TEOLOGIA DEL NOVECENTO di Alberto Conci* - CHIESA D. Bonhoeffer. Vivere senza Dio davanti a Dio n La vicenda di Dietrich Bonhoeffer continua a stimolare profonde riflessioni sul compito del cristiano nel mondo, sulla concezione di Dio, sul ruolo delle chiese, sul senso delle relazioni umane. E questo soprattutto a causa dell’intreccio profondo fra la sua elaborazione teologica e la sua testimonianza di vita in una delle epoche più buie della nostra storia. Nato nel 1906 a Breslavia e trasferitosi a Berlino, Bonhoeffer crebbe in un ambiente “empiristico-borghese” tutto concentrato sull’assunzione di responsabilità per il mondo, piuttosto distaccato dalla chiesa luterana cui, peraltro, la famiglia rimaneva legata. Affondano in questa esperienza familiare le radici della riflessione teologica elaborata da Bonhoeffer sul mondo divenuto adulto e sul rapporto del cristiano con l’impegno nella storia: una riflessione che lo spingerà a entrare nella congiura contro Hitler, culminata nell’attentato del 20 luglio 1944, che costerà la vita anche al fratello Klaus e al cognato Hans von Dohnanyi. Bonhoeffer studiò teologia in un periodo contrassegnato dalla frattura fra l’eredità ottocentesca della teologia liberale e la dirompente novità della teologia dialettica di K. Barth, che influenzò profondamente il pensiero del giovane teologo berlinese. I primi anni Trenta furono cruciali nella sua formazione. Egli stesso ne riconoscerà la portata, mettendo l’accento sull’importanza che assunse in quegli anni la sua “conversione” alla Bibbia, in particolare al discorso della montagna. Accanto a ciò altri tre elementi segnarono quel 22 chiesa periodo: la forte concentrazione sulla cristologia, che fu oggetto anche di un importante corso che tenne all’università di Berlino; il crescente impegno ecumenico, nella convinzione che spettasse alla chiesa riunita in un concilio ecumenico il compito di pronunciare il “comandamento concreto” della pace; l’adesione alla Bekennende Kirche, la Chiesa Confessante, che si opponeva alla chiesa filonazista dei Deutsche Christen (Cristiani tedeschi). Ciò lo condusse, già nei primi mesi del 1933, non solo a denunciare l’idolatria del Führer (“Nella chiesa abbiamo un solo altare e questo è l’altare dell’Altissimo […], al quale soltanto è dovuto amore e adorazione, il Creatore davanti al quale ogni creatura deve genuflettersi, davanti al quale l’uomo più forte non è altro che polvere. Non abbiamo altri altari per onorare gli uomini”, affermò nella predica dopo l’avvento al potere di Hitler), ma anche a esprimere un duro giudizio di condanna di fronte alle prime persecuzioni degli ebrei. Nel 1935 assunse l’incarico di dirigere il seminario clandestino della Chiesa Confessante a Finkenwalde, dove videro la luce due dei suoi libri più famosi: Sequela e La vita comune. Alla base dei due scritti si riconosce una spiritualità tutta centrata sulla radicalità della sequela, che richiede al discepolo la disponibilità a percorrere la “via stretta”, ad abbracciare lo straordinario dell’amore per il nemico, a leggere l’esistenza del credente nella prospettiva della grazia a caro prezzo: “La grazia – scrive in Sequela – è a caro prezzo perché è costata cara a Dio, perché gli è costata la vita di suo Figlio e perché non può essere a buon mercato per noi ciò che è costato caro a Dio. È grazia soprattutto perché Dio non ha ritenuto troppo elevato il prezzo di suo Figlio per la nostra vita, ma lo ha dato per noi”. La chiusura del seminario di Finkenwalde da parte della Gestapo e la recrudescenza delle persecuzioni contro i pastori della Chiesa Confessante resero sempre più urgente il problema dei mezzi per fermare Hitler, la cui marcia trionfale verso la guerra appariva sempre più inarrestabile. In questo clima drammatico, rientrato in Germania pochi giorni prima dello scoppio della guerra, accettò di entrare a far parte della congiura contro il Führer. Arrestato nella primavera 1943, sarà giustiziato alla fine della guerra, il 9 aprile 1945, nel campo di concentramento di Flossenbürg. Sono di questo periodo le riflessioni più famose di Bonhoeffer, che potremmo raccogliere attorno un grande tema chiave: quello del rapporto del cristianesimo con il “mondo divenuto adulto” (die mündige Welt) che ritroviamo in due opere postume: l’Etica, i cui manoscritti vennero stesi in parte nel monastero benedettino di Ettal, e le lettere dal carcere, raccolte nel volume Resistenza e Resa dall’amico E. Bethge. Il tema, in realtà, veniva da lontano. Già all’inizio degli anni Trenta Bonhoeffer aveva sollevato la questione del destino del cristianesimo in Occidente, richiamando, pur indirettamente, alla necessità di un profondo ripensamento del rapporto fra cristianesimo e mondo. Il problema era per Bonhoeffer quello “dell’invisibilità della presenza di