Dietrich Bonhoeffer Una parola per la libertà Albani Francesca Classe 4 A Dopo una prima, una seconda e una probabile terza guerra mondiale, l’uomo può avere un rapporto con Dio? O troppi orrori hanno macchiato la sua anima per poter aver una minima sensibilità che lo porti ad aver un contatto con essa? Siamo un’umanità che non ha più il bisogno o il diritto di un Dio? “Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio,dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima”1 C’era un uomo, un tedesco, un teologo che nel periodo più buio dell’umanità, negli anni Quaranta, era certo che l’uomo avesse un’anima; anzi che anima e corpo fossero una cosa sola, e che questa fosse pronta a ricevere Dio in un modo completamente nuovo. Quell’uomo era Dietrich Bonhoeffer. Nato nel 1906 a Breslava, Bonhoeffer, era figlio di una famiglia di inclinazione culturale ateo-scientifica, nessuno, quindi, si sarebbe aspettato che si laureasse nel 1927 in teologia. Bonhoeffer aveva mostrato interesse per le tradizioni religiose e culturali e nel corso dei suoi studi aveva cercato di capire se i problemi che affioravano nella comunità tedesca fossero gli stessi degli altri paesi. Questo suo interesse lo spingerà a viaggiare e ad approfondire i suoi studi in Spagna, Svizzera, Inghilterra e in America. Nel 1930 andrà a studiare a New York e nel 1931 tornerà in Germania per insegnare teologia all’Università di Berlino. Qui dal ’31 al ’33 insegnerà religione ai suoi alunni, con un approccio innovativo sempre rivolto alla riflessione politica. Nel ’33, quando Hitler salirà al potere, la chiesa tedesca appoggerà le idee naziste sulla supremazia della razza ariana, escludendo chiunque fosse di razza diversa dalla possibilità di far parte dell’ordine ecclesiastico. Bonhoeffer indignato, protesterà con veemenza contro questa scelta, specificando che la razza non può essere importante, che questa parola non ha D. Bonhoeffer, Lettera al padre, 1943, in Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, San Paolo Edizioni, traduzione a cura di A. Gallas, Milano,1992. 1 nessuno significato; che a far la differenza tra un uomo e un altro, è la dedizione al prossimo, al suo lavoro e alla pace della propria anima. Ben presto il lavoro di Bonhoeffer sarà ostacolato dalla Ghestapo, fino a essere costretto, temendo per la sua stessa vita, ad accettare un incarico di insegnante in America. Negli Stati Uniti, tuttavia, non rimarrà a lungo, pensando di aver lasciato il suo popolo in balia di un “pazzo senza Dio”, allo scoppio della guerra, tornerà in patria, per condividere il destino del suo popolo. A Berlino terrà dei seminari clandestini che saranno presto osteggiati e poi chiusi dalla polizia. Questo, tuttavia, non farà desistere Bonhoeffer dall’entrare in un’organizzazione antinazista, costituita soprattutto da militari, stanchi dei soprusi di Hitler e di essere scavalcati da organizzazioni come le SS o la Gestapo. Nel 1943 viene arrestato e portato nella prigione di Tegel, per presunta cospirazione contro lo Stato nazista, qui inizierà a scrivere struggenti lettere ai familiari, alla fidanzata e agli amici, che verranno poi raccolte nel volume Resistenza e resa. Nel 1945, quando la Gestapo scoprì i documenti che testimoniavano la partecipazione di Bonhoeffer alla congiura per uccidere Hitler, sarà lo stesso Führer, a ordinarne la morte. Morirà impiccato a Flossenburg, con la consapevolezza di essere riuscito a trasmettere un messaggio in grado di fare del mondo un posto migliore. Nonostante tutti gli orrori della guerra, nella culla della follia creata da Hitler, ci furono uomini che cercarono di combattere per le nuove generazioni. Bonhoeffer è il simbolo di tutti quei tedeschi, che lottarono per liberare la Germania, l’Europa, il mondo dalla depravazione nazista. Egli ha cercato di far capire che poteva esserci un nuovo tipo di rapporto tra Dio e uomo moderno: “colui che sta con un piede sulla terra, starà un piede sul paradiso”. Nel Novecento ci si trova davanti ad un uomo completamente diverso da quello del secolo precedente, un uomo che è riuscito a rispondere a tutte le sue domande, non affidandosi a Dio, ma cercando le risposte nella scienza. Si tratta di un uomo che guarda la vita in maniera critica e razionale, con una freddezza calcolatrice che non lascia spazio a nessuna emozione. Tuttavia, c’è anche un altro tipo di uomo che non è riuscito ad essere al passo con lo slancio dell’età moderna, che, impaurito, se ne sta chiuso in una sorta di “bolla” in attesa di giungere in paradiso. Bonhoeffer, nel posto più insospettabile, la prigione, ha cercato di trovare una risposta alle domande di senso dell’uomo moderno. Egli ha compreso che i problemi principali dell’uomo della sua epoca sono la cupidigia, l’insensibilità, l’indifferenza, vivere pensando al domani e non al presente, isolato da tutti. La soluzione, secondo il teologo, è nella ricerca dell’equilibrio: l’uomo deve pensare all’oggi e vivere attimo per attimo la propria vita; posare le proprie certezze e la propria tranquillità su pilastri quali la famiglia, l’amicizia, l’amore e la fede. Quest’ultima, non deve basarsi su un rapporto bigotto con Dio, in cui non ci sia una apertura verso nuove conoscenze o ci si chiuda in rigide regole ecclesiastiche. La fede va intesa come un percorso che anima e corpo, percorrono insieme, attraverso la realizzazione nella vita terrena, prendendo consapevolezza della realtà, non rimanendo indifferenti al prossimo ma aiutando se stessi e gli altri. Questo consente di giungere ad una condizione di pace, che ci permette, quando chiudiamo gli occhi, di sentire tranquillità e quiete provenire da noi stessi; perché la religione non sia fatta solo di testi sacri da prendere alla lettera, ma sia una guida per seguire un modello di vita che ci faccia star bene con se stessi. Lo stesso Bonhoeffer, per arrivare alla quiete dello spirito e per aiutare gli altri a raggiungerla ebbe bisogno del sostegno della sua famiglia. Testimonianza di ciò sono le lettere che mandò ai suoi familiari; ricordiamo quella inviata il 14 gennaio del 1944 da Tegel, nel giorno del suo compleanno. In questa lettera, Bonhoeffer ringrazia i suoi genitori per il pacco ricevuto, per l’immensa felicità che questo dono provoca in lui ma, allo stesso tempo, mostra la sua preoccupazione. Se, da un lato, è grato del pensiero dei genitori dall’altro gli ricorda che loro sono là fuori, in una città dove tra i bombardamenti e l’arrivo dei russi sono sempre più in pericolo, li prega di andarsene a Patzig per trarsi in salvo anche se sa che non lo faranno per stare accanto a lui. Qui si capisce l’importanza della famiglia per Bonhoeffer, così come per qualsiasi altro uomo. Egli non sarebbe arrivato dov’era, non sarebbe morto per i suoi ideali se non avesse avuto dietro di sé una famiglia in grado di sostenerlo e incoraggiarlo. Anche se a molti questo sembra scontato, o di poco conto, per me ha un significato profondo, quasi toccante, perché rispecchia la mia vicenda personale, la storia di mio nonno. È una storia che riguarda la famiglia di mia madre e che ancora è ben impressa nei ricordi di noi nipoti anche adesso che il nonno non c’è più. Nel 1943, quando il generale Badoglio firmò a Cassibile l’armistizio con gli americani, non informò nessuno e il popolo del Nord Italia e l’esercito italiano alleato con la Germania rimasero all’oscuro di tutto. Infatti, quando i tedeschi iniziarono a catturare gli italiani molti di loro non sapevano neanche perché venivano mandati nei campi di lavoro o concentramento a morire. Mio nonno fu più fortunato, fu catturato dai tedeschi in Albania e portato al campo di lavoro di Malchow, lì fu ridotto alla fame, e portato in fin di vita da una tremenda infezione. Visto che nel campo c’era bisogno bisogno di forza lavoro, fu mandato in infermeria per ricevere delle cure. Lì incontro un dottore di Messina che lo prese in custodia come suo infemiere. I prigionieri venivano trattati come animali, sfruttati per ogni tipo di lavoro con il minimo di viveri per non morire. Mio nonno sopravvisse grazie alla speranza di un pacco ricevuto dalla famiglia tramite un ufficiale tedesco. Anche se non seppe mai, fino al ritorno a casa, come quel pacco fosse arrivato fino a lui. Quel pacco fu importante non tanto per quello che conteneva, ma per quello che rappresentava: l’idea di una famiglia amorevole che lo stava aspettando, la speranza di ritornare nel suo paese natale ad una vita di pace e tranquillità. Avere una famiglia avrebbe aiutato quell’uomo a sopravvivere, gli avrebbe dato la forza necessaria per tentare la fuga. Grazie all’amico dottore fu mandato come barelliere a prendere i feriti tedeschi con i treni bianchi diretti in Italia, con questo pretesto riuscì a scappare. La fuga, però, fu dura, dovette camminare per giorni, da solo, di notte, senza cibo, nei pericolosi sentieri di montagna dove tedeschi e partigiani uccidevano chiunque incontrassero. Quando arrivò all’Eremo di Chiesa Forte, fu salvato dalla misericordia delle suore di clausura del convento del paese che lo ospitarono e lo curarono fino a che non si mise in sesto e fu in grado di ripartire e raggiungere Treviso, dove viveva la sua famiglia. Grazie alla speranza che gli aveva dato quel pacco mandato dai suoi cari, mio nonno visse ancora a lungo, e io sono qui, a raccontare questo episodio. “Fa che le candele che hai portato al nostro buio oggi ardano in silenzio e caldamente; raccoglici, se è possibile, di nuovo insieme: noi lo sappiamo, la tua luce arde nella notte”2 Bonhoeffer aveva ragione, anche l’uomo moderno, l’uomo divenuto adulto, può ancora credere in Dio, lo dimostra il fatto che in un momento tanto orrendo, pieno di morte, quando tutto sembra crollare e ognuno può solo pensare a se stesso, il senso di umanità riemerge, come testimoniano le persone (l’ufficiale tedesco, il medico messinese) che hanno aiutato mio nonno. Finché ci sarà anche un uomo su un milione, pronto a ripetere un singolo gesto di bontà verso un altro, senza pretendere niente in cambio, la speranza non cesserà di esistere. 