“romantici in erba” progetto didattico al palazzetto bru zane

“ROMANTICI IN ERBA”
PROGETTO DIDATTICO
AL PALAZZETTO
BRU ZANE
Racconto-concerto
Lunedì 10, martedì 11, lunedì 17 marzo 2014
ore 10.00
Joli Bateau
Mediatore Remo Peronato
Musica di George Onslow, Camille Saint-Saëns,
Paul Dukas, Claude Debussy
Ensemble Musagète
Fabio Pupillo flauto
Remo Peronato oboe
Luigi Marasca clarinetto
Enrico Barchetta corno
Laura Costa fagotto
Michele Gallo contrabbasso
Gabriele Dal Santo pianoforte
INDICE
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Joli Bateau
11 biografie dei compositori
22 giochi e attività
29 glossario
JOLI BATEAU
Un racconto con parole e musica
Progetto didattico dell’Ensemble Musagète per il Palazzetto Bru Zane
rivolto alle scuole primarie del Veneto.
Sceneggiatura a cura dell’Ensemble Musagète sulla base dei testi prodotti dalle
classi partecipanti al progetto (200 bambine e bambini delle scuole primarie del
Veneto!).
Musica di George Onslow (1784-1853) dal Settimino op. 79 per fiati, contrabbasso e
pianoforte
La rotta
Il concerto è un gioco, una recita con ruoli ben precisi da interpretare. Ciascun
musicista, grazie al proprio strumento/maschera, diventa un personaggio (o molti)
creato dalla fantasia del compositore. Attraverso i suoni si producono emozioni,
azioni, figure... La musica ci commuove (= con-muove): la nostra fantasia può
viaggiare velocissima, lontano, in un altro tempo.
Il progetto didattico Joli Bateau – attraverso una ricostruzione fantastica del
lavoro del musicista – vuole offrire un’esperienza concreta di come i musicisti
arrivano all’esecuzione di una pagina musicale, attraverso prove, errori e
discussioni.
L’equipaggio
La musica da camera è un gioco di squadra. L’equipaggio del nostro battello è una
metafora del lavoro di concertazione grazie al quale la rotta si definisce.
Joli Bateau, attraverso l’interazione dei personaggi che animano il battello, mostra
come personalità differenti, ciascuna con le proprie peculiari caratteristiche,
possano collaborare dando vita alla musica.
La sfida
Per il musicista il concerto è anche una sfida da affrontare con coraggio – il pubblico
può essere un mare periglioso! Lo studio, le prove, la concentrazione e la capacità di
uscire da sé per interpretare una parte sono il bagaglio di competenze necessarie al
concertista. Sono però anche un insegnamento che si può estendere a diversi ambiti
della vita, in particolare quando siamo di fronte a sfide che ci fanno paura. Il buon
esito della navigazione deve per forza affidarsi alle competenze di ciascun membro
dell’equipaggio. Ognuno è chiamato svolgere al meglio il proprio compito.
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Il racconto. Un work in progress
La storia del Joli Bateau che verrà raccontata... non è ancora scritta. Ci sono alcune
tessere del mosaico (i personaggi) e ci sono alcune boe che segnano la rotta (i titoli
delle scene). Il racconto andrà però definendosi con il contributo delle classi che
partecipano al progetto. Saranno loro che daranno carattere ai personaggi e forma
alle scene, anche sulla base delle suggestioni musicali proposte.
Il canovaccio
Il pianista Gabriele è molto timido. Quando è da solo è capace di grandi virtuosismi
sul suo pianoforte, ma non appena c’è il pubblico la paura lo assale e non riesce
quasi più a suonare. Tra poche settimane dovrà tenere un concerto alla famosa
Salle Pleyel di Parigi... ed è già terrorizzato.
Gabriele ha però anche una grande fantasia. Quando si mette a suonare e chiude gli
occhi il pianoforte diventa una nave che solca impavida le acque. Gabriele è allora
un capitano coraggioso pronto a tutto.
Riuscirà Gabriele a ottenere il meritato successo davanti al pubblico di Parigi?
Chiudiamo gli occhi insieme e... il palco diviene un Joli Bateau, animato da diversi
personaggi: al timone il Capitano G (il nostro Gabriele), di vedetta il nostromo
Michele. E poi il resto della ciurma: Siringa, Primo Ufficiale Sovraintendente
alla cucina e al meritato riposo; Altolegno, Secondo Ufficiale addetto al sestante;
Chalumeau, Terzo Ufficiale alle vele e al sartiame; Monsieur Cor, marinaio addetto
alle segnalazioni; e per finire Basson, il giovane mozzo di cambusa dal passato
misterioso.
Le tessere e i paletti
Come abbiamo detto il lavoro si costruirà con il fondamentale contributo delle
bambine e dei bambini partecipanti al progetto. A ciascuna classe viene fornito
un kit sulla base del quale dare forma ai personaggi e alle scene (ogni classe si
concentrerà solo su alcuni tasselli del mosaico). L’Ensemble Musagète provvederà
poi a collegare i lavori in modo tale da dare vita a un racconto organico nel quale
però ciascuna classe possa ritrovare i propri “pezzi”.
Il materiale
Il kit fornito a ciascuna classe sarà il seguente:
1) la rotta del Joli Bateau (i titoli, l’ordine e una sommaria descrizione dei
contenuti delle scene);
2) l’identikit dei personaggi (una scheda per ognuno dei sette personaggi che
fornisce alcuni elementi del loro carattere e della loro fisionomia)
3) le tracce musicali (a ciascun membro dell’equipaggio del Joli Bateau viene
abbinata una traccia musicale che descrive musicalmente il personaggio stesso).
Le consegne
Sulla base del kit fornito ciascuna classe dovrà lavorare alla costruzione di due (2)
personaggi e una (1) scena.
Nel kit consegnato la scena I (“La partenza del Joli Bateau”) e il personaggio del
“Capitano G” saranno già sviluppati in modo da fornire un esempio al lavoro da
svolgere in classe.
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Calendario
06 novembre 2013, Palazzetto Bru Zane
Incontro preliminare con i docenti delle classi che prendono parte al progetto:
Presentazione dei contenuti e consegna dei materiali per il lavoro in classe.
17 gennaio 2014 (entro il)
Consegna degli elaborati (schede personaggi + scheda scena)
10-11-17 marzo 2014
Joli Bateau. Racconto con parole e musica creato dall’Ensemble Musagète con il
contributo essenziale delle classi partecipanti al progetto.
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allegato A
La rotta (schede scene)
Scena I
La partenza del Joli Bateau
Musica: Onsolw, Settimino op. 79, I movimento, Allegro moderato
Gabriele ha ricevuto una lettera nella quale viene invitato a tenere un concerto
nella famosa Salle Pleyel a Parigi! Non riesce quasi a respirare dalla gioia.
Finalmente il grande momento è arrivato: un concerto importantissimo, nel quale
potrà far valere tutto il suo talento, coltivato con grande passione e molto studio.
Si immagina già il bellissimo pianoforte, nero e lucidissimo, i tasti perfettamente
calibrati per rispondere a ogni sollecitazione delle sue dita. La sala,
meravigliosamente illuminata da lampadari di cristallo, dall’acustica perfetta. E
le comode poltroncine rivestite di una magnifica stoffa bordeaux dalle sfumature
cangianti pronte ad accogliere... il numeroso pubblico!
