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umanesimo
La cultura del Quattrocento è tutta all'insegna dell'umanesimo: il termine deriva da
studia humanitatis, cioè lo studio dei testi letterari e filosofici antichi, e contiene in sé
l'idea che gli studi classici coincidano col perfezionamento morale dell'uomo. Gli
umanisti si sento protagonisti di un'era di rinascita della civiltà, dopo le barbarie dell'età
di mezzo, il medioevo: l'uso quasi esclusivo del latino, un latino riportato ai modelli
classici e depurato dai barbarismi medievali, è il segno del loro ideale ricongiungersi
all'antichità.
E' una cultura pervasa di ottimismo: in forte polemica con l'ascetismo medievale si
esalta la dignità dell'uomo, il valore della vita terrena, dell'attività umana che domina la
natura, dell'impegno civile. In campo religioso, si propone un cristianesimo aperto e
tollerante, conciliato con l'eredità della filosofia antica, in particolare con il platonismo,
che domina nella seconda metà del secolo. Dal punto di vista sociale gli umanisti sono
quasi tutti segretari di corti ecclesiastiche o laiche, o del comune fiorentino, finché
questo sopravvive; la dipendenza dai principi li pone in una situazione ambigua,
oscillante tra il servilismo, l'idealizzazione dei signori e scatti di protesta.
Decadenza e Rinascenza degli umanisti
La deplorazione per la decadenza dei propri tempi è frequente nei primi umanisti: che si
tratti della rovina dei monumenti della Roma antica o dell'ignoranza della filosofia antica,
è comune il sentimento di essere separati dalla vera civiltà, espressa dal mondo antico,
dopo un lungo periodo di imbarbarimento. Ma in questo sentimento è già presente l'idea
di una rinascita in atto, manifestata dall'entusiasmo con cui si riscoprono e si studiano i
testi antichi, in parte, dimenticati. La dialettica di decadenza e rinascenza costituisce il
primo embrione di una nuova consapevolezza storica, che nel celebre opuscolo di Valla
sulla donazione di Costantino si esprime in una critica attenta e sicura dei documenti
antichi.
Satira del villano
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La "Satira del villano" è un filone letterario europeo nato nel XII secolo di conseguenza
al fenomeno dell'urbanesimo (abbandono delle campagne per trasfersi nelle città).
Come dice il nome era basto sullo scherno al villano cioè al contadino che veniva visto
rozzo, sporco e repellente. Il contadino infatti era accusato dal proprietario terrieriero
,che risiedeva in città e che pretendeva da lui una percentuale sui prodotti agricoli, di
occultare l'entità del raccolto. Quindi il villano, il rustico, veniva si visto come un
individuo rozzo e sporco, ma altresì come una persona scaltra che spesso riusciva ad
imbrogliare altri uomini anche di ceto superiore al suo, essendo esperto di frodi e
raggiri.
Secondo alcuni storici la nascita di questa letteratura definita non colta segna l'inizio tra
la distinzione tra attività rurali e attività urbane.
Angelo Ambrogini detto Poliziano, dal nome latino del paese d'origine (Mons
Politianus) (Montepulciano, 14 luglio 1454 – Firenze, 29 settembre 1494) è stato uno
scrittore, umanista e drammaturgo italiano.
Opere
Poliziano fu il maggiore esponente dell'umanesimo volgare, fu il poeta del mito, della
visione, della natura, della giovinezza serena, dolorosamente insidiata dalla morte. Oltre
alle Stanze per la giostra (stanza = strofa di canzone o di altro componimento, spesso
in ottave; ottava = strofa di otto endecasillabi) ed all'Orfeo egli scrisse in volgare
numerose altre opere: canzoni a ballo, ballate scherzose, rispetti e strambotti, nei quali
il poeta dottissimo aderisce ai gusti ed ai motti popolareschi. (rispetto = componimento
popolare in versi, di carattere amoroso, formato da una strofa di quattro endecasillabi a
rime alterne, seguiti da una o due coppie di endecasillabi a rime baciate; strambotto =
breve componimento poetico popolare, per lo più in ottave a rima alternata). L'elegante
poeta che ricreava i miti classici in una sognante atmosfera, fu anche un dotto
conoscitore delle lettere classiche, studioso e postillatore delle antiche opere, e può
essere considerato il fondatore della moderna filologia, per il criterio rigoroso, sostenuto
da una profonda cultura umanistica e dalla perfetta padronanza del greco e del latino,
che egli applicò all'esame dei testi. Il Poliziano fu uno dei nostri maggiori poeti latini, in
versi scrisse le elegie e le Praelectiones o prolusioni (discorso introduttivo) ai corsi del
suo insegnamento, sempre in latino, ma in prosa, scrisse le prolusioni ad un corso di
filosofia aristotelica.
