Libro I Disposizioni generali Titolo I Degli organi giudiziari Capo I Del giudice Sezione I Della giurisdizione e della competenza in generale La giurisdizione è l’attività esercitata dai giudici volta ad applicare, nel caso concreto, le norme giuridiche. Ciò consente di distinguerla sia dall’attività amministrativa (attività di cura in concreto degli interessi pubblici esercitata dagli organi della pubblica amministrazione) sia dall’attività legislativa (produzione di norme giuridiche generali ed astratte da parte del Parlamento o, con riferimento ai decreti legge ed ai decreti legislativi, del Governo). A seconda della natura della controversia sottoposta all’esame del giudice, si distingue tra giurisdizione civile, penale ed amministrativa. La giurisdizione civile, della quale si occupa il presente codice, ha ad oggetto una controversia tra soggetti privati in relazione alla violazione di un diritto soggettivo. Una parte (attore o ricorrente) chiama in giudizio un’altra parte (convenuto o resistente) affinché il giudice stabilisca se, nel caso concreto, vi è stata la lesione di un diritto e ripristini l’ordine violato. Così, ad esempio, il venditore può citare in giudizio il compratore per ottenere il pagamento del prezzo, il pedone investito da un automobilista può chiedere al giudice che condanni quest’ultimo al risarcimento dei danni, chi è stato occultamente privato del possesso di un bene può chiedere di essere reintegrato nel possesso stesso etc. Si ha giurisdizione civile anche quando la controversia sorge tra un privato e la pubblica amministrazione, qualora quest’ultima agisca come un privato. La giurisdizione penale, invece, ha ad oggetto una controversia tra un soggetto e lo Stato, controversia conseguente alla commissione di un reato. La giurisdizione amministrativa, infine, ha ad oggetto una controversia tra un privato e la pubblica amministrazione, in relazione alla violazione di un interesse legittimo. Colui che si ritiene leso, ad esempio, da un atto di espropriazione illegittimo può rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto. La nozione di giurisdizione è stata poi ulteriormente scandagliata dalla dottrina, che parla di giurisdizione ora come attività di composizione, secondo diritto, dei conflitti di interessi (Carnelutti), ora come attuazione, in via sostitutiva, dei diritti sostanziali (Mandrioli). La giurisdizione presenta i seguenti caratteri: - statualità, in quanto è esercitata soltanto da organi dello Stato e non è ipotizzabile un’attività giurisdizionale regionale; - pubblicità e terzietà, in quanto è esercitata da organi pubblici in posizione di imparzialità, indipendenza e terzietà rispetto agli interessi in conflitto. La giurisdizione è esercitata in nome del popolo (art. 101 Cost.) ed è affidata ai giudici ordinari, cioè a giudici “istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 102 Cost.). Sul significato di queste enunciazioni non vi è uniformità di vedute in dottrina. Secondo alcuni, dalle norme suindicate si ricava il principio di unità della giurisdizione, in forza del quale la giurisdizione ordinaria è quella generale cui appartengono tutte le materie non appartenenti a giudici speciali (Mandrioli, Satta). Altri (Attardi), invece, affermano che alcuni giudici speciali, come il Tar e il Consiglio di Stato, in materia di interessi legittimi hanno una competenza non meno generale dei giudici ordinari, per cui la giurisdizione di questi ultimi è generale soltanto in materia di diritti soggettivi. Un diverso orientamento (Tommaseo) ritiene che la giurisdizione sia unitaria, in quanto l’essenza dell’attività giurisdizionale è la stessa per ogni tipo di giurisdizione (ordinaria e speciale). 1 . Giurisdizione dei giudici ordinari. – La giurisdizione civile, salvo speciali di- sposizioni di legge (25, 102, 103 Cost.; 585 c.n.), è esercitata dai giudici ordinari (1) secondo le norme del presente codice (37). (1) Si vedano gli artt. 1 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario); 2907, 2908 c.c. 1) La giurisdizione civile e i giudici ordinari. La giurisdizione civile è, di regola, esercitata dai giudici ordinari (art. 102 Cost.) e ha ad oggetto la tutela dei diritti soggettivi (artt. 24 Cost. e 2907 c.c.). Si tratta, peraltro, di una giurisdizione di tipo residuale, poiché è “civile” la funzione giuri- 1 Libro I - Disposizioni generali sdizionale che non sia penale (preordinata alla repressione dei reati attraverso l’applicazione delle sanzioni penali) o amministrativa (avente ad oggetto la tutela degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione e dei diritti soggettivi nelle materie di competenza esclusiva del giudice amministrativo). La giurisdizione civile ordinaria si suddivide nei seguenti sottotipi: - giurisdizione di cognizione o contenziosa, volta alla risoluzione di una controversia al fine di accertare una determinata situazione giuridica. Nell’ambito del processo di cognizione il giudice valuta, cioè, se esiste il diritto soggettivo dell’attore o del ricorrente (ossia, di colui che invoca l’intervento del giudice) e se questo diritto è stato effettivamente violato. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un terzo distrugga la mia motocicletta: il giudice da me invocato per ottenere il risarcimento del danno dovrà valutare se effettivamente io sono proprietario del bene. Se si dovesse dimostrare che la motocicletta era di proprietà di mio fratello, il giudice non potrà procedere nel giudizio dal momento che io non risulto titolare di alcun diritto soggettivo sul bene distrutto; - giurisdizione esecutiva, finalizzata non ad accertare un determinato diritto (come la giurisdizione contenziosa) ma a dare attuazione a un diritto già accertato; - giurisdizione cautelare, con la quale il giudice assicura l’utilità del risultato del procedimento contenzioso o esecutivo; - giurisdizione volontaria, la quale, a differenza della giurisdizione contenziosa, non presuppone l’esistenza di una controversia, ma la necessità di controllare determinate attività dei privati o la gestione di particolari interessi (ad esempio, amministrazione dei beni ereditari). Giudici ordinari sono il Giudice di pace, il Tribunale, la Corte d’appello e la Cassazione (art. 1 ord. giud.). Il giudice conciliatore è stato soppresso con l’entrata in vigore dell’ufficio del Giudice di pace, continuando a sussistere solamente fino all’esaurimento delle cause pendenti. Analogamente, è scomparsa la figura del Pretore (art. 1, d.lgs. n. 51/1998) salvo l’esaurimento degli affari pendenti e le sue funzioni sono state trasferite al tribunale ordinario. Il d.lgs. n. 51/1998, inoltre, da un lato ha confermato la figura del giudice istruttore in funzione di giudice monocratico; dall’altro, ha previsto (modificando l’art. 48 ord. giud.) che il Tribunale normalmente decide in composizione monocratica, salvi i casi espressamente previsti dall’art. 50 bis c.p.c. nei quali decide in composizione collegiale. 40 2) La giurisdizione speciale. È l’attività svolta da organi non appartenenti all’autorità giudiziaria ordinaria, avente ad oggetto materie determinate che richiedono competenze particolari. L’art. 102 Cost., al fine di evitare il moltiplicarsi incontrollato dei giudici speciali e di garantire, quindi, il principio di unità della giurisdizione, vieta l’istituzione di nuovi giudici straordinari o speciali. Inoltre, la VI disposizione transitoria della Costituzione impone la revisione dei giudici speciali già esistenti, ad eccezione del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei Tribunali militari (art. 103 Cost.), nel termine (non perentorio) di cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione. Sono giudici speciali il Consiglio di Stato, i Tribunali amministrativi regionali, la Corte dei conti, il Tribunale superiore delle acque pubbliche, i Commissari regionali liquidatori di usi civici, i Tribunali militari e le Commissioni tributarie. Il Consiglio di Stato e i Tar hanno una giurisdizione generale di legittimità (annullamento degli atti lesivi di interessi legittimi), una giurisdizione eccezionale di merito nei casi espressamente previsti dalla legge (in questi casi il giudice può annullare, riformare o sostituire l’atto amministrativo illegittimo, non conveniente o inopportuno) e una giurisdizione esclusiva (nel qual caso, il giudice si occupa anche dei diritti soggettivi). La funzione giurisdizionale della Corte dei conti investe le “materie di contabilità pubblica” (art. 103 Cost.). Detta espressione va intesa nel senso che la Corte è competente a giudicare agenti contabili, amministratori e funzionari pubblici per tutte le vicende connesse alla gestione di risorse pubbliche. Inoltre, la Corte ha giurisdizione nella materia delle pensioni civili, militari e di guerra. Nei giudizi di conto, la Corte accerta la responsabilità di singoli soggetti legati alla pubblica amministrazione per i danni pubblici dagli stessi causati nell’esercizio delle loro funzioni. In materia pensionistica, la Corte accerta l’esistenza del diritto alla pensione ed il suo ammontare. Residuale è una terza categoria: quella dei giudizi ad istanza di parte in materia esattoriale. La giurisdizione delle Commissioni tributarie, infine, riguarda le controversie tra Stato e contribuenti. Al processo tributario si applicano le norme del codice di procedura civile che non siano con esso incompatibili (Montesano-Arieta). 3) Le sezioni specializzate. Si tratta di organi degli uffici giudiziari ordinari connotati dalla presenza di esperti estranei alla magistratura. Come rilevato dalla dottrina, sono organismi mediani tra i giudici ordinari e i giudici speciali, la cui istituzione è giustificata 41 dall’esigenza pratica di ricercare il giudice più idoneo a conoscere determinate controversie. La distinzione tra giudici speciali e sezioni specializzate non è sempre agevole. La dottrina ritiene che si debba guardare al dato numerico: in caso di prevalenza dei magistrati rispetto ai soggetti estranei alla magistratura, si tratterà di giudice speciale; nel caso, invece, di prevalenza di questi ultimi, si tratterà di sezione specializzata. Sono sezioni specializzate i Tribunali per i minorenni e le sezioni speciali per i minorenni presso le Corti d’appello, le sezioni specializzate agrarie, i Tribunali delle acque pubbliche (ad eccezione del Tribunale superiore delle acque pubbliche di Roma) e la sezione istituita presso la Corte d’appello di Roma che si occupa dei reclami avverso le decisioni dei commissari regionali liquidatori degli usi civici. 4) Il tribunale delle imprese. L’art. 2 d.l. n. 1/2012 (decreto liberalizzazioni), convertito in L. 27/2012, ha istituito il tribunale delle imprese, che sostituisce le “vecchie” sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, ex d.lgs. n. 168/2003. L’art. 1 d.lgs. n. 168/2003 prevede l’istituzione, presso i tribunali e le corti d’appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia, di sezioni specializzate in materia di impresa. Sono altresì istituite sezioni specializzate in materia di impresa presso i tribunali e le corti d’appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, se non esistenti nelle città di cui sopra. Per la Valle d’Aosta sono competenti le sezioni specializzate presso il tribunale e la corte d’appello di Torino. È altresì istituita la sezione specializzata in materia di impresa presso il tribunale e la corte d’appello di Brescia. I giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra magistrati dotati di specifiche competenze. Ai giudici delle sezioni specializzate può essere assegnata anche la trattazione di processi diversi, purché ciò non comporti ritardo nella trattazione e decisione dei giudizi in materia di impresa. Le sezioni specializzate sono competenti in materia di: - controversie di cui all’art. 134 d.lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale); - controversie in materia di diritto d’autore; - controversie in materia di tutela della concorrenza (art. 33, co. 2, l. n. 287/1990); - controversie relative alla violazione della normativa antitrust dell’Unione europea; - controversie relative alle società per azioni, alle società in accomandita per azioni, alle società a responsabilità limitata, alle società coopera- Titolo I - Degli organi giudiziari 1 tive e mutue assicuratrici, alla società europea e alla società cooperativa europea, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari, compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni di cui agli artt. 2445, co. 3, 2482, co. 2, 2447quater, co. 2, 2487ter, co. 2, 2503, co. 2, 2503bis, co. 1 e 2506ter del codice civile; b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; c) in materia di patti parasociali, anche diversi da quelli regolati dall’articolo 2341-bis del codice civile; d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano; e) relativi a rapporti di cui all’art. 2359, co. 1, n. 3), all’art. 2497septies e all’art. 2545septies c.c.; f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia parte una delle società di cui al presente comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario. Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui sopra. Per quanto riguarda la competenza territoriale, le controversie che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione, sono assegnate alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo di regione individuato ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni specializzate istituite presso i tribunali e le corti d’appello non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di corte d’appello. L’art. 2, co. 6, D.L. 1/2012, convertito in L. 27/2012, prevede che le disposizioni di cui sopra si applicano ai giudizi instaurati dopo 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge 1 Libro I - Disposizioni generali di conversione n. 27/2012 (il termine decorre quindi dal 25 marzo, giorno successivo alla pubblicazione in G.U, come stabilito dall’art. 1, co. 2, della legge) Infine, l’art. 2, co. 3, D.L. 1/2012, convertito con L. 27/2012, stabilisce che per i processi di competenza delle sezioni specializzate il contributo unificato di cui al comma è raddoppiato. 5) L’arbitrato. Non tutte le controversie civili vengono risolte da un giudice: le parti possono, infatti, decidere di risolvere la loro lite ricorrendo all’arbitrato. L’arbitrato può essere definito come una procedura alternativa per la risoluzione delle controversie in materia civile; esso consiste in un accordo con il quale le parti conferiscono il potere di decidere la controversia a giudici privati, definiti arbitri. Esistono due tipi di arbitrato: - l’arbitrato rituale, disciplinato dagli artt. 806 e ss. (➠), che riconosce alla decisione degli arbitri (cd. lodo arbitrale) gli stessi effetti di una pronuncia del giudice e prevede la possibilità di assoggettare la stessa ai medesimi controlli previsti per una sentenza; l’arbitrato irrituale, per il quale il nostro ordinamento non detta una disciplina di carattere generale. In caso di arbitrato irrituale, la decisione degli arbitri costituisce un obbligo di natura contrattuale e, se non viene adempiuto, potrà essere posto a base di una successiva azione giudiziaria. 