Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Sezione di Ematologia DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE EMATOLOGICHE XXVI CICLO Coordinatore Prof. Robin Foà TESI DI DOTTORATO La Malattia Minima Residua nelle Sindromi Linfoproliferative Acute e Croniche. Relatore Prof.ssa Anna Guarini Dottoranda Dott.ssa Irene Della Starza Anno Accademico 2012-2013 1 INDICE Introduzione................................................................................................pag.5 I°Progetto: Whole-genome amplification (WGA) per la valutazione di target molecolari ed il monitoraggio della malattia minima residua nella leucemia acuta linfoide. La Leucemia Acuta Linfoide....................................................................................pag.10 La ricombinazione genica.......................................................................................pag.20 I riarrangiamenti genici del B Cell Receptor............................................................pag.25 I riarrangiamenti genici del T Cell Receptor............................................................pag.31 Obiettivo dello studio............................................................................................pag.38 Materiali e Metodi..................................................................................................pag.39 Pazienti e campioni studiati.....................................................................................pag.39 Estrazione del DNA.................................................................................................pag.39 Whole Genome Amplification..................................................................................pag.39 Screening dei riarrangiamenti genici Ig/TCR..........................................................pag.40 Sequenziamento e analisi del gene........................................................................pag.42 Disegno dei primers ed analisi RQ-PCR.................................................................pag.42 Risultati..................................................................................................................pag.44 Riarrangiamenti genici Ig/TCR identificati al momento della diagnosi: DNA genomico vs DNA amplificato..................................................................................................pag.44 Confronto della quantificazione della malattia e risultati di MMR tra DNA genomico e amplificato............................................................................................................pag.46 Conclusioni...........................................................................................................pag.48 Bibliografia............................................................................................................pag.51 2 II°Progetto: Confronto di due strategie di RQ-PCR per la valutazione della malattia minima residua nelle malattie linfoproliferative: correlazione tra lo stato mutazionale dei geni delle immunoglobuline e performance di RQ-PCR. La Leucemia Linfatica Cronica…............................................................................pag.63 Stato mutazionale dei geni delle catene pesanti delle immunoglobuline.............pag.71 Obiettivo dello studio ….......................................................................................pag.75 Materiali e Metodi..................................................................................................pag.76 Pazienti e campioni studiati....................................................................................pag.76 Estrazione del DNA e analisi IgH............................................................................pag.76 Sequenziamento e analisi del gene........................................................................pag.77 Disegno di primer e sonde per l'analisi RQ-PCR...................................................pag.78 Risultati..................................................................................................................pag.80 Riarrangiamenti del gene IGH e analisi di mutazione.............................................pag.80 Confronto tra diverse strategie di disegno di set di primers/probe per la valutazione RQ-PCR..................................................................................................................pag.82 Correlazione tra il carico mutazionale IGH e le performance di RQ-PCR..............pag.84 Conclusioni…........................................................................................................pag.86 Bibliografia............................................................................................................pag.89 3 III°Progetto: La malattia minima residua condiziona la prognosi dei pazienti affetti da linfoma follicolare: risultati del trial FIL FOLL05. Il Linfoma Follicolare.............................................................................................pag. 97 Il gene BCL-2 nel linfoma follicolare.....................................................................pag.104 Obiettivo dello studio.........................................................................................pag.108 Materiali e Metodi...............................................................................................pag.109 Pazienti e campioni studiati................................................................................. pag.109 Screening del riarrangiamento BCL2/IGH@........................................................pag.109 Sequenziamento e analisi del gene.....................................................................pag.110 Analisi RQ-PCR....................................................................................................pag.111 Risultati...............................................................................................................pag.112 Analisi qualitativa e burden tumorale dei pazienti all'arruolamento....................pag.112 Valutazione della MMR ai diversi time points.......................................................pag.115 Conclusioni….....................................................................................................pag.118 Bibliografia.........................................................................................................pag.121 Pubblicazioni......................................................................................................pag.131 Abstracts.............................................................................................................pag.133 4 Introduzione La Malattia Minima Residua (MMR) La genetica delle malattie neoplastiche rappresenta uno dei campi che ha visto il maggiore sviluppo negli ultimi anni, offrendo grandi speranze sul fronte di una completa comprensione della genesi di queste patologie ed aprendo nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche. Ogni neoplasia origina necessariamente da una o più alterazioni del DNA e dalla trasformazione del corredo genetico della cellula colpita. Comprendere la natura e le cause di queste trasformazioni permette di identificare il tipo di patologia cui ci troviamo di fronte e di studiare la possibilità di intervenire direttamente sull'origine della malattia, con trattamenti specifici. Le maggiori conoscenze cliniche e biologiche in campo oncoematologico hanno permesso lo sviluppo di nuovi farmaci e di strategie terapeutiche potenzialmente sempre più efficaci, tuttavia ancora un significativo numero di pazienti ricade a causa della persistenza di cellule neoplastiche residue, indicate con il termine di “malattia minima residua” (MMR). L' uso dello studio della malattia minima residua come marker di risposta molecolare al trattamento, può migliorare la valutazione della risposta clinica, guidare la selezione delle strategie terapeutiche e, possibilmente, indicare l'esito clinico a lungo termine (Cazzaniga G et al, Haematologica 2005) in un certo numero di patologie ematologiche. Lo studio della MMR viene oggi eseguito nell’ambito delle leucemie acute linfoblastiche (LAL) e nelle malattie linfoproliferative croniche, sulla base di protocolli che ne regolano il monitoraggio. Nelle LAL la MMR è fondamentale per guidare e modificare la gestione terapeutica dei pazienti (Bruggemann M et al, Blood 2006). La riduzione del carico tumorale durante e dopo il trattamento di induzione fornisce informazioni cruciali sulla risposta alla terapia e rischio di recidiva. La negatività della MMR ai diversi tempi del trattamento è risultata significativamente associata ad una bassa incidenza di recidive (3-15% a tre anni), ed al contrario un incremento di 5-10 volte degli eventi (39-86% a tre anni) si è osservato nei casi di MMR positiva (Cazzaniga G et al, Clin. Exp. Heamatol. 2003). Questo permette di identificare pazienti "a basso rischio" e "ad alto rischio", che possono trarre profitto dalla riduzione o dalla intensificazione della terapia, rispettivamente (Vidriales 5 MB et al, Blood 2003; Flohor T et al, LeuKemia 2008; Bassan R et al, Blood 2009). Il dato della MMR nella LAL del bambino e dell'adulto è risultato essere un fattore prognostico indipendente da altri parametri clinici e biologici caratterizzanti la malattia all’esordio. L’analisi della malattia minima a tempi più distanti dalla diagnosi è risultata ancora più significativa nell’identificare i pazienti a rischio di recidiva, fornendo le basi per un suo utilizzo nei protocolli clinici. L'ampia introduzione di nuove strategie terapeutiche efficaci ha permesso che un numero crescente di pazienti con neoplasie ematologiche potesse essere indagato per la valutazione della MMR. Nella leucemia linfatica cronica (LLC) diversi studi hanno dimostrato che i criteri di risposta morfologici non sono sufficientemente sensibili per predire il risultato e che i pazienti che abbiamo conseguito una eradicazione rilevabile della MMR, presentano una sopravvivenza prolungata (Moreno C et al, Blood 2006; Böttcher S et al, J Clin Oncol 2012). Nonostante questo, il ruolo clinico della MMR nella LLC resta da chiarire. Nel Linfoma follicolare (LF) il monitoraggio della MMR è risultato essere un fattore predittivo ben consolidato dell'andamento clinico della malattia post-trapianto (Ladetto M et al, Blood 2008), al contrario il suo ruolo dopo terapia convenzionale è ancora in discussione, sebbene molti studi sono stati in grado di dimostrarne il valore prognostico (Corradini P et al, J Clin Oncol 2004; Rown JR et al, Biol Blood Marrow Transplant 2007; Procházka V et al, J Clin Oncol, 2011; Ladetto M et al, Blood 2013). La biologia variabile dei tumori maligni delle cellule B influenza non solo l'interpretazione dei dati di MMR per le decisioni cliniche, ma ha anche implicazioni per gli aspetti tecnici in campo diagnostico. Solo l’impiego di tecniche dotate di adeguata sensibilità, specificità nel riconoscimento delle cellule patologiche, di stabilità dei marcatori identificati e di riproducibilità, può permettere di distinguere tra loro i pazienti in remissione sulla base dei diversi livelli di MMR permettendo così, una più precisa definizione di “stato di remissione”. Attualmente, la tipizzazione immunofenotipica tramite citofluorimetria insieme allo studio molecolare effettuato utilizzando la Polymerase Chain Reaction (PCR) sono le due tecniche che possiedono i requisiti necessari allo studio della MMR dimostrando una sensibilità di almeno 10-4 (ovvero capacità di rilevare una cellula neoplastica ogni 10 4 cellule normali), alta specificità, riproducibilità, espressione quantitativa del risultato ed applicabilità. 6 L’introduzione nella diagnostica molecolare della PCR quantitativa (RQ-PCR) ha ampliato le conoscenze sul significato della MMR, grazie alla possibilità di individuare e quantizzare sequenze specifiche di DNA e DNA complementare (cDNA), attraverso l'utilizzo di sonde fluoromarcate, la cui frammentazione durante la fase di allungamento della reazione di amplificazione, permette emissione di fluorescenza che viene captata e quantizzata, portando ad un'elevata riproducibilità e specificità dei risultati. Le cellule leucemiche possono essere distinte dalle normali cellule ematopoietiche sulla base di specifici patterns di espressione antigenica evidenziabili tramite analisi immunofenotipica, analizzando la presenza di aberrazioni cromosomiche che risultano in trascritti di un gene di fusione o nell’espressione aberrante di trascritti, e ancora valutando il riarrangiamento dei geni delle IGH e del TCR nelle regioni giunzionali paziente-specifiche, considerate markers tumorali specifici, simili ad impronte digitali che differiscono in lunghezza e composizione per clone linfocitario e conseguentemente per ogni paziente affetto da neoplasia linfoide. L'analisi molecolare quantitativa della MMR (RQ-PCR) attraverso l'utilizzo di sonde allele-specifiche (ASO), è in grado di raggiungere limiti di sensibilità riproducibili di 1x105, tuttavia l'applicabilità del metodo è limitata ai pazienti con riarrangiamenti genici IG/TCR aventi regioni giunzionali adatte a raggiungere una sensibilità sufficiente. Questo tipo di valutazione della MMR presenta però un certo numero di limitazioni, tra cui il fallimento nell'identificare il marcatore molecolare nei casi somaticamente ipermutati, dove il basso livello di infiltrazione tumorale non consente un approccio quantitativo adeguato. Inoltre, l'evoluzione di diversi subcloni leucemici durante il trattamento, nonché la presenza di oligoclonalità alla diagnosi che non viene detectata molecolarmente dagli ASO, può anche essere un motivo per potenziali risultati falsi negativi. Pertanto, si è resa necessaria l'introduzione di tecniche molecolari alternative, che negli ultimi tempi si stanno sempre più diffondendo in campo oncoematologico.. Il metodo di sequenziamento di seconda generazione, denominato “next-generation sequencing (NGS)” permette l'identificazione delle cellule B o T clonogeniche con alta sensibilità e specificità ed è risultato adatto per il rilevamento di MMR, come recentemente dimostrato in pazienti con LLC (Logan AC et al, Leukemia 2013). La valutazione della MMR mediante NGS può non solo superare alcuni svantaggi dei metodi basati sulla PCR, come la necessità di primers specifici del paziente, ma esso ha il potenziale per raggiungere un livello di sensibilità superiore (fino a 1x10 -6) con un 7 migliore range di quantificabilità della malattia. Inoltre, l'approccio NGS permette di analizzare la diversità genetica e l'eterogeneità clonogenica che possono contribuire alla nostra attuale comprensione della biologia della malattia e della cinetica di ricaduta (Gawad C et al, Blood 2012). Nonostante questi vantaggi, va osservato che entrambi i metodi (NGS e ASO-RQ-PCR) richiedono un campione contenente un'infiltrazione tumorale significativa per l'identificazione del clone alla diagnosi ed entrambi risentono dell'evoluzione clonale. Pertanto è ragionevole ipotizzare che l'uso di un approccio NGS darà un valore aggiunto alle attuali tecniche di valutazione della MMR consentendo l'identificazione di un marcatore molecolare nella stragrande maggioranza delle neoplasie linfoidi. In conclusione, grazie all'integrazione di tecniche multidisciplinari ci si sta sempre più avvicinando ad un sistema in grado di tradurre rapidamente le informazioni necessarie per una diagnosi efficace ed una più precisa valutazione della risposta al trattamento, con il fine di elaborare terapie mirate adatte al singolo paziente e di predire la ricaduta prima della manifestazione clinica. 8 I° Progetto: Whole-genome amplification (WGA) per la valutazione di target molecolari ed il monitoraggio della malattia minima residua nella leucemia acuta linfoide. 9 La Leucemia Acuta Linfoide La leucemia acuta linfoide rappresenta un gruppo clinicamente e biologicamente eterogeneo di malattie che originano dai precursori linfoidi, caratterizzate da morfologia indifferenziata. La trasformazione leucemica genera una progenie di blasti linfoidi leucemici che hanno subito un blocco maturativo in una fase precoce del processo di differenziazione. Le basi fisiopatologiche dei sintomi e segni delle LAL consistono in una soppressione della normale emopoiesi, nell'infiltrazione e colonizzazione degli organi linfoidi e non e nella liberazione di linfochine e mediatori dell'infiammazione sia delle cellule leucemiche che delle cellule normali, con conseguente anemia (emoglobina ridotta nel 75% dei casi), aumento del numero dei leucociti (da 10.000 ad oltre 100.000/mm3 nel 66% dei casi), e piastrinopenia (numero delle piastrine ridotto nell’ 80% dei casi). La caratteristica principale delle LAL è la presenza in circolo di cellule blastiche leucemiche (linfoblasti) in percentuale variabile da meno del 10% ad oltre il 90%. L’accumulo extramidollare di linfoblasti può risultare in diversi siti e specialmente a livello di linfonodi, fegato, sistema nervoso centrale, testicoli ed ossa (Hoelzer D et al, Hematology 2002). La LAL è la più frequente sindrome neoplastica nei bambini, con una prevalenza nell’età di 3-4 anni, mentre rappresenta il 20% delle leucemie dell’adulto, con una prognosi migliore nei bambini rispetto agli adulti. L'eterogeneità delle LAL ha reso necessaria la messa a punto di criteri classificativi che permettessero di identificare gruppi di pazienti con caratteristiche e prognosi differenti. I marcatori clinici che definiscono la prognosi dei pazienti affetti da LAL sono rappresentati dall'età, dal numero di globuli bianchi, dalla risposta al trattamento, dalla presenza di marcatori citogenetici e molecolari, dalla farmaco resistenza e dalla presenza di MMR dopo terapia. La diagnosi e la conseguente classificazione della malattia è resa possibile mediante la valutazione di una combinazione di fattori morfologici, citochimici, immunologici, citogenetici e molecolari. L’esame morfologico degli strisci di sangue venoso periferico e del midollo osseo, in relazione a criteri definiti dal sistema di classificazione FAB (French-American-British) consente di riconoscere 3 sottotipi distinti di LAL noti come L1, L2, L3. La forma predominante è la L2 con un’incidenza pari al 65-70%, rispetto alle forme L1 e L3 la cui 10 incidenza è rispettivamente del 25-30% e del 5-10%. La forma L1 è prevalente nei bambini, mentre la forma L2 nell’adulto (Guglielmi C et al, Leukemia 1997). La forma L3 interessa le cellule B mature ed è per questo che viene considerata non una leucemia linfoblastica in senso stretto, ma la leucemizzazione di un particolare tipo di linfoma non-Hodgkin detto linfoma di Burkitt. Nell’ambito dell’analisi citochimica per la valutazione della LAL viene usato un pannello costituito da diverse reazioni. Tutte le LAL sono negative alla mieloperossidasi (MPO), tranne una piccola percentuale di casi (3-5%) che risultano essere MPO+ ed in cui è stata riscontrata un’alta incidenza di ricadute. Il 95% di LAL L1 e L2 sono positive alla “deossinucleotidil transferasi terminale” (TdT) e la sua presenza è utile nella diagnosi differenziale con i casi di linfocitosi reattiva. Più dell’80% di blasti in casi di LAL T mostrano una forte positività alla fosfatasi acida e all’α-naftil-acetato esterasi (ANAE). L’analisi immunofenotipica permette non solo di confermare la diagnosi di LAL, ma anche di classificarne le diverse forme e di monitorarne la malattia minima residua durante e dopo la terapia (Campana D et al, Blood 1995). I blasti cellulari dei pazienti affetti da LAL sono caratterizzati dall’espressione di antigeni di superficie ed intrascitoplasmatici che corrispondono a marcatori di maturazione fisiologica dei progenitori cellulari linfoidi, per cui le LAL vengono distinte fenotipicamente in B o T, in base all’appartenenza alla linea cellulare ed al loro stadio di maturazione. Le LAL B rappresentano circa l’80-85% dei casi di LAL e possono essere classificate in base all’espressione di antigeni caratteristici della linea B (CD79a intracitoplasmatico e CD19 di superficie) del CD10 e delle immunoglobuline citoplasmatiche (cyIg) e di membrana (sIg) in 4 sottogruppi, LAL pro-B, LAL B common, LAL pre-B e LAL B mature (tabella 1). La LAL B common è il più frequente sottotipo di LAL B dell’adulto (60%), la sopravvivenza è del 30-35% e può essere paragonata alla LAL pre-B, poiché non esistono differenze rilevanti. Rispetto ai bambini, gli adulti mostrano una più bassa incidenza di fattori prognostici favorevoli (iperdiploidia, presenza del trascritto TEL/AML1) ed una predominanza di fattori sfavorevoli (BCR-ABL+). Probabilmente negli adulti vi è una più alta resistenza alla terapia ed una sfavorevole farmacocinetica dei chemioterapici. La LAL pro-B, nota come LAL CALLA negativa o LAL pre pre B (CD10-, CD19+, cyIgM, sIgM-, CD24+/-) è riscontrata nell’11% degli adulti e nel 25% dei bambini, ed è 11 associata ad una cattiva prognosi sia nei bambini, particolarmente in quelli con età inferiore ad 1 anno, che negli adulti. In questa tipologia di LAL si trova quasi esclusivamente la traslocazione t(4;11) ed un’alta incidenza di coespressione degli antigeni mieloidi CD15, CDw65. La LAL B matura è caratterizzata da un’alta frequenza di coinvolgimento d’organo e del SNC e da alti livelli di LDH. Le cellule blastiche mostrano una morfologia di tipo L3, per questo è oggi considerata la variante leucemica del linfoma di Burkitt. Le LAL T costituiscono invece il 15-25% dei casi di LAL e sono classificati in 4 sottogruppi principalmente in relazione all’espressione di antigeni (CD7 ed altri T associati) corrispondenti a stadi di maturazione differenti delle cellule T all’interno del Timo; LAL T precoci, le LAL T corticali e le LAL T mature (tabella 2). Le LAL T sono caratterizzate da una predominanza del sesso maschile, dall’insorgenza in soggetti di giovane età, dall’elevato numero di globuli bianchi alla diagnosi, dalla presenza di masse mediastiniche e dal coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC) con un alto grado di recidive cerebrali. I pazienti affetti da LAL T hanno spesso una grande massa tumorale e mostrano una rapida progressione della malattia sia alla diagnosi che alla recidiva, i cui fattori di rischio includono: un numero di globuli bianchi superiore a 100.000/µl, il raggiungimento tardivo della remissione completa dopo trattamento terapeutico (RC) ed il sottotipo immunologico. A prescindere dai fenotipi linea-specifici, le leucemie acute linfoblastiche possono variamente esprimere antigeni legati a stadi “alti” di immaturità, come il CD34 caratteristico del 70% dei casi di LAL, con un’incidenza dell’80% nelle LAL-B e del 2030% nelle LAL-T; la sua espressione è stata anche riscontrata in un’alta proporzione di LAL Ph+. I vari sottotipi di LAL si differenziano per distinte caratteristiche chimiche e biologiche, con gradi di sopravvivenza che vanno dal 10% al 50% (Foà R et al, Hematology 2005). Tabella 1: Immunofenotipo caratteristico delle LAL B marker LAL pro-B LAL common-B LAL pre-B LAL B-mature CD19/22/79a CD10 cyIg sIg TdT + + + + + + + + + + +/+ - 12 A partire dagli anni '80 la citogenetica e la biologia molecolare hanno contribuito ad identificare nelle leucemie un ulteriore livello di eterogeneità attraverso l'identificazione di riarrangiamenti cromosomici, alcuni dei quali non solo si associavano a particolari fenotipi, ma anche ad un decorso clinico più o meno aggressivo della malattia. Attualmente, tali riarrangiamenti si possono documentare in circa il 50-60% delle LAL e numerosi studi clinici dimostrano come essi costituiscano i più importanti markers prognostici utilizzabili per la valutazione dell'andamento clinico dei pazienti. I più comuni difetti cromosomici osservati nei blasti leucemici sono guadagni (gains) numerici o perdite (losses) di interi cromosomi e traslocazioni. L’iperdiploidia è segnalata in quasi un terzo dei casi pediatrici e l’iperdiploidia con 51-65 cromosomi è associata ad un buona prognosi. La prognosi favorevole nella iperdiploidia sembra esser maggiormente correlata con i gains dei cromosomi 4, 10 e 17 (Tripla Trisomia) o dei cromosomi 4 e 10 (Doppia Trisomia). Di contro, l’ipodiploidia con meno di 44 cromosomi nei blasti leucemici è legata ad una cattiva prognosi (Harrison C.J., Br J Haematol 2009). Tabella 2: Immunofenotipo caratteristico delle LAL T. Marker LAL pro-T LAL pre-T TdT CD1a CD2 cyCD3 CD3 CD4-/CD8CD4+/CD8CD4-/CD8+ CD4+/CD8+ CD5 CD7 TCRαβ TCRγδ ++ + ++ ++ ++ - ++ ++ ++ + +/+/++ ++ - LAL T sCD3++ ++ ++ ++ +/+/+ ++ ++ - LAL T sCD3+ ++ ++ ++ ++ ++ +/+/+ ++ ++ 80% 20% LAL T mature ++ ++ ++ ++ + +/+/++ ++ 80% 20% Tra i difetti cromosomici le alterazioni strutturali sono le più frequenti e sono rappresentate da eventi di traslocazione. La traslocazione cromosomica determina l'attivazione di un protoncogene e lo studio a livello dei punti di rottura sul cromosoma ha permesso di identificare due meccanismi patogenetici: 13 1. in seguito alla traslocazione il protoncogene è sottoposto al controllo di nuovi enhancer che aumentano la velocità di trascrizione dei geni da esso regolati; 2. la traslocazione cromosomica può determinare la formazione di un mRNA di fusione che porta alla sintesi di una proteina chimerica dotata di nuove proprietà. La maggior parte di tali alterazioni ha un profondo effetto sui meccanismi di controllo dei processi di proliferazione, differenziamento, maturazione e sopravvivenza dei progenitori emopoietici midollari. Circa il 90% delle LAL in età pediatrica rivela anomalie cromosomiche clonali, il 50% di queste sono rappresentate da traslocazioni (Harrison CJ et al, Rev Clin Exp Hematol 2002). Le principali anomalie cromosomiche delle LAL sono: BCR/ABL t(9;22)(q34;q11), ALL1/AF4 t(4;11)(q21;q23), E2A/PBX1 t(1;19)(q23;p13), TEL/AML1 t(12;21)(p13;q22), c-MYC/IgH t(8;14)(q24;q32), SIL/TAL1 t(1;14)(p32;q11) (tabella 3). Tutte le leucemie con anomalie del cariotipo hanno una prognosi peggiore, in particolare quelle con la t(4;11) e con la t(9;22). L’incidenza delle traslocazioni è diversa tra adulti e bambini. La t(9;22)(q34;q11) è la traslocazione più comune nelle LAL B common e nelle LAL pre-B, con un’incidenza del 25-30% nelle leucemie acute linfoidi dell’adulto e del 3-5% in quelle pediatriche. La conseguenza molecolare di questa traslocazione è la formazione di un gene ibrido BCR/ABL codificante per una proteina oncogenica di fusione con attività tirosin-chinasica costitutiva, in grado di attivare molteplici vie di trasduzione del segnale che influenzano la crescita, la sopravvivenza e le proprietà adesive dei progenitori linfoidi. Il gene c-abl, presente sul cromosoma 9, contiene 11 esoni e codifica per una proteina di 145 Kd (p145) appartenente alla famiglia delle tirosin-chinasi, enzimi in grado di catalizzare il trasferimento di un gruppo fosfato dall’adenosin trifosfato (ATP) al residuo di serina o tirosina di proteine substrato. Il gene BCR, presente sul cromosoma 22, codifica per una proteina di 160 Kd (p160) associata ad attività serin-treonin-chinasica. L’acquisizione della capacità trasformante da parte di c-abl può dipendere dal fatto che la sequenza del I° esone BCR aumenta l’attivazione della tirosin-chinasi quando viene fusa al II° esone di ABL (Cimino G et al, Haematologica 2006). Il punto di rottura sul cromosoma 22 avviene all’interno di un’area detta zona bcr (breakpoint cluster region) comprendente 4 esoni chiamati b1, b2, b3 e b4, mentre il punto di rottura sul cromosoma 9 avviene in un’area molto vasta che si trova al 5’ del II° esone di ABL. La maggior parte dei punti di rottura del bcr cadono in una zona detta “major breakpoint cluster region” (M-bcr) ed interessa gli esoni b2 e b3 con produzione 14 di una proteina di 210 Kd (p210), presente nel 50% dei casi di LAL Ph+. Nella restante metà dei casi, la rottura sul cromosoma 22 non cade all’interno della M-bcr, ma cade più vicino al 5’ del gene BCR, in una regione localizzata nel I° introne e definita “minor breakpoint cluster region” (m-bcr). Questo porta alla formazione di un gene ibrido più corto che codifica per una proteina di 190 Kd (p190). Entrambe le proteine (p210 e p190) sono dotate di attività autocatalitica, poiché si autofosforilano in tirosina, questo è l’evento critico per il controllo della proliferazione, della progressione attraverso il ciclo cellulare e dei processi di differenziazione cellulare. Alcuni studi attribuiscono alla p190 una maggiore attività trasformante dovuta ad una diversa configurazione spaziale tra le regioni biochimicamente rilevanti di BCR e ABL. Negli ultimi anni inoltre è stato individuato un nuovo punto di rottura che coinvolge gli esoni 19 e 20 (originariamente denominati c3 e c4) del gene BCR. Tale punto è localizzato distalmente al M-bcr ed è denominato µ-BCR. Il gene chimerico c3a2 derivante dalla giustapposizione dei geni e19 a2 BCRJABL, codifica per un proteina di 230 Kd (p230) che è stata riscontrata in alcuni pazienti affetti da Leucemia Mieloide Cronica Neutrofila, una rara malattia mieloproliferativa caratterizzata dalla presenza di un elevato numero di granulociti maturi. Il trascritto TEL/AML1 t(12;21)(p13;q22), è presente in meno dell’1% dei pazienti adulti e nel 20-30% dei casi pediatrici. La traslocazione determina la formazione di un prodotto chimerico che coinvolge il gene AML1, codificante per una proteina che si lega a specifiche sequenze del DNA regolando l’espressione di altri geni quali il gene della mieloperossidasi, il gene del GM-CSF ed i geni della linea T, ed il gene TEL che codifica per un fattore di trascrizione (Hübuer J et al, Leukemia 2004). Il trascritto ALL1/AF4 t(4;11)(q21;q21;q23), è presente nel 5-7% sia degli adulti che dei pediatrici, esclusi i bambini con età inferiore ad 1 anno, dove è riscontrato nel 60% dei casi. Il gene ALL1, localizzato nella regione 11q23 del cromosoma 11, è costituito da 36 esoni distribuiti su un segmento di 100 kb e codifica per una proteina con una massa molecolare di 431 KDa. E’ un gene promiscuo che può fondersi con più di 30 partners differenti e le sue mutazioni non sono associate con una linea leucemica definita. Nelle traslocazioni dell’ 11q23 i punti di rottura sono localizzati in una regione di 8.5 Kb detta “breakpoint cluster region (bcr)”, compresa tra gli esoni 5 ed 11 (Cimino G et al, Blood 2000). Tali traslocazioni portano alla formazione di prodotti costituiti dalla porzione Nterminale di ALL1 e da sequenze codificanti poste sui rispettivi geni “partners”. Nelle 15 t(4;11) e t(11;19) il gene ALL1 si riarrangia con il gene AF4 ed il gene ENL, posti rispettivamente sui cromosomi 4 e 19 e si ipotizza che il prodotto chimerico abbia la funzione di fattore di trascrizione. Altri geni sono coinvolti in traslocazioni con ALL1: AF1, AF6, AF10, AF9, AF17, AFX ELL. La traslocazione t(1;19)(q23;p13), genera un fattore di trascrizione derivato dalla fusione del gene E2A, localizzato nel punto di rottura sul cromosoma 19, codificante fattori che favoriscono il legame delle Ig, e PBX1, un gene homeobox posto sul braccio lungo del cromosoma 1 (Foà R et al, Br J Haematol 2003). Tale traslocazione si associa spesso ad età pediatrica, è presente nel 25% delle LAL pre-B e nel 1% delle LAL early pre-B; le forme associate con mutazioni di N-Ras ed inattivazione del gene TP53 presentano una prognosi più sfavorevole rispetto ai casi in cui non si osservano queste alterazioni. Una osservazione chiave è che più dei due terzi di casi pediatrici con LAL B presentano alterazioni genetiche che modificano il normale processo di maturazione linfoide (Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol 2011). Tabella 3: Principali traslocazioni presenti nelle LAL. Traslocazione Gene coinvolto Patologia t(9;22)(q34;q11) t(4;11)(q21;q23) t(8;14)(q24;q32) t(12;21)(p13;q22) t(1;19)(q23;p13) t(10;14)(q24;q11) BCR/ABL ALL1/AF4 MYC/IgH TEL/AML1 E2A/PBX1 HOX11/TRD LAL common-B e pre-B LAL pre-B LAL B LAL B LAL pre-B LAL T t(1;14)(p32;q11) SIL/TAL1 LAL T Lo sviluppo dei linfociti B dai precursori staminali midollari è regolato da numerosi fattori di trascrizione che inducono il commitment del lineage linfocitario, la repressione dei lineage alternativi, la maturazione linfocitaria. I geni targets sono PAX5 (paired box 5), IKZF1 (gene codificante per il fattore di trascrizione linfoide IKAROS), EBF1 (early-B factor 1) e LEF1 (lymphoid enhancer factor 1). Queste alterazioni genetiche si presentano generalmente in eterozigosi ed includono delezioni focali o ampie, mutazioni e traslocazioni. Quella più comune colpisce il gene PAX5 (circa il 30% dei casi) anche sottoforma di traslocazioni con altri geni come TEL, senza però incidere sulla prognosi. Le alterazioni di IKZF1 sono meno comuni, si presentano più 16 frequentemente come delezioni che mutazioni e sono associate a sottogruppi di bambini con LAL ad alto rischio di ricaduta (Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol 2011). Queste alterazioni possono direttamente influenzare il trascrittoma della cellula leucemica oppure possono essere associate ad alterazioni genetiche aggiuntive che inducono l’attivazione di chinasi. Nel 50% dei casi pediatrici, sono stati riscontrati dei riarrangiamenti che alterano l’espressione del gene CRLF2 (cytokine receptor like factor 2), il quale è localizzato nella regione pseudoautosomica 1 (PAR1) di Xp/Yp. Le alterazioni genetiche di questa banda includono l’inserimento (juxtaposition) nel locus IgH (14q32), generando il trascritto IgH@-CRLF2 o la delezione focale di PAR1 che sovrappone gli elementi regolatori del gene del recettore purinergico P2RY8 a CRLF2, generando il trascritto chimerico P2RY8-CRLF2. I mediatori a valle (downstream) del segnale di CRLF2 non sono ancora ben caratterizzati ma probabilmente coinvolgono i geni della famiglia delle Janus Kinase; infatti recentemente, numerosi studi, hanno dimostrato come fino al 50% dei casi con CRLF2 riarrangiato presentano concomitanti mutazioni attivanti i geni JAK1 o JAK2 (Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol, 2011; Hertzberg L et al, Blood 2010) Queste forme sono potenzialmente sensibili ai farmaci inibitori di JAK, attualmente in studi preclinici. Nei pazienti affetti da LAL-T, le traslocazioni più ricorrenti interessano prevalentemente le regioni regolatorie dei geni codificanti per il T Cell Receptor, che mappano sul cromosoma 14 ed in un 30% di casi sono riscontrate alterazioni del gene TAL-1. In un numero ristretto di casi il locus tal-1, posto sul braccio corto del cromosoma 1, (1p32) è coinvolto in una traslocazione definita tal-t, con un locus TCR [t(1;14) o t(1;7)], mentre nella maggior parte dei casi è presente una delezione (tal-d) che determina la rottura della zona 5’ di tal-1 e giustappone quest’ultimo ad un altro gene, chiamato SIL, localizzato sempre sul cromosoma 1p, ma in posizione più centromerica rispetto a tal-1 (Nirmala K et al, Leukemia Res 2002). In entrambi i casi tal-1 è sottoposto al controllo di un nuovo promotore rappresentato da TCR o SIL. I pazienti che presentano tal-d o tal-t non differiscono significativamente dagli altri casi di LAL T in cui non sono evidenti alterazioni citogenetiche a livello del cromosoma 1p32. Soltanto poche aberrazioni cromosomiche e molecolari mostrano una chiara correlazione con la prognosi di LAL negli adulti. Queste includono la traslocazione t(4;11) e la traslocazione t(9;22). Un’altra aberrazione con impatto prognostico 17 sfavorevole sembra essere l’ipoploidia, mentre la traslocazione t(10;14), il 12p ed un’alta iperploidia sembrano rappresentare fattori prognostici favorevoli. Le cellule leucemiche possono essere distinte dalla controparte normale inoltre, attraverso l'analisi del riarrangiamento dei geni che codificano per le immunoglobuline o il T Cell Receptor (Ig/TCR) (Vitale A et al, Cur Opinion in Oncol 2006). Durante l’ontogenesi dei B e dei T linfociti, i geni Ig e TCR vengono assemblati mediante un processo di riarrangiamento somatico. I segmenti genici separati codificanti le regioni V, D, J vengono riuniti per formare un unico esone codificante la regione variabile. Lo studio di questi riarrangiamenti è divenuto il metodo più sensibile per valutare la clonalità di un’espansione linfoide. Il riarrangiamento dei geni che codificano per la catena pesante delle Ig è stato riscontrato nel 90-95% di LAL B, mentre il riarrangiamento dei geni che codificano per il TCR è stato riscontrato nel 95% di LAL T e nel 50-70% di LAL B (Foroni L et al, Best Pract Res Clin Haematol 2002). Poiché tali ricombinazioni sono di origine clonale, l’analisi della configurazione genica delle Ig e del TCR può essere usata per valutare la persistenza di cloni maligni i cui riarrangiamenti sono stati determinati al momento della diagnosi. La resistenza farmacologica può essere un importante fattore nel fallimento della terapia in caso di LAL. Nelle LAL del bambino è stata riscontrata una maggiore resistenza in soggetti iperdiploidi con età superiore ai 10 anni, rispetto a pazienti più giovani, mentre nelle LAL dell’adulto, soprattutto nei casi BCR/ABL+, è stata riscontrata una resistenza ai farmaci cortisonici (prednisone) associata con un basso grado di remissione completa (66%vs 84%)(Foà R et al, Rew Cli Exp Hemat 2002). La presenza della MMR dopo terapia è un importante fattore prognostico che permette di stimare il rischio di recidiva nei singoli pazienti. Nonostante i significativi progressi ottenuti nella terapia delle LAL, soprattutto pediatriche, il 30% dei bambini e più della metà degli adulti presenta recidiva della malattia. Nella maggior parte dei casi alla diagnosi viene riscontrata la presenza di cloni multipli aventi alterazioni genetiche distinte, le quali possono influenzare in maniera decisiva la risposta al trattamento e quindi il rischio di recidiva. E' dimostrato che le due fasi della malattia (diagnosi e recidiva) condividono origini comuni clonali ancestrali, ma mostrano differenze nella natura delle alterazioni genetiche. In meno del 10% dei casi pediatrici alla recidiva viene identificato un clone completamente differente da ciò che è stato visto alla diagnosi (Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol 2011). La recidiva è quindi espressione della persistenza di un clone leucemico “resistente” 18 alla terapia convenzionale e di conseguenza il monitoraggio della MMR può contribuire alla comprensione della storia biologica della malattia stessa (Cazzaniga G et al, Rew Clin Exp Hemat 2003). Non è ancora noto per quanto tempo le cellule leucemiche persistano durante la fase di remissione della malattia. I criteri convenzionali per stabilire la remissione in pazienti affetti da LAL sono basati sull’esame morfologico di campioni di sangue midollare ed i pazienti vengono considerati in completa remissione quando gli aspirati midollari contengono meno del 5% di blasti. I pazienti adulti con LAL che non vanno in remissione entro 4-5 settimane dall’inizio della terapia hanno una cattiva prognosi. Dato che la scomparsa dei blasti è un importante fattore predittivo di sopravvivenza, la risposta alla terapia è oggi valutata precocemente, entro 2 settimane per gli adulti ed entro 7 giorni per i bambini (Foà R et al, Rew Cli Exp Hemat 2002). L’approccio molecolare allo studio della MMR in pazienti affetti da LAL ha assunto un’importanza rilevante, data anche la crescente rapidità ed il continuo affinamento delle tecniche di analisi. Tale strategia consente di dimostrare una remissione molecolare precoce in risposta alla terapia, fondamentale per valutare la prognosi e la sopravvivenza dei pazienti, potendoli stratificare in funzione del rischio relativo di ricaduta. 19 La ricombinazione genica I geni delle immunoglobuline sono presenti in configurazione germinale in tutte le cellule di un organismo, ma solo i linfociti B esprimono questi geni in forma funzionalmente riarrangiata capace, durante lo sviluppo, di dare origine a proteine funzionali. In un linfocita B in via di maturazione, la prima ricombinazione si verifica nel locus della catena pesante (heavy chain, H) μ e porta al congiungimento di uno dei segmenti D con uno dei segmenti JH, accompagnato dall’eliminazione del tratto di DNA interposto. Successivamente alla ricombinazione DJH, uno dei segmenti VH in posizione 5’ rispetto al complesso DJH, riarrangia dando origine ad un’unità codificante VHDJH. In questa fase, tutti i segmenti in posizione 5’ rispetto al segmento D riarrangiato vengono eliminati, come tutti i segmenti VH a valle (Jung D et al, Annu Rev Immunol 2006). I geni della regione C (regione costante) rimangono separati dal complesso VH DJH da un introne: in questo modo il gene riarrangiato a partire dall‘estremità 5’ sarà costituito da un esone leader, una sequenza promotrice, un introne, un segmento V H DJH, un altro introne e diversi segmenti C. Terminato il riarrangiamento l’RNA polimerasi si lega al promotore e inizia a trascrivere il gene: il trascritto di RNA primario viene sottoposto ad un processo di poliadenilazione differenziale, splicing delle sequenze introniche e la formazione di RNA messaggero, il quale esce dal nucleo, si lega ai ribosomi e viene tradotto in proteina. Nella catena pesante inizialmente vengono trascritti sia il segmento genico Cμ che il segmento Cδ, la processazione seguente porta la formazione di un messaggero contenente il trascritto Cμ o Cδ. La proteina prodotta dal gene riarrangiato su uno dei due cromosomi inibisce irreversibilmente il riarrangiamento nell’altro cromosoma, secondo il meccanismo dell’esclusione allelica (Daly J et al, EMBOJ 2007). Questo meccanismo assicura che i linfociti B funzionali non contengano mai più di un’unità VH-D-JH e una unità VL-JL. I prodotti proteici di un riarrangiamento funzionale danno un segnale di feedback negativo che previene il riarrangiamento sul secondo allele. L’espressione della forma transmembrana, ma non della forma secreta della catena µ porta al silenziamento dell’altro allele della catena pesante ed innesca il riarrangiamento dei geni della catena leggera k. La ricombinazione VH DJH, nel locus della catena pesante delle immunoglobuline si verifica solo nei precursori B linfocitari e rappresenta una tappa critica nell’espressione delle Ig, poiché solo il gene V riarrangiato verrà successivamente trascritto. Quando la cellula ha completato il riarrangiamento della catena pesante è classificata come cellula pre-B. La maturazione 20 da cellula pre-B a linfocita maturo richiede il riarrangiamento produttivo della catena leggera k o λ, con meccanismi sostanzialmente analoghi a quelli della catena pesante. L’espressione della catena k sul BCR dà un segnale di silenziamento ed esclusione allelica del secondo allele della catena leggera (Langerak AW. Crit Rev Immunol 2006). Se il riarrangiamento k non è produttivo su entrambi gli alleli inizia il riarrangiamento dei geni della catena λ. Se anche questo non è produttivo, il linfocita B interrompe la maturazione e muore per apoptosi. Dato che dal riarrangiamento dei geni della regione variabile vengono prodotti due diversi RNA messaggero per le catene pesanti, l’ulteriore maturazione del linfocita B porta alla coespressione in membrana di IgD e IgM dotate della stessa specificità antigenica, che caratterizza i linfociti B maturi. Gli stadi successivi della maturazione del linfocita B sono sotto il controllo dell’antigene e nel corso di tale processo maturativo una cellula B può iniziare ad esprimere sulla membrana e secernere IgG, IgA, IgE al posto delle IgM e IgD (figura 1). Figura 1: Eventi di ricombinazione e trascrizionali per la produzione di una catena pesante completa IgH. Fonte: Jayanta Chaudhuri & Frederick W. Alt. Class-switch recombination: interplay of transcription, DNA deamination and DNA repair. Nature Reviews Immunology July 2004;4, 541-552. Per ogni singola cellula B ognuna di queste classi di immunoglobuline ha una diversa regione costante nelle catene pesanti, ma presenta le stesse regioni variabili, quelle 21 cioè formate nella cellula precursore e che hanno costituito il sito combinatorio dell’antigene. Poiché ogni catena pesante conferisce ad un anticorpo una differente funzione effettrice, la stessa regione variabile può essere coinvolta in differenti tipi di reazioni immunitarie, ma sempre specifiche per quel determinato antigene. Questo fenomeno, detto cambio di classe (switch isotipico), dipende dal coinvolgimento di brevi sequenze di DNA, regioni di switch, localizzate in posizione 5’ rispetto ad ogni segmento CH, per cui il DNA viene riarrangiato avvicinando il gene codificante una determinata regione costante al segmento riarrangiato VHDJH. Il clivaggio della ricombinazione V(D)J viene iniziato da due ricombinasi denominate rispettivamente RAG1 e RAG2, enzimi in grado di riconoscere sequenze segnale di ricombinazione specifiche (RSS), localizzate a valle dei segmenti V, ad entrambi i lati dei segmenti D ed a monte dei segmenti J (figura 2) (Sen R et al, Curr Opin Immunol 2006). Figura 2: Schema rappresentativo delle ricombinasi RAG1 e RAG2. Fonte: David G. Schatz & Yanhong Ji. Recombination centres and the orchestration of V(D)J recombination. Nature Reviews Immunology April 2011;11, 251-263. Ogni RSS contiene un eptamero palindromico conservato e un nonamero conservato ricco in A-T, separati da una sequenza spaziatrice di 12 o 23 paia di basi che corrispondono rispettivamente ad uno o a due giri dell’elica del DNA, per questa ragione vengono chiamate sequenze segnale di ricombinazione a un giro oppure sequenze segnale a due giri. Le sequenze segnale con spaziatori a un giro possono unirsi solamente con sequenze segnale con spaziatori a due giri. Nel DNA della catena 22 pesante le sequenze segnale dei segmenti VH e JH possiedono spaziatori a due giri, mentre le RSS fiancheggianti i segmenti DH hanno spaziatori a un giro; nel DNA della catena leggera k la sequenza segnale dei segmenti V ha uno spaziatore a un giro, mentre quella dei segmenti J è a due giri, nel DNA della catena λ invece accade il contrario, le RSS di V hanno uno spaziatore a due giri, mentre quelle di J sono a un giro. Questa regola assicura il riarrangiamento VDJ o VJ nell’ordine corretto, evitando la giunzione tra segmenti dello stesso tipo. Successivamente al riconoscimento si ha l’avvicinamento delle sequenze RSS con le sequenze codificanti e la formazione di un’ansa di DNA intercalato che viene tagliata a livello giunzionale da RAG1 e RAG2, con la formazione di sequenze nucleotidiche palindromiche (nucleotidi P) (Jackson KJ et al, BMC Immunol 2004). La giunzione tra le sequenze codificanti è spesso imprecisa, nonostante l’esatto riconoscimento delle sequenze segnale, questa flessibilità porta alla formazione di numerosi riarrangiamenti non produttivi, ma anche di numerose combinazioni produttive che codificano per diversi amminoacidi a livello di ciascuna giunzione, contribuendo alla diversità anticorpale. Può inoltre avvenire l’aggiunta di nucleotidi, detti nucleotidi N, alle estremità libere delle sequenze codificanti VDJ da parte dell’enzima desossiribonucleotidiltransferasi (TdT). L’unione delle sequenze codificanti e delle RSS viene catalizzata da enzimi del normale processo di riparazione del DNA. Dopo una ricombinazione delle catene leggere e successiva espressione insieme con le catene pesanti in superficie per formare il BCR, i geni RAG-1 e RAG-2 sono nuovamente down-modulati. Possono comunque essere riattivati quando il recettore è autoreattivo in risposta ad autoantigeni. Questo porta ad una nuova espressione delle proteine RAG e ad una ricombinazione sulla catena leggera k per eliminare la self-reattività (recupero del recettore). In questo modo le cellule esprimeranno una IgM di membrana modificata con una catena leggera diversa e non avranno autoreattività. I meccanismi con cui il DNA in configurazione germinale del TCR nei linfociti T viene riarrangiato per formare geni funzionali sono simili a quelli coinvolti nel riarrangiamento dei geni delle Ig: sono state identificate le sequenze segnale di riconoscimento, separate da sequenze spaziatrici che fiancheggiano ciascun segmento V, D e J simili a quelle dei linfociti B. Tutti i riarrangiamenti dei geni del TCR seguono la regola di giunzione osservata per i 23 geni delle immunoglobuline: le cellule pre-T esprimono i geni attivanti la ricombinazione (RAG-1/2) che riconoscono le sequenze segnale eptameriche e nonameriche catalizzando le giunzioni V-D-J con gli stessi meccanismi osservati nei geni delle immunoglobuline. Sebbene i linfociti B e T utilizzino meccanismi simili per i riarrangiamenti genici delle regioni variabili, i geni delle Ig non vengono normalmente riarrangiati nei linfociti T e i geni del TCR non vengono riarrangiati nei linfociti B. Probabilmente il sistema delle ricombinasi è regolato in modo che, in ogni tipo cellulare, si verifichi solo il riarrangiamento del DNA che codifica il recettore corretto. Il riarrangiamneto VDJ avviene nel caso della catena pesante delle immunoglobuline (IgH), del TCR β e del TCR δ, il riarrangiamento diretto dei segmenti V-J avviene per la catena leggera delle immunoglobuline (IgK e IgL), per il TCR α e per il TCR γ. Le diverse combinazioni VDJ rappresentano il repertorio genico di ricombinazione che è stimato essere 2x106 molecole per le immunoglobuline, 3x106 molecole per il TCRαβ e 5x103 per il TCRγδ. La grande diversità anticorpale è data dalla giunzione combinatoria VDJ, dalla flessibilità giunzionale, dall’inserzione random di nucleotidi P ed N dando origine a regioni altamente diversificate che contribuiscono ad un repertorio totale delle molecole delle Ig e del TCR superiore a 1012 (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003). I linfociti B inoltre estendono il loro repertorio immunoglobulinico sul riconoscimento dell’antigene nei centri germinativi attraverso l’ipermutazione somatica, un processo che porta alla maturazione dell’affinità degli anticorpi prodotti in risposta ad un antigene proteico (Inlay MA et al, J Immunol 2006). Questo processo avviene nei centri germinativi dei follicoli linfoidi ed è il risultato dell’ipermutazione somatica dei geni delle Ig nelle cellule B in divisione, seguita dalla selezione dei linfociti B ad alta affinità da parte dell’antigene presentato dalle cellule dendritiche follicolari. Anche se il processo di ipermutazione produce mutazioni nell’intera regione variabile, la maggior parte delle mutazioni cade nei CDR e questo riflette il ruolo dell’antigene nella selezione dei linfociti B con recettori ad affinità più elevata nel corso della maturazione. 