Libro I
Disposizioni generali
Titolo I
Degli organi giudiziari
Capo I
Del giudice
Sezione I
Della giurisdizione
e della competenza in generale
La giurisdizione è l’attività esercitata dai giudici volta ad applicare, nel caso concreto, le norme giuridiche. Ciò consente di distinguerla sia
dall’attività amministrativa (attività di cura in
concreto degli interessi pubblici esercitata dagli
organi della pubblica amministrazione) sia dall’attività legislativa (produzione di norme giuridiche generali ed astratte da parte del Parlamento
o, con riferimento ai decreti legge ed ai decreti
legislativi, del Governo).
A seconda della natura della controversia sottoposta all’esame del giudice, si distingue tra
giurisdizione civile, penale ed amministrativa.
La giurisdizione civile, della quale si occupa il
presente codice, ha ad oggetto una controversia
tra soggetti privati in relazione alla violazione di
un diritto soggettivo. Una parte (attore o ricorrente) chiama in giudizio un’altra parte (convenuto
o resistente) affinché il giudice stabilisca se, nel
caso concreto, vi è stata la lesione di un diritto
e ripristini l’ordine violato. Così, ad esempio, il
venditore può citare in giudizio il compratore per
ottenere il pagamento del prezzo, il pedone investito da un automobilista può chiedere al giudice
che condanni quest’ultimo al risarcimento dei
danni, chi è stato occultamente privato del possesso di un bene può chiedere di essere reintegrato nel possesso stesso etc.
Si ha giurisdizione civile anche quando la
controversia sorge tra un privato e la pubblica
amministrazione, qualora quest’ultima agisca
come un privato.
La giurisdizione penale, invece, ha ad oggetto una controversia tra un soggetto e lo Stato,
controversia conseguente alla commissione di un
reato.
La giurisdizione amministrativa, infine, ha ad
oggetto una controversia tra un privato e la pubblica amministrazione, in relazione alla violazione di un interesse legittimo.
Colui che si ritiene leso, ad esempio, da un
atto di espropriazione illegittimo può rivolgersi
al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto.
La nozione di giurisdizione è stata poi ulteriormente scandagliata dalla dottrina, che parla
di giurisdizione ora come attività di composizione,
secondo diritto, dei conflitti di interessi (Carnelutti), ora come attuazione, in via sostitutiva, dei diritti
sostanziali (Mandrioli).
La giurisdizione presenta i seguenti caratteri:
- statualità, in quanto è esercitata soltanto da
organi dello Stato e non è ipotizzabile un’attività
giurisdizionale regionale;
- pubblicità e terzietà, in quanto è esercitata
da organi pubblici in posizione di imparzialità,
indipendenza e terzietà rispetto agli interessi in
conflitto.
La giurisdizione è esercitata in nome del
popolo (art. 101 Cost.) ed è affidata ai giudici
ordinari, cioè a giudici “istituiti e regolati dalle
norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 102
Cost.).
Sul significato di queste enunciazioni non vi
è uniformità di vedute in dottrina.
Secondo alcuni, dalle norme suindicate si
ricava il principio di unità della giurisdizione, in
forza del quale la giurisdizione ordinaria è quella generale cui appartengono tutte le materie
non appartenenti a giudici speciali (Mandrioli,
Satta). Altri (Attardi), invece, affermano che alcuni giudici speciali, come il Tar e il Consiglio
di Stato, in materia di interessi legittimi hanno
una competenza non meno generale dei giudici
ordinari, per cui la giurisdizione di questi ultimi
è generale soltanto in materia di diritti soggettivi.
Un diverso orientamento (Tommaseo) ritiene che la giurisdizione sia unitaria, in quanto
l’essenza dell’attività giurisdizionale è la stessa
per ogni tipo di giurisdizione (ordinaria e speciale).
1
. Giurisdizione dei giudici ordinari.
– La giurisdizione civile, salvo speciali di-
sposizioni di legge (25, 102, 103 Cost.; 585
c.n.), è esercitata dai giudici ordinari (1) secondo le norme del presente codice (37).
(1) Si vedano gli artt. 1 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12
(Ordinamento giudiziario); 2907, 2908 c.c.
1) La giurisdizione civile e i giudici ordinari.
La giurisdizione civile è, di regola, esercitata
dai giudici ordinari (art. 102 Cost.) e ha ad oggetto
la tutela dei diritti soggettivi (artt. 24 Cost. e 2907
c.c.). Si tratta, peraltro, di una giurisdizione di
tipo residuale, poiché è “civile” la funzione giuri-
1  Libro I - Disposizioni generali
sdizionale che non sia penale (preordinata alla
repressione dei reati attraverso l’applicazione
delle sanzioni penali) o amministrativa (avente
ad oggetto la tutela degli interessi legittimi nei
confronti della pubblica amministrazione e dei
diritti soggettivi nelle materie di competenza
esclusiva del giudice amministrativo).
La giurisdizione civile ordinaria si suddivide
nei seguenti sottotipi:
- giurisdizione di cognizione o contenziosa,
volta alla risoluzione di una controversia al fine
di accertare una determinata situazione giuridica. Nell’ambito del processo di cognizione il
giudice valuta, cioè, se esiste il diritto soggettivo dell’attore o del ricorrente (ossia, di colui che
invoca l’intervento del giudice) e se questo diritto è stato effettivamente violato. Si pensi, ad
esempio, al caso in cui un terzo distrugga la mia
motocicletta: il giudice da me invocato per ottenere il risarcimento del danno dovrà valutare
se effettivamente io sono proprietario del bene.
Se si dovesse dimostrare che la motocicletta era
di proprietà di mio fratello, il giudice non potrà
procedere nel giudizio dal momento che io non
risulto titolare di alcun diritto soggettivo sul bene
distrutto;
- giurisdizione esecutiva, finalizzata non ad
accertare un determinato diritto (come la giurisdizione contenziosa) ma a dare attuazione a un
diritto già accertato;
- giurisdizione cautelare, con la quale il giudice assicura l’utilità del risultato del procedimento contenzioso o esecutivo;
- giurisdizione volontaria, la quale, a differenza della giurisdizione contenziosa, non presuppone l’esistenza di una controversia, ma la necessità di controllare determinate attività dei privati
o la gestione di particolari interessi (ad esempio,
amministrazione dei beni ereditari).
Giudici ordinari sono il Giudice di pace, il Tribunale, la Corte d’appello e la Cassazione (art.
1 ord. giud.). Il giudice conciliatore è stato soppresso con l’entrata in vigore dell’ufficio del Giudice di pace, continuando a sussistere solamente
fino all’esaurimento delle cause pendenti.
Analogamente, è scomparsa la figura del Pretore (art. 1, d.lgs. n. 51/1998) salvo l’esaurimento degli affari pendenti e le sue funzioni sono
state trasferite al tribunale ordinario.
Il d.lgs. n. 51/1998, inoltre, da un lato ha
confermato la figura del giudice istruttore in
funzione di giudice monocratico; dall’altro, ha
previsto (modificando l’art. 48 ord. giud.) che il
Tribunale normalmente decide in composizione
monocratica, salvi i casi espressamente previsti
dall’art. 50 bis c.p.c. nei quali decide in composizione collegiale.

40
2) La giurisdizione speciale.
È l’attività svolta da organi non appartenenti
all’autorità giudiziaria ordinaria, avente ad oggetto materie determinate che richiedono competenze particolari.
L’art. 102 Cost., al fine di evitare il moltiplicarsi incontrollato dei giudici speciali e di
garantire, quindi, il principio di unità della
giurisdizione, vieta l’istituzione di nuovi giudici straordinari o speciali. Inoltre, la VI disposizione transitoria della Costituzione impone la
revisione dei giudici speciali già esistenti, ad
eccezione del Consiglio di Stato, della Corte dei
conti e dei Tribunali militari (art. 103 Cost.), nel
termine (non perentorio) di cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione.
Sono giudici speciali il Consiglio di Stato, i Tribunali amministrativi regionali, la Corte dei conti, il Tribunale superiore delle acque pubbliche,
i Commissari regionali liquidatori di usi civici, i
Tribunali militari e le Commissioni tributarie.
Il Consiglio di Stato e i Tar hanno una giurisdizione generale di legittimità (annullamento degli
atti lesivi di interessi legittimi), una giurisdizione eccezionale di merito nei casi espressamente
previsti dalla legge (in questi casi il giudice può
annullare, riformare o sostituire l’atto amministrativo illegittimo, non conveniente o inopportuno) e una giurisdizione esclusiva (nel qual caso,
il giudice si occupa anche dei diritti soggettivi).
La funzione giurisdizionale della Corte dei conti investe le “materie di contabilità pubblica” (art.
103 Cost.). Detta espressione va intesa nel senso che la Corte è competente a giudicare agenti
contabili, amministratori e funzionari pubblici per
tutte le vicende connesse alla gestione di risorse
pubbliche. Inoltre, la Corte ha giurisdizione nella
materia delle pensioni civili, militari e di guerra.
Nei giudizi di conto, la Corte accerta la responsabilità di singoli soggetti legati alla pubblica amministrazione per i danni pubblici dagli
stessi causati nell’esercizio delle loro funzioni. In
materia pensionistica, la Corte accerta l’esistenza del diritto alla pensione ed il suo ammontare.
Residuale è una terza categoria: quella dei giudizi ad istanza di parte in materia esattoriale.
La giurisdizione delle Commissioni tributarie,
infine, riguarda le controversie tra Stato e contribuenti. Al processo tributario si applicano le norme del codice di procedura civile che non siano
con esso incompatibili (Montesano-Arieta).
3) Le sezioni specializzate.
Si tratta di organi degli uffici giudiziari ordinari connotati dalla presenza di esperti estranei
alla magistratura. Come rilevato dalla dottrina,
sono organismi mediani tra i giudici ordinari e
i giudici speciali, la cui istituzione è giustificata

41
dall’esigenza pratica di ricercare il giudice più
idoneo a conoscere determinate controversie.
La distinzione tra giudici speciali e sezioni
specializzate non è sempre agevole. La dottrina
ritiene che si debba guardare al dato numerico: in
caso di prevalenza dei magistrati rispetto ai soggetti estranei alla magistratura, si tratterà di giudice speciale; nel caso, invece, di prevalenza di
questi ultimi, si tratterà di sezione specializzata.
Sono sezioni specializzate i Tribunali per i
minorenni e le sezioni speciali per i minorenni
presso le Corti d’appello, le sezioni specializzate
agrarie, i Tribunali delle acque pubbliche (ad eccezione del Tribunale superiore delle acque pubbliche di Roma) e la sezione istituita presso la
Corte d’appello di Roma che si occupa dei reclami avverso le decisioni dei commissari regionali
liquidatori degli usi civici.
4) Il tribunale delle imprese.
L’art. 2 d.l. n. 1/2012 (decreto liberalizzazioni), convertito in L. 27/2012, ha istituito il tribunale delle imprese, che sostituisce le “vecchie”
sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, ex d.lgs. n. 168/2003.
L’art. 1 d.lgs. n. 168/2003 prevede l’istituzione, presso i tribunali e le corti d’appello di
Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano,
Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia, di sezioni specializzate in materia di impresa.
Sono altresì istituite sezioni specializzate in
materia di impresa presso i tribunali e le corti
d’appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, se non esistenti nelle città di cui sopra. Per la
Valle d’Aosta sono competenti le sezioni specializzate presso il tribunale e la corte d’appello di
Torino. È altresì istituita la sezione specializzata
in materia di impresa presso il tribunale e la corte d’appello di Brescia.
I giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra magistrati dotati di specifiche competenze.
Ai giudici delle sezioni specializzate può essere
assegnata anche la trattazione di processi diversi,
purché ciò non comporti ritardo nella trattazione e
decisione dei giudizi in materia di impresa.
Le sezioni specializzate sono competenti in
materia di:
- controversie di cui all’art. 134 d.lgs.
30/2005 (Codice della proprietà industriale);
- controversie in materia di diritto d’autore;
- controversie in materia di tutela della concorrenza (art. 33, co. 2, l. n. 287/1990);
- controversie relative alla violazione della
normativa antitrust dell’Unione europea;
- controversie relative alle società per azioni,
alle società in accomandita per azioni, alle società a responsabilità limitata, alle società coopera-
Titolo I - Degli organi giudiziari  1
tive e mutue assicuratrici, alla società europea e
alla società cooperativa europea, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle
società costituite all’estero, ovvero alle società
che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento, per le cause
e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari,
compresi quelli concernenti l’accertamento, la
costituzione, la modificazione o l’estinzione di un
rapporto societario, le azioni di responsabilità da
chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore,
il direttore generale ovvero il dirigente preposto
alla redazione dei documenti contabili societari,
nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri
inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei
confronti della società che ha conferito l’incarico
e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni di cui agli artt. 2445, co. 3, 2482, co. 2,
2447quater, co. 2, 2487ter, co. 2, 2503, co.
2, 2503bis, co. 1 e 2506ter del codice civile;
b) relativi al trasferimento delle partecipazioni
sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; c)
in materia di patti parasociali, anche diversi da
quelli regolati dall’articolo 2341-bis del codice
civile; d) aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate
contro le società che le controllano; e) relativi a
rapporti di cui all’art. 2359, co. 1, n. 3), all’art.
2497septies e all’art. 2545septies c.c.; f) relativi a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi
o forniture di rilevanza comunitaria dei quali sia
parte una delle società di cui al presente comma, ovvero quando una delle stesse partecipa al
consorzio o al raggruppamento temporaneo cui i
contratti siano stati affidati, ove comunque sussista la giurisdizione del giudice ordinario.
Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui sopra.
Per quanto riguarda la competenza territoriale,
le controversie che, secondo gli ordinari criteri di
ripartizione della competenza territoriale, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione, sono assegnate alla
sezione specializzata avente sede nel capoluogo
di regione individuato ai sensi dell’articolo 1.
Alle sezioni specializzate istituite presso i tribunali e le corti d’appello non aventi sede nei capoluoghi di regione sono assegnate le controversie
che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari
compresi nei rispettivi distretti di corte d’appello.
L’art. 2, co. 6, D.L. 1/2012, convertito in L.
27/2012, prevede che le disposizioni di cui sopra si applicano ai giudizi instaurati dopo 180
giorni dalla data di entrata in vigore della legge
1  Libro I - Disposizioni generali
di conversione n. 27/2012 (il termine decorre
quindi dal 25 marzo, giorno successivo alla pubblicazione in G.U, come stabilito dall’art. 1, co.
2, della legge)
Infine, l’art. 2, co. 3, D.L. 1/2012, convertito
con L. 27/2012, stabilisce che per i processi di
competenza delle sezioni specializzate il contributo unificato di cui al comma è raddoppiato.
5) L’arbitrato.
Non tutte le controversie civili vengono risolte
da un giudice: le parti possono, infatti, decidere
di risolvere la loro lite ricorrendo all’arbitrato.
L’arbitrato può essere definito come una procedura alternativa per la risoluzione delle controversie in materia civile; esso consiste in un
accordo con il quale le parti conferiscono il potere di decidere la controversia a giudici privati,
definiti arbitri.
Esistono due tipi di arbitrato:
- l’arbitrato rituale, disciplinato dagli artt. 806
e ss. (➠), che riconosce alla decisione degli arbitri (cd. lodo arbitrale) gli stessi effetti di una pronuncia del giudice e prevede la possibilità di assoggettare la stessa ai medesimi controlli previsti
per una sentenza;
l’arbitrato irrituale, per il quale il nostro ordinamento non detta una disciplina di carattere generale. In caso di arbitrato irrituale, la decisione
degli arbitri costituisce un obbligo di natura contrattuale e, se non viene adempiuto, potrà essere
posto a base di una successiva azione giudiziaria.
6) La giurisdizione volontaria.
La funzione giurisdizionale presenta alcune
caratteristiche tipiche. Essa, in primo luogo, presuppone una controversia (cd. lite) tra due o più
soggetti, determinata da un’incertezza circa l’applicazione del diritto o dalla violazione di una o
più norme giuridiche. Tali soggetti vengono definiti “parti” del processo. In alcuni casi, però,
GIURISDIZIONE CIVILE