Accidenti! Al pensiero della sala affollata da un pubblico in attesa di sentire la sua
esecuzione Gabriele inizia a tremare. Stringe la sua coperta tra le mani e immagina
che non ce la farà. Come può affrontare un concerto sapendo che decine, forse
centinaia di persone lo stanno ascoltando?! Una foresta di orecchi pronti a sentire
ogni esitazione nella sua interpretazione, ogni incrinatura nel suo fraseggio... “No,
non è possibile. Non ce la farò mai!”, si dice mesto.
“Capitano G!”, lo chiama una voce, “mi senti? Sono Altolegno, il tuo Ufficiale in
seconda. La ciurma è pronta. Salpiamo?”
Gabriele per un attimo non capisce, ma poi... La sua risorsa magica, sì, la fantasia!
Se chiude gli occhi e si immagina di essere Capitano G il pianoforte diviene un
battello. I musicisti che suoneranno con lui sono l’equipaggio del Joli Bateau che lo
porterà a Parigi. Se, con l’aiuto della sua ciurma, riuscirà a trattenere in sé questa
forza che ora sente nuovamente di avere, il successo sarà assicurato.
“Allora, bando alle ciance, Altolegno! Faccia salire a bordo l’equipaggio!”
Ecco sfilare dunque la ciurma del Joli Bateau:
il nostromo Michele, lento ma inesorabile, Ammiraglio di vedetta e supervisore
della stiva;
Siringa, mente raffinata e stomaco capace, Primo Ufficiale Sovraintendente alla
cucina e al meritato riposo;
Altolegno, spirito pignolo, Secondo Ufficiale addetto al sestante;
Chalumeau, grandi polmoni e muscoli d’acciaio, Terzo Ufficiale alle vele e al
sartiame;
Monsieur Cor, marinaio addetto alle segnalazioni;
e per finire il giovane mozzo di cambusa Basson dal passato misterioso.
“Altolegno, accorda la ciurma!” ordina Capitano G e quindi “Si parteeeeeeeeeee!”.
Scena II
Invito alla danza
Monsieur Cor, inguaribile romantico, invita la ciurma a un ballo al chiaro di luna
sul ponte del Joli Bateau...
Musica: Onsolw, Settimino op. 79, II movimento, Scherzo [Trio] da 3’28” a 5’16”
Scena III
Un imprevisto!
Tempesta in arrivo...
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Musica: Onsolw, Settimino op. 79, II movimento, Scherzo fino a 3’28” (oppure da
5’16” alla fine del movimento)
Scena IV
Bonaccia
Cosa succede se cala il vento?
Musica: Onsolw, Settimino op. 79, III movimento, Andante
Scena V. Finale
Il concerto alla Salle Pleyel
Il Joli Bateau arriva a Parigi appena in tempo per il grande concerto alla Salle
Pleyel...
Musica: Onslow, Settimino op. 79, IV movimento, Finale: Allegretto
allegato B
L’equipaggio (scheda personaggi)
Capitano G
Segni particolari
porta sempre con sé una piccola coperta che gli infonde sicurezza.
Chi è?
Gabriele è un pianista molto timido. Quando è da solo è capace di grandi
virtuosismi sul suo pianoforte, ma non appena c’è il pubblico la paura lo assale e
non riesce quasi più a suonare.
Nella sua camera passa ore sulla tastiera. La fatica non gli pesa, gli piace quando le
dita, stanche dal lungo allenamento, riescono a correre sui tasti rapide e precise. La
cosa più difficile è però far cantare il pianoforte su quelle melodie lente, con i suoni
che paiono gabbiani che sfiorano leggeri le acque calme della laguna. Le dita devono
cadere precise sui tasti come ciottoli che disegnano cerchi leggeri, mentre le note
si espandono lente, fino a scomparire. Quando questo gli riesce, Gabriele è davvero
felice. Lo scoglio più grande, però, rimane il confronto con il pubblico. Se qualcuno
l’ascolta, il respiro gli manca e le sue dita non sono più sicure e infallibili.
Tra poche settimane dovrà tenere un concerto alla famosa Salle Pleyel di Parigi... ed
è già terrorizzato. Gabriele ha però anche un’arma segreta, una grande fantasia. Se
chiude gli occhi il pianoforte può diventare una nave che solca impavida le acque.
Gabriele è allora un capitano coraggioso pronto a tutto: Capitano G.
nostromo Michele
Segni particolari
...
Chi è?
Lento ma inesorabile, Ammiraglio di vedetta e supervisore della stiva...
Traccia musicale
01: nostromo Michele
Camille Saint-Saëns, Le Carnaval des animaux, L’éléphant
Siringa
Segni particolari
8
...
Chi è?
Mente raffinata e stomaco capace, Primo Ufficiale Sovraintendente alla cucina e al
meritato riposo...
Traccia musicale
02: Siringa
Claude Debussy, Syrinx
Altolegno
Segni particolari
...
Chi è?
Spirito pignolo, Secondo Ufficiale addetto al sestante...
Traccia musicale
03: Altolegno
Camille Saint-Saëns, Andantino dalla Sonata per oboe e pianoforte op. 166
Chalumeau
Segni particolari
...
Chi è?
Grandi polmoni e muscoli d’acciaio, Terzo Ufficiale alle vele e al sartiame...
Traccia musicale
04: Chalumeau
Debussy, Première Rhapsodie (estratto)
Monsieur Cor
Segni particolari
...
Chi è?
Marinaio addetto alle segnalazioni...
Traccia musicale
05: Monsieur Cor
Onslow, Settimino op. 79, III movimento, Andante (estratto)
Basson
Segni particolari
...
Chi è?
Giovane mozzo di cambusa, dal passato misterioso. Si traveste da maschio per
poter salire sul Joli Bateau. Da chi o da cosa sta fuggendo?...
Traccia musicale
06: Basson
Paul Dukas, L’apprenti sorcier (estratto)
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Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia
BIOGRAFIE DEI COMPOSITORI
George Onslow
All’alba del diciannovesimo secolo, mentre il Romanticismo si faceva lentamente
strada fra le arti europee diffondendo un nuovo modo di interpretare la vita e il
mondo, iniziava la sua carriera un musicista dall’ispirazione insolita e ricca di
affascinanti contraddizioni. Da una parte avrebbe amato e omaggiato, nelle sue
composizioni, i maestri di un’epoca ormai conclusa, il classicismo; dall’altra, certi
sviluppi futuri della musica sarebbero stati adombrati dal suo stile. Avrebbe amato
uno dei generi musicali più caratteristici della sua terra, il teatro d’opera, ma al
tempo stesso si sarebbe distinto nella scrittura di brani da camera, ovvero per un
piccolo gruppo di strumenti; cosa che, nel luogo e nel tempo in cui visse, non era
affatto comune. Infine, anche se nei suoi lavori spesso si avvertiva una matrice
“tedesca”, egli fu discendente al tempo stesso di due nazioni: Gran Bretagna e
Francia.