24 I riarrangiamenti del B Cell Receptor La catena pesante H Il locus della catena pesante delle immunoglobuline (IgH) è localizzato sul cromosoma 14q32.3, in un’area ricoprente approssimativamente 1250 kb. Sono stati identificati complessivamente 46-52 segmenti VH che possono essere raggruppati secondo la loro omologia in 6-7 sottogruppi VH. In aggiunta, sono stati descritti 30 segmenti genici VH non funzionali, ai quali vanno inseriti 27 DH funzionali e 6 JH (figura 3). I segmenti genici VH più frequentemente utilizzati dalle cellule B normali e patologiche appartengono alla famiglia VH3 (30-50%), VH4 (20-30%) e VH1 (10-20%), ricoprendo così il 75-95% di tutto il repertorio VH usato (Camacho FI et al, Blood 2003). Nelle LAL pre-B sono usati in maniera relativamente frequente anche i segmenti del VH6. I segmenti genici VH sono composti da 3 regioni cerniera (Framework region, FR) e 2 regioni determinanti la complementarietà (Complementary determin region, CDRs). Gli FRs sono caratterizzati dalla loro similarità tra le varie famiglie VH, mentre i CDRs sono molto diversi all’interno della stessa famiglia VH; i CDRs rappresentano le sequenze target preferite per le ipermutazioni somatiche nel corso della reazione del centro germinale, processo che ne aumenta la variabilità. Gli FRs sono meno toccati da tali mutazioni, possono essere ritrovate sostituzioni nucleotidiche, specialmente nei linfociti B, solo sotto un forte evento mutazionale. Basandosi sull’omologia di sequenza i 27 segmenti DH possono essere raggruppati in 7 famiglie, tutte le famiglie comprendono almeno 4 membri, tranne la VII che consiste di un solo segmento posto a monte della regione JH (DH7-27). La ricombinazione tra i segmenti DH e JH risulterà nella formazione di giunzioni incomplete DH-JH, che possono essere facilmente messe in evidenza in cellule pre-B CD10+/CD19+ derivate dal midollo e quindi in un subset (20-25%) di LAL pre-B che mostrano un genotipo immaturo (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003). E’ stata messa in evidenza una maggior frequenza di espressione dei segmenti DH2, DH3, DH7-27 comprendendo rispettivamente il 36%, il 33% ed il 19% di tutti i segmenti identificati. Tuttavia possono essere riscontrati riarrangiamenti incompleti DH-JH anche nelle 25 patologie a cellule B mature (Ghia P et al, J Exp Med 1996). I riarrangiamenti incompleti DH-JH sono anche presenti in altri tipi di leucemie e linfomi a cellule B, inoltre sono stati identificati riarrangiamenti cross-lineage in patologie a cellule T immature (LAL T immature TCRαβ-) e coinvolgono i segmenti DH6-19 e DH727 più a valle. Figura 3: Diagramma schematico del complesso genico IgH. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317. L’ultimo segmento (DH7-27) è usato frequentemente nelle cellule B fetali, ma raramente nelle B adulte. Le cellule B mature e i precursori usano preferibilmente i segmenti DH2 e DH3. I riarrangiamenti DH-JH possono rappresentare un importante target per l’analisi di clonalità basata sulla PCR (Polymerase Chain Reaction), poichè i riarrangiamenti incompleti nel locus IgH non contengono ipermutazioni somatiche, dato che la trascrizione che ha inizio dai promotori nei segmenti V non può avvenire: questo è il requisito essenziale affinché le ipermutazioni somatiche avvengano. 26 La catena leggera K Il locus della catena leggera Igk posizionato sul cromosoma 2p11.2, contiene molti segmenti genici distinti Vk, raggruppati in 7 famiglie Vk, oltre a 5 segmenti genici Jk a monte della regione Ck. Le Vk1, Vk2 e Vk3 sono famiglie multi membri includenti sia i segmenti genici funzionali che gli pseudogeni, mentre la altre famiglie (Vk4, Vk5, Vk7) contengono un singolo segmento o pochi segmenti (Vk6). Tutti i segmenti genici Vk sono suddivisi in due grandi cluster, uno posto immediatamente a monte e nello stesso verso dei segmenti Jk, l’altro posto in maniera più distanziata ed in senso inverso, rispettivamente definiti prossimale e distale. L’ultimo cluster costituisce i riarrangiamenti così detti invertiti, che sono richiesti per formare le giunzioni Vk-Jk coinvolgenti i geni Vk del cluster distale. In aggiunta ai segmenti Vk e Jk, ci sono altri elementi nel Igk locus che possono essere coinvolti nella ricombinazione. Il Kde, approssimativamente 24 Kb a valle della regione Jk-Ck, può riarrangiare ai segmenti Vk (Vk-Kde), ma anche ad un introne nella regione Jk-Ck (IRSS-Kde)(figura 4). Entrambi i tipi di riarrangiamento portano all’inattivazione dell’allele Igk, attraverso la delezione dell’esone Ck (IRSS-Kde) oppure dell’intera area Jk-Ck (Vk-Kde)(Beishuizen A et al, Leukemia 1994). Dato che la ricombinazione Igk inizia nelle cellule pre B del midollo osseo, i riarrangiamenti Igk possono anche essere evidenziati nelle LAL pre-B (40-60% dei casi) e coinvolgono il Kde per il 35-50%. Nelle LAL pre-B dei bambini, la ricombinazione Vk-Kde predomina sull’IRSS-Kde, mentre nelle LAL degli adulti le delezioni riguardano esclusivamente Vk-Kde (Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2002). Nelle leucemie croniche a cellule B, i riarrangiamenti Igk sono più frequenti, essendo evidenziabili in tutti i casi Igk+ e λ+. Per definizione i riarrangiamenti funzionali Vk-Jk sono riscontrati su almeno un allele nelle leucemie B-cell k+, il secondo allele non codificante è in configurazione germinale (circa 50% dei casi), contiene un riarrangiamento Vk-Jk fuori marker di lettura (20%) oppure è inattivato dal riarrangiamento del Kde (circa 30% dei casi). I riarrangiamenti Kde (virtualmente) si trovano in tutte le leucemie B-cell λ+ (85% degli alleli), con una predominanza di ricombinazione dell’IRSS-Kde su Vk-Kde. 27 Questo implica che tutte le leucemie λ+ contengono un riarrangiamento Kde, mentre riarrangiamenti Vk-Jk potenzialmente funzionali, sono rari. Diversi studi hanno mostrato che l’uso del segmento genico Vk è identico tra diverse popolazioni di cellule B normali e patologiche e questo ampiamente riflette il numero di segmenti genici disponibili in ogni famiglia. In entrambi i riarrangiamenti Vk-Jk o Vk-Kde, i segmenti genici delle prime quattro famiglie predominano. Figura 4: Diagramma schematico del complesso genico IgK. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317. L’uso del gene Vk2 sembra essere più elevato nelle LAL pre B rispetto alle linfoproliferazioni B più mature o anche alle cellule B normali. Il cluster distale ed invertito Vk è raramente usato nei riarrangiamenti Vk-Jk, mentre i segmenti pseudogenici Vk non sono mai coinvolti, anche nei casi λ+. Poco si sa sull’uso del segmento genico Jk, è stato messo in evidenza che i segmenti Jk più usati sono Jk1, Jk2 e Jk4 (van der Burg M et al, Blood 2001). I riarrangiamenti Vk-Jk possono essere importanti target di PCR per quei tipi di proliferazioni B in cui le ipermutazioni somatiche possono ostacolare l’amplificazione del 28 target VH-JH. Le ricombinazioni coinvolgenti il Kde sono però probabilmente più rilevanti, dato che la delezione delle sequenze coinvolte nell’introne risulta nella rimozione dell’attivatore delle Igk, che è ritenuto essere essenziale affinché il processo di ipermutazione somatica avvenga. La catena leggera λ I riarrangiamenti genici IGλ sono presenti nel 5-10% dei tumori a cellule B IgK+ ed in tutte le malignità Igλ+. Il locus IGλ è posizionato sul cromosoma 22q11.2, contiene 7374 geni Vλ, tra cui 30-33 sono funzionali (Figura 5). Sulla base dell' omologia di sequenza, i geni Vλ possono essere raggruppati in 11 famiglie (10 contenenti segmenti genici funzionali Vλ) e tre clan. I membri della stessa famiglia tendono ad essere raggruppati sul cromosoma. I geni Jλ e Cλ sono organizzati in tandem con un segmento Jλ che precede un gene Cλ. Ci sono sette segmenti genici J-Cλ, di cui J-Cλ1, J-Cλ2, J-Cλ3, e J-Cλ7 sono funzionali e codificano i quattro isotipi IGλ. Esiste tuttavia un variazione polimorfica del numero di segmenti genici J-Cλ, poiché alcuni individui possono trasportare fino a 11 di loro su un allele, a causa di un'amplificazione della regione Cλ2-Cλ3 (van der Burg M et al, J Immunol 2002). Figura 5: Diagramma schematico del complesso genico Igλ. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317. 29 Diversi studi hanno dimostrato che il repertorio genico IGλ di cellule B normali e maligne è condizionato (Tu m ̈ kaya T et al. Leukemia 2001). Oltre il 90 % dei geni Vλ utilizzati dalle cellule B normali appartengono alle famiglie Vλ1, Vλ2 e Vλ3, comprendenti il 60% dei geni funzionali. Inoltre, tre geni (2-14, 1-40 e 2-8) rappresentano circa la metà del repertorio espresso. Mentre le cellule B normali usano i segmenti genici J-Cλ1, J-Cλ2, e J-Cλ3 in proporzioni più o meno equivalenti, le cellule B neoplastiche tendono ad utilizzare prevalentemente i segmenti genici J-Cλ2 e J–Cλ3. Sia nelle cellule B normali che maligne, il segmento J-Cλ7 è usato molto raramente (1%). Contrariamente a quanto avviene nel topo, nei riarrangiamenti IGλ umani vi è una certa diversità giunzionale a causa dell' attività esonucleasica e dell'aggiunta di nucleotidi N nei riarrangiamenti.(Farner NL et al, J Immunol 1999; Ignatovich O et al, J Mol Biol 1999). Questa diversità giunzionale è tuttavia molto meno estesa di quella del locus IGH, ed un numero di riarrangiamenti derivano direttamente dall'accoppiamento dei segmenti genici Vλ e Jλ della linea germinale. Il locus IGλ potrebbe rappresentare una complementare alternativa al locus IGH per gli studi di clonalità sulle cellule B. 30 I riarrangiamenti genici del T Cell Receptor (TCR) La catena γ I riarrangiamenti del TCRγ sono stati usati a lungo per la valutazione molecolare della clonalità linfoide e rappresentano il prototipo di un repertorio ristretto di target molecolare. Il TCRγ è un target preferenziale per l’analisi di clonalità, poiché è riarrangiato ad uno stadio precoce dello sviluppo linfoide T, probabilmente appena dopo il TCRδ, in entrambi i precursori TCRαβ e TCRγδ. La catena gamma è riarrangiata in più del 90% delle LAL T, nelle leucemie LGL (Large Granular Lymphocyte) e nelle T-PLL (Leucemie Prolinfocitiche a cellule T), nel 50-75% di T-NHL (Linfomi non Hodking a cellule T) periferici e nelle micosi fungoide, ma non nelle proliferazioni NK, è anche riarrangiata nella maggior parte di LAL-B, ma molto meno nei B-NHL (Linfomi non Hodking a cellule B)(Szczepanski T et al, Leukemia 1998; Szczepanski T et al, Leukemia 1999). Il TCRγ contiene un limitato numero di segmenti Vγ e Jγ. Il locus umano del TCRγ è situato sul cromosoma 7p14 e contiene 14 segmenti Vγ, per 10 di questi è stato dimostrato il riarrangiamento. Il repertorio Vγ espresso include solo sei geni Vγ (Vγ2, Vγ3, Vγ4, Vγ5, Vγ8 e Vγ9), ma il riarrangiamento avviene anche con i segmenti Vγ7, Vγ10 e Vγ11. Il riarrangiamento di VγB (anche conosciuto come Vγ12) è così eccezionale che raramente è usato nella diagnostica molecolare. I segmenti Vγ riarrangianti possono essere suddivisi in quelli appartenenti alla famiglia VγI (Vγ2, Vγ3, Vγ4, Vγ5, Vγ7 e Vγ8, con un omologia >90% ed ancora più elevata tra Vγ2 e Vγ4 e tra Vγ3 e Vγ5) e nei singoli membri Vγ9, Vγ10 e Vγ111. Il locus del TCRγ contiene 5 segmenti Jγ: Jγ1.1 (JP1), Jγ1.2 (JP), Jγ1.3 (Jγ1), Jγ2.1 (JP2) e Jγ2.3 (Jγ2) di cui Jγ1.3 e Jγ2.3 sono altamente omologhi, come Jγ1.1 e Jγ2.1 (figura 6). Il locus TCRγ non contiene segmenti D e dimostra addizioni di nucleotidi relativamente 1 -Il segmento Vγ4 è circa 40bp più lungo degli altri membri della VγI ed i riarrangiamenti Vγ4 sono relativamente comuni in entrambe le cellule linfoidi fisiologiche e patologiche. -E’ stata descritta una delezione interstiziale di circa 170 bp all’estremità 3’ del segmento Vγ2 in diversi casi di LAL T e questa rappresenta approssimativamente il 5% dei riarrangiamenti. 31 limitate (Griesinger F et al, J Clin Imvest 1989). La lunghezza giunzionale V-J del TCRγ varia da 20-30 bp, paragonata approssimativamente a 60 bp per le IgH e il TCRδ completo. La capacità di distinguere i riarrangiamenti clonali da quelli policlonali dipende dalla complessità del repertorio policlonale. Mentre lo stretto repertorio in configurazione germinale del TCRγ facilita l’amplificazione molecolare, la limitata diversità giunzionale dei riarrangiamenti complica la distinzione tra i prodotti di PCR clonali e policlonali (Kode J et al, Leuk Lymphoma 2004). In generale, le popolazioni clonali minori che usano i riarrangiamenti più frequenti come VγI-Jγ1.3/2.3 sono a rischio di essere persi tra il repertorio policlonale, mentre le combinazioni rare possono essere messe in evidenza con una sensibilità maggiore. Tuttavia è possibile che linfociti T policlonali occasionali dimostranti rari riarrangiamenti Vγ-Jγ possono essere scambiati per un riarrangiamento clonale, a causa dell’assenza di un background policlonale per quel tipo di riarrangiamento. Un‘ulteriore possibile sorgente di popolazioni clonali minori risultano dalla presenza di linfociti T esprimenti TCRγδ+ che dimostrano riarrangiamenti canonici TCRγ, ma non dimostrano l’addizione di nucleotidi N. Figura 6: Diagramma schematico del complesso genico TCRγ sulla banda cromosomica 7p14. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et all. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003 17, 2257-2317. Il riarrangiamento TCRγ canonico umano più comunemente riconosciuto coinvolge i segmenti Vγ9-Jγ1.2 ed avviene nell’1% di linfociti T del sangue. 32 Risulta quindi estremamente importante analizzare i prodotti molecolari del TCRγ usando tecniche elettroforetiche ad alta risoluzione o usando criteri di separazione degli stessi prodotti che vanno al di là del peso molecolare, per ridurre il rischio di risultati falsi positivi. E’ anche importante conoscere il profilo dei riarrangiamenti canonici e le situazioni in cui loro più comunemente avvengono; i Vγ9-Jγ1.2 si trovano principalmente nel sangue periferico ed aumentano la frequenza con l’età, poiché vi è l’accumulo di linfociti T TCR γδ+. Diversamente dal TCRδ il gamma non è deleto nelle cellule αβ+, dal momento che questo tipo di riarrangiamento avviene in entrambi i precursori αβ e γδ, la sua identificazione non può essere usata per la determinazione del tipo di linea cellulare. La catena α/δ I geni della catena α/δ del TCR si trovano in un unico complesso locus genico localizzato sul cromosoma 14. I geni della catena δ sono assemblati nei timociti CD4CD8 doppi negativi, mentre quelli della catena α nei timociti CD4CD8 doppi positivi, questo probabilmente dovuto in parte all'attività specifica dei rispettivi enhancer (Eδ e Eα) durante le fasi di maturazione della cellula T (Krangel M. S.et al, Immunol Rev 1998). Il repertorio genico della catena α contiene 80 segmenti genici V, 61 segmenti genici J ed 1 segmento genico C, mentre i segmenti genici D sono assenti. Tra i segmenti genici V e J della catena α è localizzato il locus della catena δ, più precisamente sulla banda 14q11.2, costituito da un numero limitato di segmenti; 8 elementi V, 4 elementi J, 3 elementi D. Almeno 5 degli 8 segmenti genici V possono riarrangiare con I segmenti Jα ed alcuni segmenti Vα possono in rari casi riarrangiare con la catena δ. II riarrangiamento di Vα con i segmenti genici di Jα causa la delezione dell’intero locus intermedio del TCRδ (figura 7). Il TCRδ V101S1 (Vδ1), il TCRδ V102S1 (Vδ2) ed il TCRAD V17S1 (Vδ3) sono usati esclusivamente nei riarrangiamenti del TCRδ, mentre il TCRαδ V6S1 (Vδ4), il TCRαδ V21S1 (Vδ5) ed il TCRαδ V17S1 (Vδ6) possono essere usati sia nella catena delta che nella catena alpha del TCR Il TCRαδ V28S1 (Vδ7) ed il TCRαδ V14S1 (Vδ8) sono usati raramente nei riarrangiamenti del δ (Verschuren MC et al, Immunology 1998). 33 Il repertorio in configurazione germinale delle cellule T γδ+ è piccolo paragonato a quello di cellule T αβ+ e l’intero repertorio di ricombinazione è più limitato dato il riarrangiamento preferenziale nel sangue periferico e nel timocita di cellule Tγδ+. Alla nascita il repertorio di cellule T γδ+ presenti nel sangue di cordone ombelicale è ampio, con nessuna restrizione apparente o preferenziale di particolari combinazioni Vγ/Vδ. Durante l’infanzia tale repertorio nel sangue periferico è formato così che negli adulti predominano cellule portanti il riarrangiamento Vγ9/Vδ2. I repertori Vδ1 e Vδ2 diventano ristretti con l’età portando all’insorgenza di cellule Vδ1+ e Vδ2+ oligoclonali nell’intestino. Le cellule T γδ+ sono distribuite attraverso i tessuti linfoidi umani, con una maggiore espressione di particolari segmenti Vδ in alcune localizzazioni anatomiche umane. Molte cellule T γδ+ intraepiteliali presenti nell’intestino tenue e nel colon esprimono Vδ1. Similarmente Vδ1 è espresso anche da cellule spleniche normali, mentre cellule T γδ+ della pelle esprimono Vδ2. Tuttavia il piccolo numero di segmenti genici VDJ adatti per la ricombinazione limita la potenziale diversità di ricombinazione, il CDR3 o la diversità giunzionale è estesa data l’aggiunta di regioni N, regioni P e delezioni casuali mediate dalle ricombinasi. Il locus del TCRδ è il primo di tutti i loci del TCR a riarrangiare durante l’ontogenesi della cellula T. Il primo evento è un riarrangiamento Dδ2-Dδ3, seguito da un Vδ2-(Dδ1-Dδ2)-Dδ3 per ottenere alla fine un riarrangiamento Vδ-Dδ-Jδ. Riarrangiamenti immaturi (Vδ2-Dδ3 o Dδ2-Dδ3) si trovano nel 70% di LAL pre B, mentre c’è una predominanza di riarrangiamenti maturi comprendenti sia la forma incompleta Dδ2-Jδ1 che completa Vδ1, Vδ2, Vδ3-Jδ1 riscontrati nelle LAL T(Schneider M et al, Br J Haematol 1997). Le LAL T γδ+ formano un gruppo di LAL relativamente piccolo (10-15% di LAL T) e costituiscono un 2% di tutte le LAL. I riarrangiamenti Vδ1-Jδ1 predominano nelle LAL T γδ+; il Vδ1 non è mai stato trovato riarrangiare con un altro segmento Jδ che non sia Jδ1. Le catene Vδ1-Jδ1-Cδ1 sono quasi sempre legate alle famiglie VγI e VγII ricombinate a Jγ2.3-Cγ2. L’uso di questo gene correla con l’origine timica immatura di queste cellule leucemiche. Molti linfomi a cellule T esprimono TCRαβ, mentre una minoranza esprime TCRγδ e 34 comprende diverse entità distinte. I linfomi periferici che esprimono TCRγδ comprendono l’8-13% di tutti i linfomi T periferici e sono stati documentati riarrangianti Vδ1-Jδ oltre ad altri riarrangiamenti di Vδ a Jδ1. Figura 7: Diagramma schematico del complesso genico del TCRα/δ. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317. Il linfoma epatoslpenico a cellule T γδ+ è derivato da cellule T TCRγδ+ spleniche che normalmente esprimono Vδ1. Si tratta di un’entità non comune che esibisce caratteristiche clinico-patologiche distinte. Il linfoma cutaneo a cellule T TCRγδ+ esprime Vδ2 e sembra perciò rappresentare un’espansione clonale di cellule T γδ+ che normalmente risiedono nella pelle. Altre proliferazioni clonali γδ includono proliferazioni LGL γδ+ CD3+ che comprendono circa il 5% di tutte le LGL CD3+ e spesso mostrano riarrangiamenti Vδ1-Jδ1. La catena β I riarrangiamenti genici del TCRβ si verificano non solo in quasi tutti i tumori maligni delle cellule T mature, ma anche in circa l'80% delle LAL T CD3- ed il 95 % delle LAL T CD3+(Langerak AW et al, Leukemia 1999). I riarrangiamenti del TCRβ non sono ristretti alle malignità di linea T, poichè circa un terzo delle LAL pre-B portano riarrangiamenti del TCRβ (Szczepanski T et al, Leukemia 1999). La loro frequenza è molto più bassa nelle proliferazioni a cellule B mature (0-7%) (van Dongen JJM et al, Clin Chim Acta 1991). 35 Il locus umano del TCRβ è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 7, a banda 7q34 e si estende su una regione di 685 kb. In contrasto con i loci del TCRγ e del TCRδ, il cluster genico della regione V è molto più complesso (Figura 8). Contiene circa 65 elementi genici Vβ suddivisi in 30 sottogruppi. Le più grandi famiglie, Vβ5, Vβ6, Vβ8, e Vβ13 raggiungono una dimensione di sette, nove, cinque e otto membri, rispettivamente. 12 famiglie Vβ contengono solo un singolo membro (Arden B et al, Immunogenetics 1995). Di tutti gli elementi genici Vβ, 39-47 sono qualificati come funzionali ed appartengono a 23 famiglie. 10-16 elementi genici sono classificati come pseudogeni. Inoltre, un gruppo di sei geni orfani Vβ non funzionali sono stati riportati localizzati sul braccio corto del cromosoma 9 (9p21)(Charmley P et al, Immunogenetics 1993). Essi non vengono rilevati in trascritti. Tutti i geni Vβ, tranne uno, si trovano a monte di due cluster Dβ-Jβ-Cβ. La Figura 8 mostra come entrambi i segmenti genici Cβ (Cβ1 e Cβ2) sono preceduti da un gene Dβ (Dβ1 e Dβ2) ed un cluster Jβ, che comprende sei (Jβ1.1-Jβ1.6) e sette (Jβ2.1-Jβ2.7) segmenti Jβ funzionali. I loci della regione Jβ sono classificati in due famiglie secondo la loro localizzazione genomica, e non vi è omologia di sequenza (Wei S et al, Immunogenetics 1994). A causa del grande repertorio codificato dalla linea germinale, la diversità combinatoria dei riarrangiamenti genici del TCRβ è ampia rispetto ai riarrangiamenti del TCRγ e del TCRδ. Il repertorio principale delle molecole TCRβ è ulteriormente prorogato dall' aggiunta di una media di 3,6 e 4,6 nucleotidi alle giunzioni Vβ-Dβ e Dβ-Jβ rispettivamente e dalla delezione di una media di 3.6 (Vβ), 3.8 (5'Dβ), 3.7 (3'Dβ), e 4.1 (Jβ) nucleotidi (Rowen L et al, Science 1996). Durante la maturazione delle cellule T, il riarrangiamento del TCRβ avviene in due fasi consecutive: Dβ-Jβ e Vβ-Dβ-Jβ, con un intervallo di 1-2 giorni tra questi due processi. Il segmento genico Dβ1 può aderire sia a Jβ1 che ai segmenti genici Jβ2, mentre il segmento genico Dβ2 unisce generalmente solo segmenti genici Jβ2 per la sua posizione nel locus genico (Langerak AW et al, Leukemia 1999). Tuttavia, a causa della presenza di due cluster consecutivi Dβ-Jβ, è anche possibile che due riarrangiamenti siano rilevabili su un unico allele: un riarrangiamento incompleto Dβ2- Jβ2 ed un riarrangiamento completo o incompleto nella regione Dβ1– Jβ1. Nei riarrangiamenti del TCRβ è riscontrato l'uso di una distribuzione non casuale dei segmenti genici. Negli individui sani, alcune famiglie Vβ predominano nel repertorio 36 delle cellule T periferiche (ad esempio Vβ1-Vβ5), mentre altri sono solo raramente utilizzati (ad esempio Vβ11, Vβ16, Vβ18 e Vβ23). Figura 8: Diagramma schematico del complesso genico TCRβ. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317. I valori medi del repertorio Vβ sembrano essere stabili durante l'invecchiamento, anche se vi è l'aumento della deviazione standard nei soggetti anziani (Van den Beemd MWM et al, Cytometry 2000). La rappresentazione dei segmenti Jβ è tutt'altro che uniforme. La famiglia Jβ2 è usata più frequentemente rispetto alla famiglia Jβ1 (72 vs 28%). In particolare, la percentuale di Jβ2.1 è superiore alle altre (24 %), seguita da Jβ2.2 (11%) e Jβ2.3 e Jβ2.5 (10% ciascuno) (Jores R et al, J Immunol 1993). I riarrangiamenti del TCRβ differiscono tra le categorie di tumori maligni delle cellule T. Riarrangiamenti completi Vβ-Jβ1 e incompleti Dβ-Jβ2 sono stati riscontrati più frequentemente in casi di LAL T TCRαβ+, rispetto ai casi di LAL T CD3- e LAL T TCRγδ+. Più in generale, nelle LAL T, la regione del TCRβ Dβ-Jβ1 è relativamente frequentemente coinvolta nei riarrangiamenti, in contrasto con i riarrangiamenti nelle LAL pre B che coinvolgono esclusivamente la regione Dβ-Jβ2 del TCRβ (Szczepanski T et al, Leukemia 1999). 