244.37 15-09-2009 9:47 Pagina 1 • la creatività misura non solo il plus di prodotto, ma anche la capacità dei mass-media La creatività è una formidabile macchina di produzione di immagini, che hanno lo stesso linguaggio dei sogni: “Siamo fatti della stessa materia dei sogni”, diceva Shakespeare qualche secolo fa. Paragonare un pubblicitario ad un poeta è forse esagerato, ma è certamente vero che entrambi fanno uso delle figure retoriche nella loro attività creativa: il poeta, del resto, ha sempre attinto alle immagini come “ingredienti” fondamentali delle sue opere. Questo volume, attraverso l’esposizione di metodi e strumenti, offre un eccezionale prontuario di modelli per art director e copywriter (esperti o aspiranti tali). Consente di raggiungere una migliore efficacia comunicativa nella creatività pubblicitaria, laddove la sinergia fra testo e immagine permette quel “colpo d’ala” che determina un effetto memorabile. Michelangelo Coviello insegna Tecniche e metodi della scrittura presso il Politecnico di Milano, al Corso di Laurea in Design della Comunicazione; Copywriting e Scrittura Creativa presso lo IED di Milano e fa parte di Creative Council, società di formazione della comunicazione. Per FrancoAngeli ha pubblicato il manuale di scrittura creativa Il mestiere del copy (1998); mentre per Book Time il saggio La gamba del tavolo. Memoria, retorica, pubblicità (2007). M. COVIELLO FIGURE RETORICHE & PUBBLICITÀ di operare in profondità, agire sull’inconscio di ognuno, condizionando, in questo modo, acquisti e stili di vita; le • immagini espresse dalle figure retoriche agiscono in profondità ovvero parlano a quella parte più nascosta e profonda dell’individuo, che tuttavia condiziona le scelte di ognuno. 244.37 Se è vero, a proposito di mass-media, che il mezzo è il messaggio, è anche vero che la forza persuasiva del mezzo diventa la forza seduttiva del messaggio, attraverso la pubblicità e la creatività espressa dalle immagini: Michelangelo Coviello FIGURE RETORICHE & PUBBLICITÀ Ricettario per art director e copywriter I S B N 978-88-568-1020-2 € 28,00 (V) 9 788856 810202 FrancoAngeli I lettori che desiderano informarsi sui libri e le riviste da noi pubblicati possono consultare il nostro sito Internet: www.francoangeli.it e iscriversi nella home page al servizio “Informatemi” per ricevere via e.mail le segnalazioni delle novità. Michelangelo Coviello FIGURE RETORICHE & PUBBLICITÀ Ricettario per art director e copywriter FrancoAngeli Progetto grafico della copertina: Elena Pellegrini Copyright © 2009 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sul diritto d’autore. L’Utente nel momento in cui effettua il download dell’opera accetta tutte le condizioni della licenza d’uso dell’opera previste e comunicate sul sito www.francoangeli.it. Indice Parte prima 1. 2. 3. 4. 5. Pubblicità e retorica La retorica Elocutio L’immagine è il messaggio La memoria pag. » » » » 9 11 14 17 20 » » » » 25 27 28 30 » » » 32 34 36 » 38 » » » » 40 42 43 44 Parte seconda 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. Origine evolutiva delle figure: la Catacresi La Similitudine: la stura poetica L’Allegoria: la stura narrativa Metafora e Metonimia: due mondi possibili Sineddoche, Prosopopea e Antonomasia: gli uomini e gli dei Apostrofe o dello spiazzamento Antitesi e Ossimoro: la terza via Iperbole, Litote e Preterizione: dire troppo, dire poco e dire male Ipotiposi e Sinestesia: dalla rappresentazione al colpo di scena L’interrogazione retorica: la richiesta della complicità Chiasmo: il tema dello specchio Eufemismo o della pubblicità 5 18. Proverbio, Entimema e Sillogismo: l’evoluzione del pag. logos » 19. Le invenzioni della scrittura » 20. Glossario 45 48 51 Appendice Immagini, parole e pubblicità: un’antologia 6 » 63 Parte prima 1. Pubblicità e retorica La pubblicità, così come la conosciamo, è un prodotto dei massmedia. Nasce