Jacques-Louis David,
Il giuramento degli Orazi
Il padre di George Onslow, infatti, era Edward Onslow, i cui avi erano stati
Presidenti della Camera dei Comuni del governo inglese; giunto in Francia nel
1781, egli sposò Marie-Rosalie de Bourdeilles de Brantôme, la quale diede alla luce
il primo dei suoi quattro figli nel 1784. Iniziò così l’infanzia del piccolo George,
un periodo agiato e avventuroso. La ricchezza della famiglia fece sì che, allo
scoppio della Rivoluzione francese, gli Onslow poterono decidere senza problemi
di trasferirsi altrove, garantendo al tempo stesso una buona educazione ai propri
figli. Le tappe del viaggio furono prima Rotterdam e poi Amburgo; mentre gli
spostamenti frequenti lo esponevano alla vivacità della cultura europea, George
scoprì lentamente una vocazione per la musica. Le circostanze fecero sì che potesse
coltivarla nel migliore dei modi; dal 1799 al 1800 studiò pianoforte ad Amburgo con
uno dei didatti più abili del suo tempo, Jan Ladislav Dussek. Un successivo soggiorno
inglese, che lo ricongiunse alla radici della sua famiglia, permise una prosecuzione
degli studi con Johan Baptist Cramer, un altro insegnante eccellente.
George Onslow non comprese tuttavia la sua vocazione di compositore durante il
suo apprendistato da pianista. La svolta, invece, avvenne durante l’ascolto dell’Ouverture dall’opera Stratonice di Étienne-Nicolas Méhul, nel 1801. Significativamente,
fu il lavoro di un compositore francese a risvegliare nel giovane artista il desiderio
di comporre; e fu proprio un’opéra comique, ossia un tipo di spettacolo melodrammatico che alternava al canto la recitazione in prosa. Questa sarebbe stata precisamente la forma che avrebbero preso molte delle future pagine operistiche elaborate
da Onslow.
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Le prime testimonianze della sua creatività appartennero, tuttavia, ad un altro
ambito. Come già anticipato Onslow, rientrato in Francia nel 1804 e ormai pronto
a formarsi nella composizione con Antonín Reicha, era destinato a fornire un gran
numero di contributi alla cosiddetta “musica da camera”. La Francia, nel corso di
tutto l’Ottocento, non fu tuttavia la patria più accogliente per questo tipo di musica, che veniva invece più benignamente accolta nei paesi di lingua tedesca. Pochi
compositori francesi, durante il Romanticismo, riuscirono a guadagnare fama
internazionale al di fuori dei teatri d’opera, grazie a composizioni per soli strumenti
senza la partecipazione della voce umana; tra questi, si possono ricordare Hector
Berlioz, Alexandre-Pierre-François Boëly e Charles-Valentin Alkan. Onslow non
possedeva certo una capacità artistica tale da rivaleggiare con Berlioz, o addirittura con i musicisti che diventarono prima fonte d’ispirazione per le sue creazioni:
Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Schubert, e soprattutto Ludwig Van Beethoven
e i suoi ultimi Quartetti per archi. La sorte però volle che l’agiatezza economica di
Onslow gli permettesse di scegliere liberamente la maniera in cui scrivere musica,
senza preoccuparsi eccessivamente della risposta del suo pubblico. La musica da
camera era probabilmente esattamente ciò di cui aveva bisogno per esprimersi:
le sue opéra-comique (tra cui Les deux Oncles, 1806 e L’Alcade de la Vega, 1824),
pur apprezzate, suscitarono perplessità nella critica; i suoi numerosi Quartetti e
Quintetti per archi (ben trentasei e trentaquattro, rispettivamente), e poi i Trii con
pianoforte, le Sonate per violino e per violoncello, e molte altre composizioni simili,
riscossero invece meritato rispetto oltre i confini francesi; nel 1846 Onslow ebbe ad
esempio l’onore di essere invitato in Germania da uno dei più grandi musicisti del
tempo, Felix Mendelssohn. Non mancarono, poi, onorificenze formali: dal 1832 fu
membro onorario della Philharmonic Society di Londra, e in patria godette dal 1842
di una posizione nella Académie des Beaux-Arts. Il compositore e pianista Camille
Pleyel si sbilanciò addirittura a chiamarlo il “Beethoven francese”.
Onslow morì nel 1853 ma aveva già smesso di comporre di sua spontanea volontà
un anno prima, dopo una serie di febbri reumatiche e problemi di vista all’occhio
sinistro; la sua fama lentamente, purtroppo, svanì. In effetti, ciò che Onslow aveva
lasciato non era realmente rivoluzionario; ma si trattava nondimeno di pagine
musicali di grande raffinatezza, e che ebbero un ruolo pioneristico nel riportare
la musica da camera all’attenzione della vita culturale francese. Il suo amore per
questo tipo di repertorio era sincero e disinteressato; ce lo testimonia un aneddoto
risalente al 1829. Nell’estate di quell’anno, un gravissimo incidente di caccia immobilizzò il compositore a letto per un lungo periodo. Durante la convalescenza,
trascorse molte ore portando a termine un Quintetto, destinato poi a diventare la
sua Op. 38 (“opera 38”: i compositori spesso numeravano le loro composizioni), con il
nome “De la Balle” [“della pallottola”]. Onslow lo avrebbe adottato come sua opera
rappresentativa e prediletta, arrivata a compimento dopo essersi fortunatamente
salvato da pericolose circostanze.
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Paul Dukas
Generazioni di giovanissimi si sono divertite ascoltando le trovate sonore spiritose
e brillanti del poema sinfonico L’apprenti sorcier, mentre Mickey Mouse, alle prese
con scope animate e secchi d’acqua, diventava protagonista di una storia raccontata già da Johann Wolfgang von Goethe e, secoli prima, da Luciano di Samosata;
il nome di Paul Dukas, per il grande pubblico, è tuttavia sempre rimasto all’ombra
di quello di Walt Disney. Sicuramente, i film Fantasia (1940) e Fantasia 2000 (1999)
hanno fatto la differenza, nel garantire celebrità postuma almeno a una pagina di
musica eccellente, scritta da un compositore francese altrimenti noto solo agli specialisti del settore. Ciò che Dukas ha lasciato, in realtà, va oltre la versione disneyana de L’apprendista stregone, peraltro abbreviata e leggermente “ritoccata” nell’orchestrazione; difficilmente inoltre l’ascoltatore che conosca solo tale opera, così ricca
di ironia e vivacità, potrebbe supporre che Dukas sia stato invece un uomo riflessivo
e rigoroso, che percorse con ammirevole pazienza un itinerario creativo disseminato di difficoltà.
Jean-Louis Théodore Géricault
Paesaggio con tomba romana
Dukas nacque a Parigi il 1° ottobre 1865, secondo dei tre figli di un colto banchiere
la cui moglie era dedita alla musica. Non fu grazie a lei, purtroppo, che il piccolo
Paul iniziò la sua formazione professionale; la madre infatti morì quando il futuro
compositore aveva solo cinque anni.
L’avvicinamento alla musica di Dukas fu lento, e apparentemente poco convinto.