37 Obiettivo dello studio L'analisi dell'intero genoma ha recentemente ampliato la possibilità di una precisa caratterizzazione genomica delle malattie. Un pre-requisito per un tale approccio è la disponibilità di una quantità sufficiente di DNA germinale e di DNA delle cellule tumorali e la loro buona qualità, poiché la mancanza di quantità e qualità appropriate di DNA porta ad una restrizione del tipo e del numero di saggi genetici che possono essere eseguiti. Un approccio affidabile per aumentare la quantità di DNA è la sua amplificazione utilizzando un metodo di amplificazione dell'intero genoma (WGA). Il risultato di questa procedura è l’ottenimento di grandi quantità di DNA di partenza di alta qualità, utile in tutti quei casi in cui è richiesta la disponibilità indefinita di materiale per una qualsiasi analisi molecolare (es. genotipizzazione, Real time PCR, sequencing ecc). L' uso della malattia minima residua come marker di risposta molecolare al trattamento, può migliorare la valutazione della risposta clinica, guidare la selezione delle strategie terapeutiche e, possibilmente, indicare l'esito clinico a lungo termine (Cazzaniga G et al, Haematologica 2005) in un certo numero di malattie ematologiche. Nel presente studio, è stato applicato l'utilizzo del metodo WGA, con lo scopo di confrontare i risultati ottenuti con il DNA genomico ed il DNA amplificato al momento della diagnosi e durante il follow-up clinico dei pazienti, e valutare sia l'applicabilità che l'affidabilità del DNA amplificato in questo tipo di analisi. A questo scopo, sono stati studiati 20 casi di LAL dell'adulto sia mediante PCR che RQ -PCR su DNA genomico e DNA amplificato utilizzando i riarrangiamenti genici Ig/TCR come marcatori di MMR. 38 Materiali e Metodi Pazienti e campioni studiati Venti pazienti adulti affetti da LAL, di età compresa tra 18-34, pervenuti presso il nostro centro, sono stati inseriti nello studio. Sono stati analizzati i relativi campioni di sangue midollare sia alla diagnosi che durante il follow-up. Tutti i pazienti sono stati arruolati nel protocollo GIMEMA 1308 ed hanno dato il loro consenso informato secondo le linee guida istituzionali. La diagnosi è stata stabilita attraverso criteri morfologici, citochimici e immunologici, secondo le classificazioni “French-American-British” (FAB) e “World Health Organization”” (WHO). Aspirati di midollo osseo alla diagnosi e durante il follow-up sono stati raccolti in provette contenenti citrato di sodio e mantenuti a temperatura ambiente fino al successivo processamento. I campioni di follow-up sono stati correlati alla fase IA dell'induzione (giorno +33), secondo il protocollo AIEOP pediatrico LAL 2000. Estrazione del DNA Per l'analisi molecolare, le cellule del midollo osseo sono state separate mediante Ficoll su gradiente di densità ed il DNA è stato isolato usando il kit di purificazione del DNA Wizard Genomic DNA Purification Kit (Promega Corp., Madison, Wisconsis, USA). La determinazione della purezza e della concentrazione del DNA estratto è stata valutata mediante lo spettrofotometro Epperndorf BIOPhotometer (Eppendorf AG, Hamburg, Germany), ed i campioni che presentavano un rapporto di A260/A280 compreso tra 1.8 e 1.9, sono stati diluiti con acqua deionizzata al fine di ottenere una concentrazione standard di DNA di 100µg/mL. La qualità del DNA è stata valutata a seguito di una corsa elettroforetica su gel d’agarosio dove un DNA genomico di buona qualità presentava un sola banda ad alto peso molecolare. Whole Genome Amplification (WGA) L'amplificazione dell'intero genoma (WGA) è stata effettuata utilizzando il Qiagen REPLI-g Mini Kit (QIAGEN GmbH, Hilden, Germania), secondo il protocollo del produttore. Il modello consisteva di 40 ng di DNA genomico umano estratto da un pellet di cellule mononucleate. La miscela di reazione è stata preparata utilizzando due 39 differenti tamponi ed una master mix contenente, rispettivamente, i random esameri e la Phi29 DNA polimerasi, per ottenere un volume finale di 30 microlitri. I campioni sono stati quindi incubati a 30°C per 16 h, dopo inattivazione termica a 65°C per 10 minuti. Questo metodo si basa su un sistema di amplificazione multiplo di spostamento, in cui vi è l'associazione di esameri casuali per la singola molecola del filamento bersaglio. Esso consiste in una amplificazione isotermica, poiché la reazione avviene ad una temperatura di 30°C con una DNA polimerasi (Phi29) ad alta processività. Nel momento in cui la Phi 29 comincia l'elongazione, i filamenti di DNA a monte vengono spostati e possono quindi servire da stampo per nuovi eventi di annealing dei primers. Questo darà origine ad un network di DNA a struttura ramificata, generando un'abbondanza di copie della molecola di DNA originale. Screening dei riarrangiamenti genici Ig/TCR Il DNA genomico ed il DNA amplificato ottenuto dai campioni della diagnosi sono stati amplificati mediante reazione di amplificazione Polymerase Chain Reaction (PCR) utilizzando il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). La PCR è stata eseguita utilizzando il set di primers del BIOMED-1 per Ig kappa/Kde, (Vk-Kde, introne-Kde), per i riarrangiamenti completi ed incompleti della catena delta del TCR (TCRD; Vd-(Dd)-Jd1, DD2-Jd1, Vd2-DD3, DD2-DD3) e della catena gamma (TCRG; Vg-Jg1.3/2.3, Vg-Jg1.1/2.1)(Van Dongen JJM et al, Leukemia 1999). I riarrangiamenti completi ed incompleti della catena pesante delle immunoglobuline (VH- (DH)-JH, DH-JH) sono stati identificati utilizzando cinque primers per le famiglie VH e sette primers per le famiglie DH in combinazione con un JH consensus (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003). Per I riarrangiamenti completi ed incompleti della catena beta del TCR (TCRB; Dβ-Jβ e Vβ-Dβ-Jβ), sono stati utilizzati i rispettivi set di primer per la multiplex-PCR del BIOMED-2 (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003). Le condizioni di amplificazione di ciascun riarrangiamento sono riportate nelle tabelle 4 e 5. I prodotti di amplificazione ottenuti sono stati ulteriormente esaminati mediante analisi degli omo/eterodimeri al fine di discriminare le amplificazioni derivate da popolazioni di cellule linfoidi monoclonali o policlonali (Langerak AW et al, Leukemia 1997; Borowitz MJ et al, Blood 2008). I prodotti di PCR biclonali o biallelici sono stati separati mediante 40 escissione degli ampliconi dal gel di poliacrilammide o per clonazione del DNA attraverso il pMOS Blunt end Cloning KIT (Amersham Biosciences Europe GMBH. MI, Italy). Tabella 4: Schema di amplificazione dei riarrangiamenti IgH (A) e IgK (B). (A) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli 45’’ 60°C 1’ 72°C 35 2’ 94°C 30’’ 94°C 7’ 72°C (B) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli 1', 30’’ 60°C 2’ 72°C 40 3’ 92°C 45’’ 92°C 10’ 72°C Tabella 5: Schema di amplificazione dei riarrangiamenti del TCRγ/δ (C), del TCRα (D) e del TCRβ (E). (C) Denaturazione 1',30” 94°C 30’’ 94°C (D) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli 1' 60°C 30’’ 60°C 1',30” 72°C 1',30” 72°C 6’ 72°C 1 35 Annealing Estensione N° Cicli 45’’ 60°C 1',30” 72°C 35 7’ 95°C 45’’ 95°C 10’ 72°C (E) Denaturazione 7’ 95°C 30’’ 94°C Annealing Estensione N° Cicli 45’’ 60°C 1',30” 72°C 10’ 72°C 35 41 Sequenziamento e analisi del gene I prodotti di PCR sono stati sequenziati direttamente secondo metodo Sanger con marcatura fluorescente utilizzando il kit di reazione BigDye Terminator v3.1 Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) e il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). Durante la sintesi del filamento di DNA i didesossinucleotidiltrifosfati (ddNTP) marcati con quattro differenti fluorocromi vengono, mediante l’enzima DNA polimerasi, inseriti al filamento stampo impedendo l’aggiunta di ulteriori nucleotidi. Al termine della reazione di sequenza la miscela di singoli frammenti di DNA ottenuta è stata purificata utilizzando il kit DyeEx 2.0 Spin Kit (QIAGEN, Valencia, CA, USA) che permette di eliminare i ddNTP fluorescenti in eccesso non incorporati attraverso il principio cromatografico della gelfiltrazione su colonnine contenenti resina. I frammenti di DNA purificati sono stati sottoposti ad elettroforesi capillare mediante il sequenziatore ABI PRISM® 3100-Avant Genetic Analyzer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’acquisizione dei dati relativi ai campioni è stata eseguita utilizzando il software 3100-Avant Data Collection Software e le sequenze sono state analizzate mediante il programma ABI PRISM® DNA Sequencing Analysis Software (Versione 3.7), e visualizzate come elettroferogrammi. L'interpretazione dei risultati è stata eseguita allineando le sequenze nucleotidiche ottenute alla directory IMGT(international ImMunoGeneTics information system) per l'identificazione di riarrangiamenti IGHV, IGKV, TCRA, TCRB, TCRD, TCRG. Disegno dei primers e analisi RQ-PCR Le regioni giunzionali paziente-specifiche dei prodotti di PCR risultati clonali sono stati identificati come potenziali target per la valutazione della MMR quantitativa (Langerak AW et al, Leukemia 1997). Gli Oligonucleotidi relativi a tali regioni (ASO primer) sono stati disegnati utilizzando il programma Primer Express ABI PRISM Primer Design Software(Applied Biosystems, Foster City, CA). Gli ASO primers sono stati testati per specificità e sensibilità con l'obiettivo di selezionare per ogni paziente uno o due oligonucleotidi con una sensibilità di almeno 10-4 e un range quantitativo di 10-4 per il primo primer e di 5x10-4 per l'eventuale secondo primer identificato (Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). Le curve standard per le valutazioni preliminari degli oligo costruiti e le successive analisi quantitative, sono state preparate a partire da diluizioni seriali del campione della 42 diagnosi, nel DNA estratto da un pellet di cellule mononucleate proveniente da un pool di sangue venoso periferico (PBL) di 5 donatori sani e portato alla concentrazione di 100 μg/ml. I saggi sono stati allestiti per raggiungere una gamma di sensibilità e quantificabilità ≥10-4, con uno slope della curva compreso tra 3.1 e 3.9 ed un coefficiente di correlazione ≥0,98, secondo le linee guida della ESG-MRD–ALL (Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). Le reazioni sono state preparate utilizzando i reagenti del kit TaqMan PCR Core Reagent (PE Applied Biosystems, Foster City CA, USA) e processate nell' ABIPrism 7300-7500 alle seguenti condizioni: un'incubazione iniziale di 2 minuti a 50°C e 10 minuti di denaturazione a 95°C, seguite da 50 cicli di denaturazione a 95°C per 15 secondi ed annealing a 58-63°C per 1 minuto. Sono state rispettate le linee guida per l'analisi di RQ-PCR della MMR per tutti i riarrangiamenti ed i pazienti studiati, ESGMRD-ALL (European Study Group on MRD Detection for ALL)(Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). 43 Risultati Riarrangiamenti genici Ig/TCR identificati al momento della diagnosi: DNA genomico vs DNA amplificato Dei 20 casi di LAL esaminati, 16 hanno mostrato un fenotipo a cellule B e 4 un fenotipo a cellule T. Tutti i campioni sono stati valutati per i ririarrangiamenti genici Ig/TCR. Lo screening è stato eseguito a cieco sia su DNA genomico che su DNA amplificato e successivamente sono stati confrontati i risultati. Su DNA genomico in 18/20 (90%) pazienti è stato identificato almeno un riarrangiamento clonale, mentre in 2/20 (10%) casi non è stato identificato alcun marcatore. In 10/18 (55,5%) pazienti è stato rilevato un doppio marker, che ha permesso di caratterizzare e seguire con maggiore precisione la malattia. Sono stati trovati e sequenziati 87 riarrangiamenti, con un valore medio di 4.8 riarrangiamenti/caso ed un massimo di 8 riarrangiamenti genici in un caso. Sono state utilizzate solo 28/87(32,2%) ricombinazioni, quelle che nelle prove preliminari per la valutazione della sonda allele-specifica hanno dato la più alta sensibilità e specificità. Riarrangiamenti IGH (IGHVDJ e IGHDJ) sono stati rilevati in 16/87 casi (18,4%) e 9/16 (56,2%) sono stati utilizzati per l'analisi RQ-PCR. IGK-KDE è stato il secondo riarrangiamento più comune identificatio, 21/87 (24,1%), e 2/21 riarrangiamenti (9,5%) sono stati utilizzati per l'analisi RQ-PCR. I riarrangiamenti del TCRγ/δ sono stati identificati in 42/87 casi (48,3%) e 12/42 (28,6%) sono risultati un utile marker per l'analisi RQ-PCR. Infine, 8/87 (9,2%) riarrangiamenti del TCRα/β sono stati identificati e 5/8 (62,5%) sono stati utilizzati per la valutazione della MMR. Lo screening effettuato sui prodotti WGA non ha dato differenze sia nel tipo di marker identificato che nelle caratteristiche del riarrangiamento; le ricombinazioni identificate avevano le stesse delezioni, inserzioni e regioni N del corrispondente DNA genomico (Tabella 6). Il numero di nucleotidi N incorporati è un fattore importante per ottenere una sensibile analisi di RQ-PCR; per i riarrangiamenti IGH, IGK-KDE, TCRγ/δ e TCRα/β, il numero medio di nucleotidi N è stato 19, 5, 12 e 14 rispettivamente, identico nei target individuati sia su DNA genomico che amplificato. Nei test preliminari, sensibilità e specificità di 10-4/10-5 per l'analisi quantitativa con almeno un marcatore, sono state ottenute nel 96,4% (27/28) degli oligonucleotidi specifici disegnati. In un solo caso (3,6%), il primer identificato aveva una bassa sensibilità (5x10-4). 44 Tabella 6: Caratteristiche molecolari dei target di MMR valutati alla diagnosi. In grassetto sono evidenziati i nucleotidi della N-region. Paziente Riarrangiamento genico Ig/TcR N-region ASO-P LAL-B 1 VH3-53*01 JH4*02 DH4-23*01 TTTCT/T/CTACGGTGG/CCTCCGAG/GACTA 5’GGCCGTGTATTTCTTCTACGGT3’ LAL-B 2 DD2*01 DD3*01 TCCTAC/ATCC/CAGTGC 5’CATTGTGCCTTCCTACATCCCA3’ VD2*01 JA29*01 DD3*01 TGCCT/TGGGCCC/ACTGG 5’TCCCCCAGTGGGCCC3’ VH4-4*34 JH5*02 DH2-2*02 GCAAG/G/GGATATTGTAGTAGTACCAGCTGCTATA/ TCGAACCG/CAACTGGT 5’AGCTGCTATATCGAACCGCAA3’ VG5*01 JG1.3*01 ACAGG/TTTTGGGCCCGGGACACGCTTACCTCTAA AGAGTCCGGGCCCGGGGGTGTAG/CAGTGG 5’GCCCGGGGGTGTAGCAGT3’ VK1-8*01 KDE CCCAA/GGAGTCGGGG/GCCCT 5’TTGCAACTTATTACTCCCAAGGAGT3’ VD2*03 DD3*01 TGTGA/TCCC/ACTGG 5’GCGTATCCCCCAGTGGGA3’ LAL-B 3 LAL-B 4 LAL-T 5 VB6-2*01 JB2.3*01 GTGCCAG/AGTCCTCGTAGTATTTTTATTC/CACAG 5’AGAGTCCTCGTAGTATTTTTATTCCA ATAC CA 3’ VD1*01 DD2*01 DD3*01 JD1*01 GGGGA/TCG/CCTTCC/CACAACACCCGAGT/ACTG GGGGATA/GTG/ACCGATA 5’ CTTCCCACAACACCCGAGTAC3’ VD2*01 DD3*01JA48*01 TGTG/CGGT/ACTGGGGG/CCCTAC/GAGAA 5’CCCAAAGGTTAATTTCTCGTAGGG3' VH1-18*01 DH6-6*01 JH4*02 GAGAG/TG/GTATAGCAGCTCGTCC/GAGAGTTGA/ ACTACT 5’CAGCTCGTCCGAGAGTTGAA3’ VH3-74*01 JH6*03DH2-15*01 AAGA/CT/AGGATATTGTAGTGGTGGTAGCTG/ACC CAACC TCTCCTAC/TACTA 5’ TGGTGGTAGCTGACCCAACC3’ VD2*01 DD3*01 TGACACC/GAGAGGGGCCCA/ACTGG 5’GTTGGGCCCCTCTCGG3’ LAL-T 8 VB19*01 JB2.1*01 GTAGT/CTGTAGCCCGTAGTCTGTAGCACGGTGA GTAACCCCAC/CTCCT 5’CTGTAGCCCGTAGTCTGTAGCAC3’ LAL-B 9 VD2*01 DD3*01 ACACC/GGTACGACAAAGGGAAA/GCTAC 5’CGGTACGACAAAGGGAAAGCT3’ LAL-B 10 VK1-33*01 KDE TATGATAATCTCCC/GGAGCCCTAGTGGCA 5’GTCAACAGTATGATAATCTCCCGGA3’ LAL-B 11 VH4-30-4*01 JH3*02 DH2-2*03 GCCAG/TAA/TGGATATTGTAGTAGTACCAGCTGTA T/CCG/GATGCT 5’GGCCGTGTATTACTGTGCCAGTA3’ LAL-T 12 VD1*01 DD3*01 JD1*01 GTGCTCT/CTA/ACTGGG/CCCCCGT/ACACCG 5’CTCTAACTGGGCCCCCGTA3’ LAL-B 13 VG3*01 JG1.3*02 TGTGCC/CCCTGGGACAGGCCTC/GAAACTCTT 5’GGGACAGGCCTCGAAACTCTT3’ LAL-B 14 VH2-70*01 DH1-7*01 JH5*02 GATAC/CTTC/AACTGGAACTAC/GATCGGCCTTAA/ GTTCG 5’TGGAACTACGATCGGCCTTAAGT3’ DH4*23 JH6*01 GGGGT/CCCTCGGGCCAATAAAT/CTACT 5’ACTACGGGGTCCCTCGG3’ VD1*01 DD2*01 DD3*01 JD1*01 A GGGGAA/TTTACCGG/CCTTCCT/TTCGATCCTG/CT GGGGGATACG/CGTAGATTAAGT/ACACCGA 5’ GCCTTCCTTTCGATCCTGCT3’ VD1*01 DD2*01 DD3*01 JD1*01 B ATAG/CTAATGGAGTTTTCGGACACAATTAAAA/TT CC/GT/ACACCG 5’GGAGTTTTCGGACACAATT3’ LAL-B 16 DD2*01 JD1*01 CTTCC/CAT/ACACC 5’GTTTCATTGTGCCTTCCCATACA3’ LAL-B 17 DD2*01 DD3*01 CTTCC/CTCCTTTA/GGGGA 5’CATTGTGCCTTCCCTCCTTTA3’ VH1-3*01 DH6-19*01 JH6*02 CGAGA/CTAGTGTCTC/GTATAGCAGTGGCTCGTA/ GGAG/CTACT 5’TCGTATAGCAGTGGCTCGTAGGA3’ VH3-11*01 DH2-8*02 JH5*02 CTGGT/AACGACTGC/ATTGTTCTTGAGG/CTGGTT 5’GTGTATGCTGGTAACGACTGCATT3’ CGCAC/CCCTG LAL-B 6 LAL-B 7 LAL-T 15 LAL-B 18 VD2*01 JA29*01 LAL-B 19 NO TARGET LAL-B 20 NO TARGET ACACC/TACTGGGGGGGGA/GAAAC 5’TGTTTCTCCCCCCCCAGT3’ 45 Confronto della quantificazione della malattia alla diagnosi e risultati di MMR tra DNA genomico e amplificato. Per valutare la specificità, la sensibilità e la precisione quantitativa, sono stati valutati i livelli di malattia sia al momento della diagnosi che durante il follow-up in tutti i campioni sia su DNA genomico che amplificato. Sono stati definiti i range quantitativi e di sensibilità secondo le linee guida (Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007) per entrambe le tipologie di campioni, ottenendo lo stesso livello di sensibilità. Al momento della diagnosi, tutti i campioni di DNA genomico avevano un livello di malattia tra 1x10 -1 e 4x100; gli stessi livelli di malattia sono stati trovati sui campioni di DNA amplificato, ma in 6/18 (33,3%) è stata osservata una quantificazione diversa della malattia, risultando questi dati tuttavia accettabili, poichè il grado di comparabilità ed i livelli di confidenza agli stessi punti temporali, ricadeva entro 1 logaritmo di differenza (Tabella 7). Tabella 7: Confronto della quantificazione di malattia al momento della diagnosi tra DNA genomico ed amplificato(WGA). Paziente MMR RQ-PCR DNA (DX) MMR RQ-PCR WGA (DX) LAL-B 1 1,20E+00 1,41E-01 LAL-B 2 8,00E-01 3,50E+00 LAL-B 3 1,00E+00 3,00E-01 LAL-B 4 1,00E+00 1,50E-01 LAL-T 5 4,50E+00 4,20E+00 LAL-B 6 9,70E-01 2,30E-01 LAL-B 7 6,10E-01 3,70E-01 LAL-T 8 1,00E+00 2,00E-01 LAL-B 9 1,00E+00 1,00E-01 LAL-B 10 4,60E+00 4,50E-01 LAL-B 11 9,30E-01 2,00E+00 LAL-T 12 2,00E+00 7,00E-01 LAL-B 13 2,00E+00 9,00E-01 LAL-B 14 8,00E-01 1,40E-01 LAL-T 15 4,00E-01 9,70E-01 LAL-B 16 5,00E-01 1,00E-01 LAL-B 17 3,00E+00 1,30E+00 LAL-B 18 9,30E-01 2,00E+00 Quindici dei 18 (83,3%) campioni di follow-up di DNA genomico sono risultati positivi: 13/15 (86.7%) erano all'interno del range quantitativo e con livelli di MMR tra 5x10 -5 e 46 1x 10-2, e 2/15 (13,3%) erano positivi ma fuori range quantitativo. I restanti 3/18 (16,7%) sono risultati negativi. Dieci su 18 (55,5%) campioni di follow-up sono stati valutati con un doppio target e non sono stati trovati risultati discordanti. Tredici dei 18 (72,2%) campioni di follow- up di DNA amplificato sono risultati positivi con lo stesso livello MMR dei campioni di DNA genomico (5x10 -5 -1x10-2). I restanti 5/18 (27,8%) sono risultati negativi. Dieci su 18(55,5%) campioni di DNA amplificato sono stati valutati con doppio marcatore e sono stati trovati risultati discordanti in 1 caso, in cui 1 target era positivo e l'altro era negativo, in questo caso, il livello di MMR era molto basso come la sensibilità del secondo target. Considerando tutti i campioni di follow-up valutati mediante analisi RQ-PCR su DNA genomico e amplificato, 16 su 18 campioni (88,9%) hanno mostrato risultati concordanti di MMR, mentre 2/18 (11,1%) campioni sono risultati positivi fuori range quantitativo su DNA genomico e negativi su DNA amplificato (Figura 9). In questi 2 casi, il livello di MMR su DNA genomico era inferiore 5x10-5. Figura 9: Confronto dei livelli di MMR tra il DNA genomico e amplificato durante il follow-up clinico dei 18 pazienti studiati. 47 Conclusioni Lo studio della MMR è oggi eseguito nel contesto di diversi tumori come la LAL e le malattie linfoproliferative, per la cui gestione i protocolli clinici sono basati sul monitoraggio biologico della malattia. Nelle LAL la MMR è fondamentale per guidare e modificare la gestione terapeutica dei pazienti (Bruggemann M et al, Blood 2006). La riduzione del carico tumorale durante e dopo il trattamento di induzione fornisce informazioni cruciali sulla risposta alla terapia e rischio di recidiva. Questo permette di identificare pazienti "a basso rischio" e "ad alto rischio", che possono trarre profitto dalla riduzione o dalla intensificazione della terapia, rispettivamente (Vidriales MB et al, Blood 2003; Flohor T et al, Leukemia 2008; Bassan R et al, Blood 2009). L’approccio molecolare allo studio della MMR in pazienti affetti da LAL ha assunto un’importanza rilevante, data anche la crescente rapidità ed il continuo affinamento delle tecniche di analisi. Tale strategia consente di dimostrare una remissione molecolare precoce in risposta alla terapia. Tuttavia un pre-requisito fondamentale è la disponibilità di una quantità sufficiente di DNA germinale e di DNA delle cellule tumorali. La mancanza di quantità e qualità appropriate di DNA porta ad una restrizione del tipo e del numero di saggi genetici che possono essere eseguiti. L' amplificazione dell'intero genoma (WGA) può rappresentare un metodo affidabile per superare questo problema. Diversi lavori hanno riportato l'uso del WGA per l'analisi di mutazione dei tumori umani (Hughes S et al, Cyt Gen Res 2004; Hughes S et al, Pro Biop Mol Biol 2005). Inoltre, il WGA può essere utilizzato in altri campi, come la diagnosi genetica preimpianto (Jiao Z et al, Pren Diagn 2003; Ao A et al, J Ass Rep Gen 1998; Kristjansson K et al, Nature Gen 1994; Handyside AH et al, Mol Hum Rep 2004) e la diagnosi prenatale (MartelPetit V et al, Pren Diagn 2001; Sekizawa A et al, Obst Gynecol 1996; Lovisa L et al, Rev Art Hum Mut 2006; Niap HT et al, J Obstet Gynaecol Res 2010; Nathan RT et al, Mol Hum Rep 2011). La valutazione dell'applicabilità della tecnologia WGA nel contesto dell'analisi della MMR ha un importante valore clinico, pertanto in questo studio ne è stato applicato l'uso all'analisi molecolare quantitativa in campioni di sangue midollare provenienti da pazienti adulti affetti da LAL, valutati al momento della diagnosi e durante il follow-up clinico, con lo scopo di confrontare i risultati ottenuti con quelli derivati da DNA genomico originale, e stimarne applicabilità ed affidabilità in questo tipo di analisi. Lo 48 screening molecolare alla diagnosi non ha dato differenze nel tipo di target evidenziato; i riarrangiamenti derivati da DNA genomico ed amplificato avevano le stesse delezioni, inserzioni e regioni N. E' stata osservata una piccola discrepanza nella quantificazione della malattia in 6 casi, ma il livello di differenza tra DNA genomico ed amplificato era entro 1 logaritmo e quindi non significativo. Questi risultati concordanti hanno dimostrato la robustezza del WGA, in questo punto di valutazione, poichè ha permesso l'amplificazione e l'analisi di tutti i campioni diagnostici, riproducendo una copia fedele ai campioni di DNA genomico, senza l'aggiunta di ulteriori mutazioni che avrebbero reso l'analisi inaccettabile. Risultati simili sono stati ottenuti recentemente in una piccola coorte di 10 pazienti affetti da leucemia mielomonocitica cronica in cui questa tecnica di amplificazione ha permesso la genotipizzazione di 25 geni associati alla leucemia nonostante le basse quantità di DNA disponibile (Rinke J et al,Clin Chem 2013). Nella valutazione della MMR al follow up, 2 casi positivi analizzati da DNA genomico sono risultati negativi con il WGA. In questi due casi, i livelli di MMR sul DNA genomico erano al di sotto 5x10-5, va sottolineato che tale valutazione di MMR, diversa tra DNA genomico e WGA, non si traduce in una diversa classificazione nel gruppo di rischio per il paziente. Se il livello di MMR è molto basso, l'amplificazione del DNA di una quota minima di malattia non avviene con il metodo WGA. Anche se è stato dimostrato che l'amplificazione con il WGA produce quantità accettabili di substrato amplificato indipendentemente dalle quote di DNA genomico di partenza (Dean FB et al, Pro Nat Aca Scien USA 2002), alcuni studi hanno riportato una correlazione positiva tra quantità crescenti di DNA genomico e rendimenti più elevati di DNA amplificato ottenuti dopo WGA. Inoltre, tracce di contaminanti o enzimi nei campioni di DNA genomico possono competere all'interno della reazione di amplificazione del WGA e creare delle interferenze, in particolare quando le concentrazioni di DNA stampo sono basse (Bergen AW et al, BMC Biotech 2005). Studi preliminari hanno anche dimostrato che i rendimenti del WGA dipendono dalla qualità del DNA stampo usato nella reazione e che uno stampo di DNA povero può diminuire la precisione dell'analisi molecolare [Bergen AW et al, BMC Biotech 2005; Sun G et al, Legal Medicine (Tokyo)2005]. Il WGA rappresenta l'unico modo per aumentare significativamente la quantità di DNA che può essere derivato da campioni clinici poveri (Hughes S et al, Pro Biop Mol Biol 2005). Inoltre, la possibilità di amplificare i campioni anche quando il livello di MMR è 49 molto basso potrebbe essere utile per l'identificazione dei cloni resistenti e per l'analisi di mutazioni genetiche che inducono farmaco-resistenza. In un recente studio (Rosenquinst R et al, Leukemia 2013) è stato riportato che il WGA come fonte per l'analisi mutazionale sottostima la frequenza di alcune mutazioni (FLT3 e NPM1) in un'ampia coorte di pazienti con leucemia mieloide acuta in età pediatrica, suggerendo una certa prudenza nell'utilizzare il WGA, in particolare per l'analisi di determinate mutazioni. E' evidente che questo metodo deve essere considerato uno strumento per amplificare il materiale senza sostituire il DNA genomico. Per concludere, il WGA fornisce una fonte di DNA che permette:1) l'identificazione di target fedeli per la valutazione della MMR in tutti i pazienti; 2) una quantificazione della malattia sensibile e precisa al momento della diagnosi; 3) una quantificazione della MMR paragonabile al DNA genomico per valori compresi tra 4x100 e 5x10-5. Il metodo WGA apre la strada per ampliare notevolmente le possibilità di analisi in tutti quei casi in cui la quantità di DNA è un fattore limitante. 