6) La giurisdizione volontaria. La funzione giurisdizionale presenta alcune caratteristiche tipiche. Essa, in primo luogo, presuppone una controversia (cd. lite) tra due o più soggetti, determinata da un’incertezza circa l’applicazione del diritto o dalla violazione di una o più norme giuridiche. Tali soggetti vengono definiti “parti” del processo. In alcuni casi, però, GIURISDIZIONE CIVILE 42 la controversia manca e l’intervento del giudice è previsto dalla legge al fine di assicurare che decisioni particolarmente delicate ed importanti siano prese da un soggetto imparziale sulla base di una scrupolosa applicazione del diritto. Tali ipotesi vengono definite di giurisdizione volontaria (➠ § 1): si tratta, ad esempio, delle decisioni relative alla separazione consensuale tra coniugi, all’interdizione e all’inabilitazione, alla dichiarazione di morte presunta etc. In realtà, si è discusso a lungo circa la natura della giurisdizione volontaria, e la questione è tuttora aperta. Autorevole dottrina (Mandrioli, Liebman) afferma che, poiché gli organi giurisdizionali gestiscono situazioni di diritto privato, la giurisdizione volontaria va ricondotta nell’ambito dell’attività amministrativa e, più precisamente, nell’“amministrazione pubblica del diritto privato”. Infatti, non sono rinvenibili né la contrapposizione tra le parti interessate, tipica dei giudizi contenziosi, né un provvedimento suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre revocabile e modificabile in caso di mutamento della situazione di fatto. Altri autori (Satta), invece, la qualificano come attività giurisdizionale in senso stretto, perché si realizza con l’intervento del giudice ed è diretta alla formazione di un comando giuridico su richiesta delle parti. Infine, una tesi eclettica (Fazzalari) la qualifica come tertium genus, non inquadrabile né nell’attività giurisdizionale né in quella amministrativa. Affermare la natura giurisdizionale o amministrativa della giurisdizione volontaria rileva sotto numerosi profili (si pensi, ad esempio, alla possibilità di sollevare un incidente di costituzionalità di una legge, che sussiste soltanto all’interno di un vero e proprio giudizio e non anche in caso di attività meramente amministrativa). È finalizzata alla tutela dei diritti soggettivi Tipi di giurisdizione civile: • contenziosa: accerta la situazione giuridica esistente attraverso una controversia destinata a sfociare in un provvedimento giurisdizionale definitivo (cd. cosa giudicata) • esecutiva: consente di dare attuazione concreta ad un diritto soggettivo • cautelare: permette di conservare immutato un determinato stato di fatto o di anticipare gli effetti della (futura) decisione finale resa nei giudizi contenziosi ed esecutivi • volontaria: realizza il controllo di determinate attività dei privati o della gestione di particolari interessi mediante provvedimenti che sono sempre revocabili Titolo I - Degli organi giudiziari 2 43 2. (1) [Inderogabilità convenzionale della giurisdizione. – La giurisdizione italiana non può essere convenzionalmente derogata a favore di una giurisdizione straniera, né di arbitri (810 ss.) che pronuncino all’estero (832 ss.), salvo che si tratti di causa relativa ad obbligazioni tra stranieri o tra uno straniero e un cittadino non residente né domiciliato (43 c.c.) nella Repubblica e la deroga risulti da atto scritto]. (1) Articolo abrogato dall’art. 73 della L. 31 maggio 1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si veda l’art. 4 della citata L. n. 218/1995. 3. (1) [Pendenza di lite davanti a giudice straniero (2). – La giurisdizio- ne italiana non è esclusa dalla pendenza davanti a un giudice straniero della medesima causa (39) o di altra con questa connessa (31 ss., 40)]. (1) Articolo abrogato dall’art. 73 della L. 31 maggio 1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si veda l’art. 7 della citata L. n. 218/1995. (2) Con la L. 21 giugno 1971, n. 804, è stata ratificata e resa esecutiva in Italia la Convenzione internazionale ed annesso Protocollo firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e le decisioni in materia civile e commerciale. 4 . (1) [Giurisdizione rispetto allo straniero. – Lo straniero può essere con- venuto davanti ai giudici della Repubblica: 1) se quivi è residente o domiciliato (43 c.c.) anche elettivamente (47 c.c.) o vi ha un rappresentante (1387 c.c.) che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77, oppure se ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili (812 c.c.) situati all’estero (37); 2) se la domanda riguarda beni esistenti nella Repubblica o successioni ereditarie di cittadino italiano o aperte (456 ss. c.c.) nella Repubblica, oppure obbligazioni (1173 ss. c.c.) quivi sorte (1182 c.c.) o da eseguirsi (1326 ss. c.c.); 3) se la domanda è connessa (31 ss.) con altra pendente davanti al giudice italiano, oppure riguarda provvedimenti cautelari (669 bis ss.) da eseguirsi nella Repubblica o relativi a rapporti dei quali il giudice italiano può conoscere (14 c.n.); 4) se, nel caso reciproco, il giudice dello Stato al quale lo straniero appartiene può conoscere delle domande proposte contro un cittadino italiano]. (1) Articolo abrogato dall’art. 73 della L. 31 maggio 1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si vedano gli artt. 3 e 10 della citata L. n. 218/1995. 5 . (1) Momento determinante della giurisdizione e della competenza. – La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo. (1) Articolo così sostituito dall’art. 2 della L. 26 novembre 1990, n. 353, a decorrere dall’1 gennaio 1993. 1) Il principio della perpetuatio iurisdictionis: portata . . . La norma in esame fissa un principio cardine del sistema processualistico, in forza del quale la competenza e la giurisdizione sussistenti al momento della proposizione della domanda perdurano per l’intera durata del giudizio. Si tratta del noto principio della perpetuatio iurisdictionis, in base al quale la giurisdizione e la competenza si determinano con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione della domanda, restando perciò irrilevanti i successivi mutamenti del quadro normativo-fattuale (si pensi ad una nuova legge che introduca criteri che regolano la competenza del giudice diversi dalla legge precedente o al mutamento del luogo di residenza del convenuto, laddove questo incida sulla competenza del giudice). Con questa norma il legislatore ha inteso evitare gli effetti pregiudizievoli che potrebbero prodursi in danno delle parti qualora si riconoscesse, ai mutamenti delle circostanze di fatto e di diritto successivi alla domanda, la possibilità di incidere sul processo in corso, caducando la giurisdizione o la competenza del giudice adìto. 2) . . . e limiti. Il principio in esame incontra un primo limite nelle pronunce di incostituzionalità della Corte costituzionale: infatti, il mutamento normativo 5 Libro I - Disposizioni generali conseguente ad una sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge produce i suoi effetti anche nei processi in corso, stante il carattere retroattivo delle pronunce della Corte costituzionale (Cass. n. 3352/1997). Tale regola è stata confermata, di recente, dalle Sezioni Unite, per le quali “il principio sancito dall’art. 5 c.p.c., alla stregua del quale la giurisdizione si determina “con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda”, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, salvo il limite dei rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione” (Cass. S.U. n. 3370/2006). Inoltre, mentre secondo la giurisprudenza prevalente l’art. 5 opera anche laddove le sopravvenienze (di fatto o di diritto) incidano sul rapporto giuridico dedotto in giudizio (si pensi al mutamento, in corso di causa, di un rapporto giuridico di natura pubblicistica in un rapporto privatistico), parte della dottrina ritiene, al contrario, che in questo caso la norma in esame non possa trovare applicazione, riferendosi soltanto ai mutamenti incidenti su elementi estranei al rapporto dedotto in giudizio e non anche agli elementi costitutivi dello stesso. Esula, poi, dall’ambito applicativo dell’art. 5 la c.d. competenza sopravvenuta: l’art. 5, infatti, per evidenti ragioni di economia processuale, non esclude l’efficacia convalidante, da parte di una legge successiva all’inizio del processo (ius superveniens), della giurisdizione del giudice che ne era privo al momento della proposizione della domanda (Carpi-Taruffo; Cass. n. 4820/2005). La regola della competenza sopravvenuta trova conferma nell’art. 8 della l. n. 218/1995, il quale, dopo aver affermato che “per la determinazione della giurisdizione italiana si applica l’articolo 5 del codice di procedura civile”, aggiunge: “tuttavia la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo”. Quest’ultimo inciso è letto come un riconoscimento della regola sopra citata (Proto Pisani, Balena). 3) L’art. 5 c.p.c. si applica anche al ricorso straordinario al Capo dello Stato (Cons. Stato, Ad. gen., n. 808/2011). La giurisprudenza ha costantemente affermato che il ricorso straordinario è un rimedio amministrativo di carattere generale, il che ne comporta l’esperibilità in tutti i casi in cui ciò non sia escluso dalla legge e, comunque, anche nelle materie che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, tra cui quelle riguardanti le controversie aventi ad oggetto atti di gestione 44 del rapporto di impiego privatizzato (Cons. St., Ad. gen., n. 7/1999), salve le ipotesi in cui vengano attribuite al giudice ordinario competenze speciali e funzionali, nel qual caso si ritiene che il legislatore abbia voluto escludere il rimedio del ricorso straordinario. Tuttavia, la norma sopravvenuta di cui all’art. 7, co. 8, d.lgs. n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo), entrato in vigore il 169-2010, stabilisce che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica “è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa”. La questione di diritto che si è posta in giurisprudenza è quella di stabilire se tale norma si applichi anche ai ricorsi straordinari proposti prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, oppure si applichi solo a quelli proposti successivamente a tale data. Il Consiglio di Stato (Ad. Gen., n. 808/2001) ha affermato che, nella fattispecie, deve trovare applicazione il principio desumibile dall’art. 5 c.p.c., alla stregua della quale la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, enuncia infatti un principio – quello della permanenza del potere di definire la controversia in capo all’organo chiamato a pronunciarsi, nonostante i mutamenti sopravvenuti della legge attributiva di tale potere che è certamente applicabile al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Il ricorso straordinario, infatti, ha una natura atipica, non assimilabile agli altri ricorsi amministrativi, con spiccate caratteristiche di giustizia; siffatta natura è confermata dal fatto che il provvedimento finale rappresenta solo l’atto conclusivo di esternazione di un momento decisionale contenuto nel parere del Consiglio di Stato. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato, d’altra parte, è un rimedio alternativo rispetto al ricorso giurisdizionale amministrativo; l’interessato, che ha piena facoltà di scegliere tra i due tipi di ricorsi, sa che una volta che ha effettuato la sua opzione non è più possibile tornare indietro (electa una via non datur recursus ad alteram) e, quindi, qualunque strada intraprenda in ossequio alla regola dell’alternatività, appare ragionevole che egli consegua comunque una tutela adeguata. Se così è, allora, ai ricorsi straordinari proposti prima dell’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo si applica il principio desumibile dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, enunciando il principio della permanenza del potere di definire la controversia in capo all’organo chiamato a pronunciarsi, nonostante i mutamenti sopravvenuti della legge attributiva di tale potere. Titolo I - Degli organi giudiziari 6 45 La diversa soluzione, nel senso dell’applicabilità della norma di cui al comma 8 dell’art. 7 anche alle controversie pendenti in sede straordinaria alla data di entrata in vigore del nuovo codice, porterebbe alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nel vigore del regime precedente, con conseguente frustrazione delle aspettative e dell’affidamento degli interessati nello strumento di giustizia (ricorso straordinario) da essi stessi volontariamente e alternativamente prescelto, rinunciando alla tutela in sede giurisdizionale. Ci si troverebbe di fronte, in questo caso, a una sostanziale violazione del principio di effettività della tutela, di cui all’art. 24 Cost., che deve ritenersi invocabile anche in sede di ricorso straordinario. Il momento della proposizione della domanda, rilevante per individuare la giurisdizione e la competenza in base alla norma in esame, va determinato avendo riguardo al tipo di procedimento. A tal fine, può essere utile il seguente schema. PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE CAUSE DI LAVORO E PROCESSO MONITORIO notificazione dell’atto di citazione (� 163) in caso di litisconsorzio necessario (� 102), rileva la prima notificazione deposito del ricorso in cancelleria PROCEDIMENTI D’URGENZA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI 6. Inderogabilità convenzionale del- la competenza. – La competenza non può essere derogata per accordo delle parti, salvo che nei casi stabiliti dalla legge (2830, 339, 360). 1) Il concetto di “parte”. La norma in esame fa riferimento al concetto di “parte”. In generale, parte del processo è il soggetto che pone in essere gli atti processuali e ne subisce gli effetti e, quindi, è destinatario dei provvedimenti (sentenze, ordinanze e decreti) che il giudice adotta nel corso del processo (ad esempio, un’ordinanza istruttoria) e all’esito dello stesso (ad esempio, una sentenza di condanna). Più nel dettaglio, può definirsi “parte” del processo sia colui che agisce in giudizio (soggetto attivo), chiedendo al giudice l’adozione di un determinato provvedimento, sia colui nei con- notifica del ricorso e del decreto alla controparte fronti del quale tale domanda è proposta (soggetto passivo). Peraltro, la qualità di parte può acquistarsi non solo in seguito alla domanda introduttiva del giudizio, ma anche nel corso dello stesso, qualora un soggetto si sostituisca ad un altro o intervenga, spontaneamente o su ordine del giudice, in un giudizio pendente. In linea generale, inoltre, può dirsi che il soggetto attivo assume la veste di attore, se ha introdotto il processo con un atto di citazione (➠ 163), oppure di ricorrente, se ha iniziato il giudizio con ricorso (come accade, ad esempio, nel processo del lavoro). A sua volta, il soggetto passivo è qualificabile come convenuto (se è parte in un processo introdotto con atto di citazione) o resistente (se contraddice in un giudizio introdotto con ricorso). Normalmente, le parti devono essere rappresentate o assistite da un difensore, che sta in giudizio in sostituzione o accanto alla parte. Il rapporto che lega la parte al proprio difensore si inquadra nell’ambito del mandato con rappresentanza (➠ 77 e ss.). 