Fu, c’è da dire, costante; pur senza esibire talento fuori dal comune, il giovane
perseverò nello studio del pianoforte sino all’età di quattordici anni. La convalescenza da una malattia fu l’occasione per una svolta decisiva: nel periodo di inattività
forzata, Dukas scoprì il desiderio di comporre, che si fece progressivamente più
acceso, sino a condurlo alle porte del Conservatorio di Parigi, dove entrò a sedici
anni. Gli studenti che accedevano all’istituto erano, di norma, molto più giovani di
lui; nondimeno, Dukas accettò coraggiosamente la “sfida” che lo attendeva. Quel
Conservatorio era un luogo che pretendeva profondo impegno; in esso si raccoglievano le ultime tendenze della musica Romantica europea, tra cui il teatro
tedesco di Richard Wagner, attraverso le riflessioni di maestri colti e rigorosi. La
scuola musicale francese, nel tardo Ottocento, stava costruendo un’architettura
solidissima di regole per la composizione, tramite le quali comprendere il passato
e definirne le differenze con il presente. Grazie a insegnanti come Théodore Dubois
ed Ernest Guiraud, Dukas si trasformò lentamente in un musicista estremamente
erudito, amante delle forme classiche (ovvero appartenenti al secolo precedente) ma
al tempo stesso ricettivo nei confronti della “nuova musica” che annunciava a gran
voce l’avvento del novecento. Non si trattava di una contraddizione; un altro grande
allievo di Guiraud, Claude Debussy, disse una volta che per sentirsi liberi occorre
conoscere ciò da cui si è liberi, ovvero le regole accademiche.
La personalità matura di Dukas, però fu definita e profondamente segnata da eventi sfortunati. Nonostante i suoi sforzi, e la palese qualità delle sue opere giovanili,
Dukas non riuscì mai a conquistare uno degli ambiti premi attribuiti dal Conservatorio agli studenti migliori. La delusione più cocente giunse nel 1888, anno in cui
lasciò gli studi: la sua cantata Velléda si piazzò solo seconda nella graduatoria del
prestigiosissimo Prix de Rome, facendo così sfumare una decisiva opportunità di
carriera.
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L’accaduto spinse Dukas in una nuova direzione; abbandonati gli studi della musica pratica si dedicò a quelli teorici, trasformandosi in un critico e recensore, alle
prese con autori del passato per lui amatissimi – Bach, Beethoven, Gluck, Mozart e
Rameau.
Non rinunciò però mai, del tutto alla composizione. Trovò anzi un poco del successo
lungamente agognato facendo eseguire la sua Ouverture per la tragedia di Corneille
Polyeucte, che debuttò presso i Concerts Lamoureux nel 1892. Scoprì poi una vena
burlesca e spettacolare nell’Apprendista stregone del 1897, e una capacità veramente “moderna” di mettere in scena una storia tramite la musica grazie all’opera
Ariane et Barbe-Bleu, andata in scena nel 1907 dopo sette anni di lavoro.
Forse proprio per via della sua cultura profonda, e per gli insuccessi che lo “scottarono” in gioventù, Dukas (destinato a diventare professore al Conservatorio nel
1928) divenne progressivamente più esigente nei confronti di se stesso. Negli ultimi
ventitré anni della sua vita, sino alla sua scomparsa nel 1935, compose soltanto
quattro lavori, a partire dal suo balletto La Péri del 1912; e, mentre controllava e
riduceva la sua creatività, iniziò persino a selezionare cosa, tra quanto aveva già
scritto, non avrebbe meritato di sopravvivergli. Dukas, così, distrusse una serie di
proprie composizioni, delle quali ci rimangono i titoli (come L’arbre de science, da
una leggenda Hindu), ma che, sfortunatamente, non potremo mai ascoltare.
Il modo in cui le opere d’arte entrano nella storia, si sa, è sempre imprevedibile;
sicuramente lo schivo e severo Dukas non avrebbe mai potuto immaginare che la
sua fama postuma potesse dipendere dal colorato e divertente mondo del cinema
d’animazione americano. Chissà se, avendolo potuto prevedere, egli avrebbe preferito evitarlo distruggendo anche L’apprenti sorcier; o se, invece, si sarebbe limitato
ad alzare seriosamente un sopracciglio come lo stregone disneyano, forse sorridendo
dentro di sé per gli applausi tributati alla sua musica grazie all’ingenuità di un
esuberante apprendista.
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Claude Debussy
Chi era Claude Debussy? In passato, si è risposto tante volte a questa domanda.
Alcuni – molti, a dir la verità – hanno detto: Debussy? Un impressionista! Perché,
si è pensato, la musica di Debussy è come quei quadri dipinti da alcuni pittori
francesi a cavallo tra ottocento e novecento, ovvero Claude Monet, Edgar Degas,
Èdouard Manet, Pierre-Auguste Renoir: opere che cercano di parlarci attraverso le
sensazioni, tratteggiando così una realtà che cambia di continuo, a seconda della
nostra maniera di percepirla. Eppure, benché tutto questo sembri molto sensato,
altri hanno risposto… “Debussy? Il simbolista!”. E qui, il riferimento era soprattutto alla letteratura, a quei poeti come Verlaine, Mallarmé, Rimbaud, Valéry… i
cui componimenti furono non di rado messi in musica proprio da Debussy. Non c’è
dubbio che la musica di questo compositore possa avere una valenza anche simbolista: del resto, egli ci ha lasciato scritto che tra i suoi interessi principali vi erano
le «Corrispondenze misteriose tra la Natura e l’Immaginazione». Ma altri ancora
hanno dato risposte persino diverse! Si è detto: “Debussy? L’espressionista”, per via
di certe atmosfere, cariche di violenza e sensualità, che a volte sorgevano in alcune
sue composizioni, come il finale della sua opera lirica Pelléas et Mélisande, o nel
poema danzato Jeux. … Altri ancora risolvono il problema alla radice, e mettono
la musica di Debussy nella categoria, appositamente creata, del “debussismo”. Si
potrebbe continuare ancora, ma probabilmente si finirebbe soltanto per confondere
ulteriormente le idee. La cosa migliore da fare – e ciò che avrebbe raccomandato lo
stesso Debussy – , è ascoltare, semplicemente, la sua musica, opera di un uomo che
non ha avuto in realtà altra educazione al di fuori di quella musicale e che spesso,
per sua stessa ammissione, componeva seguendo il puro istinto.
Claude-Achille Debussy nacque il 22 agosto 1862, ormai più di centocinquant’anni
fa, a Saint-Germain-en-Laye, e a dir la verità si firmò “Achille Debussy” sino agli
anni in cui giunse a definire il suo stile musicale. Poi, quasi come a sancire il consolidamento di una nuova identità di uomo e d’artista, scelse di diventare definitivamente “Claude Debussy”. A dieci anni entrò al conservatorio di Parigi, e sin da
subito non fu un allievo qualunque. I ricordi dei suoi insegnanti – tra cui Marmontel, Durand e Guiraud – ci parlano di un ragazzo irrequieto, tanto geniale quanto
insofferente verso gli insegnamenti accademici. Non rare furono delle sanzioni
disciplinari nei suoi confronti, sanzioni che in realtà poco servirono a mitigare la
sua vitalità.
Dieci anni più tardi, ormai diplomato, lo ritroviamo già avviato con successo al
mestiere di musicista. Nel 1880, il suo talento fu notato da una delle più grandi
mecenati del tempo, Nadezhda Von Meck, nota soprattutto per essere stata la protettrice di un altro grande compositore, Tschaikovsky. Viaggiando per l’Europa con la
famiglia della sua benefattrice, il ventenne Debussy ebbe spesso modo di dimostrare
il suo talento di pianista, accompagnando magari proprio la Von Meck, o alcuni dei
bambini di casa, o altri musicisti.
