aristotele - Pagine di filosofia e storia

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ARISTOTELE
Nacque attorno al 384/383 a.C. a Stagira, località al confine con la Macedonia (non ad Atene, capitale
dell’impero greco). Il padre di Aristotele era valente medico al servizio di re Aminta di Macedonia (padre di
Filippo il Macedone). È lecito supporre che il giovane Aristotele abbia frequentato la corte. Alla morte del
padre abbandonò la città di origine per recarsi ad Atene per coltivare la filosofia. Frequentò l’Accademia
platonica. Vi entrò all’età di 17 anni e rimase per circa 20 anni. Platone disse di lui “Aristotele ha tirato calci
contro di me come fa un giovane puledro contro la propria madre”.
Aristotele non ripete le tesi del maestro, ma addirittura le confuta, le critica in modo radicale, in
particolare la teoria delle idee. Aristotele diventa per un certo periodo precettore di Alessandro Magno,
all’epoca tredicenne. Verrà poi sostituito da un altro precettore perché accusato di cospirare contro
Alessandro. Fonda una sua scuola, il “Liceo”, generata dai rapporti che si creavano tra lui e i suoi discepoli.
Questa cerchia di filosofi amava discutere di tutto passeggiando, camminando e per questo vennero chiamati
peripatetici (in greco “peripatos” significa passeggiata). Morì all’età di 63 anni.
Aristotele opera una suddivisione delle scienze in tre grandi branche:
1. Le scienze teoretiche ricercano il sapere per sé medesime, non in vista di qualcosa d’altro, il
sapere per il puro gusto di sapere; in uno dei libri centrali della metafisica fa un’affermazione
“l’uomo desidera per natura conoscere”, anche da questo punto di vista l’attività del pensiero è
quella che ci rende più simili a dio, in quanto l’attività del pensiero è un’attività di tipo
contemplativo; tra queste scienze pone la metafisica, la fisica e la matematica, la psicologia che
viene inclusa nella fisica.
2. Le scienze pratiche ricercano il sapere per raggiungere attraverso esso la perfezione morale;
annoveriamo la politica e l’etica.
3. Le scienze poietiche o produttive ricercano il sapere in vista del fare: falegname, architetto,
sarto tutte quelle attività che hanno a che fare con un tipo di conoscenza e di sapere orientato a
fare delle cose.
METAFISICA
Aristotele ha una venerazione per questa scienza che gli deriva dal fatto che “tutte le altre scienze saranno
più necessarie per gli uomini, ma superiore a questa nessuna” (Metafisica, A2, 983 a 10 sg). Si dedica alla
studio dell’intelletto umano, non è asservita a nessuno scopo particolare e perciò è libera. Il termine
metafisica non è coniato da Aristotele ma è successivo. Fu introdotto da Andronico di Rodi, vissuto durante
il I° secolo a.C., che ha catalogato i libri della metafisica, ponendoli dopo quelli della fisica. Termine felice
perché effettivamente Aristotele in questi libri si occupa di qualcosa che va oltre il mondo fisico. Lui la
chiamava filosofia prima o teologia, in quanto studio su Dio, sostanza soprasensibile.
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Gli ambiti di cui si occupa la metafisica sono quattro: 1. indaga le cause e i principi primi; 2. indaga
l’essere in quanto essere; 3. indaga la sostanza; 4. indaga Dio e la sostanza soprasensibile.
1. Indaga le cause e i principi primi: il concetto di causa ha a che fare con ciò che fonda, condiziona,
struttura. Per Aristotele ha quattro precisi significati da indagare:
a) causa formale: non è intesa solo nel senso di forma geometrica. Per es.: l’essenza dell’uomo è la sua
anima ed è questa che dà forma al corpo (concetto metafisico); la causa formale del cerchio è l’insieme dei
rapporti formali che generano questa figura geometrica. È un concetto che richiede una certa capacità di
astrazione;
b) causa materiale: ciò di cui la cosa è fatta, la materia;
c) causa efficiente: ciò da cui provengono il movimento e il mutamento delle cose (cosa muove la bici?
le mie gambe =causa efficiente);
d) causa finale: ciò in vista di cui o in funzione di cui ogni cosa è o diviene; ciò per cui ogni cosa si
muove o si trasforma (nel caso della penna lo scopo finale è quello di scrivere).
Ciascuna scienza assume premesse e principi propri, cioè che sono peculiari ad essa e ad essa soltanto.