Stanze per la giostra di Giuliano de' Medici
Le Stanze, una delle gemme della letteratura italiana, furono scritte fra il 1475 ed il
1478, per celebrare la giostra del 28 gennaio 1475 in cui trionfò Giuliano De' Medici,
fratello di Lorenzo. L'opera restò incompiuta quando, nel 1478, Giuliano fu ucciso nella
congiura antimedicea dei Pazzi. Il Poliziano si proponeva di celebrare un torneo
cavalleresco, ma realizzò solo le prime due parti ed il poemetto risulta un
componimento d'argomento amoroso ed idillico (quadretto campestre o pastorale
d'incantata serenità), poiché il poeta si arrestò prima di iniziare la descrizione del
torneo. Nei primi due libri, gli unici che furono realizzati, il poeta indugia sugli argomenti
che gli erano più consoni: l'amore, la bellezza, le scene idilliche. Egli rappresenta la
bellezza e l'amore in descrizioni mitologiche mediate dalla sua profonda cultura
umanistica. Idillio, amore e mitologia sono i tre elementi fondamentali delle Stanze. Il
primo dei due libri che compongono il poemetto è dedicato alla descrizione
dell'innamoramento di Giuliano per una bella ninfa. La donna reale, Simonetta
Cattaneo, nota a Firenze per la sua bellezza, è rappresentata come una creatura
mitologica che vive in un mondo incantato. Nel secondo libro Cupìdo racconta alla
madre Venere l'innamoramento di Giuliano. Le Stanze sono, dunque una celebrazione
dell'amore inteso come appagamento ed armonia. L'elemento idillico si trova nelle
descrizioni della natura. L'elemento mitologico intesse le Stanze dando più ampio
respiro alla creazione fantastica. Le Stanze sono una continua descrizione vivida e
leggera della natura, dei personaggi, del giardino e del palazzo di Venere.
L'Orfeo (o Fabula di Orfeo)
Fu scritto nel 1480, mentre il Poliziano si trovava a Mantova, commissionato dal
cardinale Francesco Gonzaga presso il quale l'autore dimorò per un breve periodo.
L'opera fu composta in due giorni di geniale improvvisazione, l'argomento fu suggerito
dai classici: il mitico poeta Orfeo scende nell'Ade (regno dei morti) per riportare sulla
terra la moglie Euridice, morta in seguito al morso di una serpe, mentre fuggiva
inseguita da un pastore innamorato di lei, ma Orfeo la perde per sempre proprio quando
s'illude d'averla salvata. L'Orfeo segue lo schema delle sacre rappresentazioni:
· la presentazione dell'argomento, che nelle sacre rappresentazioni è fatta da un
angelo, qui è fatta da Mercurio,
· come nelle sacre rappresentazioni il movimento drammatico è inconsistente,
l'impostazione scenica è elementare, il metro è l'ottava.
La prima parte del componimento è costituita da un dialogo tra due pastori, il giovane
Aristeo ed il vecchio Mopso. Aristeo racconta del suo amore non corrisposto per
Euridice e canta una sua mirabile canzone per sfogare il proprio tormento amoroso.
Sullo sfondo appare Euridice, attraverso le parole del garzone Tirsi. La seconda parte
descrive la discesa di Orfeo negli Inferi e la definitiva perdita di Euridice. La favola di
Orfeo presenta, fin dall'inizio, un mondo dove il vero dramma non esiste: il lamento e la
passione di Aristeo si dissolvono nella musicalità dei versi e persino il dolore di Orfeo
non è lamento, ma canto.
Praelectiones
Sono le prolusioni in versi latini ai corsi del suo insegnamento. Il Poliziano scrisse
prolusioni sulle selve di Stazio e sull'Institutio di Quintiliano, su Persio e su Svetonio. Le
dottissime Sylvae sono prolusioni che costituiscono dei veri e propri poemi, dove il
poeta mostra la propria cultura e la propria finezza di poeta latino. Furono chiamate
Sylvae, ad imitazione di Stazio, per indicarne il carattere di componimenti scritti senza
un disegno preciso. Le Sylvae sono quattro:
1. Manto (1482) presentazione di un corso sulle Bucoliche di Virgilio
2. I Rusticus (1483) prelude ad un corso sulle Georgiche di Virgilio e di Esiodo
3. Ambra (1485) tratta di Omero e dei poemi omerici
4. Nutricia (1486) celebrazione dei poeti classici
Prolusioni latine in prosa
1. Dialectica (1493) introduzione ad un corso sulla filosofia aristotelica
2. Lamia (1492) contro chi lo aveva burlato per i tardivi interessi filosofici
Sylva in scabiem (1479) non è una prolusione
LUIGI PULCI
Nato a Firenze nel 1432 da Jacopo Pulci e dall'aristocratica Brigida de' Bardi, Luigi si
trovò presto costretto a far fronte a una pessima situazione economica in seguito alla
morte del padre, avvenuta nel 1451. Il giovane Luigi visse per qualche tempo lavorando
come segretario presso il ricco mercante Francesco Castellani che, in rapporti con i
Medici, lo introdusse nell'ambiente di corte. Ebbe rapporti di dimestichezza con il
giovanissimo Lorenzo , animatore principale della "brigata" medicea, nella quale si
coltivava un tipo di poesia (spesso composta in gruppo, a più mani) in linea con la
tradizione volgare fiorentina: linguaggio basso, aderente al quotidiano; argomenti satirici
o giocosi; parodie e sperimentazioni linguistiche (forme gergali, rusticali e
genericamente dialettali, manipolazioni lessicali e grammaticali ai limiti dell'assurdo). In
questo contesto nacquero La Nencia da Barberino di Lorenzo de' Medici, parodia del
linguaggio rusticale e della poesia amorosa, e la Beca da Dicomano di Luigi Pulci,
parodia più spinta che esaspera i registri della Nencia.
