Quer pasticciaccio brutto delle elezioni regionali
di Stefano Spinelli
Sommario: 1. Le elezioni ingarbugliate; 2. Il decreto “salva liste”: d.l. 5 marzo 2010, n. 29; 3. Questioni di
costituzionalità del decreto ed ordinanza interlocutoria della Consulta n. 107/2010; 4. Regole, forma e
formalismo; 5. Le decisioni dei Giudici Amministrativi: diversità dei casi lombardo e laziale; 6. Questioni
giuridiche in ordine ai rapporti tra decretazione d’urgenza statale interpretativa ed esercizio del potere
legislativo regionale; 7. La conclusione della vicenda laziale, ad opera del Consiglio di Stato: prime risposte ai
quesiti giuridici sollevati; 8. Conclusioni: tra legalità e democrazia.
1. Quer pasticciaccio brutto delle elezioni regionali – per riprendere il felice titolo di Gadda – ha
messo a dura prova i meccanismi democratici del nostro paese. Già la situazione generale non pare
delle migliori, le tensioni politiche sono estremizzate e spesso si ricorre allo strumento della
delegittimazione dell’avversario politico. Ora, siamo al caos anche nelle procedure elettorali. Così è
successo – non si sa bene come ci si sia arrivati ma fatto sta che è successo – una buona fetta del
popolo italiano è rimasto senza rappresentanza politica (ormai è definitivo) alle elezioni regionali
2010. Non era facile ottenere un risultato così eclatante, ma un groviglio di circostanze ha reso
l’improbabile una pericolosa realtà, che speriamo rimanga un caso isolato, senz’altre conseguenze
per il paese, da cui imparare per l’avvenire.
Comunque la si pensi, quello andato in onda in questi giorni è un pasticciaccio brutto brutto, come
quello in cui si è trovato coinvolto il commissario Ingravallo, in arte don Ciccio, che cerca di
dipanare la trama di un omicidio, in una realtà complessa e talmente variegata da diventare, essa
stessa, una sorta di filosofia esistenziale: «sosteneva – il protagonista – che le inopinate catastrofi
non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare:
ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui
hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o
garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo»1.
Un garbuglio, appunto. Un funzionario di partito, il PDL, si presenta a depositare le liste elettorali
all’ultimo momento dell’ultimo giorno utile, si mette in fila, poi, forse per sistemare beghe interne di
candidati, si assenta e torna oltre l’orario. I radicali, la cui esponente principale in Lazio, la Bonino è
candidata presidente (per il centrosinistra), impediscono il deposito fuori termine delle liste. La lista
PDL, collegata alla candidata presidente Polverini (per il centrodestra), nella provincia di Roma,
rimane fuori dalla competizione elettorale. In Lombardia, poiché i problemi non vengono mai da
soli, si ripete lo psicodramma. L’Ufficio centrale regionale ammette, questa volta, la lista “per la
Lombardia” di Formigoni, presentata in termini e con un numero di firme sufficienti. Solo dopo un
esposto presentato dai radicali, il medesimo Ufficio, in sede di autotutela, revoca l’ammissione della
lista, per irregolarità formali, rinvenendo alcune firme raccolte senza timbro dell’autorità
autenticante, senza indicazione del luogo di autenticazione o della qualifica dell’autenticante. La
maggior forza politica che ha governato la Lombardia ormai da diversi mandati ha rischiato
anch’essa di rimanere senza rappresentanti (poi verrà riammessa dai giudici amministrativi).
Un gomitolo di circostanze e di responsabilità. Un bel po’ di pressapochismo negli adempimenti
preliminari legati alla competizione elettorale da parte del partito di maggioranza. Una buona dose
di acredine politica dei candidati dell’opposizione, legata ai radicali, pronti a cavalcare la carta del
legalismo formale pur di “vincere facile” (come nella pubblicità). Quello stesso legalismo formale,
peraltro, era stato loro fatale in vecchie elezioni di una quindicina di anni fa, quando i radicali erano
stati esclusi e riammessi in corsa per il rotto della cuffia, proprio da un decreto legge (e in quella
occasione non se ne erano certo lamentati). Ci si sono messi anche gli uffici elettorali presso le Corti
di Appello di Roma e di Milano, che hanno applicato le norme vigenti con un rigore particolare,
addirittura riformando, nel caso lombardo, la già disposta ammissione, andando a spulciare firma
per firma la lista del PDL, a seguito dell’esposto ricevuto, ma creando disparità di trattamento
rispetto alle altre liste, che non sono state invece sindacate con la medesima lente di ingrandimento
e con lo stesso metro di giudizio, in assenza di altrettanti pari esposti contro la loro presentazione.
Insomma, un groviglio esplosivo per la democrazia rappresentativa. …
1
C.E.Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti, Milano, 1999, p. 4.
2. Vediamo come hanno funzionato i meccanismi di garanzia nella situazione di crisi
dell’ordinamento giuridico che si è creata.
Il Presidente Napolitano, in funzione di garante imparziale della tenuta democratica del Paese,
quasi di sorpresa, ha controfirmato il decreto legge del governo, di interpretazione autentica degli
artt. 9 e 10 della legge elettorale 108/1968, subito ribattezzato “decreto salva-liste”. “Non era
sostenibile – ha precisato – che potessero non partecipare alle elezioni nella più grande regione
italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo, per errori nella
presentazione della lista… Erano in gioco due interessi o beni entrambi meritevoli di tutela: il
rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col
voto tra programmi e schieramenti alternativi”.
Il provvedimento d’urgenza premette che “è ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di
consentire il corretto svolgimento delle consultazioni elettorali… assicurando il favor electionis,
secondo i principi di cui agli artt. 1 e 48 della Costituzione” 2.
Si tratta di pochi commi. Le norme elettorali richiamate (artt. 9 e 10, l. 108/1968) vanno
interpretate nel senso che “il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera
assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della
prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale”; e la prova di detta
presenza – continua il decreto – “può essere provata con ogni mezzo idoneo” (chiaro riferimento al
caso laziale). Inoltre, “le firme si considerano valide anche se l'autenticazione non risulti corredata
da tutti gli elementi richiesti, purché tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri
elementi presenti nella documentazione prodotta”, e “la regolarità della autenticazione delle firme
non è comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la mancanza o
la non leggibilità del timbro dell’autorità autenticante, dell’indicazione del luogo di autenticazione,
nonché dell’indicazione della qualificazione dell’autorità autenticante, purché autorizzata” (chiaro
riferimento al caso lombardo).
Nelle intenzioni degli autori, il decreto intende superare dubbi maturati anche in giurisprudenza
sulle modalità di presentazione delle liste elettorali, con disposizioni interpretative e conseguente
efficacia retroattiva delle stesse, destinate a valere non solo con riguardo alle attuali elezioni
regionali, ma anche per le successive competizioni elettorali.