Accanto a questi vi sono principi comuni a più scienze, o a tutte le scienze: tra tutti, per importanza si
distingue quello di non contraddizione che così è formulato:
•
Principio di non contraddizione: “non si può affermare e negare dello stesso soggetto nello
stesso tempo e sotto lo stesso rapporto due predicati contraddittori”.
•
Principio di identità: Ogni cosa è identica a se stessa.
•
Principio del terzo escluso: Fra due affermazioni contraddittorie non esiste una terza possibilità.
2. Indaga l’essere in quanto essere: usa questa espressione per indicare questo fatto fondamentale:
l’essere si dice in molteplici significati. Concezione di essere di Parmenide: quello che non può non essere concezione univoca – questo però non spiega la molteplicità: se l’essere è unico, come si spiegano le singole
cose? Secondo Aristotele possiamo parlare di essere sia in riferimento all’essere immutabile, sia alle realtà
contingenti, alle realtà sensibili. Il concetto di essere si dice secondo significati diversi, analogamente al fatto
che per esempio noi usiamo la parola “sano” in riferimento a tutto ciò che si riferisce alla salute e questo può
avere a che fare con ciò che la conserva, ciò che la produce, ciò che ne è sintomo. Quindi il concetto di sano
non lo riferiamo in modo univoco, in un senso solo, ma lo riferiamo a contesti molto diversi tra di loro.
La realtà si presenta in molti aspetti, molti modi, per esempio sotto l’aspetto della accidentalità e quindi
Aristotele conia questa prima espressione: l’essere si dice come essere accidentale. Per es. “l’uomo è
musico”, il predicato non riguarda la sua natura immutabile, è accidentale, poteva essere anche pittore;
l’essere può essere espresso nel senso dell’accidente, qualcosa che accade di essere. All’opposto abbiamo
l’essere per sé, qualche cosa che ha una stabilità; es. se noi diciamo sono alto 1,78, il fatto che abbia questa
misura esprime un accidente, però il fatto che io abbia una misura riconducibile ad una quantità sul piano
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della lunghezza o pesantezza, è un fatto che è necessario; tutte le cose sono riconducibili a delle categorie,
come quella di quantità, qualità, relazione, azione, passione, dove, quando, avere, giacere. Ognuna di
queste categorie si riferisce a ciò che chiamiamo sostanza, prima categoria.
Essere come potenza e come atto: lo scultore di fronte al marmo: il blocco è in potenza la scultura, la
statua è l’atto compiuto. Noi usiamo il concetto di atto in riferimento a qualche cosa che esprime una
compiutezza, come usiamo il concetto di potenza in riferimento al suo atto. Es. l’embrione è un uomo in
potenza; tutte le cose che hanno materia hanno sempre maggiore o minore potenzialità, possiamo
immaginare gradi di potenza diversi dell’essere. Teorema della priorità dell’atto sulla potenza: l’atto ha
assoluta priorità e superiorità sulla potenza. Es. il seme di una quercia è la quercia in potenza, non in atto.
3. Indaga la sostanza: l’essere si dice in molti modi in riferimento a qualche cosa di unico, in riferimento
ad un unico principio; la molteplicità si riferisce sempre ad un unico principio. Per es.: l’esercito è fatto di
molteplicità di truppe; le realtà nella loro molteplicità si riferiscono ad un unico principio che è ciò che
chiamiamo sostanza.
Es. Socrate è nel giardino: Socrate è la sostanza. Sostanza è ciò che sussiste di per sé, che non inerisce
ad altro e che non si predica di altro ma che è sostrato di inerenza e di predicazione di tutti gli altri
modi di essere. Le sostanze possono essere di diverso tipo:
•
sensibili (es.: libro, banco, sedia);
•
eterne ma in movimento (corpi celesti);
•
motore immobile, la sostanza per eccellenza.
Le sostanze corruttibili sono quelle che appartengono al mondo terreno, quelle incorruttibili sono
l’insieme delle sfere celesti; infine la sostanza soprasensibile.