7 Libro I - Disposizioni generali 2) Portata dell’art. 6. In virtù dell’art. 6, i principi regolatori della competenza sono inderogabili per volontà delle parti, salvi i casi previsti dalla legge. Ciò significa che, se la legge non lo prevede espressamente, deve ritenersi invalido un accordo con il quale le parti attribuiscano al giudice designato competenza esclusiva in ordine a una determinata lite, ovvero affianchino al giudice competente per legge un altro giudice. La norma in esame intende tutelare il principio costituzionale (art. 25 Cost.) del giudice naturale precostituito per legge, secondo il quale la legge deve determinare i criteri oggettivi e generali in base ai quali viene individuato il magistrato competente a decidere una determinata controversia. Tale principio, infatti, verrebbe violato qualora le parti potessero scegliere liberamente il giudice al quale affidare la controversia. Sezione II Della competenza per materia e valore La presente Sezione è dedicata alla ripartizione della competenza per materia e per valore tra il Giudice di pace e il Tribunale. Preliminare all’analisi della normativa in esame è la nozione di competenza. Secondo la tesi tradizionale, la competenza è la misura della giurisdizione spettante a ciascun giudice (Mandrioli, Liebman). In particolare, se la giurisdizione civile appartiene ai giudici ordinari nel loro complesso, la competenza consente di individuare, tra i suddetti giudici, quello che ha il potere di decidere una determinata controversia. Il difetto di competenza comporta l’invalidità della sentenza emessa, poiché la competenza è un presupposto necessario per la validità della decisione di merito (Arieta). Non rientrano nel concetto di competenza: - la ripartizione delle funzioni tra i componenti di un ufficio giudiziario collegiale (presidente, giudice istruttore, collegio); - la distribuzione del lavoro tra le diverse sezioni di uno stesso ufficio giudiziario; - la ripartizione della potestà giurisdizionale tra giudici ordinari e giudici amministrativi (che investe un problema di giurisdizione e non di competenza). I criteri che consentono di individuare il giudice competente a decidere una determinata causa sono elencati dagli artt. 7 e ss. e fanno capo ad altrettante tipologie di competenza, ovvero: - competenza per materia, individuata in relazione alla natura della controversia; 46 - competenza per valore, individuata in base al valore della lite; - competenza per territorio, fondata sul collegamento tra la controversia e una determinata area territoriale. I primi due criteri risolvono il problema della distribuzione verticale della competenza tra giudici di tipo diverso (giudice di pace, tribunale, Corte d’appello e Cassazione); il terzo criterio risolve il problema della distribuzione orizzontale della competenza tra diversi giudici dello stesso tipo presenti nel territorio della Repubblica (Carpi-Taruffo, Mandrioli). L’indagine volta ad individuare il giudice competente deve essere condotta considerando, in prima battuta, se la controversia rientri nella competenza per materia di un determinato organo giudicante; la risposta affermativa rende (normalmente) superfluo l’esame del valore della causa, mentre, in caso di risposta negativa, occorre identificare il giudice competente per valore; a questo punto, va determinato il giudice competente per territorio (Verde). 7 . (1) Competenza del giudice di pace. – Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili (812 c.c.) di valore non superiore a cinquemila euro (2) (10), quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice. Il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi ventimila euro (3). [Il giudice di pace è inoltre competente, con il limite di valore di cui al secondo comma, per le cause di opposizione alle ingiunzioni di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, salvo che con la sanzione pecuniaria sia stata anche applicata una sanzione amministrativa accessoria. Resta ferma la competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro e per le cause di opposizione alle ingiunzioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.] (4) È competente qualunque ne sia il valore: 1) per le cause relative ad apposizione di termini (951 c.c.) ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti 47 o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi (892 ss. c.c.); 2) per le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case; 3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni (844 c.c.) di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità; 3 bis) per le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali (5). [4) per le cause di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate in base all’art. 75 del testo unico approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309] (6) (7). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 17 della L. 21 novembre 1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di pace, a decorrere dal 1° maggio 1995. (2) Le originarie parole: «lire cinque milioni» sono state così sostituite dall’art. 45, comma 1, lett. a), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. (3) Le originarie parole: «lire trenta milioni» sono state così sostituite dall’art. 45, comma 1, lett. b), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. (4) Questo comma è stato abrogato dall’art. 1 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, nella L. 20 dicembre 1995, n. 534. In materia di competenza del giudice di pace nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, si veda l’art. 22 bis della L. 24 novembre 1981, n. 689. (5) Questo numero è stato aggiunto dall’art. 45, comma 1, lett. c), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. (6) Questo numero è stato abrogato dall’art. 1 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, nella L. 20 dicembre 1995, n. 534. (7) Si veda l’art. 22 bis della L. 24 novembre 1981, n. 689, di cui si riporta il testo: «22 bis. (Competenza per il giudizio di opposizione). Salvo quanto previsto dai commi seguenti, l’opposizione di cui all’articolo 22 si propone davanti al giudice di pace. «L’opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia: Titolo I - Degli organi giudiziari 7 a) di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro; b) di previdenza e assistenza obbligatoria; c) urbanistica ed edilizia; d) di tutela dell’ambiente dall’inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; e) di igiene degli alimenti e delle bevande; f ) di società e di intermediari finanziari; g) tributaria e valutaria; g bis) antiriciclaggio. «L’opposizione si propone altresì davanti al tribunale: a) se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a € 15.493; b) quando, essendo la violazione punita con sanzione pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una sanzione superiore a € 15.493; c) quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest’ultima, fatta eccezione per le violazioni previste dal regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, dalla legge 15 dicembre 1990, n. 386 e dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. «Restano salve le competenze stabilite da diverse disposizioni di legge». 1) Generalità. Il Giudice di pace (g.d.p.) è un magistrato onorario appartenente all’ordine giudiziario istituito con la l. 21-11-1991, n. 374, il quale esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile. La sua competenza concorre con quella Tribunale, e riguarda sia il processo ordinario di cognizione sia il processo esecutivo (nei soli giudizi di opposizione previsti dagli artt. 615 e 619). I commi 1 e 2 della norma in esame prevedono, ai fini dell’individuazione della competenza del g.d.p., il ricorso ai criteri congiunti della materia e del valore, mentre l’ultimo comma fa riferimento al solo criterio della materia. In linea generale, la competenza civile del g.d.p. investe tre settori: - controversie mobiliari di minore importanza (1° comma); - cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti (2° comma); - controversie di vicinato (3° comma). 2) Cause mobiliari. Ai sensi del 1° comma della norma in esame, il g.d.p. è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 5.000,00 (importo incrementato dalla L. n. 69/2009, qualora non rientrino, per espressa disposizione normativa, nella competenza per materia di altro giudice. Secondo la dottrina, per “cause relative a beni mobili” devono intendersi tutte le controversie 7 Libro I - Disposizioni generali diverse da quelle che trovano la loro fonte in un rapporto riguardante beni immobili, qualunque sia la natura del diritto fatto valere (di credito o diversa) e qualunque sia la decisione che si chiede. La giurisprudenza, in passato ha precisato che vanno qualificate come controversie immobiliari, come tali sottratte alla competenza del g.d.p., tutte le controversie in cui vengano dedotte in giudizio pretese afferenti tanto a diritti reali quanto a diritti di credito che abbiano la loro fonte in un rapporto giuridico riguardante un bene immobile (Cass. n. 4304/2004). Tuttavia, questa tesi è stata recentemente rivisitata dalle Sezioni Unite, come evidenziato nel paragrafo successivo. 3) Cause immobiliari di valore non superiore a 5.000 euro (Cass. S.U., n. 21582/2011). Secondo la tesi dominante, deve ritenersi esclusa ratione materiae la competenza del giudice di pace in tutte le controversie immobiliari, cioè per tutte le cause relative a diritti reali e personali su beni immobili. Le Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 21582 del 19-10-2011, hanno sottoposto a revisione critica questa tesi, affermando la competenza del giudice di pace per le controversie in materia di immobili quando abbiano ad oggetto il risarcimento del danno o il pagamento di una somma di denaro non superiore a 5.000 euro. In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato “la competenza del giudice di pace (nei limiti della sua competenza per valore) in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di un esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ictu oculi, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale - siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale - allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato”. Devono ritenersi escluse le sole azioni reali immobiliari, la cui causa petendi sia costituita da un diritto reale. 4) Cause risarcitorie in materia di circolazione di veicoli e natanti. Il 2° comma dell’art. 7 attribuisce al g.d.p. la competenza per materia in ordine alle cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti, purché il valore della controversia non superi euro 20.000,00 (importo incrementato dalla L. n. 69/2009). Occorre sottolineare, per inciso, che all’aumento del carico di lavoro conseguente all’ampliamento della 48 competenza per valore dovrebbe accompagnarsi un potenziamento degli organici della magistratura onoraria ma, soprattutto, una rivisitazione delle attuali modalità di reclutamento, poiché la carenza di seri criteri di valutazione del livello di preparazione dei giudici di pace e l’assenza di verifiche periodiche del grado di professionalità non garantiscono il possesso, da parte dei giudici non togati, delle abilità e delle capacità necessarie per assicurare una giustizia efficiente. Venendo all’esame della disposizione, per veicolo deve intendersi ogni strumento idoneo a trasportare persone o cose ed a circolare senza scorrere su rotaie, sia esso a trazione meccanica, animale o umana (secondo Cass. n. 5455/2005, tuttavia, in tema di competenza del giudice di pace in materia di circolazione stradale, l’espressione “circolazione dei veicoli” contemplata, senza ulteriori specificazioni, dall’art. 7 deve intendersi comprensiva anche della circolazione di veicoli con guida di rotaie). Per quanto concerne i veicoli spinti a braccia, va sottolineato che deve pur sempre trattarsi di macchine funzionalmente destinate alla circolazione su strada (CianTrabucchi). Per la nozione di natante deve farsi riferimento all’art. 136 del codice della navigazione e alla l. n. 50/1971 e successive modificazioni. Per la nozione di circolazione, infine, può farsi riferimento all’art. 2054 c.c. Per circolazione si intende, in particolare, il transito, la fermata e la sosta di veicoli su una strada pubblica o su un’area privata soggetta ad uso pubblico o comunque adibita al traffico di pedoni e veicoli. Non rientra, invece, nel concetto di circolazione lo spostamento di un veicolo su un’area privata nella quale non esista un traffico e una circolazione di veicoli (Cass. 2-7-1977, n. 2885). Ciò premesso, va evidenziato che secondo la giurisprudenza la competenza per materia che l’art. 7, 2° comma, attribuisce al giudice di pace per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti non si esaurisce nelle ipotesi contemplate dall’art. 2054 c.c. ma concerne anche i casi che, pur non essendo suscettibili di essere disciplinati da tale articolo, tuttavia rientrano nella nozione di fatti illeciti prodotti dalla circolazione di veicoli (Cass. n. 15573/2000). Così, ad esempio, il danno provocato al veicolo di proprietà di persona diversa dal conducente dalla condotta di questi che lo guidi su incarico del predetto proprietario, è risarcibile non ai sensi dell’art. 2054 c.c., bensì ai sensi dell’art. 2043 c.c.; tuttavia, trattandosi di danno prodotto dalla circolazione di un veicolo, l’eventuale domanda risarcitoria deve essere in ogni caso conosciuta dal giudice di pace (Cass. 746/2002). 49 5) Il 3° comma. Il 3° comma prevede, anzitutto, il conferimento al g.d.p. della competenza, senza limiti di valore, per le cause tra proprietari confinanti relative all’apposizione di termini (art. 951 c.c.) e all’osservanza delle distanze nel piantamento di alberi e siepi (art. 892 c.c.). Ciò non implica la competenza del g.d.p. anche per le controversie promosse al fine di ottenere la recisione di rami (o radici) che si protendano (o addentrino) da un fondo in quello confinante, alla luce della disciplina sostanziale di cui all’art. 896 c.c., poiché il g.d.p. ha, in linea generale, competenza solo per cause mobiliari, tenuto anche presente che la violazione dell’art. 896 c.c. implica la lesione di un diritto reale (Cass. n. 859/2000). Inoltre, poiché la norma si riferisce all’apposizione di termini, la stessa non è estensibile alla diversa azione di regolamento di confini; essa, inoltre, non ricomprende la materia relativa alle distanze tra edifici (Satta, Andrioli). Per quanto riguarda il n. 2 del 3° comma, le cause relative alle modalità di uso dei servizi condominiali sono quelle nelle quali si discute sul modo più conveniente ed opportuno in cui tale diritto di uso deve essere esercitato, nel rispetto della parità di godimento in proporzione delle rispettive quote ex artt. 1102 e 1118 c.c., nonché in conformità del volere della maggioranza e delle eventuali disposizioni del regolamento condominiale (Cass. n. 5467/1996). Invece, le cause relative alla misura dei servizi stessi riguardano le riduzioni o le limitazioni quantitative del diritto dei singoli condomini e si identificano con quelle aventi ad oggetto provvedimenti dell’assemblea o dell’amministratore che incidono sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli condomini. Alle sopraindicate categorie è estranea ogni controversia nella quale sia in discussione l’esistenza (o la portata) del diritto del condomino ad utilizzare la cosa o il servizio comune, che resta attribuita al giudice competente secondo gli ordinari criteri del valore della causa (Cass. n. 5448/2002; Cass. n. 25/2000). In applicazione dei suddetti principi, si è affermato che: - ai sensi dell’art. 7 c.p.c. appartengono alla competenza per materia del Giudice di pace le cause relative all’installazione di un’apertura automatica del portone di ingresso dello stabile mediante citofoni installati nelle singole unità immobiliari, nonché all’adozione dell’uso della chiave per l’utilizzo dell’ascensore, poiché non viene messo in discussione il diritto stesso del condomino a un determinato uso delle cose comuni, essendo controversa soltanto la regola- Titolo I - Degli organi giudiziari 7 mentazione della misura e modalità d’uso dei suddetti servizi (Cass. n. 4256/2006); - la controversia relativa al diritto di utilizzazione del pianerottolo comune, che si assume leso dall’apertura verso l’esterno (in sostituzione di quella verso l’interno) di una porta di accesso all’appartamento di proprietà di un condomino, non rientra fra le cause relative alla misura e alle modalità di uso dei servizi condominiali, attribuite al g.d.p., poiché essa ha ad oggetto la tutela, ex art. 1102 c.c., del diritto al pari uso della cosa comune e alla libertà del suo esercizio (il comodo e sicuro passaggio per il pianerottolo). Essa è, pertanto, devoluta alla cognizione del tribunale (Cass. n. 8376/2005); - la sosta di un’autovettura negli spazi comuni condominiali configura una modalità di uso di detti beni, e la controversia nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di utilizzazione rientra nella competenza per materia del g.d.p. (Cass. n. 2402/1999; Cass. n. 4575/1997); - l’assicurare cavi elettrici ai muri comuni condominiali e l’installare centraline elettroniche ed antenne TV sui muri stessi o su tetti o su terrazze comuni configura una modalità di uso dei beni condominiali, per cui la controversia nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di utilizzazione riguarda il limite qualitativo o quantitativo della facoltà di utilizzare i beni comuni e rientra nella competenza per materia del g.d.p. (Cass. n. 14527/2001). Il n. 3 del 3° comma, infine, attribuisce al g.d.p. la competenza per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni che superino la normale tollerabilità. Le immissioni sono disciplinate dall’art. 844 c.c. Con il termine immissione si fa riferimento a tutte le propagazioni “fastidiose” provenienti dal fondo vicino, quali rumore, fumo, calore, esalazioni, scuotimenti etc. Può trattarsi tanto di immissioni percepibili attraverso i sensi dall’uomo quanto di immissioni rilevabili attraverso apparecchi meccanici. Rientrano in tale categoria, quindi, anche le immissioni di radiazioni nocive, di onde elettromagnetiche, di correnti elettriche etc. Le immissioni provenienti dal fondo vicino non possono superare la normale tollerabilità. Il limite della normale tollerabilità deve essere discrezionalmente valutato dal giudice di merito: mancando nella legge una misura in base alla quale stabilire con criteri automatici il limite di tollerabilità delle immissioni, tale limite deve essere prudentemente determinato di volta in volta dal giudice con riguardo sia alle condizioni dei luoghi ed alle attività normalmente svolte in un determinato contesto 7 Libro I - Disposizioni generali produttivo sia al sistema di vita ed alle correnti abitudini della popolazione in un determinato momento storico (Cass. 20-12-1985, n. 6534). Va precisato, per quanto concerne la competenza del g.d.p., che questa sussiste solo in presenza di cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione, con esclusione, dunque, delle utilizzazioni di immobili adibiti ad uso agricolo, commerciale ed industriale, nonché di aziende. 