In effetti, la giurisprudenza amministrativa era già intervenuta, per esempio, a sancire che non
incorre nella decadenza prevista da disposizioni elettorali, il presentatore di una lista di candidati in
elezione amministrativa, il quale non abbia potuto presentare una documentazione completa per
cause non imputabili al presentatore stesso, ma per ritardi provenienti da terzi3. Non si tratta del
caso accaduto in Lazio, ma la vicenda risolta dai giudici pone il problema di una interpretazione
delle regole mitigate dal buon senso e da una loro applicazione volta a privilegiare, per quanto
possibile, la partecipazione alla competizione elettorale. Allo stesso modo, il decreto – assumendo a
riferimento il caso laziale – è volto ad interpretare la regola del termine di presentazione delle liste,
in modo da non pregiudicare chi entro i termini sia comunque presente con la documentazione nei
locali del Tribunale.
Con riguardo, invece, alla mancanza del timbro di autenticazione sulle liste, deve dirsi che essa è già
stata riconosciuta più volte, dalla giurisprudenza, come una mera irregolarità, non idonea ad
inficiare la raccolta di firme, anche dal Consiglio di Stato, in diverse sentenze4. L’odierno decreto,
dunque, per questa parte, si limita ad ufficializzare un orientamento giurisdizionale già più volte
enunciato.
Il decreto precisa poi che “le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da
parte dell’Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso
Ufficio” e contro di esse “può essere proposto esclusivamente ricorso al Giudice amministrativo”;
ciò, ad impedire gli esiti contraddittori a cui si è giunti in Lombardia.
Decreto Legge 5 marzo 2010, n. 29, “Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e
relativa disciplina di attuazione”.
3
Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 1999, n. 209.
4
Ad esempio, Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2006, n. 1074. Nel caso lombardo, le sole firme annullate per
mancanza di timbro, e da ritenersi invece valide ai sensi di detto orientamento, avrebbero permesso di
raggiungere il quorum di firme, 3.500, sufficienti per la presentazione della lista.
2
Peraltro, quest’ultimo punto è stato espressamente affermato anche dal T.A.R. Lombardia5 (che è
intervenuto proprio nella odierna vicenda delle elezioni regionali lombarde) che ha sospeso il
provvedimento di esclusione della lista di Formigoni ammettendola in via cautelare alle operazioni
elettorali. Il T.A.R., anzi, è giunto alla medesima conclusione interpretativa di cui al decreto, senza
bisogno di applicare alcun decreto a monte: “il procedimento previsto dall’art. 10 della legge
108/1968 non sembra lasciar spazio all’esercizio del potere di autotutela o, comunque, di revisione
dei risultati dell’atto di ammissione delle liste, a parte il rimedio… che tuttavia si riferisce in modo
tassativo all’impugnazione delle decisioni di eliminazione delle liste o dei candidati”. Insomma, solo
chi è escluso può chiedere di rivedere in via di autotutela il giudizio dell’Ufficio elettorale
presentando nuovi elementi a proprio favore. L’Ufficio non può invece rivedere le proprie decisioni
sulla base di esposti presentati contro l’ammissione di liste concorrenti.
3. Come prevedibile, il decreto legge 29/2010 ha suscitato numerose critiche e valutazioni di
incostituzionalità, sia con riguardo alla ritenuta sua natura non interpretativa6, sia con riguardo alla
violazione di norme costituzionali: dall’art. 72, 4° co., Cost. sul presupposto dell’esistenza in materia
elettorale di una riserva di assemblea; all’art. 77, 2° co., Cost., sull’inesistenza dei presupposti di
necessità ed urgenza; oppure all’art. 48 Cost., in ragione dello sbilanciamento del diritto di voto
determinato dalla reintroduzione di una lista in assunta violazione della par conditio stabilita dalle
regole vigenti della competizione elettorale; o ancora agli artt. 3 e 25 Cost., in relazione al ritenuto
esercizio abnorme della potestà di interpretazione autentica7.
Più precisamente, la stessa Regione Lazio ha proposto apposito giudizio di legittimità costituzionale
degli artt. 1 e 2 del d.l. 29/2010, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 48, 72, 4°co., 77, 102, 104, 111 e
122 Cost.
Ovviamente l’aspetto più problematico è la eccepita lesione alla competenza legislativa regionale nel
disciplinare, con disposizioni di dettaglio, la materia delle elezioni regionali ex art. 122 Cost.
(questione che, come meglio si vedrà, è stata oggetto anche della decisione del TAR Lazio nel
respingere la domanda cautelare di sospensione dell’esclusione della lista PDL dalle elezioni
regionali; il giudice amministrativo ha concluso, sic et simpliciter, per l’inapplicabilità del decreto
legge alla Regione Lazio).
Da parte ricorrente, si sostiene che le disposizioni regionali di dettaglio (di cui alla l.r. 13 gennaio
205, n. 2), a seguito del sopravvenuto trasferimento della competenza legislativa, in materia, alle
Regioni ed all’esercizio di detta competenza8, non potrebbero essere modificate da sopravvenute
disposizioni statali. La suddetta impossibilità si sostanzierebbe nel concomitante operare di un
duplice presupposto: a) la legge regionale recepisce la legislazione statale per quanto non
espressamente previsto dalla prima, con recepimento da qualificarsi come recettizio, con la
conseguenza di rendere la disciplina regionale immune da successivi mutamenti normativi in ambito
statale; b) l’impugnato decreto legge sarebbe privo della dichiarata natura interpretativa, essendo
idoneo ad innovare le disposizioni di cui alla l. 108/1968, assumendo così natura di normazione
successiva inapplicabile in ambito regionale.
Da parte resistente si sottolinea, invece, che l’art. 122 Cost. attribuirebbe alle Regioni una potestà
legislativa “non per tutta la materia elettorale”: ferma la potestà regionale sul “sistema di elezione”,
non sarebbe ad essa riferibile la disciplina del “procedimento elettorale”, che riguarderebbe
l’esercizio di funzioni amministrative statali riconducibili all’ordinamento civile, oppure la
regolamentazione dei rimedi amministrativi e giurisdizionali delle decisioni di esclusione ed
ammissione dei candidati e liste, con riferimento alla competenza esclusiva dello Stato ex art. 117,
2° co., lett. l), Cost.; in ogni caso, detta disciplina sarebbe correlata all’art. 117, 2° co., lett. m), Cost.,
5
T.A.R. Lombardia, sez. IV, ordinanza 6 marzo 2010, n. 208.
