Marnie (1964)

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Marnie (1964)
Controverso e discusso, <em>Marnie</em> contiene un potere turbativo ancora perfettamente
intatto e una summa di stilemi hitchcockiani piuttosto impressionante, per quantità e qualità.
Un film di Alfred Hitchcock con Sean Connery, Diane Baker, Tippi Hedren, Alan Napier, Melanie
Griffith, Martin Gabel, Louise Latham, Bob Sweeney, Mariette Hartley, Bruce Dern. Genere Giallo
durata 129 minuti. Produzione USA 1964.
Mark Rutland sposa Marnie, ma scopre che è cleptomane e frigida. Quando poi vede il color rosso
viene presa da violenti attacchi di nervi.
Marianna Cappi - www.mymovies.it
Marnie si fa assumere come segretaria, riuscendo nell'impresa senza referenze grazie al suo
bell'aspetto, lavora sodo, poi svaligia la cassaforte e fugge col bottino. Ci comprerà qualcosa per la
madre, non potendo comprare il suo affetto. Lo ha già fatto e lo rifarà, quando Mark Rutland, giovane
industriale vedovo, insiste per farla assumere nella sua azienda. Ha capito che Marnie è malata, che
non tollera i temporali e la vista del rosso, che mente, che ruba e, dopo che l'avrà sposata, scoprirà suo
malgrado che non sopporta nemmeno di farsi avvicinare da nessun uomo, nemmeno quello che ama.
Rutland, nonostante tutto, è deciso a guarirla e la conduce al confronto diretto con la madre e con il
ricordo del rimosso.
Hitchcock porta in scena la materia sessuale in maniera più esplicita che mai: la frigidità della
protagonista, e la cleptomania come suo sintomo, sono l'oggetto del film e la terapia psicanalitica è
evocata ampiamente e apertamente. Il technicolor assiste meravigliosamente il maestro, colorando di
rosso il trauma, di bianco l'agognata assenza di passione, e di giallo, come d'abitudine, la sfera del
desiderio. Giallo, fin dal primissimo fotogramma, è il colore del tesoro che Marnie stringe sotto braccio,
biondo sarà poi quello dei suoi capelli sciacquati dalla tinta e ancora gialla la vestaglia di Sean Connery
nella scena centrale dello stupro, che Hitchcock risolve con il noto crudissimo primo piano di Tippi
Hedren e poi con la figura geometrica e retorica dell'oblò sul mare aperto, fedele ad un'idea di cinema
che più mostra più nasconde.
Controverso, "malato" (secondo Truffaut), 'Marnie' è stato ammirato e rifiutato, dalla critica, a seconda
dei tempi, ma è certo che contenga un potere turbativo ancora perfettamente intatto e una summa di
stilemi hitchcockiani piuttosto impressionante, per quantità e qualità. Vertiginoso, nel caso clinico che
inscena, il film lo è anche nella vicinanza a quel capolavoro indiscusso che è 'La donna che visse due
volte' ('Vertigo', in orinale), di qualche anno prima.
Tra le interpretazioni critiche più interessanti, quella di Jean Duchet che, a partire dai titoli di testa,
ideati su cartoncini che scorrono da destra a sinistra, suggerisce una lettura a rovescio del film. La
favola della ragazzina povera salvata dal ricco principe azzurro, si tramuterebbe in quella di una donna
che viene dominata dal desiderio maschile e spogliata, oltre che del suo segreto, dell'odio per gli
uomini che le forniva la ragione di vita.
'Marnie' , tratto dal romanzo omonimo di Winston Graham, segna anche un notevole punto di cesura
nella filmografia del maestro del brivido, in quanto rappresenta l'ultima occasione di lavoro di tre dei
suoi collaboratori storici più importanti: il direttore della fotografia Robert Burks, il montatore George
Tomasini (morirono entrambi poco dopo) e il compositore Bernard Herrmann che tanto aveva
contribuito all'immediata riconoscibilità della personalità artistica di Hitchock.
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