error,
τ 2 = E[RP − RB ]2 .
La varianza non centrata del tracking error indica la possibile ampiezza
della differenza tra il rendimento del portafoglio gestito e il rendimento del
benchmark. Se τ 2 assume un valore basso, vuol dire che gli scostamenti tra
i due rendimenti sono limitati. Se τ 2 è elevato, vuol dire che gli scostamenti
di RP rispetto a RB possono essere anche molto elevati.
Ai fini della stima della varianza, dobbiamo far riferimento ad un insieme
di dati sul rendimento del portafoglio P e sul rendimento del benchmark,
osservati nei tempi t = 1, 2, . . . , T . Quindi, la stima della varianza non
centrata del tracking error è data da
T
1X
τ̂ =
(rP t − rBt )2 ,
T t=1
2
dove con rP t si intende il rendimento del portafoglio P al generico tempo
t e analogamente con rBt si intende il rendimento benchmark al tempo t.
Il problema di minimizzazione vincolata è
Minwi τ 2
s.v.
PN
wi µi + wf Rf
i=1P
N
i=1 wi + wf
wi
wf
=
=
≥
≥
µ̄P
1
0
0
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42
CAPITOLO 3. L’ANALISI DEL PORTAFOGLIO
MSDF 2011/12 G. De Luca
Capitolo 4
Modelli fattoriali per la
misura del rischio
L’analisi empirica ha rivelato che i rendimenti dei titoli sono influenzati da alcuni
fattori comuni. I fattori possono essere di tipo economico o finanziario.
I modelli che hanno riscosso maggiore successo sono il modello di mercato e il
Capital Asset Pricing Model (CAPM). Caratteristica comune dei due modelli è
l’inclusione di un solo fattore finanziario per spiegare la variabilità dei rendimenti
dei titoli azionari.
4.1
Il modello di mercato
Il modello di mercato (market model o single index model nella terminologia
anglosassone) è un modello statistico che considera il rendimento di un’attività finanziaria in funzione del rendimento del portafoglio di mercato. La
specificazione assunta è quella più semplice, ovvero la specificazione lineare.
Il modello di mercato considera
Rit = αi + βi RMt + ǫit ,
(4.1)
dove Rit è il rendimento del titolo i al tempo t, RMt è il rendimento del
portafoglio di mercato al tempo t e la variabile ǫit è la componente di disturbo.
Il rendimento del titolo i al tempo t, Rit , è dunque scomponibile in tre
componenti:
1. αi rappresenta un fattore non legato all’andamento del mercato, specifico
del titolo i e costante nel tempo;
2. βi RMt è la componente legata alla performance del mercato. In particolare, βi misura la sensibilità del rendimento del titolo i al rendimento del
portafoglio di mercato;
43
MSDF 2011/12 G. De Luca
44CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
3. la componente ǫit racchiude gli eventi imprevedibili che possono avere
un’influenza su Rit .
Da un punto di vista statistico si tratta di un modello di regressione semplice
in cui Rit è la variabile dipendente e RMt è la variabile esplicativa.
4.1.1
L’inosservabilità del portafoglio di mercato
Nel modello di mercato la variabile esplicativa è rappresentata dal rendimento
del portafoglio di mercato. La definizione di questo particolare portafoglio è
stata data qualche pagina addietro. Ma è possibile individuare esattamente il
portafoglio di mercato? La risposta è negativa, poiché sarebbe necessario considerare congiuntamente tutte le attività rischiose esistenti.1 Da qui deriva il
carattere di inosservabilità del portafoglio di mercato. Esso viene quindi sostituito da un indice del mercato azionario dove sono contrattati i più importanti
titoli rischiosi. In questo modo si utilizza una proxy del portafoglio di mercato.
Gli indici sono di norma costruiti sulla base di una quota (più o meno ampia)
dei titoli. In ogni caso non possono includere titoli rischiosi non quotati in un
mercato organizzato come la Borsa.
È naturale, quindi, che tutte le conclusioni derivanti dall’applicazione di un
modello di mercato siano di fatto influenzate dall’utilizzazione di una proxy in
luogo della vera variabile esplicativa.
Per il mercato italiano, i più rilevanti indici della Borsa che si utilizzano per
la stima del modello di mercato sono
• FTSE Italia All-Share
• FTSE-MIB
L’indice FTSE (Financial Times Stock Exchange) Italia All-Share comprende il 95% della capitalizzazione di Borsa.
L’indice FTSE-MIB è composto dai 40 titoli più liquidi e capitalizzati sul
listino della Borsa Italiana. Nel complesso i titoli costituiscono circa l’80%
della capitalizzazione di Borsa. Il valore base dell’indice fa riferimento alla data
31.10.2003 (a quella data non esisteva qesto indice, il valore si riferisce all’indice
MIB30).
Tra gli indici di minore rilevanza si segnalano: l’indice FTSE Italia Mid Cap,
costituito dalle azioni di imprese di media capitalizzazione e l’indice FTSE Italia
Small Cap, costituito dalle azioni di imprese di piccola capitalizzazione.
Maggiori dettagli possono essere conosciuti consultando il sito della Borsa
Italiana, www.borsaitaliana.it, oppure il sito www.ftse.com.
4.1.2
Le ipotesi del modello di mercato
Le assunzioni del modello di mercato sono le tipiche assunzioni del modello di
regressione lineare semplice:
1 Roll (1977) ha affermato che nel concetto di portafoglio di mercato dovrebbero rientrare
anche attività rischiose come opere d’arte, immobili e altro.
MSDF 2011/12 G. De Luca
4.1. IL MODELLO DI MERCATO
45
1. la variabile casuale ǫit è una variabile casuale gaussiana;
2. il valore atteso di ǫit è nullo, ovvero E[ǫit ] = 0;
3. la varianza di ǫit è costante e finita, Var[ǫit ] = σǫ2i ;
4. la covarianza tra ǫit e ǫis è nulla, Cov [ǫit , ǫis ] = 0, t 6= s;
5. esiste indipendenza tra RMt e ǫis , ∀t, ∀s.
Più in dettaglio:
1. Distribuzione della ǫit
Nel modello di regressione (4.1) il termine ǫit rappresenta il termine di
errore. Infatti è irrealistico assumere che la relazione tra Rit e RMt sia
perfettamente lineare, ovvero di tipo deterministico. Il termine di errore è
altresı̀ detto termine di disturbo. Il valore che il termine di errore assume
non è fissato a priori, ǫit è dunque una variabile casuale. Una prima
assunzione sul termine di errore concerne la sua distribuzione. L’ipotesi
di gaussianità rappresenta la scelta più naturale e conveniente.
2. Valore medio di ǫit
L’assunzione di normalità del termine di disturbo deve essere completata
specificando la media e la varianza. Il valore atteso di ǫit è assunto pari a
zero, poiché ciò significa che l’errore, seppur esiste, è in media nullo.
3. Varianza di ǫit
La varianza del termine di errore è assunta costante, ovvero pari ad un
numero finito, ed è genericamente posta pari a σǫ2i . Tale ipotesi è nota
come omoschedasticità, evidenziando dunque che la varianza è la stessa
per ogni termine di errore, ovvero Var[ǫit ] = σǫ2i ∀t.
4. Covarianza tra ǫit e ǫis
L’assunzione di covarianza nulla tra due qualsiasi termini di errore, Cov [ǫit , ǫis ] =
0, con t 6= s, implica che un fattore casuale imprevedibile che ha influenzato il rendimento al tempo t non ha alcun legame con il fattore imprevedibile
che ha influenzato il rendimento ad un qualsiasi tempo s 6= t.
5. Indipendenza tra RMt e ǫis
Le realizzazioni della variabile casuale RMt non sono legate alle realizzazioni della variabile casuale ǫis . In altre parole, la componente di errore del tempo t non è legata al rendimento del portafoglio di mercato di
qualsiasi tempo s.
Dalle ipotesi elencate, e considerando che il modello di mercato può anche
scriversi come
Ri = αi + βi RM + ǫi ,
(4.2)
segue che
E(Ri ) = αi + βi E(RM )
MSDF 2011/12 G. De Luca
46CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
e che
Var(Ri ) = βi2 Var(RM ) + Var(ǫi ),
che può anche scriversi
2
σi2 = βi2 σM
+ σǫ2i .
La covarianza tra il rendimento del titolo i e il rendimento del titolo j è data
da
σij
= Cov(Ri , Rj )
= E [(Ri − E(Ri )) (Rj − E(Rj ))]
= E [(Ri − αi − βi E(RM )) (Rj − αj − βj E(RM ))]
= E [(βi (RM − E(RM )) + ǫit ) (βj (RM − E(RM )) + ǫj )]
2
= βi βj σM
considerando l’ipotesi 4 (covarianza nulla tra ǫi e ǫj ).
Il valore atteso di un generico portafoglio P composto da N titoli al tempo
t può quindi scriversi come
N
X
E(RP ) =
wi E(Ri )
i=1
N
X
=
wi (αi + βi E(RM ))
i=1
N
X
=
wi αi +
i=1
N
X
wi βi E(RM )
i=1
= ᾱ + β̄E(RM )
PN
PN
dove ᾱ = i=1 wi αi e β̄ = i=1 wi βi .
Inoltre, la varianza dello stesso generico portafoglio può scriversi come
Var(RP ) =
N
X
wi2 σi2 + 2
i=1
=
N
X
i=1
=
N
−1 X
X
N
−1 X
X
2
2
wi2 βi2 σM
+ σǫ2i + 2
wi wj βi βj σM
i=1 j>i


N
N
−1 X
N
X
X
X
2 
σM
wi2 βi2 + 2
wi wj βi βj  +
wi2 σǫ2i
i=1
=
wi wj σij
i=1 j>i
2
β̄ 2 σM
+
N
X
i=1 j>i
i=1
wi2 σǫ2i
i=1
L’utilizzo del modello di mercato consente di suddividere il rischio connesso
alla detenzione di un portafoglio in due componenti:
MSDF 2011/12 G. De Luca
47
4.1. IL MODELLO DI MERCATO
1. rischio non diversificabile (o sistematico);
2. rischio diversificabile.
Infatti, al fine di ridurre il rischio di un portafoglio, si potrebbe scegliere di
detenere un’ampia quantità di titoli, ciascuno con un peso molto piccolo. Si
supponga di detenere N titoli ciascuno con una quota pari a N1 , ovvero wi = N1 ,
∀i.
Si consideri ora il limite per N → ∞ dell’espressione di Var(RP ),
#
"
X 1 2
2 2
2
2
σǫi = β̄ 2 σM
.
lim Var(RP ) = lim β̄ σM +
N →∞
N →∞
N
i
L’interpretazione è chiara: anche ampliando a dismisura il numero di titoli
e detenendo di ciascuno di essi una quota molto bassa, non è possibile annullare
il rischio.