50 Bibliografia 1. Ao, A., Wells, D., Handyside, A.H., Winston, R.M. & Delhanty, J.D. Preimplantation genetic diagnosis of inherited cancer: familial adenomatous polyposis coli. Journal of Assisted Reproduction and Genetics 1998; 15: 140-144. 2. Arden, B., Clark, S.P., Kabelitz, D., Mak, T.W. Human T-cell receptor variable gene segment families. Immunogenetics 1995; 42: 455–500 3. 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Oggi è stato invece ampiamente dimostrato in diversi studi, che le cellule di LLC non sono in uno stato di quiescenza (Messmer B.T. et al, J Clin Invest 2005) bensì presentano un determinato turn-over ed una anormalità dei geni che soprassiedono alla funzione della apoptosi. La nuova concezione della LLC pertanto, vede tale patologia come una malattia da accumulo non più statica ma dinamica (Chiorazzi N. et al, Annu Rev Immunol 2003), caratterizzata dalla presenza di cellule mature, antigenicamente esperte e immunologicamente competenti. Il 95% dei pazienti presenta una proliferazione clonale che coinvolge i linfociti di tipo B (LLC-B), mentre solo una piccola percentuale di pazienti ha una proliferazione clonale di linfociti di tipo T (LLC-T). Anche dopo il riconoscimento dei numerosi disordini linfoproliferativi cronici che coinvolgono i linfociti B maturi, la LLC rimane di gran lunga la patologia più diffusa. E’ ,infatti, la forma di leucemia più comune nella popolazione adulta dei paesi occidentali, dove rappresenta circa il 25-30% di tutte le leucemie. La LLC è più frequente negli uomini rispetto alle donne con un rapporto di circa 2:1 e il tasso di incidenza annua è di circa 2-6 nuovi casi per 100,000 abitanti ogni anno ed aumenta con l’età (Rozman C. et al, N Engl J Med 1995). Pur essendo l’età media alla diagnosi di 65 anni, recentemente è stato riportato un aumento nell’incidenza tra i giovani in quanto un terzo di nuovi casi sono diagnosticati nella popolazione al di sotto dei 55 anni di età (De Lima M. et al, Semin Oncol 1998). I decessi non correlati alla LLC e lo sviluppo di seconde neoplasie sono predominanti nei pazienti anziani mentre gli effetti diretti della leucemia prevalgono nei pazienti giovani. 63 Pazienti giovani e anziani tuttavia mostrano alla diagnosi una simile distribuzione delle caratteristiche cliniche, l’unica differenza riscontrata nei due gruppi è un significativo rapporto maschi/femmine nei pazienti giovani che può far presupporre ad un ipotetico effetto endocrino protettivo nelle pazienti femmine giovani (Mauro F. et al, Blood 1999). La LLC è una malattia caratterizzata dall’accumulo di linfociti B maturi CD5 + (antigene costitutivo della linea linfoide T) nel sangue venoso periferico, midollo osseo e organi linfoidi secondari (linfonodi e milza) e presenta un peculiare aumento della conta dei linfociti nel sangue venoso periferico ≥5x 109 linfociti B/L (5000/μL)(Chiorazzi N. et al, Curr Top Microbiol Immunol 2005). CD5+ CD79βCD19+ CD22± CD23+ CDIgS± Figura 1: Espressione immunofenotipica degli antigeni caratterizzanti la diagnosi di LLC. La LLC, a differenza delle altre forme di leucemia, non é associata con l’esposizione a sostanze chimiche, né a radiazioni ionizzanti ma diversi studi hanno dimostrato come fattori genetici o familiari possono predisporre l’individuo ad un più elevato rischio di sviluppare tale patologia (Rawstron A.C. et al, Blood 2002). Negli ultimi anni sono state descritte più di 50 famiglie con più di due componenti affetti da LLC o da altre malattie linfoproliferative. In molte di queste famiglie era evidente una trasmissione verticale che rende possibile l’ipotesi della presenza di un carattere autosomico ad espressione variabile. Questa predisposizione familiare è accompagnata dal cosiddetto “fenomeno di anticipazione”, per il quale, di generazione in generazione, l’età d’esordio è sempre più precoce ed il quadro clinico più severo (Horwitz M. et al, Virology 2001). 64 Il rischio globale di sviluppare questa malattia è 7-9 volte maggiore tra familiari di primo grado di pazienti affetti da LLC, rispetto al resto della popolazione. Dal punto di vista clinico e biologico la LLC con predisposizione familiare è molto simile ai casi sporadici, anche se è stata riscontrata un’alta proporzione di femmine rispetto ai pazienti maschi con storia familiare di LLC. Dal momento che la LLC è più frequentemente diagnosticata nei maschi è possibile presupporre che le femmine possano avere un numero maggiore di geni o geni più penetranti che predispongono di più all’insorgenza della LLC (Mauro F.R. et al, Haematologica 2006). La LLC è spesso asintomatica, nel 25-30% dei casi non sono riscontrabili né sintomi clinici né segni obiettivi di malattia; in tali casi la diagnosi di LLC avviene in seguito ad accertamenti casuali di laboratorio. Le più comuni caratteristiche cliniche includono linfoadenopatia (87%), splenomegalia (54%), ed epatomegalia (14%). Circa il 10% dei pazienti presentano un' anemia emolitica autoimmune con test di Coombs positivo. Il 10% dei pazienti possono avere ipogammaglobulinemia, ed un altro 15% può avere ipergammaglobulinemia o gammopatia monoclonale. Molti pazienti asintomatici sono identificati sulla base della sola linfocitosi rilevata con l’emocromo completo. Con il progredire della malattia possono comparire altri sintomi, che non sono caratteristici della leucemia linfatica cronica ma sono comuni ad altre patologie linfoproliferative, e sono conseguenti all’invasione del midollo osseo da parte di linfociti neoplastici: la stanchezza, associata a pallore cutaneo e palpitazioni sono una conseguenza dell’anemia, mentre le manifestazioni emorragiche sono secondarie alla riduzione delle piastrine (Catovsky D. et al, Ann Hematol 1991). Inoltre l’accumulo dei linfociti patologici ostacola la normale produzione da parte del midollo osseo di linfociti e granulociti neutrofili, in questo modo si crea uno stato di immunodeficienza che predispone l’individuo malato all’insorgenza di infezioni. Infine in un 5% di pazienti la malattia si può manifestare associata a fenomeni autoimmuni, cioè produzione di anticorpi contro antigeni propri, in particolare antigeni di globuli rossi e piastrine, dando origine a patologie concomitanti quali l’anemia emolitica autoimmune, la piastrinopenia autoimmune o più raramente l’associazione di entrambi (sindrome di Fisher-Evans). L’infiltrazione del midollo osseo può avvenire secondo quattro configurazioni: nodulare, diffuso, interstiziale e misto. Il pattern nodulare suggerisce uno stadio precoce della 65 malattia, mentre quello diffuso ed interstiziale sono tipici degli stadi più avanzati. Inoltre, solo dimostrando l’assenza di cellule leucemiche dal midollo è possibile definire uno stato di remissione completa. Pertanto, nonostante questa forma di leucemia presenti un profilo diagnostico ben definito, l’ampia variabilità del decorso clinico rende necessaria la ricerca, alla diagnosi, di parametri biologici e clinici di significato prognostico per adeguare il trattamento alla severità della malattia. Negli ultimi anni numerosi studi hanno identificato molteplici caratteristiche biologiche e genetiche che hanno consentito di evidenziare dal punto di vista clinico e della sopravvivenza l’estrema eterogeneità della LLC. La mediana di sopravvivenza dei pazienti affetti da LLC è di circa 10 anni. La prognosi individuale è comunque estremamente variabile. Mentre in alcuni pazienti la malattia ha un decorso clinico indolente e l’aspettativa di vita non è breve, in altri la malattia progredisce rapidamente, ha un andamento aggressivo, e la sopravvivenza dopo la diagnosi è di 2-3 anni (Montserrat E, Hematology 2006). Studi recenti hanno dimostrato che questa variabilità clinica dipende da differenze biologiche della malattia, pertanto la definizione alla diagnosi delle caratteristiche biologiche della malattia è oggi una necessità ai fini dell’atteggiamento terapeutico da intraprendere (figura 2). Figura 2: Curve di sopravvivenza di pazienti affetti da LLC divisi in cinque categorie citogenetiche (Döhner H. et al, 2000). 66 Lo stato non mutato della regione variabile della catena pesante delle immunoglobuline (IgHV), la positività della cellula leucemica per l’antigene di attivazione CD38 e per la molecola di trasduzione del segnale ZAP-70, le alterazioni citogenetiche quali la delezione dei cromosomi 17p e 11q, la trisomia del cromosoma 12 e le mutazioni a carico del gene TP53 e del gene ATM, identificano una malattia clinicamente più aggressiva che richiede specifici trattamenti terapeutici. L’individuazione di tale distintivo profilo biologico pertanto permette di identificare precocemente alla diagnosi due gruppi di pazienti con prognosi differente, uno a prognosi sfavorevole per i quali devono essere indicati trattamenti più aggressivi, e pazienti a prognosi favorevole o con malattia stabile che possono avere un decorso clinico benigno senza necessitare di alcun trattamento terapeutico. Parametri quali profilo morfologico e immunofenotipico di LLC tipica, assenza dell’espressione dell’antigene CD38, IgHV mutate, assenza di mutazioni del gene TP53, assenza di delezione del 17p e del11q e la presenza della delezione del 13q sono stati associati a stabilità della malattia (Guarini A. et al, Blood 2003). Un profilo biologico ben definito è stato anche identificato in un sottogruppo di pazienti affetti da LLC in fase di regressione spontanea della malattia (Del Giudice I. et al, Blood 2009). I numerosi sforzi volti a cercare dei criteri per definire la prognosi della malattia si incrociano con la ricerca dei meccanismi patogenetici che ne stanno alla base. La disregolazione del processo di morte cellulare programmata (apoptosi) è ormai largamente riconosciuto come uno dei meccanismi principali nella patogenesi di numerosi tumori; nella LLC essa assume un ruolo particolarmente importante. Le cellule di LLC, infatti, non possiedono un’elevata capacità replicativa e sono per lo più bloccate nelle fasi G0/G1 del ciclo cellulare ed il loro accumulo pertanto è legato alla perdita della capacità di andare incontro ad apoptosi. E’ importante quindi capire se la resistenza all’apoptosi sia legata a fattori intrinseci alla cellula o dipenda da messaggi esterni che giungono dal microambiente in cui vive (Ghia P. et al., Adv. Cancer Res 2000; Collins R.J. et al., Br. J. Haematol 1989). Per quanto riguarda i fattori intrinseci, molto importante è l’equilibrio tra fattori pro- e anti-apoptotici. Tra questi, i principali regolatori dell’apoptosi sono delle proteine appartenenti alla famiglia Bcl-2 (B-cell lymphoma-2) che giocano un ruolo cruciale in questo meccanismo inibendo (Bcl-2, Bcl-xL, Bcl-w, Bfl1 e Mcl-1) o promuovendo (Bax, Bak, Bcl-xS, Bid, Bik e Hrk) l’apoptosi. L’eterodimerizzazione tra membri pro- e anti-apoptotici di questa famiglia ed i livelli 67 relativi di entrambi i tipi di proteine, può determinare la predisposizione a rispondere ad un determinato stimolo apoptotico (Packham G. et al, Immunology 2005). Altri fattori intrinseci critici per il controllo dell’apoptosi sono rappresentati dalle proteine p53 e ATM, la cui mancata o carente espressione dovuta sia alla presenza di delezione delle regioni cromosomiche in cui mappano i geni che le codificano, sia a mutazioni presenti nella regione genica, può alterare il fisiologico processo apoptotico. La sopravvivenza dei linfociti B leucemici non è dovuta solo alla loro capacità di resistere all’apoptosi, mediante i meccanismi precedentemente discussi, ma risulta influenzata anche dall’ambiente circostante e dalle cellule che lo compongono (cellule stromali e cellule “nurse-like”) (Caligaris-Cappio F. et al, Br. J. Haematol 2003). È stato infatti dimostrato che le cellule B neoplastiche non sopravvivono in coltura e vanno rapidamente incontro a morte. Linfociti T e diversi tipi di cellule aderenti chiamate “cellule stromali” sono i principali elementi del microambiente che conferiscono condizioni favorevoli per la crescita e la sopravvivenza delle cellule B leucemiche. Studi in vivo indicano che alcune citochine prodotte dai linfociti T (IL4, INFα, INFγ) inibiscono la risposta apoptotica delle cellule B neoplastiche, mediante up-regolazione di Bcl-2. Le chemochine (CXCL e CCL) inoltre, presenti nel microambiente, e i loro recettori (CXCR e CCR) rappresentano un gruppo di molecole che giocano un ruolo essenziale nella circolazione dei linfociti e nell’attrazione degli stessi verso il sito di infiammazione. L’infiltrazione dei linfociti B leucemici nel midollo osseo e negli organi linfatici è regolata dalle interazioni delle chemochine con i loro recettori espressi dalle cellule B di LLC. Dati recenti indicano che le cellule B neoplastiche esprimono specifici recettori per chemochine e rispondono in maniera selettiva ad alcune di esse raggiungendo, così, sedi precise (Trentin L. et al, Blood 1993; Trentin L. et al, Blood 2004) Nonostante sia stata effettuata un’estesa caratterizzazione molecolare delle cellule di LLC, si continuano a studiare altri meccanismi che possano svolgere un ruolo in tale patologia. A tale scopo molti lavori hanno focalizzato la loro attenzione sui micro-RNA (mirRNA), molecole che costituiscono l' 1-3% del genoma dei vertebrati e regolano centinaia di geni differenti. I mirRNA sono una classe di piccoli RNA non codificanti che modulano l’espressione genica a livello post-trascrizionale di diversi geni coinvolti nella proliferazione cellulare, nel differenziamento, nell’apoptosi e svolgono funzioni regolatorie nell'organogenesi. Alcuni di questi miR sono presenti in regioni genomiche coinvolte in traslocazioni e delezioni presenti in leucemie e linfomi e questo dato ha suggerito un possibile ruolo dei miR nella linfomagenesi. In particolare è stato riportato 68 un possibile coinvolgimento nell’oncogenesi della LLC del miR-15a e miR-16-1 (Fulci V. et al, Blood 2007) presenti fisiologicamente sulla regione cromosomica 13q14 che invece risulta deleta nella maggior parte dei casi di LLC. L'assenza o la down regolazione dei miR-15 e miR-16 provoca la sovraespressione della oncoproteina Bcl2 e la conseguente deregolazione del processo apoptotico delle cellule leucemiche. Per molti anni il trattamento iniziale della LLC è stata la somministrazione, in modo continuo o ciclico, di agenti chemioterapici. Ma negli ultimi due decenni il trattamento terapeutico dei pazienti con LLC è radicalmente cambiato. L’introduzione degli analoghi delle purine come la Fludarabina (Keating MJ. et al, Hematology 1991), e degli anticorpi monoclonali come le molecole chimeriche Campath-1H (anti-CD52) e Rituximab (antiCD20) (Lundin J. et al, Blood 2002; Pedersen I.M. et al, Blood 2002) nel trattamento di questa forma di leucemia hanno mostrato un importante aumento sia della percentuale di risposte complete, inclusa quella molecolare, sia di sopravvivenza libera da progressione. Recentemente alcuni studi hanno anche mostrato come la chemioimmunoterapia oggi può essere considerata il miglior trattamento per molti pazienti con LLC (Abrisqueta P. et al, Blood 2009). Ma nonostante ciò molti pazienti comunque progrediscono o mostrano complicazioni dovuti al trattamento terapeutico o resistenza alla terapia iniziale, mostrando così una prognosi infausta. Pertanto la sperimentazione clinica oggi ha come obiettivo l’utilizzo di nuovi agenti terapeutici utili in questa fascia di pazienti con LLC. Gli anticorpi monoclonali come Ofatumumab (Humax-CD20) e GA-101 (anti-CD20, RO 5072759) hanno permesso di ottenere un miglioramento della risposta al trattamento (Montserrat E. et al, Hematology Ed 2010), e l’uso di agenti immunomodulatori come la Lenalidomide, che agiscono sul microambiente essenziale per preservare le cellule B neoplastiche dalla apoptosi, hanno già mostrato avere una attività terapeutica nei pazienti con LLC. A questi trattamenti terapeutici si sono aggiunti nuovi farmaci ad attività anti-tirosinchinasica (ibrutinib, etc) capaci di inibire il pathway del BCR che svolge un ruolo molto importante nella progressione della malattia e che dai primi dati sembrano produrre risultati molto significativi nel controllo della malattia.(Byrd JC, N Engl J Med. 2013) Diversi studi attualmente sono in fase di sperimentazione al fine di determinare il ruolo di questi nuovi agenti terapeutici nella LLC non solo come terapia di prima linea ma anche come terapia di mantenimento. L’importanza di un corretto inquadramento nosologico riveste rilevanti implicazioni clinico-prognostiche dal momento che ad ogni disordine linfoproliferativo si può 69 associare un andamento clinico diverso, un approccio terapeutico differenziato e una prognosi differente. Attraverso l’organizzazione di Consensus Conference, principalmente dall’“International Working Group on CLL”, sono emerse indicazioni per la standardizzazione della diagnosi, della stadiazione e dei criteri di valutazione della risposta al trattamento che sono adottati a livello internazionale dai principali Istituti di Ematologia e Oncologia (Br J Haematol, 2004). 70 Stato mutazionale dei geni delle catene pesanti delle immunoglobuline Come linfociti B maturi, le cellule di LLC esprimono il recettore delle cellule B (BCR) sulla loro superficie, costituito da immunoglobuline (IgM e IgD) in associazione a molecole non polimorfe Igα ed Igβ che mediante le sequenze ITAM (immunoreceptor tyrosine-based activation motif) presenti nella loro coda citoplasmatica sono in grado di mediare la funzione di trasduzione del segnale. Durante la maturazione, i linfociti B proliferanti all’interno del centro germinativo linfonodale, vanno incontro al processo dell’ipermutazione somatica a carico dei geni riarrangiati delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline (Ig). Tali mutazioni si concentrano nelle regioni variabili (V), principalmente in corrispondenza delle regioni che determinano la complementarietà (CDR), e la presenza di mutazioni correla con un aumento della affinità degli anticorpi rivolti verso l’antigene che ha dato origine alla risposta. Un importante progresso nella caratterizzazione della LLC, non solo a livello biologico ma anche prognostico, è l’analisi molecolare delle sequenze nucleotidiche dei geni che codificano per la regione variabile delle catene pesanti delle Ig. Circa il 50% di pazienti affetti da LLC presentano mutazioni somatiche nella regione variabile delle catene pesanti delle Ig riarrangiate. Nel 1999, due studi pubblicati simultaneamente da Damle R.N. et al. e da Hamblin T.J. et al. definirono l’importanza prognostica dello stato mutazionale dei geni IgV H nella LLC. In seguito la rilevanza prognostica dello stato mutazionale IgV H è stata confermata da numerose pubblicazioni e, ad oggi, è considerato il miglior marcatore capace di predire la progressione della malattia nei pazienti affetti da LLC. Più in particolare sono stati identificati due gruppi di pazienti caratterizzati da una configurazione mutata e non mutata dei geni IgHV. E’ stato ampiamente dimostrato che questi due gruppi di pazienti hanno un andamento clinico significativamente diverso. Mentre il gruppo con IgHV non mutate dimostra una più rapida progressione di malattia e una prognosi sfavorevole (Keating M.J. et al, Hematology 2003), i pazienti con ipermutazioni delle IgHV hanno un andamento clinico più indolente ed una prognosi significativamente migliore, suggerendo che il differente stadio di maturazione delle 71 cellule, valutato secondo lo stato mutazionale dei geni IgHV può definire distinti meccanismi patogenetici della LLC. La mediana di sopravvivenza dei pazienti appartenenti al gruppo dei non mutati è di circa 9-10 anni, mentre la sopravvivenza mediana del gruppo dei mutati è di circa 24 anni (Damle R.N. et al, Blood 1999; Hamblin. TJ et al, Blood 1999). Pazienti con IgVH non mutate presentano caratteristiche sfavorevoli: morfologia atipica delle cellule del sangue venoso periferico, caratteristiche citogenetiche quali trisomia del 12 e delezione dell’11q e del 17p, evoluzione clonale, progressione della malattia e infine resistenza alla terapia rispetto ai casi con geni IgVH mutati (Ghia P. et al, Crit Rev Oncol Hematol 2007). La definizione di stato mutazionale mutato o non mutato è basato su un cut-off arbitrariamente definito: le sequenze sono considerate non mutate se differiscono dalla sequenza del gene in configurazione germinale in percentuale <2%. Lo studio dello stato mutazionale è effettuato analizzando le sequenze IgV H ottenute dal sequenziamento diretto di frammenti amplificati utilizzando 6/7 primers disegnati per riconoscere i geni membri delle famiglie VH. Il sequenziamento automatico delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline oltre ad essere un importante strumento a livello prognostico, permette l’identificazione dei diversi geni V(D)J riarrangiati utilizzati dalle cellule di LLC. Così i progressi nell’identificazione dei geni Ig, il loro riarrangiamento, e le loro modificazioni a seguito dell’attivazione e differenziazione delle cellule B ha fornito uno strumento utile per studiare il grado di competenza, l’esperienza antigenica e lo stadio di maturazione delle cellule B. I recettori delle cellule B di LLC di vari pazienti sono spesso strutturalmente omologhi, suggerendo che gli antigeni legati al recettore sono simili e rilevanti nella patogenesi della LLC. Le cellule di LLC che presentano uno stato non mutato dei geni che codificano per le catene pesanti delle immunoglobuline utilizzano principalmente i geni appartenenti alla famiglia VH1 all’interno della quale quello più frequentemente utilizzato è il gene V H1-69. Le cellule di LLC che presentano invece uno stato mutato dei geni che codificano per le catene pesanti delle immunoglobuline utilizzano principalmente i geni appartenenti alle famiglie VH3 e VH4. All’interno di queste famiglie i geni più frequentemente utilizzati sono i geni VH4-34, VH3-07 e VH3-23 la cui frequenza relativa può cambiare a seconda delle caratteristiche cliniche delle varie coorti di pazienti studiate e diversa 72 localizzazione geografica. Anche l’utilizzo delle specifiche famiglie geniche V L e dei geni appartenenti alle diverse famiglie appare non casuale come per il repertorio VH. Queste caratteristiche possono indicare che i precursori delle cellule B ricevono diversi stimoli da distinti tipi di antigeni prima della trasformazione leucemica e/o che i precursori sono trasformati in cellule leucemiche in diversi stadi di maturazione (Chiorazzi N. et al, Annu Rev Immunol 2003). La natura di questi antigeni è per ora sconosciuta, sebbene siano possibili alcune speculazioni: è possibile che virus latenti o batteri commensali attivino particolari cloni delle cellule B attraverso il BCR. La LLC potrebbe risultare, direttamente o indirettamente, da specifiche infezioni ripetute. In alternativa è possibile che siano antigeni o autoantigeni a provocare l’espansione clonale. Le cellule di LLC presentano frequentemente recettori polireattivi, che legano antigeni multipli inclusi gli autoantigeni. Questo meccanismo è possibile nei casi non mutati e in alcuni casi di LLC mutati con geni IgVH codificanti per recettori polireattivi. Inoltre l’associazione di simili segmenti V(D)J, con un unico residuo giunzionale, specialmente nella giunzione V L-JL, è stata vista in anticorpi diretti contro polisaccaridi (Casadevall A. et al, J Exp Med 1991) o contro determinati apteni chimici (Milner E.C. et al, J Immunol 1982; Wysocki L.J.et al, J Exp Med 1987) così come la presenza di un’arginina nella giunzione V L-JL è caratteristica dell’anticorpo umano diretto contro l’antigene capsulare polisaccaridico dell’Haemophilus Influenzae di tipo B (Insel R.A. et al, Int Rev Immunol 1992). Il sequenziamento automatico delle immunoglobuline permette, inoltre, di studiare la composizione, la lunghezza e le implicazioni del CDR3 tra i diversi cloni delle cellule B. La lunghezza del CDR3, infatti, varia a seconda della famiglia V H utilizzata nel riarrangiamento del clone di LLC: (VH4>VH1>VH3) e del gene appartenete a tale famiglia. La lunghezza media del CDR3 dei casi che esprimono il gene V H3-07 è molto corta, mentre la lunghezza media dei casi che esprimono il gene V H1-69 è molto più lunga (Chiorazzi N. et al, Curr Top Microbiol Immunol.2005). Un'altra rilevante caratteristica riscontrata sulle cellule di LLC è la presenza di particolari combinazioni dei geni VH/VL: il gene VH1-69 si associa più frequentemente con la catena leggera codificata dal gene Vκ3-20, i geni VH4-34 e VH4-39, si trovano in associazione con le catene leggere codificate dai geni V κ2-30 e Vκ1-39 rispettivamente (Stamatopoulos K. et al, Blood 2005) e il gene VH3-21 si ritrova invece in associazione con le catene leggere codificate dal gene Vλ3-21 o Vλ2-14 (Tobin G. et al, Blood 2003). Tutte queste particolarità riscontrate nella struttura dei diversi BCR sono il possibile risultato di una selezione da parte di diversi epitopi antigenici. 