L. D’Angelo, Il decreto “salva liste” e la sua problematica retroattività, in Forum di Quaderni Costituzionali,
Newsletter
8
marzo
2010,
http://www.forumcostituzionale.it/images/stories/pdf/documenti_forum/temi_attualita/sistema_elettorale/0008_
dangelo.pdf
7
Per alcuni di questi aspetti, L.Pedullà, Sul decreto interpretativo n. 29/2010, più noto come “salva-liste PdL”,
in
Forum
di
Quaderni
Costituzionali,
Newsletter,
17
marzo
2010,
in
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/temi_attualita/sistema_elettorale/0
016_pedulla.pdf.
8
La competenza regionale si è concretizzata a seguito dell’adozione della l. 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni
di attuazione dell’art. 122, 1° co., Cost.) che ha dettato i principi fondamentali in materia.
6
concernendo norme procedimentali in funzione di garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni
“che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Ovviamente, per l’Avvocatura, non vi sarebbero dubbi sul carattere interpretativo delle disposizioni
impugnate, e sulla conseguente efficacia retroattiva delle stesse.
E pare questo il punto sul quale, probabilmente, si giocherà la partita di costituzionalità.
Per il momento, la Corte Costituzionale è intervenuta nella questione con una ordinanza,9 con la
quale ha “rigettato” la domanda di sospensione dell’efficacia del decreto legge 29/2010, proposta
dalla regione Lazio. Esso è quindi efficace ed applicabile nell’ordinamento (la sua presenza ha
peraltro permesso la ri-presentazione della lista PDL in provincia di Roma, anche dopo il termine,
sul presupposto della presenza in termini del funzionario negli Uffici elettorali; la lista è stata infine
esclusa per mancata completezza della documentazione dall’ufficio elettorale centrale con decisione
confermata, ora in via definitiva, dalla giustizia amministrativa).
Nella specie, la Consulta non ha rinvenuto il presupposto del periculum in mora nei termini di cui
all’art. 35 della l. 87/1953: la condizione di “precarietà che caratterizza l’imminente competizione
elettorale in ragione della vigenza di un decreto-legge non ancora convertito” – si legge nella
decisione interlocutoria – “permarrebbe con identica gravità, ove fosse accolta la domanda cautelare;
infatti, ben potrebbe verificarsi che il giudizio costituzionale si concluda definitivamente con una
pronuncia di non fondatezza, ovvero di inammissibilità; in tal caso, la sospensione dell’efficacia del
decreto-legge impugnato potrebbe produrre un danno analogo, per qualità e intensità, ai diritti e
agli interessi implicati dallo svolgimento delle elezioni, che deriverebbe, in senso uguale e contrario,
dall’applicazione delle disposizioni censurate; nella fattispecie non è possibile affermare che sia
prevalente il danno derivante dal perdurare dell’efficacia del decreto-legge censurato”.
La posizione assunta dalla Consulta – pur lasciando del tutto inalterata la questione di
costituzionalità – si ritiene guidata dal principio, pacato e condivisibile, di preminenza dell’interesse
all’ampliamento della partecipazione alla competizione elettorale, piuttosto che di una sua
restrizione. Il decreto legge è infatti finalizzato a consentire una più ampia offerta rappresentativa,
in sede di esercizio del diritto di voto dei cittadini ex art. 48 Cost., mediante una interpretazione
delle regole elettorali meno rigorosa, in grado di salvaguardare alcune situazioni ibride che si sono
effettivamente concretizzate nella realtà (presenza in tempo utile, nell’ufficio elettorale, dei delegati
incaricati alla presentazione delle liste, ma ricezione della documentazione, da parte dell’ufficio, a
termine scaduto; firme di presentazione e loro autenticazione non corredata da tutti gli elementi
richiesti, quando si tratti di irregolarità solo formali oppure i dati siano comunque desumibili dalla
documentazione prodotta).
In presenza di una situazione di non riconoscibilità di un danno prevalente a seconda
dell’applicabilità o meno del decreto d’urgenza, prevale – nel giudizio espresso dalla Consulta –
l’interesse a mantenere lo status quo che garantisce una più ampia partecipazione alla competizione
elettorale.
4. La decisione fa il paio (ed è in linea) con la scelta del Presidente Napolitano di controfirmare il
decreto-legge, per “impedire che potesse non partecipare alle elezioni il maggior partito politico di
governo”, per errori nella presentazione della lista (ciò che peraltro si è verificato ugualmente).
La maggior obiezione a queste posizioni – di vero buon senso istituzionale – consiste nel fatto che,
in tal modo, si stravolgerebbero le regole del gioco a gioco iniziato e che non sarebbe sanabile
l’errore, poiché la colpa dell’esclusione sarebbe da attribuirsi esclusivamente alla lista esclusa (ai
loro presentatori) con conseguente assunzione di responsabilità.
Alla prima considerazione può replicarsi che, tra le regole del gioco delle ormai prossime elezioni
regionali, non ancora svoltesi, vi sono anche quelle poste in essere dagli organi competenti una
volta superati i meccanismi di garanzia istituzionali, quali la controfirma presidenziale ed il
sindacato costituzionale. Quindi, tra le regole delle elezioni in Lazio, e per quelle successive, alla
data odierna, vi è anche il famigerato decreto-legge, che è stato controfirmato dal Presidente della
Repubblica e che non è stato sospeso dalla Corte Costituzionale. Non si può sostenere (come da più
parti è stato detto) che la partecipazione della lista esclusa, se fosse stata possibile grazie
all’emanazione del decreto legge, sarebbe stata un attentato alla legalità, perché tra gli elementi
della legalità consentiti e previsti dall’ordinamento – si ripete, allo stato attuale – vi è anche la
decretazione d’urgenza non sospesa.
9
Corte Cost., ord. 18 marzo 2010, n. 107.
Alla seconda obiezione può replicarsi sottolineando che alle elezioni non si applicano le categorie
dell’imputazione di responsabilità, bensì della rappresentanza politica, ossia della definizione di
quale indirizzo politico debba essere attuato nel governo del paese o locale, in rappresentanza di
quella sovranità che appartiene al popolo e che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione,
art. 1, 2° co., Cost.
Da questo punto di vista, si ritiene che la maggior offerta politica possibile ai cittadini, nell’esercizio
del diritto di voto ai sensi dell’art. 48 Cost., sia comunque un arricchimento, un plus di democrazia,
indipendentemente dagli sbagli commessi dai singoli delegati di lista (che peraltro agiscono come
longa manus delle forze politiche stesse).
In ipotesi estrema, nella presente fattispecie, una impossibilità per forza maggiore del delegato, od
un suo errore, rispetto all’esito democratico delle elezioni, non si ritiene conducano a differenze
sostanziali. La questione pare essere a monte: non su quali siano le cause del mancato rispetto delle
regole, ma se al mancato rispetto delle regole corrisponda una lesione sostanziale della ratio legis,
per la quale quelle stesse regole sono state poste.