4. Indaga Dio e la sostanza soprasensibile: per dimostrare l’esistenza della sostanza soprasensibile parte
dalla realtà, che è costituita dalle sostanze; se tutte fossero corruttibili non esisterebbe nulla di assolutamente
incorruttibile. Ci sono due fattori della realtà incorruttibili: il tempo e il movimento, nel senso che sono
sempre. Se dicessi che il tempo non è più dovrei ammettere un dopo e viceversa, cosa c’era prima del
tempo? Per Aristotele il tempo è eterno, è incorruttibile, non si è generato. Lo stesso vale per il movimento,
in quanto il tempo è una determinazione del movimento, è una successione del prima e del poi. Il movimento
fisicamente può essere raffigurato proprio dal movimento dei cieli, che per Aristotele si muovono di un moto
circolare, uniforme ed eterno. Qual è la condizione per cui può sussistere il movimento? Il movimento
implica una causa; se partiamo dall’esperienza vediamo che tutto ciò che si muove è mosso da altro, ma ad
un certo punto questa regressione si arresta, perché c’è un punto che muove senza essere mosso a sua volta.
Solo l’immobile è causa assoluta del mobile. La natura del motore immobile, che muove tutto senza essere
mosso, è di essere una realtà di pensiero, pensiero di se stesso, perché se pensasse qualcosa di limitato, si
comprometterebbe, invece nella sua assolutezza pensa a se stesso, è pensiero di pensiero.
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Nell’esperienza delle cose che conosciamo, c’è qualcosa che sappia muovere senza muoversi esso
medesimo? C’è qualcosa che ci muove senza essere mosso a sua volta? Certo, per esempio le cose che per
noi sono oggetto di desiderio: ho il desiderio di una mela, questa muove la mia mandibola come oggetto di
desiderio, senza essere a sua volta mossa; lo scopo per cui io mi muovo è addentare la mela, oggetto di
desiderio e muovo la mela (causa finale); lo scopo del mio muovermi é il desiderio. Il motore immobile
muove tutte le cose in quanto è oggetto di desiderio.
Principio fondamentale: tutto ciò che si muove è mosso da altro. Per es. tiro un sasso: è la mia mano
che lo lancia, ma la catena della spiegazione ad un certo punto si arresta, perché nella spiegazione si esige
che qualcosa sia già in atto per poter muovere il sasso, io devo avere una completezza maggiore del sasso
che tiro. Secondo la visione fisica aristotelica il movimento è eterno, continuo e si riferisce al movimento
delle sfere celesti che è uniforme, circolare. Se c’è una realtà che si muove occorre qualcosa che muova e
questo non può essere tale da essere anche in qualche modo potenza, perché ciò che è potenza potrebbe
anche non essere, ma ciò che può non essere non può essere la causa di qualche cosa che è sempre e
continuo. Ecco perché si arriva all’astrazione di una realtà che è atto puro, scevra di potenzialità, senza
nessun residuo di potenzialità.
La realtà prima muove le cose non secondo l’ordine della causa efficiente, ma secondo l’ordine della
causa finale, cioè come l’oggetto d’amore muove l’amante. L’oggetto amato mi muove e quindi il motore
immobile muove tutte le cose in quanto tutte sono da lui attratte come oggetto di desiderio, desiderio finale.
Si entra nella parte più poetica, più lirica e lo si vede dalle volte in cui usa il punto esclamativo per
sottolineare lo stupore dato dalla contemplazione di ciò che è eterno. “Da un tale principio, dunque,
dipendono il cielo e la natura. Ed il suo modo di vivere è il più eccellente: è quel modo di vivere che a noi è
concesso solo per breve tempo. E in quello stato egli è sempre. A noi questo è impossibile, ma a lui non è
impossibile, poiché l’atto del suo vivere è piacere. E anche per noi veglia, sensazione e conoscenza sono in
sommo grado piacevoli, proprio perché sono atto e, in virtù di questo, anche speranze e ricordi[…] Se,
dunque, in questa felice condizione in cui noi ci troviamo talvolta, Dio si trova perennemente, è
meraviglioso; e se Egli si trova in una condizione superiore, è ancor più meraviglioso. E in questa
condizione egli effettivamente si trova. Ed Egli è anche vita, perché l’attività dell’intelligenza è Vita, ed egli
è appunto quell’attività. E la sua attività, che sussiste di per sé, è vita ottima ed eterna. Diciamo, infatti, che
Dio è vivente, eterno ed ottimo; cosicché a Dio appartiene una vita perennemente continua ed eterna:
questo, dunque, è Dio” (Metafisica,
7, 1072 b 13-18 e 24-30).
