Lenti a Contatto - Contact lenses Novembre 2008, volume X, numero 3 Sommario Articoli Sickenberger W, Backmann N, Marx S Dk=lo sapevate? pag. 69 Carlo Falleni Osservare la zona ottica delle lenti a contatto pag. 74 Sebastian Marx Quanto sono rigide le lenti a contatto morbide? Laura Boccardo Contattologia & Compliance pag. 76 pag. 81 Rossella Fonte Seminario di comunicazione all’Università degli studi di Milano Bicocca, 11 giugno 2008 pag. 85 Helmer Schweizer Comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica - Prima parte pag. 87 Laura Boccardo Ortocheratologia in Pole Position pag. 94 Rubriche Laura Boccardo Tips & tricks Laura Boccardo pag. 96 AIR OPTIXtm for ASTIGMATISM foto di A. Calossi In libreria pag. 95 d e c i m o a n n o con il patrocinio di ERRATA CORRIGE: nella figura 7 a pagina 44 dello scorso numero di Lac appare un errore nella definizione della seconda colonna del grafico. La definizione corretta è: “Comfort a fine giornata”. Ci scusiamo dell’errore. 66 Lenti a Contatto - Contact lenses Novembre 2008, volume X, numero 3 Lenti a contatto Contact lenses Codirettori scientifici L. Lupelli (Roma), N. Pescosolido (Roma) Comitato scientifico L. Boccardo (Certaldo), M. Bovey (Palermo), R. Fletcher (London), A. Fossetti (Firenze), P. Gheller (Bologna), M. Lava (Roma), S. Lorè (Roma), A. Madesani (Forte dei Marmi), S. Maffioletti (Bergamo), L. Mannucci (Padova), U. Merlin (Rovigo), M. Pastorelli (Novi Ligure), M. Rolando (Genova), A. Rossetti (Cividale del Friuli), C. Saona (Barcelona), L. Sorbara (Toronto), M. Zuppardo (Roma) Ringraziamenti Si ringraziano A.I.LAC e S.Opt.I. per la collaborazione scientifica Comitato editoriale A. Calossi (Certaldo), O. De Bona (Marcon), M. Lava (Roma), C. Masci (Roma), F. Zeri (Roma) Segreteria O. De Bona via E. Mattei, 11 - 30020 Marcon (VE) tel. 041.5939411 e-mail: [email protected] Nome della rivista LAC Direttore responsabile Marco Perini Proprietario testata BieBi Editrice Editore BieBi Editrice di Mauro Lampo Via Losana, 4 - 13900 Biella Tiratura Quadrimestrale, 32 pagine Tipografia TrueColor via Pio X, 2/g - 28021 Borgomanero (NO) Registrazione Tribunale Biella, in data 6/5/99 al n. 487 Sped. gratuita Numeri arretrati Presso la segreteria 67 2008, vol. X, n. 3 68 ARTICO L O Dk= lo sapevate? Sickenberger W, Backmann N, Marx S Il contributo di un esperto alle attuali conoscenze sulla richiesta di ossigeno da parte della cornea e sulla trasmissibilità all’ossigeno delle lenti a contatto. Dopo il lancio delle lenti a contatto in silicone idrogel, l’ossigeno è divenuto l’argomento dominante di molti congressi e simposi. Il presente articolo tratta proprio la questione della richiesta di ossigeno da parte della cornea e della trasmissibilità all’ossigeno delle lenti a contatto. Dk, Dk/t, EOP, flusso di ossigeno – che cosa dicono questi valori agli ottici e agli applicatori? Quali sono i valori di soglia da conoscere? Sulla base di vari studi e approfondimenti, il presente articolo ha l’intento di contribuire a una migliore comprensione di queste tematiche. lente a contatto, per esempio sotto forma di una stria (Figura 1) e di pieghe, o di opacità nella zona centrale. Un’altra conseguenza del mancato apporto di ossigeno è il crescente sviluppo di nuovi vasi sanguigni (neovascolarizzazione, Figura 2), che contribuisce alla perdita di trasparenza della cornea. La deficienza di ossigeno aumenta inoltre l’adesione dei batteri all’epitelio e con essa anche il rischio di infezioni3. Quo vadis Dk/t? Un adeguato apporto di ossigeno è essenziale per la cornea, per mantenere la sua salute e la sua funzionalità. Anche altri fattori importanti come una sufficiente mobilità, permeabilità agli ioni, scarsa affinità ai depositi, biocompatibilità e bagnabilità hanno, naturalmente, un ruolo molto importante. Di conseguenza, le lenti a contatto con elevata trasmissibilità all’ossigeno dovrebbero almeno eguagliare, o meglio, anche superare le lenti a contatto tradizionali per quanto riguarda queste caratteristiche. L’elevata trasmissibilità all’ossigeno è necessaria per ridurre l’effetto della lente a contatto sul metabolismo corneale durante l’uso e per evitare eventuali adattamenti a condizioni di deficienza di ossigeno. Brennan ed Efron1 hanno dimostrato nei loro studi che il livello di ossigeno raccomandato nel film lacrimale sotto la lente a contatto dovrebbe essere pari al 20.9%, quindi uguale al livello di ossigeno nell’atmosfera. Hanno anche provato che livelli minori di ossigeno influiscono negativamente sulla fisiologia della cornea e ne danneggiano la salute. Figura 1 Stria Conseguenze della deficienza di ossigeno La tipica deficienza di ossigeno (ipossia) induce modifiche della cornea, come l’edema corneale, che sono note sin dalle prime apparizioni delle lenti a contatto sul mercato2. Una deficienza a lungo termine porta all’indebolimento della cornea e quindi spesso all’interruzione dell’uso di lenti a contatto. A causa dell’ipossia le cellule endoteliali “pompano” meno acqua fuori dalla cornea. L’edema che ne risulta appare sotto varie forme, a seconda dell’entità del gonfiore e del tipo di Figura 2 Neovascolarizzazione 69 2008, vol. X, n. 3 Dk= lo sapevate? Studi più recenti si concentrano maggiormente sul metabolismo e sull’integrità della cornea. Ren & Wilson4 e Cavanagh5 hanno individuato alcune ragioni per le conseguenze a lungo termine della deficienza di ossigeno indotta dall’uso di lenti a contatto. Hanno studiato l’influenza dell’uso delle lenti a contatto sullo spessore dell’epitelio e provato che lenti a bassa trasmissibilità (basso Dk, basso Dk/t) possono portare a un assottigliamento di quest’ultimo. Attribuiscono questo effetto a uno squilibrio tra il rinnovamento cellulare nella membrana basale e la rimozione delle cellule morte dalla superficie corneale. Sono stati anche in grado di dimostrare che il silicone idrogel ad alta trasmissibilità all’ossigeno può ridurre quest’effetto. Gli autori dello studio di Gothenburg6, come anche Jalbert, Sweeney e Stapleton7 sono giunti a conclusioni simili. La mancanza di ossigeno non solo compromette la cornea, ma inoltre aumenta il rossore limbare. porto di ossigeno alla cornea hanno provocato numerose discussioni tra gli esperti. Dk/t o flusso di ossigeno? Papas8, nel suo studio, ha dimostrato che esiste chiaramente una relazione tra l’aumento del rossore limbare (iperemia) e il ridotto apporto di ossigeno all’occhio sotto la lente a contatto. Egli propone un valore minimo di Dk/t di 125 (valore precedente) per evitare l’aumento del rossore limbare durante l’uso giornaliero. Un recente studio della Jenvis Research, presentato alla conferenza della BCLA del 2007, ha confermato questi risultati con l’uso di una nuova lente su costruzione (Individual) in silicone idrogel (si vedano anche le Figure 3 e 4). Le discussioni riguardano, da un lato, le misurazioni consolidate della permeabilità (Dk) e della trasmissibilità (Dk/t) della lente a contatto e, dall’altro, il “flusso di ossigeno” come misura della trasmissibilità all’ossigeno. Una differenza davvero sostanziale tra i due è la determinazione dei rispettivi valori. I valori Dk e Dk/t possono essere misurati in laboratorio, usando due diversi metodi. Entrambi questi metodi prevedono l’impiego di sensori polarografici. Il metodo più noto (che ha preso il suo nome da Irving Fatt) misura il flusso di ossigeno9,10. Questa misurazione presenta due principali fonti di errore, di cui è necessario tenere conto quando si usano i valori misurati. Innanzitutto, il cosiddetto “edge effect”, che aumenta il valore misurato perché permette un flusso di ossigeno dai lati dell’area di misurazione. In secondo luogo, il cosiddetto “boundary effect”, che causa una leggera riduzione all’elettrodo e quindi riduce leggermente il valore misurato. Non è raro che i valori Dk e Dk/t vengano pubblicati senza alcuna indicazione della correzione applicata o del fatto che siano stati effettivamente corretti. Questo rende molto difficile un confronto oggettivo. Oltre che al metodo di misurazione del valore Dk (per Figure 3 Iniezione bulbare. Condizioni della base line con lenti a contatto esistenti. Figure 4 Dopo una settimana di utilizzo di una lente Individual (su costruzione) in silicone idrogel. Tutti gli esperti sono concordi nel sostenere che evitare l’ipossia è e rimane l’obiettivo più importante per un applicatore diligente. Alcune pubblicazioni17 sulla misurazione della trasmissibilità all’ossigeno e sull’ap- esempio, secondo Fatt, a 35°C, con correttivo dell’edge effect e del boundary effect, come illustrato sopra), si deve prestare attenzione anche alle unità di misura. Le unità di misura valide a livello internazionale (uni- 70 ARTICO L O Dk= lo sapevate? tà ISO) non sono ancora in uso per quanto riguarda il Dk/t, analogamente a quanto accade per le prestazioni dei motori, che dovrebbero essere indicate in kilowatt (kW) invece che in cavalli vapore (CV). lente con potere positivo. L’applicatore delle lenti a contatto non conosce il valore Dk/t di una lente Individual dato che, di