6) Il comma 3 bis. La L. n. 69/2009 ha inserito un comma 3 bis all’art. 7, che attribuisce al giudice di pace le controversie relative agli interessi e accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali. Si attribuiscono, quindi, alla competenza del giudice del pace le domande aventi ad oggetto la richiesta di condanna dell’Inps, dell’Inail e di altri enti previdenziali o assistenziali per il pagamento di interessi e rivalutazioni sulle prestazioni pagate in ritardo. Si tratta di una disposizione irrazionale e di scarsa utilità per i cittadini. Le cause previdenziali e assistenziali sono cause bagatellari, seriali, che al cittadino attribuiscono scarse utilità – pochi euro di interessi maturati nei pochi mesi di ritardo nell’erogazione della pensione o dell’indennità – ma che rischiano di pregiudicare le finanze pubbliche. Inoltre, si appesantisce ulteriormente – senza, lo ripetiamo, una reale utilità per gli utenti della giustizia - il carico di lavoro dei giudici di pace, affidando loro un’ulteriore competenza e svincolando, tra l’altro, la causa previdenziale o assistenziale dalla causa principale pendente davanti al giudice del lavoro. 7) Opposizione a ordinanza-ingiunzione. L’art. 6 d.lgs. n. 150/2011 stabilisce che le controversie previste dall’art. 22 l. n. 689/1981 sono regolate dal rito del lavoro, se non diversamente stabilito. L’opposizione si propone davanti al giudice di pace del luogo in cui è stata commessa la violazione, oppure davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione riguardante disposizioni in materia di: - tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro; - previdenza e assistenza obbligatoria; - tutela dell’ambiente dall’inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette; - igiene degli alimenti e delle bevande; - valutaria; - antiriciclaggio. L’opposizione si propone altresì davanti al tribunale: 50 - se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493 euro; - quando, essendo la violazione punita con sanzione pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una sanzione superiore a 15.493 euro; - quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest’ultima. Il ricorso deve proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento o entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale. L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa. Con il decreto di cui all’art. 415, 2° comma, c.p.c. il giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente e all’autorità che ha emesso l’ordinanza. Nel giudizio di primo grado l’opponente e l’autorità che ha emesso l’ordinanza possono stare in giudizio personalmente. L’autorità che ha emesso l’ordinanza può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati. Nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 205 d.lgs. n. 285/1992 il prefetto può farsi rappresentare in giudizio dall’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, la quale vi provvede a mezzo di propri funzionari appositamente delegati, laddove sia anche destinataria dei proventi della sanzione. Alla prima udienza, il giudice: - quando il ricorso è proposto oltre i termini di cui al 6° comma, lo dichiara inammissibile con sentenza; - quando l’opponente o il suo difensore non si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, convalida con ordinanza appellabile il provvedimento opposto e provvede sulle spese, salvo che l’illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall’opponente, ovvero l’autorità che ha emesso l’ordinanza abbia omesso il deposito dei documenti. Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente. Con la sentenza che accoglie l’opposizione il giudice può annullare in tutto o in parte l’ordinanza o modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta, che è determinata in Titolo I - Degli organi giudiziari 8 51 una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale. Nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l’art. 113, 2° comma, c.p.c. Salvo quanto previsto dall’art. 10, co. 6bis, d.P.R. n. 115/2002, gli atti del processo e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta. 8) Opposizione al verbale di accertamento di violazione del Codice della strada. L’art. 7 d.lgs. n. 150/2011 stabilisce che le controversie in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada di cui all’art. 204 bis d.lgs. n. 285/1992 sono regolate dal rito del lavoro. L’opposizione si propone davanti al giudice di pace del luogo in cui è stata commessa la violazione entro trenta giorni dalla data di contestazione della violazione o di notificazione del verbale di accertamento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale. Il ricorso è inammissibile se è stato previamente presentato ricorso ai sensi dell’art. 203 d.lgs. n. 285/1992. L’opposizione si estende anche alle sanzioni accessorie. La legittimazione passiva spetta: - al prefetto, quando le violazioni opposte sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti dello Stato, nonché da funzionari e agenti delle Ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tranvie in concessione e dell’ANAS; - a regioni, province e comuni, quando le violazioni sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni. L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa. Con il decreto di cui all’art. 415, 2° comma, c.p.c. il giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati a cura della cancelleria. Nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente. L’amministrazione resistente può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati. Alla prima udienza il giudice: - nei casi previsti dal 3° comma dichiara inammissibile il ricorso con sentenza; - quando l’opponente o il suo difensore non si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, convalida con ordinanza appellabile il provvedimento opposto e provvede sulle spe- se, salvo che la illegittimità del provvedimento risulti dalla documentazione allegata dall’opponente, ovvero l’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato abbia omesso il deposito dei documenti. Con la sentenza che accoglie l’opposizione il giudice può annullare, in tutto o in parte, il provvedimento opposto. Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente. Non si applica l’art. 113, 2° comma, c.p.c. Con la sentenza che rigetta l’opposizione il giudice determina l’importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata. Il pagamento della somma deve avvenire entro i trenta giorni successivi alla notificazione della sentenza e deve essere effettuato a vantaggio dell’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, con le modalità di pagamento da questa determinate. Quando rigetta l’opposizione, il giudice non può escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente di guida. Salvo quanto previsto dall’art. 10, co. 6 bis, d.P.R. n. 115/2002, gli atti del processo e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta. 8 . (1) [Competenza del pretore. – Il pretore è competente per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, in quanto non siano di competenza del giudice di pace (7) (2). È competente qualunque ne sia il valore (10): 1) per le azioni possessorie (1168 ss. c.c.), salvo il disposto dell’art. 704, e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’art. 688, secondo comma; 2) per le cause relative ad apposizione di termini e osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi (3); 3) per le cause (447 bis) relative a rapporti di locazione (1571 c.c.) e di comodato (1803 c.c.) di immobili urbani e per quelle di affitto di aziende, in quanto non 9 Libro I - Disposizioni generali siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie; 4) per le cause relative alla misura e alle modalità di uso dei servizi di condominio di case] (3). (1) Articolo dapprima sostituito dall’art. 3 della L. 26 novembre 1990, n. 353, a decorrere dal 30 aprile 1995 e poi abrogato dall’art. 49 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. (2) Comma così sostituito dall’art. 18 della L. 21 novembre 1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di pace, a decorrere dal 1° maggio 1995 e poi di nuovo così sostituito dall’art. 2 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, nella L. 20 dicembre 1995, n. 534. (3) Numero abrogato dall’art. 47 della L. 21 novembre 1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di pace, a decorrere dal 1° maggio 1995. 9 . (1)Competenza del tribunale. – Il tribunale è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice. Il tribunale è altresì esclusivamente competente per le cause in materia di imposte e tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone e ai diritti onorifici, per la querela di falso, per l’esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile. (1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 50 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. 1) Nozioni introduttive. Il pretore, cui faceva riferimento l’art. 8 del presente codice, era un organo giudiziario monocratico con competenze in materia civile e penale, con sede in ogni capoluogo determinato da un’apposita tabella e, comunque, in ogni capoluogo di provincia. Tale ufficio è stato soppresso dal d.lgs. n. 51/1998, e le competenze pretorili sono state trasferite, a partire dal 2-6-1999, al Tribunale in composizione monocratica. Solo per alcune questioni il Tribunale giudica in composizione collegiale (➠ 50 bis). L’abrogazione della figura del pretore ha comportato quindi l’unificazione in un solo ufficio (Tribunale) della giurisdizione ordinaria di primo grado. 52 La norma in esame, al 1° comma, attribuisce al Tribunale la competenza per le controversie non attribuite ad altro giudice e sembra delineare, in tal modo, una competenza di tipo residuale. Si tratta, tuttavia, di una residualità soltanto apparente, poiché il passaggio delle competenze dell’ex pretore al Tribunale e l’assegnazione, a quest’ultimo, di numerose competenze “esclusive”, rendono la competenza del Tribunale estremamente ampia, per cui, in realtà, è la competenza del giudice di pace a presentare il connotato della residualità. L’art. 9, 2° comma, elenca poi una serie di materie di competenza esclusiva del Tribunale. Si tratta, com’è evidente, di una scelta legislativa di dubbia utilità, in quanto, come rilevato da alcuni autori, non ha senso ribadire la competenza esclusiva del Tribunale in materie - come quelle relative allo stato e alla capacità delle persone, alla querela di falso e ai diritti onorifici - nelle quali non vi è possibilità di interferenza alcuna da parte dell’altro giudice di primo grado, non essendo configurabile, rispetto alle predette materie, la competenza “concorrente” del giudice di pace (Acone, Carpi-Taruffo). 2) Cause in materia di imposte e tasse. La controversia tributaria, devoluta alla competenza esclusiva del Tribunale ai sensi dell’art. 9 (con le precisazioni di cui più avanti), è solo quella nella quale si contesta il rapporto tributario intercorrente tra debitore e ente pubblico impositore (o esattore del tributo). Peraltro, fino a qualche tempo fa, in virtù del 2° comma della norma in commento e dell’art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, la materia tributaria rientrava, in via generale, nella giurisdizione del Tribunale ordinario, salvi i casi riservati ex lege alle Commissioni tributarie (anche se, di fatto, le competenze attribuite a queste ultime erano così numerose che la materia tributaria risultava affidata, per la maggior parte, ad esse). In questo quadro si è inserito l’art. 12 della l. n. 448/2001 (legge finanziaria 2002), che ha modificato l’art. 2 del citato d.lgs. n. 546/1992, prevedendo l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie. Pertanto, attualmente, la competenza del Tribunale in materia tributaria ha carattere residuale, occorrendo un’espressa previsione normativa per escludere la competenza delle Commissioni tributarie (Cass. n. 587/2003). 3) Cause in materia di stato e capacità delle persone. Le questioni di stato sono quelle che si riferiscono alla posizione soggettiva dell’individuo nella sua veste di cittadino e di soggetto di diritti 53 personali e politici nell’ambito della comunità civile e familiare. Le questioni attinenti alla capacità delle persone sono, invece, quelle che investono l’attitudine di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri (capacità giuridica), ovvero la sua idoneità a compiere, in modo cosciente e volontario, atti che modificano la propria situazione personale e patrimoniale (capacità d’agire). In applicazione delle predette nozioni, si è ritenuto che non rientri fra le questioni concernenti lo stato e la capacità delle persone la controversia relativa al riconoscimento della qualità di combattente, con tutti i diritti e i benefici a questa connessi (Cass. n. 2708/1977) e che, invece, vi rientrino, tra le altre, le cause in materia di filiazione (legittima, naturale e adottiva), rettificazione degli atti dello stato civile, interdizione e inabilitazione, separazione e divorzio. Si discute circa l’applicabilità della norma in esame alla modifica dei provvedimenti relativi alla prole assunti in sede di separazione e divorzio: mentre per alcuni la competenza spetta al Tribunale (cfr. anche Cass. S.U. n. 961/1982), secondo altri la competenza s’incardina in capo al giudice dei minori. 4) Querela di falso. La querela di falso, disciplinata anche dal codice civile (artt. 2699 e ss.), è la domanda diretta ad ottenere l’accertamento della falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta o accertata all’esito di un processo. Con tale strumento si può contestare sia il contenuto del documento, sia la sua provenienza dalla persona che ne appare l’autore. Considerati i risvolti penalistici della querela di falso, la competenza, in questa materia, è stata attribuita in via esclusiva al Tribunale, sia per le cause relative a querela di falso proposte in via principale, sia per quelle proposte in via incidentale in un processo pendente davanti ad altro giudice. Se, poi, la querela viene proposta in un processo penale, su di essa decide il giudice penale con efficacia di giudicato anche in sede civile. 