Numero Giugno '11
Vishu Flama
Il rock ha i suoi strani percorsi, è capace di assemblare caratteri differenti, gente di mondi
diversi, generazioni lontane e vicine. I veronesi Vishu Flama sono uno dei tanti esempi di
“multi qualcosa” che gira intorno a questa musica. Li guardi in foto e non capisci se è un
progetto tra ragionieri con un metallaro o piuttosto una strana collaborazione tra avvocati e
gli amici dei loro figli. Eppure quando ascolti la musica questi Vishu Flama sanno stupirti, un
rock sanguigno immediato, che guarda agli anni 50/60, al punk, ma anche al power pop
americano dei 70, costruito su linee melodiche avvolgenti ed avvincenti, che ti ritrovi a
cantarle dopo un solo assaggio. Sono in giro dal 2007 ed hanno pubblicato due album,
entrambi omonimi, ma promettono di sommergerci con altri tre e poi di scrivere la parola
fine. Sara vero?
Direi di cominciare con una breve presentazione per i nostri lettori e la spiegazione
del vostro nome curioso.
Siamo una band di Verona, più rock del previsto. Matteo suona la chitarra, scrive la maggior
parte dei brani, e qualcuno lo canta pure su disco. Martino è l’altro compositore del gruppo,
canta quasi tutti i brani e suona la chitarra. Emmanuele suona il basso e canta, Nicola è alla
batteria. Il nome Vishu Flama è storpiato dal russo e significa "Vedo fiamme". È il grido di
Ludmila, una cosmonauta la cui capsula prese fuoco rientrando nell’orbita terrestre, captato
dai fratelli Judica Cordiglia, due radioamatori torinesi. Gli astronauti del gruppo di Gagarin
hanno sempre negato l’incidente, negli anni 60 così come oggi. Ascoltammo l'episodio in
una puntata del programma radiofonico "Golem" di Gianluca Nicoletti e ci fece grande
impressione.
I Vishu Flama hanno la caratteristica di unire musicisti di varie età e con diverse
influenze artistiche. Come siete riusciti a trovare un punto in comune tra di voi? Come
è scattata la scintilla di scrivere musica che convincesse tutti?
La scintilla? La prima volta che ci siamo trovati a suonare insieme tutti e quattro, nel 2007,
Nicola, che era un musicista già affermato in zona, inorridì: eravamo un'accozzaglia indegna.
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Un anno dopo però ci abbiamo riprovato e messi a fuoco con Emmanuele alcuni brani, tutto
è decollato furioso e rapido. Le dinamiche tra noi sono semplici perché abbiamo un metodo
di lavoro efficace e proficuo. Due compongono, a volte ognuno per proprio conto, a volte
insieme, e la sezione ritmica, la nostra sala macchine, convoglia, disciplina e armonizza.
Siamo tutti tra i 30 ed i 40 anni e ci lega una vera amicizia. Questa aiuta, perché
invecchiando le differenze di età sfumano ma si diventa più fastidiosi...
Come tutte le band “emergenti” di oggi cercate di sfruttare al meglio le tecnologie per
diffondere la vostra musica. Credete che sia ancora possibile sognare che possa
succedere qualcosa o è meglio limitare i sogni, suonare quello che si ama e poi tutto
quello che arriva in più è il benvenuto?
Più che sogni facciamo progetti. È il bello di non avere più vent'anni. La nostra speranza è
combinare qualcosa di buono proprio suonando la nostra musica, senza porci limiti.
Utilizziamo la tecnologia per essere raggiungibili da tutti. Sappiamo che i nostri dischi sono
stati acquistati in rete in svariate parti del mondo: questo ci fa sentire vivi e ci spinge ad
andare avanti.
Nei vostri testi cercate sempre di essere lucidi e pungenti. Come nasce l’ispirazione
per le parole? C’è un’analisi ad ampio raggio della società, dei costumi o vi limitate al
vostro vissuto? E ci spieghi perché nasce una canzone come “Fighe in SUV”?
C'è un po' di tutto. La nostra vita avventurosa tra i leoni...! Matteo è un avvocato e guarda il
mondo dal suo oblò. Martino è un sociologo “boomerang”; cervello in fuga, rimpatriato, con
tutta la trafila del precario. L'università, la cooperazione internazionale, il cinema in Etiopia,
lo stage in corporation, il telemarketing ieri, responsabilità gestionali oggi. È inevitabile
scrivere del mondo che ci circonda. Poi certo c'è anche la sfera del privato, con i suoi crucci.
C'è pure divertimento, perché scrivere canzoni ci diverte, usando l'ironia come medicina.