solito, lo spessore al centro non è indicato sull’etichetta. In ogni caso, Permeabilità (DK) e Trasmissibilità (Dk/t) Metodo di misurazione secondo Fatt (35°C) Valori precedenti e ISO 9913 - 1:199 Fattore di conversione: DkISO= Dkprecedenti x 0.75006 Precedenti Dk (Barrer) m(O2) x cm2 ml x sec x mmHg ISO 9913 Dk/t x 10-11 m(O2) x cm2 ml x sec x mmHg Dk (Barrer) x 10-9 m(O2) x cm2 ml x sec x hPa x 10-11 Dk/t m(O2) x cm2 ml x sec x hPa x 10-9 Tabella 1 Permeabilità (Dk) e Trasmissibilità (Dk/t) La Tabella 1 riporta le diverse unità di misura e le relative conversioni. Un ulteriore punto critico del metodo Fatt risiede nel fatto che i valori Dk/t pubblicati vengono generalmente misurati utilizzando lo spessore al centro di una lente a contatto di -3.00D. Questi valori non sono quindi pertinenti per lenti a contatto aventi spessori al centro maggiori (per esempio, con poteri positivi) o per i diversi spessori nel profilo di una lente di -3.00D, e certamente non per lenti con più alti poteri negativi. Questi valori possono quindi essere fuorvianti. L’esempio di Figura 5 mostra il confronto diretto. Il valore Dk/t indicato per la lente con potere negativo si riduce a un terzo per una Figura 5 Esempio - Confronto tra geometrie e loro impatto sui valori Dk/t conoscendo il valore Dk del materiale e il valore Dk/t per una lente meno tre, l’applicatore può farsi un’idea della trasmissibilità all’ossigeno della lente in questione. Vari scienziati hanno sviluppato dei valori di soglia con l’intento di fornire un supporto agli ottici nella scelta delle lenti giuste per specifiche situazioni e determinate condizioni d’uso. Uno dei risultati più largamente conosciuti è quello dello studio di Holden, Mertz e McNally11 (1984), che hanno utilizzato l’edema corneale durante l’uso di lenti a contatto e sono giunti alla conclusione che un valore minimo di Dk/t di 24 (valore precedente) è necessario per l’uso diurno (dw) e uno di 87 (valore precedente) è necessario per l’uso notturno (ew). Donna LaHood12 ha corretto il valore per l’uso notturno portandolo a 125, sulla base di una revisione dei dati e di ricerche più recenti. Questo valore è stato confermato da Harvitt e Bonnano13 (1999), che hanno adottato un approccio differente. Hanno misurato quanto ossigeno è effettivamente disponibile per la cornea sotto una lente a contatto e quanto ne viene effettivamente assorbito dalla cornea stessa. Per fare questo, hanno misurato la pressione parziale dell’ossigeno in diversi punti del sistema cornea-lente a contatto e calcolato il rispettivo flusso di ossigeno. La base per questo calcolo era la Legge di diffusione di Fick, che afferma che il flusso di ossigeno dipende dalla differenza della pressione dell’ossigeno prima e dopo una membrana, oltre che dalla trasmissibilità di quest’ultima. In ogni caso, la misurazione della pressione parziale dell’ossigeno sotto una lente a contatto è risultata molto difficile. 71 2008, vol. X, n. 3 Dk= lo sapevate? Per misurare l’assorbimento di ossigeno da parte della cornea, Bonnano et al14 hanno utilizzato pigmenti fluorescenti sensibili all’ossigeno. Hill15 ha determinato questo valore indirettamente, tramite l’EOP (Equivalent Oxygen Percentage - Percentuale di ossigeno equivalente). Si procede fornendo una quantità definita di ossigeno all’occhio e poi si misura il tempo impiegato per il suo assorbimento. In questo modo si ottiene una curva di taratura. I risultati misurati con la lente a contatto possono quindi essere rapportati all’EOP della lenti a contatto con bassa trasmissibilità all’ossigeno (Dk/t), questo gradiente diminuisce e di conseguenza l’assorbimento è minore. I diversi studi sul flusso di ossigeno intendono determinare un valore Dk/t che sia fisiologicamente accettabile e riconosca il flusso di ossigeno attraverso la lente a contatto e all’interno della cornea. Il problema sta nel fatto che il modello del flusso di ossigeno è parzialmente basato su presupposti teorici, che nemmeno gli autori delle ricerche sono in grado di spiegare in dettaglio e con precisione17. Il Classificazione secondo Benjamin Tabella 2 Curva di Benjamin - Journal of the American Optometric Association, Volume 64, 3/93 curva di taratura. Nel 1993, Benjamin ha tentato di stabilire la correlazione tra il Dk/t e l’EOP, che era stato utilizzato in modo predominante per le lenti a contatto gas permeabili (RGP). Si veda anche la Tabella 2. Il flusso di ossigeno Il principio alla base del flusso di ossigeno è abbastanza semplice da spiegare. Ci devono essere pressioni parziali differenti prima e dopo una membrana permeabile, che agisce come una barriera per il gas che si diffonde. L’obiettivo dello sviluppo dei materiali per lenti a contatto dovrebbe essere quello di riuscire a fornire all’occhio una pressione parziale dell’ossigeno di 155 mmHg (pari al 20.9% dell’ossigeno nell’aria). In questo caso, vi sarebbe un gradiente notevole tra la pressione parziale dell’ossigeno nella cornea e quella del film lacrimale dietro la lente a contatto, e il flusso di ossigeno sarebbe elevato. Quando si utilizzano 72 fatto che la richiesta di ossigeno non sia un valore statico, ma piuttosto un valore dinamico e dipenda molto da numerosi fattori diversi come il valore del pH del film lacrimale sotto la lente a contatto, il numero e lo spessore degli strati cellulari assorbenti ossigeno della cornea, non facilita le cose. Anche misurare la richiesta di ossigeno si è dimostrato difficile18. I modelli rimangono tuttavia importanti per descrivere il processo e guidare ulteriori attività di ricerca sulla cornea. Rimangono comunque limitati nella loro applicazione clinica, dato che la pratica quotidiana raramente corrisponde alle condizioni e alle impostazioni dei laboratori scientifici. Quanto alto deve essere il valore Dk/t? Questo porta a un ulteriore quesito: quanto alto deve essere il valore Dk/t di una lente a contatto, per poter assicurare alla cornea un apporto ottimale di ossige- ARTICO L O Dk= lo sapevate? no? Gli studi sull’EOP e sul flusso di ossigeno potrebbero portare alla conclusione che non importa se una lente a contatto ha un valore Dk/t di 90 o 180, dato che il flusso di ossigeno nella cornea non aumenta in modo significativo oltre un certo livello. Tuttavia, prendendo come riferimento gli studi clinici con portatori di lenti, come per esempio gli studi di Papas e Bergenske7, si potrà notare una differenza significativa in merito a iperemia limbare e livelli diversi di Dk/t. Quello di Papas e molti altri studi indipendenti13,19,20 concludono che è necessario superare un livello di soglia di 125 Dk/t (valore precedente) per poter evitare l’iperemia limbare nell’uso diurno e continuo. In questo modo sembra che si sia stabilito un livello di soglia attualmente valido. Oggi non è ancora possibile misurare ed esaminare la richiesta individuale di ossigeno di una cornea in una seduta di applicazione, perchè la varianza è molto elevata. Nell’esercizio della professione spesso si ignora che i valori Dk/t rappresentano solo il valore centrale di una lente di -3.00D. Che cosa si può dire di un portatore di lenti di +6.00 D o di uno con una richiesta individuale di ossigeno molto elevata? Una lente morbida convenzionale può quindi raggiungere molto presto i suoi limiti e gli effetti della mancanza di ossigeno possono divenire visibili altrettanto velocemente, nonostante le aspettative e le speranze dell’applicatore. Portare le lenti per periodi più brevi, in termini di ore, o fare delle pause durante il tempo di utilizzo potrebbe aiutare, ma il paziente di solito non è molto d’accordo e nonostante le raccomandazioni dell’applicatore tende a portare le lenti più a lungo e più spesso di quanto consigliato. Le lenti a contatto in silicone idrogel o le lenti rigide altamente gas permeabili offrono la sicurezza desiderata ma, a lungo termine, al portatore dovrebbe essere offerto un apporto extra di ossigeno, per poter assicurare e mantenere la sicurezza e la salute dell’occhio. Bibliografia: [1] Efron N, Brennan NA. How much oxygen? In search of the critical oxygen requirement of the cornea. Contax 1987; July:5-18. [6] Holden BA, Sweeney DF, Vannas A, Nilsson K, Efron N. Effects of long-term extended contact lens wear on the human cornea. Invest Ophthalmol Vis Sci. 1985;26:1489-1501. [7] Jalbert I, Sweeney D, Stapleton F. The effect of long term wear of soft lenses of low and high oxygen transmissibility on the corneal epithelium [AAO Abstract]. In: American Academy of Optometry Annual Meeting; 2005; San Diego, USA; 2005. [8] Papas E. On the relationship between soft contact lens oxygen transmissibility and induced limbal hyperaemia. Exp Eye Res. 1998;67:125-131 [9] Deutsche Fassung EN ISO 9913-1 : 1998 Teil 1: Bestimmung der Sauerstoff-Permeabilität und -Transmissibilität nach dem Verfahren nach FATT (ISO 9913-1: 1996) [10] Deutsche Fassung EN ISO 9913-2 : 2000 Teil 2: Bestimmung der Sauerstoff-Permeabilität und –Transmissibilität nach dem coulometrischen Verfahren (ISO 9913-2 : 2000) [11] Holden BA, Mertz GW. Critical oxygen levels to avoid corneal edema for daily and extended wear contact lenses. Invest Ophthalmol Vis Sci. 1984;25:1161-1167 [12] La Hood D, Sweeney D, and Holden B. Overnight corneal edema with hydrogel, rigid gaspermeable and silicone elastomer contact lenses. 