42
la controversia manca e l’intervento del giudice
è previsto dalla legge al fine di assicurare che
decisioni particolarmente delicate ed importanti
siano prese da un soggetto imparziale sulla base
di una scrupolosa applicazione del diritto. Tali
ipotesi vengono definite di giurisdizione volontaria (➠ § 1): si tratta, ad esempio, delle decisioni
relative alla separazione consensuale tra coniugi,
all’interdizione e all’inabilitazione, alla dichiarazione di morte presunta etc.
In realtà, si è discusso a lungo circa la natura della giurisdizione volontaria, e la questione è
tuttora aperta.
Autorevole dottrina (Mandrioli, Liebman) afferma che, poiché gli organi giurisdizionali gestiscono situazioni di diritto privato, la giurisdizione
volontaria va ricondotta nell’ambito dell’attività
amministrativa e, più precisamente, nell’“amministrazione pubblica del diritto privato”. Infatti,
non sono rinvenibili né la contrapposizione tra le
parti interessate, tipica dei giudizi contenziosi, né
un provvedimento suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre revocabile e modificabile in
caso di mutamento della situazione di fatto.
Altri autori (Satta), invece, la qualificano come attività giurisdizionale in senso stretto, perché
si realizza con l’intervento del giudice ed è diretta alla formazione di un comando giuridico su
richiesta delle parti.
Infine, una tesi eclettica (Fazzalari) la qualifica come tertium genus, non inquadrabile né
nell’attività giurisdizionale né in quella amministrativa.
Affermare la natura giurisdizionale o amministrativa della giurisdizione volontaria rileva sotto
numerosi profili (si pensi, ad esempio, alla possibilità di sollevare un incidente di costituzionalità di una legge, che sussiste soltanto all’interno
di un vero e proprio giudizio e non anche in caso
di attività meramente amministrativa).
È finalizzata alla tutela dei diritti soggettivi
Tipi di giurisdizione civile:
• contenziosa: accerta la situazione giuridica esistente attraverso una controversia destinata a sfociare in un provvedimento giurisdizionale definitivo (cd. cosa giudicata)
• esecutiva: consente di dare attuazione concreta ad un diritto soggettivo
• cautelare: permette di conservare immutato un determinato stato di fatto o di anticipare gli effetti della (futura) decisione finale resa nei giudizi contenziosi ed esecutivi
• volontaria: realizza il controllo di determinate attività dei privati o della gestione di
particolari interessi mediante provvedimenti che sono sempre revocabili

Titolo I - Degli organi giudiziari  2
43
2. (1) [Inderogabilità convenzionale
della giurisdizione. – La giurisdizione
italiana non può essere convenzionalmente
derogata a favore di una giurisdizione straniera, né di arbitri (810 ss.) che pronuncino
all’estero (832 ss.), salvo che si tratti di causa relativa ad obbligazioni tra stranieri o tra
uno straniero e un cittadino non residente
né domiciliato (43 c.c.) nella Repubblica e
la deroga risulti da atto scritto].
(1) Articolo abrogato dall’art. 73 della L. 31 maggio
1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si veda
l’art. 4 della citata L. n. 218/1995.
3. (1)
[Pendenza di lite davanti a
giudice straniero (2). – La giurisdizio-
ne italiana non è esclusa dalla pendenza davanti a un giudice straniero della medesima
causa (39) o di altra con questa connessa
(31 ss., 40)].
(1) Articolo abrogato dall’art. 73 della L. 31 maggio
1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si veda
l’art. 7 della citata L. n. 218/1995.
(2) Con la L. 21 giugno 1971, n. 804, è stata ratificata
e resa esecutiva in Italia la Convenzione internazionale ed
annesso Protocollo firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968,
concernente la competenza giurisdizionale e le decisioni in
materia civile e commerciale.
4
. (1) [Giurisdizione rispetto allo
straniero. – Lo straniero può essere con-
venuto davanti ai giudici della Repubblica:
1) se quivi è residente o domiciliato (43
c.c.) anche elettivamente (47 c.c.) o vi ha un
rappresentante (1387 c.c.) che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77,
oppure se ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni
immobili (812 c.c.) situati all’estero (37);
2) se la domanda riguarda beni esistenti
nella Repubblica o successioni ereditarie di
cittadino italiano o aperte (456 ss. c.c.) nella Repubblica, oppure obbligazioni (1173
ss. c.c.) quivi sorte (1182 c.c.) o da eseguirsi
(1326 ss. c.c.);
3) se la domanda è connessa (31 ss.) con
altra pendente davanti al giudice italiano,
oppure riguarda provvedimenti cautelari
(669 bis ss.) da eseguirsi nella Repubblica o
relativi a rapporti dei quali il giudice italiano può conoscere (14 c.n.);
4) se, nel caso reciproco, il giudice dello
Stato al quale lo straniero appartiene può
conoscere delle domande proposte contro
un cittadino italiano].
(1) Articolo abrogato dall’art. 73 della L. 31 maggio
1995, n. 218, con decorrenza dal 1° settembre 1995. Si vedano gli artt. 3 e 10 della citata L. n. 218/1995.
5
. (1) Momento determinante della
giurisdizione e della competenza. –
La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della
proposizione della domanda, e non hanno
rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.
(1) Articolo così sostituito dall’art. 2 della L. 26 novembre 1990, n. 353, a decorrere dall’1 gennaio 1993.
1) Il principio della perpetuatio iurisdictionis:
portata . . .
La norma in esame fissa un principio cardine
del sistema processualistico, in forza del quale
la competenza e la giurisdizione sussistenti al
momento della proposizione della domanda perdurano per l’intera durata del giudizio. Si tratta
del noto principio della perpetuatio iurisdictionis,
in base al quale la giurisdizione e la competenza
si determinano con riferimento allo stato di fatto
e di diritto esistente al momento della proposizione
della domanda, restando perciò irrilevanti i successivi mutamenti del quadro normativo-fattuale
(si pensi ad una nuova legge che introduca criteri
che regolano la competenza del giudice diversi
dalla legge precedente o al mutamento del luogo
di residenza del convenuto, laddove questo incida sulla competenza del giudice).
Con questa norma il legislatore ha inteso
evitare gli effetti pregiudizievoli che potrebbero
prodursi in danno delle parti qualora si riconoscesse, ai mutamenti delle circostanze di fatto e
di diritto successivi alla domanda, la possibilità
di incidere sul processo in corso, caducando la
giurisdizione o la competenza del giudice adìto.
2) . . . e limiti.
Il principio in esame incontra un primo limite nelle pronunce di incostituzionalità della Corte
costituzionale: infatti, il mutamento normativo
5  Libro I - Disposizioni generali
conseguente ad una sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge produce i
suoi effetti anche nei processi in corso, stante il
carattere retroattivo delle pronunce della Corte
costituzionale (Cass. n. 3352/1997).
Tale regola è stata confermata, di recente, dalle Sezioni Unite, per le quali “il principio sancito
dall’art. 5 c.p.c., alla stregua del quale la giurisdizione si determina “con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento
della proposizione della domanda”, non opera
quando la norma che detta i criteri determinativi
della giurisdizione è successivamente dichiarata
costituzionalmente illegittima, salvo il limite dei
rapporti esauriti al momento della pubblicazione della decisione” (Cass. S.U. n. 3370/2006).
Inoltre, mentre secondo la giurisprudenza prevalente l’art. 5 opera anche laddove le sopravvenienze (di fatto o di diritto) incidano sul rapporto
giuridico dedotto in giudizio (si pensi al mutamento, in corso di causa, di un rapporto giuridico di
natura pubblicistica in un rapporto privatistico),
parte della dottrina ritiene, al contrario, che in
questo caso la norma in esame non possa trovare
applicazione, riferendosi soltanto ai mutamenti
incidenti su elementi estranei al rapporto dedotto
in giudizio e non anche agli elementi costitutivi
dello stesso.
Esula, poi, dall’ambito applicativo dell’art. 5
la c.d. competenza sopravvenuta: l’art. 5, infatti, per evidenti ragioni di economia processuale,
non esclude l’efficacia convalidante, da parte di
una legge successiva all’inizio del processo (ius
superveniens), della giurisdizione del giudice che
ne era privo al momento della proposizione della
domanda (Carpi-Taruffo; Cass. n. 4820/2005).
La regola della competenza sopravvenuta
trova conferma nell’art. 8 della l. n. 218/1995,
il quale, dopo aver affermato che “per la determinazione della giurisdizione italiana si applica
l’articolo 5 del codice di procedura civile”, aggiunge: “tuttavia la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono
nel corso del processo”. Quest’ultimo inciso è
letto come un riconoscimento della regola sopra
citata (Proto Pisani, Balena).
3) L’art. 5 c.p.c. si applica anche al ricorso straordinario al Capo dello Stato (Cons. Stato, Ad. gen.,
n. 808/2011).
La giurisprudenza ha costantemente affermato che il ricorso straordinario è un rimedio
amministrativo di carattere generale, il che ne
comporta l’esperibilità in tutti i casi in cui ciò
non sia escluso dalla legge e, comunque, anche
nelle materie che rientrano nella giurisdizione
del giudice ordinario, tra cui quelle riguardanti
le controversie aventi ad oggetto atti di gestione

44
del rapporto di impiego privatizzato (Cons. St.,
Ad. gen., n. 7/1999), salve le ipotesi in cui vengano attribuite al giudice ordinario competenze
speciali e funzionali, nel qual caso si ritiene che
il legislatore abbia voluto escludere il rimedio del
ricorso straordinario. Tuttavia, la norma sopravvenuta di cui all’art. 7, co. 8, d.lgs. n. 104/2010
(Codice del processo amministrativo), entrato in
vigore il 169-2010, stabilisce che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica “è ammesso unicamente per le controversie devolute
alla giurisdizione amministrativa”.
La questione di diritto che si è posta in giurisprudenza è quella di stabilire se tale norma si
applichi anche ai ricorsi straordinari proposti prima
dell’entrata in vigore del nuovo codice, oppure si
applichi solo a quelli proposti successivamente
a tale data.
Il Consiglio di Stato (Ad. Gen., n. 808/2001)
ha affermato che, nella fattispecie, deve trovare applicazione il principio desumibile dall’art. 5
c.p.c., alla stregua della quale la giurisdizione si
determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, enuncia infatti un principio – quello della permanenza del potere di definire la controversia in capo
all’organo chiamato a pronunciarsi, nonostante i
mutamenti sopravvenuti della legge attributiva di
tale potere che è certamente applicabile al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Il ricorso straordinario, infatti, ha una natura
atipica, non assimilabile agli altri ricorsi amministrativi, con spiccate caratteristiche di giustizia;
siffatta natura è confermata dal fatto che il provvedimento finale rappresenta solo l’atto conclusivo di esternazione di un momento decisionale
contenuto nel parere del Consiglio di Stato.
Il ricorso straordinario al Capo dello Stato,
d’altra parte, è un rimedio alternativo rispetto al
ricorso giurisdizionale amministrativo; l’interessato, che ha piena facoltà di scegliere tra i due
tipi di ricorsi, sa che una volta che ha effettuato
la sua opzione non è più possibile tornare indietro (electa una via non datur recursus ad alteram)
e, quindi, qualunque strada intraprenda in ossequio alla regola dell’alternatività, appare ragionevole che egli consegua comunque una tutela
adeguata.
Se così è, allora, ai ricorsi straordinari proposti
prima dell’entrata in vigore del nuovo codice del
processo amministrativo si applica il principio desumibile dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente
al momento della proposizione della domanda,
enunciando il principio della permanenza del potere di definire la controversia in capo all’organo
chiamato a pronunciarsi, nonostante i mutamenti
sopravvenuti della legge attributiva di tale potere.

Titolo I - Degli organi giudiziari  6
45
La diversa soluzione, nel senso dell’applicabilità della norma di cui al comma 8 dell’art. 7
anche alle controversie pendenti in sede straordinaria alla data di entrata in vigore del nuovo
codice, porterebbe alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nel vigore del regime
precedente, con conseguente frustrazione delle
aspettative e dell’affidamento degli interessati
nello strumento di giustizia (ricorso straordinario)
da essi stessi volontariamente e alternativamente
prescelto, rinunciando alla tutela in sede giurisdizionale. Ci si troverebbe di fronte, in questo
caso, a una sostanziale violazione del principio
di effettività della tutela, di cui all’art. 24 Cost.,
che deve ritenersi invocabile anche in sede di
ricorso straordinario.
Il momento della proposizione della domanda, rilevante per individuare la giurisdizione e la competenza in base alla norma in esame, va determinato avendo riguardo al tipo di procedimento. A tal fine,
può essere utile il seguente schema.
PROCESSO ORDINARIO
DI COGNIZIONE
CAUSE DI LAVORO
E PROCESSO MONITORIO
notificazione dell’atto di citazione (� 163)
in caso di litisconsorzio necessario (� 102), rileva la prima notificazione
deposito del ricorso in cancelleria
PROCEDIMENTI
D’URGENZA
SEPARAZIONE PERSONALE
DEI CONIUGI
6. Inderogabilità convenzionale del-
la competenza. – La competenza non
può essere derogata per accordo delle parti,
salvo che nei casi stabiliti dalla legge (2830, 339, 360).
1) Il concetto di “parte”.
La norma in esame fa riferimento al concetto
di “parte”. In generale, parte del processo è il
soggetto che pone in essere gli atti processuali e
ne subisce gli effetti e, quindi, è destinatario dei
provvedimenti (sentenze, ordinanze e decreti) che
il giudice adotta nel corso del processo (ad esempio, un’ordinanza istruttoria) e all’esito dello stesso (ad esempio, una sentenza di condanna).
Più nel dettaglio, può definirsi “parte” del
processo sia colui che agisce in giudizio (soggetto attivo), chiedendo al giudice l’adozione di
un determinato provvedimento, sia colui nei con-
notifica del ricorso e del decreto
alla controparte
fronti del quale tale domanda è proposta (soggetto passivo).
Peraltro, la qualità di parte può acquistarsi
non solo in seguito alla domanda introduttiva del
giudizio, ma anche nel corso dello stesso, qualora
un soggetto si sostituisca ad un altro o intervenga, spontaneamente o su ordine del giudice, in
un giudizio pendente.
In linea generale, inoltre, può dirsi che il soggetto attivo assume la veste di attore, se ha introdotto il processo con un atto di citazione (➠
163), oppure di ricorrente, se ha iniziato il giudizio con ricorso (come accade, ad esempio, nel
processo del lavoro). A sua volta, il soggetto passivo è qualificabile come convenuto (se è parte
in un processo introdotto con atto di citazione)
o resistente (se contraddice in un giudizio introdotto con ricorso). Normalmente, le parti devono
essere rappresentate o assistite da un difensore,
che sta in giudizio in sostituzione o accanto alla
parte. Il rapporto che lega la parte al proprio difensore si inquadra nell’ambito del mandato con
rappresentanza (➠ 77 e ss.).
7  Libro I - Disposizioni generali
2) Portata dell’art. 6.
In virtù dell’art. 6, i principi regolatori della
competenza sono inderogabili per volontà delle
parti, salvi i casi previsti dalla legge. Ciò significa
che, se la legge non lo prevede espressamente,
deve ritenersi invalido un accordo con il quale le
parti attribuiscano al giudice designato competenza esclusiva in ordine a una determinata lite,
ovvero affianchino al giudice competente per legge un altro giudice.
La norma in esame intende tutelare il principio costituzionale (art. 25 Cost.) del giudice naturale precostituito per legge, secondo il quale la
legge deve determinare i criteri oggettivi e generali in base ai quali viene individuato il magistrato competente a decidere una determinata controversia. Tale principio, infatti, verrebbe violato
qualora le parti potessero scegliere liberamente il
giudice al quale affidare la controversia.
Sezione II
Della competenza
per materia e valore
La presente Sezione è dedicata alla ripartizione della competenza per materia e per valore tra
il Giudice di pace e il Tribunale.
Preliminare all’analisi della normativa in esame è la nozione di competenza.
Secondo la tesi tradizionale, la competenza
è la misura della giurisdizione spettante a ciascun
giudice (Mandrioli, Liebman). In particolare, se la
giurisdizione civile appartiene ai giudici ordinari
nel loro complesso, la competenza consente di
individuare, tra i suddetti giudici, quello che ha il
potere di decidere una determinata controversia.
Il difetto di competenza comporta l’invalidità
della sentenza emessa, poiché la competenza è
un presupposto necessario per la validità della
decisione di merito (Arieta).
Non rientrano nel concetto di competenza:
- la ripartizione delle funzioni tra i componenti di un ufficio giudiziario collegiale (presidente,
giudice istruttore, collegio);
- la distribuzione del lavoro tra le diverse sezioni di uno stesso ufficio giudiziario;
- la ripartizione della potestà giurisdizionale
tra giudici ordinari e giudici amministrativi (che
investe un problema di giurisdizione e non di
competenza).
I criteri che consentono di individuare il giudice competente a decidere una determinata
causa sono elencati dagli artt. 7 e ss. e fanno
capo ad altrettante tipologie di competenza, ovvero:
- competenza per materia, individuata in relazione alla natura della controversia;