Cristo nella nostra vita personale”: “L’invisibilità ci distrugge. […] è certo che nessuno può più sopportare questo continuo, insensato rimando al Dio invisibile”. Si tratta qui delle condizioni della testimonianza del Vangelo nella Chiesa, della sua potenza trasformatrice sul piano interiore come su quello delle relazioni umane. È in questa prospettiva che Bonhoeffer parla della necessità di “rimanere fedeli alla terra”, poiché è la terra, nostra madre, che ci pone nelle braccia di Dio, nostro Padre: un’immagine che tornerà nelle lettere dal carcere quando scriverà alla fidanzata che “i cristiani che stanno con un solo piede sulla terra staranno con un solo piede in paradiso”. Esiste insomma, dirà Bonhoeffer nell’Etica, il problema del rapporto fra l’ultimo e il penultimo (alla lettera preultimo, Vorletztes): il penultimo, è il tempo della storia che l’ultimo “giudica e interrompe”, è il tempo nel quale Dio “permette, aspetta e prepara”. E tuttavia esso “va salvaguadato per amore dell’ultimo”, perché è nel penultimo che ci è richiesto di realizzare “l’essere-uomo e l’essere-buono”. All’uomo, che vive nel penultimo, spetta il compito di “preparare la via” sulla quale Dio ci incontrerà: “Per coloro che sanno della venuta di Cristo si tratta di un compito di altissima responsabilità. L’affamato ha bisogno di pane, il derelitto di una casa, chi è stato calpestato ha bisogno di giustizia, il solitario di compagnia, l’indisciplinato di ordine, lo schiavo di libertà. Sarebbe un’offesa contro Dio e contro il prossimo lasciare chiesa 23 l’affamato alla sua fame dicendo che Dio è particolarmente vicino ai bisognosi”. In tutto ciò, secondo Bonhoeffer il cristiano deve evitare due atteggiamenti opposti: quello del radicalismo di coloro che per amore dell’ultimo disprezzano il penultimo; e quello del compromesso di coloro che, concentrati unicamente sul penultimo, rimangono indifferenti alle esigenze dell’ultimo. Tale prospettiva diventerà ancora più chiara nelle lettere dal carcere, nelle quali Bonhoeffer prenderà le distanze tanto dal banale essere-aldi-qua (Diesseitigkeit) “degli indaffarati, degli indolenti e dei lascivi”, quanto dai tentativi apologetico-religiosi di giudicare il mondo: “L’uomo – scrive nella lettera dell’8 giugno 1944 – ha imparato a bastare a se stesso in tutte le questioni importanti senza l’ausilio dell’ipotesi di lavoro: Dio. Nelle questioni riguardanti la scienza, l’arte, l’etica questo è diventato un fatto scontato. Ma da circa cento anni ciò vale in misura sempre maggiore per le questioni religiose. […] Come nel campo scientifico anche nel campo umano Dio viene sempre più respinto fuori dalla vita e perde terreno. [...] Contro questa sicurezza di sé l’apologetica cristiana è scesa in campo in diverse forme. Si cerca di dimostrare al mondo divenuto adulto che non può vivere senza il tutore Dio”. Ma tale atteggiamento viene considerato da Bonhoeffer privo di senso perché è un tentativo di far tornare alla pubertà qualcuno che ormai è adulto, di scadente qualità in quanto punta sui lati deboli dell’uomo per portarlo perfino a scelte che non ha fatto liberamente, soprattutto non cristiano perché scambia Cristo con un determinato livello di religiosità. Il Dio che emerge da questa concezione viene ridotto a combattere “battaglie di retroguardia”, a far da tappabuchi, e non è mai vissuto al centro 24 chiesa dell’esistenza ma ai suoi margini. Così si scivola in un cristianesimo inautentico, che crea separazioni incolmabili fra l’interiorità e l’esteriorità, ma ciò è lontano dalla Bibbia per la quale “ciò che conta è sempre l’uomo intero”. Uomo intero il cui compito è quello di assumere di fronte a Dio la responsabilità della storia, nella consapevolezza che nel penultimo Dio non mantiene uno spazio per sé ma ci affida la responsabilità di realizzare la giustizia e il bene. Così, dirà Bonhoeffer in una delle lettere più famose, del luglio 1944, essere cristiani significa accettare di vivere senza Dio davanti a Dio: “… non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo - etsi deus non daretur. Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento. Così il nostro diventar adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere nel mondo come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti e con Dio viviamo senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta”. Solo così, questo è il punto, egli ci sta al fianco e ci aiuta. Solo così, potremmo aggiungere noi, ci viene chiesto di essere uomini e di essere buoni. Solo così si comprende il senso dell’esistere-per-altri a immagine dell’esistere-per-altri di Cristo. Solo così si può dispiegare la responsabilità libera dell’uomo nel mondo e il suo impegno per il successo del bene. *Professore e curatore dell’edizione critica delle opere di Bonhoeffer