La Giostra.
Tra la fine del 1464 e l'inizio del 1465, a causa del fallimento della banca aperta a
Firenze dal fratello Luca, Pulci dovette rifugiarsi in una sua proprietà nel Mugello per
sfuggire ai creditori e solo l'intercessione del Magnifico gli permise di rientrare a Firenze
nel 1466. Da allora fin verso il 1472 Luigi godette di un notevole prestigio presso i
Medici, che lo impegnarono in missioni ufficiali in varie città. Nel 1469 gli toccò l'onore di
celebrare, con le ottave della Giostra, la vittoria di Lorenzo il Magnifico in un torneo che
ebbe luogo il 7 febbraio di quell'anno (evento che sanciva l'investitura del giovane a
successore di Piero).
Il Morgante e l'accusa di eresia.
Ma le fortune di Pulci incominciarono rapidamente a declinare a mano a mano che nella
politica culturale di Lorenzo si accresceva il ruolo di Marsilio Ficino, che diede alla corte
medicea un'impronta di più elevato e aristocratico tenore intellettuale. Pulci intensificò,
allora, i suoi contatti con Roberto Sanseverino conte di Caiazzo, a cui lo aveva
presentato lo stesso Lorenzo; lo raggiunse a Milano nel 1473 e lo seguì negli anni
successivi a Bologna e a Venezia. Nel 1478 pubblicò la sua opera principale, il poema
cavalleresco Morgante . Nell'edizione ampliata del 1483 Pulci aggiunse un accenno
polemico a Savonarola, che aveva pubblicamente biasimato i suoi scritti come
sacrileghi. Ma il terribile frate domenicano non poteva essere attaccato impunemente e
Pulci, accusato di eresia, dovette pubblicare una ritrattazione in terzine, la Confessione.
Quando meditava di tornare a Firenze si ammalò, a Padova, dove morì nell'autunno del
1484. Venne seppellito da eretico, a lume spento e in terra sconsacrata. Nel 1494
Savonarola avrebbe citato il Morgante quale esempio di libro scellerato da gettare nei
roghi purificatori, e nel 1559, in piena età della Controriforma, tutta l'opera poetica di
Pulci sarebbe stata inclusa nell'Indice dei libri proibiti voluto dal papa Paolo IV.
L'opera maggiore di Pulci è Il Morgante, poema cavalleresco in ottave.
Commissionatogli da Lucrezia Tornabuoni, fu ultimato in gran parte prima del 1470. Fu
pubblicato nel 1478 in 23 canti ("cantari") in ottava rima. Nel 1483 è la pubblicazione in
28 canti (il cosiddetto "Morgante maggiore"). La vicenda inizia con Orlando (= Roland)
che lascia la Francia adirato per le calunnie di Gano e la credulità di Carlo Magno.
Giunto in un convento, combatte con tre giganti che opprimono i monaci. Ne uccide due
e fa prigioniero il terzo, Morgante. Protetto da un enorme elmo in acciaio, armato di
battaglio, il buon gigante convertitosi al cristianesimo va al seguito di Orlando
affrontando ogni tanto anche qualche avventura con il mezzo gigante Margutte. Altri
paladini raggiungono Orlando in oriente, ma il traditore Gano convince re Marsilio ad
attaccare i cristiani: Orlando torna in Francia per combattere, insieme a Rinaldo e
Ricciardetto, trasportati dai diavoli Astarotte e Farfarello dall'Egitto al campo di
Roncisvalle grazie alle arti di Malagigi. Alla morte eroica di Orlando a Roncisvalle segue
la punizione di Gano e la morte di Carlo Magno ad Aquisgrana.