Qui, infatti, non è in gioco tanto la distinzione tra regola inderogabile (quando il suo mancato
rispetto sia imputabile allo stesso soggetto agente …), e regola derogabile (quando il suo mancato
rispetto non sia imputabile al soggetto agente); bensì la maggior o minor portata applicativa della
regola, secondo il criterio della ragionevolezza, in rapporto alla situazione concreta da
regolamentare ed alle finalità connesse alla regola stessa.
Le regole di procedura elettorale che qui vengono in considerazione sono finalizzate a consentire un
ordinato svolgimento delle operazioni, con un necessario termine di presentazione delle liste per
fotografare la situazione ad una certa data e consentire una pari competizione con partecipanti
precisi e ben individuati; ed a limitare la partecipazione alle sole liste che abbiano un reale riscontro
di rappresentanza sul territorio, con la richiesta di un numero minimo di sottoscrittori.
Ora, la lista di cui si discute l’esclusione (indipendentemente dalle singole soggettive o politiche
responsabilità) è quella del maggior partito di governo. Essa non ha margini di incertezza in ordine
alla insita idoneità a prendere parte alla competizione elettorale (ed è questo il fine per ottenere il
quale sono poste le regole elettorali di cui qui si discute). Alcune discipline, tra cui la stessa legge
elettorale regionale laziale n. 2/2005, all’art. 9, prevedono ragionevolmente, ad esempio, l’esonero
dall’adempimento della sottoscrizione per quelle liste che siano già espressione di partiti o
movimenti già rappresentati nell’assemblea da eleggere. Con ciò non si vuole sostenere che, laddove
non sia espressamente previsto, anche dette liste più importanti non siano tenute al rispetto delle
regole elettorali vigenti. Si vuole però sottolineare che pare ragionevole una precisazione delle
modalità applicative di dette regole che tenga conto sia della sostanziale idoneità alla partecipazione
elettorale da parte delle liste “erranti”, sia del diritto di voto dei cittadini che in esse legittimamente
si riconoscono.
Altrimenti, dalla legalità si rischia di cadere nel legalismo o nel formalismo.
Si ritiene che il decreto legge approvato dal Governo e controfirmato dal Presidente della
Repubblica avesse proprio lo scopo di evitare questa deriva. Allo stesso modo, può riconoscersi
questa attenzione, da parte della Consulta, nell’assumere l’ordinanza di rigetto della sospensione
della suddetta decretazione d’urgenza.
5. Il decreto legge governativo-presidenziale non è bastato a “salvare” la partecipazione della lista
PDL alla competizione regionale (almeno con riguardo alle elezioni laziali).
Infatti, se il T.A.R. Lombardia, come visto, ha accolto l’istanza cautelare presentata dalla lista
Formigoni, senza neppure aver bisogno di applicare il decreto “salva liste” (la decisione cautelare è
stata poi confermata, in via definitiva, dal Consiglio di Stato), il T.A.R. Lazio10, nell’esaminare
l’istanza di sospensione del provvedimento di esclusione della lista PDL alle elezioni regionali, ha
invece deciso che il decreto interpretativo autentico della legge elettorale 108/1968 non si applica
alla Regione Lazio. Quest’ultima, pur non essendo a statuto speciale ma ordinario, ha però “dettato
proprie disposizioni in tema elettorale”, quindi “a seguito dell’esercizio della potestà legislativa
regionale, la potestà statale non può trovare applicazione nel presente giudizio”.
La legge 108/1968 si intitola espressamente “Norme per le elezioni dei Consigli Regionali delle
Regioni a statuto normale”.
La riforma del Titolo V della Costituzione, attuata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
come noto, ha effettivamente assegnato alle Regioni una potestà legislativa residuale, ossia relativa
10
T.A.R. Lazio, sez. II bis, ordinanza 9 marzo 2010, n. 1119.
“ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” (allo Stato sono state
riservate le leggi elettorali degli organi dello Stato e la legislazione elettorale di Comuni, Province e
Città metropolitane). Inoltre, l’art. 122 Cost. stabilisce che “il sistema di elezione” degli organi
regionali è disciplinato con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con
legge della Repubblica.
La Regione Lazio ha esercitato detto potere adottando una propria legge elettorale, che è la legge
13 gennaio 2005, n. 2, “Disposizioni in materia di elezione del Presidente della Regione e del
Consiglio regionale e in materia di ineleggibilità e incompatibilità dei componenti della Giunta e del
Consiglio regionale”. Ma per escludere automaticamente l’operatività della legge generale nazionale
in ambito regionale occorre verificare il contenuto della volontà legislativa regionale.
Ebbene, l’art. 1 recita: “All’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio regionale si
applicano le disposizioni della presente legge. Per quanto non espressamente previsto, sono recepite
la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a
statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle
regioni a statuto ordinario), e successive modifiche e integrazioni. Si applicano, inoltre, in quanto
compatibili con la presente legge, le altre disposizioni vigenti nell’ordinamento in materia”.
Pare dunque chiaro che, pur avendo esercitato, la Regione Lazio, la propria potestà legislativa, essa
stessa ha ritenuto di riferirsi, per quanto non espressamente regolato in deroga, alla legge elettorale
108/1968, oggetto dell’interpretazione autentica dell’attuale decreto legge.
Poiché, da un rapido esame della normativa regionale, non sembra via sia alcuna regolamentazione
espressa (in deroga alla legge elettorale o comunque diversamente da essa) delle modalità di
presentazione delle liste presso gli uffici elettorali, se ne dovrebbe dedurre la piena applicabilità
dell’art. 1, comma 1, del decreto legge 29/2010, anche alla vicenda in esame.
6. Ma il punto affrontato nella decisione amministrativa è il principio per cui, una volta intervenuta
la regolamentazione regionale, sarebbe precluso allo Stato di intervenire in materia.
L’ordinanza del T.A.R. ha sottolineato, infatti, il già avvenuto esercizio della potestà legislativa
regionale in materia, e – considerando il rinvio operato alla legge statale come rinvio “meramente
materiale e recettizio”, sicché la legge regionale avrebbe fotografato le norme statali al momento del
recepimento – da ciò ha dedotto l’impossibilità per il potere legislativo statale di intervenire
ulteriormente a modificare le disposizioni recepite.
Nella fattispecie, però, si è in presenza di una – sia pur contestata – interpretazione autentica, che
spetta all’organo che ha emanato l’atto da interpretare (ossia lo Stato) ed è applicabile
retroattivamente, e dunque gli effetti dell’interpretazione sono da ricondursi all’atto normativo
originario, come se esso fosse stato sempre emanato con il contenuto assegnatogli dall’azione
interpretativa e nella formulazione stabilita da quest’ultima11.