Più in dettaglio, una componente del rischio tende a permanere e viene perciò
detta rischio non diversificabile. Essa dipende dalla varianza del portafoglio di
mercato, fattore che non può essere eliminato incrementando il numero di titoli
in portafoglio.
La seconda componente tende ad annullarsi ed è nota come rischio diversificabile.
4.1.3
La stima dei parametri
Il modello di mercato è una relazione che concerne una popolazione di rendimenti. Avendo a disposizione un campione di osservazioni di numerosità T ,
ovvero T coppie (rMt , rit ) con t = 1, . . . , T , è possibile stimare i parametri della
popolazione αi e βi . Le osservazioni (rMt , rit ) sono realizzazioni delle variabili
casuali (RMt , Rit ).
Il metodo più largamente utilizzato è il metodo dei minimi quadrati ordinari (ordinary laest squares nella terminologia anglosassone), in seguito indicato
come OLS.2
La ratio del metodo consiste nella ricerca di quei valori α̂i e β̂i che minimizzano la somma degli errori (scarti tra dati empirici e dati teorici) al quadrato
per il periodo di osservazione. Avendo definito
S(α̂i , β̂i ) =
T
X
ǫ̂2it ,
t=1
l’obiettivo può dunque scriversi come
Min S(α̂i , β̂i )
=
T
X
ǫ̂2it
t=1
2 Altri
metodi di stima sono il metodo dei momenti e il metodo della massima
verosimiglianza.
MSDF 2011/12 G. De Luca
48CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
=
T X
t=1
rit − α̂i − β̂i rMt
2
Trattandosi di un problema di minimizzazione senza alcun vincolo, è sufficiente uguagliare a zero le derivate prime della funzione S calcolate rispetto alle
incognite del problema, ovvero α̂i e β̂i . Quindi
∂S
∂ α̂i
= −2
∂S
= −2
∂ β̂i
T X
rit − α̂i − β̂i rMt = 0
t=1
T X
rit − α̂i − β̂i rMt rMt = 0
t=1
Risolvendo si ottiene un sistema di 2 equazioni in 2 incognite,
T α̂i + β̂i
T
X
rMt
=
t=1
α̂i
T
X
rMt + β̂i
t=1
T
X
T
X
rit
t=1
2
rMt
t=1
=
T
X
rMt rit
t=1
La risoluzione del sistema fornisce le stime dei minimi quadrati
PT
t=1 (rMt − r̄M ) (rit − r̄i )
β̂i =
PT
2
t=1 (rMt − r̄M )
α̂i
=
r̄i − β̂i r̄M
(4.3)
(4.4)
dove r̄i e r̄M indicano rispettivamente le medie delle T osservazioni delle due
variabili del modello.
Le stime dei minimi quadrati α̂i e β̂i sono dei numeri ottenuti a partire da
un campione di osservazioni. Si noti, tuttavia, che al variare del campione, i
valori numerici delle stime cambiano. In generale, è utile considerare ogni stima
campionaria di un parametro di una popolazione come la realizzazione di una
variabile casuale che riassume tutti i possibili valori delle stime al variare del
campione estratto.
Si definiscono Ai e Bi le due variabili casuali che riassumono le stime di αi
e βi . Ai e Bi sono gli stimatori dei minimi quadrati.
4.1.4
Le proprietà degli stimatori OLS
Le espressioni degli stimatori Bi e Ai sono rispettivamente
PT
Rit − R̄i
t=1 RMt − R̄M
Bi =
2
PT
t=1 RMt − R̄M
Ai
= R̄i − Bi R̄M
MSDF 2011/12 G. De Luca
(4.5)
(4.6)
49
4.1. IL MODELLO DI MERCATO
In pratica, nelle espressioni (4.3) e (4.4) i valori di rMt e rit sono sostituiti
con le corrispondenti variabili casuali RMt e Rit .
Le distribuzioni di Ai e Bi sono necessarie per l’implementazione di test di
ipotesi sui coefficienti αi e βi .
Dalla teoria statistica è noto che si può approssimare la distriubuzione dello
stimatore Bi ad una distribuzione normale e questa approssimazione è tanto
migliore quanto maggiore è il numero di osservazioni a disposizione. Inoltre Bi
è uno stimatore corretto, poiché il suo valore atteso è esattamente pari a βi .
L’ipotesi di indipendenza tra RMt e ǫit è necessaria per questo risultato. Infatti
il valore atteso di Bi può scriversi come
" PT
#
Rit − R̄i
t=1 RMt − R̄M
E(Bi ) = E
2
PT
t=1 RMt − R̄M
" PT
#
t=1 RMt − R̄M (βi (RMt − R̄M ) + ǫit − ǭi )
= E
2
PT
t=1 RMt − R̄M
" PT
#
R
−
R̄
(ǫ
−
ǭ
)
Mt
M
it
i
t=1
= βi + E
2
PT
t=1 RMt − R̄M
= βi
per l’ipotesi di indipendenza tra RMt e ǫit . Bi è dunque uno stimatore corretto
(non distorto) del parametro βi .
2
La varianza dello stimatore Bi può essere approssimata da PT σ
,
2
posto, per brevità, σǫ2i = σ 2 .
Riassumendo i tre risultati conseguiti può scriversi
!
σ2
Bi → N β i , P T
.
2
t=1 (rMt − r̄M )
t=1
(rM t −r̄M )
(4.7)
Inoltre lo stimatore Bi è consistente, ovvero uno stimatore sempre più preciso
all’aumentare della dimensione del campione. Infatti, si tratta di uno stimatore
corretto e con una varianza che tende a zero all’aumentare della dimensione campionaria. Maggiori dettagli sulle nozioni di consistenza possono essere trovati
in Cicchitelli (2000).
In maniera analoga può studiarsi la distribuzione dello stimatore Ai , il suo
valore atteso e la sua varianza. Il risultato che si ottiene è
#!
"
2
1
r̄
M
Ai → N αi , σ 2
+ PT
.
(4.8)
T
(r
− r̄M )2
Mt
t=1
4.1.5
Inferenza sui parametri della regresione
Come già ricordato, il modello di mercato è una relazione che concerne una
popolazione ed è stata stimata attraverso un campione di osservazioni. Le stime
MSDF 2011/12 G. De Luca
50CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
dei parametri, ottenute con il metodo dei minimi quadrati ordinari, consentono
di considerare plausibili o meno alcune ipotesi sui parametri della popolazione,
attraverso specifiche procedure inferenziali.
In pratica, si è interessati a verificare le ipotesi che i due parametri αi e βi
siano nulli o meno. Le due ipotesi da sottoporre a test sono
H0 : αi = 0
H1 : αi 6= 0
e
H0 : β i = 0
H1 : βi 6= 0
Il primo test di ipotesi concerne l’esistenza della componente αi nel rendimento medio del titolo i al tempo t, ovvero della componente indipendente dalla
performance del mercato. Il secondo test fa riferimento al parametro βi e dunque
all’esistenza della componente del rendimento atteso di Rit legata all’andamento del mercato. Il secondo test è il più rilevante poiché è dal suo esito che si
accetta o meno il modello di mercato. Accettare come plausibile l’ipotesi βi = 0
implica il rifiuto del modello di mercato in favore del più semplice modello dei
rendimenti con valore atteso costante.
Utilizzando la (4.7) questo test può effettuarsi considerando che sotto l’ipotesi nulla H0 : βi = 0
Tuttavia il parametro σ non è noto, ma può essere stimato utilizzando i dati
campionari. Poiché σ 2 è per ipotesi la varianza di ǫit , è naturale stimare tale
parametro con la varianza calcolata sulle stime delle suddette variabili casuali,
ǫ̂it , t = 1, 2, . . . , T , ottenute come
ǫ̂it = rit − α̂i − β̂i rMt .
PT
Poichè il metodo dei minimi quadrati implica necessariamente che t=1 ǫ̂it =
0 (è sufficiente considerare la derivata della funzione S(α̂i , β̂i ) rispetto a α̂i ), si
stima il parametro σ 2 calcolando la media dei quadrati delle ǫ̂it . In sintesi
2
s =
PT
2
t=1 ǫ̂it
T −2
.
(4.9)
Il denominatore è pari a T − 2 poiché si intende far riferimento ad uno
stimatore corretto.
Fissato un livello di significatività pari ad α, si ritiene esserci evidenza contro
H0 se
β̂
i
r
> zα.
2
1
s PT
(rM t −r̄M )2 t=1
MSDF 2011/12 G. De Luca
51
4.1. IL MODELLO DI MERCATO
La stessa procedura può essere utilizzata per sottoporre a test altre ipotesi
rilevanti dal punto di vista finanziario (ad esempio H0 : βi = 1 vs H0 : βi 6= 1).
Per il test di ipotesi sul parametro αi parte dalla (4.8) sotto l’ipotesi nulla
H0 : αi = 0.
Sostituendo al parametro incognito σ la stima campionaria ricavata dalla
(4.9), e fissato un livello di significatività pari ad α, si ritiene esserci evidenza
contro H0 se
α̂i
r
> zα .
2
2
s 1 + PT r̄M
2 T
(rM t −r̄M )
t=1
4.1.6
La bontà di accostamento
Ai fini del giudizio sulla bontà di adattamento del modello di mercato alla realtà
osservata, si possono utilizzare diversi indici. Tra questi il più noto è sicuramente l’indice di determinazione R2 . Esso è basato sulla scomposizione della
devianza totale della variabile in osservazione in due componenti, la devianza
di regressione e la devianza residua. La devianza campionaria totale è pari a
Dtot =
T
X
t=1
(rit − r̄i )2 .
Questa quantità è scomponibile in due parti,3 ovvero
Dtot
= Dreg + Dres
=
T
X
t=1
(r̂it − r̄i )2 +
T
X
t=1
(rit − r̂it )2
dove r̂it è il valore teorico del rendimento del titolo i al tempo t sulla base del
modello di mercato.
Da questa scomposizione si definisce il coefficiente di determinazione
R2 =
Dreg
.
Dtot
che varia tra 0 e 1. È pari a zero se la variabile indipendente considerata, rMt ,
non ha alcun potere esplicativo sulla variabile dipendente rit . In questo caso la
devianza totale coincide con la devianza residua. È pari a uno se, al contrario,
esiste una perfetta relazione lineare tra rMt e rit per cui, una volta individuata
questa relazione, non esiste alcuna differenza tra valori empirici (osservati) e
valori teorici (Dres = 0).