Si discute se questo poema abbia derivato qualcosa da due poemi anonimi e anepigrafi
noti come "Orlando" e "Spagna". Sostanzialmente, in ogni caso, è una parodia delle
canzoni di gesta che erano ben presenti agli immediati destinatari dell'opera, la brigata
medicea cui Pulci leggeva l'opera man mano che la componeva. Le canzoni di gesta
sono la base su cui si esercita una parodia linguistica di provenienza burchiellesca,
tendente a privilegiare tecnicismi e voci dialettali fortemente espressive. La tensione
linguistica è in fondo l'unico impegno unitario del poema. Sul piano della svolgimento
della vicenda si ha una successione meccanica e schematica di personaggi situazioni
ed episodi. L'ottava stessa ha un funzionamento narrativo piuttosto meccanico. Il tema,
soprattutto nei primi 23 canti, è risolto in chiave popolaresca e picaresca: Carlo Magno
è un vecchi svampito, i paladini si comportano da briganti, le dame prefigurano la
Dulcinea di Cervantes. Il personaggio più riuscito e più aderente al gusto di Pulci è
Rinaldo, sempre pronto alle avventure amorose e alle risse. Ma indimenticabili sono i
personaggi di Morgante e Margutte.
Il gigante istintivo e bonario, che muore al canto XX, dopo atti di prodigioso eroismo, per
la puntura di un granchiolino, si contrappone a Margutte, il mezzo gigante vorace e
furfante che enuncia un credo materialista e irriverente rimasto famoso (canto XVIII), e
che muore soffocato dalle sue stesse risate. A un clima culturale più impegnato
riconducono i cinque canti aggiunti nell'edizione del 1483, ispirati all'anonima "Rotta di
Roncisvalle". Qui è l'ideale di un'epica orientata in senso provvidenzialistico, mentre
costante si fa la tensione allegorico-polemica. Ciò porta a privilegiare la riflessione e a
relegare la comicità e il ridicolo nei luoghi tradizionali per la cultura ufficiale, ai margini.
L'eterodossia di Pulci sembra in sintonia con il razionalismo umanistico del circolo
ficiano, di cui il diavolo Astarotte, una delle migliori invenzioni del poema, divulga
estrosamente gli ideali di tolleranza religiosa. Pulci seppe far rivivere l'esperienza
burchiellesca, ampliandola oltre i limiti delle rimerie burlesche. Il suo poema eroicomico
ebbe influenza sui poemi eroicomici successivi. Si pensi al "Baldus" di Folengo, e al
"Gargantua e Pantagruel" di Rabelais.
MATTEO MARIA BOIARDO
Nato a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1441 da Giovanni e Lucia Strozzi, sorella
dell'umanista Tito Vespasiano, Boiardo trascorse l'infanzia e la giovinezza a Ferrara,
dove si inserì nella cerchia di letterati e artisti che gravitavano intorno alla corte estense.
Consigliere e uomo di fiducia del duca Ercole d'Este, grande estimatore di ogni forma
d'arte e mecenate, curò la traduzione di numerose opere classiche dedicandosi
contemporaneamente alla lirica volgare. I numerosi sonetti e ballate dedicati secondo
l'uso del tempo ad una gentildonna, la reggiana Antonia Caprara, vennero in seguito
raccolti nei tre Amorum libri, di chiaro influsso petrarchesco. All'interno della sua
produzione vanno ricordati inoltre otto Epigrammata latini, una commedia e numerose
Epistole, quasi tutte in volgare.
All'inizio degli anni Settanta del secolo, al seguito di Borso e poi di Sigismondo d'Este,
Boiardo compì viaggi a Roma e a Napoli; fu proprio in questi anni che cominciò ad
elaborare l'idea di un poema cavalleresco che trattasse le storie dei paladini di Carlo
Magno, tema particolarmente apprezzato nella cerchia estense. All'interno dell'opera
Boiardo inserì un motivo encomiastico, includendo il capostipite degli Este, Ruggero, tra
i personaggi per assecondare uno degli elementi tipici dell'epica cavalleresca.
Il poema in due libri dal titolo Orlando Innamorato o meglio Inamoramento de Orlando
era terminato nel 1483 e venne dato alle stampe sia a Reggio che, qualche anno più
tardi, a Venezia; purtroppo non è pervenuta alcuna copia della prima edizione. Ai primi
due libri ne seguì un terzo di soli nove canti; Boiardo sempre più pressato dai doveri
politici non ebbe infatti il tempo di completarlo. L'opera ebbe un buon successo di
pubblico a giudicare dalle numerose ristampe che si susseguirono fino al 1544 e dalla
diffusione di alcuni rifacimenti che circolarono ampiamente in area italiana. Non
mancarono anche un buon numero di continuazioni del poema, la più famosa delle quali
resta senz'altro l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Boiardo morì a Reggio Emilia nel
1494.