2 D. Bonhoeffer, Lettera a E.Bethge, 1945, in Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, cit. Dietrich Bonhoeffer Incontro tra fede e mondo Erika Coffa Classe 4C Bonhoeffer Incontro tra fede e mondo La storia è un grande presente, e mai solamente un passato. Émile-Auguste Chartier Gli uomini passano, le idee restano. Giovanni Falcone Introduzione al saggio Sebbene possa apparire – soprattutto ai giovani – così lontano, è importante sottolineare come non sia trascorso nemmeno un secolo dal secondo conflitto mondiale, che comportò il massacro di milioni di uomini a cui è stata negata la possibilità di esprimere il proprio orientamento religioso, politico o sessuale. Bonhoeffer cercò di dare una risposta a tutto ciò; la risposta che diede ne valse la sua stessa vita. La sua weltanschauung (ted. “visione del mondo”) lo portò a lottare – in nome della sua cristianità – contro le ingiustizie del Terzo Reich. La sua vita, così come quella di molti altri uomini morti per la ribellione al sistema nazionalsocialista (esempi sono il colonnello Stauffenberg e l’ammiraglio Wilhelm Canaris), è una vita basata sul saper prendere una posizione, anche quando proprio il “saper prendere una posizione” comporta il dover morire per i propri ideali. In un’umanità diventata ormai maggiorenne, nella quale Dio lascia spazio all’uomo rendendolo “responsabile”, bisogna saper rispondere alle esigenze del presente proprio in nome di Dio, senza aspettarsi un aiuto trascendente che risolva i problemi dell’umanità. L’ideologia del teologo luterano è basata sul rapporto fede-azione, sul saper “essere cristiani ed essere contemporanei”. Se, dapprima, il cristianesimo si allontanava dalla contemporaneità, e la contemporaneità dal cristianesimo, con Bonhoeffer si tenta di congiungere entrambi, poiché essere cristiani vuol dire anche saper rispondere alle esigenze del presente. Questo saggio, partendo dalla vita, dalle riflessioni teologiche che ispirarono la teologia bonhoefferiana, fino ad arrivare all’etsi Deus non daretur e al Dio tappabuchi, analizzerà i nuclei fondamentali del pensiero di Dietrich Bonhoeffer, ispiratore del Concilio Vaticano II e “rivoluzionatore” della Chiesa stessa, per compiere una riflessione su quanto possa essere incredibilmente vicina e attuale la storia che ci appare tanto lontana. 1. Chi era Dietrich Bonhoeffer? Venne impiccato nudo, al sorgere del sole, per mano della Gestapo3, il 9 Aprile 1945, nel campo di concentramento di Flossembürg, a circa metà strada fra Norimberga e Praga. Passarono alcuni minuti prima che morisse strangolato. Aveva solamente trentanove anni. Assieme a lui, con l’accusa di alto tradimento, furono condannati: il capitano Ludwig Gehre, il giudice Karl Sack, l’ammiraglio Wilhelm Canaris, il capitano Theodor Strünck e i generali Friedrich von Rabenau e Hans Oster.4 Fu Adolf Hitler stesso a dar l’ordine di eliminare tutti i traditori, due settimane prima. Il campo di concentramento di Flossembürg fu liberato il 23 Aprile 1945. Una settimana dopo il Führer si tolse la vita in un grigio bunker di Berlino. La vita – e successivamente la morte, dovuta alla ribellione al Reich hitleriano – del teologo protestante, è il simbolo dell’attuare una concezione della vita che si rifà per la prima volta al senso vero del cristianesimo. Dietrich Bonhoeffer nacque in Breslavia – in Polonia – nel 1906, da una famiglia benestante. Si trasferì a Berlino quando era ancora giovane, ed ivi mostrò una grande predisposizione per gli studi umanistici. La morte di uno dei suoi fratelli durante la prima guerra mondiale a causa dell’esplosione di una granata5, lo indusse ad avvicinarsi alla fede e a Dio, così tanto da divenire un teologo. Nel 1933, non molto dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler, Bonhoeffer tenne una conferenza dai microfoni della Berliner Funkstunde – una stazione radio tedesca – riguardo la sua idea di Führer, dove dichiarava che se un capo permette al seguace che questi faccia di lui il suo idolo, allora la figura del capo si trasforma in quella di corruttore, la sua funzione divinizzata schernisce Dio. 3 Sigla di Geheime Staatspolizei («Polizia segreta di Stato»). Fondata da H. Goering (1933), inquadrata (1936) nell’Ufficio supremo per la sicurezza del Reich, controllata dalle SS ed estesa nel 1943 anche ai territori occupati dalla Germania, fu uno dei più spietati apparati repressivi del Terzo Reich hitleriano. 4 Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler – Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Mondadori, 2013, p.1, e-book. 5 “Walter Bonhoeffer (1899 – 1918) fu il secondo degli otto figli di Karl e Paula Bonhoeffer. Morì trafitto dalle schegge di una granata”, in Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler – Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, cit., p.33. Dopo l’emanazione delle leggi hitleriane del marzo 1933, dove vennero revocati diversi diritti (quali della manifestazione del proprio pensiero, della libertà di stampa e del segreto postale) e venne approvato il Decreto dei pieni poteri6, furono legalizzati sequestri e perquisizioni. La Chiesa restò immobile di fronte a tutto questo. Nel momento in cui venne varata la legge sui non ariani e molti ebrei furono estromessi dai pubblici uffici in cui lavoravano, il teologo fu uno dei primi a trattarne il tema e tenne una conferenza, nell’aprile del 1933: “La Chiesa di fronte al problema degli ebrei”7, in cui affermava che, sì, lo Stato ha il diritto di decidere dal punto di vista legislativo, ma che la Chiesa deve responsabilizzare lo Stato, interrogandolo circa la legittimità del suo agire. Bonhoeffer sosteneva che se la Chiesa vede che lo Stato eccede, essa è nella condizione “non solo di fasciare le vittime che sono finite in mezzo agli ingranaggi della ruota, ma di arrestare gli ingranaggi stessi.” 8 Bonhoeffer aderì, nel 1933, alla Chiesa Confessante9, in quanto questa – contrariamente alla Chiesa Protestante – non fu collaborazionista con il partito nazionalsocialista. Si impegnò nella resistenza antinazista fino a partecipare all’organizzazione di un attentato contro Hitler del gruppo di Oster, Donhanyi, Müller, entrati a contatto con l’ammiraglio Wilhelm Canaris. Il putsch del 20 Luglio 194410, attuato dal colonnello Stauffenberg11 e progettato da Ludwig Beck - capo di Stato Maggiore della Wehrmacht -, ebbe luogo nel quartier generale del Führer. Lo scopo era quello di assassinare Adolf Hitler e successivamente attuare un colpo di Stato. L’esplosione dell’ordigno uccise tre ufficiali e uno stenografo, mentre Hitler riportò ferite più o meno lievi. Il fallimento del conseguente colpo di Stato portò all’arresto da parte della Gestapo e delle SS12 di circa 5.000 persone, molte delle quali furono deportate nei lager e giustiziate. Tra queste, vi era anche Dietrich Bonhoeffer. Il suo arresto avvenne nel 1943. Fu rinchiuso nel 6 “Con la legge dei pieni poteri per la difesa del popolo e dello Stato vennero sospesi i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e istituiti i campi di concentramento.”, in Identità del male, la costruzione della violenza perfetta, a cura di A. Burgio e A. Zamperini, Editore Franco Angeli, 2013, pag. 109. 7 Il bene e il male dopo Auschwitz. Implicazioni etico-teologiche per l’oggi, a cura di O. Cavallo ed L. Thorson, Paoline Editoriale Libri, 1998, pag. 16. 8 Eric Metaxas, Bonhoeffer: La vita del teologo che sfidò Hitler, Editoriale Fazi, 2012, traduzione a cura di P. Meneghelli. 9 La Chiesa Confessante fu un movimento di opposizione sorto nell’ambito della Chiesa Evangelica tedesca contro il tentativo del regime nazista di allineare la Chiesa e l’istruzione al nazionalsocialismo. 10 L’attentato del 20 luglio 1944 fu il tentativo attuato da alcuni politici e militari della Wehrmacht di assassinare Adolf Hitler e venne attuato a Rastenburg, nella Prussia Orientale. 11 Claus Schenk von Stauffenberg fu un ufficiale tedesco, noto per aver preso parte alla pianificazione e attuazione dell’attentato ad Adolf Hitler. Nota la sua citazione: “Dobbiamo dimostrare al mondo che non tutti eravamo come lui.” 12 Le Schutzstaffel, comunemente abbreviate in SS, erano un’organizzazione paramilitare del partito nazista. carcere militare di Tegel, a Berlino. Solo successivamente alla scoperta della sua partecipazione attiva al putsch venne deportato a Flossembürg, dove venne giustiziato. Nel 1945, la Chiesa Confessante, a Stoccarda, offrì la famosa ammissione di colpa: “La Chiesa […] è rimasta muta dove avrebbe dovuto gridare, poiché il sangue degli innocenti gridava al cielo… essa è rimasta a guardare quando sotto la copertura del nome di Cristo si sono compiute violenze ed ingiustizie… la Chiesa confessa di aver assistito all’uso arbitrario della forza brutale, alle sofferenze fisiche e spirituali di innumerevoli innocenti, all’oppressione, all’odio, all’assassinio, senza levare la propria voce in loro favore, senza aver trovato vie per correre in loro aiuto. Essa si è resa colpevole della vita dei fratelli più deboli e indifesi di Gesù Cristo (gli ebrei) … Lo confessa… non ha rinfacciato al calunniatore la sua ingiustizia e ha abbandonato il calunniato al suo destino.” 