5) L’esecuzione forzata. L’esecuzione forzata è lo strumento attraverso il quale il creditore può ottenere l’adempimento di una prestazione (ad esempio, il pagamento di una somma di denaro) accertata da un provvedimento del giudice (ad esempio, da una sentenza) o risultante da un diverso documento dotato di efficacia esecutiva (cambiale, assegno etc.), qualora il debitore non adempia spontaneamente (➠ 474 e ss.). L’attribuzione al Tribunale della competenza in materia di esecuzione forzata è la diretta conseguenza dell’abrogazione dell’art. 16 c.p.c. Titolo I - Degli organi giudiziari 9 (operata dal d.lgs. n. 51/1998), che ripartiva la competenza in materia esecutiva tra Tribunale, competente per l’esecuzione immobiliare, e Pretura, competente per l’esecuzione su beni mobili e crediti, per la consegna ed il rilascio di cose, nonché per l’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare. Nonostante l’ampia dizione dell’art. 9, che attribuisce alla competenza esclusiva del Tribunale la materia dell’esecuzione forzata, al Giudice di pace resta la competenza nei giudizi di opposizione ex artt. 615 e 619 c.p.c., nei limiti di valore previsti dall’art. 7 c.p.c. (➠ 27). 6) Impugnazione del fermo amministrativo relativo a crediti di natura non tributaria: la competenza è del tribunale. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 20931/2011, hanno affermato che, nel caso in cui sia impugnato un provvedimento di fermo amministrativo, o anche un semplice preavviso, relativo a crediti non di natura tributaria, è competente, ratione materiae, sempre il tribunale, in virtù della natura esecutiva del provvedimento in discussione. Le Sezioni Unite avevano già affermato, con sent. n. 11087/2010, che l’art. 86, co. 2, d.P.R. n. 602/1973, in forza del quale il concessionario deve dare comunicazione del provvedimento di fermo al soggetto nei cui confronti si procede, decorsi 60 giorni dalla notificazione della cartella esattoriale, è stato superato dalla prassi di invitare ulteriormente l’obbligato a effettuare il pagamento, comunicando contestualmente che alla scadenza dell’ulteriore termine si procede all’iscrizione del fermo. Si tratta di prassi notorie che traggono origine da istruzioni dell’Agenzia delle entrate alle società di riscossione. Quanto alla diretta impugnabilità del preavviso del fermo, taluni arresti hanno escluso l’impugnabilità del provvedimento per carenza di interesse, ma tale indirizzo deve ritenersi superato dall’intervento delle Sezioni Unite secondo il quale il preavviso di fermo amministrativo che riguardi una pretesa creditoria dell’ente pubblico di natura tributaria è impugnabile davanti al giudice tributario, in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100 c.p.c., l’interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, in quanto tale elencazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamen- 9 Libro I - Disposizioni generali to della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448/2001. Analoghe considerazioni valgono quando il preavviso riguardi obbligazioni extratributarie. Ne deriva che la tesi della non impugnabilità del preavviso, prospettata con il secondo motivo, non può trovare accoglimento. In ordine alla giurisdizione, poi, va ribadito che, in materia di fermo ex art. 86 d.P.R. n. 602/1973 e di iscrizione ipotecaria (ex art. 77 d.P.R. cit.), la giurisdizione si ripartisce tra giudice ordinario e tributario a seconda della natura del credito azionato (Cass. S.U. n. 679/2010): le controversie in tema di fermo di beni mobili di cui all’art. 86 cit., quindi, appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie solo se il fermo è stato eseguito a garanzia del soddisfacimento di crediti di natura tributaria; allo stesso modo, quelle in tema di iscrizione ipotecaria rientrano nella giurisdizione delle commissioni tributarie soltanto nel caso in cui siano state effettuate per ottenere il pagamento di imposte e tasse (Cass. 6594/2009). Nell’ambito, poi, della giurisdizione ordinaria, la natura propriamente esecutiva del provvedimento di iscrizione di ipoteca e di fermo di beni mobili registrati esclude la competenza del giudice di pace, appartenendo la stessa unicamente al tribunale. Il provvedimento, infatti (in base al principio secondo cui la tutela giudiziaria esperibile nei riguardi del provvedimento di iscrizione di ipoteca e dell’omologo fermo amministrativo dei bei mobili registrati deve realizzarsi davanti al giudice ordinario con le forme dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi), come evidenziato anche dalla sedes materiae delle norme che regolamentano ciascuno, trova la sua esclusiva collocazione funzionale nell’ambito dell’espropriazione forzata, ovvero della procedura di riscossione coattiva del credito, qualora la notifica o la conoscenza del provvedimento non costituisca solo l’occasione per impugnare (davanti al giudice avente giurisdizione in base alla natura del credito e, se rilevante, al valore dello stesso) la stessa pretesa creditoria che il concessionario intende realizzare coattivamente. La competenza in questione, pertanto, va riconosciuta ratione materiae soltanto al tribunale, perché solo questo giudice, per l’art. 9 c.p.c., è “esclusivamente competente … per l’esecuzione forzata”: la competenza per materia, inderogabile, del giudice dell’esecuzione, distribuita tra uffici giudiziari diversi dall’art. 16 c.p.c., infatti, è stata abolita dall’art. 51 D.Lgs. n. 51/1998, che ha abrogato detta norma a decorrere dal 2-6-1999, per cui il tribunale ha competenza giurisdizionale esecutiva esclusiva (Cass. n. 5342/2009, n. 13757/2002). 54 7) Azioni possessorie. Nonostante l’assenza di un’esplicita disposizione, deve senz’altro affermarsi che le azioni possessorie (artt. 1168-1170 c.c.), dopo l’abrogazione dell’art. 8 c.p.c. (che le attribuiva al pretore), sono attribuite al Tribunale monocratico quale giudice unico di primo grado (Cass. n. 11085/2003 e Cass. n. 9418/1993). Ciò risulta chiaramente da due considerazioni: - l’art. 1 del d.lgs. n. 51/1998 stabilisce che, fuori dei casi in cui è diversamente disposto, le competenze del pretore sono trasferite al Tribunale ordinario; - le azioni possessorie non rientrano nella competenza del Giudice di pace (➠ 7), per cui devono necessariamente ritenersi appartenenti alla competenza del Tribunale ex art. 9, 1° comma. 8) Cause di valore indeterminabile. L’indeterminabilità del valore della causa, che fa scattare la competenza esclusiva del Tribunale, attiene all’intrinseca inidoneità della pretesa ad essere tradotta in termini pecuniari (Cass. n. 2942/1985), mentre nessuna rilevanza assume la mancata determinazione, nel caso concreto, del valore di essa. Pertanto, l’indeterminabilità non sussiste quando l’oggetto della controversia sia suscettibile di valutazione, da parte del giudice, in base ai criteri stabiliti dalla legge ed alle risultanze degli atti (Cass. n. 7061/1998). A ciò consegue l’impossibilità di annoverare aprioristicamente tutte la cause connesse ai danni non patrimoniali fra quelle di valore indeterminabile, e così pure quelle relative al danno biologico, a prescindere dalla qualificazione di quest’ultimo come patrimoniale o meno, trattandosi, anche in tali ipotesi, di danni suscettibili di valutazione economica e sempre monetizzabili sulla base delle risultanze degli atti, secondo il criterio equitativo o quello del valore medio del punto di invalidità. Diversamente opinando, dovrebbe ipotizzarsi, per assurdo, una competenza per materia del Tribunale relativamente a tutte le domande di risarcimento del danno biologico, con conseguente svuotamento della correlativa competenza del Giudice di pace anche in presenza di lesioni modeste, perché il danno lamentato sarebbe, comunque, indeterminabile (Cass. n. 9451/2000). 9) Locazioni immobiliari. Tutte le controversie in materia di locazioni immobiliari esulano dalla competenza del Giudice di pace perché, a seguito della soppressione dell’ufficio del pretore, con la conseguente abrogazione dell’art. 8 c.p.c. ad opera del d.lgs. n. 51/1998, la competenza in materia di locazione Titolo I - Degli organi giudiziari 10 55 di immobili urbani è stata attribuita al Tribunale (Cass. n. 2143/2006). Atto di opposizione al fermo amministrativo TRIBUNALE DI . . . RICORSO EX ART. 615, CO. 2, C.P.C. Il sig. . . ., residente in . . . , via . . . , n. . . . , c.f. . . . , elettivamente domiciliato in . . . , via … n.. . . . c.f. . . ..presso lo studio dell’avv. . . . il quale li rappresenta e difende, in virtù di procura a margine al presente atto, e dichiara di voler ricevere le comunicazioni al n. di fax . . . o all’indirizzo di posta elettronica certificata . . . comunicato al proprio ordine, propone OPPOSIZIONE all’iscrizione nei pubblici registri del fermo amministrativo del veicolo targato … su richiesta di …, concessionario del servizio riscossione tributi per … con sede in … e …, ente creditore, per l’annullamento, previa sospensiva, del provvedimento di fermo amministrativo dell’autoveicolo …, targato …, disposto ai sensi dell’art. 86 d.P.R. n. 602/1973 in data … e comunicato al proprietario sig. … il … PREMESSA 1) In data … il concessionario del servizio riscossione tributi per . . . ha comunicato al sig. … il provvedimento di fermo amministrativo dell’autoveicolo . . . , di sua proprietà, mediante iscrizione al P.R.A., per il mancato pagamento del ruolo di cui alla cartella esattoriale n. … relativo a crediti non tributari (. . . .). 2) La cartella di pagamento non è stata notificata all’odierno ricorrente. Il provvedimento di fermo amministrativo, pertanto, deve considerarsi illegittimo per violazione degli artt. 86, 25 e 26 d.P.R. n. 602/1973 in merito all’omessa notifica della cartella di pagamento. Tutto ciò premesso, il sig. . . . , rappresentato e difeso come in atti CHIEDE che il tribunale adìto, previa sospensione dell’esecuzione e fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, voglia ordinare la cancellazione del fermo amministrativo iscritto sui registri relativo al veicolo targato . . . Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio. Si depositano i seguenti documenti: 1) provvedimento di fermo amministrativo n. . . . del . . . ; 2) . . . . Ai sensi dell’art. 14, co. 2, D.P.R. 115/2002 si dichiara che il valore del processo è di euro . . . …, lì … Avv. … 10 . Determinazione del valore. – Il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti. A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, e gli interessi scaduti (1282, 1284 c.c.), le spese e i danni (1223 ss., 2043 ss. c.c.) anteriori alla proposizione si sommano col capitale (31, 104). 1) La richiesta dell’attore. Ai sensi della disposizione in esame, “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda”, ovvero dall’atto (ricorso o atto di citazione) che fa nascere il processo. La domanda deve contenere taluni elementi necessari ai fini dell’esatta delimitazione dei termini della controversia, e precisamente: - l’indicazione delle parti; - la causa petendi (i fatti posti a fondamento della domanda); - il petitum (l’oggetto e il provvedimento richiesto al giudice). Il valore della domanda va desunto in base alla domanda dell’attore a prescindere dalla sua fondatezza. A questo fine, non hanno rilevanza neanche le contestazioni formulate dal convenuto. In altri termini, deve aversi riguardo soltanto a quanto in concreto richiesto dall’attore (ex multis, Cass. n. 9251/2004). Inoltre, ai fini della determinazione del valore della causa, al valore della domanda principale quella, cioè, che introduce il giudizio non va sommato il valore della domanda riconvenzionale, ossia della domanda con la quale il convenuto non si limita a difendersi e a chiedere che venga respinta la domanda dell’attore, ma richiede, a sua volta, che il giudice pronunci una sentenza nei confronti dell’attore (ad esempio, la condanna al pagamento di una somma di denaro). Infatti, il cumulo è previsto per le sole domande proposte contro la medesima parte nello stesso processo (Cass. n. 1202/2003). 2) Il cumulo delle domande. Ai sensi del 2° comma, per determinare il valore della causa le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro (invece, non si sommano le domande proposte in processi separati, anche se successivamente riuniti) e gli interessi scaduti, le spese e i danni maturati prima della proposizione della domanda si sommano col capitale. 11 Libro I - Disposizioni generali Affinché le domande proposte nello stesso processo contro un unico soggetto possano sommarsi tra loro, è necessario che colui che ha dato vita al processo abbia chiesto l’accoglimento delle domande senza subordinare l’accoglimento dell’una all’esito dell’altra (cd. cumulo semplice). Pertanto, non si verifica il cumulo delle domande né qualora si chieda l’accoglimento, in via alternativa, dell’una o dell’altra domanda, né quando si chieda l’accoglimento di una domanda in via principale e, in caso di rigetto di questa, l’accoglimento dell’altra domanda in via subordinata. 11. Cause relative a quote di ob- bligazione tra più parti. – Se è chiesto da più persone o contro più persone (102, 103) l’adempimento per quote di un’obbligazione (1314 ss. c.c.), il valore della causa si determina dall’intera obbligazione. 1) Generalità. L’obbligazione è un rapporto giuridico in forza del quale un soggetto (debitore) è tenuto ad effettuare una prestazione, di natura patrimoniale (ad esempio, consegna di una somma di denaro), nei confronti di un altro soggetto (creditore) (artt. 1314 e ss. c.c.). La prestazione può consistere in un dare (ad esempio, dare una somma di denaro), in un fare (ad esempio, consegnare un libro) o in un non fare (ad esempio, non costruire un immobile a una determinata distanza dal vicino). Ciò premesso, la norma in esame stabilisce che, se in un unico processo è chiesto l’adempimento (normalmente, il pagamento), da più attori o contro più convenuti, di un’unica obbligazione ripartita per quote, il valore della causa è dato dal valore dell’intera obbligazione. Se, invece, la controversia riguarda soltanto alcune quote, il valore della causa è dato dal loro valore e non dal valore dell’intera obbligazione (cfr. Cass. n. 11333/2003). L’art. 11 pone un’eccezione alla regola del cumulo soggettivo desumibile dagli artt. 10 e 103, in base alla quale, agli effetti della competenza per valore, le singole domande proposte da un solo attore nei confronti di più convenuti (litisconsorzio facoltativo passivo) o da più attori nei confronti di un solo convenuto (litisconsorzio facoltativo attivo) o di più convenuti (litisconsorzio facoltativo misto) non si sommano. L’operatività del principio enunciato dall’art. 11 richiede la sussistenza di due presupposti (Satta, Levoni): 56 l’unicità del rapporto obbligatorio e della domanda giudiziale e la divisibilità dell’obbligazione. Esulano, quindi, dall’area di incidenza della norma: - l’ipotesi in cui tra il creditore ed i vari debitori sussistano autonome e distinte obbligazioni, seppure dipendenti da identico titolo, poiché in tal caso le singole domande devono essere separatamente considerate ai fini della competenza per valore (Cass. n. 8397/1998); - la richiesta di adempimento delle quote effettuata da (o nei confronti di) più soggetti con giudizi separati, successivamente riuniti a norma dell’art. 274; in tal caso, infatti, la riunione lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non può dar luogo a spostamenti di competenza per valore (Cass. n. 3968/1975). 