La vita migliore per l’uomo è quando si dedica a pensare le cose grandi, le cose sublimi, i principi primi e
questo a noi è concesso solo per breve tempo (l’uomo non può stare sempre a pensare). La divinità, Dio, è
invece sempre in questo stato, cosa impossibile per l’uomo, e il suo atto è anche piacere. Nella nostra
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esperienza il fatto di provare ricordi ci arreca un certo piacere, anche se diverso da un’esperienza di piacere
in atto. Per Dio questa esperienza di piacere è un piacere in atto, sempre, eternamente, uguale a sé stesso, che
non deriva dal fatto di pensare ad un qualcosa di contingente come facciamo noi. Se Dio, nel senso
aristotelico del termine, pensasse qualcosa di contingente, penserebbe qualcosa di finito, quindi di non
perfetto, e quindi Dio quando pensa, pensa se stesso.
Perciò in Aristotele è totalmente estranea l’idea di un Dio che possa occuparsi degli uomini, rimane
quindi un Dio estraneo alla vita degli uomini; qui si capisce la grande rivoluzione portata dal cristianesimo,
di Dio che si occupa degli uomini, si immischia nel senso carnale, fisico, con gli uomini al punto di farsi
uomo e morire per lui.
La vita di Dio è una vita di pensiero: cosa pensa? Se stesso e quindi è pensiero di pensiero. Se l’intelletto
divino pensasse qualcosa di diverso da sé, verrebbe a dipendere in qualche modo dall’esistenza, dalla
presenza di questo e sarebbe meno Se Stesso. In questo modo Aristotele esclude la possibilità che Dio possa
pensare qualcosa di finito.
Se Dio pensasse qualcosa di diverso da sé ci sarebbe in lui un mutamento, ma mettersi in movimento
rispetto a ciò che non è puro e perfetto sarebbe uno svilire la sua perfezione, quindi Dio è sicuramente un
essere perfetto che pensa la cosa più eccellente cioè sé stesso ed è atto puro, cioè scevro di potenzialità.
FISICA
Anche nella fisica si parla del motore immobile. È chiamata filosofia seconda ed ha per oggetto la realtà
sensibile la cui caratteristica è di essere soggetta al movimento.
Movimento (o mutamento) è il passaggio dall’essere in potenza all’essere in atto. Qui non si parla di
movimento o mutamento solo nell’immagine che ne abbiamo noi (traslazione), secondo quindi la categoria
di luogo (passaggio da un luogo ad un altro). Possiamo avere il mutamento anche secondo la qualità (fiore
di pesco che maturando diventa pesco; oppure la mela che si corrompe e quindi abbiano l’esperienza di
mutamento sotto la forma della corruzione).
Quando abbiamo movimento rispetto alla categoria di qualità abbiamo l’alterazione; rispetto alla
categoria di quantità abbiamo o l’aumento o la diminuzione.
L’uso delle categorie che Aristotele ha formulato permette di comprendere l’esperienza nella sua realtà
fisica, perché parlare di alterazione significa un mutamento sul piano della qualità; parlare di un
accrescimento vuol dire uno sviluppo della realtà secondo l’ordine della quantità; parlare di generazione
significa generare una realtà nuova della stessa natura di chi genera. Il passaggio da un luogo ad un altro
rappresenta quello che nel linguaggio della fisica moderna chiamiamo traslazione. Le categorie, potremmo
dire, sono delle leggi che riguardano l’essere, sono i generi supremi dell’essere.
Aristotele svolge anche delle riflessioni sul tempo e ha delle intuizioni eccezionali che anticipano le
riflessioni di S. Agostino. Tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi. Il tempo implica
l’idea di successione e la percezione del prima e del poi presuppone necessariamente l’anima. Noi abbiamo
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la percezione del tempo in quanto abbiamo la percezione che prima qualcosa è stato (prima di venire qui ero
a casa). Ora, nell’istante presente sono qui, ma nel momento che percepisco questo istante, posso percepire
quello che mi accadrà dopo e quindi la percezione del prima, del presente e del dopo, presuppone in qualche
modo un “io”, un’anima che abbia questa estensione.
Quando parliamo di fisica aristotelica pensiamo al cosmo in quanto costituito da una totalità: il mondo
sensibile è oggetto di una fisica terrestre ed è costituito di quattro elementi, fuoco, aria, terra, acqua. Il
mondo sopralunare appartiene alla fisica celeste e comprende la realtà eterna ed incorruttibile della luna e le
stelle). La fisica terrestre è sottoposta al movimento, mentre la fisica celeste è immutabile, eterna. Questa
distinzione è un paradigma – un modello – che durerà fino a Galileo.