Una grande passione amorosa giovanile per la gentildonna Antonia Caprara gli ispirò i
versi del Canzoniere (1469-76), il cui titolo latino è Amorum libri tres: tre infatti sono i
libri in cui è composto: 1. gioia ed esultanza di amore ricambiato; 2. gelosia e smarrita
tristezza per l'amore tradito; 3. R rimpianto e religiosa contrizione. Composto di 50
sonetti e 10 componimenti di metro diverso, il poema rivela uno dei maggiori lirici
d'amore del Quattrocento. Suo modello è il Petrarca, ma, a differenza di questi, il
Boiardo esprime una carica vitale e gioiosa decisamente originale. Di argomento
politico oltre che amoroso le terzine della Pastorale.
L'Orlando Innamorato, poema cavalleresco in ottave, è considerato, a torto, la
prosecuzione in tono minore dei grandi cicli cavallereschi bretone e carolingio. In realtà
di diverso c'è lo spirito con cui è stato composto. Il poema infatti nasce da un festoso
amore per la costruzione di favole sentimentali e d'avventura, in cui i protagonisti, le
dame e i cavalieri compiono le loro imprese di guerra e di passione. Gli intrecci ordinari
e straordinari, naturali e soprannaturali si allacciano e si sciolgono per l'incanto di fonti
magiche, di anelli fatati, di mostri e personaggi misteriosi, mentre un costante tono di
arguta e maliziosa festevolezza avvolge gradevolmente il poema. Le donne non hanno
altra consistenza che il meraviglioso incanto della loro bellezza, in perpetuo movimento
da un'avventura fiabesca a un'altra. Qui, in sostanza, si è in presenza del gusto del
racconto fine a se stesso, che non si attiene a precise regole architettoniche e che
rifiuta la consequenzialità della logica compositiva.
Sul piano stilistico ed espressivo Boiardo, in questo poema, non è raffinato come
l'Ariosto, ma semplicemente perché gli interessa esprimere l'energico, il primitivo e non
l'eleganza armoniosa. La sua lingua infatti vuole essere schietta, rude, ibrida (accosta a
un fondo padano elementi idiomatici di varia provenienza). La sua originalità in fondo
sta proprio in questa scelta formale, che il poeta riteneva consona a esprimere delle
vicende spontanee, al di fuori degli schemi scolastici.
Aprendosi con una giostra bandita a Parigi da Carlo Magno, con grande magnificenza, il
poema resta interrotto in pieno dramma cavalleresco con Angelica affidata in custodia
da Carlo al duca Namo e promessa a chi combatterà più valorosamente i saraceni, che
minacciano la capitale. Nel 1480, a un anno di distanza dal matrimonio con una
nobildonna di Novellara, Boiardo viene nominato governatore di Modena; sette anni
dopo passa al governo di Reggio, e qui muore nel 1494.
UMANESIMO E RINASCIMENTO
Sintesi
· Con lo sviluppo delle città e della borghesia mercantile, la cultura non pose più al
centro dei suoi interessi soltanto Dio e la fede cristiana. Nelle opere di Dante Alighieri
(1265-1321) e di Francesco Petrarca (1304-1374) l'antichità classica rappresenta un
nuovo modello a cui ispirarsi; nel Decamerone di Giovanni Boccaccio (1313-1375) la
vita quotidiana fa il suo ingresso nella letteratura.
· Il Quattrocento segnò la nascita dell'Umanesimo, un movimento di grande
rinnovamento culturale. La riscoperta della cultura classica si accompagnò a una nuova
concezione del mondo: gli umanisti riscoprirono il valore dell'esistenza terrena, ponendo
l'uomo al centro dell'universo.
· Fra Quattro e Cinquecento ebbe inizio una nuova epoca di grandissimo sviluppo delle
arti, della letteratura e delle scienze: il Rinascimento.
· Consapevole delle proprie capacità e senza più timore di confrontarsi con il mondo
antico, lo studioso del Rinascimento sottolineò l'importanza dell'applicazione
praticadelle proprie teorie e non pose limiti alle sue conoscenze: Leonardo da Vinci
(1452-1519) si cimentò nell'arte, nell'ingegneria e nello studio dell'anatomia;
Michelangelo Buonarroti (1475-1564) fu insieme pittore, scultore e architetto.
· L'Italia del Rinascimento fu la sede di una straordinaria fioritura artistica. Grandi
architetti come Brunelleschi (13 77-1446), Bramante (1444-1514) e lo stesso
Michelangelo rinnovarono il volto delle città, mentre pittori di immensa fama come
Leonardo, Raffaello (1483-1 520) e Tiziano (1490-1576) diventarono un modello per
tutta l'Europa
· In campo letterario l'opera più rappresentativa del Rinascimento italiano fu l'Orlando
Furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533). Torquato Tasso (1544-1595) dedicò il suo
poema, la Gerusalemme Liberata, alla prima crociata. Il Rinascimento italiano segnò un
grande rinnovamento anche in altri campi. Il principe, opera del fiorentino Niccolò
Machiavelli (1469-152 7), inaugurò la scienza politica moderna. Grande fu l'importanza,
per la ricerca storica, di Francesco Guicciardini (1483-1540), con la sua Storia d'Italia.
