Rilancio del privato e pace per la Palestina

Rilancio del privato e pace per la Palestina
di Hanna Siniora
Presidente Camera di Commercio Euro-Palestinese, Palestina
Per la Palestina questo è un periodo cruciale dal punto di vista politico; per parlare dell'economia
palestinese non si può prescindere dal fare cenno anche alla situazione politica, dato che
l'economia e la politica sono strettamente connesse tra loro, due facce della stessa medaglia. Già
dodici anni fa è stato fatto un tentativo per arrivare ad una integrazione tra l'Europa e la Palestina,
quando il dottor Bassetti mise a disposizione della Palestina la vecchia Borsa di Milano. All'epoca
le aziende quotate erano pochissime e non potevamo certo collaborare a quel progetto ambizioso
per quanto importante, ma forse in futuro riusciremo a realizzare qualcosa in questa direzione. La
base di qualunque sviluppo di tipo economico non dipende solo dalla situazione politica ma anche
dal processo democratico. Quindi, la stabilità dell'economia palestinese e le potenzialità di sviluppo
economico, che dovrebbero trasformarsi in ricchezza, sono legate ad una cultura che si fonda sulla
democrazia e sul rispetto dei diritti umani, della libertà di espressione, della rappresentanza
popolare, nonché sul buon governo. Per ottenere ricchezza e prosperità, un prerequisito è quello
del buon governo basato sulla trasparenza e sul principio dell'imputabilità; ma il problema
maggiore delle imprese in Palestina è rappresentato dall'instabilità politica derivante quasi
essenzialmente dalla mancanza di un insediamento politico a causa dello stato in cui versa il
nostro paese. La situazione è molto volubile e sappiamo quanto l'instabilità politica sia un forte
deterrente allo sviluppo economico. Ora, per mettere in movimento un vero sviluppo economico,
l'autorità nazionale palestinese si è impegnata a realizzare un'economia di mercato per
incoraggiare e promuovere gli investimenti che per noi sono importantissimi; senza investimenti
esteri, non solo dai paesi arabi della diaspora palestinese, ma anche da parte degli investitori
europei, l'economia palestinese non potrà svilupparsi, crescere e creare occupazione. Proprio per
questo incoraggiamo gli investimenti per migliorare le condizioni di vita della nostra gente e per
sfruttare al meglio tutte le possibilità che ci vengono offerte. La politica commerciale palestinese
finora è stata limitata. Questa politica dovrebbe invece sviluppare opportunità di crescita, attirando
investimenti dall'estero, migliorando le condizioni che rendono le nostre industrie più competitive.
Per una reale integrazione rispetto all'economia dell'Unione Europea - tra l'altro la Palestina ha già
siglato un accordo con l'Unione Europea - serve maggiore competitività. Attualmente il problema
non è stato adeguatamente considerato a causa delle condizioni politiche inerenti alla sicurezza.
La Palestina ha allora adottato una strategia in conformità al sistema degli scambi multilaterali, il
sistema del WTO, garantendo il rispetto degli standard internazionalmente accettati in modo da
competere sui mercati internazionali. La strategia si basa sull'ampliamento del processo
palestinese per il dialogo pubblico-privato. In Palestina riteniamo che il ruolo del settore privato sia
ancora più importante rispetto a quello pubblico. Finora l'economia palestinese è sopravvissuta
non certo per un orientamento del governo, ma per la flessibilità dei suoi imprenditori. Ce
l'abbiamo fatta anche sotto l'impero Ottomano, sotto il protettorato inglese, i 19 anni di regno
giordano e i 33 anni di occupazione israeliana. Nonostante queste vicissitudini le piccole e medie
imprese palestinesi sono sopravvissute, continuando a costituire la spina dorsale della nostra
economia. In più occasioni la Palestina ha criticato il Primo Ministro Berlusconi per avere sostenuto
l'America soprattutto in campo politico; ci è dispiaciuto quando il Primo Ministro Berlusconi non è
venuto a visitare Arafat durante il suo tour della regione, ma dobbiamo riconoscere che unitamente al Governo italiano - ha cercato e sta cercando di aiutare sia i palestinesi che gli
israeliani affinché si comprendano le esigenze della regione nel suo insieme, non escludendo altri
paesi come la Siria ed il Libano. La nostra regione e, in particolar modo la Palestina, devono
ricevere il necessario sostegno per fare crescere il settore privato e nel dire ciò ricordo che il
Ministero degli Esteri italiano ha cercato di offrire ai palestinesi, attraverso il "piano Marshall" voluto
da Berlusconi, una serie di iniziative per sostenere le richieste dei palestinesi. È bene