Nel 1884, a soli 22 anni, Debussy vinse il Prix de Rome, ovvero il concorso di composizione più prestigioso del suo tempo, grazie alla scena lirica L’enfant prodigue. Al
premio si accompagnò un soggiorno a Roma durato due anni, del quale, a dir la verità… non conservò buoni ricordi. Per i suoi gusti, i musicisti italiani erano troppo
accademici; e proprio a Roma iniziò a ricevere diverse critiche per la sua tendenza
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a non comporre secondo le regole, e anzi ad inserire nel suo linguggio musicale
degli elementi spuri, provenienti da tradizioni musicali non colte e non europee. Ad
esempio, proprio in quel periodo cominciò a far uso delle cosiddette scale per toni
interi, che sono un elemento tipico di certa musica orientale. Il ritorno a Parigi, nel
1888, fu un sollievo, che si tramutò in gioia quando nel 1889 Debussy poté visitare
l’Esposizione Universale di Parigi e incontrare dal vivo, per così dire, quella musica
orientale che tanto lo affascinava. All’Esposizione trova infatti un’orchestrina di
Gamelan, tipica del folklore di Giava e di Bali, caratterizzata da timbri brillanti
e ritmi vivaci. Con questa “scoperta”, Debussy inizia definitivamente a riflettere
sulle caratteristiche del suono puro, come elemento fondamentale attorno al quale
comporre. Sono questi gli anni della conquista del suo stile maturo, che egli stesso
definì così: «La musica fino a oggi si è basata su un falso principio. Si cercano idee
in se stessi, mentre si dovrebbe cercarle intorno a sé. Si combinano, si costruiscono,
si immaginano dei temi che vogliono esprimere delle idee; e poi si sviluppano, si
modificano all’incontro con altri temi che rappresentano altre idee, si fa della metafisica, non della musica. Quest’ultima deve essere registrata spontaneamente dalle
orecchie dell’ascoltatore, senza che egli abbia bisogno di scoprire le idee estratte nei
meandri di un complicato sviluppo».
Caspar David Friedrich
Le scogliere di gesso di Rügen
Anche per questo, la musica di Debussy è spesso riflesso sincero di sue sensazioni
intime. In essa non manca il riflesso della vita stessa del compositore. Si intravede
talvolta il riverbero delle passioni amorose di cui Debussy spesse volte si accese,
prima di incontrare colei che divenne sua sposa, la cantante Emma Bardac, che gli
avrebbe donato l’adorata figlia Claude-Emma, detta Chouchou. Il legame tra questa
e il compositore sembrò così forte da legare indissolubilmente le loro vite. Sin dal
1909 a Debussy fu diagnosticato un tumore, contro il quale egli lottò a lungo. Si
sarebbe spento il 25 marzo 1918. Per triste ma suggestiva coincidenza, l’amatissima
Chouchou lo seguì meno di un anno dopo, soccombendo nel 1919 ad un’epidemia di
difterite.
Prima di Emma e di Chouchou, tuttavia, vi erano state altre; come Blanche Vasnier,
con la quale Debussy ebbe una relazione sin dall’età di diciotto anni. Eppure, già nel
1889, le sue attenzioni si rivolsero a Gabrielle Dupont, figlia di un sarto, che visse
assieme a lui per un certo periodo… Ma al medesimo tempo si trovò coinvolto con
Thèrése Roger, una cantante con la quale si fidanzò per breve tempo.
Lasciatesi Gabrielle e Therese alle spalle, Debussy trovò una nuova compagna in Rosalie Texier, detta Lily, una modella che infine giunse a sposare nel 1899. Il loro rapporto non fu semplice. Debussy si disaffezionò progressivamente a lei, imputandole
un eccessivo pragmatismo e una scarsissima sensibilità musicale. Con tale stato
d’animo, Debussy finì per avvicinarsi infine a un’altra donna. E questa era proprio
Emma, cantante e moglie del banchiere Sigismond Bardac, il cui figlio, Raoul, era
studente di Debussy.
In occasione di un’assenza di sua moglie Lily, Debussy si recò in vacanza con Emma,
e ben presto iniziò a parlare di divorzio. Lily ne fu distrutta, e giunse a tentare
il suicidio, sparandosi con una pistola al petto in Place de la Concorde, a Parigi.
Sopravvisse, ma una pallottola le sarebbe rimasta confitta in una vertebra per il
resto della sua vita. L’episodio allontanò molti amici da Debussy, ed Emma Bardac
fu ripudiata dalla sua stessa famiglia. L’anno dopo sarebbe nata Chouchou, e i due
avrebbero iniziato a convivere a Parigi, sposandosi infine nel 1908.
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Molto spesso, la musica di Debussy è stata trascritta e riscritta da altri, cercando di
comprendere più a fondo in cosa risiedesse il “segreto” delle sue sonorità e della sua
vivida immaginazione. Eppure, forse Debussy ci direbbe che non c’è alcun segreto.
Forse Debussy non è un simbolista, e non è un surrealista, e tanto meno un impressionista. Forse è semplicemente “imprendibile”, come la sua musica, vivida eppure
ricca di allusioni e contraddizioni. Insomma, uno specchio dell’esistenza del suo
autore, che un giorno scrisse: «La musica comincia là dove la parola è impotente a
esprimere; la musica è fatta per l’inesprimibile; vorrei che essa avesse sempre l’aria
di uscire dall’ombra e che, a tratti, vi rientrasse; che fosse sempre discreta».
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Camille Saint-Saëns
Capita, a volte, che un artista non sia il miglior giudice di se stesso, e che magari
consideri di poco valore proprio quell’opera che poi lo avrebbe reso famoso. È successo, ad esempio, con il grande compositore russo Piotr Ilic Tschaikovsky, che non
amava particolarmente la sua Suite dal balletto Lo Schiaccianoci: eppure, è proprio
questa la composizione con cui il pubblico di tutto il mondo oggi lo identifica maggiormente. E lo stesso avvenne per il francese Camille Saint-Saëns: un maestro colto,
capace di costruire imponenti architetture sinfoniche… e che, però, la maggior
parte delle persone conosce tramite un piccolo pezzo scritto per scherzo, che il compositore voleva fosse dimenticato al più presto possibile: Il carnevale degli animali.
Il fatto non è una semplice curiosità, ma ci aiuta a capire meglio il carattere di
questo artista dal volto autorevole, che però celava nell’animo una vena leggera e
spiritosa, trattenuta decorosamente… ma, a volte, a fatica. Per fortuna: i momenti
in cui si “scopre” il vero Saint-Saëns, racchiuso dietro le apparenze seriose, sono
delle splendide e vivaci rivelazioni.
L’infanzia di Saint-Saëns non fu facile. Suo padre morì appena tre mesi dopo la sua
nascita (avvenuta a Parigi, il 9 ottobre 1835); per di più, il piccolo Camille soffrì
a lungo di tubercolosi. Tuttavia, cresciuto da sua madre e sua zia, e avvicinato
precocemente alla musica e al pianoforte, rivelò presto i segni di una genialità fuori
dal comune. Era rapidissimo a imparare, e possedeva una memoria prodigiosa. A
soli dieci anni, sbalordì il pubblico della Sala Pleyel eseguendo il Terzo Concerto per
pianoforte e orchestra di Beethoven, e il Concerto per pianoforte e orchestra K450
di Mozart, senza leggere affatto spartiti e suonando persino delle cadenze di sua
personale composizione.