46
- competenza per valore, individuata in base
al valore della lite;
- competenza per territorio, fondata sul collegamento tra la controversia e una determinata
area territoriale.
I primi due criteri risolvono il problema della
distribuzione verticale della competenza tra giudici di tipo diverso (giudice di pace, tribunale,
Corte d’appello e Cassazione); il terzo criterio risolve il problema della distribuzione orizzontale
della competenza tra diversi giudici dello stesso
tipo presenti nel territorio della Repubblica (Carpi-Taruffo, Mandrioli).
L’indagine volta ad individuare il giudice
competente deve essere condotta considerando,
in prima battuta, se la controversia rientri nella
competenza per materia di un determinato organo giudicante; la risposta affermativa rende
(normalmente) superfluo l’esame del valore della
causa, mentre, in caso di risposta negativa, occorre identificare il giudice competente per valore; a questo punto, va determinato il giudice
competente per territorio (Verde).
7
. (1) Competenza del giudice di pace. – Il giudice di pace è competente per
le cause relative a beni mobili (812 c.c.) di
valore non superiore a cinquemila euro (2)
(10), quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice.
Il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno
prodotto dalla circolazione di veicoli e di
natanti, purché il valore della controversia
non superi ventimila euro (3).
[Il giudice di pace è inoltre competente, con il limite di valore di cui al secondo
comma, per le cause di opposizione alle ingiunzioni di cui alla L. 24 novembre 1981,
n. 689, salvo che con la sanzione pecuniaria
sia stata anche applicata una sanzione amministrativa accessoria. Resta ferma la competenza del pretore in funzione di giudice
del lavoro e per le cause di opposizione alle
ingiunzioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie.] (4)
È competente qualunque ne sia il valore:
1) per le cause relative ad apposizione
di termini (951 c.c.) ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti

47
o dagli usi riguardo al piantamento degli
alberi e delle siepi (892 ss. c.c.);
2) per le cause relative alla misura ed alle
modalità d’uso dei servizi di condominio di
case;
3) per le cause relative a rapporti tra
proprietari o detentori di immobili adibiti
a civile abitazione in materia di immissioni
(844 c.c.) di fumo o di calore, esalazioni,
rumori, scuotimenti e simili propagazioni
che superino la normale tollerabilità;
3 bis) per le cause relative agli interessi
o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali (5).
[4) per le cause di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate in base all’art.
75 del testo unico approvato con D.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309] (6) (7).
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 17 della
L. 21 novembre 1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di pace, a decorrere dal 1° maggio 1995.
(2) Le originarie parole: «lire cinque milioni» sono state così sostituite dall’art. 45, comma 1, lett. a), della L. 18
giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi
dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione
si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.
(3) Le originarie parole: «lire trenta milioni» sono state
così sostituite dall’art. 45, comma 1, lett. b), della L. 18
giugno 2009, n. 69, a decorrere dal 4 luglio 2009. Ai sensi
dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, tale disposizione
si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.
(4) Questo comma è stato abrogato dall’art. 1 del D.L.
18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, nella
L. 20 dicembre 1995, n. 534. In materia di competenza
del giudice di pace nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, si veda l’art. 22 bis della L. 24 novembre
1981, n. 689.
(5) Questo numero è stato aggiunto dall’art. 45, comma
1, lett. c), della L. 18 giugno 2009, n. 69, a decorrere dal
4 luglio 2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta
legge, tale disposizione si applica ai giudizi instaurati dopo la
data della sua entrata in vigore.
(6) Questo numero è stato abrogato dall’art. 1 del D.L.
18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, nella
L. 20 dicembre 1995, n. 534.
(7) Si veda l’art. 22 bis della L. 24 novembre 1981, n.
689, di cui si riporta il testo:
«22 bis. (Competenza per il giudizio di opposizione).
Salvo quanto previsto dai commi seguenti, l’opposizione di
cui all’articolo 22 si propone davanti al giudice di pace.
«L’opposizione si propone davanti al tribunale quando
la sanzione è stata applicata per una violazione concernente
disposizioni in materia:
Titolo I - Degli organi giudiziari  7
a) di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di
prevenzione degli infortuni sul lavoro;
b) di previdenza e assistenza obbligatoria;
c) urbanistica ed edilizia;
d) di tutela dell’ambiente dall’inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
e) di igiene degli alimenti e delle bevande;
f ) di società e di intermediari finanziari;
g) tributaria e valutaria;
g bis) antiriciclaggio.
«L’opposizione si propone altresì davanti al tribunale:
a) se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria
superiore nel massimo a € 15.493;
b) quando, essendo la violazione punita con sanzione
pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una sanzione superiore a € 15.493;
c) quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest’ultima,
fatta eccezione per le violazioni previste dal regio decreto 21
dicembre 1933, n. 1736, dalla legge 15 dicembre 1990, n.
386 e dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
«Restano salve le competenze stabilite da diverse disposizioni di legge».
1) Generalità.
Il Giudice di pace (g.d.p.) è un magistrato
onorario appartenente all’ordine giudiziario istituito con la l. 21-11-1991, n. 374, il quale esercita la giurisdizione in materia civile e penale e
la funzione conciliativa in materia civile. La sua
competenza concorre con quella Tribunale, e riguarda sia il processo ordinario di cognizione sia
il processo esecutivo (nei soli giudizi di opposizione previsti dagli artt. 615 e 619).
I commi 1 e 2 della norma in esame prevedono, ai fini dell’individuazione della competenza del g.d.p., il ricorso ai criteri congiunti della
materia e del valore, mentre l’ultimo comma fa
riferimento al solo criterio della materia.
In linea generale, la competenza civile del
g.d.p. investe tre settori:
- controversie mobiliari di minore importanza
(1° comma);
- cause di risarcimento del danno prodotto
dalla circolazione di veicoli e natanti (2° comma);
- controversie di vicinato (3° comma).
2) Cause mobiliari.
Ai sensi del 1° comma della norma in esame,
il g.d.p. è competente per le cause relative a beni
mobili di valore non superiore a euro 5.000,00
(importo incrementato dalla L. n. 69/2009,
qualora non rientrino, per espressa disposizione
normativa, nella competenza per materia di altro giudice.
Secondo la dottrina, per “cause relative a beni mobili” devono intendersi tutte le controversie
7  Libro I - Disposizioni generali
diverse da quelle che trovano la loro fonte in un
rapporto riguardante beni immobili, qualunque
sia la natura del diritto fatto valere (di credito
o diversa) e qualunque sia la decisione che si
chiede.
La giurisprudenza, in passato ha precisato
che vanno qualificate come controversie immobiliari, come tali sottratte alla competenza del
g.d.p., tutte le controversie in cui vengano dedotte in giudizio pretese afferenti tanto a diritti
reali quanto a diritti di credito che abbiano la
loro fonte in un rapporto giuridico riguardante un
bene immobile (Cass. n. 4304/2004).
Tuttavia, questa tesi è stata recentemente rivisitata dalle Sezioni Unite, come evidenziato nel
paragrafo successivo.
3) Cause immobiliari di valore non superiore a
5.000 euro (Cass. S.U., n. 21582/2011).
Secondo la tesi dominante, deve ritenersi
esclusa ratione materiae la competenza del giudice di pace in tutte le controversie immobiliari,
cioè per tutte le cause relative a diritti reali e
personali su beni immobili.
Le Sezioni Unite, con la recentissima sentenza n. 21582 del 19-10-2011, hanno sottoposto a
revisione critica questa tesi, affermando la competenza del giudice di pace per le controversie in
materia di immobili quando abbiano ad oggetto il risarcimento del danno o il pagamento di una somma
di denaro non superiore a 5.000 euro.
In particolare, le Sezioni Unite hanno affermato “la competenza del giudice di pace (nei limiti della sua competenza per valore) in ordine
alle controversie aventi ad oggetto pretese che
abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o
di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che
la questione proprietaria non sia stata oggetto di
un esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta
non appaia, ictu oculi, alla luce delle evidenze
probatorie, infondata e strumentale - siccome
formulata in violazione dei principi di lealtà processuale - allo spostamento di competenza dal
giudice di prossimità al giudice togato”.
Devono ritenersi escluse le sole azioni reali
immobiliari, la cui causa petendi sia costituita da
un diritto reale.
4) Cause risarcitorie in materia di circolazione di
veicoli e natanti.
Il 2° comma dell’art. 7 attribuisce al g.d.p.
la competenza per materia in ordine alle cause
di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti, purché il valore della
controversia non superi euro 20.000,00 (importo incrementato dalla L. n. 69/2009). Occorre
sottolineare, per inciso, che all’aumento del carico di lavoro conseguente all’ampliamento della

48
competenza per valore dovrebbe accompagnarsi
un potenziamento degli organici della magistratura onoraria ma, soprattutto, una rivisitazione
delle attuali modalità di reclutamento, poiché la
carenza di seri criteri di valutazione del livello di
preparazione dei giudici di pace e l’assenza di
verifiche periodiche del grado di professionalità
non garantiscono il possesso, da parte dei giudici
non togati, delle abilità e delle capacità necessarie per assicurare una giustizia efficiente. Venendo all’esame della disposizione, per veicolo
deve intendersi ogni strumento idoneo a trasportare persone o cose ed a circolare senza scorrere
su rotaie, sia esso a trazione meccanica, animale
o umana (secondo Cass. n. 5455/2005, tuttavia, in tema di competenza del giudice di pace
in materia di circolazione stradale, l’espressione
“circolazione dei veicoli” contemplata, senza ulteriori specificazioni, dall’art. 7 deve intendersi
comprensiva anche della circolazione di veicoli
con guida di rotaie).
Per quanto concerne i veicoli spinti a braccia,
va sottolineato che deve pur sempre trattarsi di
macchine funzionalmente destinate alla circolazione su strada (CianTrabucchi).
Per la nozione di natante deve farsi riferimento all’art. 136 del codice della navigazione e alla
l. n. 50/1971 e successive modificazioni.
Per la nozione di circolazione, infine, può farsi riferimento all’art. 2054 c.c. Per circolazione
si intende, in particolare, il transito, la fermata e la sosta di veicoli su una strada pubblica
o su un’area privata soggetta ad uso pubblico o
comunque adibita al traffico di pedoni e veicoli.
Non rientra, invece, nel concetto di circolazione
lo spostamento di un veicolo su un’area privata
nella quale non esista un traffico e una circolazione di veicoli (Cass. 2-7-1977, n. 2885).
Ciò premesso, va evidenziato che secondo la
giurisprudenza la competenza per materia che
l’art. 7, 2° comma, attribuisce al giudice di pace
per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti non si
esaurisce nelle ipotesi contemplate dall’art. 2054
c.c. ma concerne anche i casi che, pur non essendo suscettibili di essere disciplinati da tale
articolo, tuttavia rientrano nella nozione di fatti
illeciti prodotti dalla circolazione di veicoli (Cass.
n. 15573/2000).
Così, ad esempio, il danno provocato al veicolo di proprietà di persona diversa dal conducente
dalla condotta di questi che lo guidi su incarico
del predetto proprietario, è risarcibile non ai sensi
dell’art. 2054 c.c., bensì ai sensi dell’art. 2043
c.c.; tuttavia, trattandosi di danno prodotto dalla
circolazione di un veicolo, l’eventuale domanda
risarcitoria deve essere in ogni caso conosciuta
dal giudice di pace (Cass. 746/2002).

49
5) Il 3° comma.
Il 3° comma prevede, anzitutto, il conferimento al g.d.p. della competenza, senza limiti
di valore, per le cause tra proprietari confinanti
relative all’apposizione di termini (art. 951 c.c.) e
all’osservanza delle distanze nel piantamento di
alberi e siepi (art. 892 c.c.). Ciò non implica la
competenza del g.d.p. anche per le controversie
promosse al fine di ottenere la recisione di rami
(o radici) che si protendano (o addentrino) da un
fondo in quello confinante, alla luce della disciplina sostanziale di cui all’art. 896 c.c., poiché
il g.d.p. ha, in linea generale, competenza solo
per cause mobiliari, tenuto anche presente che
la violazione dell’art. 896 c.c. implica la lesione
di un diritto reale (Cass. n. 859/2000).
Inoltre, poiché la norma si riferisce all’apposizione di termini, la stessa non è estensibile alla
diversa azione di regolamento di confini; essa,
inoltre, non ricomprende la materia relativa alle
distanze tra edifici (Satta, Andrioli).
Per quanto riguarda il n. 2 del 3° comma,
le cause relative alle modalità di uso dei servizi
condominiali sono quelle nelle quali si discute
sul modo più conveniente ed opportuno in cui
tale diritto di uso deve essere esercitato, nel rispetto della parità di godimento in proporzione
delle rispettive quote ex artt. 1102 e 1118 c.c.,
nonché in conformità del volere della maggioranza e delle eventuali disposizioni del regolamento
condominiale (Cass. n. 5467/1996).
Invece, le cause relative alla misura dei servizi stessi riguardano le riduzioni o le limitazioni
quantitative del diritto dei singoli condomini e si
identificano con quelle aventi ad oggetto provvedimenti dell’assemblea o dell’amministratore
che incidono sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli condomini.
Alle sopraindicate categorie è estranea ogni
controversia nella quale sia in discussione l’esistenza (o la portata) del diritto del condomino
ad utilizzare la cosa o il servizio comune, che resta attribuita al giudice competente secondo gli
ordinari criteri del valore della causa (Cass. n.
5448/2002; Cass. n. 25/2000).
In applicazione dei suddetti principi, si è affermato che:
- ai sensi dell’art. 7 c.p.c. appartengono alla competenza per materia del Giudice di pace
le cause relative all’installazione di un’apertura
automatica del portone di ingresso dello stabile mediante citofoni installati nelle singole unità
immobiliari, nonché all’adozione dell’uso della
chiave per l’utilizzo dell’ascensore, poiché non
viene messo in discussione il diritto stesso del
condomino a un determinato uso delle cose comuni, essendo controversa soltanto la regola-
Titolo I - Degli organi giudiziari  7
mentazione della misura e modalità d’uso dei
suddetti servizi (Cass. n. 4256/2006);
- la controversia relativa al diritto di utilizzazione del pianerottolo comune, che si assume leso
dall’apertura verso l’esterno (in sostituzione di
quella verso l’interno) di una porta di accesso
all’appartamento di proprietà di un condomino,
non rientra fra le cause relative alla misura e alle
modalità di uso dei servizi condominiali, attribuite al g.d.p., poiché essa ha ad oggetto la tutela,
ex art. 1102 c.c., del diritto al pari uso della cosa
comune e alla libertà del suo esercizio (il comodo
e sicuro passaggio per il pianerottolo). Essa è,
pertanto, devoluta alla cognizione del tribunale
(Cass. n. 8376/2005);
- la sosta di un’autovettura negli spazi comuni condominiali configura una modalità di uso
di detti beni, e la controversia nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di
utilizzazione rientra nella competenza per materia del g.d.p. (Cass. n. 2402/1999; Cass. n.
4575/1997);
- l’assicurare cavi elettrici ai muri comuni condominiali e l’installare centraline elettroniche ed
antenne TV sui muri stessi o su tetti o su terrazze
comuni configura una modalità di uso dei beni
condominiali, per cui la controversia nella quale
si discuta della legittimità o meno di tale forma
di utilizzazione riguarda il limite qualitativo o
quantitativo della facoltà di utilizzare i beni comuni e rientra nella competenza per materia del
g.d.p. (Cass. n. 14527/2001).
Il n. 3 del 3° comma, infine, attribuisce al
g.d.p. la competenza per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni che
superino la normale tollerabilità.
Le immissioni sono disciplinate dall’art. 844
c.c. Con il termine immissione si fa riferimento a
tutte le propagazioni “fastidiose” provenienti dal
fondo vicino, quali rumore, fumo, calore, esalazioni, scuotimenti etc.
Può trattarsi tanto di immissioni percepibili
attraverso i sensi dall’uomo quanto di immissioni
rilevabili attraverso apparecchi meccanici. Rientrano in tale categoria, quindi, anche le immissioni di radiazioni nocive, di onde elettromagnetiche, di correnti elettriche etc. Le immissioni
provenienti dal fondo vicino non possono superare la normale tollerabilità. Il limite della normale
tollerabilità deve essere discrezionalmente valutato dal giudice di merito: mancando nella legge
una misura in base alla quale stabilire con criteri
automatici il limite di tollerabilità delle immissioni, tale limite deve essere prudentemente determinato di volta in volta dal giudice con riguardo sia alle condizioni dei luoghi ed alle attività
normalmente svolte in un determinato contesto
7  Libro I - Disposizioni generali
produttivo sia al sistema di vita ed alle correnti abitudini della popolazione in un determinato
momento storico (Cass. 20-12-1985, n. 6534).
Va precisato, per quanto concerne la competenza del g.d.p., che questa sussiste solo in presenza di cause relative a rapporti tra proprietari
o detentori di immobili adibiti a civile abitazione,
con esclusione, dunque, delle utilizzazioni di immobili adibiti ad uso agricolo, commerciale ed
industriale, nonché di aziende.
6) Il comma 3 bis.
La L. n. 69/2009 ha inserito un comma 3 bis
all’art. 7, che attribuisce al giudice di pace le
controversie relative agli interessi e accessori da
ritardato pagamento di prestazioni previdenziali
o assistenziali.
Si attribuiscono, quindi, alla competenza del
giudice del pace le domande aventi ad oggetto
la richiesta di condanna dell’Inps, dell’Inail e di
altri enti previdenziali o assistenziali per il pagamento di interessi e rivalutazioni sulle prestazioni pagate in ritardo.
Si tratta di una disposizione irrazionale e di
scarsa utilità per i cittadini. Le cause previdenziali e assistenziali sono cause bagatellari, seriali, che al cittadino attribuiscono scarse utilità –
pochi euro di interessi maturati nei pochi mesi
di ritardo nell’erogazione della pensione o dell’indennità – ma che rischiano di pregiudicare le
finanze pubbliche.
Inoltre, si appesantisce ulteriormente – senza, lo ripetiamo, una reale utilità per gli utenti
della giustizia - il carico di lavoro dei giudici di
pace, affidando loro un’ulteriore competenza e
svincolando, tra l’altro, la causa previdenziale o
assistenziale dalla causa principale pendente davanti al giudice del lavoro.
7) Opposizione a ordinanza-ingiunzione.
L’art. 6 d.lgs. n. 150/2011 stabilisce che le
controversie previste dall’art. 22 l. n. 689/1981 sono regolate dal rito del lavoro, se non diversamente stabilito.
L’opposizione si propone davanti al giudice di
pace del luogo in cui è stata commessa la violazione, oppure davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione riguardante disposizioni in materia di:
- tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro
e prevenzione degli infortuni sul lavoro;
- previdenza e assistenza obbligatoria;
- tutela dell’ambiente dall’inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
- igiene degli alimenti e delle bevande;
- valutaria;
- antiriciclaggio.
L’opposizione si propone altresì davanti al tribunale:

50
- se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a 15.493
euro;
- quando, essendo la violazione punita con
sanzione pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una
sanzione superiore a 15.493 euro;
- quando è stata applicata una sanzione di
natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest’ultima.
Il ricorso deve proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento o entro sessanta giorni se il ricorrente
risiede all’estero, e può essere depositato anche
a mezzo del servizio postale.
L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa.
Con il decreto di cui all’art. 415, 2° comma,
c.p.c. il giudice ordina all’autorità che ha emesso
il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata,
copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione
della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente e
all’autorità che ha emesso l’ordinanza.
Nel giudizio di primo grado l’opponente e
l’autorità che ha emesso l’ordinanza possono
stare in giudizio personalmente.
L’autorità che ha emesso l’ordinanza può avvalersi anche di funzionari appositamente delegati.
Nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 205 d.lgs. n. 285/1992
il prefetto può farsi rappresentare in giudizio
dall’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, la quale vi provvede a mezzo di propri
funzionari appositamente delegati, laddove sia
anche destinataria dei proventi della sanzione.
Alla prima udienza, il giudice:
- quando il ricorso è proposto oltre i termini
di cui al 6° comma, lo dichiara inammissibile
con sentenza;
- quando l’opponente o il suo difensore non
si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, convalida con ordinanza appellabile
il provvedimento opposto e provvede sulle spese,
salvo che l’illegittimità del provvedimento risulti
dalla documentazione allegata dall’opponente,
ovvero l’autorità che ha emesso l’ordinanza abbia omesso il deposito dei documenti.
Il giudice accoglie l’opposizione quando non
vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente.
Con la sentenza che accoglie l’opposizione il
giudice può annullare in tutto o in parte l’ordinanza o modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta, che è determinata in

Titolo I - Degli organi giudiziari  8
51
una misura in ogni caso non inferiore al minimo
edittale.
Nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l’art. 113, 2° comma,
c.p.c.
Salvo quanto previsto dall’art. 10, co. 6bis,
d.P.R. n. 115/2002, gli atti del processo e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta.
8) Opposizione al verbale di accertamento di violazione del Codice della strada.
L’art. 7 d.lgs. n. 150/2011 stabilisce che le
controversie in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della
strada di cui all’art. 204 bis d.lgs. n. 285/1992
sono regolate dal rito del lavoro.
L’opposizione si propone davanti al giudice di
pace del luogo in cui è stata commessa la violazione entro trenta giorni dalla data di contestazione della violazione o di notificazione del verbale
di accertamento, ovvero entro sessanta giorni se
il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale.
Il ricorso è inammissibile se è stato previamente presentato ricorso ai sensi dell’art. 203
d.lgs. n. 285/1992.
L’opposizione si estende anche alle sanzioni
accessorie.
La legittimazione passiva spetta:
- al prefetto, quando le violazioni opposte sono state accertate da funzionari, ufficiali e agenti
dello Stato, nonché da funzionari e agenti delle Ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tranvie in
concessione e dell’ANAS; - a regioni, province e
comuni, quando le violazioni sono state accertate
da funzionari, ufficiali e agenti, rispettivamente,
delle regioni, delle province e dei comuni.
L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa.
Con il decreto di cui all’art. 415, 2° comma,
c.p.c. il giudice ordina all’autorità che ha emesso
il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata,
copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione
della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati a cura della cancelleria.
Nel giudizio di primo grado le parti possono
stare in giudizio personalmente. L’amministrazione resistente può avvalersi anche di funzionari
appositamente delegati.
Alla prima udienza il giudice:
- nei casi previsti dal 3° comma dichiara
inammissibile il ricorso con sentenza;
- quando l’opponente o il suo difensore non
si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, convalida con ordinanza appellabile
il provvedimento opposto e provvede sulle spe-
se, salvo che la illegittimità del provvedimento
risulti dalla documentazione allegata dall’opponente, ovvero l’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato abbia omesso il deposito
dei documenti.
Con la sentenza che accoglie l’opposizione il
giudice può annullare, in tutto o in parte, il provvedimento opposto. Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della
responsabilità dell’opponente.
Non si applica l’art. 113, 2° comma, c.p.c.
Con la sentenza che rigetta l’opposizione il
giudice determina l’importo della sanzione in
una misura compresa tra il minimo e il massimo
edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata. Il pagamento della somma deve avvenire
entro i trenta giorni successivi alla notificazione
della sentenza e deve essere effettuato a vantaggio dell’amministrazione cui appartiene l’organo
accertatore, con le modalità di pagamento da
questa determinate.
Quando rigetta l’opposizione, il giudice non
può escludere l’applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente
di guida.
Salvo quanto previsto dall’art. 10, co. 6 bis,
d.P.R. n. 115/2002, gli atti del processo e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta.
8 
. (1) [Competenza del pretore. – Il
pretore è competente per le cause, anche se
relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, in quanto
non siano di competenza del giudice di pace (7) (2).
È competente qualunque ne sia il valore
(10):
1) per le azioni possessorie (1168 ss.
c.c.), salvo il disposto dell’art. 704, e per le
denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’art. 688, secondo
comma;
2) per le cause relative ad apposizione di
termini e osservanza delle distanze stabilite
dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle
siepi (3);
3) per le cause (447 bis) relative a rapporti di locazione (1571 c.c.) e di comodato (1803 c.c.) di immobili urbani e per
quelle di affitto di aziende, in quanto non
9  Libro I - Disposizioni generali
siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie;
4) per le cause relative alla misura e alle
modalità di uso dei servizi di condominio
di case] (3).
(1) Articolo dapprima sostituito dall’art. 3 della L. 26
novembre 1990, n. 353, a decorrere dal 30 aprile 1995 e
poi abrogato dall’art. 49 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n.
51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2
giugno 1999.
(2) Comma così sostituito dall’art. 18 della L. 21 novembre 1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di pace, a
decorrere dal 1° maggio 1995 e poi di nuovo così sostituito
dall’art. 2 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con
modificazioni, nella L. 20 dicembre 1995, n. 534.
(3) Numero abrogato dall’art. 47 della L. 21 novembre
1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di pace, a decorrere dal 1° maggio 1995.
9 
. (1)Competenza del tribunale. – Il
tribunale è competente per tutte le cause
che non sono di competenza di altro giudice.
Il tribunale è altresì esclusivamente competente per le cause in materia di imposte
e tasse, per quelle relative allo stato e alla
capacità delle persone e ai diritti onorifici,
per la querela di falso, per l’esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore
indeterminabile.
(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 50 del
D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.
1) Nozioni introduttive.
Il pretore, cui faceva riferimento l’art. 8 del
presente codice, era un organo giudiziario monocratico con competenze in materia civile e
penale, con sede in ogni capoluogo determinato
da un’apposita tabella e, comunque, in ogni capoluogo di provincia.
Tale ufficio è stato soppresso dal d.lgs. n.
51/1998, e le competenze pretorili sono state
trasferite, a partire dal 2-6-1999, al Tribunale in
composizione monocratica. Solo per alcune questioni il Tribunale giudica in composizione collegiale (➠ 50 bis).
L’abrogazione della figura del pretore ha comportato quindi l’unificazione in un solo ufficio
(Tribunale) della giurisdizione ordinaria di primo
grado.

52
La norma in esame, al 1° comma, attribuisce
al Tribunale la competenza per le controversie non
attribuite ad altro giudice e sembra delineare, in
tal modo, una competenza di tipo residuale. Si
tratta, tuttavia, di una residualità soltanto apparente, poiché il passaggio delle competenze dell’ex pretore al Tribunale e l’assegnazione, a quest’ultimo, di numerose competenze “esclusive”,
rendono la competenza del Tribunale estremamente ampia, per cui, in realtà, è la competenza del giudice di pace a presentare il connotato
della residualità.
L’art. 9, 2° comma, elenca poi una serie di
materie di competenza esclusiva del Tribunale. Si
tratta, com’è evidente, di una scelta legislativa
di dubbia utilità, in quanto, come rilevato da alcuni autori, non ha senso ribadire la competenza
esclusiva del Tribunale in materie - come quelle
relative allo stato e alla capacità delle persone,
alla querela di falso e ai diritti onorifici - nelle
quali non vi è possibilità di interferenza alcuna
da parte dell’altro giudice di primo grado, non
essendo configurabile, rispetto alle predette materie, la competenza “concorrente” del giudice
di pace (Acone, Carpi-Taruffo).
2) Cause in materia di imposte e tasse.
La controversia tributaria, devoluta alla competenza esclusiva del Tribunale ai sensi dell’art.
9 (con le precisazioni di cui più avanti), è solo
quella nella quale si contesta il rapporto tributario intercorrente tra debitore e ente pubblico
impositore (o esattore del tributo). Peraltro, fino
a qualche tempo fa, in virtù del 2° comma della norma in commento e dell’art. 2 del d.lgs. n.
546/1992, la materia tributaria rientrava, in via
generale, nella giurisdizione del Tribunale ordinario, salvi i casi riservati ex lege alle Commissioni tributarie (anche se, di fatto, le competenze
attribuite a queste ultime erano così numerose
che la materia tributaria risultava affidata, per la
maggior parte, ad esse).
In questo quadro si è inserito l’art. 12 della
l. n. 448/2001 (legge finanziaria 2002), che ha
modificato l’art. 2 del citato d.lgs. n. 546/1992,
prevedendo l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di tutte le controversie aventi ad oggetto
tributi di ogni genere e specie. Pertanto, attualmente, la competenza del Tribunale in materia tributaria ha carattere residuale, occorrendo
un’espressa previsione normativa per escludere la competenza delle Commissioni tributarie
(Cass. n. 587/2003).
3) Cause in materia di stato e capacità delle persone.
Le questioni di stato sono quelle che si riferiscono alla posizione soggettiva dell’individuo
nella sua veste di cittadino e di soggetto di diritti