comprendere, però, che i palestinesi vogliono contribuire di persona allo sviluppo. Finora sono stati
completamente ignorati, non sostenuti, e credo che i palestinesi non vogliano concessioni o
contributi a fondo perduto. Di per sé si tratta di una forma di corruzione, perché chi riceve aiuti a
fondo perduto in qualche modo tende a rilassarsi. Un altro discorso è quello relativo ai prestiti
agevolati concessi con un periodo di garanzia di dieci-quindici anni, o con un tasso di interesse
dell'1%. I prestiti agevolati servono enormemente al settore privato palestinese ed è per questo
che dobbiamo creare un meccanismo per far sì che questi prestiti vengano messi a disposizione di
più soggetti. Mi sembra di capire dal dibattito con le autorità italiane che i fondi per la concessione
di questi prestiti - tra l'altro già erogati in passato ad altri paesi - siano disponibili. Perciò il citato
"piano Marshall" può essere certamente utile a condizione che i prestiti agevolati vengano dati ai
privati, affinché il sistema economico palestinese possa ricostituirsi dopo 33 anni di gravi
vicissitudini, nella speranza di porre fine agli scontri tra Palestina ed Israele. In termini concreti,
credo che si possa pensare ad una collaborazione tra la Camera di Commercio di Milano e le
aziende private palestinesi per favorire una crescita delle esportazioni e creare apposite joint
venture finalizzate a far decollare l'economica locale. Oggi abbiamo quasi il 50% di tasso di
occupazione, negli ultimi due anni e mezzo addirittura siamo arrivati nella striscia di Gaza ad un
tasso di disoccupazione del 60% e al 40% in Cisgiordania. Sono certo che gli investimenti delle
imprese italiane e le joint venture con le controparti palestinesi potrebbero davvero essere una
ottima soluzione per migliorare la situazione. Dobbiamo, inoltre, individuare i prodotti da esportare
in Europa. La nostra forza lavoro è qualificata, non costosa e gli stipendi sono un terzo rispetto a
quelli israeliani o a quelli corrisposti in fabbrica agli operai. Pensiamo che questo ci possa rendere
competitivi. Una collaborazione di questa natura tra istituzioni palestinesi, italiane e, in futuro,
anche europee ci aiuteranno senz'altro a riprenderci dalla congiuntura attuale. Nonostante l'attuale
tasso di occupazione il nostro settore privato ha continuato ad esistere; certo, al momento non è
fiorente perché le condizioni sono durissime, ma è altrettanto vero che siamo riusciti a
sopravvivere. L'economia palestinese fino ad oggi si è basata soprattutto sull'agricoltura e sulla
lavorazione dei prodotti che vorremmo esportare. Anche noi, come l'Italia, abbiamo un settore
importante che è quello del marmo, delle pietre, da cui proviene un terzo del nostro PIL; purtroppo
una delle industrie più importanti, quella del turismo, è quasi scomparsa: il turista oggi evita di
venire in Palestina, anche se si tratta della Terra Santa. A causa del conflitto, gli alberghi e le aree
legate al turismo versano in pessime condizioni. Stiamo quindi cercando mercati alternativi per
poter esportare i prodotti dell'artigianato palestinese e l'Italia è il primo paese con cui abbiamo fatto
accordi ottenendo la collaborazione della Camera di Commercio e del Comune di Roma.
Vorremmo inoltre essere presenti in dicembre alla mostra dei prodotti artigianali che si terrà a
Milano, augurandomi che anche i nostri artigiani possano parteciparvi. Questo è il tipo di
integrazione, di aiuto di cui ha bisogno l'economia palestinese, da parte di coloro che vogliono
sostenere la causa della pace e della stabilità nella nostra regione. Per chiudere, concordo con il
Presidente Sangalli quando dice che dovremmo considerare Milano come la porta verso l'Europa
continentale, ma sono anche d'accordo con il Sindaco di Milano Albertini quando afferma che
l'economia è uno strumento importante per la pace. L'economia di un paese deve però essere
sostenuta. In questo senso è stato fatto un esperimento importante da parte della Banca Europea
degli Investimenti che ha avviato misure a sostegno delle piccole e medie imprese, le quali hanno
utilizzato interamente i fondi stanziati, ed è questa la ragione per cui da noi tutti sono a favore della
creazione di una banca Mediterranea. Questa idea, purtroppo, si è scontrata con la concorrenza
americana, e poi sono seguiti i vertici economici di Casablanca con tutto ciò che ne è conseguito.
Speriamo che a questo punto l'Unione Europea possa assumersi la guida di queste iniziative
anche per arrestare l'immigrazione e permettere ai lavoratori della regione di lavorare a casa
propria con dignità, senza dover immigrare, anche per circoscrivere il problema dell'immigrazione
nei paesi occidentali.