I suoi studi successivi non si limitarono alla musica. Camille dimostrò la stessa
prontezza e acutezza nell’apprendimento di tutte le principali materie scolastiche,
appassionandosi inoltre anche ad argomenti di suo particolare interesse (e sui quali, negli anni a venire, avrebbe anche scritto degli articoli pieni di entusiasmo): matematica, filosofia, archeologia, e persino astronomia. Del resto, quando a ventitré
anni ricevette un compenso di 500 franchi per la pubblicazione dei suoi Sei duetti
per harmonium e pianoforte, utilizzò quel denaro per comprarsi un telescopio.
Al conservatorio di Parigi, si formò naturalmente come pianista, e poi anche come
organista e compositore. Non arrivò a vincere il prestigioso Prix de Rome, ma ottenne molti altri riconoscimenti: e, al tempo stesso, i suoi numerosi talenti attirarono
l’attenzione dei più importanti musicisti del suo tempo, che rimasero di frequente
sconcertati nell’accorgersi del suo talento inarrestabile. Un compositore francese
autorevole come Hector Berlioz disse di lui: «Sa tutto, ma gli manca l’inesperienza».
In effetti, la precisione intellettuale di Saint-Saëns faceva paura a molti: i suoi allievi
(all’École Niedermeyer, dove insegnò brevemente dal 1861 al 1865 – incontrando anche
il giovane Gabriel Fauré, altro talento musicale destinato a diventare un suo “protetto”) si scontravano spesso con la puntigliosità del loro insegnante in fatto di teoria
musicale. Eppure, Saint-Saëns non fu un “retrogrado”: anzi, sin da giovane fu attentissimo agli sviluppi della nuova musica, suonando e apprezzando compositori come
Richard Wagner e Robert Schumann, che tra i contemporanei sollevavano non poche
perplessità e controversie.
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In questa vita costellata da successi e dimostrazioni di stima crescenti, si ricorda purtroppo un episodio infelice. Nel 1875, a quarant’anni, Saint-Saëns sposò la
diciannovenne Marie-Laure Truffot. La madre del compositore, a cui quest’ultimo
era profondamente legato, disapprovò le nozze. Nacquero due bambini, ma a breve
distanza l’uno dall’altro, nel 1878, morirono entrambi: il primo cadendo dal quarto
piano di un palazzo, il secondo per una malattia. Il matrimonio non durò molto: nel
1881, durante una vacanza, Saint-Saëns abbandonò sua moglie, facendo poi seguire
a questo una separazione legale.
Ma si trattò di un’ombra scura proiettata su una vita altrimenti lunga e felice, che
si concluse solo nel 1921. Saint-Saëns, da anziano, conobbe una fama realmente
internazionale viaggiando dalla Gran Bretagna al Sud America, arrivando a concludere la sua carriera di virtuoso del pianoforte appena poco prima di morire, con
un concerto pubblico dato all’età di ottantasei anni. Fece in tempo a conquistare un
altro importante merito: fu il primo grande compositore a prestare la sua arte al
cinema, scrivendo nel 1908 le musiche per il film L’assassinio del Duca di Guisa.
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GIOCHI E ATTIVITÀ
Chi, dove e quando
Claude Debussy, Paul Dukas, George Onslow, Camille Saint-Saëns… Quattro nomi di musicisti che forse,
prima dell’esperienza che state vivendo con il Palazzetto Bru Zane, non vi erano molto familiari. Perché non
trasformare questi stessi nomi in un’ulteriore opportunità per conoscere ancora meglio il linguaggio della
musica?
Con l’aiuto dei vostri insegnanti, cercate di trovare un termine del lessico musicale per ogni lettera che compone
i nomi dei quattro musicisti. Per aiutarvi, nella pagina successiva trovate un piccolo dizionario musicale…
ma non “spiate” prima di mettervi alla prova! Quelli del dizionario ovviamente sono suggerimenti: molte altre
soluzioni alternative sono possibili.
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Dizionario musicale minimo
A
Ancia: alcuni strumenti a fiato (vedi sotto alla F, “fiati”), per produrre il suono,
usano una o due lamine elastiche di legno (di canna) o di metallo, all’imboccatura
o comunque lungo il passaggio dell’aria soffiata dalle labbra del musicista. Questo
dispositivo vibrante si chiama appunto ancia. Se le lamine sono due (come nell’oboe)
si parla di strumento ad ancia doppia; se ce ne è una sola (come nel clarinetto) si
parla di strumento ad ancia singola.
B
Basso: la parte più grave di un pezzo musicale. È anche il nome che viene dato a
un tipo di voce maschile, nel canto lirico; come dice il nome stesso, è la voce che
appartiene agli artisti in grado di raggiungere con il canto le note più gravi.
C
Canto: espressione della voce umana che esegue un’idea melodica, con o senza
parole. Indica a volte anche la parte più acuta e melodica di un pezzo per soli
strumenti, senza voce.
D
Dinamica: il modo in cui, in un pezzo musicale, è organizzata l’intensità del suono.
Esiste una precisa gradazione della dinamica a disposizione dei compositori, che
può andare da pp (pianissimo) a ff (fortissimo), passando per p (piano), mp (mezzo
piano), mf (mezzo forte) e f (forte). Ma esistono molte altre sfumature e possibilità:
certi compositori, come Giuseppe Verdi, potevano richiedere dei “piano” o “forte”
veramente estremi, scrivendo sigle come “pppppppp” o “ffff”!
E
Esposizione: prima parte di una forma musicale, in cui le idee musicali principali
(vedi sotto alla voce “tema”) vengono presentate per intero.
F
Fiati: strumenti che suonano grazie a un tubo in cui, grazie al soffio di un
esecutore, è contenuta una colonna d’aria messa in vibrazione da un dispositivo
apposito (può essere l’ancia, vedi sopra alla lettera A; può anche essere il bordo
affilato di un’imboccatura, come nel flauto traverso, o semplicemente il labbro del
musicista, come accade in strumenti come la tromba). A seconda del materiale
con cui gli strumenti sono costruiti, i fiati si suddividono in legni (es. flauto, oboe,
clarinetto, fagotto) e ottoni (tromba, corno, trombone, tuba). Attenzione! Il flauto
traverso moderno è ancora uno dei legni, ma oggi viene costruito in metallo!
G
Grado: è il numero ordinale che indica la posizione di una nota in una scala. Ad
esempio, in una scala di do, (do re mi fa sol la si), il do sarà il primo grado, il re
il secondo grado, e così via. Per indicare i gradi si usano di solito cifre romane
(I, II, III…). Quando un grado assume una funzione vera e propria all’interno
dell’armonia di un pezzo, prende un nome specifico. Nell’ordine, le sette funzioni
dei sette gradi di una scala sono: tonica, sopratonica, mediante, sottodominante,
dominante, sopradominante, sensibile.
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H
H: in lingua tedesca, è la nota si. Nei paesi anglo-germanici, si usano di regola
lettere per individuare le note musicali. Le sillabe do re mi fa sol la si sono in uso
soprattutto nei paesi che usano lingue neolatine (Italia, Francia, Spagna…). Grazie
a questo fatto, diversi compositori tedeschi sono riusciti, in passato, a tradurre
il loro nome in note musicali e a inserire la loro “firma” all’interno di certe
composizioni. Per esempio, il grande musicista Johann Sebastian Bach (1685-1750)
poteva scrivere si bemolle-la-do-si per “tradurre” sul pentagramma B-A-C-H.