2) Fattispecie. Il credito di rimborso spettante al condomino nei confronti degli altri partecipanti, per aver pagato un debito condominiale, dà vita a distinte obbligazioni nei confronti dei condomini. Ne deriva l’inapplicabilità del cumulo previsto dall’art. 11 (Cass. n. 587/1992), poiché tale norma, presupponendo l’unicità del rapporto obbligatorio e della domanda giudiziale, non è applicabile se l’adempimento delle quote sia chiesto con azioni separate, sorrette da autonome e distinte ragioni obbligatorie. Invece, la competenza per la domanda di annullamento di una delibera condominiale relativa alla ripartizione tra i condomini di una spesa determinata nel suo ammontare, si determina a norma degli artt. 11 e 14, in base al valore complessivo della somma da ripartire e non in base al valore della singola quota del condomino che ha assunto l’iniziativa giudiziaria (Cass. n. 5726/1994; Trib. Taranto, 6-2-1996). In tema di mediazione (artt. 1754 e ss. c.c.), in caso di conferimento dell’incarico da parte di più soggetti, l’unitarietà del contratto dipende dal fatto che gli incarichi, contestuali o successivi, espressi o taciti, convergono nell’intenzione di giovarsi dell’opera del mediatore per la conclusione del contratto principale. Dall’unicità del rapporto di mediazione scaturisce, per l’avvenuta conclusione del contratto principale, il diritto di ripetere pro quota la provvigione, che è essa stessa unica ancorché divisibile. Una volta accertata l’unicità del contratto, la competenza per valore a conoscere della domanda di pagamento di provvigioni avanzata dal mediatore nei confronti di una pluralità di soggetti si stabilisce ai sensi dell’art. 11, dato che gli importi richiesti si raccolgono in unica somma, come quote di un unico rapporto obbligatorio (Cass. n. 10062/1993 e Cass. n. 125/1971). 57 LA DETERMINAZIONE DEL VALORE In dottrina e in giurisprudenza si è posto il problema di stabilire l’esatta portata dell’espressione “intera obbligazione” contenuta nell’art. 11. In particolare: - secondo alcuni, con il riferimento all’obbligazione complessivamente considerata la norma si riferisce, in realtà, soltanto al valore della parte di obbligazione della quale si richiede il pagamento, quando non siano in giudizio tutti i creditori o tutti i debitori (Satta, Andrioli); - secondo altri, il dato testuale della norma non è aggirabile in via interpretativa ed occorre, pertanto, riferirsi al valore di tutta l’obbligazione e non, riduttivamente, della parte di obbligazione contestata (Rocco, D’Onofrio). 12. Cause relative a rapporti obbli- gatori, a locazioni e a divisioni. – Il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio (1173 ss. c.c.) si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione (35). [Nelle cause per finita locazione d’immobili il valore si determina in base all’ammontare del fitto o della pigione per un anno, ma se sorge controversia sulla continuazione della locazione, il valore si determina cumulando i fitti o le pigioni relativi al periodo controverso] (1). Il valore delle cause per divisione (784 ss.; 713, 1111 c.c.) si determina da quello della massa attiva da dividersi (22). (1) Comma abrogato dall’art. 89, comma primo, della L. 26 novembre 1990, n. 353, a decorrere dal 30 aprile 1995. 1) I rapporti obbligatori. La norma va intesa nel senso che, ogni volta che nel processo si discute soltanto di una parte del rapporto obbligatorio, quella porzione del rapporto deve intendersi “in contestazione”. Tale principio subisce una deroga quando il giudice è chiamato ad esaminare le questioni relative all’esistenza o alla validità dell’intero rapporto (Cass. n. 8958/1998). Ad esempio, nella controversia promossa da un condomino nei confronti del condominio per sentir dichiarare l’inesistenza dell’obbligo di pagare la propria quota di spesa, Titolo I - Degli organi giudiziari 12 deliberata ed approvata, per tutti i condomini, dall’assemblea, sull’assunto dell’invalidità della delibera per violazione degli artt. 1136 e 1137 c.c., la contestazione deve intendersi estesa all’invalidità dell’intero rapporto, il cui valore è pertanto quello da prendere in considerazione ai fini della determinazione della competenza; infatti, ciò di cui si discute (il thema decidendum) riguarda l’intera spesa oggetto della deliberazione (Cass. n. 12633/1991; Cass. S.U. n. 1004/1993). 2) Casistica. La portata del 1° comma deve essere valutata alla luce delle ipotesi applicative individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In particolare: - quando l’attore chiede di essere dichiarato proprietario di un bene immobile, in quanto acquistato con un contratto di compravendita (artt. 1470 e ss. c.c.) stipulato per scrittura privata della quale chiede contestualmente l’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione del venditore, egli introduce in giudizio anche un’azione di natura reale, volta all’accertamento del diritto di proprietà con efficacia di giudicato. Ne consegue che la competenza per valore del giudice adito deve essere stabilita in base al cumulo del valore delle due cause, l’una di carattere personale, ai sensi dell’art. 12, 1° comma, l’altra di natura reale immobiliare, ai sensi dell’art. 15, 1° comma (Cass. n. 4965/1995); - se la controversia ha ad oggetto il contratto di comodato (artt. 1803 e ss. c.c.) relativo ad un bene immobile, per stabilire il valore della causa, in mancanza di altri elementi forniti dalle parti, è consentito assumere come parametri i valori locativi del settore, tenendo conto, in concreto, del tempo, del luogo e dell’oggetto (Cass. n. 2136/1982); - nelle azioni di condanna, il valore della causa è commisurato alle quote contestate; - in caso di simulazione relativa, secondo alcuni il valore della causa si determina in base al valore del bene oggetto del negozio dissimulato, mentre secondo altri occorre guardare al valore del bene indicato nell’atto simulato. A questo proposito, è il caso di precisare che si parla di simulazione relativa quando due o più soggetti pongono in essere un determinato contratto (simulato) ma in realtà ne vogliono un altro (dissimulato); - il valore della causa di accertamento della simulazione assoluta della compravendita si determina in base al prezzo indicato nell’atto che si assume simulato (Cass. n. 713/1980). A tale proposito, si ricorda che la simulazione assoluta ricorre quando le parti stipulano un contratto, mentre in realtà non vogliono costituire alcun rapporto contrattuale; ad esempio, Tizio, per sfuggire al fisco, finge di vendere tutti i suoi beni 13 Libro I - Disposizioni generali a Caio, ma i due si accordano nel senso questo contratto non produca tra loro alcun effetto; - nell’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.) il valore della causa è determinato dal valore del credito per il quale si agisce (Cass. n. 7250/1986); - nell’azione di rescissione per lesione (art. 1448 c.c.), il valore della causa si determina in base al prezzo indicato dall’attore come equo (Micheli); altri fanno riferimento alla differenza tra il prezzo pattuito e il prezzo equo (Andrioli) o, ancora, all’ammontare del prezzo pattuito. 3) Le cause di divisione. Il 2° comma stabilisce che il valore delle cause di divisione si calcola in base al valore complessivo della massa attiva (cioè delle cose) oggetto di divisione, valore che risulta determinabile in base ai criteri di cui agli artt. 14 e 15, a seconda che la massa sia costituita da beni mobili o immobili. Secondo autorevole dottrina (Satta), nella massa attiva non possono calcolarsi anche i frutti maturati e percepiti, ovvero i beni mobili che periodicamente derivano da un altro bene, sia direttamente come prodotto dello stesso, cd. frutti naturali (lana, latte etc.), sia indirettamente come utilità collegata alla sua destinazione economica, cd. frutti civili (ad esempio, la somma mensile pagata dall’inquilino). La norma si applica anche: - alle cause di riduzione per lesione di legittima (art. 552 c.c.); - alle cause per divisioni ereditarie e alle divisioni tra soci dopo lo scioglimento della comunione, poiché l’art. 12 può essere applicato a tutte le divisioni di patrimoni caduti in comunione. 13. Cause relative a prestazioni ali- mentari e a rendite. – Nelle cause per prestazioni alimentari periodiche (433 ss. c.c.), se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni. Nelle cause relative a rendite perpetue (1861 ss. c.c.; 5533), se il titolo è controverso, il valore si determina cumulando venti annualità; nelle cause relative a rendite temporanee o vitalizie (1872 ss. c.c.), cumulando le annualità domandate fino a un massimo di dieci. Le regole del comma precedente si applicano anche per determinare il valore delle cause relative al diritto del concedente (5682; 960 c.c.). 58 1) Generalità. La norma in esame detta la disciplina relativa a tre distinte tipologie di controversie, riguardanti le prestazioni alimentari periodiche (erogazioni volte a soddisfare i bisogni essenziali di una determinata persona, cd. alimentando, e dovute per legge art. 433 c.c. -, per testamento - art. 660 c.c. - o per contratto) (➠ § 2), le rendite perpetue e le rendite vitalizie o temporanee (➠ § 3), con un’estensione di detta regolamentazione, operata dal 3° comma, alle cause relative al diritto del concedente in materia di enfiteusi (artt. 957 e ss. c.c.). Trattandosi di prestazioni aventi ad oggetto somme di denaro, il criterio generale applicabile, in tema di competenza, è quello previsto dall’art. 14, a norma del quale “nelle cause relative a somme di denaro […] il valore si determina in base alla somma indicata […] dall’attore”. L’art. 13, pertanto, opera soltanto se la controversia investa anche il titolo sul quale si fonda la domanda (Segré). Sussiste una “controversia sul titolo” sia quando se ne contesta in radice l’esistenza (si afferma, ad esempio, che un certo contratto non è mai stato stipulato), sia quando si chiede l’accertamento del suo contenuto o della sua portata. 2) Le prestazioni alimentari periodiche. Il criterio stabilito dal 1° comma, per il quale sulle somme per prestazioni alimentari periodiche, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni, trova applicazione anche quando la contestazione investe l’aspetto della decorrenza e della cadenza temporale delle periodiche erogazioni (ad esempio, la questione della maturazione, anticipata o posticipata, del diritto all’assegno mensile di mantenimento stabilito nel procedimento per separazione personale dei coniugi) (Cass. n. 3791/1989 e Cass. n. 5777/1988). Secondo una parte della dottrina (Andrioli), la disposizione in esame è applicabile alle prestazioni alimentari che hanno il loro titolo nella legge e che riguardano la cerchia familiare, nonché agli alimenti extrafamiliari, quali, ad esempio, gli alimenti derivanti da disposizioni mortis causa (testamento). Un’applicazione particolare del 1° comma riguarda le cause di divorzio. Queste ultime, infatti, devono essere considerate di valore indeterminabile, poiché non sono esattamente determinabili nel loro valore. Tuttavia, per quanto riguarda la domanda diretta ad ottenere l’assegno di divorzio, pur non avendo detto assegno natura strettamente alimentare, il valore della causa si determina ai sensi dell’art. 13, 1° comma, che disciplina il valore delle cause relative agli assegni alimentari. 59 3) Le rendite perpetue, temporanee e vitalizie. Il 2° comma ha riguardo alle rendite perpetue, da un lato, e a quelle temporanee o vitalizie dall’altro. A questo proposito, occorre precisare che: - la rendita perpetua (artt. 1861 e ss. c.c.) è il contratto con cui una parte conferisce all’altra il diritto di esigere, in via permanente, la prestazione periodica di una somma di denaro o di una certa quantità di beni fungibili, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessione di un capitale. Si tratta di un contratto periodico, e il diritto di esigere la prestazione periodica, entrando definitivamente nel patrimonio del soggetto che ne ha titolo, è trasferibile mediante atti inter vivos o mortis causa; - la rendita vitalizia (artt. 1872 e ss. c.c.) è un contratto aleatorio che può essere costituito a titolo oneroso, mediante l’alienazione di un bene mobile o immobile o mediante cessione di capitale, o a titolo gratuito. Nella rendita vitalizia il diritto si estingue con la morte del suo titolare e, a differenza della rendita perpetua, non opera il diritto di riscatto. Alle rendite vitalizie sono assimilate le pensioni di invalidità, ai fini della determinazione della competenza. Pertanto, il valore di una causa in tema di pensione d’invalidità dev’essere determinato alla stregua del criterio dettato dal 2° comma dell’art. 13 per le cause relative a rendite temporanee o vitalizie, ovvero cumulando fino ad un massimo di dieci le annualità domandate (Cass. n. 373/1989). 4) Il diritto del concedente. Il diritto del concedente è assimilabile ex art. 13, 3° comma ad una rendita, in quanto si sostanzia nella percezione del canone (artt. 960961 c.c.). Perciò, mentre il codice di rito considera gli altri diritti reali immobiliari sulla base dell’imposta fondiaria (➠ 15), il valore della causa di revisione del canone enfiteutico si determina cumulando venti o dieci annualità di canone, a seconda che si tratti di enfiteusi perpetua o temporanea, anche se l’enfiteuta, pur non contestando il diritto del concedente alla revisione, si limiti a contestarne la misura. Analogamente, il valore delle cause relative al diritto del concedente al rilascio del fondo enfiteutico si determina cumulando venti o dieci annualità di canone, a seconda che si tratti di enfiteusi perpetua o temporanea, e il calcolo deve essere effettuato con riferimento al canone dovuto per legge (Cass. n. 4784/1978). Anche in sede di opposizione all’esecuzione, relativa al diritto del concedente al rilascio del fondo, il valore della causa si determina cumulando venti o dieci annualità di canone, a seconda che si tratti di enfiteusi perpetua o temporanea (Cass. n. 479/1977). Titolo I - Degli organi giudiziari 14 14. Cause relative a somme di da- naro e a beni mobili. – Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili (812 c.c.), il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito. Il convenuto può contestare, ma soltanto nella prima difesa (38, 167), il valore come sopra dichiarato o presunto; in tal caso il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione. Se il convenuto non contesta il valore dichiarato o presunto, questo rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito. 1) Generalità. L’art. 14 costituisce un’applicazione, nelle controversie relative a somme di denaro ed a beni mobili, del principio fissato dall’art. 10 (in base al quale “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda”). Peraltro, dopo aver stabilito che il valore della causa si determina in base alla somma indicata o al valore (del bene mobile) dichiarato dall’attore, il 1° comma aggiunge che, in mancanza dell’indicazione o della dichiarazione suddette, “la causa si presume di competenza del giudice adito”. La portata di quest’ultimo inciso è stata fortemente ridimensionata dall’abrogazione dell’ufficio del pretore (operata dal d.lgs. n. 51/1998), poiché, attualmente, la presunzione in esame vale soltanto per le cause che si svolgono davanti al Giudice di pace, in quanto il Tribunale è competente per tutte le cause di valore indeterminabile. 2) Cause relative a somme di denaro e a beni mobili (1° comma). Per “somma di denaro”, ai sensi dell’art. 14, si intende la pretesa determinata fin dall’inizio in denaro, nonché la pretesa che si risolve, per il creditore, in una somma di denaro per effetto dell’inadempimento del debitore (ad esempio, il debitore non adempie un obbligo assunto a seguito della stipulazione di un contratto, ed il creditore chiede la condanna del debitore al risarcimento del danno). 14 Libro I - Disposizioni generali Ai fini della determinazione del valore della causa avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, deve aversi riguardo a quanto concretamente richiesto dall’attore; di conseguenza, l’eccezione del convenuto (ovvero, la contestazione avanzata da colui nei cui confronti viene proposta la domanda) in ordine all’esistenza o alla validità del rapporto contrattuale sul quale è basata la domanda non sposta la competenza. Allo stesso modo, se l’attore, oltre alla somma indicata, chiede la condanna al pagamento della “diversa somma, anche minore, ritenuta di giustizia” (formula in voga nella prassi forense), il valore della causa resta immutato, trattandosi di una mera clausola di stile inidonea ad incidere sul valore della controversia (Cass. n. 1744/1973). Alle domande relative a somme di danaro e a beni mobili vanno equiparate, ai fini della competenza per valore, le azioni aventi ad oggetto l’adempimento di un obbligo di fare (ad esempio, l’abbattimento di una costruzione), poiché l’obbligo di fare è sempre valutabile sotto il profilo economico e, quindi, rapportabile ad una somma di denaro (Cass. n. 4399/1997). 