in Inghilterra nel ’700 con l’avvento dei giornali. Al suo primo apparire, si presenta con piccoli annunci, i famosi ‘classified’, inserzioni che pubblicizzano, nel senso che rendono pubblica una notizia, creme, unguenti, farmaci, lozioni miracolose, chiromanzia ovvero tutta una certa fascia di prodotti da mercato che vedono per la prima volta la possibilità di esistere fuori della strada. Ma anche cose usate, attrezzi, macchinari, piccole invenzioni si fanno spazio tra le righe. Il lettore viene a conoscenza che esiste quello che cerca, poco lontano da casa, ad un prezzo da vero affare. Il mercato acquista così velocità, l’economia ne approfitta, le merci girano come mai prima. Pian piano gli annunci coprono sempre una più vasta area di mercato fino a diventare un affare per lo stesso giornale che li ospita. In questo periodo la pubblicità contribuisce notevolmente alla nascente democrazia in quanto rende alla portata di tutti il privilegio dell’informazione, chiunque può fare un annuncio, diventare visibile, entrare nel mercato senza strutture intermedie e selettive, inoltre funziona come un acceleratore verso il processo di industrializzazione. Senza la pubblicità la cosiddetta rivoluzione industriale avrebbe sicuramente ritardato il suo apparire. È un momento eroico, gli annunci ricalcano la struttura del giornale, si presentano come ‘notizie’, novità al servizio del pubblico. In seguito, grazie allo sviluppo della concorrenza, si evolve e passa dalla fase dell’informazione a quella della persuasione, al convincere il lettore della qualità dei prodotti pubblicizzati. È in questo periodo che la pubblicità scopre l’arte dell’argomentazione e riabilita la retorica come potente strumento persuasivo e dimostrativo. Il regime di concorrenza che la 9 stessa pubblicità aveva creato, genera un nuovo bisogno, quello di distinguersi dai concorrenti. Il bisogno di farsi notare e di essere diversi dagli altri inaugura una nuova fase evolutiva della pubblicità quella dell’adesione, della complicità fra prodotto e consumatore, in una parola: la seduzione. Sedurre è un corteggiamento, il prodotto diventa non solo utile ma anche simpatico, con la stessa visione del mondo, diventa uno stile di vita a cui chi compra aderisce. Per ottenere consenso, la pubblicità riscopre anche la potenza evocativa dell’elocuzione, delle figure retoriche che, prese a prestito dalla poesia, cominciano a lavorare nel territorio della prosa fornendo al mercato non solo argomenti ma soluzioni linguistiche nuove e accattivanti, nasce la creatività. Da allora la pubblicità da umile ancella dei mass-media diventa progressivamente padrona degli stessi fino al punto di sponsorizzare l’intero sistema dei media che, da solo, non sarebbe in grado di sopravvivere. Senza la buona notizia della pubblicità ci sarebbe il silenzio, nessuna comunicazione, nessun mercato. Il secolo scorso è stato il secolo della pubblicità. Dagli anni ’50 in poi, anche in Italia, si è assistito ad un progressivo sviluppo della comunicazione. Negli USA molto prima. Siamo all’inizio del secolo e già alcuni prodotti vengono pubblicizzati su larga scala dai massmedia: giornali e radiofonia. Le più importanti multinazionali, nel corso del secolo, si impongono nel mercato globale attraverso argomenti persuasivi, promesse e stili di vita, in una parola: la retorica. Il nascente marketing studia il mercato e consumatori, riscopre così la retorica, la plasma per i suoi obiettivi, la rinnova anche nel linguaggio e se ne impossessa in tutti i suoi aspetti. Il marketing inventa anche la pubblicità e le argomentazioni che la sostengono. Ripercorrere la storia della pubblicità è come ripercorrere la riscoperta della retorica prima della sua formalizzazione da parte degli studiosi: da Perelman a Mc Luhan, da Jakobson al Gruppo di Liegi. 