3 Per
la dimostrazione si rinvia ad un qualsiasi testo base di statistica.
MSDF 2011/12 G. De Luca
52CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
4.1.7
Verifica delle ipotesi del modello di regressione
Le ipotesi alla base del modello di mercato condizionano la stima, le proprietà
degli stimatori e le procedure inferenziali sui parametri della popolazione. È
dunque opportuno verificare se esse possano essere ritenute plausibili, e quali
sono le conseguenze nel caso di non difendibilità delle stesse.
La prima ipotesi prevede la distribuzione gaussiana per la componente stocastica ǫit . Per esprimere un giudizio sulla plausibilità di questa ipotesi, si può
fare un test sulla normalità sulle ǫit , utilizzando le ǫ̂it , ovvero le stime delle
variabili di disturbo che si possono ottenere applicando il metodo dei minimi
quadrati. Tra le varie procedure proposte in letteratura per la normalità di una
popolazione, il test di Jarque-Bera rappresenta un utile punto di riferimento. La
ratio del test è stata già presentata; alla formula presentata bisogna quindi far
riferimento considerando gli indici di skewness e di curtosi calcolati sull’insieme
delle ǫ̂it .
L’ipotesi 2 fa riferimento al valore atteso dei residui. Come si è già detto,
l’applicazione del metodo di stima dei minimi quadrati ordinari ha come conseguenza la somma nulla dei residui stimati ǫ̂it , per cui tale ipotesi è sempre
verificata.
L’ipotesi 3 concerne l’omoschedasticità dei residui, ovvero la costanza della
varianza delle variabili ǫit ,
Var(ǫit ) = σǫ2i = σ 2
∀t
Al contrario, si parla di eteroschedasticità quando Var(ǫit ) = σt2 , cioè quando la varianza della componente stocastica (o di disturbo) cambia nel tempo.
Per verificare la plausibiltà dell’ipotesi di omoschedasticità, numerose procedure
sono state proposte in letteratura. Tra queste si fa riferimento al test di White,
il cui scopo è quello di verificare l’ipotesi
H0 : σ12 = σ22 = . . . = σT2
contro l’ipotesi alternativa che questa uguaglianza non sia valida.
In particolare, il test di White esamina la possibile dipendenza della quantità
2
σt2 da RMt
attraverso la regressione
2
σt2 = δ0 + δ1 RMt
+ ηit .
In questa ultima relazione, tuttavia, la variabile dipendente non è osservabile.
Essa può essere sostituita con i quadrati degli errori stimati, giungendo quindi
alla relazione
2
ǫ̂2it = δ0 + δ1 RMt
+ ηit .
Analizzando il coefficiente di determinazione R2 che scaturisce da questa
regressione si giudica la plausibilità dell’ipotesi nulla di omoschedasticità.
La statistica T R2 (si ricorda che T è la numerosità delle osservazioni) si
distribuisce come una variabile χ21 . Quindi si rifiuta H0 se T R2 > χ21,α .
Il limite di questo test è rappresentato dall’indicazione di una specifico
modello che spieghi la variabilità di σt2 .
MSDF 2011/12 G. De Luca
4.1. IL MODELLO DI MERCATO
53
Un test alternativo è stato proposto da Robert Engle (premio Nobel per
l’Economia nel 2003), il quale considera la regressione
ǫ̂2it = δ0i + δ1i ǫ̂2i,t−1 + δ2i ǫ̂2i,t−2 + . . . + δpi ǫ̂2i,t−p + ηit .
In questo caso, la statistica T R2 si distribuisce come una variabile casuale
Quindi si rifiuta H0 se T R2 > χ2p,α .
L’assenza dell’ipotesi di omoschedasticità ha influenza sulle proprietà degli
stimatori OLS. Rimandando a testi specifici per i risultati analitici, ci si limita
in questo testo ad evidenziare che in assenza dell’ipotesi di omoschedasticità,
gli stimatori OLS Ai e Bi risultano ancora corretti e consistenti, tuttavia presentano una varianza maggiore di quella che dovrebbero avere (non sono più
efficienti), per cui i test delle ipotesi dei coefficienti risultano scarsamente affidabili (le ipotesi nulle αi = 0 e βi = 0 vengono accettate più del dovuto, in altre
parole c’è un aumento della probabilità di commettere un errore di II tipo).
La quarta ipotesi fa riferimento alla correlazione tra le componenti
di disturbo in tempi diversi. Per verificare la plausibilità di questa ipotesi è
naturale esaminare l’autocorrelazione esistente tra i residui stimati. Per l’autocorrelazione di ordine k, si esaminano la serie ǫ̂it per t = k + 1, . . . , T e la serie
ǫ̂it per t = 1, 2, . . . , T − k.
Tra i test più comuni nella letteratura econometrica c’è da menzionare il
test di Durbin-Watson, il quale ha però il limite di essere un test per la sola
autocorrelazione di ordine 1. Definito ρk il coefficiente di autocorrelazione al
ritardo k, le due ipotesi sono dunque
χ2p .
H0 : ρ 1 = 0
H1 : ρ1 6= 0
D’altra parte è anche vero che generalmente la correlazione più rilevante si
osserva al ritardo 1.
Una più generale procedura è il test di Ljung-Box, già esposto, e al quale,
quindi, si rimanda.
L’ultima ipotesi concerne l’indipendenza tra RMt e ǫis . In generale, ci si
limita a verificare l’assenza di correlazione tra RMt e ǫit , utilizzando le stime
ǫ̂it .
In teoria, nel portafoglio di mercato sono compresi tutti i titoli rischiosi,
e quindi anche il titolo i. Il rendimento del portafoglio di mercato, quindi,
dipende anche dal rendimento del titolo i. Quest’ultimo, sulla base del modello
di mercato, è influenzato da ǫit e quindi dovrebbe esistere una relazione anche tra
RMt e ǫit . Questa relazione non è rilevante se il peso del titolo i nel portafoglio
di mercato è molto contenuto. In generale, in un mercato finanziario sviluppato,
sono molti i titoli rischiosi, e di conseguenza il peso di ogni singolo titolo sul
portafoglio di mercato è trascurabile. In questo caso, l’ipotesi in questione è da
ritenersi plausibile.
Da un punto di vista empirico è possibile calcolare il coefficiente di correlazione tra RMt e ǫ̂it .
MSDF 2011/12 G. De Luca
54CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
4.2
Il Capital Asset Pricing Model
Il Capital Asset Pricing Model (CAPM) è sicuramente uno dei più diffusi modelli
in ambito finanziario. Il suo scopo è quello di descrivere il premio per il rischio
di un titolo finanziario. Si definisce premio per il rischio del titolo i la differenza
tra il rendimento atteso del titolo e il rendimento del titolo privo di rischio
presente sul mercato.
In questo contesto non si fornisce una derivazione analitica del CAPM,
preferendo sottolinearne l’intuzione.
Il possesso di un generico titolo i deve essere giustificato non solo in funzione
del suo premio per il rischio, ma anche sulla base del suo rischio. In altre
parole, indicando con Ri il suo rendimento, e con rf il rendimento del titolo
privo di rischio, la differenza E(Ri ) − rf , il premio per il rischio, è un primo
indicatore della convenienza ad acquistare il titolo, ma una misura per esprimere
un giudizio più completo è data dal rapporto tra il premio per il rischio e il
rischio, ovvero
E(Ri ) − rf
,
σi
dove σi è la deviazione standard del rendimento del titolo i.
Il rapporto in questione è noto come indice di Sharpe ed è una misura a cui
si fa ampiamente riferimento (può anche essere interpretato come il rendimento
in eccesso per unità di rischio). Se si dovesse scegliere tra due titoli, i e j, si
preferirebbe quello il cui indice di Sharpe è maggiore.
Ma come cambia il criterio di scelta quando si dispone già di un portafoglio
P ben diversificato costituito da N titoli rischiosi e un titolo privo di rischio? Si
indichi con RP la variabile casuale che descrive il suo rendimento. Il suo valore
atteso è E(RP ).
Supponiamo di voler incrementare la proporzione del titolo i nell’ambito del
portafoglio, riducendo la quota del titolo privo di rischio.
Qual è l’impatto sul rendimento atteso del portafoglio iniziale? E qual è
l’impatto sul rischio del portafoglio iniziale?
Il rendimento del portafoglio P è esprimibile come
X
RP = w1 R1 + w2 R2 + . . . + wN RN + (1 −
wi )rf ,
i
e il rendimento atteso come
E(RP ) = w1 E(R1 ) + w2 E(R2 ) + . . . + wN E(RN ) + (1 −
X
wi )rf .
i
L’impatto sul rendimento atteso del portafoglio P è dato da
∂E(RP )
= E(Ri ) − rf ,
∂wi
ovvero il premio per il rischio del titolo i.
MSDF 2011/12 G. De Luca
55
4.2. IL CAPITAL ASSET PRICING MODEL
La deviazione standard del portafoglio P è
σP = σP2
12
.
L’impatto sulla deviazione standard del portafoglio P è dato da
∂σP
1 2 − 12 ∂σP2
=
σ
.
∂wi
2 P
∂wi
Poichè
σP2 =
N
X
i=1
allora
wi2 σi2 + 2
N
−1 X
X
wi wj σij ,
i=1 j>i
X
∂σP2
= 2wi σi2 + 2
wj σij = 2σiP .
∂wi
j6=i
Infatti, dato un portafoglio P composto da N titoli presenti in proporzioni
P
(w1 , w2 , . . . , wN ) e dal titolo privo di rischio presente in proporzione 1 − i wi ,
la covarianza tra il rendimento del portafoglio e il rendimento di un generico
titolo i è data da
X
wi )rf )
σiP = Cov(Ri , w1 R1 + w2 R2 + . . . + wN RN + (1 −
i
=
=
w1 Cov(Ri , R1 ) + . . . + wi Cov(Ri , Ri ) + . . . + wN Cov(Ri , RN ))
w1 σi1 + . . . + wi σi2 + . . . + wN σiN .
Quindi, alla fine,
∂σP
σiP
=
.
∂wi
σP
Il rischio associato al titolo i, in questo contesto, non è dunque misurabile
attraverso un indicatore della sua variabilità (es. la deviazione standard). Il
rischio, in questo contesto, è rappresentato dal contributo del titolo i alla deviazione standard del portafoglio di partenza P , misurabile dal rapporto tra
la covarianza tra il rendimento del titolo i e il rendimento del portafoglio P ,
indicata con σiP , e la deviazione standard del portafoglio P .