13 Tra le opere del teologo, tutte pubblicate dopo la sua morte, ricordiamo: Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere14– corrispondenza di missive con l’amico E. Bethge, inviate dal carcere di Tegel, a Berlino; Etica15 – libro in cui egli tenta di conciliare religione e mondo; Vita comune16 – Bonhoeffer descrive come formare una comunità che abbia al centro la parola; Sequela – un testo militante contro l’ingiustizia al nazionalsocialismo.17 2. Le riflessioni che ispirarono la filosofia di Bonhoeffer Dietrich Bonhoeffer rappresenta un nome alquanto noto nel panorama teologico e filosofico contemporaneo. Il tentativo di conciliare fede e mondo – cercando di “adattare” la parola di Dio ai bisogni del presente – è alla base della filosofia-religiosa della generazione cresciuta con il Concilio Vaticano II. La riflessione di Bonhoeffer si sviluppa a partire da tre i temi tratti dal pensiero filosofico: a) Il tema kantiano, basato sulla considerazione che “l’umanità è diventata maggiorenne”. È proprio a partire da questa frase che Immanuel Kant18 afferma un vero e proprio cambiamento storico e antropologico del mondo, che è diventato “adulto” e che non accetta più l’autorità di nessuno, assumendosi la responsabilità della propria esistenza, contrariamente 13 Mario Di Stefano, Fede Laica, Editoriale youcanprint, 2014, pag.281. Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo Edizioni, traduzione a cura di A. Gallas, 1996. 15 Dietrich Bonhoeffer, Etica, Queriniana Editrice, traduzione a cura di A. Gallas, 2010. 16 Dietrich Bonhoeffer, Vita comune, Queriniana Editrice, traduzione a cura di A. Gallas, 2005. 17 Dietrich Bonhoeffer, Sequela , Queriniana Editrice, traduzione a cura di A. Gallas, 2005. 18 I. Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, UTET, Torino, 1963.. 14 all’uomo “minorenne” medievale, che ha bisogno di una guida, riconosciuta nell’autorità che esiste al di sopra di lui. L’umanità maggiorenne è l’espressione di un mondo che perviene alla conoscenza di sé, in cui l’uomo può cavarsela da solo, senza l’aiuto di un Dio trascendente, essendo dunque “artefice del proprio destino”. L’uomo è dunque obbligato a costruire il proprio essere, ed è libero di farlo nella maniera che più egli ritiene opportuna, senza l’ausilio di Dio. Ed è proprio a partire da questa prospettiva che il poeta francese Prévert immagina un Dio che lascia il centro della scena all’uomo, liberandolo dalla propria deresponsabilizzante presenza: “E Dio Sorprendendo Adamo ed Eva Disse loro Continuate ve ne prego Non disturbatevi di me Fate come se io non esistessi.” b) L’affermazione di Friedrich Nietzsche19 “Dio è morto”, che non è da intendersi con l’accezione di significato “Dio è fisicamente morto”, bensì come un modo per denunciare che l’idea di Dio non è più un codice morale per gli uomini. Se, da una parte, questa frase suona come una vera e propria dichiarazione di ateismo e autosufficienza dell’uomo, dall’altra indica uno degli eventi centrali della stessa fede cristiana. Non si nega la divinità, ma vengono rifiutate le rappresentazioni tradizionali di Dio, l’idea di un Dio “troppo umano” e poco credibile. La “morte” di Dio rende possibile il “diventare maggiorenne” dell’uomo, che di fronte all’assenza di Dio, smette di rifugiarsi nei valori ultramondani, nella trascendenza. c) Il terzo tema è l’idea di Kierkegaard20 che la religione, in quanto fede, è “scandalo, paradosso, scacco della ragione”. Secondo Kierkegaard, Dio non è altro che trascendenza inattingibile ed è infinita la differenza qualitativa tra ciò che è finito e ciò che è infinito. Dinanzi a queste diverse tesi, i diversi teologi decidono o di prendere congedo dal Cristianesimo, ritenendolo antimoderno, o di prendere congedo dalla modernità, ritenendola anticristiana. Con il termine “religione”, il teologo tedesco allude a una prospettiva metafisica 19 Friedrich Wilhelm Nietzsche è stato filosofo, poeta, compositore e filologo tedesco. Tra i massimi filosofi e prosatori di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza indiscutibile sul pensiero filosofico, letterario, politico e scientifico del Novecento. 20 Søren Aabye Kierkegaard fu un filosofo, teologo e scrittore danese, il cui pensiero è da alcuni studiosi considerato punto di avvio dell'esistenzialismo. di Dio, un Dio trascendente che depotenzia l’uomo, e soggettivistica, l’uomo vive la fede come un’egoistica ricerca della salvezza. 3. Essere cristiani ed essere contemporanei (rapporto religione–mondo) La teologia moderna deve fare i conti con l’ateismo di massa, diffusosi nel Novecento. I teologi hanno a che fare con un nuovo tipo di società: una società secolarizzata, nella quale sono presenti costumi e valori che pare siano lontani da tutto ciò che rappresenta Dio e il sacro; in un mondo “non più cristiano”, risulta dunque impossibile riprodurre le vecchie rappresentazioni di Dio. Parte, forse, proprio da qui l’idea di proporre un “Dio oltre la religione”. Bonhoeffer più di ogni altro teologo del suo tempo ha saputo capire che l'epoca della conoscenza, della mediazione, della riflessione, andava estinguendosi, ed è giunto in Resistenza e Resa ad una formulazione capace di affrontare con successo le difficoltà del mondo contemporaneo. La proposta teologica di Bonhoeffer ruota intorno a due nozioni principali: quella del “Dio oltre la religione” (cristianesimo a-religioso) e quella dell’umanità diventata maggiorenne. Ergo, per il giovane teologo luterano, è necessario essere al tempo stesso cristiani e contemporanei. Bonhoeffer, partendo da questo punto, riflette molto sul rapporto tra fede e azione, come possiamo notare in Resistenza e Resa. “La Chiesa deve uscire dalla sua stagnazione. Dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spirituale col mondo. Dobbiamo rischiare di dire cose anche contestabili, se ciò permette di sollevare questioni di importanza vitale.”21 Si ha dunque l’esigenza di conciliare fede in Dio e fedeltà al mondo, l’essere cristiani e l’essere “contemporanei” – cioè capaci di rispondere alle esigenze del presente, cercando “l’incontro tra fede e mondo”, e tutto questo deve essere fatto tramite il rapporto diretto tra fede e azione. Detto ciò, è necessario, trovando dei “linguaggi” che ci riportino a Dio (indipendentemente dal fatto che siano di impegno politico, economico, civile ecc.), superare qualsiasi separazione tra realtà divina e realtà umana, in quanto “il cristianesimo nasce proprio dall’incontro con un uomo concreto: Gesù.” 21 Lettera del 3 Agosto 1944, in D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit. Contrariamente al pensiero di Kierkegaard, secondo cui è impossibile pensare ad un Dio che non sia trascendente, Bonhoeffer afferma: “Dio in Cristo ha amato il mondo e l’ha riconciliato con sé: è questo il messaggio centrale del Nuovo Testamento.” 22 Dio si avvicina all’uomo, un uomo che Egli vuole responsabile e autonomo, incarnandosi in Cristo stesso e a questo punto “non esiste più l’uomo in sé come non esiste più Dio in sé, sono entrambe astrazioni vuote.”23 È proprio l’incarnazione di Dio in Cristo a rappresentare la “morte del Dio metafisico” – ricollegandosi a Nietzsche – ovvero di quel Dio concepito unicamente come ente supremo ed è contemporaneamente la rappresentazione di un Dio che si incarna nell’umanità, abbandonando dunque la propria trascendenza e non venendo dunque visto come il “totalmente Altro”. Se per Karl Barth (1886-1968) è impensabile qualsiasi rapporto tra umano è divino, Bonhoeffer sottolinea come Dio si avvicini all’uomo e come, facendo ciò, cerchi negli umani l’etica della responsabilità su cui si basa il Cristianesimo, l’etica dell’“esserci per il mondo”24. L’etica bonhoefferiana non si basa sul concetto astratto del bene, ma su quel bene reale, che caratterizza la storia degli uomini e che nasce proprio dalla necessità di “essere contemporanei”. Teologia e azione sono, dunque, entrate in un nuovo rapporto. La fede cristiana, infatti, non è altro che la fedeltà del cristiano alla terra. Nelle lettere dal carcere, traspare proprio la volontà di reinterpretare il Cristianesimo e di adattare il messaggio biblico alle necessità del presente, quelle di un mondo oramai diventato maggiorenne. La morte di Dietrich Bonhoeffer fu proprio la conseguenza di un’interpretazione della fede come un impegno concreto all’interno della storia in cui si vive. Secondo il teologo, l’amore per Dio è inscindibile dall’amore che si prova per il mondo: l’incompatibilità tra il dettato evangelico e la politica nazionalsocialista rese inevitabile la sua resistenza al nazismo fino alla morte. 4. L’ “etsi Deus non daretur” e il “Dio tappabuchi” Nella lettera del 18 Luglio 1944 all’amico E. Bethge, il giovane teologo afferma: "Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo etsi Deus non daretur - come se Dio non ci fosse. [...] Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento. Con il 22 D. Bonhoeffer, Etica, cit., p. 171. Ibidem, p. 235. 24 Ibidem, p. 33. 