PSICOLOGIA ARISTOTELICA
È una branca della fisica, in quanto la fisica non indaga solo la natura in generale dei suoi principi,
l’universo fisico e la sua struttura, ma si occupa anche degli esseri che sono nell’universo, quelli inanimati (il
mondo minerale), gli esseri animati senza ragione (animali), gli esseri animati e dotati di ragione (l’uomo).
Gli esseri animati sono tali per un principio che dà loro la vita: l’anima.
L’anima è entelechia (= atto; forma) prima di un corpo fisico che ha la vita in potenza. L’anima è la
vera essenza di un corpo. Anche un albero e un animale hanno vita, ma non sono vita e dunque i corpi
viventi sono come il sostrato materiale e potenziale di cui l’anima è forma e atto. La natura dell’anima è di
essere in qualche modo affine a ciò che è immateriale ed eterno. Se noi nel fatto di pensare, di speculare, per
certi istanti seppur brevemente raggiungiamo quella forma di vita che Dio ha sempre e permanentemente, si
può dire che in noi c’è un principio che è di una natura diversa da quella di un animale, perché c’è in noi una
parte, la ragione, capace di elevarsi ai principi primi, al divino.
La tripartizione dell’anima in Platone era legata all’idea della distinzione in:
•
anima concupiscibile;
•
anima irascibile;
•
anima intellettiva.
Questa partizione è fondata su basi etiche, perché l’idea dell’anima concupiscibile è legata alle passioni,
quella dell’anima irascibile è legata a certe virtù o certi vizi e quella intellettiva alle virtù dianoetiche.
La tripartizione aristotelica nasce invece dall’analisi generale dei viventi e delle loro funzioni essenziali e
quindi su un terreno biologico oltre che psicologico.
•
anima vegetativa;
•
anima sensitiva;
•
anima intellettiva.
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Perciò tutto ciò che è animato, anche una pianta, ha un’anima e ce l’ha di tipo vegetativo e questo
principio vitale presiede al suo nutrimento, al suo sviluppo, alla sua crescita.
L’anima sensitiva è quella degli animali e presiede al movimento e alle sensazioni (attività connesse
all’uso dei sensi). Gli animali posseggono anche l’anima vegetativa.
Nell’uomo, infine, esiste anche il terzo livello che è quello dell’anima intellettiva, che ci permette di
conoscere, deliberare e scegliere. L’anima intellettiva non è connessa alla conoscenza in senso stretto, ma
anche alla sfera della volontà.
Il primo grado della conoscenza è quello che ci arriva dai sensi. Alla luce di questa tripartizione
dell’anima e della dottrina delle categorie, come si spiega la dinamica della conoscenza? Qui Aristotele fa
uso dei principi di potenza e atto. La sensazione è il passaggio di un senso dalla potenza all’atto: la vista
come organo di senso è possibilità di vedere e perché possa passare all’atto occorre la presenza dell’oggetto
che viene percepito e la luce che renda possibile la percezione dell’oggetto, in modo che la sua immagine sia
trasformata nella forma di concetto.
Il secondo grado di conoscenza ha a che fare con la conoscenza intelligibile e qui Aristotele introduce il
concetto di intelletto in potenza o potenziale e intelletto produttivo o attivo. L’intelletto potenziale
esprime la possibilità di apprendere: esso riceve gli intelligibili (=concetti). Da questo punto di vista
l’intelletto è come una tabula rasa, è diverso dalla concezione platonica secondo cui l’anima in qualche
modo ha già visto e quindi è già segnata (tabula plena). L’intelletto potenziale diviene l’intelligibile che
effettivamente conosce in quanto esiste un intelletto in atto che permette questo passaggio.
Questa concezione ha dato luogo a molte dispute anche all’epoca di Aristotele e soprattutto nel
Medioevo, in quanto non si riusciva a capire dove si trovava questo intelletto in atto di cui si parlava. Per
Aristotele l’intelletto in atto è individuale, “separato” e permette la possibilità di elevarsi a quella conoscenza
che in qualche momento è in noi simile a quella di Dio.
ETICA
Nell’Etica Nicomachea Aristotele esordisce subito ponendo questa osservazione: tutte le azioni degli
uomini hanno come fine un bene. Ma ciascun bene non ha in sé la ragione ultima, perché per quanto mi dia
da fare capisco che l’orizzonte per cui faccio quella cosa lì non esaurisce la categoria della mia soddisfazione
suprema, perciò deve esserci un bene perseguito per sé stesso e non in vista di altro. Questo bene è la felicità.