A questo punto è necessario legare rendimento atteso e rischio. In relazione
all’incremento della quota del titolo i, si definisce quindi il rapporto tra l’impatto
sul rendimento atteso del portafoglio P (premio per il rischio) e l’impatto sul
rischio dello stesso portafoglio,
E(Ri ) − rf
.
σiP /σP
(4.10)
Si supponga di ripetere il ragionamento per il titolo j. Il rapporto tra il
premio per il rischio e il rischio associato è dato da
E(Rj ) − rf
.
σjP /σP
(4.11)
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56CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
In una situazione di equilibrio, deve esserci uguaglianza tra (4.10) e (4.11),
E(Ri ) − rf
E(Rj ) − rf
=
.
σiP /σP
σjP /σP
Se cosı̀ non fosse, uno dei due titoli sarebbe più conveniente dell’altro. A
parità di rendimento atteso uno dei due titoli ha un rischio inferiore, oppure
a parità di rischio uno dei due titoli presenta un rendimento atteso superiore.
Tutti gli investitori acquisterebbero il titolo più conveniente, il suo prezzo aumenterebbe e il suo rendimento atteso cadrebbe, fino al punto in cui il rapporto
di cui sopra diviene uguale per i due titoli.
Naturalmente, l’uguaglianza deve valere non solo per due titoli, ma per tutti
i titoli presenti sul mercato. E altresı̀ deve valere per ogni possibile combinazione
di titoli, ovvero per ogni possibile portafoglio, e quindi anche per il portafoglio
di partenza P , ovvero
E(Ri ) − rf
E(Rj ) − rf
E(RP ) − rf
=
=
,
σiP /σP
σjP /σP
σP P /σP
dove è facilmente dimostrabile che σP P è pari a σP2 .4
E tutto ciò vale anche quando il portafoglio P è il portafoglio di mercato M ,
per cui
E(Ri ) − rf
E(RM ) − rf
=
.
σiM /σM
σM
Da questa ultima relazione si ricava che
σiM
E(Ri ) − rf = 2 (E(RM ) − rf ) .
σM
Ponendo βi =
σiM
2
σM
, si giunge alla nota espressione del CAPM,
E(Ri ) − rf = βi (E(RM ) − rf ) .
(4.12)
La (4.12) esprime la relazione tra il premio per il rischio del titolo i e il
premio per il rischio del portafoglio di mercato.
Il mercato rappresenta il rischio non diversificabile, ovvero un rischio comune
a tutti i titoli azionari. Dunque il coefficiente βi rappresenta il rischio non
diversificabile (anche detto sistematico) del titolo i connesso all’andamento del
mercato. In altre parole βi è una misura del rischio non diversificabile per il
titolo i poiché descrive il comportamento del titolo i rispetto al comportamento
del portafoglio di mercato. Se βi = 0, non c’è alcuna relazione tra i rendimenti
(in eccesso) del titolo i e i rendimenti (in eccesso) del portafoglio di mercato.
Se βi > 0, il rendimento atteso del titolo i segue un pattern analogo a quello del
portafoglio di mercato. Se βi = 1, le variazioni nel portafoglio di mercato sono
riprodotte nel titolo i.
In seguito, si indicherà Zi = Ri − rf e ZM = RM − rf , per cui la (4.12) può
riscriversi come
E(Zi ) = βi E(ZM ).
4 Infatti
2.
σP P = Cov(RP , RP ) = Var(RP ) = σP
MSDF 2011/12 G. De Luca
4.2. IL CAPITAL ASSET PRICING MODEL
4.2.1
57
La stima del CAPM
La relazione (4.12) è basata su grandezze non osservabili ed è inoltre statica, ovvero uniperiodale. Al fine di stimare il coefficiente βi , occorre passare a
grandezze osservabili e inoltre considerare un orizzonte temporale.
La stima di βi può dunque avvenire partendo dal modello di regressione
Rit − rf t = βi (RMt − rf t ) + ǫit .
(4.13)
dove Rit è il rendimento del titolo i al tempo t, rf t è il rendimento di un titolo
privo di rischio al tempo t e rMt è il rendimento del portafoglio scelto come
proxy del portafoglio di mercato, sempre al tempo t.
Il periodo di osservazione è pari a t = 1, 2, . . . , T . Più in dettaglio si tratta
della stima del CAPM utilizzando dati storici.
Il modello di regressione semplice (4.13) ha la particolarità di essere un
modello privo di intercetta.
Tuttavia, è pratica diffusa quella di stimare un modello di regressione che
include anche il termine d’intercetta, ovvero
Zit = αi + βi ZMt + ǫit ,
avendo posto Zit = Rit − rf t e ZMt = RMt − rf t .
In tal caso, le ipotesi già elencate per la stima del modello di mercato
sono considerate. Avendo a disposizione le coppie (zit , zMt ), t = 1, 2, . . . , T ,
di osservazioni, le stime ottenute con il metodo dei minimi quadrati sono
PT
(zMt − z̄M ) (zit − z̄i )
β̂i = t=1
PT
2
t=1 (zMt − z̄M )
α̂i = z̄i − β̂i z̄M
dove z̄i e z̄M indicano rispettivamente le medie delle T osservazioni per le due
variabili del modello.
Per le proprietà degli stimatori, i test delle ipotesi sui parametri, la misura
della bontà di accostamento, la verifica delle ipotesi del modello di regressione,
si rinvia a quanto detto per il modello di mercato.
In particolare, per la validità del CAPM l’ipotesi H0 : αi = 0 dovrebbe
essere accettata. Il valore α̂i , stima di αi , è noto come alpha di Jensen e può
essere interpretato come la remunerazione attesa del titolo i non giustificata
dalla sua esposizione al rischio di mercato (Pastorello, 2001). Essa è una misura
largamente utilizzata nel caso in cui il CAPM viene stimato non per un titolo i,
ma per un portafoglio P . In questo caso un valore positivo dell’alpha significa che
il gestore del portafoglio ha la capacità di anticipare il mercato (ovvero i prezzi),
forse perché in possesso di informazioni private. Un valore negativo indica, al
contrario, che il gestore non ha avuto l’abilità di prevedere correttamente in
prezzi futuri.
Si noti che il rendimento del titolo privo di rischio è teoricamente costante
nel tempo. Nella realtà non esiste un titolo completamente privo di rischio, ma
MSDF 2011/12 G. De Luca
58CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
esistono titoli con rischio molto basso (i rendimenti hanno oscillazioni molto
contenute). In Italia il rendimento di un BOT a tre mesi è generalmente considerato come rendimento di un titolo risk-free. A titolo esemplificativo si riporta
un grafico con i rendimenti giornalieri del Mibtel e del BOT a tre mesi (anno
2001).
4.2.2
La critica di Roll
Una delle più note critiche alla validità delle conclusioni tratte da un CAPM
è stata posta da Roll. La sua obiezione fa riferimento all’inosservabilità del
portafoglio di mercato, e dunque alla impossibilità di disporre di dati sul suo
rendimento. In pratica si utilizza una proxy, ovvero un portafoglio rappresentativo, generalmente costituito da un indice della borsa. Cosı̀ per l’Italia si può
far riferimento all’indice Comit, oppure all’indice Mibtel. Per i dati americani
si può utilizzare lo S&P500.
In ogni caso si tratta di portafogli che sostituiscono il portafoglio di mercato.
La critica di Roll è incentrata proprio su questa considerazione. La sua conclusione è la seguente: se il modello CAPM sembra descrivere inadeguatamente la
realtà osservata, sue sono le possibili cause:
1. l’effettiva inadeguatezza del modello a descrivere la realtà;
2. l’inadeguatezza del portafoglio utilizzato come proxy del portafoglio di
mercato.
4.3
La stabilità del parametro βi
La stima del parametro βi nel modello di mercato e nel CAPM è ottenuta
sulla base della disponibilità di un campione di T osservazioni. Nel momento
in cui si viene a conocenza di ulteriori valori della variabile dipendente e della
variabile esplicativa, ad esempio al tempo T + 1, si potrebbe pensare di ripetere
la regressione, utilizzano T + 1 osservazioni. Conoscendo le variabili ai tempi
T + 2, T + 3, e cosı̀ via, si potrebbero ottenere altre stime più aggiornate. Se le
nuove stime del parametro βi fossero simili alla stima originaria (quella ottenuta
con T osservazioni), allora si potrebbe concludere che il parametro βi tende ad
essere stabile nel tempo, ovvero la relazione tra Rit e RMt per il modello di
mercato e tra Zit e ZMt per il CAPM tende ad essere stabile nel tempo.
Per comprendere la stabilità della relazione, avendo a disposizione solo il
campione iniziale di T osservazioni (prima quindi della disponibilità di ulteriori
osservazioni), si può agire con il metodo delle regressioni ricorsive nel seguente
modo:
1. si stabilisce un tempo S, con 1 < S < T ;
2. si stima il modello di mercato considerando le osservazioni per t = 1, 2, . . . , S,
(S)
e si indica la stima del coefficiente βi con β̂i ;
MSDF 2011/12 G. De Luca
4.3. LA STABILITÀ DEL PARAMETRO βI
59
3. si ripete la stima del modello di mercato aggiungendo ogni volta un’osservazione (t = 1, 2, . . . , S +1, poi t = 1, 2, . . . , S +2 e cosı̀ via). Si indicano le
(S+1)
(S+2)
stime con β̂i
, β̂i
, . . .. L’ultima stima viene effettuata considerando
tutte le osservazioni;
4. si costruisce un grafico in cui si considera sull’asse delle ascisse il numero k
di osservazioni utilizzate (k = S, S + 1, . . . , T ) e sull’asse delle ordinate le
(k)
corrispondenti stime β̂i . Dall’andamento delle stime si può giudicare la
stabilità del coefficiente βi e quindi della relazione del modello di mercato.
Esistono in letteratura anche test analitici per giudicare la stabilità di una
relazione. Per approfondimenti si rinvia a testi di econometria.
Una volta riscontrata l’assenza di stabilità del parametro βi , la formulazione
di riferimento per il modello di mercato è data da
Rit = αi + βit RMt + ǫit
(4.14)
Zit = αi + βit ZMt + ǫit .
(4.15)
e per il CAPM è data da
La stima dei modelli (4.14) e (4.15) può essere effettuata dopo aver specificato un modello per βit , ovvero dopo aver specificato in che modo il parametro
βi si evolve nel tempo.
Tra le proposte di maggiore evidenza empirica per il CAPM, Schwert e
Seguin (1990) suggeriscono di considerare
βit = βi +
δi
2 ,
σ̂Mt
2
dove βi e δi sono costanti e σ̂Mt
rappresenta la volatilità del mercato. Il termine
δi
è
il
termine
che
varia
nel
tempo.