53
personali e politici nell’ambito della comunità civile e familiare. Le questioni attinenti alla capacità
delle persone sono, invece, quelle che investono
l’attitudine di un soggetto ad essere titolare di
diritti e doveri (capacità giuridica), ovvero la sua
idoneità a compiere, in modo cosciente e volontario, atti che modificano la propria situazione
personale e patrimoniale (capacità d’agire).
In applicazione delle predette nozioni, si è
ritenuto che non rientri fra le questioni concernenti lo stato e la capacità delle persone la controversia relativa al riconoscimento della qualità
di combattente, con tutti i diritti e i benefici a
questa connessi (Cass. n. 2708/1977) e che, invece, vi rientrino, tra le altre, le cause in materia
di filiazione (legittima, naturale e adottiva), rettificazione degli atti dello stato civile, interdizione
e inabilitazione, separazione e divorzio.
Si discute circa l’applicabilità della norma
in esame alla modifica dei provvedimenti relativi
alla prole assunti in sede di separazione e divorzio: mentre per alcuni la competenza spetta al
Tribunale (cfr. anche Cass. S.U. n. 961/1982),
secondo altri la competenza s’incardina in capo
al giudice dei minori.
4) Querela di falso.
La querela di falso, disciplinata anche dal
codice civile (artt. 2699 e ss.), è la domanda
diretta ad ottenere l’accertamento della falsità di
un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta o accertata all’esito di un processo. Con
tale strumento si può contestare sia il contenuto
del documento, sia la sua provenienza dalla persona che ne appare l’autore.
Considerati i risvolti penalistici della querela di falso, la competenza, in questa materia, è
stata attribuita in via esclusiva al Tribunale, sia
per le cause relative a querela di falso proposte
in via principale, sia per quelle proposte in via
incidentale in un processo pendente davanti ad
altro giudice. Se, poi, la querela viene proposta
in un processo penale, su di essa decide il giudice penale con efficacia di giudicato anche in sede
civile.
5) L’esecuzione forzata.
L’esecuzione forzata è lo strumento attraverso
il quale il creditore può ottenere l’adempimento
di una prestazione (ad esempio, il pagamento di
una somma di denaro) accertata da un provvedimento del giudice (ad esempio, da una sentenza) o risultante da un diverso documento dotato
di efficacia esecutiva (cambiale, assegno etc.),
qualora il debitore non adempia spontaneamente
(➠ 474 e ss.).
L’attribuzione al Tribunale della competenza in materia di esecuzione forzata è la diretta
conseguenza dell’abrogazione dell’art. 16 c.p.c.
Titolo I - Degli organi giudiziari  9
(operata dal d.lgs. n. 51/1998), che ripartiva la
competenza in materia esecutiva tra Tribunale,
competente per l’esecuzione immobiliare, e Pretura, competente per l’esecuzione su beni mobili
e crediti, per la consegna ed il rilascio di cose,
nonché per l’esecuzione degli obblighi di fare e
di non fare.
Nonostante l’ampia dizione dell’art. 9, che
attribuisce alla competenza esclusiva del Tribunale la materia dell’esecuzione forzata, al Giudice
di pace resta la competenza nei giudizi di opposizione ex artt. 615 e 619 c.p.c., nei limiti di valore
previsti dall’art. 7 c.p.c. (➠ 27).
6) Impugnazione del fermo amministrativo relativo a crediti di natura non tributaria: la competenza è del tribunale.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n.
20931/2011, hanno affermato che, nel caso in
cui sia impugnato un provvedimento di fermo amministrativo, o anche un semplice preavviso, relativo a crediti non di natura tributaria, è competente,
ratione materiae, sempre il tribunale, in virtù della
natura esecutiva del provvedimento in discussione.
Le Sezioni Unite avevano già affermato, con
sent. n. 11087/2010, che l’art. 86, co. 2, d.P.R.
n. 602/1973, in forza del quale il concessionario
deve dare comunicazione del provvedimento di
fermo al soggetto nei cui confronti si procede,
decorsi 60 giorni dalla notificazione della cartella esattoriale, è stato superato dalla prassi di
invitare ulteriormente l’obbligato a effettuare il
pagamento, comunicando contestualmente che
alla scadenza dell’ulteriore termine si procede
all’iscrizione del fermo. Si tratta di prassi notorie
che traggono origine da istruzioni dell’Agenzia
delle entrate alle società di riscossione. Quanto
alla diretta impugnabilità del preavviso del fermo, taluni arresti hanno escluso l’impugnabilità
del provvedimento per carenza di interesse, ma
tale indirizzo deve ritenersi superato dall’intervento delle Sezioni Unite secondo il quale il preavviso di fermo amministrativo che riguardi una
pretesa creditoria dell’ente pubblico di natura
tributaria è impugnabile davanti al giudice tributario, in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa
tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100
c.p.c., l’interesse del contribuente alla tutela
giurisdizionale per il controllo della legittimità
sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, in quanto
tale elencazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali
di tutela del contribuente e di buon andamento
della P.A., che in conseguenza dell’allargamen-
9  Libro I - Disposizioni generali
to della giurisdizione tributaria operato con la L.
n. 448/2001. Analoghe considerazioni valgono
quando il preavviso riguardi obbligazioni extratributarie. Ne deriva che la tesi della non impugnabilità del preavviso, prospettata con il secondo
motivo, non può trovare accoglimento.
In ordine alla giurisdizione, poi, va ribadito che, in materia di fermo ex art. 86 d.P.R. n.
602/1973 e di iscrizione ipotecaria (ex art. 77
d.P.R. cit.), la giurisdizione si ripartisce tra giudice ordinario e tributario a seconda della natura
del credito azionato (Cass. S.U. n. 679/2010):
le controversie in tema di fermo di beni mobili
di cui all’art. 86 cit., quindi, appartengono alla
giurisdizione delle commissioni tributarie solo se
il fermo è stato eseguito a garanzia del soddisfacimento di crediti di natura tributaria; allo stesso modo, quelle in tema di iscrizione ipotecaria
rientrano nella giurisdizione delle commissioni
tributarie soltanto nel caso in cui siano state effettuate per ottenere il pagamento di imposte e
tasse (Cass. 6594/2009).
Nell’ambito, poi, della giurisdizione ordinaria, la natura propriamente esecutiva del provvedimento di iscrizione di ipoteca e di fermo di
beni mobili registrati esclude la competenza del
giudice di pace, appartenendo la stessa unicamente al tribunale. Il provvedimento, infatti (in
base al principio secondo cui la tutela giudiziaria
esperibile nei riguardi del provvedimento di iscrizione di ipoteca e dell’omologo fermo amministrativo dei bei mobili registrati deve realizzarsi
davanti al giudice ordinario con le forme dell’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi), come evidenziato anche dalla sedes materiae delle norme che regolamentano ciascuno, trova la
sua esclusiva collocazione funzionale nell’ambito
dell’espropriazione forzata, ovvero della procedura di riscossione coattiva del credito, qualora la
notifica o la conoscenza del provvedimento non
costituisca solo l’occasione per impugnare (davanti al giudice avente giurisdizione in base alla
natura del credito e, se rilevante, al valore dello
stesso) la stessa pretesa creditoria che il concessionario intende realizzare coattivamente.
La competenza in questione, pertanto, va riconosciuta ratione materiae soltanto al tribunale,
perché solo questo giudice, per l’art. 9 c.p.c., è
“esclusivamente competente … per l’esecuzione
forzata”: la competenza per materia, inderogabile, del giudice dell’esecuzione, distribuita tra
uffici giudiziari diversi dall’art. 16 c.p.c., infatti,
è stata abolita dall’art. 51 D.Lgs. n. 51/1998,
che ha abrogato detta norma a decorrere dal
2-6-1999, per cui il tribunale ha competenza giurisdizionale esecutiva esclusiva (Cass. n.
5342/2009, n. 13757/2002).

54
7) Azioni possessorie.
Nonostante l’assenza di un’esplicita disposizione, deve senz’altro affermarsi che le azioni
possessorie (artt. 1168-1170 c.c.), dopo l’abrogazione dell’art. 8 c.p.c. (che le attribuiva al
pretore), sono attribuite al Tribunale monocratico quale giudice unico di primo grado (Cass. n.
11085/2003 e Cass. n. 9418/1993). Ciò risulta
chiaramente da due considerazioni:
- l’art. 1 del d.lgs. n. 51/1998 stabilisce che,
fuori dei casi in cui è diversamente disposto, le
competenze del pretore sono trasferite al Tribunale ordinario;
- le azioni possessorie non rientrano nella
competenza del Giudice di pace (➠ 7), per cui
devono necessariamente ritenersi appartenenti
alla competenza del Tribunale ex art. 9, 1° comma.
8) Cause di valore indeterminabile.
L’indeterminabilità del valore della causa, che
fa scattare la competenza esclusiva del Tribunale, attiene all’intrinseca inidoneità della pretesa
ad essere tradotta in termini pecuniari (Cass. n.
2942/1985), mentre nessuna rilevanza assume
la mancata determinazione, nel caso concreto,
del valore di essa. Pertanto, l’indeterminabilità
non sussiste quando l’oggetto della controversia
sia suscettibile di valutazione, da parte del giudice, in base ai criteri stabiliti dalla legge ed alle
risultanze degli atti (Cass. n. 7061/1998).
A ciò consegue l’impossibilità di annoverare aprioristicamente tutte la cause connesse ai
danni non patrimoniali fra quelle di valore indeterminabile, e così pure quelle relative al danno
biologico, a prescindere dalla qualificazione di
quest’ultimo come patrimoniale o meno, trattandosi, anche in tali ipotesi, di danni suscettibili
di valutazione economica e sempre monetizzabili
sulla base delle risultanze degli atti, secondo il
criterio equitativo o quello del valore medio del
punto di invalidità. Diversamente opinando, dovrebbe ipotizzarsi, per assurdo, una competenza
per materia del Tribunale relativamente a tutte
le domande di risarcimento del danno biologico,
con conseguente svuotamento della correlativa
competenza del Giudice di pace anche in presenza di lesioni modeste, perché il danno lamentato sarebbe, comunque, indeterminabile (Cass.
n. 9451/2000).
9) Locazioni immobiliari.
Tutte le controversie in materia di locazioni
immobiliari esulano dalla competenza del Giudice di pace perché, a seguito della soppressione
dell’ufficio del pretore, con la conseguente abrogazione dell’art. 8 c.p.c. ad opera del d.lgs. n.
51/1998, la competenza in materia di locazione

Titolo I - Degli organi giudiziari  10
55
di immobili urbani è stata attribuita al Tribunale
(Cass. n. 2143/2006).
Atto di opposizione al fermo amministrativo
TRIBUNALE DI . . .
RICORSO EX ART. 615, CO. 2, C.P.C.
Il sig. . . ., residente in . . . , via . . . , n. . . . , c.f. . .
. , elettivamente domiciliato in . . . , via … n.. . . . c.f. . .
..presso lo studio dell’avv. . . . il quale li rappresenta
e difende, in virtù di procura a margine al presente
atto, e dichiara di voler ricevere le comunicazioni al
n. di fax . . . o all’indirizzo di posta elettronica certificata . . .
comunicato al proprio ordine, propone
OPPOSIZIONE
all’iscrizione nei pubblici registri del fermo amministrativo del veicolo targato … su richiesta di …,
concessionario del servizio riscossione tributi per …
con sede in … e …, ente creditore, per l’annullamento, previa sospensiva, del provvedimento di fermo amministrativo dell’autoveicolo …, targato …, disposto
ai sensi dell’art. 86 d.P.R. n. 602/1973 in data … e
comunicato al proprietario sig. … il …
PREMESSA
1) In data … il concessionario del servizio riscossione tributi per . . . ha comunicato
al sig. … il provvedimento di fermo amministrativo dell’autoveicolo . . . , di sua proprietà, mediante iscrizione al P.R.A., per il mancato pagamento del
ruolo di cui alla cartella esattoriale n. … relativo a
crediti non tributari (. . . .).
2) La cartella di pagamento non è stata notificata all’odierno ricorrente. Il provvedimento di fermo
amministrativo, pertanto, deve considerarsi illegittimo per violazione degli artt. 86, 25 e 26 d.P.R. n.
602/1973 in merito all’omessa notifica della cartella
di pagamento. Tutto ciò premesso, il sig. . . . , rappresentato e difeso come in atti
CHIEDE
che il tribunale adìto, previa sospensione dell’esecuzione e fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, voglia ordinare la cancellazione del fermo amministrativo iscritto sui registri relativo al veicolo targato . . .
Con vittoria di spese, competenze e onorari del
giudizio. Si depositano i seguenti documenti:
1) provvedimento di fermo amministrativo n. . . .
del . . . ;
2) . . . .
Ai sensi dell’art. 14, co. 2, D.P.R. 115/2002 si dichiara che il valore del processo è di euro . . .
…, lì …
Avv. …
10  
. Determinazione del valore. – Il
valore della causa, ai fini della competenza,
si determina dalla domanda a norma delle
disposizioni seguenti.
A tale effetto le domande proposte nello
stesso processo contro la medesima persona
si sommano tra loro, e gli interessi scaduti
(1282, 1284 c.c.), le spese e i danni (1223
ss., 2043 ss. c.c.) anteriori alla proposizione
si sommano col capitale (31, 104).
1) La richiesta dell’attore.
Ai sensi della disposizione in esame, “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda”, ovvero dall’atto (ricorso o
atto di citazione) che fa nascere il processo.
La domanda deve contenere taluni elementi
necessari ai fini dell’esatta delimitazione dei termini della controversia, e precisamente:
- l’indicazione delle parti;
- la causa petendi (i fatti posti a fondamento
della domanda);
- il petitum (l’oggetto e il provvedimento richiesto al giudice).
Il valore della domanda va desunto in base
alla domanda dell’attore a prescindere dalla sua
fondatezza. A questo fine, non hanno rilevanza
neanche le contestazioni formulate dal convenuto. In altri termini, deve aversi riguardo soltanto a
quanto in concreto richiesto dall’attore (ex multis,
Cass. n. 9251/2004).
Inoltre, ai fini della determinazione del valore della causa, al valore della domanda principale
quella, cioè, che introduce il giudizio non va sommato il valore della domanda riconvenzionale, ossia della domanda con la quale il convenuto non
si limita a difendersi e a chiedere che venga respinta la domanda dell’attore, ma richiede, a sua
volta, che il giudice pronunci una sentenza nei
confronti dell’attore (ad esempio, la condanna al
pagamento di una somma di denaro). Infatti, il
cumulo è previsto per le sole domande proposte
contro la medesima parte nello stesso processo
(Cass. n. 1202/2003).
2) Il cumulo delle domande.
Ai sensi del 2° comma, per determinare il valore della causa le domande proposte nello stesso
processo contro la medesima persona si sommano tra loro (invece, non si sommano le domande
proposte in processi separati, anche se successivamente riuniti) e gli interessi scaduti, le spese
e i danni maturati prima della proposizione della
domanda si sommano col capitale.
11  Libro I - Disposizioni generali
Affinché le domande proposte nello stesso
processo contro un unico soggetto possano sommarsi tra loro, è necessario che colui che ha dato vita al processo abbia chiesto l’accoglimento
delle domande senza subordinare l’accoglimento dell’una all’esito dell’altra (cd. cumulo semplice). Pertanto, non si verifica il cumulo delle
domande né qualora si chieda l’accoglimento, in
via alternativa, dell’una o dell’altra domanda, né
quando si chieda l’accoglimento di una domanda
in via principale e, in caso di rigetto di questa,
l’accoglimento dell’altra domanda in via subordinata.
11. Cause relative a quote di ob-
bligazione tra più parti. – Se è chiesto
da più persone o contro più persone (102,
103) l’adempimento per quote di un’obbligazione (1314 ss. c.c.), il valore della causa
si determina dall’intera obbligazione.
1) Generalità.
L’obbligazione è un rapporto giuridico in forza
del quale un soggetto (debitore) è tenuto ad effettuare una prestazione, di natura patrimoniale
(ad esempio, consegna di una somma di denaro), nei confronti di un altro soggetto (creditore)
(artt. 1314 e ss. c.c.). La prestazione può consistere in un dare (ad esempio, dare una somma
di denaro), in un fare (ad esempio, consegnare
un libro) o in un non fare (ad esempio, non costruire un immobile a una determinata distanza
dal vicino).
Ciò premesso, la norma in esame stabilisce
che, se in un unico processo è chiesto l’adempimento (normalmente, il pagamento), da più attori o contro più convenuti, di un’unica obbligazione ripartita per quote, il valore della causa è dato
dal valore dell’intera obbligazione. Se, invece, la
controversia riguarda soltanto alcune quote, il
valore della causa è dato dal loro valore e non
dal valore dell’intera obbligazione (cfr. Cass. n.
11333/2003).
L’art. 11 pone un’eccezione alla regola del cumulo soggettivo desumibile dagli artt. 10 e 103,
in base alla quale, agli effetti della competenza
per valore, le singole domande proposte da un
solo attore nei confronti di più convenuti (litisconsorzio facoltativo passivo) o da più attori nei
confronti di un solo convenuto (litisconsorzio facoltativo attivo) o di più convenuti (litisconsorzio
facoltativo misto) non si sommano. L’operatività
del principio enunciato dall’art. 11 richiede la
sussistenza di due presupposti (Satta, Levoni):

56
l’unicità del rapporto obbligatorio e della domanda
giudiziale e la divisibilità dell’obbligazione. Esulano, quindi, dall’area di incidenza della norma:
- l’ipotesi in cui tra il creditore ed i vari debitori sussistano autonome e distinte obbligazioni,
seppure dipendenti da identico titolo, poiché in
tal caso le singole domande devono essere separatamente considerate ai fini della competenza
per valore (Cass. n. 8397/1998);
- la richiesta di adempimento delle quote effettuata da (o nei confronti di) più soggetti con
giudizi separati, successivamente riuniti a norma
dell’art. 274; in tal caso, infatti, la riunione lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e
non può dar luogo a spostamenti di competenza
per valore (Cass. n. 3968/1975).
2) Fattispecie.
Il credito di rimborso spettante al condomino
nei confronti degli altri partecipanti, per aver pagato un debito condominiale, dà vita a distinte
obbligazioni nei confronti dei condomini. Ne deriva l’inapplicabilità del cumulo previsto dall’art.
11 (Cass. n. 587/1992), poiché tale norma, presupponendo l’unicità del rapporto obbligatorio e
della domanda giudiziale, non è applicabile se
l’adempimento delle quote sia chiesto con azioni separate, sorrette da autonome e distinte ragioni obbligatorie. Invece, la competenza per la
domanda di annullamento di una delibera condominiale relativa alla ripartizione tra i condomini
di una spesa determinata nel suo ammontare, si
determina a norma degli artt. 11 e 14, in base al
valore complessivo della somma da ripartire e non
in base al valore della singola quota del condomino che ha assunto l’iniziativa giudiziaria (Cass. n.
5726/1994; Trib. Taranto, 6-2-1996).
In tema di mediazione (artt. 1754 e ss. c.c.),
in caso di conferimento dell’incarico da parte di
più soggetti, l’unitarietà del contratto dipende
dal fatto che gli incarichi, contestuali o successivi, espressi o taciti, convergono nell’intenzione
di giovarsi dell’opera del mediatore per la conclusione del contratto principale. Dall’unicità del
rapporto di mediazione scaturisce, per l’avvenuta
conclusione del contratto principale, il diritto di
ripetere pro quota la provvigione, che è essa stessa unica ancorché divisibile.
Una volta accertata l’unicità del contratto, la
competenza per valore a conoscere della domanda di pagamento di provvigioni avanzata dal mediatore nei confronti di una pluralità di soggetti
si stabilisce ai sensi dell’art. 11, dato che gli importi richiesti si raccolgono in unica somma, come
quote di un unico rapporto obbligatorio (Cass. n.
10062/1993 e Cass. n. 125/1971).