3) Fattispecie. Sono assoggettate alla disciplina dell’art. 14: - la domanda di riduzione in pristino della situazione dei luoghi (ad esempio, la demolizione di un immobile), che, come ogni domanda che ha per oggetto un obbligo di fare, dà luogo ad un’azione riconducibile, in mancanza di una specifica disciplina, a quelle mobiliari, ed il cui valore può essere determinato in base alla somma indicata dall’attore o deve, in mancanza, essere presunto nei limiti di competenza del giudice adito (Cass. n. 2106/1994); - le domande riguardanti i debiti di valore (si parla di debiti di valore quando il debitore è obbligato a trasferire al creditore un certo valore economico che, solo al momento dell’adempimento, si tradurrà in una somma di denaro determinata); - le azioni mobiliari, riguardanti cioè beni mobili (Cass. n. 2018/1971; Segré). Discussa, invece, è la riconducibilità all’art. 14 delle azioni personali aventi ad oggetto beni immobili (ad esempio, la richiesta di restituzione di un appartamento): parte della dottrina e della giurisprudenza le considerano assoggettate all’art. 14, mentre altri autori (Andrioli) le riconducono sotto l’art. 12. 4) La “clausola di contenimento”. Se l’attore non ha indicato la somma richiesta o dichiarato il valore dei beni mobili oggetto della controversia, la domanda si presume corrispondente al limite massimo della competenza del giudice. Pertanto, se accanto alla domanda di 60 valore indeterminato ne viene proposta un’altra, si determina automaticamente il superamento della competenza del giudice adìto, la cui competenza massima risulta già “consumata” dalla domanda di valore indeterminabile (che, come detto, è considerata di valore pari al limite massimo della competenza del giudice adìto), salvo che la parte, al momento della proposizione della domanda di valore indeterminato, dichiari di voler contenere la propria richiesta nei limiti di competenza del giudice adìto attraverso la cd. clausola di contenimento. Analogamente, se nello stesso processo e contro la medesima persona vengono proposte più domande, ciascuna di valore indeterminato, la dichiarazione dell’attore di volerle contenere nei limiti di competenza del giudice adìto esclude la competenza del giudice superiore, in deroga alla presunzione ricavabile dall’art. 14 (per la quale ciascuna domanda dovrebbe ritenersi pari al limite massimo di competenza del giudice adito, onde tutte insieme, sommate a norma dell’art. 10, dovrebbero superare tale limite), poiché la suddetta dichiarazione comporta la proporzionale riduzione delle richieste inerenti alle domande di valore indeterminato (cfr. Cass. n. 9945/1995). 5) La contestazione del convenuto (2° e 3° comma). Per contestare la presunzione di competenza per valore del giudice adito ex art. 14, non è sufficiente che il convenuto contesti l’incompetenza del giudice o sollevi obiezioni generiche o immotivate, ma occorre una specifica e motivata contestazione contenuta, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo, cioè nella comparsa di costituzione e risposta (ciò risulta chiaramente dalla nuova formulazione dell’art. 167, come modificato dalla L. n. 80/2005, al cui commento si rimanda). In caso di mancata (o tardiva) contestazione, la competenza si radica, anche ai fini del merito della controversia, presso il giudice adito, secondo le indicazioni dell’attore o il meccanismo presuntivo di cui al 1° comma. Il 2° comma - in base al quale, in caso di contestazione proposta dal convenuto circa il valore della domanda, come dichiarato o presunto ai sensi del 1° comma, consente al giudice di decidere al riguardo ai soli fini della competenza - opera esclusivamente nei casi di controversie riguardanti cose mobili diverse dal denaro. Nessuna contestazione, invece, è ammessa per le cause aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, dovendo tenersi unicamente conto della somma indicata dalla parte con specificazione numerica ovvero con parametri di riferimento. Pertanto, se la domanda di pagamento di una somma di denaro è proposta a titolo di risarcimento del danno e vengono indicate distinte Titolo I - Degli organi giudiziari 15 61 componenti di questo, una delle quali indeterminata, deve ritenersi che la somma richiesta, ancorché parzialmente indicata, sia stata contenuta dall’attore, tanto nel limite minimo quanto in quello massimo, nella competenza per valore del giudice adito. 15. (1) Cause relative a beni immo- bili. – Il valore delle cause relative a beni immobili è determinato moltiplicando il reddito dominicale del terreno e la rendita catastale del fabbricato alla data della proposizione della domanda (5681): per duecento per le cause relative alla proprietà; per cento per le cause relative all’usufrutto, all’uso, all’abitazione, alla nuda proprietà e al diritto dell’enfiteuta; per cinquanta con riferimento al fondo servente per le cause relative alla servitù. Il valore delle cause per il regolamento di confini si desume dal valore della parte di proprietà controversa, se questa è determinata; altrimenti il giudice lo determina a norma del comma seguente. Se per l’immobile all’atto della proposizione della domanda non risulta il reddito dominicale o la rendita catastale, il giudice determina il valore della causa secondo quanto emerge dagli atti; e se questi non offrono elementi per la stima, ritiene la causa di valore indeterminabile. (1) Articolo così sostituito dall’art. 7 L. 30 luglio 1984, n. 399, in vigore dal 29 novembre 1984. 1) Rilevanza della norma. A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 51/1998, recante l’istituzione del giudice unico di primo grado, l’utilità pratica di questa norma è venuta meno. Infatti, a seguito dell’abolizione dell’ufficio del pretore, la competenza a conoscere delle azioni di natura reale relative a beni immobili è attribuita in via esclusiva al Tribunale, non avendo il Giudice di pace competenza alcuna in materia immobiliare. Pertanto, nelle cause relative alla proprietà ed agli altri diritti reali (artt. 832 e ss. c.c.) su beni immobili, è sempre competente il Tribunale. Da ciò discende che l’art. 15, pur essendo ancora formalmente in vigore, deve ritenersi virtualmente abrogato. Semmai, la norma presenta una qualche utilità residua con riguardo a quelle ipotesi in cui la determinazione del valore dell’immobile risponda a finalità diverse rispetto alla fissazione della competenza: è il caso dell’art. 568 in tema di determinazione del valore dell’immobile agli effetti dell’espropriazione forzata, che richiama espressamente il 1° comma dell’art. 15 (CarpiTaruffo). 16 . (1) [Esecuzione forzata. – Per la consegna e il rilascio di cose (605-611; 2930 c.c.) e per l’espropriazione forzata (2910 ss. c.c.) di cose mobili (513-542) e di crediti (543-554) è competente il pretore (26, 484). Per l’espropriazione forzata di cose immobili (555-598) è competente il tribunale (21, 26). Se cose mobili sono soggette all’espropriazione forzata insieme con l’immobile nel quale si trovano (556), per l’espropriazione è competente il tribunale anche relativamente ad esse. Per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il pretore (612 ss.; 2931 ss. c.c.)]. (1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 51 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. 17. Cause relative all’esecuzione forzata. – Il valore delle cause di opposi- zione all’esecuzione forzata (27, 615) si determina dal credito per cui si procede: quello delle cause relative alle opposizioni proposte da terzi a norma dell’art. 619, dal valore dei beni controversi; quello delle cause relative a controversie sorte in sede di distribuzione (512, 598), dal valore del maggiore dei crediti contestati. 1) La ripartizione della competenza tra giudice di pace e tribunale. Mentre l’art. 16 c.p.c., dedicato ai criteri di determinazione della competenza nei processi di esecuzione forzata, è stato abrogato in corre- 17 Libro I - Disposizioni generali lazione alla soppressione dell’ufficio del pretore, per cui la competenza in questa materia spetta ora sempre al Tribunale (Mandrioli), l’art. 17, che detta i criteri di determinazione della competenza per valore nelle cause di opposizione all’esecuzione, è rimasto intatto, residuando perciò una competenza del Giudice di pace nelle cause di opposizione all’esecuzione ex artt. 615 e 619 c.p.c. In particolare, l’art. 17 fissa i seguenti criteri: - nell’opposizione del debitore all’esecuzione (➠ 615) si ha riguardo al valore del credito per cui si procede. Secondo alcuni, se il credito contestato dal debitore in sede di opposizione è inferiore all’ammontare complessivo del credito, si ha riguardo alla parte di credito in contestazione (Segrè). Il valore del credito per cui si procede si ricava dall’atto di precetto, mentre il valore del credito o della parte di credito in contestazione si desume dalla somma indicata nell’atto di opposizione. Nell’esecuzione per consegna o rilascio (➠ 615) e nell’esecuzione di obblighi di fare e di non fare (➠ 612), se il diritto per il quale si procede è di natura immobiliare il valore va calcolato in base all’art. 15, mentre se si tratta di un diritto reale mobiliare o di un credito si applica l’art. 14 c.p.c. (Carpi-Taruffo); - nell’opposizione proposta da un terzo (➠ 619) si ha riguardo al valore dei beni controversi. Precisamente, l’opposizione deve essere presentata al Tribunale del luogo dell’esecuzione, il quale poi valuterà chi sia il giudice competente a conoscere del merito dell’opposizione facendo riferimento al criterio del valore dei beni controversi; - nelle cause relative alle controversie sorte in sede di distribuzione (➠ 512) si ha riguardo stando alla lettera dell’art. 17 c.p.c., tuttora vigente - al valore del maggiore dei crediti contestati, come affermati dall’attore. Tuttavia, deve sottolinearsi che, a seguito delle modifiche apportate all’art. 512 c.p.c. dalla l. n. 80/2005, è prevista una competenza esclusiva per materia del giudice dell’esecuzione, il quale è sempre competente (qualunque sia il valore) a risolvere le controversie sorte in sede di distribuzione. È venuto meno, pertanto, ogni riferimento all’art. 17 c.p.c. Sono, invece, attribuite alla competenza esclusiva del Tribunale le cause di opposizione agli atti esecutivi (➠ 617). OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE FORZATA (ART. 615) L’opposizione all’esecuzione forzata è lo strumento che il debitore ha a disposizione per contestare l’esistenza o l’efficacia del titolo esecutivo o 62 del precetto oppure la pignorabilità dei beni che il creditore intende sottoporre ad esecuzione. L’opposizione può essere proposta dal debitore o da una terza persona sottoposta ad esecuzione. Il soggetto che propone l’opposizione è l’opponente e, come tale, ha la qualità di vero e proprio attore; il creditore che procede all’esecuzione forzata, invece, nel processo di opposizione assume la veste di convenuto. Sezione III Della competenza per territorio Il codice di rito, dopo essersi occupato (➠717) della distribuzione delle competenza tra i diversi tipi di uffici giudiziari (Giudice di pace, Tribunale, Corte d’appello), negli artt. 18 e ss. detta i criteri per rinvenire, tra gli uffici del medesimo tipo, quello competente per territorio, ovvero l’ufficio davanti al quale si dovrà celebrare il processo. L’ufficio giudiziario competente per territorio a conoscere una determinata causa è denominato “foro”. Infatti, ogni ufficio giudiziario esercita le proprie funzioni con riferimento ad una specifica area di intervento (definita “mandamento” per il Giudice di pace, “circondario” per il Tribunale e “distretto” per la Corte d’appello). Le norme sulla competenza territoriale individuano fori diversi: - fori generali, valevoli per tutte le controversie (tranne quelle espressamente escluse). È il caso del foro generale delle persone fisiche e degli enti collettivi (➠ 18 e 19); - fori speciali, che valgono soltanto per determinate cause (➠, ad esempio, 413, 444 e 447 bis); - fori esclusivi, che operano a preferenza di ogni altro, pur rimanendo derogabili per iniziativa delle parti; - fori concorrenti elettivi e successivi, se la scelta avviene a discrezione dell’attore (➠20) o se l’uno può essere adito soltanto in mancanza dell’altro (➠ 18); - fori derogabili dalla volontà delle parti, con le modalità indicate dagli artt. 29 e 30, e fori inderogabili (➠28 e 25), la cui inosservanza può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. Il foro generale delle persone fisiche e delle persone giuridiche (➠18 e 19) nasce dall’esigenza che le stesse siano convenute davanti al giudice del luogo davanti al quale per loro è meno oneroso rispondere. Nondimeno, il foro generale ammette un foro alternativo, poiché per le 63 cause relative ai diritti di obbligazione è competente anche il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio (➠ 20). La competenza per territorio può essere derogata dalle parti: ciò comporta che, fuori dei casi previsti dall’art. 28, l’incompetenza deve essere eccepita nella comparsa di risposta (➠ 38, 2° comma, e 167, come novellato dalla l. n. 80/2005). Le varie ipotesi di foro speciale nascono, invece, dal vantaggio indubbio per entrambe le parti di radicare la lite davanti al giudice del luogo in cui i loro interessi sono collocati. I fori speciali prevalgono sul foro generale. Il fatto stesso che i fori speciali si pongano come deroga rispetto alla regola raffigurata dal foro generale dà ragione della loro prevalenza, in base al noto principio per cui la disposizione speciale prevale rispetto a quella generale. 18. Foro generale delle persone fi- siche. – Salvo che la legge disponga altrimenti (20, 27, 413, 444, 637, 661, 669 ter, 669 quater, 669 quinquies, 688, 825, 828, 831; 9, 161, 187e 195 l. fall.), è competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio (43, 2196 n. 4 c.c.), e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora (139). Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nello Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore (142, 143). 1) Ratio e disciplina. L’art. 18, nel disciplinare il foro generale delle persone fisiche, privilegia con tutta evidenza il convenuto, poiché il processo si deve celebrare nel foro del luogo in cui quest’ultimo ha la residenza, il domicilio o la dimora (1° comma). Invece, la posizione dell’attore viene presa in considerazione soltanto in via sussidiaria, nel caso in cui non operi la regola generale sancita dal 1° comma. L’intento della norma è chiarissimo: addossare all’attore i costi della sua iniziativa, mentre il convenuto, che la subisce, merita di godere della condizione più favorevole alla sua difesa, costituita dal minore spostamento territoriale (Mandrioli). Titolo I - Degli organi giudiziari 18 Dalla lettura dell’art. 18 è possibile enucleare la seguente disciplina in materia di foro territoriale: - il foro generale delle persone fisiche coincide con il luogo nel quale il convenuto ha la residenza o il domicilio. Se questi sono sconosciuti, si fa riferimento alla dimora; - i fori della residenza e del domicilio sono elettivamente concorrenti, per cui, se non coincidono, l’attore può scegliere liberamente tra l’uno e l’altro; - se il convenuto non ha residenza, domicilio o dimora nella Repubblica o se la sua dimora è sconosciuta, si fa riferimento alla residenza dell’attore; - se né il convenuto né l’attore hanno residenza nello Stato e la controversia è assoggettata alla giurisdizione italiana, qualunque giudice, scelto liberamente dall’attore, è territorialmente competente a conoscere la causa. Il foro generale delle persone fisiche vale come criterio generale per le cause relative a diritti personali (ad esempio, diritti della personalità) e di famiglia, a diritti di obbligazione (ad esempio, diritti di credito) e a diritti su beni mobili (Lacoppola). Nei procedimenti di volontaria giurisdizione (➠ 737 e ss.), dove non sempre è possibile individuare il convenuto, l’art. 18 deve essere interpretato sostituendo alla parola “convenuto” quella di “parte”, con la conseguenza che è territorialmente competente il giudice del luogo dove l’unica parte o una qualunque delle parti ha il domicilio o la residenza, ovvero la dimora, nel caso in cui domicilio e residenza siano sconosciuti o siano all’estero. 