2
σ̂
Mt
È facile vedere che in questo caso, il modello (4.15) può essere riscritto
sostituendo l’espressione di βit . Esso diviene
Zit = αi + βi ZMt + δi
ZMt
+ ǫit .
2
σ̂Mt
(4.16)
Il modello (4.16) è un esempio di modello CAPM multifattoriale, ovvero un
modello che prevede l’esistenza di più di un fattore di rischio per il premio per
Mt
il rischio del titolo i. In tal caso il fattore di rischio aggiuntivo è dato da Z
.
2
σ̂M
t
Per la stima di un modello di regressione multipla, ovvero con più di una
variabile esplicativa, si rinvia a testi specifici.
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60CAPITOLO 4. MODELLI FATTORIALI PER LA MISURA DEL RISCHIO
MSDF 2011/12 G. De Luca
Capitolo 5
Volatilità e correlazione
Il termine volatilità è largamente utilizzato per l’analisi dei rendimenti di attività
finanziarie. Esso può essere considerato un sinonimo di variabilità. Quindi con
volatilità si intende l’attitudine di una grandezza ad assumere valori lontani
dal suo valore medio. Un titolo è tanto più volatile quanto più ampie sono le
oscillazioni dei suoi prezzi e quindi dei suoi rendimenti. Un indicatore della
volatilità è dunque un qualsiasi indicatore della variabilità. In questo contesto
si fa riferimento alla deviazione standard.
Le cause della volatilità, ovvero le cause delle oscillazioni dei prezzi (e quindi
dei rendimenti) di un’attività finanziaria, sono principalmente
1. l’arrivo di nuova informazione sul mercato;
2. l’attività di trading.
Le analisi empiriche rivelano che la volatilità dei rendimenti dei titoli finanziari non è generalmente costante. A periodi caratterizzati da lievi oscillazioni dei rendimenti seguono periodi caratterizzati da ampie oscillazioni degli
stessi. L’espressione anglosassone volatility clustering indica proprio questo
fenomeno: l’alternarsi di periodi tranquilli e periodi turbolenti. La volatilità,
inoltre, non è osservabile. Nasce dunque la necessità di stimarla e quindi di
prevederla. A tal fine, i metodi più rilevanti proposti in letteratura sono
1. il metodo della volatilità storica (o historical volatility);
2. il metodo Exponentially Weighted Moving Average;
3. i modelli di tipo ARCH.
61
MSDF 2011/12 G. De Luca
62
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
0.2
0.1
0
−0.1
−0.2
0
200
400
600
800
1000
0
200
400
600
800
1000
0.03
0.025
0.02
0.015
0.01
Figura 5.1: Andamento del rendimento Saipem e stima della volatilità (metodo
della volatilità storica).
5.1
La volatilità storica
La stima della volatilità al tempo t con il metodo della volatilità storica avviene
tramite l’espressione
s
Pt
2
i=1 (ri − r̄)
st =
,
t−1
dove r̄ è la media del campione di dati. Si tratta semplicemente della formula
della deviazione standard dei rendimenti stimata sul campione (r1 , r2 , . . . , rT ).
Muovendosi nel tempo, cioè passando dal tempo t al tempo t+1, il campione
a disposizione si amplia.
In alternativa si può conservare la sua dimensione costante eliminando, cioè,
la prima osservazione nel momento in cui una nuova osservazione si rende
disponibile. Quindi, se per stimare la volatilità al tempo t si utilizzano le osservazioni dal tempo 1 al tempo t, per la stima della stessa al tempo t + 1
si utilizzano le osservazioni dal tempo 2 al tempo t + 1. In questo caso si ha
un cosiddetto rolling sample. La formula generale della stima della deviazione
standard, considerando un’ampiezza del campione pari a k, è data da
s
Pt
2
i=t−k+1 (ri − r̄)
st =
.
k−1
Le figure 5.1 e 5.2 riportano la stima della volatilità storica considerando,
rispettivamente, campioni con dimensioni variabile e campioni rolling (k=100). Le
stime sono riferite ai rendimenti giornalieri del titolo Saiepm osservati nel periodo
04/01/2005 - 30/12/2008.
MSDF 2011/12 G. De Luca
63
5.2. L’EXPONENTIALLY WEIGHTED MOVING AVERAGE
0.2
0.1
0
−0.1
−0.2
0
200
400
600
800
1000
0
200
400
600
800
1000
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
Figura 5.2: Andamento del rendimento Saipem e stima della volatilità (metodo
della volatilità storica, rolling sample).
5.2
L’Exponentially Weighted Moving Average
Uno dei limiti del metodo della volatilità storica è l’attribuzione dello stesso peso
a dati con differente ubicazione temporale. Con il metodo EWMA si attribuisce
un peso diverso alle varie osservazioni. I pesi sono esponenzialmente descrescenti
man mano che ci si allontana dal tempo t di riferimento: le osservazioni più
recenti sono le più rilevanti, dunque esse devono avere un peso maggiore. Ciò
spiega la denominazione del metodo. In questo caso
v
u
t−1
u
X
st = t(1 − λ)
λi (rt−i − r̄)2
(5.1)
i=0
con 0 < λ < 1.
In forma estesa,
p
st = (1 − λ)(rt − r̄)2 + (1 − λ)λ(rt−1 − r̄)2 + (1 − λ)λ2 (rt−2 − r̄)2 + . . .
(5.2)
Generalmente λ è un valore scelto dal ricercatore e non stimato.1
È facile dimostrare che l’equazione della volatilità EWMA può anche essere
scritta in modo differente. Infatti, al tempo t − 1, si ha
p
st−1 = (1 − λ)(rt−1 − r̄)2 + (1 − λ)λ(rt−2 − r̄)2 + (1 − λ)λ2 (rt−3 − r̄)2 + . . .
per cui la (5.2) può scriversi come
q
st = (1 − λ)(rt − r̄)2 + λs2t−1
1 Naturalmente
sarebbe preferibile stimare il parametro λ.
MSDF 2011/12 G. De Luca
64
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
0.2
0.1
0
−0.1
−0.2
0
200
400
600
800
1000
0
200
400
600
800
1000
0.15
0.1
0.05
0
Figura 5.3: Andamento del rendimento Saipem e stima della volatilità (metodo
EWMA, λ = 0.78).
e
s2t = (1 − λ)(rt − r̄)2 + λs2t−1 .
s2t
(5.3)
s2t−1
Quindi
può essere interpretato come una media ponderata tra
e
(rt − r̄)2 , ovvero tra la varianza al tempo precedente e l’ultima informazione
disponibile. I pesi sono rappresentati da 1 − λ e λ. Al variare del parametro λ
cambia la rilevanza attribuita ai due termini. Maggiore è λ, maggiore è il peso
attribuito alla varianza passata e minore è il peso del termine (rt − r̄)2 .
L’espressione (5.3) può essere altresı̀ interpretata come una formula di aggiornamento. In pratica la stima della varianza al periodo precedente s2t−1 , è
aggiornata sulla base di quanto accaduto nell’ultimo periodo, t. Maggiore è il
valore del parametro λ, minore è l’entità dell’aggiornamento.
Le figure 5.3 e 5.4 riportano la stima della volatilità con il metodo EWMA considerando, rispettivamente, λ = 0.78 e λ = 0.94. La figure 5.5 è finalizzata a porre
un confronto grafico tra le due stime. Le stime sono sempre riferite ai rendimenti
giornalieri del titolo Saipem osservati nel periodo 04/01/2005 - 30/12/2008.
5.3
I modelli di tipo ARCH
Nel 1982 Engle pubblicò sulla rivista Econometrica un articolo destinato a
cambiare la storia della metodologia statistica applicata alle serie storiche finanziarie. Nell’articolo si propone il modello AutoRegressive Conditional Heteroskedasticity (ARCH) idoneo a rappresentare le principali caratteristiche dei
rendimenti finanziari osservati nel tempo. Con l’espressione modelli di tipo
ARCH si suole comprendere il modello ARCH di Engle (1982), nonché tutti
MSDF 2011/12 G. De Luca
65
5.3. I MODELLI DI TIPO ARCH
0.2
0.1
0
−0.1
−0.2
0
200
400
600
800
1000
0
200
400
600
800
1000
0.15
0.1
0.05
0
Figura 5.4: Andamento del rendimento Saipem e stima della volatilità (metodo
EWMA, λ = 0.94).
0.15
0.1
0.05
0
0
200
400
600
800
1000
0
200
400
600
800
1000
0.15
0.1
0.05
0
Figura 5.5: Confronto delle stime della volatilità del rendimento Saipem (λ =
0.78 in alto e λ = 0.94 in basso).
MSDF 2011/12 G. De Luca
66
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
gli altri modelli proposti e studiati come varianti della formulazione originaria.
Poiché la trattazione dei modelli di tipo ARCH richiede una conoscenza di base
della metodologia di Box-Jenkins (1976) per l’analisi delle serie storiche, tale
approccio sarà qui analizzato senza eccessivi approfondimenti.
Quel che è importante sottolineare è che che nei modelli di tipo ARCH la
volatilità al tempo t viene definita in funzione di quantità passate (del tempo
t−1, t−2 e cosı̀ via). Ciò configura il suo scopo principale che è di tipo previsivo,
in altre parole l’obiettivo principale non è la stima della volatilità, bensı̀ la sua
previsione.
5.3.1
Il modello ARCH(1)
Nel modello ARCH(1) si assume che la volatilità al tempo t dipende dallo scarto
tra il rendimento osservato e il rendimento atteso (shock) al quadrato al tempo
t − 1,
p
σt = α0 + α1 (rt−1 − µ)2 .
Un notevole incremento dei rendimenti (shock positivo) causa una maggiore
volatilità. In modo analogo un improvviso decremento dei rendimenti (shock
negativo) causa un aumento della volatilità. In generale, un ampio movimento
dei rendimenti causa un incremento della volatilità, indipendentemente dalla
direzione del movimento, poiché la differenza è elevata al quadrato.
Il parametro α0 dell’equazione della volatilità deve essere positivo. α1 deve
essere non-negativo. Inoltre, per la stazionarietà del modello, deve essere α1 < 1.
Più in generale, si definisce il modello ARCH(q),
v
u
q
X
u
αi (rt−i − µ)2 .
σt = tα0 +
i=1
La volatilità al tempo t dipende dagli shock al quadrato al tempo t − 1, al
tempo t − 2 e cosı̀ fino al tempo t − q. L’importanza relativa di questi shock è
espressa dai coefficienti αi . Maggiore è il coefficiente, più rilevante è lo shock.
Il parametro α0 deve essere positivo mentre i parametri αi (i =
. . . , q)
P1,
q
devono essere non-negativi. Inoltre, per la stazionarietà del modello, i=1 αi <
1.