I
Intervallo: è la differenza di altezza tra due suoni. Per definirlo, si contano, la nota
di partenza, quella di arrivo e tutte le note della scala necessarie a congiungerle. Ad
esempio, l’intervallo tra “do” e “re” è un intervallo di “seconda”, perché il do, conta
“uno”, e il re “due”. L’intervallo tra “do” e “fa” è una “quarta”, perché per arrivare
al fa dal do bisognerebbe passare per il “re” e il “mi”. La successione do-re-mi-fa
contiene quattro note: dunque l’intervallo è precisamente una quarta.
J
Jazz: è un tipo di musica sviluppatosi a partire dalal fine del XIX° secolo, che
mescola elementi della cultura musicale popolare africana con il linguaggio della
musica europea. Si diffuse negli Stati Uniti d’America soprattutto grazie ad artisti
afroamericani: in esso sono di particolare importanza il ritmo e la possibilità degli
esecutori di improvvisare.
K
K: si trova sempre questa lettera di fronte alla numerazione delle opere di Wolfgang
Amadeus Mozart (1756-1791). A volte, si trova invece la sigla “KV”. Il significato è il
medesimo: indica il nome dello studioso che ha compilato il catalogo delle opere di
Mozart, Ludwig von Köchel. KV significa Köchel Verzeichnis, “catalogo di Köchel”.
L
Legatura: linea arcuata che, posizionata sopra o sotto due o più note, ne indica
l’esecuzione “legata” (senza interruzione tra un suono e l’altro). Se la legatura
congiunge due note della stessa altezza diventa una “legatura di valore”: il suono
risultante è la somma delle durate dei due suoni legati tra loro.
M
Metronomo: un apparecchio a orologeria dotato di un’asta che, oscillando,
scandisce una pulsazione regolare. Ogni volta che il movimento oscillatorio
dell’asta si inverte si ode un battito sonoro. Il metronomo serve ai compositori
per indicare in modo definitivo la velocità di esecuzione di un pezzo, ponendo in
relazione il numero di battiti al minuto con la durata di una nota (ad esempio:
dire all’inizio di un brano che una semiminima equivale a 75, vuol dire che in un
minuto di quel brano vi saranno settantacinque semiminime: ogni altro valore
sarà calcolato in proporzione). Può essere usato anche come strumento di studio da
parte di un esecutore che voglia perfezionare la propria regolarità ritmica. Venne
brevettato nel 1816 da Johann Nepomuk Mälzel, un amico di Ludwig Van Beethoven
(1770-1827).
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N
Nota: il simbolo grafico che indica la durata di un suono; se posizionato su un
apposito pentagramma dotato di chiave, ne indica anche l’altezza.
O
Opus: ovvero “opera”, è il termine che spesso i compositori usano per identificare
i propri lavori, all’interno di una numerazione progressiva da loro stabilita. Si
abbrevia con “Op.”; si trova quindi, ad esempio, “Op. 1”, “Op. 2”, e via dicendo.
Attenzione: il numero d’Opus è arbitrariamente deciso dal compositore (o da un
revisore, in alcuni casi); non si tratta necessariamente di un ordine cronologico!
Composizioni con un numero d’Opus più alto potrebbero anche essere state create
prima di alcune composizioni con numero più basso.
P
Pianoforte: strumento musicale a corde percosse tramite martelletti azionati
da una tastiera. È uno degli strumenti musicali per cui si è composto di più; fu
inventato dal padovano Bartolomeo Cristofori, che serviva alla corte dei Medici di
Firenze, fra il 1698 e il 1700. Il suo nome deriva dalla possibilità che ha l’esecutore
di dosare l’intensità del suono (vedi sopra alla lettera I), mediante la velocità e
la forza impresse dal dito al tasto. Il nome originale dello strumento infatti era
“gravecembalo con il piano e il forte”.
Q
Quartetto: una composizione che prevede l’intervento di quattro esecutori. Il
quartetto d’archi (per due violini, viola e violoncello), in particolare, è una delle
formazioni di musica da camera dalla tradizione più importante, al punto che
dire “Quartetto d’archi” non indica solo il numero e il tipo di interpreti, ma anche
l’architettura della composizione. Ludwig Van Beethoven, in particolare, ha lasciato
a questo genere musicale delle opere fondamentali.
R
Ritmo: dimensione della musica che riguarda il modo in cui è organizzata da un
compositore la durata dei suoni.
S
Silenzio: una parte della musica caratterizzata dall’assenza di suono. È indicato
sulle pagine di musica da appositi segni grafici detti pause. Il silenzio fa anche
parte dell’esperienza del concerto: durante l’esecuzione musicale ogni altra fonte
sonora deve tacere (voci, così come radio, o telefoni cellulari…), per permettere
la migliore condizione d’ascolto possibile. Si osserva il silenzio anche durante
l’esecuzione di una composizione in più parti: l’applauso può giungere solo al
termine dell’ultima parte del ciclo. E anche quando una composizione termina,
prima di applaudire è bene osservare l’atteggiamento degli interpreti: se dopo che
l’ultimo suono si è spento essi appaiono ancora concentrati, vuol dire che nella loro
mente anche alcuni attimi di silenzio fanno parte dell’esperienza musicale che
stanno cercando di trasmettervi. Quando il loro atteggiamento si fa rilassato, allora
l’applauso di ringraziamento può finalmente iniziare senza arrecare disturbo.
T
Tonalità: è un termine che indica la dipendenza di una serie di suoni nei confronti
di una nota principale. Per esempio, nella tonalità di do maggiore, i suoni “re-mi-fa25
sol-la-si” sono tutti “sudditi” del do, che ricopre la funzione di tonica (vedi sopra alla
lettera G, “grado”).
U
Ut: in tempi antichi era il nome della nota do. Le note musicali infatti presero il
loro nome da un espediente di Guido d’Arezzo (992-1050) per permettere di fissare
a memoria l’altezza di ogni grado di una scala (vedi alla lettera G, “grado”). Scelse
un Inno a San Giovanni in cui all’inizio di ogni strofa la voce saliva di un grado.
Allo studente bastava così ricordare l’Inno per “ritrovare” la giusta altezza di ogni
grado, con la sillaba corrispondente. Ecco l’Inno, che era scritto in latino: UT queant
laxis / REsonare fibris / MIra gestorum / FAmuli tuorum / SOLve polluti / LAbii
reatum / Sancte Ioannes (“Affinché i fedeli possano cantare con tutto lo slancio le
tue gesta meravigliose, liberali dal peccato che ha contaminato il loro labbro, o
San Giovanni”; successivamente, la nota “si” prese il nome dalle iniziali di “Sancte
Ioannes”).
V
Violino: strumento a corde sfregate, il più acuto della moderna famiglia degli
strumenti ad arco, di cui fanno parte anche la viola, il violoncello e il contrabbasso.
Le corde sono quattro, accordate sulle note sol-re-la-mi; possono essere di budello
animale oppure, come ormai è consueto, di budello ricoperto di metallo ovvero
interamente di metallo. L’archetto con cui vengono sfregate è fatto di un supporto
di legno che tende un fascio di crini di cavallo.
W
Wood-block: strumento a percussione fatto di un blocco di legno cavo. Se battuto
opportunamente, produce un suono tipico, secco e penetrante. Ne esistono due
modelli: quello cinese è rettangolare, quello americano è cilindrico. Entrambi
hanno una fessura per facilitare l’emissione del suono.