- L'interesse per l'uomo e la natura determinarono lo sviluppo della ricerca scientifica.
Adottarono il metodo dell'osservazione diretta dei fenomeni naturali, scienziati come il
belga Andrea Vesalio (1514-1564) nello studio del corpo umano e il polacco Niccolò
Copernico (1473-1543) nel campo dell'astronomia.
Svolta culturale
Per molti secoli la cultura del Medioevo fu strettamente legata alla religione e alla
Chiesa. Gli uomini colti erano quasi tutti degli ecclesiastici, i loro interessi riguardavano
soprattutto le questioni relative alla fede cristiana, le loro letture erano principalmente le
Sacre Scritture o le opere dei grandi autori cristiani (sant'Agostino, san Girolamo, san
Tommaso, ecc.). Gli stessi testi dell'antichità greca e latina, copiati e tramandati dai
monaci, venivano letti e interpretati alla luce del pensiero religioso. Lentamente, a
partire dal Duecento, con lo sviluppo della civiltà dei comuni e della borghesia, questa
caratteristica della cultura iniziò a mutare e si allentò il suo collegamento con la
religione e con gli ambienti della Chiesa. Nel Trecento alcuni grandi scrittori italiani
diedero un ulteriore slancio alla letteratura non ecclesiastica. Dante Alighieri (12651321), l'autore della Divina Commedia, e il grande poeta Francesco Petrarca (1304-
1374), pur essendo entrambi ispirati da un forte sentimento religioso, presentarono la
cultura di Roma antica come il grande modello ideale a cui si doveva fare riferimento.
Poco dopo Giovanni Boccaccio (1313-1375) raccontò, nelle novelle del Decamerone, la
vita quotidiana del suo tempo, rappresentando con realismo i costumi e la mentalità
della borghesia cittadina.
L'UOMO AL CENTRO DEL MONDO
Nel corso del Quattrocento l'interesse per la cultura del mondo classico si diffuse nelle
corti dei principi e dei signori delle maggiori città italiane. Erano ambienti diversi da
quelli ecclesiastici, dove avevano grande peso anche valori diversi da quelli della
religione: valori legati alla vita, alla ricchezza, al potere, alla ricerca del bello. Qui si
attenuò sempre di più il carattere religioso della cultura. La vita terrena non fu più vista
soltanto come un momento di passaggio verso la vita eterna e le riflessioni dei filosofi si
concentrarono sul significato e sul valore dell'esistenza dell'uomo. Proprio perché
poneva l'attenzione sull'uomo, questa nuova tendenza della cultura fu chiamata
Umanesimo. Gli umanisti affermarono il diritto dell'uomo a realizzare nel piombo la
propria personalità. Essi non arrivarono mai a negare l'importanza e il significato di Dio
e della religione: sostennero però che la fede non era in contrasto con il desiderio
dell'uomo di affermarsi. Fu questo l'inizio di una rivoluzione che modificò profondamente
la cultura italiana ed europea.
DALL'UMANESIMO AL RINASCIMENTO
Di Umanesimo si parla dunque soprattutto per indicare un filone di studio e di pensiero
indirizzato prevalentemente alla conoscenza dei classici e a una riflessione storica,
filosofica e letteraria concentrata sui valori dell'uomo e della sua esistenza terrena. Esso
fu soprattutto un grande movimento di idee. Umanisti furono, nel Quattrocento, gli
italiani Giovanni Pontano, Lorenzo Valla, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e lo
stesso pontefice Pio II
Al termine Umanesimo si affiancò successivamente quello di Rinascimento, utilizzato
dal pittore e storico dell'arte Giorgio Vasari (1511-74) per sottolineare che fra il Quattro
e il Cinquecento era iniziata "una nuova era di rinascita e rigenerazione dell'umanità".
La rivalutazione dell'uomo portò con sé lo studio della natura, dove la vita dell'uomo si
realizza, e, soprattutto, una parallela rivalutazione di tutto ciò che è il frutto dello spirito
e della mente umana: l'arte, la letteratura e la musica. Ogni piccola o grande città
italiana e tutte le corti signorili vollero costruire splendidi edifici, nuove chiese, grandi e
piccoli palazzi. Proteggere artisti o letterati, spesso mantenendoli presso di sé, divenne
un'abitudine non solo dei pontefici, dei signori o dei principi, ma anche delle famiglie più
ricche.Il nuovo gusto per il bello che caratterizzò il Rinascimento favorì anche lo
straordinario sviluppo di un raffinato artigianato. Nei palazzi rinascimentali non
lavoravano soltanto pittori, scultori e poeti, ma anche orafi, falegnami, decoratori. Anche
gli oggetti di uso quotidiano divennero vere e proprie opere d'arte, che esprimevano i
nuovi ideali di bellezza ed armonia.