73 Nonostante non sia ancora chiaro, molti studi supportano l’idea che la stimolazione antigenica sia un prerequisito essenziale per l’evoluzione delle cellule di LLC anche nei casi che non esibiscono mutazioni sui geni IgVH. Inoltre recenti studi sui segnali di competenza hanno rilevato che i casi non mutati di LLC tendono ad esprimere una maggiore quantità di BCR e rispondono meglio alla stimolazione se comparati ai casi mutati di LLC. Questi risultati portano all’idea che i casi non mutati mantengano la loro abilità di rispondere alla stimolazione del BCR, mentre i mutati divengono simili a cellule anergiche. Sono stati proposti numerosi modelli per spiegare la derivazione delle cellule mutate e non mutate. In particolare un importante studio di Chiorazzi N. e Ferrarini M. ha proposto due modelli. Il primo ipotizza che le cellule mutate possano derivare da cellule B stimolate da antigeni T-dipendenti che dirigono le cellule attraverso la classica reazione che avviene nel centro germinativo, mentre le cellule non mutate potrebbero derivare da cellule B presenti nella zona marginale e che siano guidate da un processo T-indipendente che non richiede la presenza delle cellule T o di mutazioni somatiche. Il secondo modello suggerisce la derivazione di entrambe i casi mutati e non mutati da cellule B della zona marginale che rispondono ad una stimolazione T indipendente che possono o meno sviluppare mutazioni somatiche. Oppure che le cellule possano derivare da entrambe i modelli (Chiorazzi N. et al, Annu Rev Immunol 2003). Infine, è possibile che la stimolazione antigenica possa promuovere un'evoluzione intraclonale che porta ad un accumulo di mutazioni deleterie al DNA e quindi ad un più aggressivo decorso clinico. In conclusione gli studi sullo stato mutazionale delle catene pesanti delle Ig, sui riarrangiamenti VHDJH, sulle combinazioni VH/VL e sulle caratteristiche funzionali del BCR hanno fornito considerevoli informazioni riguardo le caratteristiche delle cellule B leucemiche e sulla possibile patogenesi di questa patologia, ma ulteriori studi sono necessari per confermare le varie ipotesi sui meccanismi di trasformazione leucemica. 74 Obiettivo dello Studio Nell’ambito della LLC è stato messo in evidenza come pazienti aventi una MMR negativa abbiano una sopravvivenza libera da progressione più lunga ed una migliore sopravvivenza globale. Pertanto la MMR viene identifica come un marcatore prognostico in diversi protocolli terapeutici. La valutazione molecolare di RQ-PCR della MMR richiede l'identificazione al momento della diagnosi di bersagli molecolari specifici del paziente, come i riarrangiamenti genici della catena pesante delle immunoglobuline (IGH), sui quali sono costruiti primer e sonde, utilizzati per il monitoraggio della malattia durante il follow- up. La presenza di mutazioni somatiche nella regione IGH durante la maturazione delle cellule B nel centro germinativo, presenti in circa la metà dei pazienti con LLC e nel 20% dei pazienti con linfoma mantellare (LCM), potrebbe influenzare l'analisi di MMR. Pertanto, diverse strategie per la progettazione di primer e sonde sono state sviluppate per ottimizzare l'analisi molecolare, in base alle caratteristiche del gene IGH. L'obiettivo di questo studio è stato quello di confrontare due strategie di costruzione primers/sonda su una serie di LLC e LCM con un alto carico mutazionale IGH per identificare la tecnica di elezione nel monitoraggio della MMR in queste neoplasie. 75 Materiali e Metodi Pazienti e campioni studiati Questo studio è stato eseguito su due serie di campioni. La prima serie è stata fornita dalla Divisione di Ematologia dell'Università di Torino e consisteva di 14 campioni di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (n=7) e linfoma mantellare (n=7), senza criteri di selezione a parte la disponibilità di materiale. La seconda serie è stata fornita dalla Divisione di Ematologia dell'Università' “Sapienza” di Roma e consisteva di 11 campioni di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, selezionati sulla base di una percentuale elevata di mutazioni (>5%) della regione variabile della catena pesante delle immunoglobuline (IGHV). La diagnosi di LLC è stata effettuata sulla base della presenza di più di 5.000 linfociti/μL patologici presenti nel sangue periferico e di criteri morfologici e immunofenotipici (CD5+/CD20+, CD23+, bassa intensità di espressione delle sIg e CD22, CD10-). La diagnosi di linfoma mantellare, così come quella di tutti i linfomi, è istologica ed è stata effettuata sull’esame morfologico ed immunoistochimico del tessuto linfonodale patologico. I linfociti neoplastici del linfoma mantellare esprimono la positività ai marcatori di linea B (CD19, CD20, CD79a) e per il CD5, antigene normalmente espresso sulla popolazione linfocitaria T e presente anche sulle cellule di LLC. La diagnosi differenziale con tale patologia è possibile grazie all’uso del CD23 e del CD20 (positivi nella LLC e negativi nel linfoma mantellare). Estrazione del DNA e analisi IGH L’analisi eseguita è stata effettuata sulle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC: periferal blood mononucleated cell) dei pazienti affetti da LLC/LCM isolate mediante la separazione su gradiente di densità Ficoll. A partire da un pellet di cellule contenenti circa 5-10 x106 PBMC è stato estratto il DNA genomico mediante Wizard Genomic DNA Purification Kit (Promega Corp., Madison, Wisconsis, USA). La determinazione della purezza e della concentrazione del DNA estratto è stata valutata mediante lo spettrofotometro Epperndorf BIOPhotometer (Eppendorf AG, Hamburg, Germany), ed i campioni che presentavano un rapporto di A260/A280 compreso tra 1.8 e 1.9, sono stati diluiti con acqua deionizzata al fine di ottenere una 76 concentrazione standard di DNA di 100µg/mL. La qualità del DNA è stata valutata a seguito di una corsa elettroforetica su gel d’agarosio dove un DNA genomico di buona qualità presentava una sola banda ad alto peso molecolare. Un totale di 300 ng di DNA genomico sono stati amplificati mediante reazione di amplificazione Polymerase Chain Reaction (PCR) utilizzando il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’amplificazione è stata ottenuta mediante un’unica PCR utilizzando i primers di senso relativi alla regione Leader e FR1 della regione variabile ed un primer antisenso consensus relativo alla regione FR4 della regione di giunzione delle immunoglobuline (Ghia P et al, Leukemia 2007). Le condizioni di PCR per l’amplificazione del DNA genomico sono state le seguenti: viene eseguita una denaturazione iniziale a 95°C per 5’, successivamente si effettuano denaturazione, annealing ed estensione per 35 cicli rispettivamente a 95°C per 30’’, 60°C per 30’’ e 72°C per 30”. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’. La separazione e l’identificazione degli amplificati di PCR è stata eseguita mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2% in TBE 1X, contenente 5 µl/100ml di bromuro d’etidio (SIGMA-ALDRICH, St. Louis; MO, USA) come agente intercalante del DNA. Sequenziamento e analisi del gene I prodotti di PCR sono stati sequenziati direttamente secondo metodo Sanger con marcatura fluorescente utilizzando il kit di reazione BigDye Terminator v3.1 Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) e il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). Durante la sintesi del filamento di DNA i didesossinucleotiditrifosfati (ddNTP) marcati con quattro differenti fluorocromi vengono, mediante l’enzima DNA polimerasi, inseriti al filamento stampo impedendo l’aggiunta di ulteriori nucleotidi. Al termine della reazione di sequenza la miscela di singoli frammenti di DNA ottenuta è stata purificata utilizzando il kit DyeEx 2.0 Spin Kit (QIAGEN, Valencia, CA, USA) che permette di eliminare i ddNTP fluorescenti in eccesso non incorporati attraverso il principio cromatografico della gelfiltrazione su colonnine contenenti resina. I frammenti di DNA purificati sono stati sottoposti ad elettroforesi capillare mediante il sequenziatore ABI PRISM® 3100-Avant Genetic Analyzer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’acquisizione dei dati 77 relativi ai campioni è stata eseguita utilizzando il software 3100-Avant Data Collection Software e le sequenze sono state analizzate mediante il programma ABI PRISM® DNA Sequencing Analysis Software (Versione 3.7), e visualizzate come elettroferogrammi. L'interpretazione dei risultati è stata eseguita allineando le sequenze nucleotidiche ottenute alla directory IMGT (international ImMunoGeneTics information system) per l'identificazione di riarrangiamenti IGH ed il calcolo del carico mutazionale. Disegno di primer e sonde per l'analisi RQ -PCR I Primer e le sonde sono state progettate per tutti i campioni secondo due diverse strategie, e precisamente il metodo A ed il metodo B, adottati dai due diversi centri ematologici di provenienza, Torino e Roma. La differenza principale tra i due metodi è rappresentata dal posizionamento dei primers e delle sonde sulle regioni VDJ. In particolare, nel metodo A i primers di senso e antisenso sono progettati sulla specifica sequenza del paziente, mentre nel metodo B solo l'oligonucleotide di senso è sequenza-specifico, essendo la sonda ed il primer antisenso in configurazione germinale. Per il metodo A (figura 3), il primer di senso è stato costruito sulla seconda regione determinante la complementarietà (CDR2) o FR3, mentre il primer antisenso è sempre costruito sulla regione altamente ipervariabile CDR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000).Le sonde di senso per l' analisi di RQ- PCR sono state costruite sulla regione FR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000). Per il metodo B (figura 4), l'analisi della RQ-PCR è stata effettuata con solo un primer paziente-specifico, in combinazione con la sonda fluorescente ed il primer reverse, disegnati sulla regione germinale di ogni riarrangiamento (Cazzaniga G et al, Haematologica; 2005; Donovan JW et al, Blood 2000). L' innesco di senso è posizionato sulla regione CDR3 ed il primer antisenso insieme con la sonda sulla regione FR4, dove è inclusa la porzione del JH. Le curve standard per le valutazioni preliminari degli oligo costruiti sono state preparate a partire da diluizioni seriali del campione della diagnosi, nel DNA estratto da un pellet di cellule mononucleate proveniente da un pool di sangue venoso periferico (PBL) di 5 donatori sani e portato alla concentrazione di 100 μg/ml. I saggi sono stati allestiti per raggiungere una gamma di sensibilità e quantificabilità ≥10-4, con uno slope della curva compreso tra 3.1 e 3.9 ed un coefficiente di 78 correlazione ≥0,98, secondo le linee guida della ESG-MRD–ALL (van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). Le reazioni sono state preparate utilizzando i reagenti del kit TaqMan PCR Core Reagent (PE Applied Biosystems, Foster City CA, USA) e processate nell' ABIPrism 7900 (metodo A) e nell' ABIPrism 7300-7500 (metodo B) alle seguenti condizioni: un'incubazione iniziale di 2 minuti a 50°C e 10 minuti di denaturazione a 95°C, seguite da 42 cicli (metodo A) e 50 cicli (metodo B) di denaturazione a 95°C per 15 secondi ed annealing a 60-62°C per 1 minuto e a 58-63°C, rispettivamente, per il metodo A e B. Per entrambi i metodi sono state rispettate le linee guida per l'analisi di RQ-PCR per i riarrangiamenti IGH, ESG-MRD-ALL (European Study Group on MRD Detection for ALL) al fine di stabilire i range quantitativi e di sensibilità per tutti i pazienti (van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). Consensus/ specific probe derived from FR3 primer 5’ patient specific L FR1 CDR1 FR2 R R Q CDR2 FR3 primer 3’ patient specific CDR3 FR4 Figura 3: metodo A; il primer di senso è stato costruito sulla seconda regione determinante la complementarietà (CDR2), mentre il primer antisenso è sempre costruito sulla regione altamente ipervariabile CDR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000).Le sonde di senso per l' analisi di RQ- PCR sono state costruite sulla regione FR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000). Consensus probe primer 5’ patient specific L FR1 CDR1 FR2 CDR2 FR3 R R CDR3 Q FR4 primer 3’ consensu JH Figura 4: metodo B; l' innesco di senso paziente-specifico è posizionato sulla regione CDR3 ed il primer antisenso insieme con la sonda, in configurazione germinale, sulla regione FR4, dove è inclusa la porzione del JH (Cazzaniga G et al, Haematologica; 2005; Donovan JW et al, Blood 2000). 79 Risultati Riarrangiamenti del gene IGH e analisi di mutazione Su 25 campioni di pazienti affetti da LLC (18) e LCM (7) analizzati al momento della diagnosi, sono state trovate venticinque ricombinazioni: 12 appartenenti alla famiglia genica IGHV3, 6 a IGHV4, 5 a IGHV1, 1 a IGHV2 e 1 a IGHV6. I geni più frequentemente osservati sono stati: IGHV3-30 (3/12), IGHV3-7 (3/12), IGHV4 -34 (3/6), IGHV1-46 (2/5) e IGHV1-8 (2/5). Tra i riarrangiamenti genici IGHD, le famiglie più comuni identificate sono state: IGHD3 (11/25), seguita da IGHD2 (4/25) e IGHD6 (4/25). Il segmento IGHD2-15 era il gene più frequentemente utilizzato nella famiglia IGHD2 (75%). Per i riarrangiamenti genici IGHJ, è stato riscontrato un utilizzo frequente del IGHJ4 (14/25) e IGHJ6 (5/25) (Tabella 1 e Tabella 1 supplementare). In base all' analisi dello stato mutazionale, 22/25 (88%) campioni (17 LLC, 5 LCM) avevano mutazioni >2% e di conseguenza sono stati classificati come mutati, mentre i restanti 3 (12%, 1 LLC, 2 LCM) hanno mostrato mutazioni <2% e sono stati classificati come non mutati. Venti dei 25 (80%) campioni (15 LLC e 5 LCM) hanno mostrato un carico mutazionale >5%. I geni della regione del IGHJ hanno mostrato una percentuale di mutazioni da 0 a 29,4%, con un valore mediano del 10,42%. 23/25 (92%) campioni presentavano mutazioni >2% (16 LLC e 7 LCM) e 18/25 (72%) hanno mostrato una carico mutazionale >5% (13 LLC e 5 LCM)(Tabella 2). Tabella 1: Frequenza in % delle famiglie IGH osservata nei 25 campioni studiati. Famiglia IGH IGHV1 IGHV2 % 20 (5/25) 4 (1/25) IGHV3 48 (12/25) IGHV4 IGHV6 IGHD1 IGHD2 24 (6/25) 4 (1/25) 12 (3/25) 16 (4/25) IGHD3 44 (11/25) IGHD4 IGHD6 12 (3/25) 16 (4/25) IGHJ3 8 (2/25) IGHJ4 56 (14/25) IGHJ5 12 (3/25) IGHJ6 20 (5/25) Tabella 2: % di mutazione sulle regioni V e J della catena pesante delle Ig nei 25 campioni studiati. Patologia Campioni % Mut. IGHV>2% % Mut. IGHV<2% % Mut. IGHV>5% % Mut. IGHJ>2% % Mut. IGHJ<2% % Mut. IGHJ>5% LLC LCM Toale 18 7 25 94 (17/18) 71 (5/7) 88 (22/25) 5 (1/18) 27 (2/7) 12 (3/25) 83 (15/18) 71 (5/7) 80 (20/25) 89 (16/18) 100 (7/7) 92 (23/25) 11 (2/18) 0 (0/18) 8 (2/25) 72 (13/18) 71 (5/7) 72 (18/25) 80 Tabella 1 supplementare: Riarrangiamenti genici IGHV, IGHD e IGHJ e % di mutazione IGHV e IGHJ nei 25 campioni studiati. Patologia % Mut. IGHV IGHV IGHD IGHJ % Mut. IGHJ LCM 1 12,7 4-4 6-13 JH6 13,13 LCM 2 9,96 1-8 6-19 JH5 2 LCM 3 10,2 3-74 3-10 JH4 10,42 LCM 4 7,8 3-15 6-6 JH3 18 LCM 5 6,35 4-34 3-22 JH4 29,41 LCM 6 0 2-5 3-9 JH6 3,23 LCM 7 0,9 4-59 3-3 JH4 6,25 LLC 1 5,6 3-9 3-3 JH4 12,5 LLC 2 9,5 3-66 3-10 JH4 10,4 LLC 3 14,5 3-30 2-15 JH5 5,88 LLC 4 12,08 3-30 1-26 JH4 10,64 LLC 5 15 3-23 4-17 JH4 8,33 LLC 6 4,19 3-21 4-23 JH6 13,46 LLC 7 0 1-69 2-15 JH6 1,8 LLC 8 6,4 3-30 3-9 JH4 4 LLC 9 10,2 4-34 3-9 JH4 4,2 LLC 10 11,5 1-46 3-22 JH1 20,8 LLC 11 7,8 3-07 1-27 JH4 13,64 LLC 12 7,9 1-46 2-21 JH4 0 LLC 13 5,8 6-01 3-16 JH4 12,5 LLC 14 8,7 4-34 3-22 JH3 2 LLC 15 9,5 3-07 4-23 JH4 14,6 LLC 16 5,5 4-59 2-15 JH5 5,9 LLC 17 7,4 3-07 6-13 JH4 16,7 LLC 18 2,4 1-08 1-26 JH6 25,8 81 Confronto tra diverse strategie di disegno di set di primers/probe per la valutazione RQ PCR 24/25 (96%) campioni sono risultati valutabili in RQ-PCR con almeno un metodo e 5/25 (20 %) campioni con entrambi i metodi. Ventitre dei 25 (92 %) campioni (17 LLC e 6 LCM) sono risultati valutabili utilizzando il metodo A, mentre 6/25 (24 %)(1 LLC e 5 LCM) sono risultati valutabili con il metodo B (Tabella 3). In particolare, 1 (4 %) campione (caso LLC9) non è stato valutabile per entrambi i metodi ed un altro caso (caso LCM1) non è stato valutabile con il metodo A, ma è risultato valutabile con il metodo B. Al contrario, il metodo A è risultato “vincente” in 18 dei 19 casi che non sono stati valutati con il metodo B. Un confronto della fattibilità dei due approcci è mostrato nelle tabelle supplementari 2 e 3. Tabella 3: Grado di successo della RQ-PCR secondo il metodo A ed il metodo B. Patologia Pazienti Pz valutati con il metodo B Pz valutati con il metodo A Pz valutati con entrambi i metodi Pz valutati con almeno 1 metodo Pz non valutabili LLC LCM Totale 18 7 25 1 5 6 17 6 23 1 4 5 17 7 24 1 0 1 82 Tabella 2 supplementare: Determinazione della curva standard. Valutazione della sensibilità e del range quantitativo secondo il metodo A. Patologia sensibilità Range Quantitativo Slope Coefficiente Correlazione LCM 1 NV NV LCM 2 10-4 10-4 3,2 0,99 LCM 3 10-5 10-4 3,8 1 LCM 4 10-5 10-4 3,6 1 LCM 5 10-5 10-4 3,7 1 LCM 6 10-5 10-5 3,2 1 LCM 7 10-4 10-4 3,5 1 LLC 1 10-5 10-4 3,6 1 LLC 2 10-4 10-4 3,4 1 LLC 3 10-4 10-4 3,9 1 LLC 4 10-5 10-4 3,3 1 LLC 5 10-4 10-4 3,7 0,99 LLC 6 10-4 10-4 3,6 1 LLC 7 10-5 5x10-5 3,3 1 LLC 8 10-5 10-5 3,5 0,99 LLC 9 NV NV LLC 10 10-4 10-4 3,6 0,99 LLC 11 10-4 10-4 3,1 1 LLC 12 10-5 5x10-5 3,4 0,99 LLC 13 10-4 10-4 3,2 0,99 LLC 14 10-5 10-4 3,5 1 LLC 15 10-5 10-4 3,5 1 LLC 16 10-5 10-4 3,8 1 LLC 17 10-4 10-4 3,5 0,99 LLC 18 10-4 10-4 3,4 1 83 Tabella 3 supplementare: Determinazione della curva standard. Valutazione della sensibilità e del range quantitativo secondo il metodo B. Patologia sensibilità Range Quantitativo Slope Coefficiente Correlazione LCM 1 10-4 10-4 3,5 0,99 LCM 2 10-5 10-4 3,1 1 LCM 3 NV NV NV NV LCM 4 10-5 10-4 3,4 0,99 LCM 5 NV NV NV NV LCM 6 10-4 10-4 3,6 1 LCM 7 10-4 10-4 3,4 0,99 LLC 1 NV NV NV NV LLC 2 NV NV NV NV LLC 3 NV NV NV NV LLC 4 NV NV NV NV LLC 5 NV NV NV NV LLC 6 10-5 10-5 3,5 1 LLC 7 NV NV NV NV LLC 8 NV NV NV NV LLC 9 NV NV NV NV LLC 10 NV NV NV NV LLC 11 NV NV NV NV LLC 12 NV NV NV NV LLC 13 NV NV NV NV LLC 14 NV NV NV NV LLC 15 NV NV NV NV LLC 16 NV NV NV NV LLC 17 NV NV NV NV LLC 18 NV NV NV NV 84 Correlazione tra il carico mutazionale IGH e le performance di RQ-PCR Per spiegare il diverso andamento dei due metodi, sono stati correlati i risultati di RQPCR con lo stato ed il carico mutazionale delle regioni VH e JH. Il metodo A è stato eseguibile indipendentemente dal carico mutazionale di VH e JH. Infatti, solo 2/22 (9%) casi mutati IGHV e 2/21 (9,5 %) casi mutati IGJH sono risultati non valutabili. Al contrario, lo scarso rendimento del metodo B è risultato evidente per la presenza di casi mutati IGHV/J: 18/22 (81,8 %), casi IGHV mutati e 17/21 (80,9 %) casi IGJH mutati non erano valutabili. Vale la pena notare che in una serie di CLL con IGHV/J in configurazione germinale, il metodo B ha avuto successo in 21/23 casi (91 %). Tuttavia, non è stata trovata una correlazione specifica tra il carico di mutazioni nella regione VH e JH e le prestazioni del metodo B. Infatti, i 6 casi valutabili con il metodo B mostravano una configurazione IGHV germinale in 1 caso ed una vasta gamma di mutazioni IGHV (0,9-12,7 %) negli altri 5 casi. Allo stesso modo, il carico mutazionale del JH è stato del 2%, 3,23%, 6,25 %, 13.46 %, 16.13 % e 18 %, rispettivamente. 