23 nostro diventare adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15,34’)! [...] La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si può dire che la descritta evoluzione di Dio verso la maggior età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apra lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza. " 25 In un mondo diventato maggiorenne, è dunque necessario vivere “come se Dio non ci fosse”; è infatti vero che, dice Bonhoeffer stesso, Dio viene spinto sempre più fuori da un mondo ormai diventato adulto.26 Un buon cristiano, secondo l’etica bonhoefferiana, deve saper amare la vita (e, quindi, il mondo) e deve saper badare a se stesso. Il far sì che l’umanità diventi maggiorenne (Kant) e che impari a badare dunque a se stessa è proprio di quel cristianesimo autentico di cui ci parla Bonhoeffer. Nel mondo adulto in cui ci si trova, non vi è più posto per il deus ex machina utilizzato al fine di alleviare le paure degli uomini, ergo l’uomo deve responsabilizzarsi, rendendosi conto delle proprie azioni e programmando così il proprio destino. Nel cristianesimo autentico si deve vivere come se Dio non ci fosse, portando tuttavia Dio sempre dentro di sé. “Gli uomini religiosi parlano di Dio quando le conoscenze umane si urtano contro i loro limiti o quando le forze umane fanno difetto - è sempre in fondo un deus ex machina che essi fanno apparire, o per risolvere in maniera apparente dei problemi insolubili, o per farlo intervenire come la forza capace di soccorrere l’impotenza umana; in breve sfruttano in ogni caso la fragilità e i limiti dell’uomo.”27 Nel cristianesimo autentico, perciò, Dio certamente non è da essere inteso come un deus ex machina, ma nemmeno come “Dio surrogato di un vuoto.” Secondo Bonhoeffer, infatti, non vi è nulla di cristiano nel ridurre la fede ad anestetico, utilizzando Dio come “tappabuchi dei nostri vuoti di conoscenza”28. Ci si ricorda di Dio nel momento del bisogno, davanti a dei tragici vuoti e all’incapacità di badare a se stessi. Solo quando ci si accorge di essere in difficoltà, dinanzi all’incapacità di 25 Lettera del 18 luglio 1944, in D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit. Lettera dell’8 giugno 1944, in D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit. 27 Lettera del 30 aprile 1944, in D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit. 28 Lettera del 29 maggio 1944, in D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit. 26 affrontare determinati momenti della propria vita, ci si rivolge a Dio, pretendendo persino un suo aiuto: non vi è nulla di più sbagliato. La strada che conduce a Dio, non è una strada da prendere solamente nei momenti in cui si sente il bisogno di essere aiutati: l’umanità maggiorenne implica la capacità degli uomini di riuscire ad affrontare le difficoltà, indipendentemente da Dio. Dio è sinonimo di amore per il prossimo, non è sinonimo di “ausilio” nei momenti più tragici della nostra vita. Sono tre le forme inautentiche di conoscenza di Dio: la concezione di un Dio onnipotente (che esiste solo nell’aldilà), quella di un Dio tappabuchi (creato allo scopo di colmare i buchi della nostra ignoranza) e quella del Dio scappatoia, a cui si ricorre nei momenti critici della vita. A proposito di ciò, Bonhoeffer scrive: “Dio non realizza tutti i suoi desideri, ma tutte le sue promesse, cioè egli rimane il signore della Terra, conserva la sua Chiesa, ci dona sempre nuova fede, non ci impone mai pesi maggiori di quanto noi possiamo sopportare, ci rende lieti con la sua vicinanza e il suo aiuto, esaudisce le nostre preghiere e ci conduce a sé attraverso la via migliore e più dritta.”29 Bisogna obbligatoriamente abbandonare l’idea di un Dio “tappabuchi” che, ugualmente al deus ex machina, serve solo a sopperire interrogativi degli uomini, e per farlo si ha bisogno di un cristianesimo a-religioso, in quanto la religione si allontana, “fugge” dal mondo. Bisogna abbandonare anche l’idea della religione come unica via d’accesso a Dio, non abbandonando però la fede. Un uomo che ha fede, non necessita della religione per avvicinarsi a Dio, poiché egli vive con Dio; e avere fede non significa altro che essere chiamati alla vita e diventare quindi “contemporanei”, vale a dire, cristiani attivi nella vita di tutti i giorni. Bonhoeffer ci invita a diventare umani per diventare cristiani, e in riferimento a ciò fa una distinzione radicale tra religione e fede, in quanto: la religione fa leva sulla debolezza dell’uomo facendolo avvicinare a Dio, la fede chiama invece l’uomo alla vita, poiché Gesù Cristo stesso ci ha chiamati alla vita, senza l’intento di formare alcuna religione. Il primo interesse per il cristianesimo non deve essere tanto l’esercitare la fede, ma deve essere il salvaguardare la vita e la giustizia: il cristiano non presta, infatti, fede a una realtà ultraterrena a cui aspirare, bensì si dimostra fedele alla terra. L’idea che Bonhoeffer stesso ci propone è quella di pensare l’Evangelo come un messaggio dell’immersione di Dio in questo mondo. L’Evangelo rappresenta, infatti, l’unificazione di Dio nel mondo tramite Gesù Cristo, per cui non si può cercare Dio cercando di evadere dalla realtà, ma lo si può trovare esclusivamente in essa. 29 Lettera dell’11 agosto 1944, in. D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit. “Dobbiamo amare e trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo e ringraziarlo nella nostra felicità terrena.”30 Non è Dio ad essere morto, ma la sua presenza tra gli uomini, culminata nella sua impotenza e nella sua crocifissione. Eppure, è proprio l'assenza di Dio che stimola gli uomini a crescere, a farsi adulti. In un certo senso, Egli vuol vedere come sapranno cavarsela senza la Sua presenza. Di fronte alla sfida del male, tutti i principi etici e razionali rivelano la propria impotenza: l'unica possibilità di resistenza sta nella fede. Non bisogna pensare che Dio abbia abbandonato l'uomo a se stesso: egli vuole favorirne la crescita, rispettando sino in fondo la sua libertà. In altri termini, il cristianesimo a-religioso del teologo luterano, chiama tutti gli uomini a impegnarsi nel mondo nei confronti del prossimo. Per seguire l’esempio di Cristo, gli uomini hanno perciò il diritto e il dovere di assumere fino in fondo la loro umanità: Ognuno alberga in se stesso Dio e il mondo intero. È dunque necessario “vivere davanti a Dio e con Dio, senza l’ipotesi di Dio.”31 30 31 Citato da Ermes Ronchi in Le ragioni della speranza, Rai Uno, 17 gennaio 2010. Lettera del 16 luglio 1944, in D. Bonhoeffer , Resistenza e Resa, cit. Bibliografia • Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler – Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer, Mondadori, 2013. • Identità del male, la costruzione della violenza perfetta, a cura di A. Burgio e A. Zamperini, Editore Franco Angeli, 2013. • Il bene e il male dopo Auschwitz. Implicazioni etico-teologiche per l’oggi, a cura di O. Cavallo ed L. Thorson, Paoline Editoriale Libri, 1998. • Eric Metaxas, Bonhoeffer: La vita del teologo che sfidò Hitler, Editoriale Fazi, 2012, traduzione a cura di P. Meneghelli. • Mario Di Stefano, Fede Laica, Editoriale youcanprint, 2014 • Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, San Paolo Edizioni, traduzione a cura di A. Gallas, 1996. • Dietrich Bonhoeffer, Etica, Queriniana Editrice, traduzione a cura di A. Gallas, 2010. • Dietrich Bonhoeffer, Vita comune, Queriniana Editrice, traduzione a cura di A. Gallas, 2005. • Dietrich Bonhoeffer, Sequela, Queriniana Editrice, traduzione a cura di A. Gallas, 2005. D. Bonhoeffer Libertà e sofferenza nella polifonia della vita Ionica Cristea Classe 4 B 1. Il cristianesimo a-religioso del mondo adulto “Come annunciare Dio ad un mondo divenuto adulto?” Questa domanda ha attraversato il Novecento ed ha trovato una delle risposte più interessanti nella riflessione teologica di Bonhoeffer32, che si incentra su due nozioni innovative e suggestive: quella di un “mondo divenuto adulto” e quella di un “cristianesimo a-religioso”. Per quanto riguarda la prima, la condizione del mondo adulto è stata indotta da un lungo processo di secolarizzazione33. Questo processo allontana l’uomo da Dio, senza, peraltro, sollecitarlo a ricercare nuovi “credo”. Il mondo va, quindi, da una dimensione religiosa ad una dimensione che pone al centro l’uomo della ragion pura e della ragion pratica, come direbbe Kant, nella veste di unico soggetto in grado di assumere la responsabilità della propria esistenza e del corso della storia. Sarebbe, tuttavia, sbagliato pensare che prima del XIX secolo la società fosse stata intrisa di un’essenza religiosa, che, successivamente, si sarebbe persa del tutto. Pensare una cosa del genere significherebbe, infatti, confondere il declino della religione, dovuto all’impatto con le idee secolari, con le esigenze di un mondo che ha perso l’inclinazione a cercare la propria identità in formule “spirituali”. 32 Nel 1939 il giovane pastore luterano Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) inizia la stesura della sua opera principale, Etica (pubblicata postuma nel 1949), e contemporaneamente si impegna con forza nella resistenza antinazista, fino a partecipare all’organizzazione di un attentato contro Hitler. Il 5 aprile 1943 viene arrestato dalla Gestapo e rinchiuso nel carcere di Tegel, a Berlino, dove per quasi due anni tiene un’appassionata corrispondenza con la fidanzata, i genitori e l’amico Eberhard Bethge, il quale pubblicherà le sue lettere in un’opera postuma intitolata Resistenza e resa. Il 9 aprile 1945, nel campo di concentramento di Flossemburg, Bonhoeffer viene giustiziato dai nazisti con l’accusa di alto tradimento. 