Il rinvio alla legge elettorale statale, effettuato dalla legge regionale 2/2005 (“è recepita la legge
108/1969”), dovrebbe quindi considerarsi effettuato nella formulazione originariamente voluta dal
legislatore così come precisata in sede di interpretazione autentica.
In sostanza, non si tratterebbe di un nuovo esercizio di potestà normativa da parte del legislatore
statale, bensì di precisazione della volontà legislativa così come originariamente disposta e recepita
dalla legislazione regionale.
Anche in presenza di perplessità in ordine all’effettivo carattere interpretativo della nuova
normativa statale d’urgenza, si ritiene che il sindacato del giudice amministrativo dovesse
comunque prendere in considerazione quest’ultima come applicabile al caso concreto in ambito
regionale, al limite sollevando contestualmente la questione di legittimità costituzionale12.
In secondo luogo, si potrebbero formulare perplessità anche in ordine alla immediata qualifica di
“recettizio” assegnata al rinvio operato dalla legge regionale a quella statale, manifestando
quest’ultimo, pare, una struttura e funzione “dinamica”, coinvolgendo anche ulteriori e successivi
Corte Cost., sentenza n. 74 del 2008, ove la Consulta ha anche precisato che l’assegnazione di uno dei
possibili contenuti al testo normativo effettuata dall’interpretazione autentica, può intervenire anche in assenza
di contrasti giurisprudenziali.
12
Alle suddette conclusioni giunge G.Guzzetta, Alcuni dubbi sull’ordinanza del TAR Lazio in tema di elezioni
regionali,
in
Forum
di
Quaderni
Costituzionali,
Newsletter
13
marzo
2010,
in
http://www.forumcostituzionale.it/images/stories/pdf/documenti_forum/temi_attualita/sistema_elettorale/0012_
guzzetta.pdf.
11
interventi statali in materia, e non esclusivamente limitato al contenuto dispositivo esistente al
momento del recepimento.
Si consideri che la legge regionale, per quanto non espressamente previsto dalle proprie
disposizioni, recepisce non solo la l. 108/1968 (norme per la elezione di Consigli regionali delle
Regioni a statuto normale), ma anche al l. 43/1995 (nuove norme per la elezione dei consigli delle
regioni a statuto ordinario), ed inoltre le loro “successive modifiche ed integrazioni”. Ma quel che
più conta, il terzo comma dell’art. 1 stabilisce che “si applicano, inoltre, in quanto compatibili con la
presente legge, le altre disposizioni vigenti nell’ordinamento in materia”.
Trattasi di clausola normativa di chiusura, che amplia il recepimento (rectius: rinvio) regionale ad
altre normative non meglio specificate se non per riferimento all’oggetto (la stessa “materia”).
Ora, se la volontà legislativa regionale avesse voluto recepire un ben preciso e cristallizzato
contenuto normativo statale, inalterabile nel tempo, avrebbe dovuto semplicemente rinviare ad un
testo legislativo indicato espressamente ed individuato chiaramente, senza margine di dubbio, né
con riguardo a successivi eventuali cambiamenti del testo, né con riguardo ad altre eventuali
disposizioni vigenti in materia.
La norma regionale pare invece avere un contenuto “aperto”, sia nel tempo che nello spazio, in
relazione alle modifiche e integrazioni delle leggi recepite, ed in relazione ad altre norme applicabili
oltre a quelle elencate.
Il rinvio regionale alle disposizioni statali recepite, per tutto quanto non espressamente previsto
dalla legge regionale, pare essere fatto non meramente rispetto ad una singola norma, o insieme di
norme, bensì “alla stessa fonte produttiva della norma” in materia, a quanto cioè prodotto dal
legislatore statale in sede di regolamentazione del procedimento elettorale regionale, richiamandosi
non solo le leggi statali esistenti, la l. 108/1968 e la l. 43/1995, ma anche le loro modifiche,
integrazioni, e ritenendo applicabili anche tutte le altre disposizioni vigenti nell’ordinamento; e
rinviando quindi anche “a tutte le successive statuizioni provenienti dalla fonte stessa”13 nella
medesima materia; ovviamente, in quanto compatibili con le norme regionali.
In questa ottica, se anche non si ritenga il decreto “salva liste” interpretativo, esso costituisce
comunque una modifica o integrazione della norma recepita dalla regione, che pare essere, a sua
volta, oggetto di recepimento, da parte del comma 2 dell’art. 1 della l.r. 2/2005. In ogni caso, esso
rappresenta una disposizione successivamente emanata “in materia” e “vigente”, applicabile alla
fattispecie in virtù del comma 3 dell’art. 1, se non incompatibile con le disposizioni regionali14.
7. La questione giuridica, interessante dal punto di vista teorico, si è progressivamente chiarita sino
ad avere un abbozzo di risposta, grazie all’evoluzione giurisdizionale amministrativa che è seguita
alla pronuncia cautelare del T.A.R. Lazio, che ha di fatto precluso alla lista del PDL di essere
presente alla competizione elettorale, ed in particolare grazie alle considerazioni contenute – quasi a
titolo di obiter dictum ed in sede del sommario esame che non può non contraddistinguere la
decisione cautelare – nell’ordinanza del Consiglio di Stato, 20 marzo 2010, n. 1302, di cui si dirà
meglio oltre.
Proseguendo cronologicamente negli eventi, deve dirsi che, a seguito del ricorso proposto dalla lista
elettorale esclusa contro l’ordinanza del T.A.R. Lazio, il Consiglio di Stato ha decretato, in un
primo tempo, l’improcedibilità della domanda cautelare di sospensione dell’esclusione, per difetto
sopravvenuto di interesse15. La formula tecnica indica che la questione dell’ammissione della lista
PDL alle elezioni regionali laziali, conseguente alla mancata presentazione della lista entro le ore 12
del 27 febbraio, dovuta all’allontanamento del presentatore di lista dall’ufficio centrale, è ormai
superata, in virtù della successiva presentazione della lista in data 8 marzo, in applicazione proprio
dell’approvato decreto legge governativo-presidenziale n. 29/2010. Quest’ultimo – precisando che
13
C.Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Tomo I, Cedam, Padova, 1975, p. 319.
Qualche dubbio a questa impostazione potrebbe riconnettersi al fatto che le successive modifiche e
integrazioni delle leggi statali recepite possono intendersi quelle vigenti al momento del recepimento; sicché
non verrebbero recepite le successive e la situazione verrebbe cristallizzata a quel momento.
Allo stesso modo, potrebbe intendersi anche il terzo comma, come relativo alle sole altre disposizioni in
materia vigenti al momento del recepimento. In realtà, in questo caso, a parte l’incongruenza di un recepimento
cristallizzato, ma nello stesso tempo aperto a normative non specificate, rimane l’argomento ritenuto decisivo
dell’utilizzo della locuzione (non “sono recepite”, come nel secondo comma, bensì) “si applicano inoltre…”,
con chiaro riferimento – almeno così pare – anche a tutte le disposizioni via via vigenti nel tempo.