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Clinical signs of corneal hypoxia with high Dk soft lens extended wear: Is the cornea convinced? Eye and Contact Lens 2003; 29(1S):S22-S25 [3] Holden B, Stretton S, Lazon de la Jara P, Ehrmann K, LaHood D. The Future of Contact Lenses: Dk Really Matters. Contact Lens Spectrum, Feb. 2006 [20] Ghormley R. How Much Oxygen is Enough for Safe Lens Wear? Contact Lens Spectrum. [4] Ren H, Wilson G. Apoptosis in the corneal epithelium. Invest Ophthalmol Vis Sci.1996;37:1017-1025. [5] Cavanagh HD. The effects of low- and hyper-Dk contact lenses on corneal epithelial homoeostasis. Ophthalmol Clin N Am. 2003;16:311-325. Traduzione della versione originale dell’articolo: “Dk=Don’t Know?” apparso su DOZ nel numero di marzo 2007. Si ringraziano l’editore e gli autori per la gentile concessione a tradurre e pubblicare l’articolo. 73 2008, vol. X, n. 3 Osservare la zona ottica delle lenti a contatto Carlo Falleni Optometrista L’illuminazione diretta è una delle numerose tecniche utilizzate nella biomicroscopia con lampada a fessura. Essa consente di osservare modificazioni di trasparenza o indice della cornea irraggiandone sezioni, settori o l’intero diametro. Spostando il piano di attenzione e di fuoco del biomicroscopio sull’iride, si può osservare l’ombra o il riflesso di discontinuità refrattive dei mezzi ottici che precedono il piano irideo: cornea e lente a contatto. È possibile osservare diametro, posizione e dinamica della zona ottica di una qualunque lente a contatto grazie all’ombra, a forma di sottile anello, proiettata dalla discontinuità refrattiva fra zona ottica e curve periferiche (Figura 1). Da alcuni anni sono disponibili lenti a contatto morbide toriche disposable, Focus Dailies Toric caratterizzate dall’assenza delle tacche di riferimento per la verifica dell’orientamento del cilindro. Figura 2 Proiezione della zona ottica di una Focus Dailies Toric Ciba Vision [8,60/14,00; sf -2,00 / cil-0,75 / ax 180] correttamente allineata sull’asse dell’astigmatismo refrattivo, ax 170°. Figura 1 Proiezione della zona ottica di Air Optix Individual Ciba Vision in un caso afachia chirurgica [9,20 / +12,00 / 14,80]. Il sistema illuminante e quello osservante sono allineati, l’illuminazione è diretta, diffusa, con fessura completamente aperta e diaframma grande, gli ingrandimenti sono medi. Figura 3 Proiezione della zona ottica di una Focus Dailies Toric Ciba Vision [8,60/14,20; sf -2,00 / cil-0,75 / ax 180] ruotata di circa 40° rispetto all’asse dell’astigmatismo refrattivo. Tali lenti sono costruite con due assi di allineamento del: 90° e 180°, ed due valori cilindrici: 0,75 e 1,50 D. La zona ottica ha forma ellissoidale con asse maggio- re orizzontale. Focus Dailies Toric è progettata per la compensazione di astigmatismi secondo e contro regola, ma non obliqui e non è ricettabile su assi diffe- 74 ARTICO L O osservare la zona ottica delle lenti a contatto renti da 90 e 180. Ciò giustifica l’assenza dei segni di riferimento. La verifica dell’allineamento è comunque possibile grazie alla proiezione della forma ellittica della zona ottica sul piano irideo (Figura 2 e 3). Le immagini qui pubblicate sono ottenute con fotocamera Canon Power Shot A530 con risoluzione di 5.0 megapixel appoggiata, grazie ad un anello adattatore, all’oculare del microscopio di una lampada a fessura CSO con microscopio a 4 ingrandimenti. Le impostazioni della fotocamera sono le seguenti: • Formato: 2592 x 1944 pixel • Distanza focale: 9,82 mm • Diaframma: F/35 • Tempo di esposizione: 1/30 sec • Autofocus: si Figura 4 Dettaglio della fotocamera con l’anello adattatore sistemato sull’oculare della lampada a fessura. L’anello adattatore in teflon è stato realizzato su misura da un tornitore locale. 75 2008, vol. X, n. 3 Quanto sono RIGIDE le lenti a contatto MORBIDE? Sebastian Marx Qualche volta i lettori di pubblicazioni di settore si chiedono “Quanto sono rigide le lenti a contatto morbide?”. Molto spesso in queste pubblicazioni si possono trovare termini come morbidezza, durezza, rigidità o modulo con riferimento alle lenti a contatto morbide. Tuttavia, alcuni di questi termini che derivano dalla tecnologia dei materiali non sono usati correttamente. L’obiettivo di questo articolo è proprio chiarire il significato di termini come modulo e spiegare come dovrebbero essere interpretati. Cos’è in realtà un modulo? Nei paesi di lingua inglese la definizione “modulo” viene utilizzata sempre più spesso in relazione alle lenti a contatto morbide. È possibile che vi siate già chiesti che cosa significa questo termine e che importanza ha per l’applicazione delle lenti a contatto. Poichè in alcune lingue non è presente il termine “modulo”, questo viene spesso sostituito con le parole “rigidità del materiale”. Sebbene il termine modulo abbia vari significati, viene usato principalmente per descrivere l’elasticità dei materiali. Viene anche chiamato modulo di Young, dal nome del medico e fisico inglese Thomas Young. Si applica frequentemente anche la definizione “modulo di strappo”. Il modulo di elasticità è un valore tipico della tecnologia dei materiali, che descrive il rapporto tra sforzo e deformazione nella distorsione di un corpo solido in una reazione lineare di elasticità. L’espressione modulo di elasticità viene abbreviata in E-Module o con un simbolo unito alla E. Il modulo di elasticità si misura come la tensione [N/mm2 = MPa], vale a dire Newton su millimetro quadrato o megapascal. Il modulo di elasticità viene definito come un gradiente verso l’alto del grafico nella curva di sollecitazionedeformazione all’interno dell’area lineare della curva di elasticità. Questa area lineare è anche chiamata linea di Hooke. (si veda la zona 1 in Figura 1) E= d σ = const dε σ descrive la trazione meccanica e ε la deformazione. La deformazione è l’allungamento rispetto alla posizione originale. Il modulo di elasticità viene descritto come una costante del materiale, perché il suo utilizzo insieme al numero di contrazioni trasversali (tasso relativo di spessore cambia con l’allungamento relativo) dà la legge dell’elasticità. Tuttavia, il modulo di elasticità non è costante in relazione a tutte le dimensioni fisiche. Dipende da una serie di condizioni ambientali, come temperatura, umidità, tasso di deformazione o frequenza (Figura 2) Figura 1 Curva di sforzo-deformazione1: Linea di Hooke con gradiente E verso l’alto 76 Figura 2 Dipendenze di oscillazione del componente viscoso dei materiali delle lenti a contatto2 ARTICO L O quanto sono rigide le lenti a contatto morbide? Materiale Modulo [MPa] Vetro da 40000 a 90000 PMMA 3000 Gomma da 1 a 10 Lenti a contatto morbide da 0.4 a 1.2 Tabella 1 Moduli di elasticità a seconda dei vari materiali Modulo significa rigidità? Nelle pubblicazioni si trova spesso il termine rigidità utilizzato come sinonimo di modulo per spiegare alcune situazioni più agevolmente. Ma fisicamente non è corretto. La rigidità di un corpo dipende per definizione dal materiale usato, ma anche dalla sua geometria. La rigidità di un corpo è data dal prodotto tra il modulo di elasticità per il momento d’inerzia geometrico. La rigidità è la proprietà di un corpo la cui sezione trasversale può cambiare attraverso la sua lunghezza. Quindi la rigidità può variare in punti diversi del corpo. Per una stessa lunghezza, lo spessore gioca un ruolo fondamentale, perchè contribuisce enormemente sulla rigidità, come illustrato in Figura 3. Formula generale della rigidità Momento di inerzia geometrico di un cuboide c = rigidità A = momento di inerzia geometrico [m4] E = modulo di elasticità A = momento di inerzia geometrico b = larghezza L = lunghezza del corpo a = altezza Figura 3 Dipendenza dalla rigidità del profilo Il piegamento e la torsione (torsione = rotazione) di una lente a contatto è il prodotto del modulo di elasticità e del momento di inerzia geometrico. Non è possibile formulare una semplice espressione per la “rigidità” di geometrie complesse, perchè le lenti a contatto non hanno un profilo trasversale semplice come quello di un cuboide (Figura 3). A questo punto deve essere eseguito un calcolo integrale. Come menzionato, la rigidità di una lente dipende sempre dal materiale e dalla sua geometria. Il modulo come il valore Dk, è una costante del materiale, mentre la rigidità, esattamente come il valore Dk/t è una proprietà specifica del corpo (per esempio una lente a contatto). Morbidezza Il termine morbidezza è usato nel linguaggio parlato, mentre in fisica si parla di resilienza. La resilienza è l’opposto della rigidità e descrive la capacità di un corpo di cedere a una forza (tensione o pressione). Il corpo si deforma e si verifica uno sforzo. δ= l E•A l = allungamento/profondità di campo, E = modulo di elasticità, A = superficie della sezione Durezza La durezza è la resistenza meccanica di un corpo alla penetrazione da parte di un altro corpo, per esempio la resistenza di una lente a contatto rispetto a un’unghia. La durezza in linea di principio può essere accertata solo tramite confronto con materiali multipli. La durezza non è solo la resistenza all’azione di corpi più duri, ma anche di corpi di uguale durezza o addiruttura più morbidi. La misurazione della durezza dei materiali può essere effettuata in modi diversi, ma per determinati gruppi di materiali vengono generalmente usati alcuni metodi specifici. Per quanto riguarda le lenti a contatto, la durezza si misura in Shore. Un metodo di misurazione simile è la determinazione della durezza IRHD = International Rubber Hardness Degree [Grado internazionale di durezza della gomma]. In alcuni paesi è anche chiamata “micro-durezza”. La durezza di un materiale è in relazione alla sua resistenza solo a determinate condizioni, anche se la resistenza influisce sui test di misurazione della durezza, dato che questi si basano sulla profondità dell’impressione dei vari campioni. 