33 Il termine deriva da saeculum, “mondo presente”, in opposizione al mondo futuro e celeste; viene usato tra il XVI e il XVII secolo nell’ambito del diritto canonico, per indicare la riduzione allo stato laico di un religioso o l’espropriazione illegittima dei beni ecclesiastici da parte di istituzioni laiche e statali. Evocando, in generale, la questione del passaggio dal sacro al profano e dell’incontro tra religione e potere, cristianesimo e mondo, il termine è stato successivamente utilizzato, in ambito sociologico e storico, per indagare il processo di formazione del mondo moderno. La società religiosa medievale era caratterizzata da una concezione verticale della vita, basata sulla visione periferica dell’uomo, privo di strumenti razionali idonei a spiegare l’origine del mondo. Di conseguenza, si imponeva la necessità di un approdo ad un Dio infinito ed eterno. Nell’età dei lumi, l’uso della ragione avrebbe reso l’uomo capace di spiegare tutta la realtà mediante le leggi della fisica, basate su un metodo del tutto logico ed empirico. L’individuo diventa, così, capace di abbandonare lo stato di minorità34, in cui, secondo gli illuministi, lo aveva immerso l’oscurantismo medievale e si assume il compito di ricercare la verità sfruttando il proprio intelletto. La religione, così come il mistero, diventa, conseguentemente, una superstizione che manipola le coscienze. Nella riflessione di Bonhoeffer c’è il tentativo di rivelare una terza via, che non sia né il “cristianesimo anti-moderno” né la “modernità anti-cristiana”, ma una via che si presenti come il frutto maturo dell’incontro polemico mondo-fede. Bonhoeffer non avverte, quindi, tempi di declino religioso, bensì il mutamento della percezione religiosa degli uomini, diventati non necessariamente meno religiosi, ma piuttosto, “diversamente” religiosi. Nasce da qui il bisogno di approdare ad un cristianesimo senza religione seconda nozione di base della riflessione teologica in esame - in cui l’individuo non goda della presenza diretta di un Dio tutore e tappabuchi dei vuoti di conoscenza e la religione sia tutt’altro che anestetico per nevrosi e tensione, un cristianesimo libero e responsabile che scorga nel silenzio la presenza di Dio e, soprattutto, l’opportunità per la responsabile azione dell’uomo.35 34 I. Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, UTET, Torino, 1963. 35 D. Bonhoeffer, Lettera dell’8 giugno 1944, in Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, San Paolo Edizioni, traduzione a cura di A. Gallas, Milano,1992, pp.350-51. 2. La Germania nazista La Germania, ai tempi in cui Bonhoeffer propone la sua riflessione teologica, vede affermarsi un’esperienza storica, il totalitarismo nazista, che ha influenzato enormemente la società del Novecento. L’effetto principale che il sistema totalitario ha sul cittadino, allo scopo di trasformarlo in un nazista convinto oppure in un comunista convinto - a seconda che si tratti della Germania nazista o dell’ex Unione Sovietica comunista - consiste nell’assottigliare, fino a rendere indistinguibile, il confine che separa la realtà vera e propria dalla realtà fittizia, costruita secondo il nuovo ordine. Così, perso ogni riferimento reale con il proprio tempo e, conseguentemente, ogni legame familiare o sociale, si può parlare di una metamorfosi del cittadino, parte attiva e interessata alla vita politica a semplice parte di una società atomizzata. Una mossa strategica nel processo di affermazione e consolidamento dei sistemi totalitari è, appunto, la massificazione della società, ridotta ad un insieme di individui, di atomi privi di legami reciproci e la coincidenza degli interessi dello Stato con quelli egoistici di chi sta alla guida, senza tener conto dell’opinione pubblica e senza, minimamente, tendere al bene comune. 36 Le armi che il totalitarismo utilizza sono la propaganda e l’indottrinamento ideologico. Quest’ultimo, oltre a incutere terrore attraverso una vera e propria guerra psicologica, serve a riempire quel vuoto che il cittadino avverte dopo aver perso la propria identità politica e le relazioni interpersonali. L’indottrinamento ideologico rende possibile, precisamente, la costruzione di una “nuova” storia che si sostituisce alla storia “vera”, che priva l’individuo della possibilità di accedere al proprio passato. Un’umanità che dimentica il proprio passato non può conoscere e, ancora meno, controllare il proprio presente. Infatti, “abolito” il passato, il pensiero e il cuore continuano a ruotare nel vuoto e, paradossalmente, con il passato scompare anche 36 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2009, pag. 439. il futuro. L’uomo contemporaneo pedala invano, in un presente continuo, senza capire che vivere solo in una dimensione temporale - anch’essa distorta - significa la morte lenta, ma sicura, dell’identità. George Orwell faceva dire a uno dei suoi personaggi: “Milioni di altri come me hanno la sensazione che il mondo abbia sbagliato strada. Sentono che tutto crolla e scricchiola sotto i piedi.”37 Un’immagine, quella del terreno tanto insicuro sotto i piedi, che incontriamo spesso negli scritti di Bonhoeffer e che fa riferimento a quell’idea del venir meno di un fondamento solido, tipica della coscienza della crisi. 3. La memoria storica tra filosofia e teologia “Storia maestra di vita”, dunque, nel tentativo di mettere in pratica la definizione che gli antichi avevano attribuito alla storia, la società si trova imprigionata in un paradosso: da un lato, il desiderio di dimenticare ciò che è stato; dall’altro, la spinta al ricordo e a trovare una continuità con ciò che è avvenuto. Questi due poli opposti del paradosso sono rappresentati rispettivamente da Nietzsche e Hegel. Il primo filosofo associa lo stato di infelicità degli uomini al pesante fardello del passato, che riduce l’esistenza ad un ininterrotto “essere stato”. Nietzsche afferma che “ciò che non è storico e ciò che è storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civiltà”.38 L’oblio diventa per Nietzsche necessario alla vita e la possibilità di dimenticare il passato funzionale al presente. La storia basata sulla memoria storica deve essere utile alla vita, però rischia di paralizzarla e incatenare l’uomo al passato, offrendogli semplicemente un’arida “istruzione senza vivificazione”. Il filosofo 37 38 G. Orwell, Una boccata d’aria, Mondadori, Milano, 1966, p. 34. F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi, Milano, 1974, pp. 9-10. tedesco scrive: “Solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l’uomo diventa uomo.”39 Nietzsche rivendica la necessità di usare una prospettiva “antistorica”, termine con cui allude all’“arte di poter dimenticare”, e “sovrastorica”, che consiste nella potenza di togliere lo sguardo dal divenire, concentrando l’attenzione su ciò che dà all’esistenza il carattere dell’eterno e dell’immutabile. Del tutto opposta è la concezione della storia e del passato maturata da Hegel, il quale fa coincidere la storia con la stessa realtà. La filosofia, strettamente legata alla storia, deve volgersi al passato, per capire il presente. C’è, quindi, in Hegel, uno stretto legame tra le due dimensioni temporali (presente e passato), connesse dalla necessità dialettica che determina il divenire storico. In contrapposizione a quella nietzscheana, la concezione hegeliana della storia si presenta essenzialmente ottimista: la realtà è un processo che trasforma la storia nella rappresentazione del processo razionale, assoluto, dello Spirito nelle sue forme più alte. Il processo storico è l’attuarsi della libertà della Ragione, attraverso l’umanità. Aver riconosciuto, con profonda onestà, l’importanza della storia per la teologia, della storia concreta, perfino delle vicende politiche in alcuni casi estremi, è uno dei grandi meriti del teologo protestante. La sofferenza non costituisce per Bonhoeffer un ostacolo alla vita e alla fede, ma è proprio nella sofferenza che egli individua il vero cristianesimo, che trascende la dottrina teologica, diventando ars vivendi. Attraverso la teologia della croce egli attribuisce la salvezza alla croce di Cristo, unica in grado di rivelare all’umanità il vero volto di Dio: un Dio che non salva l’uomo con una potenza mondana, ma lo fa in virtù della sofferenza e dell’umiliazione della morte ignominiosa del crocifisso. 39 Ibidem, p. 267. 