15
Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2010, n. 1206.
14
“il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi,
i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano
fatto ingresso nei locali del Tribunale” – ha realizzato il presupposto che ha consentito la
presentazione successiva della lista all’ufficio elettorale centrale.
In sostanza, l’ufficio centrale ha infine preso in considerazione la lista PDL, grazie al decreto
intervenuto, pur ricusandola in ragione dell’assenza della completa documentazione entro il termine
di legge. Pertanto il ricorso al Consiglio di Stato, volto ad ottenere una pronuncia in via d’urgenza
che consenta la presentazione della lista ai fini delle valutazioni dell’ufficio elettorale, risulta essere
“superato” e l’interesse al ricorso “già soddisfatto”.
Il contenzioso si è spostato quindi sulla successiva esclusione disposta dall’ufficio centrale (avverso
la quale sono stati presentati nuovi ricorsi al TAR, che hanno complicato ulteriormente la vicenda).
Si è aperto un nuovo binario giurisdizionale.
Per quello originario, si è consolidato definitivamente l’effetto prodotto dal rigetto del ricorso da
parte del TAR Lazio.
Ma anche il nuovo binario si è chiuso in fretta, seppure su altri presupposti e per tutt’altri motivi
rispetto a quello “originario” dell’inapplicabilità del decreto legge alle elezioni regionali.
Come si è detto, il TAR Lazio è stato coinvolto una seconda volta nell’esame dell’esclusione della
lista PDL anche dopo la ri-presentazione della stessa in forza del fantomatico decreto “salva liste”.
Anche questa seconda decisione cautelare16 ha confermato la ricusazione della lista disposta
dall’ufficio centrale, sulla base di tre successive subordinate: a) l’inapplicabilità alle elezioni regionali
del Lazio delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 1 e 4, del d.l. n. 29/2010; b) anche laddove le
citate disposizioni del decreto dovessero trovare applicazione, dubbi di illegittimità costituzionale
imporrebbero di investire la Corte costituzionale del relativo giudizio, precludendo nel contempo la
concessione della tutela cautelare per difetto del necessario “fumus boni juris”; c) anche laddove le
disposizioni del decreto dovessero in ipotesi essere ritenute applicabili alla fattispecie in esame e non
affette da profili di incostituzionalità non manifestamente infondati, in ogni caso le valutazioni
dell’Ufficio centrale regionale apparirebbero comunque logicamente stringenti nell’escludere la
possibilità di presentazione della lista a causa dell’assenza della prova circa la presenza dei delegati
presentatori entro il termine utile “muniti della prescritta documentazione”.
Ebbene, il Consiglio di Stato17, in sede di appello cautelare avverso la predetta sentenza, ha
rigettato definitivamente la domanda cautelare della lista esclusa, sulla base della terza subordinata
espressa dal giudice amministrativo di primo grado.
Il Consiglio di Palazzo Spada ha motivato il rigetto ritenendo comunque le disposizioni del decreto
legge applicabili alla Regione Lazio, anche a prescindere dalla natura del rinvio (“materiale o
mobile”), in virtù dell’evidente ratio del decreto, volto ad introdurre norme di “interpretazione
autentica”. Al giudice non è consentita la disapplicazione di dette norme, salvo sollevare la
questione di legittimità costituzionale (eccepita dalle parti resistenti con riferimento alla violazione
dell’art. 122 Cost.). Tale questione risulta tuttavia priva del requisito di rilevanza, non potendo le
parti trarre beneficio dalle suddette disposizioni, per l’assenza delle condizioni ivi richieste per la
presentazione delle liste (ossia, la mancanza della completa documentazione entro i termini di legge),
in quanto ai sensi dell’art. 1, 1° co., d.l. 29/2010, “non è sufficiente la prova della presenza dei
delegati all’interno dei locali del Tribunale entro le ore 12.00 della menzionata data, ma è necessario
dimostrare anche il possesso della documentazione prescritta per la presentazione della
lista”(ponendosi eventualmente il solo problema se di tale possesso possa essere data prova “con
ogni mezzo idoneo”, questione da risolvere in senso positivo).
Va quindi evidenziato come i motivi originari riguardanti l’esclusione della lista PDL in rapporto al
decreto legge governativo-presidenziale siano venuti a mutare progressivamente nell’evoluzione
giurisprudenziale, passando da una sostanziale inapplicabilità del decreto all’ambito regionale, in
virtù anche di una ritenuta sua natura non interpretativa, ad una sostanziale applicabilità del
decreto alla vicenda regionale (fatta salva la sua questione di costituzionalità non affrontata nel
merito dalla Corte Costituzionale), pur confermandosi l’esclusione della lista sulla base delle stesse
“condizioni sananti” contenute nel decreto medesimo18.
16
TAR Lazio, sez. II bis, 18 marzo 2010, n. 1239.
Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2010, n. 1302.
18
A corollario di questa evoluzione si ritiene opportuno citare alcuni passi dell’ordinanza del Consiglio di
Stato: “l’art. 1, 1° e 4° co., d.l. n. 29/2010, come peraltro l’art. 2, sembrano contenere disposizioni di contestata
natura interpretativa espressamente dettate per tutte le elezioni regionali in corso… ; in presenza di tale dato
17
Detta ordinanza, resa in sede cautelare, pone fine al groviglio delle elezioni regionali, ove occorre
distinguere i due diversi percorsi compiuti dal caso laziale e da quello lombardo, e dà alcune prime
risposte ai quesiti giuridici sollevati dalle fattispecie esaminate.
8. Nella sostanza degli interventi istituzionali esaminati, mi pare che la enunciazione espressa dal
Capo dello Stato, in sede di controfirma del decreto legge, esprima una posizione di assoluto buon
senso.
Le regole che disciplinano gli adempimenti elettorali, ed in particolare quelle relative alla
presentazione delle liste da parte di un certo numero di sottoscrittori (che hanno lo scopo di
“garantire un minimo di serietà alle candidature”), dovrebbero essere interpretate secondo il
principio del cd. favor partecipationis, che vuol dire che in situazioni di incertezza dovrebbe
privilegiarsi la soluzione favorevole alla maggior concorrenza elettorale possibile. Altrimenti, si
rischia di cadere non nell’applicazione della regola, bensì nel formalismo. Il problema è discriminare
quando la regola ha una ragione sostanziale di applicazione e quando invece risulta mero
adempimento scollegato da alcuna ragione effettiva (“esteriorità a cui non corrisponde nessuna
essenza”19). In tal caso, può diventare arbitrio.