57
LA DETERMINAZIONE DEL VALORE
In dottrina e in giurisprudenza si è posto il problema di stabilire l’esatta portata dell’espressione
“intera obbligazione” contenuta nell’art. 11. In
particolare:
- secondo alcuni, con il riferimento all’obbligazione complessivamente considerata la norma si
riferisce, in realtà, soltanto al valore della parte di
obbligazione della quale si richiede il pagamento, quando non siano in giudizio tutti i creditori o
tutti i debitori (Satta, Andrioli);
- secondo altri, il dato testuale della norma non
è aggirabile in via interpretativa ed occorre, pertanto, riferirsi al valore di tutta l’obbligazione e non,
riduttivamente, della parte di obbligazione contestata (Rocco, D’Onofrio).
12. Cause relative a rapporti obbli-
gatori, a locazioni e a divisioni. – Il
valore delle cause relative all’esistenza, alla
validità o alla risoluzione di un rapporto
giuridico obbligatorio (1173 ss. c.c.) si determina in base a quella parte del rapporto
che è in contestazione (35).
[Nelle cause per finita locazione d’immobili il valore si determina in base all’ammontare del fitto o della pigione per un
anno, ma se sorge controversia sulla continuazione della locazione, il valore si determina cumulando i fitti o le pigioni relativi
al periodo controverso] (1).
Il valore delle cause per divisione (784
ss.; 713, 1111 c.c.) si determina da quello
della massa attiva da dividersi (22).
(1) Comma abrogato dall’art. 89, comma primo, della L.
26 novembre 1990, n. 353, a decorrere dal 30 aprile 1995.
1) I rapporti obbligatori.
La norma va intesa nel senso che, ogni volta
che nel processo si discute soltanto di una parte del rapporto obbligatorio, quella porzione del
rapporto deve intendersi “in contestazione”.
Tale principio subisce una deroga quando il
giudice è chiamato ad esaminare le questioni relative all’esistenza o alla validità dell’intero rapporto (Cass. n. 8958/1998). Ad esempio, nella controversia promossa da un condomino nei confronti
del condominio per sentir dichiarare l’inesistenza
dell’obbligo di pagare la propria quota di spesa,
Titolo I - Degli organi giudiziari  12
deliberata ed approvata, per tutti i condomini,
dall’assemblea, sull’assunto dell’invalidità della
delibera per violazione degli artt. 1136 e 1137
c.c., la contestazione deve intendersi estesa all’invalidità dell’intero rapporto, il cui valore è pertanto
quello da prendere in considerazione ai fini della determinazione della competenza; infatti, ciò
di cui si discute (il thema decidendum) riguarda
l’intera spesa oggetto della deliberazione (Cass. n.
12633/1991; Cass. S.U. n. 1004/1993).
2) Casistica.
La portata del 1° comma deve essere valutata
alla luce delle ipotesi applicative individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In particolare:
- quando l’attore chiede di essere dichiarato
proprietario di un bene immobile, in quanto acquistato con un contratto di compravendita (artt.
1470 e ss. c.c.) stipulato per scrittura privata della quale chiede contestualmente l’accertamento
dell’autenticità della sottoscrizione del venditore,
egli introduce in giudizio anche un’azione di natura reale, volta all’accertamento del diritto di
proprietà con efficacia di giudicato. Ne consegue
che la competenza per valore del giudice adito
deve essere stabilita in base al cumulo del valore delle due cause, l’una di carattere personale,
ai sensi dell’art. 12, 1° comma, l’altra di natura
reale immobiliare, ai sensi dell’art. 15, 1° comma (Cass. n. 4965/1995);
- se la controversia ha ad oggetto il contratto
di comodato (artt. 1803 e ss. c.c.) relativo ad un
bene immobile, per stabilire il valore della causa,
in mancanza di altri elementi forniti dalle parti,
è consentito assumere come parametri i valori
locativi del settore, tenendo conto, in concreto, del tempo, del luogo e dell’oggetto (Cass. n.
2136/1982);
- nelle azioni di condanna, il valore della causa è commisurato alle quote contestate;
- in caso di simulazione relativa, secondo alcuni il valore della causa si determina in base al
valore del bene oggetto del negozio dissimulato,
mentre secondo altri occorre guardare al valore del
bene indicato nell’atto simulato. A questo proposito, è il caso di precisare che si parla di simulazione relativa quando due o più soggetti pongono in
essere un determinato contratto (simulato) ma in
realtà ne vogliono un altro (dissimulato);
- il valore della causa di accertamento della
simulazione assoluta della compravendita si determina in base al prezzo indicato nell’atto che
si assume simulato (Cass. n. 713/1980). A tale
proposito, si ricorda che la simulazione assoluta ricorre quando le parti stipulano un contratto, mentre in realtà non vogliono costituire alcun rapporto contrattuale; ad esempio, Tizio, per
sfuggire al fisco, finge di vendere tutti i suoi beni
13  Libro I - Disposizioni generali
a Caio, ma i due si accordano nel senso questo
contratto non produca tra loro alcun effetto;
- nell’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.) il valore della causa è determinato dal valore del credito per il quale si agisce (Cass. n. 7250/1986);
- nell’azione di rescissione per lesione (art.
1448 c.c.), il valore della causa si determina
in base al prezzo indicato dall’attore come equo
(Micheli); altri fanno riferimento alla differenza
tra il prezzo pattuito e il prezzo equo (Andrioli) o,
ancora, all’ammontare del prezzo pattuito.
3) Le cause di divisione.
Il 2° comma stabilisce che il valore delle
cause di divisione si calcola in base al valore
complessivo della massa attiva (cioè delle cose)
oggetto di divisione, valore che risulta determinabile in base ai criteri di cui agli artt. 14 e 15,
a seconda che la massa sia costituita da beni
mobili o immobili.
Secondo autorevole dottrina (Satta), nella
massa attiva non possono calcolarsi anche i frutti maturati e percepiti, ovvero i beni mobili che
periodicamente derivano da un altro bene, sia direttamente come prodotto dello stesso, cd. frutti
naturali (lana, latte etc.), sia indirettamente come utilità collegata alla sua destinazione economica, cd. frutti civili (ad esempio, la somma
mensile pagata dall’inquilino).
La norma si applica anche:
- alle cause di riduzione per lesione di legittima
(art. 552 c.c.);
- alle cause per divisioni ereditarie e alle divisioni tra soci dopo lo scioglimento della comunione, poiché l’art. 12 può essere applicato a tutte
le divisioni di patrimoni caduti in comunione.
13. Cause relative a prestazioni ali-
mentari e a rendite. – Nelle cause per
prestazioni alimentari periodiche (433 ss.
c.c.), se il titolo è controverso, il valore
si determina in base all’ammontare delle
somme dovute per due anni.
Nelle cause relative a rendite perpetue
(1861 ss. c.c.; 5533), se il titolo è controverso, il valore si determina cumulando
venti annualità; nelle cause relative a rendite temporanee o vitalizie (1872 ss. c.c.),
cumulando le annualità domandate fino a
un massimo di dieci.
Le regole del comma precedente si applicano anche per determinare il valore delle cause relative al diritto del concedente
(5682; 960 c.c.).

58
1) Generalità.
La norma in esame detta la disciplina relativa
a tre distinte tipologie di controversie, riguardanti le prestazioni alimentari periodiche (erogazioni volte a soddisfare i bisogni essenziali di una
determinata persona, cd. alimentando, e dovute
per legge art. 433 c.c. -, per testamento - art.
660 c.c. - o per contratto) (➠ § 2), le rendite
perpetue e le rendite vitalizie o temporanee (➠ §
3), con un’estensione di detta regolamentazione,
operata dal 3° comma, alle cause relative al diritto del concedente in materia di enfiteusi (artt.
957 e ss. c.c.).
Trattandosi di prestazioni aventi ad oggetto
somme di denaro, il criterio generale applicabile,
in tema di competenza, è quello previsto dall’art.
14, a norma del quale “nelle cause relative a
somme di denaro […] il valore si determina in
base alla somma indicata […] dall’attore”.
L’art. 13, pertanto, opera soltanto se la controversia investa anche il titolo sul quale si fonda la
domanda (Segré). Sussiste una “controversia sul
titolo” sia quando se ne contesta in radice l’esistenza (si afferma, ad esempio, che un certo contratto non è mai stato stipulato), sia quando si
chiede l’accertamento del suo contenuto o della
sua portata.
2) Le prestazioni alimentari periodiche.
Il criterio stabilito dal 1° comma, per il quale
sulle somme per prestazioni alimentari periodiche, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute
per due anni, trova applicazione anche quando la
contestazione investe l’aspetto della decorrenza e
della cadenza temporale delle periodiche erogazioni
(ad esempio, la questione della maturazione, anticipata o posticipata, del diritto all’assegno mensile di mantenimento stabilito nel procedimento
per separazione personale dei coniugi) (Cass. n.
3791/1989 e Cass. n. 5777/1988). Secondo una
parte della dottrina (Andrioli), la disposizione in
esame è applicabile alle prestazioni alimentari
che hanno il loro titolo nella legge e che riguardano la cerchia familiare, nonché agli alimenti extrafamiliari, quali, ad esempio, gli alimenti derivanti
da disposizioni mortis causa (testamento).
Un’applicazione particolare del 1° comma riguarda le cause di divorzio. Queste ultime, infatti,
devono essere considerate di valore indeterminabile, poiché non sono esattamente determinabili
nel loro valore. Tuttavia, per quanto riguarda la
domanda diretta ad ottenere l’assegno di divorzio,
pur non avendo detto assegno natura strettamente alimentare, il valore della causa si determina ai
sensi dell’art. 13, 1° comma, che disciplina il valore delle cause relative agli assegni alimentari.

59
3) Le rendite perpetue, temporanee e vitalizie.
Il 2° comma ha riguardo alle rendite perpetue,
da un lato, e a quelle temporanee o vitalizie dall’altro. A questo proposito, occorre precisare che:
- la rendita perpetua (artt. 1861 e ss. c.c.) è
il contratto con cui una parte conferisce all’altra
il diritto di esigere, in via permanente, la prestazione periodica di una somma di denaro o di
una certa quantità di beni fungibili, quale corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della
cessione di un capitale. Si tratta di un contratto
periodico, e il diritto di esigere la prestazione periodica, entrando definitivamente nel patrimonio
del soggetto che ne ha titolo, è trasferibile mediante atti inter vivos o mortis causa;
- la rendita vitalizia (artt. 1872 e ss. c.c.) è
un contratto aleatorio che può essere costituito a
titolo oneroso, mediante l’alienazione di un bene
mobile o immobile o mediante cessione di capitale, o a titolo gratuito. Nella rendita vitalizia il
diritto si estingue con la morte del suo titolare e,
a differenza della rendita perpetua, non opera il
diritto di riscatto.
Alle rendite vitalizie sono assimilate le pensioni
di invalidità, ai fini della determinazione della competenza. Pertanto, il valore di una causa in tema
di pensione d’invalidità dev’essere determinato alla
stregua del criterio dettato dal 2° comma dell’art.
13 per le cause relative a rendite temporanee o vitalizie, ovvero cumulando fino ad un massimo di dieci le annualità domandate (Cass. n. 373/1989).
4) Il diritto del concedente.
Il diritto del concedente è assimilabile ex art.
13, 3° comma ad una rendita, in quanto si sostanzia nella percezione del canone (artt. 960961 c.c.). Perciò, mentre il codice di rito considera gli altri diritti reali immobiliari sulla base
dell’imposta fondiaria (➠ 15), il valore della
causa di revisione del canone enfiteutico si determina cumulando venti o dieci annualità di canone, a seconda che si tratti di enfiteusi perpetua o
temporanea, anche se l’enfiteuta, pur non contestando il diritto del concedente alla revisione, si
limiti a contestarne la misura.
Analogamente, il valore delle cause relative al diritto del concedente al rilascio del fondo
enfiteutico si determina cumulando venti o dieci annualità di canone, a seconda che si tratti
di enfiteusi perpetua o temporanea, e il calcolo
deve essere effettuato con riferimento al canone
dovuto per legge (Cass. n. 4784/1978).
Anche in sede di opposizione all’esecuzione,
relativa al diritto del concedente al rilascio del
fondo, il valore della causa si determina cumulando venti o dieci annualità di canone, a seconda che si tratti di enfiteusi perpetua o temporanea (Cass. n. 479/1977).
Titolo I - Degli organi giudiziari  14
14. Cause relative a somme di da-
naro e a beni mobili. – Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili
(812 c.c.), il valore si determina in base alla
somma indicata o al valore dichiarato dall’attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito.
Il convenuto può contestare, ma soltanto nella prima difesa (38, 167), il valore come sopra dichiarato o presunto; in tal caso
il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti
e senza apposita istruzione.
Se il convenuto non contesta il valore
dichiarato o presunto, questo rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti
della competenza del giudice adito.
1) Generalità.
L’art. 14 costituisce un’applicazione, nelle controversie relative a somme di denaro ed a
beni mobili, del principio fissato dall’art. 10 (in
base al quale “il valore della causa, ai fini della
competenza, si determina dalla domanda”).
Peraltro, dopo aver stabilito che il valore della
causa si determina in base alla somma indicata
o al valore (del bene mobile) dichiarato dall’attore, il 1° comma aggiunge che, in mancanza
dell’indicazione o della dichiarazione suddette,
“la causa si presume di competenza del giudice
adito”.
La portata di quest’ultimo inciso è stata fortemente ridimensionata dall’abrogazione dell’ufficio del pretore (operata dal d.lgs. n. 51/1998),
poiché, attualmente, la presunzione in esame
vale soltanto per le cause che si svolgono davanti al Giudice di pace, in quanto il Tribunale è
competente per tutte le cause di valore indeterminabile.
2) Cause relative a somme di denaro e a beni mobili
(1° comma).
Per “somma di denaro”, ai sensi dell’art. 14,
si intende la pretesa determinata fin dall’inizio in
denaro, nonché la pretesa che si risolve, per il
creditore, in una somma di denaro per effetto dell’inadempimento del debitore (ad esempio, il debitore non adempie un obbligo assunto a seguito
della stipulazione di un contratto, ed il creditore
chiede la condanna del debitore al risarcimento
del danno).
14  Libro I - Disposizioni generali
Ai fini della determinazione del valore della
causa avente ad oggetto il pagamento di una
somma di denaro, deve aversi riguardo a quanto
concretamente richiesto dall’attore; di conseguenza, l’eccezione del convenuto (ovvero, la contestazione avanzata da colui nei cui confronti viene
proposta la domanda) in ordine all’esistenza o
alla validità del rapporto contrattuale sul quale è
basata la domanda non sposta la competenza.
Allo stesso modo, se l’attore, oltre alla somma indicata, chiede la condanna al pagamento
della “diversa somma, anche minore, ritenuta di
giustizia” (formula in voga nella prassi forense),
il valore della causa resta immutato, trattandosi di una mera clausola di stile inidonea ad incidere sul valore della controversia (Cass. n.
1744/1973). Alle domande relative a somme
di danaro e a beni mobili vanno equiparate, ai
fini della competenza per valore, le azioni aventi
ad oggetto l’adempimento di un obbligo di fare
(ad esempio, l’abbattimento di una costruzione),
poiché l’obbligo di fare è sempre valutabile sotto il profilo economico e, quindi, rapportabile ad
una somma di denaro (Cass. n. 4399/1997).
3) Fattispecie.
Sono assoggettate alla disciplina dell’art. 14:
- la domanda di riduzione in pristino della situazione dei luoghi (ad esempio, la demolizione
di un immobile), che, come ogni domanda che
ha per oggetto un obbligo di fare, dà luogo ad
un’azione riconducibile, in mancanza di una specifica disciplina, a quelle mobiliari, ed il cui valore può essere determinato in base alla somma
indicata dall’attore o deve, in mancanza, essere
presunto nei limiti di competenza del giudice
adito (Cass. n. 2106/1994);
- le domande riguardanti i debiti di valore (si
parla di debiti di valore quando il debitore è obbligato a trasferire al creditore un certo valore
economico che, solo al momento dell’adempimento, si tradurrà in una somma di denaro determinata);
- le azioni mobiliari, riguardanti cioè beni mobili (Cass. n. 2018/1971; Segré).
Discussa, invece, è la riconducibilità all’art.
14 delle azioni personali aventi ad oggetto beni
immobili (ad esempio, la richiesta di restituzione di un appartamento): parte della dottrina e
della giurisprudenza le considerano assoggettate
all’art. 14, mentre altri autori (Andrioli) le riconducono sotto l’art. 12.
4) La “clausola di contenimento”.
Se l’attore non ha indicato la somma richiesta o dichiarato il valore dei beni mobili oggetto
della controversia, la domanda si presume corrispondente al limite massimo della competenza del
giudice. Pertanto, se accanto alla domanda di