“Fighe in SUV” nasce per gioco. Matteo si è divertito a fare un pezzo da stadium-rock,
pensando al Jimmy Page drogatissimo di fine anni 70, con la piramide magica di luce, il
raggio laser da scagliare con l'archetto sulla folla e tutto il resto. Una delle sue innumerevoli
ossessioni. Il testo è uno scherzo che riflette il suo sincero schifo per vari mondi che oggi
sono alla ribalta e di stretta attualità. Una "riflessione" sulla famiglia, l'economia e l'ambiente.
Scrivere parole di grana grossa è stato curioso, un po' come sforzarsi di fare errori
grammaticali anche quando si pensa.
Avete pubblicato il secondo album a breve distanza dal debutto (senza contare che
mi avete già accennato ad un terzo e volendo quarto album già scritti). Una scelta che
non condivido, ma i gruppi di questi anni duemila sembrano tutti tarantolati dal
bisogno di fare dischi, pubblicare album su album e progetti paralleli, privilegiando la
quantità alla qualità. Che cosa scatta che non si riesce a frenare questo impeto
creativo?
Sono anni tarantolati per tutti. Noi abbiamo cominciato tardi a far musica; se non facciamo
dischi adesso... Non sappiamo quanti ne faremo, quello che conta è fare canzoni che ci
convincano: ne abbiamo alcune che da anni chiedono di essere registrate, altre che forse
non lo saranno mai. Ma non vogliamo vivere con la sindrome del capolavoro; quando non
avremo più niente da dire con la musica, faremo dell'altro. Il discorso su quantità e qualità è
soggettivo, in tutte le epoche: negli anni 60 i Beatles fecero quattordici album in otto anni, e
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Numero Giugno '11
prolifici erano tutti i vari "mostri" dell'epoca. Certo il mercato chiedeva sempre nuova musica
ed i musicisti erano attorniati da un alone di mistero e venerazione. Oggi in molti casi non è
più così. Di solito nei loro “anni buoni” i gruppi hanno idee e sono ansiosi di esprimerle.
Siete ascoltatori attenti anche alle realtà artistiche degli ultimi anni o vivete, come
molti, solo nel passato? Quali sono gli ultimi dischi che vi hanno veramente
emozionato?
Siamo onnivori e cerchiamo di tenerci aggiornati, anche se il gusto della novità c'è anche
ascoltando per la prima volta musica del tempo che fu. Procediamo per esclusione ed ogni
tanto nello scoprire nuovi artisti ci si entusiasma ancora. Premesso che attualmente siamo il
nostro gruppo preferito, per mesi l’anno scorso Martino non ha ascoltato altro che “Bang
Goes The Knighthood” e “The Duckworth Lewis Method” di Neil Hannon. Matteo adesso sta
ascoltando Devendra Banhart, “Marinai, profeti e balene” di Vinicio Capossela e trova
“Canzoni a manovella” il suo capolavoro. Emmanuele attualmente è alle prese con “The
Path of Love” di Terje Nordgarden e Nicola con "Grebfruit" di Benny Greb.
Oggi la musica vive tanti paradossi, uno riguarda i produttori. I gruppi ed artisti
importanti vivono costantemente alla ricerca del produttore, magari di moda, che
possa aiutarli a veicolarsi sempre di più. I gruppi underground sono convinti di non
aver bisogno di nessuno e lavorano da soli, con la scusa dell’integrità, ma di fatto
autolimitandosi ed impedendosi una possibile crescita. Voi da che parte state?
Siamo un caso strano. Ti farà sorridere, ma non ci reputiamo un gruppo underground.
Facciamo dischi per tutti, con un approccio molto disincantato. Siamo alquanto avulsi dal
contesto musicale nostrano, non “conosciamo” nessuno. Abbiamo un produttore
professionista, Fabio Serra, che ha infinita sapienza musicale ed è nostro amico. Noi
ascoltiamo sempre quello che ha da insegnarci, poi sbagliamo di testa nostra!
Un vostro brano è stato trasmesso dal noto e storico programma “Demo” su Rai
Radio 1, che sinceramente mi sembra una bella vetrina, ma breve. Certo, meglio di
niente, fa curriculum, ma non cambia nulla per una band. Di fatto cosa si dovrebbe
fare in Italia per far sì che la musica rock italiana non sia sempre l’ultima ruota del
carro della programmazione?