77 2008, vol. X, n. 3 quanto sono rigide le lenti a contatto morbide? Caratteristiche di applicazione La prima parte dell’articolo ha chiarito quali siano i parametri di base dei materiali delle lenti a contatto. Questa seconda parte tratta invece degli effetti e dell’importanza delle costanti dei materiali per l’applicazione e l’uso delle lenti a contatto. Il frequentemente usato termine modulo, deve essere inteso come il parametro fisico “modulo di Young”. Analogamente al valore del Dk che è una costante del materiale, mentre la rigidità, esattamente come il valore del Dk/t, è una proprietà di un corpo specifico (per esempio una lente a contatto). Ma quale significato hanno oggi i concetti di modulo e rigidità nell’applicazione delle lenti a contatto? Una lente sottile fatta di un materiale con modulo più elevato può presentare le stesse caratteristiche di rigidità di una lente spessa fatta di un materiale con modulo più basso. Di per sé, il modulo non rende una lente a contatto nè confortevole nè disagevole da portare. La Figura 4 illustra come il comfort di una lente a contatto dipenda da vari fattori. Oltre che dalle proprietà del materiale, il comfort è anche influenzato da fattori esogeni come per esempio fattori ambientali, cosmetici, o difetti meccanici. La resistenza alla flessione e la distribuzione della pressione sulla superficie della lente a contatto possono influire sul comfort. Per esempio, una variazione della curva base può modificare l’applicazione della lente e di conseguenza il comfort dato dalla stessa. I collegamenti tra le separate classi di materiali sono rappresentati in Figura 4. L’incidenza della curva base è della massima importanza per le lenti rigide gas permeabili, seguite dalle lenti in silicone idrogel. Assumendo una adeguata bagnabilità, le lenti rigide gas permeabili possono essere molto confortevoli se la geometria delle lenti viene scelta in modo da ottenere Materiale con modulo basso Figura 4 Fattori da cui dipende il comfort delle lenti a contatto caratteristiche ottimali di portabilità in termini di movimento e centraggio. Le lenti a contatto morbide con medio ed elevato contenuto d’acqua e bassa rigidità coprono la maggior parte delle geometrie corneali e nella maggior parte dei casi non devono essere realizzate su misura. Se guardiamo soltanto la distribuzione delle geometrie corneali, i parametri universali corrispondono alle necessità dell’80% degli occhi. Questo appare chiaro osservando l’aumento delle quote di mercato delle lenti usa e getta registrato negli ultimi anni. Secondo un’indagine condotta nel 2006 dalla società per la ricerca sui consumi, le lenti usa e getta standard hanno raggiunto una quota pari all’82% del mercato complessivo delle lenti a contatto. Risultava infatti che il 60% delle lenti erano lenti da 2 e 4 settimane, mentre il 22% era costituito da lenti a contatto giornaliere3. La Figura 5 illustra il rapporto tra la geometria della lente e il modulo. Tanto più elevato è il modulo del materiale di una lente a contatto, tanto più rilevante è la geometria o la forma della lente. Un portatore di lenti a contatto ammicca in media 14.0004 volte al giorno. Se la geometria non è corretta, una resistenza Materiale con modulo elevato Importanza crescente della geometria delle lenti a contatto Figura 5 Modulo in relazione all’importanza della geometria 78 ARTICO L O quanto sono rigide le lenti a contatto morbide? meccanica più elevata alla palpebra e alla cornea può peggiorare l’adattamento alla forma della cornea con la conseguenza di sollevamenti al bordo delle lenti a contatto. Possono svilupparsi complicanze come le lesioni SEAL5,6 (lesioni epiteliali arcuate superiori), illustrate nella Foto 1, e la formazione di Mucin Balls sotto la lente a contatto, come illustrato nella Foto 2. Questo è stato occasionalmente osservato nella prima generazione di lenti in silicone idrogel. Dopo l’ulteriore sviluppo della geometria della superficie posteriore, queste complicanze sono praticamente scomparse. Con questi presupposti, non sarebbe corretto discutere l’argomento “modulo” senza metterlo geometria. La vecchia regola pratica consiglia di: “utilizzare il raggio corneale centrale medio e aggiungere un 1 mm per ottenere la curva base” non è più valida. Sebbene sia alquanto sorprendente applicare una lente a contatto morbida con K piatto quasi uguale a quello corneale, può effettivamente essere necessario in caso di diametri ridotti e curve base molto inclinate per lenti a contatto su misura in Sifilcon A (AIR OPTIX Individual). Le superfici posteriori asferiche si aprono verso la periferia e aiutano a mantenere un buon movimento e ad evitare una applicazione troppo stretta. Gli specialisti di lenti a contatto possono contare sulla disponibilità di una grande varietà di materiali e geo- Foto 1 Seal Foto 2 Mucin Balls in relazione con la geometria della lente. La pratica dimostra che la procedura di applicazione delle lenti a contatto più rigide è importante e questo deve essere assolutamente chiaro per quanto riguarda le lenti rigide gas permeabili. Tuttavia, anche per le lenti a contatto in silicone idrogel è importante prestare la massima attenzione, in quanto al giorno d’oggi vengono utilizzati materiali diversi con diverse proprietà. metrie. Questa varietà permette di realizzare un’applicazione individuale delle lenti a contatto che soddisfa le esigenze del cliente come pure i requisiti ottici geo- È un errore credere che i materiali in silicone idrogel con modulo superiore a 1 MPa offrano minor comfort. La pratica dimostra che molti portatori di lenti Pure Vision o AIR OPTIX Night and Day riferiscono che queste lenti sono estremamente confortevoli. Le lenti a contatto fatte con materiali con modulo inferiore a 1 MPa sembrano garantire migliori prestazioni. Questo è confermato anche dalle nuovissime lenti in silicone idrogel come le AIROPTIX Individual. La Figura 6 illustra quanto sopra riportato. Il comfort delle lenti in silicone idrogel dipende dall’applicazione. Vi sono delle differenze rispetto alle lenti a contatto classiche in idrogel, per quanto riguarda sia il materiale che la Figura 6 Comfort iniziale offerto dalle lenti a contatto in idrogel (barra blu) rispetto a lenti a contatto personalizzate in Sifilcon A, *p<0,058. La prima visita di controllo ha avuto luogo a una settimana dalla nuova applicazione, la seconda visita di controllo a due settimane dalla nuova applicazione e la visita di conclusione della prova dopo tre mesi di utilizzo delle lenti in Sifilcon A. 0 indica comfort eccellente, 4 comfort molto scarso. 79 2008, vol. X, n. 3 Materiale Marca H2O (%) Valore Dk(Dk x 10-11) Modulo [MPa] PMMA Varie ND 0,1 ~2000 Lotrafilcon A AIROPTIX Night & Day 24 140 1,4 Balafilcon A PureVision 33 110 1,1 Lotrafilcon B AIROPTIX 36 99 1,0 Sifilcon A AIROPTIX Individual 32 117 1,1 Comfilcon A Biofinity 48 128 0,75 Senofilcon A Acuvue OASYS 38 103 0,72 40 129 n.B. Menicon Premio pHEMA diverse 38 7,5 0,50 Omafilcon A Proclear 62 34 0,49 Galyfilcon A Acuvue ADVANCE 47 60 0,43 Etafilcon A 1-day ACUVUE 58 21 0,3 Tabella 2 Caratteristiche delle lenti a contatto7 metrici e fisiologici. Tuttavia, è importante avere una conoscenza precisa delle filosofie di applicazione delle lenti a contatto, soprattutto per i nuovi sistemi. In definitiva, si può dire che ogni materiale disponibile in commercio con una geometria ottimale può essere applicato in modo da consentire un uso confortevole delle lenti a contatto, a condizione che le condizioni esogene siano adeguate. Per garantire un comfort eccellente per tutto il giorno è necessario poter disporre di materiali con molte proprietà diverse. Si tratta in particolare di un’elevata permeabilità all’ossigeno, un’elevata capacità lubrificante, una resistenza ai depositi ed un’elevata bagnabilità. L’industria delle lenti ha riconosciuto la veridicità di questo soprattutto negli ultimi due anni e sta cercando di definire nuovi requisiti per le lenti a contatto, oltre che per la loro manutenzione. Le variabili utilizzate nelle formule possono variare da paese a paese. Traduzione della versione originale dell’articolo: “Wie hart sind weiche Kontaktlinsen?” apparso su DOZ nel numero di ottobre 2007. Si ringraziano l’editore e l’autore per la gentile concessione a tradurre e pubblicare l’articolo. 