La stampa
Nel 1434 un orafo tedesco, Johann Gutenberg, scoprì un modo semplice e ingegnoso
per ottenere molte copie di una pagina scritta. Occorreva innanzi tutto costruire dei
caratteri mobili, cioè dei "cubetti" di metallo ciascuno dei quali portava in rilievo, sulla
faccia superiore, una lettera dell'alfabeto. Tali caratteri venivano poi disposti l'uno
accanto all'altro, in modo da comporre le parole del testo. Le parole, a loro volta,
dovevano formare delle righe e le righe, poste una sotto l'altra, le pagine. Legate
strettamente per tenerle ferme, queste pagine venivano spalmate d'inchiostro.
Premendo contro di esse un foglio bianco, se ne otteneva una copia quasi perfetta. Una
volta stampato il numero di copie desiderato, la pagina veniva scomposta; i caratteri
venivano recuperati, divisi lettera per lettera, ciascuna lettera riposta in un proprio
cassettino. Il costo dei libri, che fino ad allora erano stati pazientemente copiati a mano,
diminuì moltissimo mentre aumentò enormemente la quantità dei libri disponibili. L'arte
della stampa si affermò dopo il 1456, data nella quale Gutenberg pubblicò la sua prima
opera importante, la Bibbia. Ciò non avvenne senza difficoltà tecniche, perché i caratteri
mobili che servivano per formare le lettere dovevano essere fabbricati in una lega
metallica né troppo dura né troppo morbida, risultato del corretto dosaggio di piombo,
stagno e antimonio. Per realizzare i caratteri mobili erano necessarie tre operazioni:
· fabbricare dei punzoni, in acciaio molto duro, che recavano il carattere in rilievo;
· realizzare una forma di fusione cava (la matrice) premendo il punzone su un
blocchetto di rame, più tenero;
· infine, riempire la matrice cava con una lega metallica riscaldata fino alla temperatura
di fusione e poi farla raffreddare, ottenendo così il carattere da utilizzare.
Per inchiostrare i caratteri si usò dapprima una piccola spatola e poi un rullo. Per
stampare le pagine si usò per secoli una semplice macchina detta torchio da stampa:
una piastra di metallo comandata da un meccanismo a vite comprimeva il foglio contro
la pagina inchiostrata. L'invenzione della stampa si diffuse molto rapidamente, grazie
agli artigiani stampatori che viaggiavano da un paese all'altro con i propri materiali. lì
primo libro stampato a Parigi è del 1471, a Lione del 1473, a Venezia del 1470, a Napoli
del 1471. Nell'arco di pochi anni sorsero poi delle officine stabili. Nel 1480 più di 100
città europee avevano le loro stamperie e nel 1500 ben 236.Si è calcolato che gli
incunaboli (libri stampati prima del 1500> ebbero una tiratura globale di 20 milioni di
copie; questa cifra è ancora più impressionante se si pensa che l'Europa a quell'epoca
contava forse 70 milioni di abitanti, la grandissima maggioranza dei quali era
analfabeta.
L'ARTE
Già nel Trecento figure di altissimo rilievo, come Giotto (1266-1337), Paolo Uccello
(1397-1475), Simone Martini (1284-1344), avevano dato importanti contributi all'arte
italiana. Nei due secoli successivi vi fu nel nostro paese un'impressionante fioritura di
pittori, scultori, architetti e artisti di ogni genere, che disseminarono l'Europa dei loro
capolavori.Per quanto riguarda l'architettura, furono dapprima rinnovate le città italiane
e in un secondo tempo quelle europee, in molti casi costruite ancora in legno.
Brunelleschi (1377-1446), Bramante (1444-1514), Leon Battista Alberti, Francesco di
Giorgio Martini (1439-1502) e Michelangelo costruirono splendide chiese, grandi
basiliche ornate da cupole gigantesche, palazzi e fortezze. Furono addirittura migliaia i
pittori di scuola veneziana, fiorentina, romana e napoletana che lavorarono per i signori,
i principi, le grandi famiglie italiane e le principali corti europee. Tiziano (1490-1576) fu il
pittore dell'imperatore Carlo V e del re Filippo II di Spagna; Leonardo lavorò per
Francesco I di Francia; Raffaello (1483-1520), fu attivo a Roma per i papi.La splendida
fioritura artistica italiana si prolungò fino a tutto il Seicento. Pittori, scultori, architetti,
scenografi, musicisti, ma anche artigiani e tecnici italiani invasero letteralmente
l'Europa, dando un contributo straordinario alla formazione di un'arte e di una cultura
comune a tutti i maggiori Paesi europei.