4. La libertà in Cristo La teologia di Bonhoeffer è stata considerata, una vera e propria teologia del carcere, in cui l’esperienza dura della reclusione, la solitudine, il silenzio e la sofferenza contribuiscono a creare una tensione spirituale densissima e feconda. Ciò che spinge Bonhoeffer a teorizzare la propria riflessione è l’impulso a ricercare una spiegazione di tipo morale all’umiliazione e alla morte oppure, in assenza di questa, a trovare riparo nella fede in Dio, la sola in grado di trasformare la sofferenza in speranza. Sulla base della solitudine e della sofferenza, la stessa distinzione tra etica e fede era stata proposta, un secolo prima, dal filosofo danese Søren Kierkegaard40, il quale presenta l’abisso che separa etica e fede ricorrendo al confronto allegorico tra la figura dell’eroe tragico Agamennone e quella del cavaliere della fede, Abramo. Se il primo viene presentato dalla mitologia in quanto pronto a sacrificare la figlia Ifigenia allo scopo di placare l’ira della dea Artemide e di salvare, così, il suo popolo, il secondo viene usato come emblema dell’uomo di fede che, a differenza dell’uomo etico, è condannato ad una solitudine e ad un silenzio spaventosi. Tant’è vero che l’ordine che Abramo riceve da Dio, ovvero quello di uccidere suo figlio Isacco, è in contrasto con la ragione, ma anche con le convinzioni della società; per cui Abramo è posto dinanzi ad un’alternativa radicale e, senza alcuna garanzie o esitazione, egli si trova a dover scegliere tra due opposti inconciliabili: obbedire oppure no al comando di Dio? 40 Nato il 5 maggio 1813 a Copenaghen, Søren Aabye Kierkegaard, è educato con severità morale e rigore religioso. Søren si convince del tragico destino della famiglia (data la morte prematura della madre e di cinque dei suoi sei fratelli) e attribuisce tale destino ad una oscura colpa del padre; per questo motivo egli cresce con l’incubo del peccato, che lo porterà a rompere il fidanzamento con Regina Olsen e ad avere una concezione negativa della vita. Nel Diario di un seduttore, Kierkegaard afferma, infatti, che la scoperta di questa colpa paterna rappresentò per lui un “grande terremoto”. Nel 1843 pubblica Aut-aut e Timore e tremore e nel 1844 pubblica Il concetto dell’angoscia e le Briciole della filosofia. In conflitto con la chiesa ufficiale danese, accusata di essere mondana e di non seguire i comandamenti di Cristo, Kierkegaard muore nel 1855, rifiutando di ricevere i sacramenti. Questo esempio biblico serve a Kierkegaard per spiegare il “salto della fede”, la quale va oltre l’etica, va oltre il dovere morale. La fede diventa, quindi, paradosso e scandalo: paradosso perché si presenta contraria all’opinione del mondo e all’etica umana; scandalo, perché Dio non è tranquillizzante, non dà la pace e la garanzia all’uomo, ma lo inquieta, lo mette davanti ad un bivio che rende ancora più profondo l’abisso tra fede e ragione. L’angoscia scaturita nell’uomo dal silenzio di Dio nel momento in cui il primo è portato a scegliere, viene resa implacabile dal sentimento del possibile generato dalla libertà dell’uomo. Jean Paul Sartre, affermerà che l’uomo è condannato ad essere libero. La libertà dell’uomo si identifica, con la sua esistenza, per cui essere uomo ed essere libero diventano la stessa cosa. Tale condizione di libertà diventa angosciante per l’uomo, in quanto egli non può non scegliere ed è responsabile della propria essenza e di quella del mondo. Sartre considera il “silenzio di Dio” come fonte della responsabilità dell’uomo: “è molto scomodo che Dio non esista, poiché con Dio svanisce ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile; non può esserci un bene a priori poiché non c’è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo”. Tuttavia, l’uomo contemporaneo non è diventato ateo, il problema, resta immutato: il silenzio del trascendente, congiunto al perdurare, dell’esigenza religiosa. 41 41 J.P. Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1990, p.40. A questa esigenza religiosa, Bonhoeffer ha tentato di dare una risposta, sottolineando il rapporto di interdipendenza tra libertà e azione: “Fare e osare, non una cosa qualsiasi ma il giusto; non ondeggiare nelle possibilità, ma afferrare coraggiosamente il reale; non nella fuga dei pensieri, solo nell’azione è la libertà. Lascia il pavido esitare e gettati nella tempesta degli eventi. Sostenuto solo dal comandamento di Dio e dalla tua fede, e la libertà accoglierà giubilando il tuo spirito.”42 La libertà diventa, quindi, il motore dell’agire. Soltanto prendendo parte attiva alla realtà circostante, solo contribuendo, attraverso scelte e decisioni, alla storia del proprio tempo, l’uomo realizza pienamente la propria libertà. La forza e il coraggio necessari per scegliere la giustizia, la verità e per accettare la realtà si possono trovare soltanto nella fiducia in Dio. Cercare nella fede la sorgente dell’ agire non significa fare un “uso” errato della religione, riducendola a una stampella, ma prendere la decisione giusta, lasciandosi guidare dalla consapevolezza che Dio sostiene l’uomo nelle sue scelte. Nei versi citati, la fede in Dio fornisce all’uomo la speranza, indispensabile per accettare di portare avanti la propria “croce”. La vita stessa di Dietrich Bonhoeffer si identifica con il sacrificio nel nome della fede cristiana; la sua voce, immersa nella storia, risuona come testimonianza che oltrepassa i confini della confessione religiosa e si fa universale. 42 D. Bonhoeffer, Stazioni sulla via della libertà, in Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, cit., p.448. Bibliografia • Arendt H., Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2009. • Bonhoeffer D., Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, San Paolo Edizioni, traduzione a cura di A. Gallas, Milano,1992. • Kant I., Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, UTET, Torino, 1963. • .Nietzsche F., Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi, Milano, 1974. • Orwell G., Una boccata d’aria, Mondadori, Milano, 1966. • Sartre J.P., L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1990. Dietrich Bonhoeffer Necessaria resistenza necessaria resa Malandrino Valeria Classe 4C Dietrich Bonhoeffer Uno dei più grandi teologi del periodo nazista fu Dietrich Bonhoeffer, nato il 4 Febbraio del 1906 in Polonia, da una famiglia appartenente all’alta borghesia. I suoi genitori erano molto stimati e ammirati, non solo per i loro rapporti lavorativi con l’amministrazione dello Stato, ma anche per la loro preparazione in ambito scolastico, difatti, la madre di Bonhoeffer era una delle pochissime donne tedesche laureate. Bonhoeffer decise di intraprendere gli studi di teologia andando contro il parere dei propri familiari, che reputavano questa scelta “anomala” poiché, pur appartenendo alla Chiesa luterana, si ritenevano scettici dal punto di vista religioso, convinti che la spiegazione dei fenomeni naturali, della vita e dei “perché” posti dai mortali fosse circoscritta all’interno della scienza e della cultura laica. Erano convinti che religione e scienza non potessero andare d’accordo, poiché una spiegava le proprie concezioni tramite il metodo deduttivo,cioè dal generale al particolare, e l’altra con quello induttivo, ovvero dal particolare al generale, con le rispettive tesi. Bonhoeffer studiò presso l’Università di Berlino, dove si laureò nel 1927 con una tesi relativa alla Chiesa, De Sanctorum Communio (La comunione dei Santi), frequentando assiduamente la parrocchia. Negli anni a seguire, il giovane Bonhoeffer decise di diventare un pastore, scelta che ancora una volta fece rimanere allibiti tutti i familiari, in particolar modo, il fratello maggiore che cercò di dissuaderlo. Mosso dall’amore per la teologia, il giovane Bonhoeffer decise di recarsi negli Stati Uniti, come ospite di un famoso ed illustre seminario. Questa esperienza fu per lui deludente, per il disinteresse manifestato dagli studenti statunitensi. Dal 1931 al 1933 insegnò a Berlino, coinvolgendo gli studenti non solo in ambito accademico ma anche in quello politico. L’avversità nei confronti del nazismo fu sempre più evidente; durante un’intervista radiofonica Bonhoeffer definì Hitler non come il Führer, ma come il Verfuhrer, ovvero il “seduttore”. A causa di tale affermazione, il programma venne interrotto. Il regime nazista giunse ad arrestarlo con l’accusa di cospirazione. Fu imprigionato nel carcere di Tegel e poi portato nel campo di concentramento di Flussemburg dove il 9 Aprile del 1945 sarà impiccato. Testimonianza dal carcere In Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere, si legge la testimonianza dell’ultimo periodo di vita di Bonhoeffer. L’opera raccoglie le lettere ed altri testi scritti da Bonhoeffer nel carcere berlinese di Tegel, dove fu detenuto dall’aprile ’43 all’ottobre ’44, per poi essere trasferito nel carcere sotterraneo della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse. Di lì i contatti furono molto difficili e rari, il 7 febbraio ’45 fu trasferito al campo di concentramento di Buchenwald, il 3 aprile fu a Regensburg, l’8 aprile passò da Schönberg a Flossenbürg, dove verrà giustiziato. Le lettere di Bonhoeffer si alternano a quelle inviatigli da parenti ed amici; suoi interlocutori sono i genitori, il nipote quattordicenne Christoph von Dohnanyi, il fratello Karl-Friedrich, l’amico fraterno e pastore egli stesso Eberhard Bethge (che diverrà il suo biografo) con sua moglie Renate, nipote di Bonhoeffer e qualche altro parente. Non vi sono le lettere alla fidanzata Maria von Wedermeyer con la quale Bonhoeffer progettava di sposarsi, rimaste a lungo inedite43. In carcere Bonhoeffer riesce a leggere, scrivere, riflettere, pregare, riceve pacchi dai familiari e lettere, sia ufficialmente, sia clandestinamente. La corrispondenza con Bethge, che contiene le più importanti riflessioni teologiche di Bonhoeffer, inizia il 18 novembre ’43 durante la prima licenza di Bethge, militare in Italia, a Berlino, ed è clandestina. D. Bonhoeffer, Lettere alla fidanzata-Cella 92.Dietrich Bonhoeffer-Maria von Wedermeyer 1943-45, Bologna, Queriniana,1994. 