Un disegno di legge presentato al senato nell’ormai lontano 1972 (n. 332), proponeva di non
richiedere neppure la sottoscrizione degli elettori nel numero prescritto per la presentazione dei
candidati, quando il loro contrassegno fosse appartenuto a partiti già rappresentati in parlamento20.
Non se ne è mai fatto nulla. Ma la proposta dà l’idea di quale sia il significato da attribuire al quorum
di firme di presentazione delle liste.
La stessa legge regionale del Lazio, all’art. 8, proprio in deroga all’art. 9 della legge 108/1968,
precisa che “nelle prossime elezioni regionali (ossia nelle odierne), le liste che sono espressione di
partiti o di movimenti rappresentati da gruppi consiliari già presenti in Consiglio alla data di
entrata in vigore della presente legge sono esonerate dalla sottoscrizione degli elettori”.
normativo, pur dando atto dell’approfondito iter argomentativo seguito dal Tar, sembra preferibile ritenere – in
sede di sommario esame proprio della sede cautelare – che le citate disposizioni del d.l. siano applicabili pure
nella regione Lazio, anche a prescindere dalla soluzione della questione del carattere del rinvio (materiale recettizio o mobile) contenuto nell’art. 1 della l.r. Lazio n. 2/2005, risultando evidente la ratio del decreto legge
di introdurre norme, qualificate di ‘interpretazione autentica’, destinate a consentire per tutte le elezioni
regionali in corso la presentazione delle liste non ammesse per le quali i delegati si siano trovati nelle
condizioni di cui all’art. 1, 1° co., dello stesso decreto; accertata l’applicabilità del d.l. alla regione Lazio, al
giudice non è consentita la disapplicazione di talune disposizioni, potendo al più – in presenza di un dubbio di
costituzionalità non manifestamente infondato – sollevare questione di legittimità costituzionale; le questioni di
costituzionalità del d.l. sono state prospettate dalle parti resistenti sotto diversi profili, tra cui quello della
preclusione per il legislatore statale di intervenire con disposizioni di dettaglio in materia di competenza
concorrente ai sensi dell’art. 122 Cost. e quello dell’emanazione di norme di interpretazione autentica in caso
di (sopravvenuta) assenza della potestà legislativa da parte dell’organo legiferante… ; tali questioni di
costituzionalità, tuttavia, sono prive del requisito della rilevanza e non necessitano, quindi, di delibazione sotto
il profilo della manifesta infondatezza, non potendo le parti appellanti trarre beneficio dalle contestate
disposizioni del d.l. per l’assenza delle condizioni richieste dallo stesso d.l. per la presentazione delle liste (si
ricorda che con ordinanza n. 107/2010 la Corte Costituzionale ha esaminato il d.l. n. 29/10 solo sotto il profilo
del periculum in mora, astenendosi da ogni valutazione sul fumus delle contestazioni mosse dalla Regione
Lazio al decreto); è, quindi, necessario in questa fase cautelare dare rilievo al profilo del fumus, in quanto sotto
l’aspetto del periculum ogni soluzione non è in assoluto idonea a ‘rimuovere in via definitiva la condizione di
precarietà che caratterizza l’imminente competizione elettorale’, come anche rilevato dalla Corte
Costituzionale; con riguardo al fumus, si rileva che…”.
19
S.Satta, Il mistero del processo, Adelphi, Milano, 1994, 84.
Mi paiono significative queste parole dell’Autore, ad introduzione del suo capitoletto titolato “il formalismo
nel processo”: “Poco conta lo scrivere il ‘parlando a’ in principio o in fine dell’atto di citazione. La cosa
essenziale è il non ometterlo. Ma siccome spesso l’atto di citazione è consegnato all’usciere, sia dalla parte, sia
dal suo patrocinatore, scritto di pugno dell’una o dell’altro; siccome vi si scrivono le parole ‘parlando a’,
lasciando appresso un po’ di spazio in bianco da riempirsi da questo uffiziale ministeriale, così egli deve stare
attento a scrivere in linea retta in seguito delle dette parole, e non mai in ogni altro luogo dell’atto, il nome, il
cognome, o la qualità della persona cui consegna la copia; diversamente l0’atto di citazione dovrebbe esser
dichiarato inefficace, come avvenne in una causa (decisa dalla Corte di Brusselle il 26 giugno 1803) in cui il
nome della persona che aveva ricevuto l’atto erasi scritto nel corpo di esso due linee più sopra del luogo dove
stava scritto il ‘parlando a’”, p. 81.
20
C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Tomo I, Cedam, Padova, 1975, p. 441.
In ogni caso, quando una applicazione eccessivamente rigorosa delle regole elettorali rischia di
ledere i diritti politici dei cittadini e la loro partecipazione democratica alle elezioni dei propri
rappresentanti, è questa seconda esigenza che dovrebbe prevalere. E’ in gioco la stessa democrazia
partecipativa.
Per questo, mi paiono veramente azzardate e non condivisibili quelle interpretazioni che vedono
nella risposta del Governo e nella controfirma del Presidente della Repubblica un vulnus alla stessa
democrazia del paese, parlandosi di “decreto truffa”, con inevitabile contorno di manifestazioni in
piazza e cori di attentato alla costituzione. Né ritengo che possa ridursi la questione al “disdegno
delle regole, tanto più indispensabili nel regime democratico, che al popolo affida un’amplissima
sovranità”21, ed al “disprezzo delle forme” che “si accompagna sempre a regimi carismatici
autoritari”, scomodando addirittura la vastità informe (gestaltlose Weite) di cui parla il giurista Carl
Schmitt. Mi pare, all’opposto, che tutti i regimi autoritari siano sempre stati caratterizzati da
limitazioni alla partecipazione elettorale, utilizzando, spesso, giustificazioni di natura formalistica ed
accampando impedimenti burocratici.
Un maggior tasso di democraticità è dato dal più alto numero di soggetti eleggibili e dal più ampio
dibattito elettorale e dalla presenza di più indirizzi politici sottoposti alla approvazione popolare
(c’era una vecchia canzone di Gaber che dice “libertà è partecipazione”).
A fronte di ciò, il richiamo al disprezzo delle regole appare fuorviante. Non si dimentichi che fanno
parte delle regole del gioco (reputate vilipese) anche il Capo dello Stato, la Consulta, ed il Consiglio
di Stato (tutti questi organi hanno ritenuto applicabile il decreto legge alle vicende contestate; per
meglio dire, la Consulta non ne ha sospeso l’efficacia).
Ora, non v’è dubbio che, nel caso di specie, vi sia stato un pateracchio e non si vuole giustificare
nulla dell’approssimazione che ha guidato la forza politica di maggioranza. Ma in presenza di questa
situazione ormai verificatasi, mi pare che il vero vulnus alla democrazia sarebbe stato non tentare di
assicurare il diritto fondamentale del popolo di scegliere i propri rappresentanti, disconoscendo ad
una fetta rilevante di elettori, forse maggioritaria, la possibilità del voto; e non certo il decreto legge
emanato e controfirmato dal Presidente, che sarà anche un decreto “sanante”, ma che aveva come
obiettivo quello di permettere la salvaguardia sostanziale della democrazia rappresentativa.