10 2. La retorica1 L’amore platonico non è esattamente l’amore secondo Platone così come un bacio retorico non è proprio il bacio secondo la retorica. La parola retorica viene oggi intesa più come aggettivo che sostantivo, viene utilizzata più per giudicare un certo discorso che per definire l’ambito di una scienza linguistica. Si usa dire che è retorico un discorso vuoto e altisonante, tutto apparenza e privo di sostanza. Questa non è che retorica, si dice quando le parole non corrispondono ai fatti. Si parla di retorica dei buoni sentimenti, del patriottismo ecc., per alludere a modi stereotipati, declamatori, superficiali di mettere in campo l’amor di patria, le tradizioni nazionali ecc. Retorico, dunque, come qualifica negativa del modo di pensare e di esprimersi. L’accusa di retorico va di pari passo con quella di inutilmente elaborato, la sottintende o la comprende. Ma esiste anche l’affettazione della semplicità, del modo di esprimersi disadorno: la cosiddetta retorica, esibita o strisciante, dell’antiretorica. Tutti questi aspetti negativi possono accompagnarsi ad un vizio altrettanto grave e molto diffuso: l’incapacità di costruire un ragionamento plausibile, di mettere insieme ordinatamente due idee. Parafrasando una celebre frase di Andreotti, la retorica è come il potere, logora chi non ce l’ha. Quando un discorso è ben costruito appare privo di retorica perché non dà nell’occhio, quando invece si 1. Cfr. Coviello M. (2008), La gamba del tavolo. Memoria, retorica e pubblicità, Book Time, Milano. 11 coglie nel discorso l’aspetto retorico vuol dire che è mal costruito, non è frutto di un buon uso della retorica, cioè gira a vuoto, non si esprime se non nei suoi aspetti decorativi e superficiali. In realtà la parola retorica, come sostiene Bice Mortara Garavelli, definisce storicamente una serie di procedure linguistiche atte a costruire un discorso, l’arte del parlare in pubblico cioè di scrivere per essere ascoltati. Strutturare un ragionamento, organizzare le idee in vista di determinati obiettivi, comporre discorsi adatti alle diverse circostanze coi requisiti necessari per ottenere i risultati voluti, quali siano i «mezzi di persuasione» e con quali tecniche si attuino sono precisamente gli oggetti di quel sapere antico che si chiama retorica: nata come arte del contendere e del persuadere e rifondata a metà del secolo scorso dalla pubblicità e dal marketing. Si tratta quindi di una ‘nuova’ retorica, perché nuovi sono gli obiettivi, nuovi gli strumenti per ‘convincere’ i consumatori, nuove le argomentazioni che scaturiscono dal mercato. L’avvento dei mass-media come i giornali e la radio avevano messo in moto, all’inizio degli anni cinquanta, un modo diverso di vendere. Il mercato si sposta dalla piazza alla carta stampata creando nuove possibilità alla comunicazione e pubblicizzazione dei prodotti. In particolare la pubblicità, per essere notata, si riappropria delle figure retoriche, dell’aspetto più spettacolare della retorica e scavalca in questo modo la fase dell’informazione per entrare in quella della seduzione. Il marketing invece, attraverso le ricerche di mercato, inaugura nuove forme di argomentazione: le motivazioni all’acquisto sono processi logici, ragionamenti intorno allo sviluppo del mercato stesso. È passato più di mezzo secolo da allora eppure ancora oggi ci si interroga sui meccanismi, le procedure che legano la retorica al mercato. Le risposte sono molteplici e più complesse di quello che appaiono, anche a livello storico. Retorica, diritto e filosofia nascono nello stesso periodo, nel V secolo avanti Cristo. Il loro sviluppo storico è stato molto diverso ma ancora mantengono legami stretti, originari che si possono sintetizzare nella ricerca della verità attraverso il ragionamento, il linguaggio e la sua capacità di argomentazione. A proposito delle origini la retorica non è nata ad Atene, ma nella Sicilia ellenica intorno al 465 a.C., dopo