85 Conclusioni Nelle malattie linfoproliferative croniche, l'uso della MMR è stato finora un comune end point nella valutazione della risposta in molti studi clinici, permettendo lo studio della cinetica di deplezione delle cellule tumorali e la previsione di recidiva, con la possibilità di rappresentare ben presto uno strumento di guida terapeutica (Rawstron AC et al, Leukemia 2013). Solo l’impiego di tecniche dotate di adeguata sensibilità, specificità nel riconoscimento delle cellule patologiche, di stabilità dei marcatori utilizzati e di riproducibilità, può permettere di distinguere tra loro i pazienti in remissione sulla base dei diversi livelli di MMR permettendo così, una più precisa definizione di “stato di remissione”. Nell’ambito della LLC è stato messo in evidenza come pazienti aventi una MMR negativa abbiano una sopravvivenza libera da progressione più lunga e una migliore sopravvivenza globale. Pertanto la MMR viene identificata come un marcatore prognostico in una malattia considerata non ancora eradicabile, in diversi protocolli terapeutici. La valutazione molecolare di RQ-PCR della MMR richiede l'identificazione al momento della diagnosi di bersagli molecolari specifici del paziente, come i riarrangiamenti genici della catena pesante delle immunoglobuline (IGH), sui quali sono costruiti primers e sonde, utilizzati per il monitoraggio della malattia durante il follow- up. La presenza di mutazioni somatiche nella regione IGH durante la maturazione delle cellule B nel centro germinativo, presenti in circa la metà dei pazienti con LLC e nel 20% dei pazienti con linfoma mantellare (MCL), potrebbe influenzare l'analisi di MMR. Pertanto, diverse strategie per la progettazione di primers e sonde sono state sviluppate per ottimizzare l'analisi molecolare, in base alle caratteristiche del gene IGH. Lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare due diversi approcci nella progettazione di primers/sonda specifici per eseguire le analisi quantitative e valutarne l'applicabilità, specificità e sensibilità nel contesto delle malattie linfoproliferative a cellule B caratterizzate da un carico mutazionale variabile delle regioni IGHV e IGHJ della catena pesante delle immunoglobuline. La differenza principale tra il metodo A ed il metodo B risiedeva sia nel diverso posizionamento dei primers e delle sonde su sequenze IGH sia nella specificità del sistema. Nel metodo A, entrambi i primers senso e antisenso erano specifici per la sequenza 86 (come potrebbe essere anche la sonda in casi difficili). Nel metodo B, solo l'oligonucleotide senso era paziente-specifico, mentre le sonde ed il primer antisenso erano in configurazione germinale. Per quanto riguarda il posizionamento del set primers/sonda sulla sequenza, nel metodo A i primers senso e antisenso erano posizionati sulla regione del CDR2 e CDR3 rispettivamente, mentre la sonda era posta sulla regione FR3; nel metodo B il primer senso era posizionato sulla regione CDR3 ed il primer antisenso insieme con la sonda sulla regione FR4, dove è inclusa la porzione del JH. Pertanto, i due metodi avevano una singola regione in comune, la CDR3, dove il metodo A pone l'oligonucleotide antisenso ed il metodo B quello di senso. Il metodo B deriva dalle linee guida del Gruppo europeo di studio sulla valutazione della MMR per le LAL, una neoplasia che non è influenzata da mutazioni di sequenza, e permette valutabilità di analisi in >90% dei casi. Il confronto tra le due strategie di progettazione ha mostrato che il 92% dei campioni sono stati valutati utilizzando il metodo A, mentre solo il 24% sono stati esaminati con metodo B, dimostrando che il metodo A rappresenta una strategia più potente per l'analisi RQ-PCR per le malattie linfoproliferative a cellule B, quali LLC o LCM, dove le mutazioni a carico delle regioni IGHV e IGHJ si verificano in un notevole numero di casi. Le mutazioni sono più frequenti nelle regioni CDR1 e CDR2, che nel FR3 e meno frequenti nelle regioni FR1 e FR2. Su queste basi, il metodo A è risultato efficace indipendentemente dallo stato mutazionale IGHV/J, grazie alla capacità di eludere le zone colpite dalle mutazioni ed evitando un annealing abortivo o improprio del primer sul CDR. Al contrario, la prestazione del metodo B è stata influenzata dallo stato mutazionale IGHV/J, poiché l'annealing del primer antisenso e della sonda è certamente condizionato dal loro posizionamento sulla regione JH. Inoltre, la lunghezza del CDR3 varia a seconda dell'età, della fase di maturazione delle cellule B e lo stato ipermutato del gene VH. Infatti, la lunghezza della regione CDR3 aumenta durante la vita fetale fino alla nascita e non continua nella vita adulta nei topi e nell'uomo (Xue W et al, Human Immunology 1997). Questo è dovuto alla riduzione della lunghezza delle catene pesanti come cellula B matura (Rosner K et al, Immunology 2001). Inoltre, anticorpi mutati hanno regioni CDR3 brevi rispetto anticorpi non mutati. Queste caratteristiche sono riflesse dalle differenze nel profilo VDJ tra LLC (Duke VM et al, Haematologica 2003), in quanto la LLC mutata ha un CDR3 più breve della LLC non mutata. Per il metodo A, un breve CDR3, purché riconosciuto all'interno di un riarrangiamento 87 VDJ, è sufficiente per un corretto annealing del primer antisenso. Al contrario, per il metodo B, un breve CDR3 influenza la funzionalità d'innesco del primer di senso e quindi il successo delle analisi RQ-PCR. Per concludere possiamo dire che: i) la presenza di mutazioni somatiche in malattie linfoproliferative a cellule B è un marcatore fenotipico che influenza la sua analisi; ii) le diverse strategie di posizionamento del primer/sonda influenzano fortemente il successo o il fallimento di RQ-PCR; iii) nessun carico mutazionale specifico è stato identificato come responsabile del successo o del fallimento delle performance. E' quindi necessario riformulare le strategie molecolari per valutare la MMR secondo la biologia e le caratteristiche del recettore delle cellule B della malattia in esame, in un momento in cui il monitoraggio MMR sta diventando sempre più frequentemente utilizzato per la gestione dei pazienti con malattie linfoproliferative a cellule B. 88 Bibliografia 1. 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La diagnosi istologica si rifà ai criteri classificativi stabiliti dalla “World Health Organization” (WHO) (Jaffe ES, Hematology 2009). I LF sono caratterizzati da un pattern di crescita follicolare oppure follicolare e diffuso. Sulla base del numero medio di centroblasti presenti nella lesione neoplastica, si distinguono secondo la classificazione WHO i LF di grado 1, con una predominanza di piccole cellule (0-5 centroblasti per campo); quelli di grado 2, di tipo “misto” (6-15) e quelli di grado 3, LF “a grandi cellule” (più di 15). I LF di grado 3 si suddividono in 3a e 3b. I 3a esprimono ancora una componente centrocitaria, i 3b mostrano invece un “tappeto di centroblasti” e sono maggiormente assimilabili al linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule. Il grado istologico del tumore, è un utile indicatore del decorso clinico della malattia. In questo senso, l'ultima versione della classificazione WHO, approvata nel 2008, ha raggruppato insieme i LF di grado 1, 2 e 3a essendo simili dal punto di vista prognostico; diversificandoli nettamente dai LF di grado 3b che mostrano una prognosi decisamente peggiore a causa della loro aggressività. In particolare tali neoplasie mostrano spesso cariotipi complessi e mutazioni di geni come TP53. Da un punto di vista immunofenotipico, le cellule tumorali dei LF esprimono immunoglobuline di superficie (soprattutto IgM e IgD), le catene leggere delle Ig kappa o lambda ed antigeni pan B quali CD19, CD20, CD22, CD79a e b. Inoltre risultano negative per CD5 e CD43 ed in circa il 60% dei casi positive per il CD10. La positività per il CD10 si è dimostrata utile per distinguere il LF dai linfomi della zona marginale; la negatività per CD5 e CD43 per distinguerlo dalla leucemia linfatica cronica. 97 Il marcatore distintivo del LF è la traslocazione dei cromosomi 14 e 18 [t(14;18)(q32;q21)]. Questa alterazione genetica è presente nel 70-95% dei casi di malattia (Yunis JJ et al, N Engl J Med 1987; Cleary ML et al, Cell 1986) e causa la giustapposizione del gene anti-apoptotico BCL-2 (18q21) alla regione JH del gene della catena pesante delle immunoglobuline (Ig) (14q32). Questo si traduce nell'aumentata espressione del gene e nell'accumulo della proteina bcl-2 nelle cellule tumorali. Si produce infatti una proteina di fusione bcl-2/IGH funzionale. L'alterazione citogenetica nasce negli stadi iniziali di sviluppo della cellule B, durante il meccanismo di riarrangiamento delle Ig (Kuppers R et al, N Engl J Med 1999) ed è generalmente presente già al momento dell'esordio. Altre traslocazioni possono presentarsi nei casi di LF e queste sono le t(2;18)(p11;q21) e la t(18;22)(q21;q11), che vedono rispettivamente la traslocazione di BCL-2 accanto ai geni delle catene leggere kappa e lambda delle Ig (IGΚ) e (IGL). Nell'ultimo decennio la tecnica del “gene expression profiling” ha permesso l'identificazione di set di geni con un valore prognostico indipendente dai convenzionali parametri clinici e patologici (Dave SS et al, N Engl J Med 2004; Glas AM et al, J Clin Oncol 2007). In particolare sono stati definiti due profili di espressione genica distinti, chiamati “immune-response 1” e “immune-response 2” associati rispettivamente ad una prolungata e ad una ridotta sopravvivenza. I geni associati a buona prognosi sono espressi da cellule T, quelli associati a cattiva prognosi sono espressi preferenzialmente da macrofagi e cellule dendritiche. Da qui la recente ipotesi per cui i LF si svilupperebbero grazie alle alterazioni genetiche presenti nelle cellule tumorali e alle modificazioni di quella rete di interazioni immunologiche che connette le cellule maligne alle altre cellule del microambiente tumorale (de Jong D, J Clin Oncol 2005)(figura 1). In particolare, la presenza nella massa tumorale di cellule T regolatorie (Treg) è associata ad una sopravvivenza prolungata (Carreras J et al, Blood 2006). Le cellule T helper follicolari (TFH) sono altrettanto importanti nel LF (King C et al, Annu Rev Immunol 2008) in quanto associate ad una maggiore sopravvivenza dei pazienti. Al contrario i macrofagi promuoverebbero la crescita tumorale e questo probabilmente grazie alla produzione di citochine e chemochine. Le cellule dendritiche follicolari, infine, favorirebbero la neoplasia prevenendo l'apoptosi. La risposta immunitaria, comunque, differisce da individuo ad individuo e non solo per 98 la differente esposizione ai vari antigeni, ma anche a causa di varianti genetiche ereditarie come nel caso dei polimorfismi di singoli nucleotidi. Figura 1. Un modello di doppio pathway per il linfoma follicolare. Come primo evento, l'apoptosiresistenza in assenza di una stimolazione antigenica viene data dalla traslocazione t(14;18) o da eventi biologici genomici equivalenti. Successivamente, alterazioni precoci secondarie producono una intrinseca dicotomia prognostica. Nel pathway a cattiva prognosi, le alterazioni genomiche guidano il processo verso uno stato immunologico attivato ed un instabile corredo genetico. Le cellule follicolari dendritiche attivate (FDC) e le cellule T attivate giocano un ruolo dominante. In alternativa, nel pathway a buona prognosi le alterazioni genomiche provocano un'ulteriore stabilizzazione delle cellule tumorali in un contesto immunologico inattivo delle FDCs e dei linfociti T. Le alterazioni genomiche si accumulano ad un ritmo lento con relativa resistenza alla trasformazione e buona prognosi. Fonte: de Jong D: “Molecular pathogenesis of follicular lymphoma: a cross talk of genetic and immunologic factors”. The Journal of Clinical Oncology 2005, 23:6358–6363. La stadiazione viene definita applicando il sistema di Ann Arbor, basato sulla valutazione del numero dei siti coinvolti e sulla presenza di malattia al disopra ed al di sotto del diaframma. Il sistema definisce quattro stadi: •Stadio I: coinvolgimento di una sola stazione linfonodale (chiamato stadio IE se c'è un'unica localizzazione extranodale); •Stadio II: coinvolgimento di due o più stazioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma (stadio IIE se c’è una limitata localizzazione extranodale per contiguità); •Stadio III: coinvolgimento di linfonodi da ambedue i lati del diaframma; •Stadio IV: localizzazione extranodale estesa (midollo osseo, fegato, polmone). Ogni stadio viene definito A oppure B in base all’assenza o presenza di sintomi sistemici. 99 Nell'80% dei casi i pazienti si collocano, al momento della diagnosi, negli stadi III e IV, ma ciò non è necessariamente associato ad una prognosi severa. Solo un 15-20% dei pazienti si trova agli stadi iniziali di malattia (I e II). Una volta diagnosticata la malattia i pazienti vengono inclusi in una delle tre categorie di rischio definite dal “Follicular Lymphoma International Prognostic Index” (FLIPI) o dal “Follicular Lymphoma International Prognostic Index-2” (FLIPI-2), che sono associate ad una diversa attesa di vita (Solal-Céligny P et al, Blood 2004). Nel FLIPI i cinque fattori clinici che determinano la stratificazione dei pazienti nelle varie categorie di rischio sono: l'età (superiore ai 60 anni), i livelli di emoglobina (inferiori a 120g/l) il numero delle aree linfonodali interessate (superiori a 4), lo stadio di Ann Arbor (avanzato) ed i livelli di LDH (superiori alla norma). Nel FLIPI-2 sono: l'età, i livelli di emoglobina (inferiori a 120g/l), la grandezza delle aree linfonodali interessate, il coinvolgimento del midollo osseo, ed i livelli di β2microglobulina. In base al punteggio, che va da 0 a 5, i pazienti vengono definiti a basso (0-1), moderato (2) o alto (3-5) rischio. Diversi studi hanno confermato la validità della valutazione prognostica FLIPI nel predire correttamente la sopravvivenza globale e la sopravvivenza in assenza di progressione di malattia (Tan D et al, Hematol Oncol Clin, 2008). Da un punto di vista clinico a volte le condizioni dei pazienti affetti da LF sono buone: si osservano linfoadenopatie generalizzate asintomatiche con interessamento nodale e splenico. Nel 50% dei casi di LF di grado 1 si osserva anche un coinvolgimento midollare, coinvolgimento che è presente anche nel 30% dei casi di grado 2 e 3 (Armitage JO et al., J Clin Oncol 1998). I sintomi sistemici sono rari e solamente in un 10% dei casi si osserva leucemizzazione. Solitamente il decorso clinico è indolente per alcuni anni ma poi, frequentemente, si osserva la trasformazione della malattia in una forma istologica più aggressiva, caratterizzata da una crescita più rapida ed una minore risposta ai chemioterapici (Gallagher CJ et al., J Clin Oncol 1986). La trasformazione verso un tipo istologico più aggressivo è un evento terminale comune (Bastion Y et al., J Clin Oncol 1997) che si verifica nel 20-60% dei pazienti (Yuen AR et al., J Clin Oncol 1995; Montoto S et al., J Clin Oncol 2007). Questa percentuale raggiunge il 70% nei casi esaminati all'autopsia (Garvin D et al, Cancer 1983). In particolare linfomi diffusi a grandi cellule (DLCL) oppure linfomi di Burkitt che 100 originano da LF di grado 1 o 2, così come DLCL che nascono da LF di grado 3 sono considerati linfomi trasformati; al contrario la progressione di un LF di grado 1/2 in un LF di grado 3 non è sempre considerata come una trasformazione (Bernstein SH et al, Hematology 2009). La patogenesi di questo processo rimane ampiamente sconosciuta. Le attuali conoscenze della biologia della trasformazione suggeriscono il coinvolgimento di fattori genetici, epigenetici e del microambiente, in particolare le mutazioni di TP53 (Sander CA et al., Blood 1993), l'inattivazione genetica e/o epigenetica del gene CDKN2A/p16 (Pinyol M et al., Blood 1998), le traslocazioni coinvolgeneti il protoncogene BCL6 (Akasaka T et al., Blood 2003), le alterazioni che coinvolgono il cromosoma 1p36 (Martinez-Climent JA et al., Blood 2003), e cambiamenti nell'espressione di MYC (Lossos IS et al., Proc. Natl. Acad. Sci. 2002). Sono stati evidenziati cambiamenti acquisiti nel numero di copie di cromosomi (Fitzgibbon J et al., Leukemia 2007). Inoltre, è stata riscontrata un'associazione tra progressione a DLCL ed un'aberrante ipermutazione somatica (Rossi D et al, Haematologica 2006), un meccanismo di instabilità genetica derivante dal funzionamento anomalo dell' ipermutazione somatica fisiologica (Pasqualucci L et al., Nature 2001). Il profilo genomico del LF trasformato mostra in parte delle similitudini con quello del DLCL de novo ed in parte presenta combinazioni uniche di geni alterati con implicazioni diagnostiche e terapeutiche (Pasqualucci L et al, Cell Rep 2014). La strategia terapeutica per la cura del LF dipende da numerosi fattori, primo tra tutti lo stadio di malattia. Una minoranza dei pazienti è affetta da LF localizzato, cioè in stadio I e II. Per questi la terapia standard è la radioterapia con irradiazione dei campi coinvolti (IFRT) (Guadagnolo BA et al, InterJ Rad Oncol 2006; Peterson PM et al, J Clin Oncol 2004). Il possibile beneficio derivante dall’aggiunta di anticorpi monoclonali anti-CD20 alla radioterapia in questi pazienti è in corso di valutazione. Circa l’80% dei pazienti è affetto da una malattia in stadio III e IV e la maggior parte di questi è clinicamente asintomatico (Tan D et al, Hematol/Oncol Clin North America 2008). Per questi pazienti si attua la strategia del “watching and waiting”: non si interviene con un trattamento finché non insorgono i primi sintomi sistemici. Alcuni dati indicano tale approccio come il migliore in termini di sopravvivenza generale e tasso di trasformazione istologica. Questa strategia è supportata anche dall'evidenza clinica di 101 casi che mostrano regressione spontanea di malattia (Friedberg JW et al., J Clin Oncol 2008). Al contrario, quando il paziente deve essere trattato, si procede solitamente con un approccio immuno-chemioterapico. Un esempio di strategia immuno-chemioterapica è il trattamento standard di prima linea R-CHOP che combina Hydroxydaunorubicin la polichemioterapia (doxorubicin), Oncovin CHOP [Cyclophosphamide, (vincristine),Prednisone], all'utilizzo dell'anticorpo monoclonale anti-CD20 denominato Rituximab. Questa terapia si è dimostrata superiore alla sola chemioterapia, sia come percentuali di risposta sia come tassi di sopravvivenza libera da malattia (Hiddemann W et al, Blood 2005; Vitolo U et al, Critical Rev Oncol/Hematol 2008) Il Rituximab si è rivelato molto efficace anche in monoterapia e nella terapia di mantenimento portata avanti dopo il trattamento immuno-chemioterapico. Lo Zevalin, invece, è un farmaco radio immunoconiugato costituito da un anticorpo monoclonale anti-CD20 coniugato con l'isotopo radioattivo β emittente Ittrio 90. La sensibilità dei linfomi all'irradiazione e la specificità degli anticorpi anti-CD20 spiegano il razionale dell'impiego nonché il successo di questi farmaci, la cui collocazione nella strategia terapeutica del LF è in corso di definizione. La chemioterapia ablativa e la radioterapia seguite da un autotrapianto di cellule staminali si sono dimostrate efficaci in pazienti con malattia recidivata e/o in fase avanzata. Il trapianto di midollo allogenico è una strategia destinata a pazienti giovani che risultano essere refrattari a molteplici linee terapeutiche, ma comporta rischi maggiori rispetto al trapianto autologo di cellule staminali a causa della maggiore tossicità. Nuovi approcci terapeutici sono oggi in fase avanzata di studio. Tra questi vi è la realizzazione di vaccini paziente specifici, disegnati per provocare risposte umorali o cellulari contro le immunoglobuline clonali di superficie, ed i nuovi inibitori orali della fosfatidil-inositolo chinasi delta (PI3Kδ) o Idelalisib, della Bruton tirosin chinasi (BTK) o Ibrutinib. Il monitoraggio molecolare della malattia minima residua (MMR) è uno strumento altrettanto fondamentale per valutare l'efficacia della strategia terapeutica nei pazienti con LF. A volte pazienti in apparente regressione clinica di malattia nascondono una certa quantità di cellule malate identificabili grazie alla ricerca di alterazioni cellulari tipiche 102 della malattia. Nel LF l'analisi della MMR viene eseguita attraverso la valutazione della presenza/assenza del trascritto ibrido BCL-2/IGH e della determinazione della sua quantità nelle cellule del sangue periferico e del sangue midollare. 103 Il gene BCL-2 nel linfoma follicolare I membri della famiglia BCL-2 (B cell CLL/Lymphoma-2) regolano il pathway mitocondriale della morte cellulare programmata (apoptosi) grazie ad una serie di complesse interazioni che influenzano l'integrità della membrana mitocondriale esterna (Green DR et al, Cancer Cell 2002). La famiglia BCL-2 è composta da proteine antiapoptotiche e proapoptotiche che hanno in comune quattro domini di omologia chiamati BH1, BH2, BH3 e BH4 (Kvansakul M et al, Cell Death Differ 2008). Le proteine anti-apoptotiche sono proteine integrali di membrana presenti sulla membrana mitocondriale esterna, ma possono essere presenti anche nel citoplasma o nella membrana del reticolo endoplasmatico. Fanno parte di questo gruppo le proteine a1, bcl-2, bcl-XL, bcl-w e mcl-1; le molecole pro-apoptotiche sono bax e bak(figura 2). Figura 2: La grande famiglia della proteina bcl-2. Questa famiglia comprende proteine pro-sopravvivenza (evidenziate nelle caselle verdi) e proteine pro-apoptotiche (evidenziate in rosso). Oltre a questa suddivisione funzionale della famiglia vi è una suddivisione strutturale che divide le proteine in proteine multidominio e proteine BH3-only. In a) sono evidenziati i membri della famiglia che condividono quattro domini BCL-2 di omologia, denominati BH (proteine multidominio). Le proteine bcl-2-antagonist/killer (bak) e bcl-2-associati proteina X (bax) sono essenziali per l'apoptosi attivata attraverso il pathway mitocondriale. In b) sono evidenziati i membri che mostrano solo il dominio BH3, le proteine BH3-only. Fonte: Lessene G, Czabotar PE, Colman PM. “BCL-2 family antagonists for cancer therapy” Nat Rev Drug Discov, 2008 Dec;7(12):989-1000. Altre proteine che svolgono un ruolo altrettanto importante nella regolazione 104 dell’apoptosi sono le proteine “BH3 only”, chiamate così perché mancano dei domini BH1, BH2 e BH4. Nei mammiferi sono note 8 proteine di questo tipo, le più importanti sono bad, bix e bim. L’interazione tra proteine pro-apoptotiche e anti-apoptotiche determina il destino della cellula. L’induzione dell’apoptosi è un processo complesso che nei diversi tessuti viene controllato da differenti membri della famiglia BCL-2 e generato in risposta a diversi stimoli. La proteina bcl-2, ad esempio, serve per la sopravvivenza di linfociti B e T maturi (Veis DJ et al, Cell 1993). La conformazione germinale del gene BCL-2 è composta da tre esoni con un grande introne di 225Kb presente tra l'esone 2 e l'esone 3. La proteina bcl-2 wild tipe ha un peso molecolare di 26kDa e svolge una funzione antiapoptotica. Tale proteina tende ad eterodimerizzare con bax a formare un complesso ad alto peso molecolare bcl-2/bax. Se nelle cellule bax è presente in eccesso allora si formano degli omodimeri di bax che accelerano il processo di morte cellulare; al contrario, se è bcl-2 ad essere presente in eccesso, gli eterodimeri bcl-2/bax sono la specie prevalente e la morte cellulare viene bloccata. Le traslocazioni che coinvolgono il gene BCL-2 sono comuni nelle neoplasie linfoidi umane. Questi riarrangiamenti avvengono sempre nei primi stadi dell'ontogenesi della cellula B e permettono alla cellula di maturare sino allo stadio di cellula IgM+ e IgD+. La traslocazione più comune è la t(14;18)(q32;q21) che causa la giustapposizione della regione 18q21 all'IGH(figura 3). Occasionalmente la regione 18q21 è traslocata sull'IGΚ [t(2;18) (p11;q21)] o sull'IGL [t(18;22)(q21;q11)]. Le rotture sul 18q21 sono presenti in quasi tutti i casi di linfoma follicolare e nel 30% dei DLCL. In generale ogni traslocazione porta ad una deregolazione dell'espressione del gene BCL-2 e conseguentemente alla presenza costitutiva di alti livelli della proteina. Il riarrangiamento t(14;18)(q32;q21) permette l'unione del gene BCL-2 alla regione 3' non trascritta del segmento J dell'IGH. Tale traslocazione non altera la sequenza codificante di BCL-2 che rimane intatta. Il cDNA (DNA complementare) risultante è pertanto rappresentato dalla fusione dei tre esoni di BCL-2 (al lato 3' del trascritto) con 105 gli esoni JH e Cμ derivanti dall'IGH (al lato 5' del trascritto). In questo modo viene prodotta una proteina di fusione in cui la parte codificata dal BCL-2 è di tipo wild tipe e perfettamente funzionante. I cluster di rottura principalmente riscontrati nei pazienti affetti da LF con t (14;18)(q32;21) sono essenzialmente due. Circa il 60-70% dei punti di rottura sul cromosoma 18 avvengono nella regione “major” di rottura (MBR), localizzata nella porzione 3’ non codificante del terzo esone di BCL-2; un 5-25% dei casi cade nella regione “minor” di rottura (mcr), localizzata 20Kb a valle del gene (Tsujimoto Y et al, Science 1985; Ngan BY et al, Blood 1989). Rari punti di rottura sono stati trovati nella regione 5’ del gene e si associano a traslocazioni con la regione variabile delle catene leggere delle immunoglobuline (Hillion J et al, Oncogene 1991). Infine esistono altri due cluster di rottura, localizzati tra MBR e mcr, che sono stati chiamati 3’MBR e 5’mcr (Buchonnet G et al., Leukemia 2000) oggi divenuti target aggiuntivi per la valutazione della MMR nel LF (Pott C et al, Methods Mol Biol 2013). Figura 3: Diagrammi del gene IgH, del gene BCL2 e del gene di fusione IgH/BCL2 (esoni indicati dai riquadri colorati). A) Struttura del gene IgH, la freccia verticale evidenzia i punti di rottura sul JH ed in verde è riportata la probe utilizzata per l'analisi citogenetica in FISH. B) Struttura dei geni BCL2, le frecce verticali marcano i punti di i rottura sul BCL2 ed in arancione è riportata la probe utilizzata per l'analisi citogenetica in FISH. C) Struttura del gene di fusione BCL2/IgH utilizzando i punti di rottura MBR/JH. Fonte: Gu K, Chan WC, Hawley RC.Practical detection of t(14;18)(IgH/BCL2)in follicular lymphoma. Arch Pathol Lab Med. 2008 Aug;132(8):1355-61. 