E’ poi sempre una disfatta per il cittadino quando la legalità si contrappone alla democrazia; sia
quando la prima – che dovrebbe essere il presupposto della seconda – ne diventa invece la tomba,
sconfinando nel legalismo, per essere brandita in funzione limitante della democrazia e della
possibilità, per una parte consistente dell’elettorato, di esprimere liberamente il proprio voto; sia
quando la democrazia pretende di prescindere dalla legalità per affermarsi, ciò che ne muterebbe la
natura.
Entrambe le ipotesi sono ovviamente da evitare. Ma per verificare in quale delle due ipotesi si
rientri, occorrerebbe – ancora una volta – un po’ di semplice buon senso.
Se è importante sempre rispettare le regole, è evidente che queste hanno una ragione e, nella
fattispecie, esse sono volte a garantire che le elezioni si svolgano senza che in esse si infilino una
serie infinita di liste che, senza avere alcuna rappresentanza sul territorio, siano presentate al solo
fine ostruzionistico, per evitare lo svolgimento regolare delle elezioni, oppure con obiettivi
strumentali volti ad alterare la volontà dell’elettorato. Per questo si pone un limite alla
partecipazione delle sole liste che abbiano una effettiva presenza sul territorio (e non siano invece
mere esche per le allodole) e si pone un termine alla loro presentazione, per consentire un ordinato
svolgimento delle elezioni e dare il tempo all’amministrazione di apprestare i meccanismi elettorali.
Ebbene, non sembra che una interpretazione delle regole elettorali esistenti, in linea con la loro
ratio intrinseca, come sopra delineato, possa liquidarsi come una arbitraria deroga alle formalità se
c'è di mezzo il maggior partito di governo (anche se deve pur dirsi che - in un sistema bipolare quale
è il nostro attualmente di fatto - qualche differenza c'è, tra l'assenza di uno dei due partiti
maggiormente rappresentativi della contesa, di modo che le elezioni risultano monche, ed invece
l'assenza di una lista di cui non si conosce la reale consistenza nel paese). Semplicemente significa
porre un problema di partecipazione democratica e di riconoscimento del diritto di voto dei
cittadini. Se quest'ultimo fosse stato infatti precluso per motivi eccessivamente formalistici, sarebbe
stato un grave pregiudizio democratico, per evitare il quale mi pare sia stato giusto fare tutto il
possibile consentito. Si consideri quanto segue.
a) Non si è trattato di un decreto che ha riammesso sic et simpliciter la lista esclusa, né che ha
riaperto o prorogato i termini, bensì che ha dato una interpretazione delle norme tale da favorire la
21
B.Spinelli, Il Governo, la forma e la sostanza, in La Stampa, 7 marzo 2010.
partecipazione di una delle due liste maggiori contrapposte nel sistema bipolare. Si pensi anche al
caso lombardo, che è stato oggetto di intervento da parte del decreto legge, al pari di quello laziale.
Si è trattato forse di derogare alle regole? Mi pare si sia trattato invece di riaffermare
opportunamente dei principi interpretativi su una applicazione delle norme eccessivamente
rigorosa, che rischiava di ledere il diritto di voto di moltissimi cittadini. Tanto è vero che la
medesima interpretazione di cui al decreto è stata avallata dalla giustizia amministrativa.
Lo stesso intento interpretativo mi pare possa cogliersi per il caso del Lazio, ove il decreto avanza
l'ipotesi che se il presentatore di lista, con la documentazione, è presente all'interno dell'ufficio
elettorale entro i termini, la presentazione della lista vale anche se fatta successivamente alla
scadenza dei termini. E' stato il tentativo di salvare la lista dall'esclusione sulla base di un principio
di buon senso, non una deroga all'applicazione delle regole.
b) Ciò è tanto vero... che la lista è rimasta fuori dai giochi (perché la documentazione non era
completa). Se la documentazione fosse stata completa (e non entro certo nel merito della questione)
la lista esclusa avrebbe probabilmente partecipato alle elezioni (mi baso sulle conclusioni cui è
giunto il Consiglio di Stato), seppure sub judice.
Sia in un caso (esclusione, come si è verificato); sia nell'altro (partecipazione), non può
evidentemente dirsi che il decreto abbia rappresentato una deroga alle regole per far partecipare alle
elezioni il partito di maggioranza. Può più correttamente ritenersi il tentativo di evitarne una
esclusione eccessivamente rigorosa e limitante (come è stato accertato in Lombardia e come avrebbe
potuto essere nel Lazio).
Per contro, non sembra che contrastare come antidemocratica una interpretazione delle regole volta
a recuperare la partecipazione alle elezioni del partito di maggioranza relativa, seppure a seguito di
un pasticcio avvenuto in sede di presentazione delle liste, e criticare come attentato all’ordinamento
i tentativi di reazione dell’ordinamento stesso per assicurare il diritto di voto degli elettori di
riferimento, possa catalogarsi come un’alta manifestazione di democrazia, bensì più come un eccesso
di legalismo.
La ragionevolezza avrebbe richiesto di trovare una soluzione il più possibile condivisa. Non c’è
stata. Deve però sottolinearsi che l’apprestamento di un decreto legge, che precisa che chi è già
presente nell’ufficio elettorale entro il termine, con la documentazione, può presentare quest’ultima
anche successivamente al suo spirare (precisazione che – come si è visto – non è stata sufficiente a
sanare la partecipazione della lista maggioritaria in Lazio), e che qualifica come mere irregolarità
formali alcuni adempimenti eccessivi (in parte già riconosciuti come tali dalla giurisprudenza), al
fine di permettere di partecipare alla competizione elettorale il maggior numero possibile di liste,
con particolare riferimento a quella di maggioranza dell’attuale governo, non pare proprio violare
alcun principio democratico ed anzi pare essere attuazione di detto principio basilare enunciato
nell’art. 1 Cost.
Alla fine, il decreto legge non ha raggiunto l’intento, nella Regione Lazio, ma ciò significa solo che
il sistema ha reagito con rigore (per quanto mi riguarda eccessivo), ma pur sempre in applicazione
di scelte e regole istituzionali, così come aveva cercato di salvaguardare la partecipazione elettorale
con l’approvazione del decreto legge.
Ciò che lascia perplessi è la contrapposizione senza appello legalità/democrazia.
Veramente si pensa che tutta questa inflessibilità e questa acredine verso la partecipazione di un
soggetto politico alle elezioni, sia una occasione di crescita democratica?
Almeno avanzo il beneficio del dubbio.