l’e12 spulsione dei tiranni. E la sua origine non è letteraria, ma giudiziaria. I cittadini che erano stati derubati dai tiranni reclamarono i loro beni, e la guerra civile fu seguita da innumerevoli contese giudiziarie. In un’epoca in cui non esistevano avvocati, bisognava fornire ai contendenti il mezzo di difendere la loro causa. Corace, allievo del filosofo Empedocle, rese pubblica allora, con la collaborazione del proprio discepolo Tisia, un’arte oratoria (techne rhetorike), raccolta di precetti pratici accompagnati da esempi, a uso delle persone coinvolte in controversie giudiziarie. Poiché Atene manteneva con la Sicilia rapporti assai intensi, e vi intentava persino dei processi, adottò immediatamente la retorica. Retorica giudiziaria dunque, priva di valenza letteraria o filosofica, ma che rispondeva a una necessità di enorme portata. I retori, dotati di un senso spiccato della pubblicità, offrirono ai contendenti uno strumento di persuasione capace di convincere chiunque di qualunque cosa. Una retorica che argomenta a partire non dal vero ma dal verosimile. In effetti, se in ambito giudiziario si conoscesse la verità, non ci sarebbe più un ambito giudiziario, e i tribunali si ridurrebbero a uffici del registro. Ma il problema, per noi come per i Greci, è che le cattive cause hanno bisogno dei migliori avvocati, che meno una causa è buona, più essa dovrà far ricorso alla retorica. I primi retori si vantano di far trionfare le cause meno difendibili, di rendere più forte il ragionamento più debole. L’istituzione della retorica, così come oggi la si conosce, ha una progressiva evoluzione da Corace fino a Quintiliano, e nel corso della storia si stabilisce di volta in volta la priorità di una parte rispetto alle altre. L’analisi che segue non si occupa delle cinque parti che la definiscono e cioè l’inventio, la dispositio, l’elocutio, la memoria e la dictio (actio) seguendo in tal modo la divisione classica tramandata dalla latinità, ma si limita alla sola elocutio. 13 3. Elocutio Lexis, in greco, loqui, in latino, parlare. L’elocutio è il discorso, oggi si direbbe lo ‘speech’. Il dire in pubblico ciò che si è scritto in privato. Quindi si tratta di ‘scrittura creativa’, quello scrivere che ha per obiettivo la lettura ad alta voce o la recitazione a memoria. Leopardi sostiene che la scrittura si è talmente allontanata dall’oralità che a leggere a voce viva quello che si è scritto si rischia di non essere capiti. In effetti quando uno scritto nasce per la pagina, viene spesso letto solo con gli occhi. Ma non è stato sempre così infatti la lettura silenziosa cioè con gli occhi risale al Medioevo, prima leggere voleva dire leggere ad alta voce. Ancora oggi il manager, come l’avvocato, non può correre il rischio di non essere capito quindi scrive in funzione della lettura pubblica. L’elocutio è l’arte di scrivere per l’orecchio. Delle cinque parti della retorica è, secondo quanto dice Cicerone, la più propria dell’oratore, quella in cui egli si esprime al meglio delle sue possibilità. L’elocutio è dunque il punto in cui la retorica incontra la letteratura, la poesia. Nessuno sa farsi ascoltare come il poeta. Incanta ma non convince, mentre il retore deve incantare ma anche convincere, ricorrere alle figure retoriche ma anche argomentare con prove e sillogismi. Di solito, quando si parla di elocutio, ci si sofferma sulle figure retoriche, all’aspetto poetico e poco su quello grammaticale e sintattico. Sul significante e sullo stile. 