43 Il libro inizia con un prologo: si tratta di pagine offerte agli amici nel Natale ’42, nelle quali Bonhoeffer traccia un bilancio degli ultimi dieci anni. Alcune riflessioni appaiono già straordinariamente profonde ed interessanti, fin da subito l’Autore si delinea come persona che sa compromettersi, agire nella storia con coerenza, accettare anche il pericolo: “Attendere inattivi e restare ottusamente alla finestra non sono atteggiamenti cristiani”44. Vi è l’accettazione della sofferenza, solo se inevitabile, in piena libertà sulle orme di Cristo. Le lettere sono poi suddivise in quattro parti: periodo degli interrogatori, aprileluglio 1943; in attesa del processo, agosto 1943-aprile 1944; sopravvivere fino al colpo di stato, aprile-luglio 1944; dopo il fallimento, luglio 1944-febbraio 1945. Inframmezzati vi sono altri testi: il sermone scritto dal carcere per il matrimonio di E. Bethge con Renate, nozze celebrate lo stesso giorno del ventesimo anniversario di matrimonio di Ursel e Rüdiger Schleicher (sorella e cognato di Bonhoeffer, lui verrà giustiziato dai nazisti insieme a Klaus Bonhoeffer, fratello di Dietrich, il 23 aprile ’45), il sermone per il battesimo del primo figlio di Renate e Eberhard, pagine di appunti, poesie, minute di lettere di Bonhoeffer del giugnoagosto ’43 al consigliere capo del tribunale di guerra nell’intervallo tra gli interrogatori, un paio di brevi testamenti di Bonhoeffer scritti in occasione dell’intensificarsi dei bombardamenti su Berlino, un rapporto sul carcere dopo un anno di permanenza, un racconto, il progetto di uno studio in tre capitoli in cui avrebbe voluto esporre le proprie idee innovative che viene sviluppando nel carteggio con Bethge. Necessaria resistenza necessaria resa 44 D. Bonhoeffer, Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere, Edizioni San Paolo, Milano, 1988, p. 71. Nella lettera del 21 febbraio ’44, Bonhoeffer si chiede dove sia il confine tra la “necessaria resistenza” e l’altrettanto “necessaria resa” al «destino», assumendo ad emblema dell’una Don Chisciotte e dell’altra Sancho Panza. Ne deduce che il destino va affrontato e che ci si debba sottomettere ad esso. Il teologo sostiene che si possa parlare di «guida» solo al di là di questo duplice processo: Dio non ci incontra solo nel «tu», ma si «maschera» anche nell’«esso», ed il mio problema in sostanza è come in questo «esso» possiamo trovare il «tu» o, in altre parole,come dal «destino» nasca effettivamente la «guida»45. I limiti tra resistenza e resa non si possono determinare dunque sul piano dei principi; l’una e l’altra devono essere presenti e assunte con decisione. La fede esige l’agire mobile e vivo. Solo così possiamo affrontare e rendere feconda la situazione che di volta in volta ci si presenta”. La religione lavora molto sulla sola interiorità umana, sui limiti, invece per Bonhoeffer conta molto la liberazione della storia, la religione è legata all’apologetica, ai limiti umani, a un Dio depotenziatore dell’uomo, onnipotente, un Dio che il mondo, ormai indipendente, rifiuta sempre più. Che cosa proporre allora, se non si vuole eliminare totalmente Dio dall’orizzonte umano? Il discorso passa attraverso Gesù Cristo. “La speranza cristiana della resurrezione si distingue da quelle mitologiche per il fatto che essa rinvia gli uomini alla loro vita sulla terra in modo del tutto nuovo e ancora più forte che nell’Antico Testamento. Il cristiano non ha sempre un’ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà terrene nell’eterno, come chi crede nei miti della redenzione, ma deve assaporare fino in fondo la vita terrena come ha fatto Cristo («mio Dio, perché mi hai abbandonato?») e solo così facendo il crocifisso e risorto è con lui ed egli è crocifisso e risorto con Cristo. 45 D. Bonhoeffer, 21 febbraio 1944, Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere, cit., p. 289. L’aldiquà non deve essere soppresso prematuramente. Cristo afferra l’uomo al centro della sua vita. La proposta è quella di un cristianesimo molto umano, calato nella terra e nell’uomo, totalizzante. Bibliografia -D. Bonhoeffer, Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere, Edizioni San Paolo, Milano, 1988. -D. Bonhoeffer, Etica, Queriniana, Brescia, 1995. -D. Bonhoeffer, Lettere alla fidanzata Cella 92: 1943-1945. Queriniana, Brescia, 1994. SITI UTILIZZATI: http://it.wikipedia.org/wiki/Dietrich_Bonhoeffer http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=47&biografia=Dietrich+Bonhoeffer http://www.chiesaluterana.it/teologia/dietrich-bonhoeffer/ Dietrich Bonhoeffer PER METTERE UN PUNTO ALLA STUPIDITÁ Sonia Tiralongo Classe 4 A Introduzione In occasione del settantesimo anno dalla morte del filosofo e teologo Dietrich Bonhoeffer, appare importante ricordare uomini come lui che durante la Seconda Guerra Mondiale, e più in generale nel corso della storia, si sono impegnati a favore della libertà, pagando spesso il prezzo più alto. Siamo figli del passato: è necessario non dimenticare la storia di chi è vissuto prima di noi, riflettere sull’importanza delle nostre azioni e sul possibile riflesso di esse sulla società in cui viviamo. Se veramente siamo ESSERI UMANI, è nostro dovere non dimenticare, capire, riflettere, agire: “La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti”.46 1.Bonhoeffer: uomo, teologo, amante di Dio e della vita “Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, accontentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al volante”.47 9 aprile 1945: settant’anni fa moriva Dietrich Bonhoeffer per ordine di Adolf Hitler. Teologo e pastore della chiesa protestante, ma al tempo, stesso rivoluzionario, che sentiva come sua responsabilità l’adoperarsi a favore degli 46 E. Springer, Il silenzio dei vivi, Marsilio Editore, Venezia, 1997, p. 15. Citazione tratta dal film Bonhoeffer, regia di Eric Till, 2010. D. Bonhoeffer pronunciò queste parole nel 1944, quando un compagno di prigionia, nel carcere di Tegel, gli chiese come fosse possibile che un sacerdote potesse prendere parte a un processo di resistenza che implicava anche spargimenti di sangue. 47 altri, prese parte alla Resistenza tedesca48. Quando venne scoperto nel 1943 venne condotto al carcere di Tegel dove, fino alla fine, restò fedele alle sue posizioni e dove cercò di indurre i suoi compagni di prigionia a fare lo stesso. Nel 1945 fu condotto nel campo di concentramento di Flossenburg e impiccato. Moriva così un uomo, filosofo, teologo, amante di Dio, della vita, convinto che lo spirito di responsabilità, che dovrebbe accomunare tutti gli uomini, fosse l’unica spinta in grado di sorreggere l’uomo nell’impegno più grande: esistere e non solamente vivere. 2.La stupidità: fattore sociologico e spiegazione teorica La stupidità è un fattore contemplato nella sfera sociologica dell’individuo, che si manifesta, nella maggior parte dei casi, nelle persone che conducono una vita solitaria, che manca di affetti e di stimoli.49 Assistere passivamente a ciò che accade intorno a noi, accorgersi delle sofferenze altrui, degli sbagli che gli altri fanno, restando immobili, inermi, senza preoccuparsi delle conseguenze che le nostre azioni possono determinare sugli altri: questa è la stupidità. E’ il male peggiore che possa esistere, perché è difficile liberarsene, non si può guarire; spesso, infatti, l’intelligenza non esclude totalmente la stupidità. Essere stupidi non vuol dire solo non capire, ma vuol dire anche non voler capire e non adempiere alle responsabilità che la vita ci sottopone quotidianamente. 48 Movimento clandestino di opposizione contro il regime nazista attivo dal 1933 al 1945. D. Bonhoeffer, Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere, Edizioni San Paolo, Milano, 1988, p. 6465-66. 49 “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”. 50 Ciò che ci differenzia dagli animali è la ragione, cioè la capacità critica di cui tutti sono dotati, ma che non tutti utilizzano. Cos’è la capacità critica se non la consapevolezza di ciò che ci accade e di ciò che dovremmo fare per evitare conseguenze tragiche come è accaduto nella Seconda Guerra Mondiale con il genocidio degli ebrei? La stupidità è quella chiusura mentale che caratterizza determinati uomini e che porta, talvolta, se non spesso, ad agire in modo empio e sconsiderato senza quasi accorgersene. Gli stupidi non possiedono una propria personalità, infatti, quando parlano ci si accorge che è come se parlasse qualcun altro; loro si limitano ad acquisire passivamente informazioni, senza preoccuparsi di rielaborarle e farle proprie. Ed è proprio questa mancanza di personalità, di pensieri ed ideali propri, che porta a comportarsi in modo stupido, conformandosi passivamente e ad occhi chiusi ad una collettività che, a sua volta, segue ciecamente altri individui, che ritengono di aver capito l’ingranaggio della cosa che più ci spaventa: la vita. 3. La stupidità per Bonhoeffer La natura sociologica della stupidità, riconosciuta dal filosofo, può tradursi in conseguenze socialmente pericolose. Dietrich Bonhoeffer considera stupidi soprattutto coloro che seguono senza riserve una corrente politica e non si chiedono quali potrebbero essere gli effetti negativi. 51 50 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXVI, vv.119-120. “Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini.”, D. Bonhoeffer, Resistenza e resa:lettere e scritti dal carcere, cit., p. 65. 