LA LETTERATURA DEL RINASCIMENTO
L'opera letteraria italiana che divenne il simbolo del Rinascimento in tutta Europa fu
l'Orlando Furioso, poema scritto da Ludovico Ariosto (1474-1533). Ne vennero
stampate innumerevoli edizioni in pochi anni. Persino coloro che non sapevano leggere,
si tramandavano brani dell'Orlando a memoria.Tramite questo poema dell'amore,
dell'avventura e della fantasia l'Ariosto diffuse in modo del tutto nuovo un tema che
aveva avuto grande fortuna nel Medioevo: quello delle imprese dei cavalieri e dei
paladini di Carlo Magno.Altro grande autore del Cinquecento fu Torquato Tasso (154495), che scrisse in versi la Gerusalemme Liberata, un poema dedicato alla prima
crociata.
IL PENSIERO POLITICO E LA RICERCA STORICA
Il Rinascimento italiano fu uno straordinario momento di sviluppo delle arti. Ma non solo.
Anche la filosofia, la letteratura, il pensiero politico, la ricerca storica attraversarono
innovazioni di grande rilievo.Il fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527), è considerato
l'iniziatore del pensiero politico moderno. Egli studiò la politica come arte del governare,
liberandola dai rapporti con la religione o la morale. Lasciò un'opera, Il principe,
considerata ancora oggi un grande classico della scienza politica.Lo stesso Machiavelli
fu anche uno storico di rilievo, come anche Francesco Guicciardini (1483-1540), che
scrisse la Storia d'Italia.Storici, pensatori, letterati trovarono un largo spazio nelle corti di
signori, principi e sovrani. Lavorarono come educatori, segretari, diplomatici, consiglieri
politici, spesso anche all'estero (in Francia, Spagna o Germania). Talvolta questo
rapporto di dipendenza li costrinse a subire delle umiliazioni, ma spesso permise loro di
creare opere di livello altissimo.
LA SCIENZA
L'interesse per l'uomo e per la natura determinò anche una vivace ripresa dell'indagine
scientifica.Nel Medioevo la scienza si era affidata non tanto all'osservazione diretta dei
fatti quanto alla lettura di testi autorevoli: nella Bibbia o nell'opera del filosofo greco
Aristotele (384-322 a.C.) si rintracciavano le spiegazioni dei fenomeni naturali.In
accordo con la più alta opinione che l'uomo del Rinascimento ebbe di se stesso, la
scienza si liberò dal timore del confronto col passato e si affidò alle proprie ricerche e
alle proprie libere valutazioni. Si cominciò a discutere l'uso che sino ad allora si era fatto
della Bibbia, un testo religioso, come fonte di precise conoscenze scientifiche.Di grande
rilievo furono gli sviluppi delle scienze naturali: biologia, zoologia, botanica. Lo studio
del corpo umano fece grandi progressi soprattutto grazie al belga Andrea Vesalio
(1514-64). Altrettanto importanti furono i passi avanti fatti nel campo dell'astronomia,
soprattutto per opera del polacco Niccolò Copernico (1473-1543). Osservando il moto
dei pianeti, egli dimostrò che è la Terra a girare intorno al Sole e non, come si credeva,
viceversa.L'enciclopedismo, cioè la capacità di approfondire molte discipline, non
caratterizzò solo gli artisti e i filosofi, ma anche gli scienziati. Oltre al caso già citato di
Leonardo, artista e scienziato insieme, ricordiamo quello di Girolamo Cardano (1501-
76), medico, scienziato, matematico, ideatore di dispositivi meccanici ancora oggi in
uso.
LUDOVICO ARIOSTO
Il poeta proviene da una nobile famiglia: il padre era funzionario al servizio dei duchi
d'Este ed era comandante della guarnigione militare di Reggio Emilia. Qui nasce
Ludovico l'8 settembre 1474, primo di dieci fratelli e sorelle. Dall'84 Ludovico si
trasferisce con la sua famiglia a Ferrara dove intraprende i primi studi di diritto
all'Università secondo il desiderio paterno. Tuttavia Ludovico non ama la scienza
giuridica e preferisce frequentare allegre compagnie, darsi ad amene letture o assistere
alla rappresentazione di commedie classiche. Lasciati gli studi poco graditi, si dedica ad
approfondire la sua formazione letteraria e umanistica, di cui è frutto la sua produzione
di liriche latine.
Ariosto viene indirizzato successivamente alla poesia volgare sotto l'influenza
dell'amicizia con Bembo, l'intellettuale più prestigioso dell'epoca, cultore di Petrarca. La
morte del padre, nel 1500, lo mette di fronte alle necessità della vita: deve occuparsi del
patrimonio familiare: deve assumere la tutela dei fratelli minori e cercare di accasare le
sorelle. Per far fronte alle necessità familiari, deve anche accettare cariche ufficiali da
parte degli Estensi. Nell'autunno del 1503 entra al servizio del cardinale Ippolito. Come
il poeta spesso afferma nelle Satire, gli incarichi che rivestiva al servizio del cardinale
sembravano disdicievoli alla sua dignità di letterato ed in contrasto con la sua vocazione
agli studi e alla poesia, che esigeva...
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