14 Tuttavia, prima di diventare una questione di stile, l’elocutio concerne la lingua in quanto tale. Il primo problema è quello della correttezza di lingua. Per gli antichi, pare che correttezza e bellezza non fossero separabili. In ogni caso si richiedeva che la prosa oratoria si distinguesse sia dalla poesia che dalla prosa ordinaria. I criteri di tale distinzione erano: scegliere le parole nel lessico usuale, evitando arcaismi e neologismi; usare metafore e altre figure, ma a condizione che fossero chiare, al contrario di quelle dei poeti; evitare frasi metriche, come i versi dei poeti, e frasi aritmiche, per ricercare frasi dal ritmo sciolto e sempre al servizio del senso. La retorica ha dunque creato un’estetica della prosa, un’estetica puramente funzionale, da cui è escluso tutto ciò che è inutile, in cui il minimo effetto di stile si giustifica con l’esigenza di persuadere, poiché ogni artificio gratuito può ingenerare ambiguità. Lo stile migliore, cioè il più efficace, è quello che si adatta all’uditorio, al target. Ciò significa che varierà a seconda di chi ascolta. I Latini distinguevano tre generi di stile: il sublime (grave), l’umile (tenue), e il mediocre (medium), che dava luogo all’aneddoto e alla comicità. L’oratore efficace adotta lo stile che si addice al suo uditorio: il sublime per commuovere (movere), l’umile per informare e spiegare (docere), soprattutto nella narratio e nella confirmatio; il mediocre per piacere (delectare), soprattutto nell’esordio e nell’epilogo. Certo, la chiarezza è relativa: ciò che è chiaro per un pubblico colto può sembrare oscuro a quello che lo è meno, e infantile agli specialisti. Come scrive Quintiliano: “La prima virtù dell’eloquenza è la chiarezza, tanto è vero che, quanto meno uno è intelligente, tanto più cerca di gonfiarsi e di innalzarsi: proprio come avviene ai piccoli di statura, che si alzano sulla punta dei piedi”1. Tra le componenti dell’elocutio si annoverano le figure retoriche che sono una rimanenza delle pratiche magiche legate ai formulari, alle parole segrete, alle parole misteriose residuo dello slittamento graduale dal mago al sapiente, poi al maestro di verità e al poeta, fanno parte della dimensione magica del linguaggio, la più antica, prealfabetica forse primitiva. Il poeta è il maestro delle figure retoriche, da 1. Quintiliano, Istitutio Oratoria, II, 3, 8. 15 Omero in poi si può ammirare la capacità del poeta di inventare immagini attraverso il linguaggio. L’inventare immagini attraverso il linguaggio ha un’origine magica, antichissima come il nominare le cose per la prima volta. 16 4. L’immagine è il messaggio Se è vero, a proposito dei mass-media, che il mezzo è il messaggio è anche vero che la forza persuasiva del mezzo diventa la forza seduttiva del messaggio attraverso la pubblicità e la creatività espressa dalle immagini. La creatività misura non solo il plus di prodotto ma anche la capacità dei mass-media di operare in profondità, agire sull’inconscio di ognuno condizionando, in questo modo, acquisti e stili di vita. Le immagini espresse dalle figure retoriche agiscono in profondità ovvero parlano a quella parte di sé più nascosta e profonda che tuttavia condiziona le scelte di ognuno. La creatività è una formidabile macchina di produzioni di immagini che hanno lo stesso linguaggio dei sogni, si potrebbe dire, parafrasando Lacan, che l’inconscio è struttrato non come un semplice linguaggio ma come un linguaggio di figure retoriche, di immagini. Ma cos’è un’immagine? Oggi la parola immagine è iperdeterminata, si parla di immagine in tutti i contesti: dallo sport alla politica, alla moda, allo spettacolo ecc. Generalmente quando si parla di immagine ci si riferisce soprattutto al cinema, alla televisione o alla fotografia. In realtà la parola immagine ha un significato più profondo, è antica come il latino da cui proviene, quando ancora evocava fantasie, situazioni, luoghi mentali. Una immagine è tale quando racconta una storia, è portatrice di memoria, di passato, è un reperto di un mondo appunto immaginario. Se un’immagine colpisce l’attenzione e quindi la memoria, vuol dire che dice di più di ciò che rappresenta, dice quello che non si può dire in altro modo. È sintesi: ‘siamo fatti della stessa materia dei sogni” recita il verso di Shakespeare. 