51 Stupidi sono coloro che non si assumono responsabilità, che ripongono il potere decisionale esclusivamente nelle mani altrui, noncuranti del fatto che la diffusione della stupidità dei più, della collettività, è uno dei fattori connessi all’affermazione dei regimi totalitari. I totalitarismi possono essere definiti come la radicalizzazione moderna delle antiche tirannidi: attraverso una politica terroristica (polizia segreta e campi di concentramento), si ha il totale annullamento del sistema governativo democratico, e quindi l’isolamento degli individui, non più cittadini, dalla sfera politica, ma soprattutto anche da quella sociale e interpersonale, in quanto gli uomini vengono spinti con la forza ad essere nemici tra loro.52 4. Il concetto di responsabilità. Confronto tra Bonhoeffer e Arendt Bonhoeffer porta avanti, nella vita e nelle opere, il concetto di responsabilità, secondo cui ogni uomo, per poter essere degno di essere chiamato tale, dovrebbe assumersi le proprie responsabilità in ogni ambito (politica, religione, ecc..) e tener conto delle proprie azioni e della possibile ricaduta di esse sul piano morale e sociale. Tale concetto, declinato da Bonhoeffer nei suoi vari aspetti (stupidità, successo, giustizia, ecc..), è presente anche nella riflessione filosofica di Hannah Arendt. 52 “L’inferno nel senso più letterale della parola era costituito da quei tipi di campi perfezionati dai nazisti, in cui l’intera vita era sistematicamente organizzata per infliggere il massimo tormento possibile. […] Le masse umane segregate in essi sono trattate come se non esistessero più, come se la sorte loro toccata non interessasse più nessuno, come se fossero già decedute e uno spirito maligno impazzito si divertisse a trattenerle per un po’ fra la vita e la morte prima di ammetterle alla pace eterna. Non è tanto il filo spinato, quanto l’irrealtà abilmente creata dagli individui da esso circondati che provoca crudeltà così enormi e alla fine fa apparire lo sterminio come una misura perfettamente normale.”, in H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2004, p. 160. Nell’opera “La banalità del male”53, il titolo, quasi contraddittorio, ci pone dinanzi a una determinata visione del mondo (Weltanschauung): il male non possiede una profondità, né una dimensione demoniaca ma è qualcosa di banale54, che talvolta non è percepito pienamente da coloro che se ne fanno artefici. Sono quegli stessi individui che Bonhoeffer addita come passivi nei confronti di una corrente politica e pertanto colpevoli di gravi misfatti, come il già citato genocidio portato avanti da Hitler. Nell’opera citata, la Arendt parla del processo55 di Adolf Eichmann, funzionario tedesco condannato a morte per aver partecipato allo sterminio ebreo, dicendo: “Alla polizia e alla Corte disse e ripeté di aver fatto il suo dovere, di aver obbedito non soltanto a ordini, ma anche alla legge”. Eichmann durante il processo si giustificò dicendo di aver seguito l’imperativo kantiano “il dovere-per-il-dovere”, interpretato come motivo di obbedienza al regime nazista.56 H. Arendt puntualizza però, che il reale significato della citazione kantiana si fonda sul principio per cui bisogna adempiere al proprio dovere, prendersi le proprie responsabilità, in riferimento alle leggi dello Stato di cui si fa parte e con il fine di non nuocere alla collettività. Appare allora evidente il collegamento tra la filosofia della Arendt e il concetto di stupidità in Bonhoeffer. La mancata consapevolezza delle proprie responsabilità e delle proprie capacità critiche, che inducono ad opporsi a ciò che può avere 53 54 H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano, 2003. “E’ anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E’ una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità.”, in uno scambio di lettere tra Hannah Arendt e Gershom Scholem, 1963. 55 Primo processo a un criminale nazista in Israele, 1961. 56 “Agisci in maniera tale che il Führer [Hitler], se conoscesse le tue azioni, le approverebbe.”, A. Eichmann, Processo in Israele, 1961. ricadute disastrose sull’umanità, è uno dei temi centrali nella riflessione bonhoefferiana. 5. Parallelismi con il presente Rileggendo Bonhoeffer, è facile dedurre che il tratto che separa la stupidità collettiva da pesanti conseguenze socio-psicologiche, è breve. In passato ha portato alla Shoah, oggi potrebbe riproporre lo spettro del totalitarismo: l’affermazione di un regime totalitario non è, infatti, cosa obsoleta oggigiorno, viste le mosse terroristiche attuate dallo Stato islamico, ormai noto come Isis. Di recente, questi falsi paladini della religione si sono resi fautori dell’attentato alla sede parigina del periodico Charlie Hebdo, avvenuto il 7 gennaio del 2015. Obiettivo di questa organizzazione terroristica è quello di instaurare uno Stato islamico puro57 e, non avendo alcuna remora riguardo al modo in cui perseguire tale obiettivo, diffondono terrore al fine di imporre il loro dominio e il loro culto con la violenza. Un altro esempio di violenza cieca si può individuare nelle azioni terroristiche dell’organizzazione di Boko Haram, che opera in Nigeria e in Ciad, il cui scopo, come indicato dal nome, è la lotta contro ogni forma di “educazione occidentale” e di secolarizzazione58 della società, attraverso la sharī’a59. Per finire, se si fa riferimento alla storia della seconda metà del XX secolo, ci si imbatte nel massacro di Srebrenica60, uno dei più gravi ed eclatanti atti di genocidio dai tempi di Hitler, per mano delle truppe serbo-bosniache, che dopo aver assediato la città per tre giorni, dal 9 all’11 luglio 1995, riuscirono ad entrare 57 Lettera del 9 luglio 2005, in cui il gruppo terroristico sunnita Abu Hafs al Masri rivendicò gli attentati a Londra. 58 Laicizzazione di uno Stato tramite trasformazioni sociali. 59 La legge sacra coranica, che disciplina la vita pubblica e privata di tutti i fedeli dell’Islam. 60 Guerra in Bosnia ed Erzegovina, 1995. nella città. Oltre ad essere riconosciuto come genocidio, tale avvenimento è anche considerato un crimine di guerra: migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi per una vera e propria pulizia etnica. Conclusioni Si può mettere un punto alla stupidità solo cercandone e comprendendone l’essenza. Progetto ambizioso, ma non difficile da realizzare se si riflette bene. Forse il fondamento della stupidità risiede nel confine tra ciò che vogliamo e le nostre azioni e, in qualche modo, tra le nostre scelte e ciò che gli altri vorrebbero che facessimo. Prefiggersi e perseguire degli scopi, ambire sempre al massimo, ribellarsi, non aver timore di rendere pubblici i propri ideali e le proprie opinioni, anche se contrastano con i pensieri della collettività, vuol dire non essere stupidi, vuol dire essere veramente uomini e veramente donne. A tal proposito, D.Bonhoeffer mostrò il suo disappunto nei confronti del regime hitleriano sin dall’inizio, accusando anche la Chiesa cristiana di non avversare apertamente tale sistema politico. La Chiesa infatti, che dovrebbe essere quell’istituzione che “veglia nella notte e vede il pericolo quando è ancora lontano, avverte la città; alza la voce a favore di coloro che non hanno voce; sa discernere il bene dal male, ha il coraggio di dire la verità smascherando la vergogna, di difendere l’orfano e la vedova, cioè, i deboli nella società”61, ha permesso l’affermazione di un tale regime totalitario, l’uccisione di tanti innocenti, l’estremizzazione del potere di un individuo, Hitler, che riteneva necessaria l’instaurazione di una razza pura. 61 Paolo Ricca, Bonhoeffer: teologia militante, Avvenire.it, 6 Aprile 2014. Bonhoeffer tenne molti discorsi sul ruolo della Chiesa e sulla posizione di subordinazione che essa aveva preferito assumere nei confronti della politica razziale nazista. Egli non esitò a dichiarare che la Chiesa avesse accettato di introdurre una discriminante di tipo razzista, che avrebbe rinnegato il Vangelo, e se stessa. In uno dei suoi interventi si legge: “La chiesa deve uscire dalla sua stagnazione. Dobbiamo tornare all'aria aperta del confronto spirituale con il mondo. Dobbiamo rischiare di dire anche delle cose contestabili, se ciò permette di sollevare questioni di importanza vitale. Come teologo “moderno”, che tuttavia porta ancora in sé l'eredità liberale, io sono tenuto a mettere sul tappeto tali questioni”62. La dimensione all’interno della quale Bonhoeffer ripensa e ripropone la sua fede cristiana, è la dimensione del mondo reale, il mondo “adulto” e secolarizzato in cui il singolo non può più essere spettatore, ma è chiamato a porsi, in modo critico e responsabile, al servizio dell’azione. 62 D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa. Lettere e scritti dal carcere., cit., p. 458. Bibliografia D. Alighieri, Divina Commedia, 1321. D.Bonhoeffer, Resistenza e resa: lettere e scritti dal carcere, Edizioni San Paolo, Milano, 1988. E. Springer, Il silenzio dei vivi, Marsilio Editore, Venezia, 1997. H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano, 2003. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2004. Film Bonhoeffer, regia di E. Till, 2010. Sitografia www.avvenire.it - Paolo Ricca, Bonhoeffer: teologia militante 06/04/2014- Indice Introduzione……………………………………………………………………………………………………. 1 1.Bonhoeffer: uomo, teologo, amante di Dio e della vita……………………………… 1 2.La stupidità: fattore sociologico e spiegazione teorica………………..……………… 2 3.La stupidità per Bonhoeffer……………………………………………………………………….… 3 4.Il concetto di responsabilità. Confronto tra Bonhoeffer e Arendt…….………… 4 5.Parallelismi con il presente…………………………………………………………………………… 6 Conclusioni……………………………………………………………………………………………………… 7 Bibliografia……………………………………………………………………………………………………… 9 Indice…………………………………………………………………….………………………………………… 10