E in cosa consiste questa felicità? Aristotele direbbe che è possibile all’uomo in certi momenti quando vive
secondo quella potenzialità che è presente in lui e la vive nella sua forma più sublime. È qualcosa di
desiderabile per sé stessa e consiste nell’esercizio di una facoltà squisitamente e propriamente umana. Non
può consistere nel piacere, perché effimero e anche gli animali potrebbero provarlo. Nega che possa
consistere nelle ricchezze; nega che possa risiedere nella ricerca dell’onore (godere di prestigio da parte degli
uomini). Deve essere da un lato qualcosa di autosufficiente e dall’altro deve essere legata ad una attività
propria dell’uomo e all’uso della facoltà in lui eccellente, quindi la ragione.
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La felicità è l’esercizio eccellente e virtuoso di attività conoscitive e pratiche della ragione.
L’uomo non è buono per natura o perché crede di saper cosa è buono, ma deve esercitarsi a compiere atti
virtuosi e coltivare le virtù proprie dell’anima.
L’uomo è felice se vive secondo ragione e vivere questa vita secondo ragione è la virtù. La virtù per
Aristotele come anche per la tradizione medioevale consiste in un abito, in una disposizione stabile. La vita
vissuta seguendo la virtù è una vita accompagnata comunque dal piacere.
LOGICA
Non è un termine aristotelico, ma sembra essere stato coniato dagli stoici. L’insieme delle opere di
Aristotele viene chiamato organon (strumento di ricerca che permette di studiare il modo di ragionare
correttamente).
ELEMENTI FONDAMENTALI DELLA LOGICA
•
sillogismo;
•
forme di confutazione;
•
forme di dimostrazione;
•
proposizioni.
PROPOSIZIONE: è un enunciato che la ha caratteristica di mettere insieme due concetti. Vi sono un
soggetto e un predicato legati dalla copula.
Le 4 proposizioni (riportate nella tabella qui sotto) si differenziano in: universali affermative (A),
universali negative (E), particolari affermative (I), particolari negative (O) (vedi quadrato).
E è la contraria di A.
A in relazione a O è una proposizione contraddittoria.
QUADRATO ARISTOTELICO
QUANTITA’
QUALITA’
ESEMPIO
1. Universale
Affermativa
Tutti gli uomini sono onesti
2. Universale
Negativa
Nessun uomo è onesto
3. Particolare
Affermativa
Qualche uomo è onesto
4. Particolare
Negativa
Qualche uomo non è onesto
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A
Contrarie
E
Contraddittorie
I
subcontrarie
A)
E)
I)
O)
Tutti gli uomini sono onesti.
Nessun uomo è onesto.
Qualche uomo è onesto.
Qualche uomo non è onesto.
O
La dottrina del sillogismo
L’affermazione o la negazione di qualcosa non è ancora un ragionamento. Quando noi formuliamo singoli
giudizi, oppure elenchiamo una serie di proposizioni slegate tra loro, noi non compiamo ancora un’inferenza.
Questo accade quando colleghiamo tra loro giudizi e proposizioni. La teoria delle proposizioni conduce alla
teoria del sillogismo.
Un esempio tipico è il seguente:
1.1.1 PREMESSE
Dunque
1.1.2 CONCLUSIONE
Soltanto i sillogismi costruiti in determinati modi sono validi, cioè ricavano dalle premesse le conclusioni
seguendo le regole logiche di inferenza. La verità o la falsità delle conclusioni, in un sillogismo valido,
dipende dalla verità o falsità delle premesse.
Conclusioni
Le problematiche aperte dalla scoperta dell’Assoluto concepito come suprema Intelligenza
riguardano la sua assoluta trascendenza che rende difficilmente comprensibili i rapporti con il mondo e gli
uomini. Il mondo esiste da sempre e per sempre tende al Principio. Essendo il Bene supremo non può non
attrarre. Ma è un rapporto quasi meccanico (come fosse un magnete) e non un rapporto fondato sulla libertà.
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Grande intuizione quella aristotelica, ma si tratta di un Dio estraneo alla vita degli uomini, non è
evidentemente un Dio creatore, non comunica il suo essere. Nella concezione ebraico-cristiana il teorema
della creazione sottolinea il fatto che Dio decide liberamente di creare le cose e comunica con esse, nel senso
metafisico che “partecipa” l’essere. Noi siamo esseri creati, in questo istante riceviamo l’essere. La creazione
è un atto che continua ora, adesso. Aristotele non poteva arrivare a questa concezione, in quanto per lui il
mondo è da sempre, è eterno, ha le sue leggi.
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