80 Bibliografia: [1] Seidel W.: Werkstofftechnik, Carl-Hanser-Verlag München Wien 2005, 6.Edition [2] Sweeney, D.F.: Silicone Hydrogels, Edinburgh: ButterworthHeinemann 2004 [3] GFK. Germany 2006. [4] Al-Abdulmunem M: Relation between tear break-up time and spontaneous blink rate. Int. Contact Lens Clin. 1999 Sep; 26 (5): 117-120. [5] Dumbleton K.: Adverse events with silicone hydrogel continuous wear. CLAE, 2002;25:137- 46. [6] Tan J, Keay LM Jalbert I et al. Mucin balls with wear of conventional and silicone hydrogel contact lenses. Optom Vis Sci, 2003; 80:4 291-7 [7] French K., Why is modulus important?, www.siliconehydrogels.org + data of manufacterers [8] Sickenberger/Marx: VDC congress 2007 Berlin, JENVIS Research ARTICO L O CoNTATTOLOGIA & COMPLIANCE Laura Boccardo Optometrista FAILAC Figura 1 La relazione introduttiva di Brian Holden Figura 2 L’intervento di Kathy Dumbleton I bambini che ti ubbidiscono alla prima, tuo marito in orario per cena, i pedoni sulle strisce e gli automobilisti che si fermano per farli attraversare: l’esperienza di tutti i giorni ci mostra quanto è difficile avere compliance dalle persone che ci stanno intorno. Mille esempi si potrebbero portare per spiegare cosa sia questa via di mezzo fra la cooperazione e l’obbedienza, questa ennesima parola importata dall’inglese, che in Italia difficilmente riusciamo a tradurre e anche a pronunciare. Oltre seicento delegati, diciotto relatori e otto aziende produttrici di lenti a contatto si sono incontrati durante la sesta edizione del Convegno Assottica, che si è tenuta a Roma, presso il Marriott Park Hotel, domenica 9 e lunedì 10 novembre, per confrontarsi sul significato della parola compliance in contattologia: due giorni di intenso lavoro per scoprire che la chiave del successo nel mondo delle lenti a contatto va trovata nei rapporti reciproci fra applicatori, pazienti e aziende. I lavori in sala plenaria sono stati moderati da Marco Palma, inviato speciale del TG5, autore di numerose inchieste giornalistiche in ambito medico scientifico, vincitore di diversi premi giornalistici per i servizi sulla sanità italiana. La serie delle relazioni si è aperta con l’intervento di Claudio Belotti, esperto di comunicazione interpersonale e considerato uno dei pionieri della programmazione neuro-linguistica in Italia. Nel suo intervento in- troduttivo “La compliance: una sfida da vincere insieme al cliente”. Claudio Belotti si è concentrato sul rapporto fra applicatore e paziente e sui mezzi comunicativi più efficaci per far sì che il paziente si conformi alle istruzioni che gli vengono date. In particolare ha sottolineato quanto siano più efficaci i rinforzi positivi, cioè i premi, rispetto ai rinforzi negativi, cioè le punizioni. I grandi temi della ricerca e della pratica contattologica sono stati introdotti da Brien Holden, Scientia Professor alla School of Optometry and Vision Science dell’Università del New South Wales in Australia, nella lezione magistrale di apertura ”Lenti a contatto e segmento anteriore dell’occhio: solo uno degli aspetti del processo di formazione continua in optometria”. Brien Holden ha ripercorso la sua lunga carriera di ricercatore, che abbraccia gli ultimi quarant’anni di sviluppo delle lenti a contatto: l’aggiornamento è un lavoro continuo, che riempie una vita e non si arriva mai al punto di poter dire che non c’è più nulla da imparare. Una grande lezione da parte di una delle persone più preparate al mondo nel campo delle lenti a contatto. Maurizio Rolando, professore associato di Oftalmologia presso la Clinica Oculistica, Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica dell’Università di Genova, nella relazione magistrale “Riconoscere le disfunzioni lacrimali. Qual è la differenza tra occhio secco e sensazione di secchezza?” ha distinto tra la 81 2008, vol. X, n. 3 contattologia & compliance presenza di fastidio transitorio, legato alla condizione del momento, di modesta rilevanza clinica e facilmente recuperabile, e la presenza di una vera sindrome di secchezza oculare. I sintomi di occhio secco associati all’uso di lenti a contatto e le possibili soluzioni per prevenire e ridurre questo fenomeno sono stati discussi da Kathy Dumbleton, Senior Researcher di facoltà al Centre for Contact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo, nella relazione “Migliorare i sintomi di occhio secco marginale con materiali per lenti a contatto di nuova tecnologia”. Ancora sul tema dell’occhio secco, Jennifer Craig, docente di Optometria e Scienze della Visione presso l’Università di Auckland in Nuova Zelanda, nell’intervento “Soluzioni, lacrime artificiali e occhio secco marginale: fanno la differenza per il comfort del paziente?” ha preso in esame le varie componenti di soluzioni e lacrime artificiali, unitamente alle loro funzioni. Malgrado i progressi ottenuti negli ultimi anni nella tecnologia dei materiali per lenti a contatto e dei liquidi di manutenzione, la riduzione del comfort legato alla sensazione di occhio secco continua ad essere il principale fattore che limita l’uso delle lenti a contatto: il contattologo, dopo aver analizzato le cause, può limitare questo fastidio agendo sull’ambiente, sulla scelta delle lenti, dei liquidi di manutenzione e degli umettanti. La sessione della domenica pomeriggio è stata dedicata agli aspetti più tipicamente refrattivi della contattologia. In “Correggere la presbiopia con lenti a contatto: una sfida da vincere”, Alessandro Fossetti, docente al Corso di Laurea in Ottica e Optometria presso l’Università degli Studi di Padova, ha discusso quali possono essere gli ostacoli che limitano la diffusione delle lenti a contatto bifocali e multifocali e come questi possano essere superati. Roberto Pregliasco, optometrista di Genova, in “Motivazioni ed aspettative del portatore di lenti a contatto” ha illustrato come, indagando esigenze e stile di vita del paziente, sia possibile condurre il portatore ad un utilizzo gratificante e sicuro delle lenti a contatto, soddisfacendo le sue aspettative e permettendo il raggiungimento di una qualità visiva ottimale. La conclusione della prima giornata congressuale è stata affidata a Gary Gerber, optometrista statunitense dalla personalità estremamente esuberante, che ha illustrato alla platea “Come distinguersi nella propria professione”, con un intervento molto coinvolgente e simpatico, in grado di ravvivare gli animi gravati da un’intensa giornata di lavori. I temi trattati in plenaria sono stati approfonditi in una serie di corsi monotematici, che si sono svolti la domenica sera e il lunedì nella prima mattinata. Due 82 Figura 3 Panoramica della sala plenaria Figura 4 Sala plenaria corsi si sono occupati di comunicazione: Carlo Raffaelli, esperto di programmazione neuro-linguistica, ha condotto il corso “Da collaboratori a squadra unita”, mentre Claudio Belotti ha approfondito il tema de “La comunicazione persuasiva per avere la compliance”. Umberto Benelli, oftalmologo, docente presso l’Università di Pisa, ha parlato de “L’endotelio corneale: aspetti fisiopatologici e diagnostica strumentale”, illustrando l’impiego del microscopio speculare non a contatto. Guido De Martin, optometrista di Trento, ha parlato della correzione della presbiopia con lenti a contatto, nel corso “L’accompagnamento del presbite durante tutte le fasi applicative della lente a contatto”. Kathy Dumbleton e Jennifer Craig hanno sviluppato i temi trattati nelle loro relazioni in plenaria nei corsi ARTICO L O contattologia & compliance “Tecniche di valutazione dell’occhio secco” e “Ottimizzazione del film lacrimale e valutazione della superficie oculare”. Domenica sera oltre cinquecento persone hanno partecipato alla cena di gala con musica dal vivo, che si è conclusa sulla pista da ballo allestita nelle ampie sale del Marriot Park Hotel: la sede del convegno si è dimostrata un luogo ideale per accogliere così tante persone, sia nei momenti di lavoro, sia nei momenti di ristoro e aggregazione, che sono parte integrante di una riunione di così vasta partecipazione. Filo conduttore degli interventi in plenaria del lunedì mattina è stato il tema della sicurezza nell’utilizzo delle lenti a contatto. José Manuel Gonzàlez Meijome, professore di Optometria presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Minho (Portogallo) ha illustrato “L’importanza clinica dello staining corneale in contattologia”. La colorazione dell’epitelio corneale è un segno clinico di grande rilevanza che, correttamente classificato ed interpretato, permette di programmare strategie di intervento mirate, al fine di migliorare il rapporto fra cornea e lente. La relazione si è focalizzata soprattutto sullo staining puntato superficiale, che tanto ha fatto