5.3.2
Test per la componente ARCH
È necessario fare un test per verificare se la serie storica di cui si dispone esibisce
una time-varying volatilità rappresentabile da un modello ARCH.
Engle (1982) ha derivato il seguente test basato sul principio dei moltiplicatori di Lagrange. Si stima una regressione dei quadrati di rt su una costante e
q ritardi,
2
2
rt2 = κ + α1 rt−1
+ . . . + αq rt−q
+ et ,
MSDF 2011/12 G. De Luca
5.3. I MODELLI DI TIPO ARCH
67
per t = 1, . . . , T . La quantità T · R2 , dove R2 è il coefficiente di determinazione
della regressione, converge ad una variabile χ2 con q gradi di libertà.
Fissato un livello di significatività del test α, si accetta l’ipotesi nulla di
assenza di eteroschedasticità (α1 = . . . = αq = 0) se
T · R2 < χ2q,α ,
al contrario si rifiuta l’ipotesi nulla di assenza di eteroschedasticità (e quindi si
ritiene che la serie storica presenti una volatilità variabile nel tempo) se
T · R2 > χ2q,α .
5.3.3
Il modello GARCH(1,1)
Il modello GARCH(1,1) è una generalizzazione del modello ARCH. Nella sua
formulazione si ha
q
2 .
σt = α0 + α1 (rt−1 − µ)2 + β1 σt−1
(5.4)
La volatilità al tempo t dipende dallo shock al quadrato al tempo t − 1, ma
dipende altresı̀ dalla passata volatilità, e precisamente dalla volatilità al tempo
t − 1. Quali sono le conseguenze dal punto di vista interpretativo? Nel modello
ARCH(1) lo shock al tempo t − 1 influenza nettamente la volatilità; nel modello
GARCH(1,1) lo stesso shock contribuisce a modificare la volatilità ma in modo
non drastico.
Empiricamente, il modello GARCH(1,1) riesce a ben descrivere statisticamente una ampia quantità di serie storiche finanziarie (non solo rendimenti di
azioni). È ampiamente utilizzato, a volte in maniera acritica.
Per quanto riguarda i vincoli parametrici, il parametro α0 deve essere positivo, i restanti devono essere non-negativi. Inoltre, α1 +β1 < 1 per la stazionarietà
del modello.
Il modello GARCH(1,1) può essere visto come un modello ARCH di ordine
infinito.2
Infatti dalla (5.4),
2
σt2 = α0 + α1 (rt−1 − µ)2 + β1 σt−1
da cui
σt2 (1 − β1 L) = α0 + α1 (rt−1 − µ)2 ,
e quindi
σt2
=
=
=
α0 (1 − β1 L)−1 + α1 (1 − β1 L)−1 (rt−1 − µ)2
α′0 + α1 (1 + β1 L + β12 L2 + . . .)(rt−1 − µ)2
α′0 + α1 (rt−1 − µ)2 + α1 β1 (rt−2 − µ)2 + α1 β12 (rt−3 − µ)2 + . . .
2 Questa dimostrazione è basata sull’utilizzo dell’operatore ritardo, L. Si ricorda che LX =
t
Xt−1 e Lk Xt = Xt−k .
MSDF 2011/12 G. De Luca
68
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
0.09
0.08
0.07
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
Figura 5.6: Stima della volatilità del rendimento Saipem con il modello
GARCH(1,1).
Più in generale, si ha il modello GARCH(p, q),
v
u
q
p
X
X
u
2 .
σt = tα0 +
αi (rt−i − µ)2 +
βj σt−j
i=1
j=1
Viene utilizzato raramente (il GARCH(1,1) è normalmente preferito).
La figura 5.6 riporta la stima della volatilità ottenuta dal modello GARCH(1,1)
per i rendimenti giornalieri del titolo Saipem osservati nel periodo 04/01/2005 30/12/2008.
5.3.4
L’asimmetria nei modelli di tipo ARCH
I modelli fin qui visti hanno la caratteristica di trattare allo stesso modo shock
positivi e negativi della stessa ampiezza. Nell’equazione della volatilità, infatti,
compaiono i termini (rt−1 − µ)2 , (rt−2 − µ)2 , . . ., (rt−q − µ)2 , a seconda del
particolare ordine del modello, che influenzano σt . Ciò implica che l’influenza è
la stessa considerando due valori (rt−j −µ) e −(rt−j −µ) uguali in valore assoluto.
In altre parole, uno shock positivo e uno shock negativo della stessa ampiezza
hanno lo stesso effetto sulla volatilità. Si parla, in tal caso di effetti simmetrici.
È questo quanto si riscontra nella realtà? O forse è più giusto pensare ad effetti
diversi (asimmetrici) e quindi separare gli effetti di shock positivi dagli effetti di
shock negativi? Molti studiosi oggi concordano sull’esistenza di differenti effetti.
In particolare, si sostiene che shock negativi abbiano una maggiore influenza. Da
un punto di vista interpretativo, ciò significa che notizie cattive (shock negativi)
MSDF 2011/12 G. De Luca
5.4. LA VOLATILITÀ REALIZZATA
69
determinano un maggior incremento del rischio (volatilità) rispetto a notizie
buone (shock positivi).
Per verificare l’asimmetria degli effetti sulla volatilità ci sono diverse proposte
in letteratura tra le quali il Sign Bias Test e il Negative Size Bias Test (si rinvia
per i dettagli al testo di Gallo GM e Pacini B. (2002) Metodi quantitativi per i
mercati finanziari, Carocci Editore).
Il modello Threshold GARCH proposto da Glosten, Jagannathan e Runkel
(1993) costituisce un esempio di modello di tipo ARCH con effetti asimmetrici.
L’obiettivo, infatti, è quello di distinguere l’effetto di uno shock negativo da
quello di uno shock positivo sulla volatilità.
La sua formulazione più semplice, ovvero il modello TGARCH(1,1), prevede
σt =
q
2
α0 + α1 (rt−1 − µ)2 + γDt−1 (rt−1 − µ)2 + β1 σt−1
con γ > 0 e dove Dt−1 è una variabile dummy che assume valore 1 se
rt−1 − µ < 0
e valore 0 se
rt−1 − µ ≥ 0.
Più in dettaglio, se
rt−1 − µ < 0,
allora
σt =
Al contrario se
q
2 .
α0 + (α1 + γ)(rt−1 − µ)2 + β1 σt−1
(5.5)
rt−1 − µ ≥ 0,
allora
σt =
q
2 .
α0 + α1 (rt−1 − µ)2 + β1 σt−1
(5.6)
È evidente che l’equazione (5.5) esprime una volatilità maggiore rispetto
all’equazione (5.6) in virtù della positività del parametro γ.
5.4
La volatilità realizzata
Negli ultimi anni i ricercatori hanno avuto a disposizione una nuova tipologia
di dati finanziari: i cosiddetti dati ad alta frequenza. Infatti, il progresso tecnologico consente oggi di immagazzinare una grande quantità di dati, senza il
problema della limitazione delle memorie fisiche. In ambito finanziario, ciò ha
consentito di non limitarsi alla conoscenza del prezzo iniziale e finale giornaliero
di un’attività finanziaria, bensı̀ di raccogliere più prezzi considerando intervalli
temporali più ristretti. Ad esempio, è oggi possibile disporre di prezzi orari,
MSDF 2011/12 G. De Luca
70
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
13
12.8
12.6
12.4
12.2
12
11.8
11.6
11.4
0
10
20
30
40
50
Figura 5.7:
prezzi raccolti ogni 30 minuti oppure ogni 5 minuti e cosı̀ via.3 Ciò consente di
affiancare ai rendimenti giornalieri i rendimenti intra-giornalieri.
La disponibilità di rendimenti osservati ad una frequenza maggiore di quella
giornaliera ha dato il via alla definizione di un nuovo concetto di volatilità: la
volatilità realizzata. È stato infatti osservato che una misura della volatilità di
un titolo può essere più precisa se non si limita a due istanti di tempo di una
giornata di contrattazioni (l’inizio e la fine), ma prende in considerazioni più
istanti di tempo. Ad esempio, in una giornata di contrattazioni della durata di
6 ore, gli intervalli di 5 minuti sono 12 × 6 = 72. Avere a disposizione un unico
rendimento riferito ad un arco temporale di 6 ore non equivale a disporre di 72
rendimenti ognuno dei quali riferito ad un arco temporale di 5 minuti. Nella
seconda ipotesi, l’informazione è di gran lunga maggiore. Differenti possono
essere i percorsi seguiti da un prezzo per passare da un livello iniziale P0 ad un
livello finale P1 .
Nella Figura 5.7 è riportato un esempio. Il prezzo iniziale è P0 = 12 e il
prezzo finale è P1 = 12.3. Si ipotizza di osservare 50 differenti prezzi durante
una giornata di contrattazioni (incluso il prezzo iniziale e finale) in due diversi
scenari. Nel primo scenario (rappresentato dalla linea blu) si osserva che il
prezzo oscilla in modo marcato tocando un minimo vicino a 11.6 ed un massimo
oltre 12.6. Al contrario nel secondo scenario (linea rossa) le oscillazioni di prezzo
sono decisamente di lieve entità. Se si calcolasse il rendimento giornaliero nei
due casi, si otterrebbe lo stesso valore, ovvero (P1 −P0 )/P0 . Ma è ben chiaro che
3 È anche possibile raccogliere tutti i prezzi di un titolo venutisi a formare nel corso di una
giornata di contrattazioni, indipendentemente dalla loro durata. In tal caso, si ha una serie
storica con una frequenza irregolare. I problemi statistici posti da una siffatta serie sono però
complessi e non sono affrontati in queste lezioni.
MSDF 2011/12 G. De Luca
5.5. LA CORRELAZIONE TRA RENDIMENTI FINANZIARI
71
è il primo scenario a presentare un andamento molto più volatile. Una misura
della volatilità che riesca a distinguere queste due situazioni è sicuramente da
preferirsi. La deviazione standard calcolata sui rendimenti intragiornalieri è
una misura della volatilità realizzata che tiene conto dei differenti patterns che
un prezzo potrebbe seguire. Con riferimento ai due grafici della Figura 5.7, si
calcola che nel primo caso (linea blu) la deviazione standard è 0.1958, mentre
nel secondo caso (linea rossa) la deviazione standard è 0.0383.
Per quanto attiene ai modelli statistici considerati per lo studio della volatilità
realizzata, il più popolare è certamente il cosiddetto Multiplicative Error Model
(MEM).