X
Xilofono: strumento a percussione di origine asiatica, composto da una serie di
piastre di legno di varia misura, capaci di produrre suoni musicali se percosse. Il
termine greco antico “xylon” voleva dire appunto “legno”.
Y
Yodel: un canto fatto di vocalizzi su sillabe senza senso, che passano rapidamente
da un registro all’altro, quindi da un’altezza all’altra, anche molto distanti tra loro.
È tradizionale in zone alpine tra la Svizzera e l’Austria.
Z
Zampogna: strumento a fiato della musica popolare. È fatto di una o più canne
sonore inserite in appositi innesti di legno, corno o metallo; questi, a loro volta, sono
collegati a un otre di pelle che viene gonfiato dall’aria soffiata in un’imboccatura
dall’esecutore. Il suonatore stringe a sé l’otre con un braccio, facendo uscire l’aria
che così viene immessa nelle canne. Una o due delle canne hanno fori e possono
produrre melodie grazie all’intervento delle mani dell’interprete; le altre canne
sono prive di fori e producono ciascuna una singola nota costante, detta bordone.
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Panorami dal passato
Édouard Manet, Monet et sa Femme sur le Bateau-Atelier, olio su tela, 1874.
Un battello, un’occasione lieta, due grandi artisti: il pittore Édouard Manet, che non volle mai essere incluso tra
gli impressionisti, ritrae il collega impressionista Claude Monet, mentre dipinge in compagnia di sua moglie.
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Glossario
Accordo – un insieme organizzato e simultaneo di due o più note musicali.
Applauso – una dimostrazione di stima nei confronti degli artisti da parte del
pubblico, che “batte le mani” al termine dell’esecuzione di un brano musicale.
Tuttavia, alcuni brani (come le sonate, i trii o i quartetti) sono composti da più
parti: ma l’applauso dovrebbe giungere solo al termine dell’intera composizione, e
non alla fine di ogni movimento, poiché anche quei momenti di pausa e di silenzio
fanno parte dell’architettura del pezzo.
Archi – una famiglia di strumenti che producono suono grazie allo sfregamento
di corde in acciaio (o di budello animale rivestito in acciaio) mediante un archetto
su cui viene teso un fascio di crini di cavallo. L’intera famiglia, ai giorni nostri,
è composta da quattro strumenti principali. Dal più grave al più acuto, sono il
contrabbasso, il violoncello, la viola e il violino.
Armonia – il risultato dell’incontro tra note musicali.
Coda – la sezione conclusiva (che trasmette anche un senso di conclusione) di un
brano o di una sua sezione rilevante.
Concerto – uno spettacolo dedicato interamente all’esecuzione di musica, ma
anche il nome di una particolare architettura musicale in cui uno o più strumenti
solisti dialogano con un’orchestra. Per questo ha senso dire, per esempio: «Durante
il concerto hanno eseguito un Concerto per violino e orchestra».
Forma – lo schema con cui viene progettato e organizzato un discorso musicale.
Legni – una famiglia di strumenti a fiato, il cui nome deriva dal materiale in cui
sono generalmente costruiti (anche se alcuni di essi, in tempi moderni, vengono
realizzati in parte o totalmente in metallo). Tra i principali oggi usati in orchestra,
dal più grave al più acuto, vi sono il fagotto, il clarinetto, l’oboe e il flauto traverso.
Movimento – una delle parti distinte in cui un compositore ha organizzato un
certo brano musicale.
Musica da camera – musica scritta per piccoli gruppi di strumenti (da due in su),
che dunque può essere eseguita anche in spazi relativamente piccoli (salotti).
Opera – spettacolo di teatro musicale, in cui gli interpreti cantano accompagnati
da un’orchestra. Nell’opera classica, la storia è suddivisa in atti; all’interno di
ciascuno di essi si alternano momenti di canto vero e proprio (arie), che esprimono
un’emozione e in cui la narrazione non procede, e momenti di canto declamato
(recitativi), utili a far proseguire l’azione scenica. I recitativi possono essere
guidati da un solo strumento, ad esempio un clavicembalo (recitativi secchi),
oppure possono essere arricchiti da interventi dell’intera orchestra (recitativi
accompagnati). Nell’opera romantica la distinzione tra recitativi e arie comincia
a farsi meno evidente, lasciando il passo a un canto continuo e in perpetua
trasformazione: quello che, nel teatro musicale di Richard Wagner, verrà detto
“melodia infinita”.
Ottoni – una famiglia di strumenti a fiato, il cui nome deriva dal materiale in cui
sono generalmente costruiti. Tra i principali oggi usati in orchestra, dal più grave
al più acuto, vi sono la tuba, il trombone, il corno francese e la tromba.
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Partitura – organizzazione verticale di molte righe di musica sulle quali stanno
scritte le parti di ciascuno strumento impegnato nell’esecuzione di un brano per
orchestra. La partitura serve al compositore per scrivere, o al direttore d’orchestra
per guidare l’esecuzione tenendo sott’occhio in simultanea tutto ciò che accade in
un determinato istante.
Quartetto – una composizione per quattro strumenti. In realtà, il termine ha
due significati principali. Il primo è quello generico di cui si è già detto; il secondo
si riferisce alla più “nobile” e autorevole forma di quartetto, il quartetto d’archi,
composto da due violini, viola e violoncello. In questo secondo significato, non si
indica soltanto il numero degli strumenti ma anche una ben precisa architettura
musicale, i cui modelli principali risiedono nei quartetti d’archi composti nell’epoca
classica da Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Joseph Haydn e Ludwig Van
Beethoven.
Sinfonia – composizione per orchestra, solitamente divisa in più movimenti.
Sonata – una composizione per strumento solista, o accompagnato dal pianoforte,
suddivisa in più movimenti. Si tratta di una forma musicale che ha raggiunto la
maturità nel periodo classico, ma che ha avuto un’importante influenza anche su
tutta la musica romantica. Il primo (talvolta anche l’ultimo) dei suoi movimenti è
solitamente scritto nella cosiddetta forma sonata: una struttura di organizzazione
del pensiero musicale che prevede la presentazione di due temi contrastanti, un
loro sviluppo e infine la ripresa degli stessi.
Spartito – musica messa per scritto e destinata a un solo esecutore; oppure,
riduzione di una partitura per uno o più strumenti.
Tema – è un’espressione musicale completa che rappresenta uno degli elementi
dominanti all’interno di una composizione. Per questo motivo, un tema è costruito
in modo da catturare immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore, e da rimanere
facilmente nella sua memoria.
Trio – semplicemente, una composizione per tre strumenti musicali. Attenzione:
le sezioni centrali di brani ispirati a danze recano spesso questo nome, perché
nell’epoca Barocca (1600 - inizio 1700) si usava far suonare solo tre strumenti in quei
momenti. Poi la pratica si è persa, ma il nome di quelle sezioni centrali è rimasto,
anche se poi gli strumenti coinvolti furono ben più di tre.
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Redazione dei testi a cura di Remo Peronato
(stesura del progetto Joli Bateau)
e di Marco Bellano
(biografie, attività e Dizionario musicale minimo)
Palazzetto Bru Zane
Centre de musique romantique française
San Polo 2368
30125 - Venezia
+39 041 52 11 005
BRU-ZANE.COM
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