discutere, soprattutto per il suo legame con i sistemi di manutenzione delle lenti in silicone idrogel. Francesco Loperfido, responsabile del servizio di Oftalmologia Generale e di Fluoroangiografia Retinica presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, nella relazione la “Gestione delle infezioni e delle infiammazioni in contattologia” ha passato in rassegna le più gravi complicanze dovute al non corretto uso delle lenti a contatto, sollecitando gli applicatori ad una proficua collaborazione con gli oftalmologi, al fine di preservare la salute dei pazienti. Luigi Lupelli, titolare dell’insegnamento di Ottica della Contattologia all’Università degli Studi “Roma Tre” ha illustrato le caratteristiche e l’utilizzo delle scale di gradazione per immagini, che permettono di determinare la gravità delle reazioni oculari indotte dall’uso delle lenti a contatto. Nella sua relazione “Le scale di gradazione sono veramente utili (e vengono realmente utilizzate)?” ha presentato i risultati di un questionario condotto su un campione di contattologi che mostra come, malgrado molti dispongano delle grading scales, ancora pochi le usino con regolarità. Kathy Dumbleton, nell’intervento “Cosa fanno i nostri clienti con le loro lenti a contatto?” ha presentato una serie di esempi comportamentali tratti dalla sezione “domande e risposte” di un sito internet specializzato. La ricercatrice ha preso inoltre in esame i risultati di alcuni recenti studi sulla non-compliance nell’uso e nella manutenzione delle lenti a contatto. La sessione del lunedì pomeriggio si è aperta con la Figura 5 Esposizione dei poster scientifici premiazione della Poster Competition. Quest’anno erano in concorso otto poster, sette di ricerca e uno fotografico, in gran parte frutto di lavori condotti da studenti o docenti dei vari corsi di Laurea in Ottica e Optometria attivi nelle varie sedi universitarie del nostro paese. Fabrizio Zeri, docente nel Corso di Laurea in Ottica e Optometria presso l’Università di Roma Tre, ha presentato tre poster, che hanno messo in evidenza le sue competenze di contattologo con un occhio sempre rivolto alla psicologia. Il primo poster presentava l’“Uso prostetico di una lente morbida sclerale su un occhio con deviazione elevata” e mostrava come l’impiego di queste lenti possa essere una risorsa efficace per il ripristino delle normali condizioni estetiche oculari. Il secondo poster presentava i risultati di un’indagine condotta mediante questionari su “Il fenomeno del drop-out visto fai formatori italiani di lenti a contatto”: è proprio tra contattologi e pazienti che si nascondono importanti fattori in grado di concorrere all’abbandono delle lenti a contatto. Il suo terzo poster, presentato in collaborazione con Maurizio Maltese, psicologo, ha mostrato “L’atteggiamento verso le lac: genitori e figli a confronto”, argomento di grande attualità, vista la sempre maggiore richiesta di lenti a contatto da parte degli adolescenti. Antonio Calossi, in collaborazione con l’equipe del dottor Ferdinando Romano di Caserta, ha presentato una studio di un anno sull’impiego di “Ortocheratologia notturna e cross-linking nel cheratocono”, condotto per verificare la possibilità di stabilizzare l’effetto del modellamento corneale in pazienti affetti da cheratocono, mediante la tecnica di cross-linking del collagene stromale. Mauro Frisani, studente di Ottica e Optometria all’Università di Torino, con Antonio Calossi che è docente di Ottica 83 2008, vol. X, n. 3 contattologia & compliance per la Contattologia presso lo stesso Corso di Laurea, ha presentato un lavoro su “Spessore dell’epitelio corneale e spessore della cornea umana, misurati in vivo con l’OCT Fourier Domain”. La tomografia a coerenza ottica è un metodo di indagine clinica con cui è possibile ottenere in vivo immagini ad altissima risoluzione, il suo impiego non è ancora largamente diffuso a causa dei costi della tecnologia impiegata, ma mostra straordinarie possibilità di sviluppo nel prossimo futuro: ne sentiremo ancora parlare. Patrizia Oliana ha esposto un poster sulla “Valutazione delle alterazioni endoteliali, eventi avversi e variazioni della sensibilità al contrasto indotte dall’utilizzo di tre lenti in silicone idrogel a porto giornaliero”, riportando i risultati di una ricerca condotta come tesi in Ottica e Optometria presso l’Università di Milano Bicocca. Andrea Daniele e Mirko Chinellato, studenti in Optometria all’Università di Padova, hanno presentato il poster “Considerazioni sul Tear Ferning Test, review con riferimenti sperimentali sulle potenzialità e i limiti del TFT”. Il poster fotografico di Cristina Mazzoni e Guido De Martin, con un titolo che suona come uno slogan “No Rub generation?... No thank!”, ha puntato tutto sulla forza delle immagini per ribadire i limiti delle procedure di pulizia che non prevedono lo sfregamento delle lenti a contatto. Il Comitato Scientifico composto da Luigi Lupelli, Giancarlo Montani e Roberto Pregliasco, dopo aver preso atto dell’elevata qualità dell’intera serie dei poster scientifici presentati, ha ritenuto che meritasse una particolare menzione il poster di Antonio Calossi, Ferdinando Romano, Giuseppe Ferraioli e Vito Romano dal titolo “Ortocheratologia Notturna e Cross-linking nel Cheratocono” per le seguenti ragioni: l’originalità dell’argomento trattato in cui è stata prevista l’applicazione di lenti a contatto a geometria inversa su cornee cheratoconiche trattate con la procedura del cross-linking, per comprendere se vi fosse la possibilità d’integrare le due tecniche per ottenere una migliore performance visiva, il rigore scientifico con cui è stato disegnato e condotto lo studio e la chiarezza della presentazione sia nella parte descrittiva che in quella iconografica, nel rispetto della sintesi caratteristica di tale modalità di comunicazione. Il premio è stato ritirato da un emozionatissimo Giuseppe Ferraioli, in rappresentanza dell’intera equipe. Per la prima volta in questa edizione è stata introdotta una sessione dedicata alla descrizione di casi clinici, costituita da una serie di interventi flash su argomenti specialistici. Dino Marcuglia ha illustrato alcuni casi di applicazioni post-chirurgia LASIK: sono situazioni complesse, sia per le difficoltà applicative, sia perché si ha a che fare con pazienti provati da un punto di vi- 84 sta psicologico, che si rivolgono all’optometrista anche dopo anni di consulti di vario genere. Carlo Tronti ha parlato dell’impiego del piggyback, cioè dell’applicazione di due lenti, morbida e rigida, una sopra all’altra, al fine di stabilizzare l’applicazione e proteggere la cornea in casi complessi. Stefano Lorè ha portato alcuni casi di ortocheratologia che hanno evidenziato diversi aspetti di questa procedura finalizzata al rimodellamento della cornea per la correzione dei difetti refrattivi. Fabrizio Zeri, attraverso casi clinici diversi, ha analizzato le principali alterazioni endoteliari indotte dall’uso delle lenti a contatto: possono infatti verificarsi sia alterazioni transitorie come le blebs, sia alterazioni a lungo termine, come polimegatismo e polimorfismo. È stata poi la volta di Dennis Reid, ex allenatore olimpico neozelandese cha applica la sua esperienza sportiva come consulente per le imprese al dettaglio. Durante la sua presentazione “Mettere in pratica una strategia efficace per le vendite e l’assistenza in optometria”, ha illustrato i concetti e le idee che hanno contribuito a costruire alcune delle attività al dettaglio e di assistenza postvendita di maggior successo in tutto il mondo, applicandoli al contesto del mercato italiano dell’ottica. A conclusione del convegno, Brien Holden è tornato sul palco per esplorare il futuro della tecnologia e delle geometrie delle lenti a contatto nella relazione “Lenti in silicone hydrogel e il futuro della contattologia”. Le prestazioni delle lenti in silicone idrogel contemporanee stanno ad indicare la necessità di ulteriori sviluppi nel campo della vera biocompatibilità con l’occhio: la ricerca si sta orientando verso lo sviluppo di superfici antibatteriche e l’ampliamento dei parametri, in modo da soddisfare tutte le prescrizioni e le fasce di età. Infine, nel suo intervento di chiusura “Adesso tocca a noi!”, Claudio Belotti ha ripreso i punti fondamentali emersi durante le due giornate, affinché potessero diventare il punto di partenza per tutti i partecipanti verso nuove consapevolezze e motivazioni per lo sviluppo professionale e personale. La crescita costante, che questo congresso mostra edizione dopo edizione, è un punto di orgoglio per la contattologia italiana, che ha bisogno di occasioni di incontro e confronto per stimolare e promuovere il progresso della nostra professione. Diamo a tutti appuntamento il prossimo anno per la settima edizione del Congresso di Assottica. ARTICO L O Seminario di comunicazione all’Università degli studi di Milano Bicocca, 11 giugno 2008 Rossella Fonte Con circa 400 iscritti dal 2001 e più di 50 laureati ad oggi, il Corso di Laurea in Ottica e Optometria presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, è giunto al suo ottavo anno accademico. È in questo contesto che Helmer Schweizer ha tenuto il seminario dal titolo “La comunicazione nella pratica optometrica” l’11 giugno 2008. Il Corso di Laurea in Ottica e Optometria è articolato, come previsto dalle direttive del DM270/2004, su 20 esami con un ampio spazio riservato alle materie caratterizzanti la professione (optometria e contattologia) e dai nuovi laboratori annuali il cui scopo è quello di far emergere maggiormente le competenze pratiche e professionali dello studente. Nella struttura didattica i corsi professionalizzanti sono così caratterizzati: gli insegnamenti di optometria sono tre: uno di optometria generale di 12 cfu (circa 100 ore di lezione frontale) uno di laboratorio di optometria generale di 8 cfu (corrispondente a 300 ore di laboratorio) e uno di optometria avanzata di 8 cfu al terzo anno di cui 4 cfu di lezioni frontali e 4 cfu di laboratorio. Analogamente sono stati strutturati gli insegnamenti di contattologia. Ma una delle cose veramente importanti è la dotazione e la strumentazione dei labora- Università degli Studi di Milano Bicocca tori, nei quali gli studenti, oltre alle normali esercitazioni, svolgono attività di ricerca junior alcune delle quali, proprio nel campo della contattologia hanno suscitato un certo interesse sia nel mondo scientifico (dando corso a degli articoli che vedranno luce su riviste internazionali del settore) che nel mondo dell’industria. Seguono i percorsi didattici: Percorso didattico a tempo pieno Insegnamenti del I anno cfu Insegnamenti del II anno Istituzioni di matematica I; 8 annuale Chimica (I e II modulo); 8 annuale Anatomia e istologia umana e 8 oculare; semestrale Fisica I; annuale 8 Ottica geometrica e oftalmica e laboratorio ottica geometrica e 8 di progettazione sistemi ottici; annuale Trattamento dati ed immagini; 8 annuale Fisiologia generale ed oculare; 8 semestrale cfu Insegnanti del III anno Tecniche fisiche per l’optometria generale; annuale 12 Fisica II; annuale 8 Ottica della contattologia generale; annuale 12 Laboratorio tecniche fisiche per l’optometria; annuale 8 Laboratorio ottica della contattologia; annuale 8 Istituzioni di matematica II; annuale 8 Lingua dell’Unione Europea 3 Strumenti ottici e loro evoluzione storica; semestrale 4 TOTALE crediti I anno 59 TOTALE crediti II anno 60 cfu Optometria avanzata; semestrale 8 Fisica della visione; semestrale 4 Principi di patologia oculare; semestrale Fisica III con laboratorio; semestrale Proprietà ottiche dei materiali; semestrale 4 Tirocini e prova finale 18 8 4 Corso libero a scelta dello studente 12 Attività formative volte ad agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta 3 del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso. Art 10. comma 5d TOTALE crediti III anno 61 85 2008, vol. X, n. 3 seminario di comunicazione all’Università degli Studi di Milano Bicocca, 11 giugno 2008 Percorso didattico a tempo parziale Insegnamenti del I anno cfu Istituzioni di matematica 16 Chimica (I e II modulo) 4 Fisica I TOTALE crediti I anno 8 32 Insegnamenti del II anno cfu Ottica geometrica e lab di ottica geometrica 8 Anatomia e istologia umana e oculare 8 Trattamento dati ed immagini 8 Lingua dell’Unione Europea TOTALE crediti II anno 3 27 Insegnamenti del III anno cfu Tecniche fisiche per l’optometria generale Fisiologia generale oculare Laboratorio tecniche fisiche per l’optometria TOTALE crediti III anno 12 8 8 28 Insegnamenti del IV anno cfu Fisica II Strumenti ottici e loro evoluzione storica Ottica della contattologia generale; annuale laboratorio ottica della contattologia Ottica della contattologia generale TOTALE crediti IV anno 8 4 12 8 12 32 Insegnamenti del V anno cfu Optometria avanzata Fisica III con laboratorio Principi di patologia oculare laboratorio ottica della contattologia Corso libero a scelta dello studente TOTALE crediti V anno 8 8 4 8 12 32 Insegnamenti del VI anno cfu Proprietà ottiche dei materiali 4 Fisica della visione 4 Tirocini e prova finale 18 Attività formative volte ad agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta 3 del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso. Art 10. comma 5d TOTALE crediti VI anno 29 86 Veduta aerea e facciata laterale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca Laboratori di Ottica e Optometria È altresì importante notare che 3 cfu (75 ore), a tutti gli effetti parte integrante del percorso di studi, sono destinati ad attività formative volte ad agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso. Il tutto sta ad indicare una maggiore interazione con il settore produttivo e industriale a livello di seminari e altre attività di informazione (etica, nuove frontiere dell’optometria e della contattologia in termini di strumentazione e di nuovi test, ecc). Queste attività rappresentano un’ottima opportunità sia per le aziende che per gli studenti. Per maggiori informazioni in merito si invitano gli interessati a consultare il sito dell’Università degli Studi di Milano Bicocca (http://www.2.mater.unimib.it/MANIF_OTTICI.html). Helmer Schweizer Optometrista, Embrach, Svizzera VDC, BCLA, FIACLE, SBAO, WVAO; BBA/GSBA; Cand. MBA/GSBA Prima parte Abstract Comunichiamo con il cliente sempre: consciamente, inconsciamente, in modo diretto e indiretto. Nei diversi momenti di contatto, ad esempio durante l’applicazione delle lenti a contatto, la comunicazione ha luogo a livelli e in forme diverse ed è volta al raggiungimento di obiettivi che spaziano dalla mera informazione all’insegnamento sino al cambiamento dei comportamenti agiti dal cliente. Definito l’obiettivo che si vuole raggiungere, la comunicazione è efficace ed efficiente quando le diverse forme e livelli costituiscono una unità coerente (interferenza positiva). In caso contrario, forme e livelli non coerenti tra loro, la comunicazione perde in credibilità ed efficacia (interferenza negativa) e, quindi, l’obiettivo comunicativo non verrà raggiunto. Uno dei principi fondamentali della comunicazione ci ricorda che è importante ciò che viene percepito dall’interlocutore, non ciò che l’emittente intendeva comunicare. Il fulcro della comunicazione efficace, quindi, è il destinatario della comunicazione stessa: è importante adattarsi all’interlocutore nella scelta degli strumenti (linguaggio, velocità, elementi di supporto come grafiche, ecc…). Questo porta ad affermare che “meno è spesso meglio”: privilegiare la qualità, e non la quantità, nella comunicazione con il cliente significa ottenere una comunicazione mirata, riproducibile e personalizzata che porta ad una maggiore soddisfazione e fedeltà del cliente. Questo tipo di comunicazione, efficace e personalizzata, rappresenta un vero punto di forza in un ambiente competitivo come quello attuale. I clienti di oggi vogliono avere un’esperienza positiva e divertente, non solo essere serviti come al solito. Vogliono essere interrogati e ascoltati, non solo ricevere “una valanga di informazioni”. Coloro che non guardano il contatto con il cliente con il giusto entusiasmo o non sono in grado di mostrarlo, perdono una grande opportunità. Parole chiave Comunicazione, livelli di comunicazione, comunicazione verbale, comunicazione non verbale, intelligenza emotiva, contenuti effettivi, chiamata all’azione, relazione, auto rivelazione, comunicazione faccia a faccia, comportamento, domande aperte, domande chiuse, percezione. Introduzione Una comunicazione efficiente ed efficace tra il cliente (paziente) e lo specialista (oftalmologo, optometrista o ottico) è un fattore importante di successo in una professione. Il successo può essere definito in molti modi diversi, a seconda del punto di vista della persona interessata ad esso. Per un cliente un contatto di successo è un incontro in cui: • pensa di non aver perso più tempo del necessario • è soddisfatto del servizio ricevuto e del prodotto • ha la sensazione di essere stato ben servito • pensa che la visita sia stata accurata • ritiene di essere stato ben ascoltato • ritiene di aver ricevuto quello che voleva In ottica di servizio, inoltre sarebbe ancora meglio se l’esperienza concreta superasse le aspettative: vogliamo un cliente felice, non soltanto soddisfatto! Questo non significa necessariamente che lo specialista sia in grado di fornire una ancora migliore acuità visiva, ma indica una comunicazione efficace e personalizzata, declinata anche con azioni semplici quali l’essere amichevoli, puntuali, attenti nella conversazione, e il fornire spiegazioni facili da capire e da seguire. Successo, secondo il punto di vista dello specialista, spesso significa valutazione economica del cliente (volume di vendita o fatturato). A questi aspetti concreti e oggettivamente misurabili va sicuramente aggiunta la soddisfazione personale nell’impostare e gestire il rapporto con il cliente per arrivare alla sua fidelizzazione. Alcuni clienti ci elogeranno in maniera esplicita, altri non lo faranno mai ma parleranno bene di noi: in entrambi i casi abbiamo raggiunto l’obiettivo! Nella prima parte dell’articolo verranno affrontate le teorie generali, le esperienze e le dinamiche comunicative. Successivamente verranno esaminate situazioni specifiche: il comportamento del cliente che si occupa della cura degli occhi, le proposte per l’uso consapevole e conscio dei diversi strumenti di comunicazione, i mezzi che lo specialista può utilizzare per ottenere migliori risultati per sé stesso e il cliente. 