17 Il sogno è lo stritolamento di tutto ciò che è razionale, è lo sgretolarsi della logica, della realtà. Nel sogno può accadere di tutto e anche quando si racconta il sogno si è costretti a usare il linguaggio in modo diverso da quello realistico. In questo senso le figure retoriche sono fondamentali per far capire quella cosa in più che il linguaggio logico non è in grado di definire o comunque di spiegare. Carl Gustav Jung, Sigmund Freud e Jacques Lacan hanno posto al centro della loro riflessione il sogno, non solo come capacità linguistica di procedere per modelli non realistici, ma anche come una sorta di ammonimento dell’inconscio alla nostra parte consapevole, come un disvelamento, una verità nascosta che emerge. In particolare Carl Gustav Jung, a proposito dell’importanza del sogno scrive, ‘il sogno costituisce essenzialmente un modo di espressione dell’inconscio’1. Nei sogni i simboli, le immagini si presentano spontaneamente poiché i sogni si offrono da soli senza il soccorso dell’invenzione: perciò essi costituiscono la nostra fonte principale di immagini simboliche. Anche la psicanalisi di Freud è incernierata sul sogno e il suo disvelamento, il sogno ha un linguaggio preciso e capire il linguaggio dei sogni è capire come funziona il nostro inconscio. Jacques Lacan sostiene che l’inconscio è strutturato come un linguaggio e parla solo quando soffre. Il sogno è per Lacan il momento in cui l’inconscio, questa struttura linguistica, soffre e comincia a parlare. Le figure retoriche hanno a che fare con il sogno perché il sogno produce immagini, spesso retoriche cioè non realistiche anche a livello linguistico. Il sogno è una formidabile fonte di immagini che, attraverso una rielaborazione consapevole diventano anche formulazioni linguistiche. Ma non solo, il sogno è sì generativo delle figure retoriche, ma anche della memoria. Perché è una produzione d’immagini, e la memoria si produce per immagine è ‘l’espressione dell’inconscio’, cioè il suo linguaggio naturale. Il bambino sogna già ancora prima di nascere. Il sogno è un linguaggio dell’apprendimento di noi stessi, facciamo esperienza nel sogno. Gli antichi retori scrivevano sempre discorsi ricchi d’immagini retoriche, perché sapevano che un concetto sottolineato da un’immagine rimaneva in memoria. 1. Jung C.G. (1980), L’uomo e i suoi simboli, Longanesi, Milano, p.16. 18 Il parlare per immagini significa dire una cosa attraverso un’altra cosa, ed è questa la potenza delle figure retoriche. Il sogno sta alla realtà come la magia sta alla logica, sono due mondi diversi: tra sogno e magia c’è una relazione profonda. I grandi maghi sognavano, il sogno diventava visione. Le religioni sono disseminate di sogni premonitori, perché il sogno fa parte della tecnologia del mago, il mago usa il sogno, non solo se lo fa lui, ma anche se lo fa un altro. La capacità di sognare è fare pace con la vita, a volte emergono dei momenti di conflitto molto forti, è una specie di valvola di sicurezza, esattamente come le figure retoriche sono le valvole di sicurezza del linguaggio, il momento magico dove il linguaggio non deve dire più logicamente quella cosa, il linguaggio va a ruota libera aggiunge quell’aspetto in più che può fare cambiare sentimenti e opinioni: basta guardare la pubblicità. Paragonare un pubblicitario ad un poeta è forse esagerato, ma è l’unico a usare, come il poeta, le figure retoriche. La poesia è sempre stato il regno delle immagini, anche storicamente: i primi retori ne hanno fatto uso in abbondanza. Ogni concetto può essere tradotto in immagine, anzi l’immagine aggiunge qualcosa in più al concetto, quello scarto che è difficile da dimenticare, quel ragionamento che nasconde la verità stessa del concetto. La pubblicità ha fatto delle figure retoriche una vera strategia sia a livello linguistico sia a livello figurativo. 19