Si definisce rvt la volatilità realizzata al tempo t e µt il valore atteso della
volatilità realizzata al tempo t noti i rendimenti fino al tempo t − 1, ovvero
µt = E(rvt |It−1 ).
Per il modello MEM(1,1), ovvero la sua formulazione più semplice, si ha
µt = α0 + α1 rvt−1 + β1 µt−1 .
5.5
La correlazione tra rendimenti finanziari
La correlazione è una misura dei comovimenti tra due serie di rendimenti finanziari. Definito R1 il rendimento finanziario dell’asset 1, e definito R2 il
rendimento finanziario dell’asset 2, il coefficiente di correlazione lineare tra R1
e R2 , indicato con ρ12 , è dato da
Cov(R1 , R2 )
p
ρ12 = p
.
Var(R1 ) Var(R2 )
Avendo osservato i rendimenti r1t e r2t con t = 1, . . . , T , la stima del
coefficiente di correlazione è data da
PT
t=1 (r1t − r̄1 )(r2t − r̄2 )
qP
ρ̂12 = qP
.
T
T
2
2
t=1 (r1t − r̄1 )
t=1 (r2t − r̄2 )
L’interpretazione e le principali proprietà del coefficiente di correlazione
lineare sono state riportate nel Capitolo 2.
5.6
Correlazione variabile nel tempo
Cosı̀ come la volatilità (in termini statistici lo scarto quadratico medio) è di
fatto variabile nel tempo e l’assunzione di una volatilità costante nel tempo non
è una buona assunzione, allo stesso tempo una correlazione tra due rendimenti
finanziari costante nel tempo è spesso non realistica. Numerosi studi empirici hanno appurato una variabilità della correlazione nel tempo (time-varying
MSDF 2011/12 G. De Luca
72
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
correlation). Si definisce, dunque,
ρ12t = Corr(R1t , R2t ) =
Cov(R1t , R2t )
.
σ1t σ2t
In altre parole, poiché la correlazione è un rapporto tra la covarianza e gli
scarti quadratici medi, una correlazione time-varying è data dal rapporto tra
una covarianza time-varying e gli scarti quadratici medi time-varying.
Lungo le linee tracciate dagli studi sulla volatilità, si menzionano i due
approcci più semplici e diffusi:
1. Historical correlation
2. EWMA correlation
5.6.1
Historical Correlation
La correlazione storica viene calcolata sulla base di uno specifico intervallo
temporale passato,
Pt
i=1 (r1i − r̄1 )(r2i − r̄2 )
qP
ρ̂12t = qP
.
t
t
2
2
(r
−
r̄
)
(r
−
r̄
)
1
2
i=1 1i
i=1 1i
Come già sottolineato per la historical volatility, anche per la correlazione
storica permane il difetto di attribuire lo stesso peso e dunque la stessa importanza a tutti gli eventi accaduti nel periodo preso in considerazione, senza
privilegiare gli eventi più recenti.
5.6.2
EWMA Correlation
La covarianza calcolata con il metodo EWMA è data da
σ̂12t
d 1t , r2t ) = (1 − λ)
= Cov(r
t−1
X
i=0
λi (r1t−i − r̄1 )(r2t−i − r̄2 )
In tal caso i pesi esponenzialmente decrescenti sono attribuiti ai prodotti
degli scarti tra i rendimenti e la rispettiva media aritmetica. Tale formula può
essere elaborata e scritta come
σ̂12t = (1 − λ)(r1t−1 − r̄1 )(r2t−1 − r̄2 ) + λσ̂12,t−1
Lo scarto quadratico medio calcolato con il metodo EWMA non è altro che
la volatilità calcolata con il metodo EWMA (i cui dettagli sono stati esposti in
precedenza). Di conseguenza,
ρ̂12t =
σ̂12t
s1t s2t
MSDF 2011/12 G. De Luca
73
5.6. CORRELAZIONE VARIABILE NEL TEMPO
0.1
0.08
0.06
MSCI Germany
0.04
0.02
0
−0.02
−0.04
−0.06
−0.08
−0.1
−0.1
−0.05
0
MSCI France
0.05
0.1
Figura 5.8: Scatterplot dei rendimenti MSCI-Francia e MSCI-Germania,
periodo 25/06/03 - 23/06/08.
Si considerino le serie storiche dei rendimenti del titolo MSCI Francia e MSCI Germania per il periodo dal 25 giugno 2003 al 23 giugno 2008 (1304 osservazioni). La
figura 5.8 riporta il relativo diagramma di dispersione dal quale si evince una forte
relazione diretta di tipo lineare. Infatti il coefficiente di correlazione stimato è pari
a 0.9315, ovvero
ρ̂F G = 0.9315
Adottando la metodologia EWMA, la stima del coefficiente di correlazione
time-varying è riportata nella Figura 5.9. Si può osservare che il coefficiente di
correlazione oscilla intorno al valore medio 0.9315, riportato come linea tratteggiata.
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74
CAPITOLO 5. VOLATILITÀ E CORRELAZIONE
1
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
Figura 5.9: Stima della correlazione tra rendimenti MSCI-Francia e rendimenti MSCI-Germania con il metodo EWMA (λ = 0.94), periodo 25/06/03 23/06/08. La linea tratteggiata rappresenta la stima della correlazione globale.
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Capitolo 6
Il Value-at-Risk
Il Value-at-Risk (VaR) è uno degli strumenti più largamente utilizzati per misurare il rischio di mercato. Il VaR di una attività finanziaria è definito come
la perdita che in uno specifico orizzonte temporale (un giorno oppure due settimane) viene superata con una definita (bassa) probabilità (ad esempio 0.05
oppure 0.01).
A tale misura fanno ampiamente ricorso banche e regulators in tutto il mondo; esso è quindi diventato uno strumento standard per stimare possibili perdite
legate alla detenzione e al trading di attività finanziarie (non solo azioni, ma
anche titoli derivati, come futures, opzioni, etc.).
Il VaR è un concetto statistico (si concretizza, infatti, in un percentile della
distribuzione delle perdite) con una importante interpretazione finanziaria.
Si proceda con ordine. Si supponga di detenere al tempo t un’attività il
cui valore sia pari a 100.000 euro. Qual è la perdita che in un giorno può
essere superata con una probabilità di 0.05 (5%)? In altre parole, qual è quella
perdita tale che una perdita maggiore abbia una probabilità di verificarsi pari
a 0.05 (5%)? Per rispondere a questa domanda, si deve conoscere la storia
passata dei rendimenti dell’attività. È necessario disporre, naturalmente, di
un numero sufficiente di osservazioni per poter ottenere risultati affidabili. Se
l’attività è detenuta da un breve periodo, ad esempio una settimana, è comunque
possibile ricostruire i rendimenti passati (e ciò vale anche nel caso in cui l’attività
finanziaria sia un portafoglio: conoscendo i titoli che compongono il portafoglio
e i rispettivi pesi è possibile ricostruire i rendimenti passati).
Si supponga che il quinto percentile della distribuzione dei rendimenti sia
pari a -0.061, ovvero un rendimento negativo. Si moltiplichi -0.061 per il valore
del portafoglio al tempo t. Si ottiene -6100. La perdita è dunque pari a 6100,
VaR(0.05) = −6100.
Infatti, se -0.061 è il quinto percentile della distribuzione dei rendimenti,
allora la probabilità di osservare un rendimento inferiore a -0.061 è pari a 0.05,
e dunque la probabilità di osservare una perdita maggiore di 6100 è pari a
0.05. È quindi possibile perdere in un giorno (è questo l’orizzonte temporale
75
MSDF 2011/12 G. De Luca
76
CAPITOLO 6. IL VALUE-AT-RISK
di riferimento) con quell’attività più di 6100 euro, ma la probabilità di questo
evento è molto bassa (0.05).
Naturalmente è anche possibile individuare il VaR con un diverso livello di
probabilità (ad esempio facendo riferimento al primo percentile). In tal caso il
VaR sarà rappresentato da un valore più basso (corrispondente ad una perdita
più elevata).
Il calcolo del VaR si concretizza quindi nella stima di un percentile. Gli
approcci per la stima del VaR sono fondamentalmente cinque:
1. il metodo della simulazione storica;
2. il metodo parametrico;
3. il metodo della simulazione storica filtrata;
4. la teoria dei valori estremi;
5. la regressione quantilica.
In queste lezioni, si considerano solamente i primi tre metodi.
6.1
La simulazione storica
La simulazione storica è un metodo non parametrico, poiché non si fa riferimento ad alcuna funzione di densità nota per la distribuzione dei rendimenti
finanziari. Esso si basa esclusivamente sull’insieme dei rendimenti passati. Nella sua formulazione originaria, il percentile della distribuzione dei rendimenti
si individua in maniera empirica. Se si intende calcolare un VaR al livello del
5%, il quinto percentile della distribuzione dei rendimenti è il percentile di interesse. Se si intende calcolare un VaR al livello dell’1%, il primo percentile
della distribuzione dei rendimenti è il percentile di interesse. Affinché questa
metodologia dia risultati affidabili, è generalmente consigliato di utilizzare un
insieme di rendimenti che coprano un periodo non breve (almeno tre anni).
6.2
Il metodo parametrico
Il metodo parametrico utilizza una funzione di densità nota per la distribuzione
dei rendimenti. La funzione di densità più diffusa è quella normale (o Gaussiana).
Si distingue il caso di un VaR statico, conseguente ad una unica distribuzione
dei rendimenti valida per tutto il periodo di riferimento, e il caso di un VaR dinamico, ovvero variabile nel tempo, determinato da una distribuzione dei rendimenti condizionata all’informazione fino al tempo precedente, e quindi variabile
nel tempo.
Nel primo caso, si può in prima approssimazione ipotizzare una distribuzione
Gaussiana dei rendimenti, ovvero
R ∼ N (µ, σ 2 ).
MSDF 2011/12 G. De Luca
6.2. IL METODO PARAMETRICO
77
In tal caso, il problema diviene il calcolo di un percentile di una distribuzione
normale non standard, ovvero il VaR equivale ad un percentile della distribuzione
di R. Il suo calcolo avviene dopo aver individuato l’analogo percentile della distribuzione normale standard. Definito zα l’α-esimo percentile di una variabile
normale standard, tale che P (Z < zα ) = α, l’α-esimo percentile di R è
rα = µ + zα σ
Se il livello di significatività prescelto è pari al 5%, allora il quinto percentile
della distribuzione normale standard è pari a -1.64 e dunque
rα = µ − 1.64σ
Un rendimento inferiore a µ − 1.64σ si verifica con una probabilità pari a
0.05. Se si indica con V il valore del portafoglio, la perdita corrispondente a
questo rendimento è V (µ − 1.64σ).