2) Il foro del consumatore. Prima del varo del Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005), la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 16336/2004, 15475/2004, 18290/2003, S.U. 14669/2003) era consolidata nel ritenere che, in tema di contratti stipulati tra professionista e consumatore, l’art. 1469 bis, 3° comma, n. 19 c.c. (articolo ora abrogato e “confluito” nell’attuale art. 33 D.Lgs. 206/2005), nel presumere la vessatorietà della clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore, avesse introdotto un foro esclusivo speciale, derogabile dalle parti solo con trattativa individuale. Ne consegue che si presumeva vessatoria anche la clausola che stabilisse un foro coincidente con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., se diverso da quello del consumatore, perché l’art. 1469ter, 3° comma, c.c. - per il quale non sono vessatorie le clausole che riproducono dispo- 18 Libro I - Disposizioni generali sizioni di legge - non poteva essere interpretato vanificando in modo surrettizio la tutela del consumatore. Il quadro normativo non è mutato a seguito dell’entrata in vigore del Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), che riproduce fedelmente all’art. 33, 2° comma, lett u), la formula del vecchio art. 1469 bis, 3° comma, n. 19, prevedendo che si presume vessatoria, fino a prova contraria, la clausola che ha per effetto di stabilire, come sede del foro competente, una località diversa da quella di residenza o domicilio eletto del consumatore e, all’art. 36, 1° comma, commina alle clausole considerate vessatorie - ai sensi degli artt. 33 e 34 - la sanzione di nullità. Pertanto, non è prevista una competenza territoriale inderogabile del foro del consumatore, bensì una competenza territoriale esclusiva ma derogabile nell’ipotesi in cui la clausola di deroga della competenza sia stata oggetto di una trattativa individuale. In tale ipotesi (e solo in questa) è ammesso il concorso del foro del consumatore con quelli alternativi previsti dagli artt. 19 e 20 c.p.c. (Trib. Venezia, 2710-2006). 3) La competenza per territorio nel giudizio di restrizione dell’ipoteca. L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore, in caso di inadempimento dell’obbligazione, il potere di espropriare i beni oggetto dell’ipoteca stessa al fine di soddisfarsi sul ricavato della loro vendita con prelazione rispetto agli altri creditori (artt. 2808 e ss. c.c.). L’ipoteca si costituisce con l’iscrizione in un pubblico registro; se l’ipoteca viene iscritta per una somma superiore al diritto di credito, è prevista l’azione di riduzione dell’ipoteca (art. 2872 c.c.), finalizzata a ridurre la somma per cui è stata presa l’iscrizione ipotecaria o a restringere l’iscrizione ad una parte dei beni. Con tale azione, l’attore non nega l’esistenza di un valido vincolo ipotecario, ma lamenta che esso grava sui beni in misura eccessiva rispetto alla tutela da accordare al credito garantito. Quello previsto dall’art. 2872 c.c. è, quindi, un rimedio a favore del garante nei confronti del cd. eccesso di cautela nella salvaguardia del credito garantito. I presupposti per l’azione di riduzione sono, dunque, l’esistenza e la validità dell’ipoteca, nonché l’evidente sproporzione tra il valore dei beni vincolati e l’importo del credito garantito. Non v’è dubbio, pertanto, che l’azione si collochi nell’ambito di operatività di un rapporto ipotecario. Alla natura personale dell’azione di riduzione consegue l’individuazione della competenza in ragione del criterio del foro generale delle persone di cui agli artt. 18 e 19 (Trib. PalmiCinquefondi, 16-4-2002). 64 4) Altre fattispecie. a) La domanda diretta a far valere il diritto alla restituzione di un bene consegnato in esecuzione di un contratto invalido o inefficace ha natura personale, e il foro competente è quello generale delle persone fisiche (art. 18) e non quello del luogo in cui si trova la cosa da restituire (Cass. n. 8796/2000). b) Nella controversia promossa nei confronti di un imprenditore privato per l’adempimento dell’obbligo di assunzione derivante da contratto preliminare, non può farsi riferimento, ai fini della determinazione della competenza territoriale, al luogo in cui è sorto il rapporto ed agli altri criteri dettati dal 2° comma dell’art. 413, essendo tale norma operante solamente con riguardo alle pretese inerenti ad un rapporto di lavoro già costituito, ma deve farsi ricorso al foro generale ex art. 18 (e implicitamente ex art. 19) richiamato in via sussidiaria dallo stesso art. 413, penultimo comma (Cass. n. 4707/1998). c) Nei procedimenti diretti all’emanazione di provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, ai sensi degli artt. 330-336 c.c., la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo in cui il minore dimora abitualmente, a prescindere dagli eventuali trasferimenti di carattere contingente e transitorio (Cass. n. 11022/1997 e n. 4255/1982). d) Nel giudizio di dichiarazione della paternità o maternità naturale e in quello sull’ammissibilità della relativa azione, la competenza per territorio va determinata, anche quando detti procedimenti riguardino soggetti minori, secondo la regola generale del foro del convenuto, ai sensi del disposto dell’art. 18, e non anche in base alla residenza del minore stesso (Cass. n. 11021/1997). d) Il condominio di edifici, che non è una persona giuridica e non ha, pertanto, una sede in senso tecnico, ove non abbia designato nell’ambito dell’edificio un luogo espressamente destinato all’organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con quello privato dell’amministratore che lo rappresenta. Pertanto, ai fini della competenza territoriale ex artt. 18 e 20 nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di contributi condominiali, il luogo di adempimento dell’obbligazione va individuato nel domicilio dell’amministratore al tempo della scadenza dell’obbligazione (Cass. n. 12208/1993). DOMICILIO, RESIDENZA E DIMORA Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito il centro principale dei propri affari ed interessi economici, morali, sociali e familiari (elemento 65 oggettivo), con l’intenzione della persona stessa di costituirli e mantenerli in quel luogo in maniera tendenzialmente duratura (elemento soggettivo). L’individuazione del domicilio è desumibile da tutti quegli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo dei predetti rapporti ed il carattere principale che esso riveste nella vita della persona. La residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art. 43 c.c.), ed è determinata dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altra attività fuori del Comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Il carattere della stabilità-prevalenza consente di evitare che un soggetto possa avere più residenze. Per esigenze di celerità e di certezza, ai fini della competenza territoriale la residenza è desumibile dai certificati anagrafici, i quali fondano una presunzione semplice di residenza, superabile mediante prova contraria. La dimora è il luogo in cui il soggetto si trova, anche soltanto in via transitoria, purché non passeggera. Tale permanenza deve presentare una certa stabilità, per cui non costituisce dimora la sosta momentanea o un pernottamento. 19. (1) Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute. – Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica (12, 13 c.c.), è competente il giudice del luogo dove essa ha sede (16, 46, 2328 n. 2, 2475 n. 2, 2518 n. 2 c.c.). È competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda. Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica (2251, 2291, 2313 c.c.), le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli artt. 36 ss. del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo (145). (1) Articolo così modificato con R.D. 20 aprile 1942, n. 504. Titolo I - Degli organi giudiziari 19 1) Generalità. La persona giuridica, di cui si occupa la norma in esame, è un insieme organizzato di uomini e mezzi finalizzato al perseguimento di uno scopo, generale o individuale. In altri termini, si tratta di un ente collettivo formato da un elemento personale (le persone fisiche che li compongono) e da un elemento patrimoniale (il patrimonio dell’ente), riconosciuto dall’ordinamento giuridico come autonomo soggetto di diritto, cioè come ente fornito di capacità giuridica (art. 1 c.c.) distinta da quelle delle persone fisiche che ne fanno parte. Può operare per il raggiungimento di fini generali (ciò accade per le persone giuridiche pubbliche, ad esempio lo Stato) o per finalità individuali (ciò accade, ad esempio, per le società di capitali). L’associazione non riconosciuta è un complesso organizzato di soggetti e di mezzi volto al perseguimento di uno scopo non lucrativo (politico, culturale etc.). A differenza della persona giuridica, l’associazione non riconosciuta è un ente di fatto, poiché è sprovvisto del riconoscimento. Tuttavia, è pur sempre un centro autonomo di imputazione di interessi. La norma in esame, nel disciplinare il foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute, si riferisce alle persone giuridiche pubbliche (Regioni, Province, Comuni, enti pubblici economici, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza qualificabili come enti pubblici etc.) e private (associazioni con personalità giuridica, fondazioni, società etc.). Per contro, non si applica allo Stato, poiché per esso la competenza è regolata in modo particolare dall’art. 25. I fori disciplinati dall’art. 19 sono elettivamente concorrenti, a scelta dell’attore (sede legale, sede effettiva, stabilimento ove c’è un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda, luogo ove viene svolta l’attività in modo continuativo), oltre ad un quarto foro sussidiario, ricavabile dall’applicazione analogica dell’art. 18, 2° comma (luogo di residenza dell’attore) (Mandrioli, Vaccarella-Verde). 2) Sede legale e sede effettiva. La sede legale di una persona giuridica è il luogo, risultante dall’atto costitutivo e dallo statuto, nel quale si trovano stabilmente gli organi forniti del potere di rappresentare l’ente e di impegnarlo nei confronti dei terzi. La sede così individuata può divergere dalla sede effettiva (o reale), intesa come il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e dove operano i suoi organi rappresentativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi (Cass. n. 497/1997 e n. 293/1991; Andrioli). 19 Libro I - Disposizioni generali In caso di divergenza tra sede legale e sede effettiva, i terzi “possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima” (art. 46 c.c.). Pertanto, in base all’art. 46 c.c., deve considerarsi valida la notificazione di un atto eseguita presso la sede effettiva, anziché nella sede legale (Cass. n. 4399/1995). Tra i terzi indicati nella norma richiamata vanno ricompresi i soci della società destinataria della notifica. Si tratta, perciò, di fori elettivamente concorrenti, anche se in alcuni casi la sede effettiva prevale su quella legale, come accade in tema di competenza territoriale nel processo del lavoro ex art. 413 c.p.c. e in materia fallimentare. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la competenza a dichiarare il fallimento spetta al tribunale del luogo in cui l’impresa promuove sul piano organizzativo i suoi affari (anche a seguito della recentissima riforma del diritto fallimentare ad opera del d.lgs. n. 5/2006). Tale luogo coincide, di regola, con quello della sede legale, ma siffatta presunzione di coincidenza può essere vinta dalla prova del carattere meramente fittizio e formale della sede legale, ovvero della diversa ubicazione di tutte le attività direzionali dell’impresa o della loro parte più significativa, restando in ogni caso irrilevante il trasferimento della sede legale non accompagnato dal reale trasferimento del centro propulsore o contestuale all’effettiva cessazione di alcune attività dell’impresa stessa (Cass. n. 10147/1999). 3) La sede secondaria. Accanto alla sede legale ed alla sede effettiva, l’art. 19 prevede un ulteriore foro concorrente, coincidente con il luogo nel quale è ubicata la sede secondaria della persona giuridica, ossia lo stabilimento con rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda (Andrioli). La competenza territoriale del giudice del luogo dello stabilimento presuppone, quindi, che quest’ultimo si configuri come sede secondaria (Trib. Monza, 3-2-97). A questo fine, non occorre che nella sede della società vi sia un impianto per l’esercizio dell’attività, né che la sede goda di autonomia amministrativa. 66 Il “rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda” è un soggetto che rappresenta la società nella sua sostanziale attività. A tale proposito, non è sufficiente l’elezione di domicilio presso un procuratore legale in sede di conferimento della rappresentanza processuale per un determinato giudizio (Cass. n. 4018/1985). Qualora una persona giuridica sia convenuta in giudizio davanti al giudice del luogo nel quale ha la sede secondaria, deve affermarsi la competenza del giudice adito, restando del tutto irrilevante il fatto che in altro luogo sia avvenuta la stipulazione della convenzione dedotta in giudizio e che ivi sia anche la sede legale centrale dell’ente convenuto (Cass. n. 3126/1979). 4) La sede degli enti collettivi di fatto. Nonostante per gli enti di fatto l’art. 19, 2° comma non menzioni, a differenza delle persone giuridiche, il criterio di collegamento territoriale rappresentato dal luogo della sede sociale dichiarata nello statuto, l’esigenza di tutela dei terzi sottesa all’art. 46 c.c. impone di ritenere che l’attore possa scegliere liberamente tra il foro della sede nominale e quello del luogo nel quale l’attività è esercitata in modo continuativo. Quest’ultimo riferimento ha riguardo al luogo nel quale si attua, in via prevalente e stabile, l’attività di organizzazione e gestione dell’ente, ancorché non coincidente con quello dello svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente medesimo (Cass. n. 543/1978). Agli enti collettivi può, inoltre, applicarsi il foro della sede secondaria previsto per le persone giuridiche, non essendovi ragione per introdurre un trattamento differenziato (Andrioli, Rubino). 5) Enti collettivi con sede all’estero. Qualora non sia possibile individuare il foro generale della persona giuridica in Italia secondo i criteri stabiliti dall’art. 19, trattandosi di causa promossa contro società con sede all’estero e priva in Italia di uno stabilimento o di un rappresentante autorizzato a stare in giudizio, trova applicazione analogica l’art. 18, 2° comma, sul foro generale delle persone fisiche, con conseguente competenza territoriale del giudice del luogo in cui risiede l’attore (Mandrioli; Cass. n. 2964/1978). 67 Titolo I - Degli organi giudiziari 19 FORO GENERALE DELLE PERSONE FISICHE giudice del luogo dove il convenuto ha la residenza o il domicilio giudice del luogo dove il convenuto ha la dimora (se la residenza e il domicilio sono sconosciuti) giudice del luogo dove risiede l’attore (se anche la dimora è sconosciuta o se il convenuto non ha residenza, domicilio o dimora nella Repubblica) Si tratta di fori successivamente concorrenti (l’attore può rivolgersi a quello successivo solo in mancanza di quello che precede). FORO GENERALE DELLE PERSONE GIURIDICHE giudice del luogo dove la persona giuridica ha la sede giudice del luogo dove vi è uno stabilimento della persona giuridica e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio FORO GENERALE DEGLI ENTI COLLETTIVI NON RICONOSCIUTI L’attore può scegliere liberamente tra: - foro della sede nominale - foro del luogo nel quale l’attività è esercitata in modo continuativo - foro della sede secondaria