60
valore indeterminato ne viene proposta un’altra,
si determina automaticamente il superamento
della competenza del giudice adìto, la cui competenza massima risulta già “consumata” dalla
domanda di valore indeterminabile (che, come
detto, è considerata di valore pari al limite massimo della competenza del giudice adìto), salvo
che la parte, al momento della proposizione della domanda di valore indeterminato, dichiari di
voler contenere la propria richiesta nei limiti di
competenza del giudice adìto attraverso la cd.
clausola di contenimento. Analogamente, se nello
stesso processo e contro la medesima persona
vengono proposte più domande, ciascuna di valore indeterminato, la dichiarazione dell’attore
di volerle contenere nei limiti di competenza del
giudice adìto esclude la competenza del giudice
superiore, in deroga alla presunzione ricavabile
dall’art. 14 (per la quale ciascuna domanda dovrebbe ritenersi pari al limite massimo di competenza del giudice adito, onde tutte insieme,
sommate a norma dell’art. 10, dovrebbero superare tale limite), poiché la suddetta dichiarazione
comporta la proporzionale riduzione delle richieste inerenti alle domande di valore indeterminato
(cfr. Cass. n. 9945/1995).
5) La contestazione del convenuto (2° e 3° comma).
Per contestare la presunzione di competenza per valore del giudice adito ex art. 14, non è
sufficiente che il convenuto contesti l’incompetenza del giudice o sollevi obiezioni generiche o
immotivate, ma occorre una specifica e motivata
contestazione contenuta, a pena di decadenza,
nel primo atto difensivo, cioè nella comparsa di
costituzione e risposta (ciò risulta chiaramente
dalla nuova formulazione dell’art. 167, come
modificato dalla L. n. 80/2005, al cui commento
si rimanda). In caso di mancata (o tardiva) contestazione, la competenza si radica, anche ai fini
del merito della controversia, presso il giudice
adito, secondo le indicazioni dell’attore o il meccanismo presuntivo di cui al 1° comma.
Il 2° comma - in base al quale, in caso di
contestazione proposta dal convenuto circa il valore della domanda, come dichiarato o presunto
ai sensi del 1° comma, consente al giudice di
decidere al riguardo ai soli fini della competenza
- opera esclusivamente nei casi di controversie
riguardanti cose mobili diverse dal denaro. Nessuna contestazione, invece, è ammessa per le
cause aventi ad oggetto il pagamento di somme
di denaro, dovendo tenersi unicamente conto
della somma indicata dalla parte con specificazione numerica ovvero con parametri di riferimento. Pertanto, se la domanda di pagamento
di una somma di denaro è proposta a titolo di risarcimento del danno e vengono indicate distinte

Titolo I - Degli organi giudiziari  15
61
componenti di questo, una delle quali indeterminata, deve ritenersi che la somma richiesta,
ancorché parzialmente indicata, sia stata contenuta dall’attore, tanto nel limite minimo quanto
in quello massimo, nella competenza per valore
del giudice adito.
15. (1) Cause relative a beni immo-
bili. – Il valore delle cause relative a beni
immobili è determinato moltiplicando il
reddito dominicale del terreno e la rendita
catastale del fabbricato alla data della proposizione della domanda (5681):
 per duecento per le cause relative alla
proprietà;
 per cento per le cause relative all’usufrutto, all’uso, all’abitazione, alla nuda proprietà e al diritto dell’enfiteuta;
 per cinquanta con riferimento al fondo
servente per le cause relative alla servitù.
Il valore delle cause per il regolamento
di confini si desume dal valore della parte
di proprietà controversa, se questa è determinata; altrimenti il giudice lo determina a
norma del comma seguente.
Se per l’immobile all’atto della proposizione della domanda non risulta il reddito
dominicale o la rendita catastale, il giudice determina il valore della causa secondo
quanto emerge dagli atti; e se questi non offrono elementi per la stima, ritiene la causa
di valore indeterminabile.
(1) Articolo così sostituito dall’art. 7 L. 30 luglio 1984,
n. 399, in vigore dal 29 novembre 1984.
1) Rilevanza della norma.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n.
51/1998, recante l’istituzione del giudice unico
di primo grado, l’utilità pratica di questa norma
è venuta meno.
Infatti, a seguito dell’abolizione dell’ufficio
del pretore, la competenza a conoscere delle
azioni di natura reale relative a beni immobili è
attribuita in via esclusiva al Tribunale, non avendo il Giudice di pace competenza alcuna in materia immobiliare. Pertanto, nelle cause relative
alla proprietà ed agli altri diritti reali (artt. 832 e
ss. c.c.) su beni immobili, è sempre competente
il Tribunale. Da ciò discende che l’art. 15, pur
essendo ancora formalmente in vigore, deve ritenersi virtualmente abrogato.
Semmai, la norma presenta una qualche utilità residua con riguardo a quelle ipotesi in cui
la determinazione del valore dell’immobile risponda a finalità diverse rispetto alla fissazione
della competenza: è il caso dell’art. 568 in tema
di determinazione del valore dell’immobile agli
effetti dell’espropriazione forzata, che richiama
espressamente il 1° comma dell’art. 15 (CarpiTaruffo).
16  
. (1) [Esecuzione forzata. – Per
la consegna e il rilascio di cose (605-611;
2930 c.c.) e per l’espropriazione forzata
(2910 ss. c.c.) di cose mobili (513-542) e
di crediti (543-554) è competente il pretore
(26, 484).
Per l’espropriazione forzata di cose immobili (555-598) è competente il tribunale
(21, 26).
Se cose mobili sono soggette all’espropriazione forzata insieme con l’immobile
nel quale si trovano (556), per l’espropriazione è competente il tribunale anche relativamente ad esse.
Per l’esecuzione forzata degli obblighi di
fare e di non fare è competente il pretore
(612 ss.; 2931 ss. c.c.)].
(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 51 del
D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del
giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.
17. Cause
relative all’esecuzione
forzata. – Il valore delle cause di opposi-
zione all’esecuzione forzata (27, 615) si determina dal credito per cui si procede:
 quello delle cause relative alle opposizioni proposte da terzi a norma dell’art.
619, dal valore dei beni controversi;
 quello delle cause relative a controversie
sorte in sede di distribuzione (512, 598), dal
valore del maggiore dei crediti contestati.
1) La ripartizione della competenza tra giudice di
pace e tribunale.
Mentre l’art. 16 c.p.c., dedicato ai criteri di
determinazione della competenza nei processi
di esecuzione forzata, è stato abrogato in corre-
17  Libro I - Disposizioni generali
lazione alla soppressione dell’ufficio del pretore,
per cui la competenza in questa materia spetta
ora sempre al Tribunale (Mandrioli), l’art. 17, che
detta i criteri di determinazione della competenza
per valore nelle cause di opposizione all’esecuzione, è rimasto intatto, residuando perciò una competenza del Giudice di pace nelle cause di opposizione all’esecuzione ex artt. 615 e 619 c.p.c.
In particolare, l’art. 17 fissa i seguenti criteri:
- nell’opposizione del debitore all’esecuzione
(➠ 615) si ha riguardo al valore del credito per
cui si procede. Secondo alcuni, se il credito contestato dal debitore in sede di opposizione è inferiore all’ammontare complessivo del credito, si
ha riguardo alla parte di credito in contestazione
(Segrè). Il valore del credito per cui si procede si
ricava dall’atto di precetto, mentre il valore del
credito o della parte di credito in contestazione si
desume dalla somma indicata nell’atto di opposizione. Nell’esecuzione per consegna o rilascio
(➠ 615) e nell’esecuzione di obblighi di fare e
di non fare (➠ 612), se il diritto per il quale
si procede è di natura immobiliare il valore va
calcolato in base all’art. 15, mentre se si tratta
di un diritto reale mobiliare o di un credito si applica l’art. 14 c.p.c. (Carpi-Taruffo);
- nell’opposizione proposta da un terzo (➠
619) si ha riguardo al valore dei beni controversi. Precisamente, l’opposizione deve essere presentata al Tribunale del luogo dell’esecuzione, il
quale poi valuterà chi sia il giudice competente
a conoscere del merito dell’opposizione facendo
riferimento al criterio del valore dei beni controversi;
- nelle cause relative alle controversie sorte in
sede di distribuzione (➠ 512) si ha riguardo stando alla lettera dell’art. 17 c.p.c., tuttora vigente - al valore del maggiore dei crediti contestati,
come affermati dall’attore. Tuttavia, deve sottolinearsi che, a seguito delle modifiche apportate all’art. 512 c.p.c. dalla l. n. 80/2005, è prevista una
competenza esclusiva per materia del giudice
dell’esecuzione, il quale è sempre competente
(qualunque sia il valore) a risolvere le controversie sorte in sede di distribuzione. È venuto meno,
pertanto, ogni riferimento all’art. 17 c.p.c.
Sono, invece, attribuite alla competenza
esclusiva del Tribunale le cause di opposizione
agli atti esecutivi (➠ 617).
OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE
FORZATA (ART. 615)
L’opposizione all’esecuzione forzata è lo strumento che il debitore ha a disposizione per contestare l’esistenza o l’efficacia del titolo esecutivo o

62
del precetto oppure la pignorabilità dei beni che
il creditore intende sottoporre ad esecuzione. L’opposizione può essere proposta dal debitore o da una
terza persona sottoposta ad esecuzione.
Il soggetto che propone l’opposizione è l’opponente e, come tale, ha la qualità di vero e proprio
attore; il creditore che procede all’esecuzione forzata, invece, nel processo di opposizione assume la
veste di convenuto.
Sezione III
Della competenza
per territorio
Il codice di rito, dopo essersi occupato (➠717) della distribuzione delle competenza tra i
diversi tipi di uffici giudiziari (Giudice di pace,
Tribunale, Corte d’appello), negli artt. 18 e ss.
detta i criteri per rinvenire, tra gli uffici del medesimo tipo, quello competente per territorio, ovvero l’ufficio davanti al quale si dovrà celebrare
il processo.
L’ufficio giudiziario competente per territorio
a conoscere una determinata causa è denominato “foro”.
Infatti, ogni ufficio giudiziario esercita le proprie funzioni con riferimento ad una specifica
area di intervento (definita “mandamento” per il
Giudice di pace, “circondario” per il Tribunale e
“distretto” per la Corte d’appello).
Le norme sulla competenza territoriale individuano fori diversi:
- fori generali, valevoli per tutte le controversie (tranne quelle espressamente escluse). È il
caso del foro generale delle persone fisiche e degli enti collettivi (➠ 18 e 19);
- fori speciali, che valgono soltanto per determinate cause (➠, ad esempio, 413, 444 e
447 bis);
- fori esclusivi, che operano a preferenza di
ogni altro, pur rimanendo derogabili per iniziativa
delle parti;
- fori concorrenti elettivi e successivi, se la
scelta avviene a discrezione dell’attore (➠20) o
se l’uno può essere adito soltanto in mancanza
dell’altro (➠ 18);
- fori derogabili dalla volontà delle parti, con
le modalità indicate dagli artt. 29 e 30, e fori
inderogabili (➠28 e 25), la cui inosservanza può
essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
Il foro generale delle persone fisiche e delle
persone giuridiche (➠18 e 19) nasce dall’esigenza che le stesse siano convenute davanti al
giudice del luogo davanti al quale per loro è meno oneroso rispondere. Nondimeno, il foro generale ammette un foro alternativo, poiché per le