106 Numerosi studi hanno messo in evidenza che, qualunque sia il cluster di rottura, JH6 è il segmento “joining” più frequentemente coinvolto nelle traslocazioni (Jager U et al., Blood 2000). Esistono opinioni discordanti riguardo una eventuale correlazione tra la localizzazione del punto di rottura sul cromosoma 18 e le caratteristiche della malattia o la sopravvivenza dei pazienti (Lopez-Guillermo A et al, Blood, 1999; Buchonnet G et al., Leukemia, 2002). Una serie di esperimenti ha inoltre dimostrato che la proteina bcl-2 coopera con c-Myc nella trasformazione di precursori di cellule B (Vaux et al, Nature 1998) ma, in assenza di un oncogene addizionale, BCL-2 non promuove la proliferazione cellulare. Quindi la t(14;18) non è sufficiente per lo sviluppo del LF (Bende RJ et al., Leukemia 2007); per poter crescere in vitro, le cellule LF hanno bisogno di segnali stimolatori che vengono forniti da cellule immunoregolatorie quali i linfociti T e le cellule dendritiche follicolari. Su queste osservazioni si basa l'ipotesi che vede il LF come una malattia progressiva che parte con l'acquisizione della traslocazione durante le prime fasi di sviluppo delle cellule B nel midollo osseo (Martinez A et al, Cur Ematol Malign Rep 2008). Il vantaggio di sopravvivenza, che hanno le cellule BCL-2 positive nei CG, faciliterebbe l'insorgenza di eventi genetici addizionali, che a loro volta contribuirebbero alla modulazione del microambiente CG. Per un certo periodo di tempo le cellule neoplastiche riceverebbero i segnali di crescita e di sopravvivenza dalle cellule circostanti, e così si svilupperebbe una malattia incurabile ma indolente. Successivamente, particolari alterazioni geniche secondarie permetterebbero alle cellule di sopravvivere al di fuori dei CG, definendo una malattia molto aggressiva. La traslocazione t(14;18)(q32;q21), però, è stata ritrovata anche in individui sani indipendentemente dal sesso, razza ed età, con punti di rottura simili a quelli dei pazienti con LF e, ad oggi, il significato biologico di questo evento non è noto (Biagi JJ et al., Blood 2002; Schmitt C et al, Leukemia Res 2006). In particolare questa evidenza solleva interrogativi riguardo l’autentico significato di una positività riscontrata in un’analisi molecolare, poichè ad oggi non esiste nessun collegamento tra la positività, negli individui sani, per la presenza di questa traslocazione, ed il successivo sviluppo di LF. 107 Obiettivo dello studio Il marcatore molecolare distintivo del LF è la traslocazione dei cromosomi 14 e 18 [t(14;18)(q32;q21)], con conseguente giustapposizione del gene anti-apoptotico BCL-2 (18q21) alla regione JH del gene della catena pesante delle Ig (14q32). La MMR viene solitamente valutata con tecniche di biologia molecolare, che vanno ad analizzare la presenza, l'assenza e la quantità del trascritto ibrido BCL-2/IGH@ rilevabile in cellule del sangue periferico e del sangue midollare. Nel LF il monitoraggio della MMR è risultato essere un fattore predittivo ben consolidato dell'andamento clinico della malattia post-trapianto (Ladetto M et al,Blood 2008). Studi che dimostrano il valore prognostico della analisi di MMR qualitativa dopo terapia convenzionale sono sempre più numerosi (Corradini P et al, J Clin Oncol 2004;Rown JR et al, Biol Blood Marrow Transplant 2007; Procházka V et al, J Clin Oncol, 2011; Ladetto M et al, Blood 2013). Al contrario, pochi lavori affrontano l'analisi quantitativa della MMR nel LF (Rambaldi A et al, Blood 2005; Goff L et al, J Clin Oncol 2009). Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare il valore prognostico della MMR quantitativa nell'ambito del protocollo FOLL05 (NCT00774826), i cui risultati terapeutici sono stati recentemente pubblicati (Federico M. et al, J Clin Oncol. 2013). 108 Materiali e Metodi Pazienti e campioni studiati Lo studio prospettico, randomizzato, multicentrico di fase III FOLL05 (NCT00774826) è stato condotto su un totale di 504 pazienti, di età compresa tra 18 e 75 anni, con una diagnosi istologica di LF di grado I, II e IIIa secondo la classificazione WHO e di stadio II- IV secondo il sistema Ann Arbor. Il protocollo terapeutico comprendeva tre bracci di trattamento: 8 dosi di rituximab (R) per 8 cicli, in combinazione con 8 cicli di CVP(Cyclophosphamide, Vincristine, Prednisone)(braccio di controllo), o con 6 cicli di CHOP(Cyclophosphamide, Vincristine, Doxorubicin, Prednisone) o FM (Fludarabine, Mitoxantrone). L’analisi molecolare per la ricerca del riarrangiamento del BCL2/IGH@ è stata eseguita per tutti i punti previsti dal protocollo, su DNA estratto da un pellet di cellule mononucleate di sangue midollare mediante Wizard Genomic DNA Purification Kit (Promega Corp, Madison, Wisconsis, USA). Screening del riarrangiamento BCL-2/IGH@ L'analisi qualitativa del riarrangiamento del BCL2/IGH@ è stata eseguita prospetticamente al momento della diagnosi, a sei settimane dopo la fine del trattamento, e ogni sei mesi durante il secondo e terzo anno di follow-up. Tutte le analisi qualitative sono state centralizzate ed eseguite presso il laboratorio di Ematologia di Pisa. I 4 laboratori (Roma, Torino, Bologna, Pisa) della FIL-MRD-NETWORK (rete della Fondazione Italiana Linfomi, fondata nel 2009), dopo standardizzazione interlaboratori delle metodiche, hanno eseguito retrospettivamente l’analisi molecolare quantitativa per il riarrangiamento BCL2/IGH@ sui campioni centralizzati dal laboratorio di Pisa alla diagnosi ed al momento della risposta (sei settimane dalla fine del trattamento), allo scopo di valutare se la determinazione della quantità della malattia in questi due time-points aggiunga informazioni rispetto la MMR valutata qualitativamente (presenza/assenza del trascritto). In primo luogo, i campioni sono stati riamplificati e sequenziati per confermare il dato di partenza. 109 Il DNA è stato amplificato mediante reazione di amplificazione Polymerase Chain Reaction (PCR) utilizzando il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’amplificazione è stata ottenuta mediante nested PCR utilizzando il set di primers relativo alla regione di MBR, di mcr ed alla regione di giunzione delle immunoglobuline (Gribben JG et al. Blood 1991). Le condizioni di PCR per l’amplificazione della regione di MBR sono state le seguenti: -I round: denaturazione, annealing ed estensione per 27 cicli rispettivamente a 94°C per 1’, 55°C per 1’ e 72°C per 1. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’. -II round: denaturazione, annealing ed estensione per 30 cicli rispettivamente a 94°C per 1’, 58°C per 1’ e 72°C per 1. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’. Le condizioni di PCR per l’amplificazione della regione di mcr sono state le seguenti: -I round: 1 ciclo con denaturazione a 94°C per 3', annealing a 58°C per 1', estensione a 72°C per 1', seguito da denaturazione, annealing ed estensione per 30 cicli rispettivamente a 94°C per 1’, 58°C per 1’ e 72°C per 1'. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’. -II round: 1 ciclo con denaturazione a 94°C per 3', annealing a 60°C per 1', estensione a 72°C per 1', seguito da denaturazione, annealing ed estensione per 30 cicli rispettivamente a 94°C per 45”, 60°C per 30” e 72°C per 30”. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’. La separazione e l’identificazione degli amplificati di PCR è stata eseguita mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2% in TBE 1X, contenente 5 µl/100ml di bromuro d’etidio (SIGMA-ALDRICH, St. Louis; MO, USA) come agente intercalante del DNA. Sequenziamento e analisi del gene I prodotti di PCR sono stati sequenziati direttamente secondo metodo Sanger con marcatura fluorescente utilizzando il kit di reazione BigDye Terminator v3.1 Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) e il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). Durante la sintesi del filamento di DNA i didesossinucleotiditrifosfati (ddNTP) marcati con quattro differenti fluorocromi vengono, mediante l’enzima DNA polimerasi, inseriti nel filamento 110 stampo impedendo l’aggiunta di ulteriori nucleotidi. Al termine della reazione di sequenza la miscela di singoli frammenti di DNA ottenuta è stata purificata utilizzando il kit DyeEx 2.0 Spin Kit (QIAGEN, Valencia, CA, USA) che permette di eliminare i ddNTP fluorescenti in eccesso non incorporati attraverso il principio cromatografico della gelfiltrazione su colonnine contenenti resina. I frammenti di DNA purificati sono stati sottoposti ad elettroforesi capillare mediante il sequenziatore ABI PRISM® 3100-Avant Genetic Analyzer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’acquisizione dei dati relativi ai campioni è stata eseguita utilizzando il software 3100-Avant Data Collection Software e le sequenze sono state analizzate mediante il programma ABI PRISM® DNA Sequencing Analysis Software (Versione 3.7), e visualizzate come elettroferogrammi. L'interpretazione dei risultati è stata eseguita allineando le sequenze nucleotidiche ottenute alla directory IMGT (international ImMunoGeneTics information system) per l'identificazione del riarrangiamento genico BCL2/IGH@. Analisi RQ-PCR L'analisi è stata eseguita utilizzando i rispettivi primers e la probe per la RQ -PCR (Ladetto M et al, Exp Hematol. 2001). Le curve standard per l'analisi quantitativa, sono state preparate a partire da diluizioni seriali della linea cellulare DOHH-2, nel DNA estratto da un pellet di cellule mononucleate proveniente da un pool di sangue venoso periferico (PBL) di donatori sani e portato alla concentrazione di 100 μg/ml. I saggi sono stati allestiti per raggiungere una gamma di sensibilità e quantificabilità ≥10 -4, con uno slope della curva compreso tra 3.1 e 3.9 ed un coefficiente di correlazione ≥0,98, secondo le linee guida della ESG-MRD–ALL (van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). Le reazioni sono state preparate utilizzando i reagenti del kit TaqMan PCR Core Reagent (PE Applied Biosystems, Foster City CA, USA) e processate nell' ABIPrism 7300-7500 alle seguenti condizioni: un'incubazione iniziale di 2 minuti a 50°C e 10 minuti di denaturazione a 95°C, seguite da 42 cicli di denaturazione a 95°C per 15 secondi ed annealing a 60°C per 1 minuto. Sono state rispettate le linee guida per l'analisi di RQ-PCR della MMR per tutti i campioni studiati, ESG-MRD-ALL (European Study Group on MRD Detection for ALL)(van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). 111 Risultati I risultati dell'analisi di MMR qualitativa e quantitativa di questo studio sono stati recentemente sottomessi per pubblicazione in un lavoro dal titolo “Minimal residual disease after conventional treatment significantly impacts on progression-free survival of patients with follicular lymphoma: the FIL FOLL05 trial”. (Galimberti S et al, Clinical Cancer Research). Analisi qualitativa e burden tumorale molecolare dei pazienti all'arruolamento Alla diagnosi, 415/504 pazienti eleggibili per il trattamento sono stati valutati per BCL2/IGH@ mediante PCR qualitativa, 220 dei quali (53%) sono risultati positivi per il marcatore molecolare. Lo stato molecolare alla diagnosi non correlava significativamente con il coinvolgimento istologico midollare: 43% dei casi senza coinvolgimento midollare all'analisi microscopica, mostrava un marcatore molecolare, mentre il 50% dei casi con infiltrazione midollare è risultato BCL2/IGH@ negativo. Il rilevamento del gene di fusione BCL2/IGH@ prima della terapia ha condizionato in modo significativo la qualità della risposta: il tasso di remissione completa (CRcomplete remission) era 77,9% per i casi PCR-negativi contro il 68,2% per i casi PCRpositivi (p= 0,027). Tuttavia, la presenza del marcatore molecolare prima del trattamento non ha avuto un impatto significativo sulla sopravvivenza libera da progressione (PFS: progression free survival) a 3-anni: 69% per i casi MMR-positivi contro il 61% per i casi MMR-negativi; p=0,085). Il burden tumorale è stato valutato mediante PCR quantitativa in 105 casi BCL2/IGH@ positivi, il valore mediano è stato di 3 x 10 -3 copie (range:0,000018-6). Il numero di copie BCL2/IGH@ non correlava con lo stadio, la performance, l'età >65 anni o il sesso, ma era significativamente più alto nei pazienti con alto score prognostico FLIPI e punteggio FLIPI2. Tra i pazienti con elevato burden tumorale, il livello di risposta complessivo (OR-overall survival) era significativamente inferiore nei casi con bassa massa tumorale (38,9% vs 76,6%, p=0.006). Quando è stata eseguita un'analisi statistica (curva ROC) al fine di 112 trovare il valore di BCL2/IGH@ che meglio prediva la ricaduta, 1 x 10-4 copie è risultato essere il valore più predittivo. Infatti, il 22% dei casi aventi un numero di copie <1 x 10 -4 è recidivato contro il 78% dei pazienti con un valore di copie >1 x 10 -4 (p=0.033). Questo risultato ha mostrato un chiaro vantaggio anche in termini di PFS a 3 anni (80% contro il 59% per i casi con elevato carico tumorale; p=0,015)(figura 4). Quando questo valore, al di sopra del quale si parla di elevato burden tumorale molecolare all’arruolamento, è stato incluso nell'analisi multivariata insieme con le variabili prognosticamente rilevanti già identificate nello studio clinico pubblicato (qualità della risposta, tipo di trattamento e il punteggio FLIPI) (Federico M. et al, J Clin Oncol. 2013), il tumor burden molecolare elevato ha mostrato un impatto prognostico indipendente e negativo sulla sopravvivenza libera da progressione (HR = 1.38, 95% CI:1.1-14.2, p = 0,03) (tabella 1). Figura 4: la PFS è significativamente più lunga nei pazienti con livelli di BCL2/IGH@<1x10-4, prima del trattamento (linea tratteggiata).p=0.015 113 Tabella 1: Ruolo del burden tumorale alla diagnosi. Fattore di rischio HR 95%CI p FLIPI (0-2 vs 3-5) 0,39 0,66-3,61 0,34 Risposta (CR vs altro) 1,03 1,41-5,57 0,03 BOM (negativo vs positivo) 0,62 0,18-1,61 0,26 Stadiazione Ann Arbor (I-III vs IV) 0,35 0,47-4,31 0,53 Braccio di terapia 0,06 0,99-1,26 0,07 Burden tumorale (10-4 vs >10-4) 1,38 1,1-14,2 0,03 114 Valutazione della MMR ai diversi time points Al primo punto temporale di osservazione molecolare (6 settimane dopo la fine della terapia) 3 pazienti sono usciti dal protocollo e 63 campioni non sono stati inviati al laboratorio molecolare referente, così 154 dei 220 casi precedentemente PCR-positivi sono stati rivalutati mediante PCR qualitativa: 109 (70.8%) hanno raggiunto la negatività della PCR. A + 6 settimane, la conversione alla negatività della MMR, non è risultata correlabile significativamente con le caratteristiche cliniche dei pazienti, la qualità della risposta clinica o il braccio di terapia. La negatività della MMR al termine del trattamento è stata correlata con una minore probabilità di recidiva, ma senza significatività statistica (33% contro 41%, p=0,363). Analogamente, la PFS a 3 anni è stata più lunga per i pazienti che hanno raggiunto una negatività molecolare rispetto a chi ha mantenuto il marcatore molecolare (68,4% contro 54,4%), ma questa differenza non ha raggiunto la significatività statistica (p=0,143). La valutazione molecolare a 12 mesi ha evidenziato 63 pazienti MMR-negativi e 24 MMR- positivi; dopo 24 mesi, 46 casi sono stati MMR negativi e 19 MMR-positivi. La PFS è risultata significativamente condizionata dallo stato molecolare a 12 e 24 mesi, con un valore del 66% a 3 anni per i casi PCR negativi contro un 41% per i casi PCR positivi a 12 mesi (p=0.015)(figura 5) ed un valore dell'84% contro 50% per i casi PCR negativi e positivi, rispettivamente, a 24 mesi (p=0.014). La negatività della MMR a 12 e 24 mesi dalla fine del trattamento ha comportato una migliore PFS sia nei pazienti in CR che in quelli in remissione parziale (PR-partial remission)(3 anni PSF=72% per i casi CR/PCR- vs 32% per i casi CR/PCR+, ed il 62% per i casi PR/PCR- vs 25% per i casi PR/ PCR+; p=0.001)(figura 6). Quando la negatività molecolare a 12 mesi nei pazienti con o senza remissione completa è stata inserita in un'analisi multivariata, la negatività della MMR ha mantenuto il suo impatto favorevole sulla sopravvivenza libera da progressione (HR= 1.5, 95% CI:1.1-14.2-0,19, p=0.03), indipendentemente dalla risposta clinica (Tabella 2). 115 Figura 5: la PFS è significativamente più lunga nei pazienti senza BCL2/IGH@ rilevabile al dodicesimo mese di follow-up (linea tratteggiata). p=0.015. Figura 6: la PFS dalla randomizzazione è significativamente più lunga nei pazienti senza BCL2/IGH@ rilevabile durante il follow-up, indipendentemente dalla qualità della risposta. p=0.001 116 Tabella 2: Ruolo della negatività della MMR durante il follow up. Fattore di rischio HR 95%CI p FLIPI (0-2 vs 3-5) 0,53 0,59-4,8 0,32 Risposta (CR vs altro) 0,75 0,73-6,1 0,17 BOM (negativo vs positivo) 2,50 0,50-3,12 0,12 Stadiazione Ann Arbor (I-III vs IV) -1,30 0,02-3,10 0,3 Braccio di terapia 0,55 0,92-1,13 0,66 MMR dopo 12 mesi 1,5 1,5-12,5 0,05 117 Conclusioni La traslocazione t(14;18) (q32;q21) è la caratteristica genetica del LF. Il rilevamento di tale traslocazione può facilitare la diagnosi di linfoma follicolare e può essere utilizzata per monitorare la risposta alla terapia ed il livello di malattia residua. Sono passati più di 20 anni da quando sono state fatte le prime osservazioni sul valore della negatività molecolare nell'outcome dei pazienti con LF (Gribben JG et al, N Engl J Med. 1991). Da allora una serie di studi ha confermato il valore critico del raggiungimento della remissione molecolare in contesti disparati; in trial singoli e multicentrici, con trattamenti convenzionali ed intensificati, trattamenti privi di Rituximab e con Rituximab. Inoltre, la remissione molecolare ha confermato un elevato valore prognostico anche in studi con un prolungato follow-up (Corradini P et al, J Clin Oncol 2004; Rown JR et al, Biol Blood Marrow Transplant 2007). Questo suggerisce che in pazienti con persistente negatività molecolare, le cellule tumorali (se presenti) sono chiaramente sotto controllo stabile e possibilmente permanente (Ladetto M et al, Blood 2008; Procházka V et al, J Clin Oncol, 2011; Ladetto M et al, Blood 2013). Il ruolo della MMR dopo terapia convenzionale nel LF è comunque ancora non codificato nella pratica clinica, e rimane ancora oggetto di studio nell’ambito di trial clinici sperimentali. Negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi metodi di analisi quantitativa (Dolken L et al, Biotechniques 1998; Sanchez-Vega B et al, Mod Pathol 2002). Questi metodi si sono rivelati un valido strumento per una valutazione accurata delle cellule BCL2/IgH@ positive nel sangue midollare o nel sangue periferico e per un migliore monitoraggio molecolare della MMR in diversi protocolli terapeutici (Summers KE et al, Br J Haematol. 2002). Una quantificazione precisa delle cellule BCL2/IgH@ positive alla diagnosi, può aiutare a definire la probabilità di risposta alla chemioterapia convenzionale con o senza l'aggiunta di Rituximab, inoltre, il monitoraggio molecolare della MMR permette l'identificazione precoce dei pazienti con un rischio notevolmente più elevato di recidiva della malattia (Rambaldi A et a, Blood 2005; Goff L et al, J Clin Oncol 2009). L’obiettivo di questo progetto è di definire il valore della MMR quantitativa nell’ambito del trattamento immunochemioterapico di prima linea del LF, il protocollo FOLL05, che prevedeva come end-point secondario la valutazione della MMR qualitativa prima del 118 trattamento, post-terapia, e durante il follow-up. Le analisi qualitative e quantitative sono state condotte secondo le linee guida europee per il rilevamento della MMR nel linfoma (van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007). La sensibilità raggiunta dalle nostre valutazioni è stata di 1x10 -5, paragonabile a quanto riportato da altri autori (van Oers MH et al, J Clin Oncol. 2010; Rambaldi A et al, Blood. 2005). Sono stati considerati solo campioni di sangue midollare provenienti da pazienti BCL2/IGH@ positivi al momento dell'arruolamento. Questo potrebbe essere rilevante, perché sono state riportate, differenze superiori a 1 logaritmo in favore di campioni di sangue midollare rispetto a campioni di sangue periferico, (Leonard BM et al, Blood 1998), inoltre i valori di MMR da sangue periferico sono risultati meno predittivi (Gribben JG et al, Blood 1994). Il riarrangiamento BCL2/IGH@ è stato rilevato nel 53 % dei pazienti e la sua specificità è stata confermata nei casi persistentemente PCR-positivi dopo terapia, mediante sequenziamento alla diagnosi e dopo trattamento, in modo da rendere improbabile la presenza di un falso target molecolare durante il follow-up. Nel dibattito ancora aperto sul ruolo prognostico della MMR quantitativa nel LF, i nostri risultati mostrano come la massa tumorale alla diagnosi significativamente condizioni la qualità della risposta e della PFS, in accordo ed a supporto di quanto osservato precedentemente (Rambaldi A et a, Blood 2005; Goff L et al, J Clin Oncol 2009). La scomparsa del marcatore molecolare dopo terapia positivamente condiziona la risposta dei pazienti con LF, con una significatività statistica del follow-up a lungo termine. Infatti, la PFS a 3 anni è stata più lunga per i pazienti che hanno raggiunto negatività molecolare solo dopo 2 mesi dalla fine della terapia (68,4 % contro 54,4 %), e la significatività statistica è aumentata quando tale negatività viene mantenuta dopo ulteriori 6 o 12 mesi. Il minor impatto della negatività molecolare alla fine del trattamento potrebbe essere giustificato da una troppo breve intervallo di tempo trascorso tra l'ultimo ciclo di Rituximab e la determinazione della MMR. Questo dato potrebbe essere probabilmente spiegato con la farmacocinetica del Rituximab, dato che tracce di anticorpi circolanti potrebbero essere trovate fino a 6 mesi dopo l'ultima somministrazione (Berinstein Nl et al, Ann Oncol 1998). Ciò è ulteriormente confermato dall'osservazione che un miglior valore predittivo si osserva se la valutazione della MMR post-terapia viene eseguita dopo 60-90 giorni (Ladetto M 119 et al, Blood 2012). Infine, i nostri dati sostengono il ruolo della negatività della MMR non solo nei pazienti che raggiungono una remissione completa (CR), ma anche in quelli con remissione parziale (PR): la PFS a 3 anni è stata del 62 % per i casi in PR PCR-negativi contro il 32 % per i pazienti in CR ma ancora PCR-positivi dopo 12 mesi di follow-up. Questi dati sono in linea con quelli già riportati nel linfoma mantellare, dove il valore della MMR è risultato altamente predittivo per la durata della risposta, indipendentemente dalla risposta clinica (risposta a 2 anni: 94% per i pazienti in CR/PCR- ed il 100% per i pazienti in PR/PCR-, rispetto al 71% per i pazienti in CR/PCR+ ed il 51% per i pazienti in PR/PCR +)(Pott C et al, Blood 2010). Due principali risultati sono quindi emersi: 1) il burden tumorale al momento della diagnosi condiziona in modo significativo la qualità della risposta e la PFS, e 2) l'ottenimento della negatività molecolare qualitativa a 12 mesi dalla fine del trattamento correla con un risultato migliore (3 anni PFS 66% vs 41, p = 0.015). In conclusione, i risultati di questo ampio studio supportano il valore dell'analisi qualitativa e quantitativa della MMR sia alla diagnosi (burden tumorale molecolare), che al momento della valutazione della risposta clinica (ridefinizione della risposta clinica completa e parziale), che nel follow-up nei pazienti con LF trattati con i tradizionali schemi chemio-immunoterapici. 120 Bibliografia 1. Armitage JO & Weisenburger DD: “New approach to classifying non-Hodgkin’s lymphomas: clinical features of the major histologic subtypes. Non-Hodgkin’s Lymphoma Classification Project”. The Journal of Clinical Oncology 1998; 16:2780-2795. 2. Akasaka, T., Lossos, I.S., and Levy, R. BCL6 gene translocation in follicular lymphoma: a harbinger of eventual transformation to diffuse aggres- sive lymphoma. Blood 2003;102: 1443–1448. 3. 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Submitted Leuk Lymphoma. 132 Abstracts 1.HHV8-Related and HHV8-Unrelated primary effusions lymphomas: similarities and differences. V.Ascoli, G.Marangi, I.Cozzi, V.Giannelli, M.Merli, F.Petrachi, C.Lorusso, G Della Grotta, C. Danese, I. Della Starza, R.Guarini. (Poster I Congresso SIAPEC Società di Anatomia Patologica) 2012. 2.Comparison of two RQ-PCR strategies for minimal residual disease evaluation in lymphoproliferative disorders: Correlation between immunoglobulin gene mutation load and RQ-PCR performance. Irene Della Starza, Marzia Cavalli, Ilaria Del Giudice, Daniela Barbero, Barbara Mantoan, Elisa Genuardi, Claudia Mannu, Anna Gazzola, Elena Ciabatti, Anna Guarini, Robin Foà , Sara Galimberti, Pierpaolo Piccaluga, Gianluca Gaidano, Marco Ladetto, Luigia Monitillo on behalf of the FIL-MRD network (EHA European Hematology Association) 2013. 3.Immunoglobulin gene rearrangments in Asian patients with Chronic Lymphocytic Leukemia. Marilisa Marinelli, Ilaria Del Giudice, Caterina Ilari, Irene Della Starza, Silvia Bonina, Yok-Lam Kwong, Thomas Chan, Kit-Fai Wong, Anna Guarini, Eric Tse, Robin Foà (EHA European Hematology Association) 2013. 4.Prognostic role of BCL-2 molecular monitoring in patients with early stage follicular lymphoma. Alessandro Pulsoni, Irene Della Starza, Giorgia Annechini, Federico De Angelis, Gianna Maria D’Elia, Pasqualina D’Urso, Sara Panfilio, Marzia Cavalli, Lavinia Grapulin and Robin Foà. Poster 12th International Conference On Malignant Lymphoma (ICML 2013). 133 134