Dunque
VaR(0.05) = V (µ − 1.64σ).
È possibile avere una perdita superiore a VaR(0.05) = V (µ − 1.64σ) con una
probabilità pari a 0.05.
Con un generico α, si ha
VaR(α) = V (µ + zα σ).
È possibile avere una perdita superiore a VaR(α) = V (µ + zα σ) con una
probabilità pari a α.
Un approccio più analitico richiede il calcolo di un VaR dinamico, ovvero un
Value-at-Risk non immutato nel tempo.
Si consideri una distribuzione condizionata dei rendimenti differente in ogni
tempo t, ovvero
Rt |It−1 ∼ N (µ, σt2 ).
La distribuzione è condizionata all’informazione fino al tempo t − 1, in altre
parole si tratta della distribuzione dei rendimenti al tempo t conoscendo tutti
i rendimenti passati (fino al tempo precedente, t − 1). In particolare, tale distribuzione cambia per ogni tempo t perché cambia la varianza. I modelli ARCH,
GARCH e ulteriori elaborazioni più sofisticate forniscono possibili specificazioni
per la varianza condizionata σt2 .
Questa impostazione implica la stima di un VaR dinamico, ovvero un VaR
che cambia nel tempo, e che è quindi indicato con VaRt .
Il problema continua ad essere quello del calcolo di un percentile di una
distribuzione normale non standard, ovvero il VaRt equivale ad un percentile
della distribuzione di Rt condizionata a It−1 . Definito zα l’α-esimo percentile
di una variabile normale standard, allora
rt,α = µ + zα σt
MSDF 2011/12 G. De Luca
78
CAPITOLO 6. IL VALUE-AT-RISK
Se il livello di significatività prescelto è pari al 5%, allora il quinto percentile
della distribuzione normale standard è pari a -1.64 e dunque
rt,α = µ − 1.64σt
Un rendimento inferiore a µ − 1.64σt si verifica con una probabilità pari
a 0.05. Se si indica con V il valore del portafoglio al tempo t, la perdita
corrispondente a questo rendimento è V (µ − 1.64σt ).
Dunque
VaRt (0.05) = V (µ − 1.64σt ).
È possibile avere una perdita superiore a VaRt (0.05) = V (µ − 1.64σt ) con una
probabilità pari a 0.05.
Con un generico α, si ha
VaRt (α) = V (µ + zα σt ).
È possibile avere una perdita superiore a VaRt (α) = V (µ + zα σt ) con una
probabilità pari a α.
Come già specificato, si tratta di un VaR dinamico, ovvero un VaR non
statico. Esso cambia in ogni periodo, poiché è la varianza ad essere dinamica.
Dunque la variazione di σt2 ad ogni t implica la variazione di VaRt (α) ad ogni t.
Risulta evidente che il VaRt dipende dalla distribuzione condizionata scelta.
Per i rendimenti finanziari, l’ipotesi di normalità è quella più largamente utilizzata. Approcci alternativi considerano una distribuzione condizionata più
generale, come la t di Student, la Normale asimmetrica oppure la mistura di
due distribuzioni normali.
Si considerino i rendimenti giornalieri percentuali del titolo Fiat dal 26/01/2007 al
22/02/2010 (802 osservazioni). Si intende stimare il Value-at-Risk dinamico al livello α = 0.05 con il metodo parametrico sotto l’ipotesi di distribuzione condizionata
Gaussiana e di un modello GARCH(1,1) per la varianza condizionata con V = 100.
La figura 6.1 riporta i rendimenti (in blu) e il VaR (in rosso).
6.3
La Filtered Historical Simulation
Una importante versione alternativa del metodo della simulazione storica è il
cosiddetto metodo della simulazione storica filtrata1 proposta da Barone-Adesi
et al. (1998, 1999) e che ha riscontrato un notevole successo. L’idea è quella di
filtrare i rendimenti osservati, eliminando l’eteroschedasticità. Filtrare i rendimenti significa considerare un modello che stimi la varianza condizionata σt2 (ad
esempio con un modello GARCH), e calcolare quindi
vt =
1 Filtered
rt − µ
σt
Historical Simulation (FHS)
MSDF 2011/12 G. De Luca
6.4. IL TEST UNCONDITIONAL COVERAGE
79
30
25
20
15
10
5
0
−5
−10
−15
−20
0
100
200
300
400
500
600
700
800
Figura 6.1: Rendimenti del titolo Fiat e Value-at-Risk al 5%.
Si indica con vt,α l’α-esimo percentile di interesse della nuova serie vt e si
calcola il VaR al tempo t come
VaRt (α) = V σt vt,α .
A differenza della simulazione storica non filtrata, il VaR cosı̀ individuato
tiene conto delle attuali condizioni di mercato, è variabile nel tempo (poiché
dipende da σt ) ed è in grado di generare eventi estremi non presenti nel database
storico dell’asset di riferimento.
Poiché è necessario stimare un modello per la varianza condizionata (ad
esempio un modello GARCH) e dunque è necessario stimare dei parametri, il
metodo della simulazione storica filtrata è di fatto un metodo semi-parametrico.
6.4
Il test Unconditional Coverage
Un’importante tematica è la verifica di affidabilità delle misure di rischio individuate. In altre parole, è affidabile il VaR stimato con uno dei metodi descritti?
A tal fine si cita uno dei più diffusi test, il cosiddetto Unconditional Coverage
Test.
Si supponga di disporre delle osservazioni dei rendimenti di un titolo per
un periodo di tempo di lunghezza T . Si definisce HT la variabile casuale che
descrive la proporzione di volte in cui il rendimento è al di sotto del VaR. La
variabile casuale HT è una variabile casuale binomiale, con parametri π e T .
Può assumere valori da 0 a T . Se il metodo di stima del VaR al livello α è
corretto, ci si aspetta che E(HT ) = α. Il valore osservato è p definito come la
MSDF 2011/12 G. De Luca
80
CAPITOLO 6. IL VALUE-AT-RISK
proporzione osservata di volte in cui il rendimento è inferiore al VaR, ovvero
#{rt ≤ VaR(α)}
T
dove T indica il numero di osservazioni.
Si svolge quindi un test di ipotesi su una proporzione,
p=
H0 : π = π0
dove π0 indica il livello del VaR.
La statistica test è data da
H1 : π 6= π0
p − π0
q
π0 (1−π0 )
T
.
Definito un livello di significatività α, se
p − π0
−zα/2 < q
π0 (1−π0 )
T
< zα/2
allora si accetta l’ipotesi nulla (il VaR è stato stimato in modo corretto). Al
contrario, se
p − π0 q
π0 (1−π0 ) > zα/2 ,
T
allora si rifiuta l’ipotesi nulla.
Nel caso di VaR dinamico, la proporzione osservata p è calcolata come
p=
#{rt ≤ VaRt (α)}
T
Al fine di verificare la bontà del VaR stimato per i rendimenti giornalieri Fiat dal
26/01/2007 al 22/02/2010, si effettua il test Unconditional Coverage. Le due
ipotesi sono
H0 : π = 0.05
H1 : π 6= 0.05
Si verifica che il numero di volte in cui si è osservato un rendimento inferiore al
VaR è pari a 38, che equivale ad una proporzione di 0.0474 (38/802=0.0474).
La statistica test è data da
0.0474 − 0.05
q
= −0.3378
0.05(1−0.05)
802
Considerando un livello di significatività pari a 0.05, risulta −1.64 < −0.3378 <
1.64. Il valore della statistica test è compreso nella regione di accettazione: il
Value-at-Risk calcolato al livello del 5% assicura una copertura al rischio nel 95%
dei casi.
MSDF 2011/12 G. De Luca
Indice
1 Definizione di rendimento finanziario
2 L’analisi statistica dei rendimenti finanziari
2.1 Il valore medio . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.1 L’effetto weekend . . . . . . . . . . . .
2.2 La variabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2.1 La deviazione standard . . . . . . . .
2.2.2 La semideviazione standard . . . . . .
2.2.3 La variabilità della volatilità . . . . .
2.3 L’asimmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 La curtosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5 Test di normalità . . . . . . . . . . . . . . . .
2.5.1 Il test di Jarque-Bera . . . . . . . . .
2.5.2 Il test di Lilliefors . . . . . . . . . . .
2.6 L’autocorrelazione dei rendimenti . . . . . . .
2.7 L’autocorrelazione dei rendimenti al quadrato
3
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7
9
12
13
13
14
15
15
19
20
20
22
23
28
3 L’analisi del portafoglio
31
3.1 La frontiera dei portafogli efficienti con N titoli rischiosi . . . . . 33
3.2 La frontiera dei portafogli efficienti in presenza di un riskfree . . 36
3.3 L’asset allocation . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
4 Modelli fattoriali per la misura del rischio
4.1 Il modello di mercato . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 L’inosservabilità del portafoglio di mercato . .
4.1.2 Le ipotesi del modello di mercato . . . . . . . .
4.1.3 La stima dei parametri . . . . . . . . . . . . . .
4.1.4 Le proprietà degli stimatori OLS . . . . . . . .
4.1.5 Inferenza sui parametri della regresione . . . .
4.1.6 La bontà di accostamento . . . . . . . . . . . .
4.1.7 Verifica delle ipotesi del modello di regressione
4.2 Il Capital Asset Pricing Model . . . . . . . . . . . . .
4.2.1 La stima del CAPM . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.2 La critica di Roll . . . . . . . . . . . . . . . . .
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43
43
44
44
47
48
49
51
52
54
57
58
81
MSDF 2011/12 G. De Luca
82
INDICE
4.3
La stabilità del parametro βi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
58
5 Volatilità e correlazione
5.1 La volatilità storica . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 L’Exponentially Weighted Moving Average . .
5.3 I modelli di tipo ARCH . . . . . . . . . . . . .
5.3.1 Il modello ARCH(1) . . . . . . . . . . .
5.3.2 Test per la componente ARCH . . . . .
5.3.3 Il modello GARCH(1,1) . . . . . . . . .
5.3.4 L’asimmetria nei modelli di tipo ARCH
5.4 La volatilità realizzata . . . . . . . . . . . . . .
5.5 La correlazione tra rendimenti finanziari . . . .
5.6 Correlazione variabile nel tempo . . . . . . . .
5.6.1 Historical Correlation . . . . . . . . . .
5.6.2 EWMA Correlation . . . . . . . . . . .
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6 Il Value-at-Risk
6.1 La simulazione storica . . . . . .
6.2 Il metodo parametrico . . . . . .
6.3 La Filtered Historical Simulation
6.4 Il test Unconditional Coverage .
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MSDF 2011/12 G. De Luca