carducci - pianto antico - i nostri tempi supplementari

Carducci
Pianto antico, da Rime Nuove
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior della mia pianta
percossa e inaridita,
tu dell'inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
Metrica
Breve ode anacreontica in quattro quartine di settenari (tre versi piani
e uno, l'ultimo, tronco e con rima identica nelle quattro quartine).
Schema ABBC (il quarto verso sempre C). Il ritmo è cadenzato come
quello di una nenia.
Sono presenti diverse figure retoriche: metafore, anafore, chiasmo (vv.
15/16) e enjambement.
Note
Albero = è l’immagine-guida del componimento, a volte simbolo della
vitalità naturale a volte inaridito e infecondo.
Pargoletta = di fanciullo [in una prima redazione l'aggettivo era "piccoletta",
la modifica ha conferito maggiore grazia poetica].
Gli aggettivi verde, vermigli comunicano la gioiosità della vita.
Muto orto solingo: giardino (orto - latinismo) silenzioso e deserto; per
contrasto gli aggettivi muto e solingo danno l'idea della morte.
rinverdì...ora: subito ritorna alla vita.
Tu..tu = anafora - il Poeta si rivolge al figlioletto;
fior…inaridita: il bimbo era come un fiore (metafora) per il padre, che ora
si sente come un albero percosso da un fulmine e disseccato;
Pianta = metafora.
Inutil vita = vita vuota e inutile;
L'ultima strofa è basata sul contrasto tra vita e morte.
sei..sei = anafora;
fredda/negra = così è la terra del sepolcro in contrapposizione alla luce,
ai colori e al tepore del sole.
Né…né = anafora.
Commento
Testo tra i più noti delle Rime nuove (dove è collocato nel terzo libro) e di
tutto Carducci, Pianto antico (una “anacreontica”, come poi San Martino,
composta di coppie di quartine di settenari, di cui il primo verso è piano
e non rimato, i due centrali piani e a rima baciata e il quarto tronco e
in rima con gli altri finali di ogni quartina) è uno dei testi più
autobiografici del poeta: il tema, privato e intimo, è quello della morte
del figlio Dante, all’età di tre anni, il 9 novembre del 1870.
Anche la storia editoriale e compositiva del testo procede secondo la
sedimentazione del dolore di un padre: se la data sull’autografo del testo è
quella del giugno 1871, il confronto con l’epistolario carducciano (e in
particolare con le lettere inviate all’amico Giuseppe Chiarini) indica che il titolo
- che efficacemente allude ad una tragedia nascosta nel tempo - viene trovato
solo otto anni più tardi, nel 1879.
L’apertura, come in molti testi carducciani, è sulla quotidianità
autobiografica: un giardino primaverile, in cui un melograno “da’ bei
vermigli fior” si sta aprendo alla nuova stagione vitale, che tuttavia
ricorda al poeta, per brevi accenni, l’immagine del figlio scomparso: alla
“pargoletta mano” che prima si tendeva all’albero corrisponde ora il
“muto orto solingo”, non più rallegrato dalla presenza di Dante.
Agli indizi coloristici del ritorno della vita con la bella stagione contenuti
nelle prime due quartine (“il verde melograno”, “vermigli fior”, “giugno lo
ristora | di luce e di calor”) corrisponde - con calcolata simmetria e studiato
effetto drammatico - il tono dolente con cui, nelle seconde due quartine, si
commemora la perdita del figlio.
Si susseguono così immagini di morte (“fior de la mia pianta | percossa e
inaridita”, “de l’inutil vita | estremo unico fior”, “la terra fredda [...] la terra
negra”), sostenute da un ritmo anaforico (“tu”, “sei”, “né”; e si consideri che
pure la struttura rimica dell’“anacreontica” conferisce al testo una sua
musicalità) che indica l’ineluttabilità della sofferenza umana.
Così, recuperando il tema per lui tipico dell’immersione sentimentale nella
Natura, Carducci riesce a ribaltare lo stereotipo: alla ciclicità del tempo
naturale, in cui le stagioni si susseguono senza soluzioni di continuità,
si contrappone la fissità irrimediabile del dolore della morte. Non a
caso, in una prima versione Pianto antico era introdotto, a mo’ di spiegazione e
commento, da un distico del poeta greco Mosco, che compiangeva la
scomparsa del maestro Bione.
La scelta dell'aggettivo "antico" nel titolo sta a sottolineare il suo valore
universale, è il pianto dei padri di ogni tempo di fronte alla morte di un
figlio.
Le principali caratteristiche di questa lirica sono date dalla sua semplicità
ed essenzialità.
La poesia sviluppa la riflessione sul rapporto tra la vita e la morte che si
sviluppa attraverso l’antitesi tra le immagini luminose e chiare (luce, calor)
proprie della vita e i motivi oscuri e desolati che connotano la morte.
Nelle prime due strofe prevale l’aspetto vitale. La prima racconta di quando il
figlio era vivo e tendeva la sua piccola mano sull'albero per raccogliere il
melograno con i suoi fiori di color rosso vivo. La seconda, invece, narra del
silenzioso orto solitario dove tutto è fiorito e che il mese di giugno offre, con la
luce e il colore del sole, nutrimento per le piante.
Il poeta nella terza strofa, si paragona ad una pianta inutile, che è percossa e
senza acqua perché ormai il suo unico fiore è morto e non potrà più ricrescere.
Invece, nell'ultima strofa, il poeta pensa alle condizioni di suo figlio che si trova
sotto la terra scura e fredda dove il sole non lo può rallegrare e dove non può
provare più sentimenti d'amore, sottolineando il concetto della morte come
conclusione estrema e definitiva.