È un problema atavico. L'Italia non è un Paese rock, non lo è mai stato. Basta vedere i
servizi in tv che parlano di musica: a volte sfacciati spot, spesso maldestri e improvvisati. Il
rock appartiene alla cultura anglosassone, poco incline al compromesso. Noi italiani siamo
autoindulgenti, la nostra tradizione musicale è melodica. Andiamo rassicurati sul fatto che
comunque, alla fine, c'è sempre una soluzione o un'assoluzione. Ma non sta scritto che
debba per forza essere sempre così. Per cambiare le cose bisogna imparare ad ascoltare, e
non parliamo solo di musica... Convegni, libri, trasmissioni, tutto serve. Quanto al nostro
passaggio su Radiouno, diciamo che ogni tanto la Rai sa ancora fare servizio pubblico!
Contatti: www.myspace.com/vishuflama
Gianni Della Cioppa
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Numero Febbraio '11
Vishu Flama
Vishu Flama
autoprodotto
Con un vezzo da rockstar i veronesi Vishu Flama, dieci mesi dopo l’esordio, pubblicano un
secondo album, mantenendo il medesimo titolo, ovvero nessun titolo. Ci sono invece nuovi
percorsi per quanto riguarda la musica. Se nel primo lavoro l’approccio era istintivo e legato
ad un suono tra garage e rock’roll, tra i solchi di queste undici canzoni emerge l’amore, in
passato dichiarato solo a voce, anche per il funk e il r’n’b, con una maggior cura per gli
arrangiamenti, in cui le due chitarre giocano a rincorrersi tra ritmiche e soliste melodiche,
con parti vocali ad ampio respiro, che addobbano con istinto ed eleganza “La torta”,
“Bellissima”, “Derive” e la curiosa “Plin plon”, che chiude il CD. Ciò che trovo interessante nei
Vishu Flama e la loro assoluta estraneità a tutto ciò che ci circonda. La loro musica sembra
provenire solo dall’ascolto di vecchi vinili, messi su senza una logica precisa,alla rinfusa,
che esclude tutto ciò che è stato prodotto negli ultime due, forse tre, decenni. In un’opera di
selezione assolutamente alla rinfusa, ma che di fatto è efficace e che trasferisce nelle
canzoni dei Vishu Flama una gioiosa ingenuità che conquista. Scarna ed essenziale come
sempre la copertina. La band ora deve carburarsi sul palcoscenico, luogo perfetto dove
dovrebbero farsi apprezzare questi quattro (ex) ragazzi!
Contatti: www.myspace.com/vishuflama
Gianni Della Cioppa
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Numero Gennaio '10
Vishu Flama
Vishu Flama
autoprodotto
Dalla biografia della band: il nome Vishu Flama è la trascrizione in chiave rock-psichedelica
del grido “Vižu Plamja” (“vedo fiamme”), lanciato da Ludmila, un’astronauta sovietica, prima
che la sua navicella esplodesse nello spazio, missione antecedente al 1961, momento del
primo lancio umano, sempre smentita dall’URSS. Ma Vishu Flama è anche una rock band
veronese, composta da quattro amici che dopo decenni trascorsi in veste di ascoltatori,
hanno deciso di tramutare in musica propria, la loro enorme passione. Ambiziosamente
hanno detto di aver scritto l’album che non riescono a trovare nei negozi da anni e
puntellano le loro preferenze con nomi altisonanti come Beatles, Jefferson Airplane, Led
Zeppelin, Pink Floyd, Jimi Hendrix, la Motown, Stevie Wonder e i Rolling Stones, ma solo
fino al 1971! Gli idoli citati rimangono lontani, ma i brani del CD (grafica che ricalca il logo
originale dell’Atlantic) emanano una freschezza ed un’ariosa godibilità non facilmente
reperibile in Italia, con quegli spunti tra beat e rock’n’roll, un po’ come se i Byrds, richiamati
nelle parti vocali, giocassero al gatto e al topo con entità più underground, e citiamo Seeds e
HP Lovecraft per dirne altre cento. Chitarre agili e svelte che si incuneano in una ritmica
semplice, tipicamente Sixities e parti vocali (divise tra i chitarristi Martino Valbusa e Matteo
Mazzi) sempre allegre e brillanti. Ascoltando “Qualcosa tra noi”, “Scudi”, “Aliceye”, “Luoghi
della memoria”, “A tu per tu”, si ha davvero la sensazione che in concerto i Vishu Flama
siano uno spasso, e anche se di tanto in tanto affiora una punta di malinconia (“Marea dopo
marea” per esempio) o di stravagante inutilità (la techno music nascosta alla fine dell’album),
è innegabile che la sfacciata e provocatoria “Fighe in SUV” sia un possibile hit, capace di
scatenare quelle polemiche che l’accomodante rock degli ultimi anni sembra aver
accantonato.
Contatti: www.myspace.com/vishuflama
Gianni Della Cioppa
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