63
cause relative ai diritti di obbligazione è competente anche il giudice del luogo in cui è sorta o
deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio
(➠ 20). La competenza per territorio può essere
derogata dalle parti: ciò comporta che, fuori dei
casi previsti dall’art. 28, l’incompetenza deve
essere eccepita nella comparsa di risposta (➠
38, 2° comma, e 167, come novellato dalla l.
n. 80/2005).
Le varie ipotesi di foro speciale nascono, invece, dal vantaggio indubbio per entrambe le parti
di radicare la lite davanti al giudice del luogo in
cui i loro interessi sono collocati.
I fori speciali prevalgono sul foro generale. Il
fatto stesso che i fori speciali si pongano come
deroga rispetto alla regola raffigurata dal foro generale dà ragione della loro prevalenza, in base
al noto principio per cui la disposizione speciale
prevale rispetto a quella generale.
18. Foro generale delle persone fi-
siche. – Salvo che la legge disponga altrimenti (20, 27, 413, 444, 637, 661, 669 ter,
669 quater, 669 quinquies, 688, 825, 828,
831; 9, 161, 187e 195 l. fall.), è competente il giudice del luogo in cui il convenuto
ha la residenza o il domicilio (43, 2196 n.
4 c.c.), e, se questi sono sconosciuti, quello
del luogo in cui il convenuto ha la dimora
(139).
Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nello Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del
luogo in cui risiede l’attore (142, 143).
1) Ratio e disciplina.
L’art. 18, nel disciplinare il foro generale delle persone fisiche, privilegia con tutta evidenza il
convenuto, poiché il processo si deve celebrare
nel foro del luogo in cui quest’ultimo ha la residenza, il domicilio o la dimora (1° comma).
Invece, la posizione dell’attore viene presa
in considerazione soltanto in via sussidiaria, nel
caso in cui non operi la regola generale sancita
dal 1° comma.
L’intento della norma è chiarissimo: addossare all’attore i costi della sua iniziativa, mentre
il convenuto, che la subisce, merita di godere
della condizione più favorevole alla sua difesa,
costituita dal minore spostamento territoriale
(Mandrioli).
Titolo I - Degli organi giudiziari  18
Dalla lettura dell’art. 18 è possibile enucleare la seguente disciplina in materia di foro territoriale:
- il foro generale delle persone fisiche coincide
con il luogo nel quale il convenuto ha la residenza o il domicilio. Se questi sono sconosciuti, si fa
riferimento alla dimora;
- i fori della residenza e del domicilio sono
elettivamente concorrenti, per cui, se non coincidono, l’attore può scegliere liberamente tra l’uno
e l’altro;
- se il convenuto non ha residenza, domicilio
o dimora nella Repubblica o se la sua dimora è
sconosciuta, si fa riferimento alla residenza dell’attore;
- se né il convenuto né l’attore hanno residenza
nello Stato e la controversia è assoggettata alla
giurisdizione italiana, qualunque giudice, scelto
liberamente dall’attore, è territorialmente competente a conoscere la causa.
Il foro generale delle persone fisiche vale come criterio generale per le cause relative a diritti
personali (ad esempio, diritti della personalità) e
di famiglia, a diritti di obbligazione (ad esempio,
diritti di credito) e a diritti su beni mobili (Lacoppola).
Nei procedimenti di volontaria giurisdizione
(➠ 737 e ss.), dove non sempre è possibile individuare il convenuto, l’art. 18 deve essere interpretato sostituendo alla parola “convenuto”
quella di “parte”, con la conseguenza che è territorialmente competente il giudice del luogo dove
l’unica parte o una qualunque delle parti ha il
domicilio o la residenza, ovvero la dimora, nel
caso in cui domicilio e residenza siano sconosciuti o siano all’estero.
2) Il foro del consumatore.
Prima del varo del Codice del consumo
(D.Lgs. 206/2005), la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 16336/2004, 15475/2004,
18290/2003, S.U. 14669/2003) era consolidata nel ritenere che, in tema di contratti stipulati tra professionista e consumatore, l’art.
1469 bis, 3° comma, n. 19 c.c. (articolo ora
abrogato e “confluito” nell’attuale art. 33 D.Lgs.
206/2005), nel presumere la vessatorietà della
clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore, avesse
introdotto un foro esclusivo speciale, derogabile
dalle parti solo con trattativa individuale. Ne consegue che si presumeva vessatoria anche la clausola che stabilisse un foro coincidente con uno
dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., se
diverso da quello del consumatore, perché l’art.
1469ter, 3° comma, c.c. - per il quale non sono vessatorie le clausole che riproducono dispo-
18  Libro I - Disposizioni generali
sizioni di legge - non poteva essere interpretato
vanificando in modo surrettizio la tutela del consumatore.
Il quadro normativo non è mutato a seguito
dell’entrata in vigore del Codice del consumo
(D.Lgs. n. 206/2005), che riproduce fedelmente
all’art. 33, 2° comma, lett u), la formula del vecchio art. 1469 bis, 3° comma, n. 19, prevedendo che si presume vessatoria, fino a prova contraria, la clausola che ha per effetto di stabilire,
come sede del foro competente, una località diversa da quella di residenza o domicilio eletto del
consumatore e, all’art. 36, 1° comma, commina
alle clausole considerate vessatorie - ai sensi degli artt. 33 e 34 - la sanzione di nullità.
Pertanto, non è prevista una competenza territoriale inderogabile del foro del consumatore,
bensì una competenza territoriale esclusiva ma
derogabile nell’ipotesi in cui la clausola di deroga della competenza sia stata oggetto di una
trattativa individuale. In tale ipotesi (e solo in
questa) è ammesso il concorso del foro del consumatore con quelli alternativi previsti dagli artt.
19 e 20 c.p.c. (Trib. Venezia, 2710-2006).
3) La competenza per territorio nel giudizio di restrizione dell’ipoteca.
L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore, in caso di inadempimento
dell’obbligazione, il potere di espropriare i beni
oggetto dell’ipoteca stessa al fine di soddisfarsi
sul ricavato della loro vendita con prelazione rispetto agli altri creditori (artt. 2808 e ss. c.c.).
L’ipoteca si costituisce con l’iscrizione in
un pubblico registro; se l’ipoteca viene iscritta
per una somma superiore al diritto di credito, è
prevista l’azione di riduzione dell’ipoteca (art.
2872 c.c.), finalizzata a ridurre la somma per
cui è stata presa l’iscrizione ipotecaria o a restringere l’iscrizione ad una parte dei beni. Con
tale azione, l’attore non nega l’esistenza di un
valido vincolo ipotecario, ma lamenta che esso
grava sui beni in misura eccessiva rispetto alla
tutela da accordare al credito garantito. Quello
previsto dall’art. 2872 c.c. è, quindi, un rimedio
a favore del garante nei confronti del cd. eccesso
di cautela nella salvaguardia del credito garantito. I presupposti per l’azione di riduzione sono, dunque, l’esistenza e la validità dell’ipoteca,
nonché l’evidente sproporzione tra il valore dei
beni vincolati e l’importo del credito garantito.
Non v’è dubbio, pertanto, che l’azione si collochi
nell’ambito di operatività di un rapporto ipotecario. Alla natura personale dell’azione di riduzione
consegue l’individuazione della competenza in
ragione del criterio del foro generale delle persone
di cui agli artt. 18 e 19 (Trib. PalmiCinquefondi,
16-4-2002).

64
4) Altre fattispecie.
a) La domanda diretta a far valere il diritto
alla restituzione di un bene consegnato in esecuzione di un contratto invalido o inefficace ha natura
personale, e il foro competente è quello generale
delle persone fisiche (art. 18) e non quello del
luogo in cui si trova la cosa da restituire (Cass.
n. 8796/2000).
b) Nella controversia promossa nei confronti
di un imprenditore privato per l’adempimento dell’obbligo di assunzione derivante da contratto preliminare, non può farsi riferimento, ai fini della
determinazione della competenza territoriale, al
luogo in cui è sorto il rapporto ed agli altri criteri
dettati dal 2° comma dell’art. 413, essendo tale norma operante solamente con riguardo alle
pretese inerenti ad un rapporto di lavoro già costituito, ma deve farsi ricorso al foro generale ex
art. 18 (e implicitamente ex art. 19) richiamato
in via sussidiaria dallo stesso art. 413, penultimo
comma (Cass. n. 4707/1998).
c) Nei procedimenti diretti all’emanazione di
provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, ai
sensi degli artt. 330-336 c.c., la competenza per
territorio va determinata con riferimento al luogo in cui il minore dimora abitualmente, a prescindere dagli eventuali trasferimenti di carattere
contingente e transitorio (Cass. n. 11022/1997
e n. 4255/1982). d) Nel giudizio di dichiarazione
della paternità o maternità naturale e in quello sull’ammissibilità della relativa azione, la competenza per territorio va determinata, anche quando detti procedimenti riguardino soggetti minori,
secondo la regola generale del foro del convenuto, ai sensi del disposto dell’art. 18, e non anche
in base alla residenza del minore stesso (Cass. n.
11021/1997).
d) Il condominio di edifici, che non è una
persona giuridica e non ha, pertanto, una sede
in senso tecnico, ove non abbia designato nell’ambito dell’edificio un luogo espressamente
destinato all’organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con quello privato dell’amministratore che lo
rappresenta. Pertanto, ai fini della competenza
territoriale ex artt. 18 e 20 nei giudizi aventi ad
oggetto il pagamento di contributi condominiali, il luogo di adempimento dell’obbligazione va
individuato nel domicilio dell’amministratore al
tempo della scadenza dell’obbligazione (Cass. n.
12208/1993).
DOMICILIO, RESIDENZA E DIMORA
Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito il centro principale dei propri affari ed interessi economici, morali, sociali e familiari (elemento

65
oggettivo), con l’intenzione della persona stessa di
costituirli e mantenerli in quel luogo in maniera
tendenzialmente duratura (elemento soggettivo).
L’individuazione del domicilio è desumibile da tutti
quegli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo
dei predetti rapporti ed il carattere principale che
esso riveste nella vita della persona. La residenza è
il luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art.
43 c.c.), ed è determinata dall’elemento obiettivo
della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento
delle normali relazioni sociali. Questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a
lavorare o a svolgere altra attività fuori del Comune
di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Il carattere della stabilità-prevalenza consente di evitare che
un soggetto possa avere più residenze.
Per esigenze di celerità e di certezza, ai fini della
competenza territoriale la residenza è desumibile
dai certificati anagrafici, i quali fondano una presunzione semplice di residenza, superabile mediante prova contraria.
La dimora è il luogo in cui il soggetto si trova,
anche soltanto in via transitoria, purché non passeggera. Tale permanenza deve presentare una certa stabilità, per cui non costituisce dimora la sosta
momentanea o un pernottamento.
19. (1) Foro generale delle persone
giuridiche e delle associazioni non riconosciute. – Salvo che la legge disponga
altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica (12, 13 c.c.), è competente
il giudice del luogo dove essa ha sede (16,
46, 2328 n. 2, 2475 n. 2, 2518 n. 2 c.c.). È
competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento
e un rappresentante autorizzato a stare in
giudizio per l’oggetto della domanda.
Ai fini della competenza, le società non
aventi personalità giuridica (2251, 2291,
2313 c.c.), le associazioni non riconosciute
e i comitati di cui agli artt. 36 ss. del codice
civile hanno sede dove svolgono attività in
modo continuativo (145).
(1) Articolo così modificato con R.D. 20 aprile 1942,
n. 504.
Titolo I - Degli organi giudiziari  19
1) Generalità.
La persona giuridica, di cui si occupa la norma in esame, è un insieme organizzato di uomini e mezzi finalizzato al perseguimento di uno
scopo, generale o individuale. In altri termini, si
tratta di un ente collettivo formato da un elemento personale (le persone fisiche che li compongono) e da un elemento patrimoniale (il patrimonio
dell’ente), riconosciuto dall’ordinamento giuridico come autonomo soggetto di diritto, cioè come ente fornito di capacità giuridica (art. 1 c.c.)
distinta da quelle delle persone fisiche che ne
fanno parte. Può operare per il raggiungimento
di fini generali (ciò accade per le persone giuridiche pubbliche, ad esempio lo Stato) o per finalità
individuali (ciò accade, ad esempio, per le società di capitali). L’associazione non riconosciuta è
un complesso organizzato di soggetti e di mezzi
volto al perseguimento di uno scopo non lucrativo (politico, culturale etc.). A differenza della
persona giuridica, l’associazione non riconosciuta è un ente di fatto, poiché è sprovvisto del riconoscimento. Tuttavia, è pur sempre un centro
autonomo di imputazione di interessi. La norma
in esame, nel disciplinare il foro generale delle
persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute, si riferisce alle persone giuridiche pubbliche (Regioni, Province, Comuni, enti pubblici
economici, istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza qualificabili come enti pubblici etc.)
e private (associazioni con personalità giuridica,
fondazioni, società etc.). Per contro, non si applica allo Stato, poiché per esso la competenza è
regolata in modo particolare dall’art. 25.
I fori disciplinati dall’art. 19 sono elettivamente concorrenti, a scelta dell’attore (sede legale, sede effettiva, stabilimento ove c’è un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per
l’oggetto della domanda, luogo ove viene svolta
l’attività in modo continuativo), oltre ad un quarto
foro sussidiario, ricavabile dall’applicazione analogica dell’art. 18, 2° comma (luogo di residenza
dell’attore) (Mandrioli, Vaccarella-Verde).
2) Sede legale e sede effettiva.
La sede legale di una persona giuridica è il
luogo, risultante dall’atto costitutivo e dallo statuto, nel quale si trovano stabilmente gli organi forniti del potere di rappresentare l’ente e di
impegnarlo nei confronti dei terzi. La sede così
individuata può divergere dalla sede effettiva (o
reale), intesa come il luogo in cui hanno concreto
svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e dove operano i suoi organi rappresentativi o i suoi dipendenti con poteri direttivi (Cass. n. 497/1997 e n. 293/1991; Andrioli).
19  Libro I - Disposizioni generali
In caso di divergenza tra sede legale e sede
effettiva, i terzi “possono considerare come sede
della persona giuridica anche quest’ultima” (art.
46 c.c.). Pertanto, in base all’art. 46 c.c., deve
considerarsi valida la notificazione di un atto eseguita presso la sede effettiva, anziché nella sede
legale (Cass. n. 4399/1995). Tra i terzi indicati
nella norma richiamata vanno ricompresi i soci
della società destinataria della notifica.
Si tratta, perciò, di fori elettivamente concorrenti, anche se in alcuni casi la sede effettiva
prevale su quella legale, come accade in tema
di competenza territoriale nel processo del lavoro
ex art. 413 c.p.c. e in materia fallimentare. Con
riferimento a quest’ultimo aspetto, la competenza a dichiarare il fallimento spetta al tribunale
del luogo in cui l’impresa promuove sul piano
organizzativo i suoi affari (anche a seguito della
recentissima riforma del diritto fallimentare ad
opera del d.lgs. n. 5/2006). Tale luogo coincide, di regola, con quello della sede legale, ma
siffatta presunzione di coincidenza può essere
vinta dalla prova del carattere meramente fittizio
e formale della sede legale, ovvero della diversa
ubicazione di tutte le attività direzionali dell’impresa o della loro parte più significativa, restando
in ogni caso irrilevante il trasferimento della sede
legale non accompagnato dal reale trasferimento
del centro propulsore o contestuale all’effettiva
cessazione di alcune attività dell’impresa stessa
(Cass. n. 10147/1999).
3) La sede secondaria.
Accanto alla sede legale ed alla sede effettiva, l’art. 19 prevede un ulteriore foro concorrente, coincidente con il luogo nel quale è ubicata
la sede secondaria della persona giuridica, ossia
lo stabilimento con rappresentante autorizzato
a stare in giudizio per l’oggetto della domanda
(Andrioli).
La competenza territoriale del giudice del
luogo dello stabilimento presuppone, quindi, che
quest’ultimo si configuri come sede secondaria
(Trib. Monza, 3-2-97). A questo fine, non occorre
che nella sede della società vi sia un impianto
per l’esercizio dell’attività, né che la sede goda di
autonomia amministrativa.

66
Il “rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda” è un soggetto che rappresenta la società nella sua sostanziale attività. A tale proposito, non è sufficiente
l’elezione di domicilio presso un procuratore
legale in sede di conferimento della rappresentanza processuale per un determinato giudizio
(Cass. n. 4018/1985).
Qualora una persona giuridica sia convenuta
in giudizio davanti al giudice del luogo nel quale
ha la sede secondaria, deve affermarsi la competenza del giudice adito, restando del tutto irrilevante il fatto che in altro luogo sia avvenuta
la stipulazione della convenzione dedotta in giudizio e che ivi sia anche la sede legale centrale
dell’ente convenuto (Cass. n. 3126/1979).
4) La sede degli enti collettivi di fatto.
Nonostante per gli enti di fatto l’art. 19, 2°
comma non menzioni, a differenza delle persone giuridiche, il criterio di collegamento territoriale rappresentato dal luogo della sede sociale
dichiarata nello statuto, l’esigenza di tutela dei
terzi sottesa all’art. 46 c.c. impone di ritenere
che l’attore possa scegliere liberamente tra il foro
della sede nominale e quello del luogo nel quale
l’attività è esercitata in modo continuativo. Quest’ultimo riferimento ha riguardo al luogo nel
quale si attua, in via prevalente e stabile, l’attività di organizzazione e gestione dell’ente, ancorché non coincidente con quello dello svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente medesimo
(Cass. n. 543/1978).
Agli enti collettivi può, inoltre, applicarsi il
foro della sede secondaria previsto per le persone
giuridiche, non essendovi ragione per introdurre
un trattamento differenziato (Andrioli, Rubino).
5) Enti collettivi con sede all’estero.
Qualora non sia possibile individuare il foro
generale della persona giuridica in Italia secondo
i criteri stabiliti dall’art. 19, trattandosi di causa
promossa contro società con sede all’estero e priva in Italia di uno stabilimento o di un rappresentante autorizzato a stare in giudizio, trova applicazione analogica l’art. 18, 2° comma, sul foro
generale delle persone fisiche, con conseguente
competenza territoriale del giudice del luogo in cui
risiede l’attore (Mandrioli; Cass. n. 2964/1978).

67
Titolo I - Degli organi giudiziari  19
FORO GENERALE DELLE PERSONE FISICHE
giudice del luogo dove il convenuto ha la residenza
o il domicilio
giudice del luogo dove il convenuto ha la dimora
(se la residenza e il domicilio sono sconosciuti)
giudice del luogo dove risiede l’attore (se anche la
dimora è sconosciuta o se il convenuto non ha residenza, domicilio o dimora nella Repubblica)
Si tratta di fori successivamente concorrenti (l’attore può rivolgersi a quello successivo solo in mancanza di quello che precede).
FORO GENERALE DELLE PERSONE GIURIDICHE
giudice del luogo dove la persona giuridica ha la
sede
giudice del luogo dove vi è uno stabilimento della
persona giuridica e un rappresentante autorizzato
a stare in giudizio
FORO GENERALE DEGLI ENTI COLLETTIVI
NON RICONOSCIUTI
L’attore può scegliere liberamente tra:
- foro della sede nominale
- foro del luogo nel quale l’attività è esercitata in
modo continuativo
- foro della sede secondaria