87 2008, vol. X, n. 3 ARTICO L O Comunicazione una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica Come trarre vantaggio da una buona comunicazione? L’abilità di comunicare efficacemente rappresenta il vero punto di forza nel clima attuale di crescente concorrenza. Al contrario dei prezzi, la capacità comunicativa non può essere facilmente imitata e perciò rappresenta un elemento importate di differenziazione rispetto ai competitors. Una comunicazione percepita come buona o molto buona dai pazienti aumenta il livello di soddisfazione e non solo li rende dei clienti più fedeli, ma li fa diventare dei veicoli pubblicitari: mettono in moto il passaparola positivo. I loro commenti e le loro raccomandazioni porteranno nuovi clienti o, addirittura, faranno tornare clienti ormai considerati persi. Al contrario, i clienti insoddisfatti possono danneggiare l’immagine della attività con i loro commenti negativi. L’obiettivo è quindi quello di avere sempre clienti soddisfatti, e questo obiettivo si può raggiungere con la buona “cultura della comunicazione”, rivolta sia al cliente esterno che al cliente interno (collaboratori). I clienti valutano il clima comunicativo non solo durante il colloquio ma anche, e soprattutto, percependo indicatori quali: • sorriso e cordialità • utilizzo di un linguaggio adeguato • esternazione del ruolo (ad esempio la postura e la sicurezza nel parlare) • comportamento con e tra i dipendenti • comportamento verso altri clienti. Buona comunicazione, quindi, significa non solo clienti fidelizzati ma anche maggior efficienza nei rapporti con i collaboratori e, quindi, orientamento alla crescita, alla produttività e al profitto. • Soddisfazione del cliente • Clienti fedeli (regolari) • Convenienza per i clienti • Differenziazione • Nuovi clienti (pubblicità con il passaparola ...) • Aumento nell’efficienza • Aumento dell’autostima dell’applicatore, di tutti gli impiegati Riquadro 1 Vantaggi di una buona comunicazione Quando noi comunichiamo? Paul Watzlawick una volta disse: “Non si può non comunicare”. Invertendo l’osservazione, questo significa che una persona comunica sempre e in ogni momento. 88 Comunichiamo non solo quando parliamo: ogni nostro comportamento e postura è comunicazione. Lo studio della comunicazione si declina a seconda delle diverse modalità: • Comunicazione di massa • Comunicazione di gruppo • Comunicazione individuale • Comunicazione interpersonale Questo articolo si concentra sulle ultime due categorie (individuale e interpersonale) che sono le più importanti per il lavoro quotidiano nella pratica optometrica. La comunicazione interpersonale include: • La comunicazione non verbale • La comunicazione vocale • La comunicazione visiva • La lingua parlata • La comunicazione di supporto • La comunicazione supportata dalla gestualità • La comunicazione supportata In una comunicazione l’80% del messaggio viene veicolato dalla parte non verbale. Questo significa che comunicando è fondamentale curare non soltanto le parole che vengono utilizzate (che veicolano il 20% del messaggio), ma anche e soprattutto gli aspetti non verbali quali: • mimica facciale (sorriso) • gestualità • postura del corpo • gestione dello spazio (prossemica) • linguaggio degli occhi • impostazione della voce (paraverbale) • aspetto esteriore È importante ricordare che gli aspetti non verbali della comunicazione hanno influenza sugli altri ma anche su sé stessi. Un esempio noto a dimostrazione di questo è il sorriso che si è soliti assumere prima di rispondere ad una telefonata: la voce risulterà realmente più amichevole, più sommessa e gentile. Altri aspetti rilevanti per una comunicazione efficace sono: • come ascoltiamo gli altri • come mostriamo loro empatia • come integriamo le nostre (e le loro) situazioni emotive personali e come ne parliamo • qual è l’atteggiamento nei confronti dell’interlocutore. Per approfondimenti ed una panoramica esaustiva, rimando al testo di Daniel Goleman “Intelligenza Emotiva”. ARTICO L O comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica Comunicazione faccia a faccia La comunicazione viso a viso è definita come un sistema di interazioni sulla base del comportamento in relazione a persone presenti, che hanno la possibilità di osservarsi a vicenda. In tali circostanze ogni aspetto del proprio comportamento viene inteso come comunicazione da parte dell’interlocutore, il quale ottiene ulteriori informazioni dall’osservazione (conscia e inconscia) durante tutto il tempo del contatto. L’osservatore assegna a queste informazioni un alto livello di verità, spesso fidandosi più di queste che delle parole pronunciate (udite): questo a conferma di quanto detto sopra (il messaggio viene veicolato solamente per il 20% dalla parole che utilizziamo) Nella comunicazione viso a viso possono essere utilizzati diversi canali di comunicazione: • Audio (parlando e ascoltando) • Visivo (guardando; utilizzando immagini, grafici, tabelle...) • Tattile (tatto e percezione) • Olfattivo (odorato) • Termico (temperatura) • Senso del gusto (mi attrae, è interessante per me, gradimento...) Perché la comunicazione sia efficace è necessario utilizzare più canali, senza limitarsi ad un unico, come verrebbe spontaneo fare. Il modello a quattro livelli Il modello di comunicazione a quattro livelli descrive le caratteristiche multilivello nei messaggi umani. Questi quattro livelli sono: • Il livello reale o obiettivo • Il livello dell’interesse • Il livello della relazione • Il livello dell’autorivelazione Questo modello, in particolare, aiuta a spiegare le ‘incomprensioni’: queste vengono definite come disturbi e originano dal fatto che il destinatario pone il messaggio su un livello diverso da quello che intendeva utilizzare l’emittente. Livello reale La comunicazione su questo livello utilizza solo contenuti oggettivi e non considera la persona, i gesti o altri elementi del non verbale. L’informazione include messaggi puramente oggettivi, reali. Il mittente si sta chiedendo: “Di cosa voglio informare? Quali sono i fatti?” La comunicazione stessa è reale, comprensibile, neutrale e chiara. Livello dell’interesse Il livello dell’interesse include l’intenzione di stimolare una specifica azione da parte del destinatario, una sua richiesta d’azione. Il mittente si chiede “Quale azione voglio provocare? Quale azione voglio che tu faccia?” Il mittente prova ad influenzare il destinatario, in maniera più o meno velata. In alcuni casi si può parlare di manipolazione. Livello della relazione Questo livello si occupa della relazione tra mittente e destinatario, o meglio, di come questa relazione è da loro percepita. Questo livello diventa visibile nei “tu” e “noi” all’interno del messaggio. Il mittente esprime cosa pensa del destinatario e del loro modo di relazionarsi, si valutano l’un l’altro (dal punto di vista del mittente). La domanda è: “Come tratto le persone intorno a me con il mio modo di comunicare?”. Il livello dell’auto-rivelazione Il mittente rivela sempre, consciamente o inconsciamente, informazioni su sé stesso, sulle sue motivazioni, su i suoi valori, sulle sue emozioni: si tratta del cosiddetto “I-message”. Ogni messaggio diventa quindi un piccolo “campione della personalità del mittente”. La domanda è: “Che cosa dico (rivelo) di me stesso?”. Schulz von Thun una volta ha detto: “I livelli nascosti all’interno del significato puramente semantico delle parole sono rilevanti quanto il contenuto puramente cognitivo di una frase, e a volte trasmettono messaggi emotivi e relazionali più forti degli elementi direttamente e realmente compresi”. Il Riquadro 2 mostra un esempio nel quale tutti i quattro livelli diventano visibili anche all’interno di un breve messaggio. I ruoli maschio/femmina all’interno dell’esempio possono naturalmente essere invertiti. L’esempio costituisce anche una buona prova della teoria di Von Thun: è possibile visualizzare l’immagine della scena, predire dove e come i disturbi possano presentarsi, e dove molto probabilmente si verificheranno. 89 2008, vol. X, n. 3 comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica Per il mittente, questo significa che i messaggi verbali, reali possono essere più o meno oscurati dagli altri livelli e, nel caso peggiore, andare completamente smarriti. Allo stesso tempo, essere a conoscenza di queste dinamiche è un’opportunità: occupandocene consciamente possiamo indirizzare e includere tutti i livelli in anticipo aumentando considerevolmente l’efficacia dei nostri messaggi. La donna guida la macchina. L’uomo siede sul sedile del passeggero. L’uomo (mittente): “Maria, il semaforo è verde.” Informazione reale: “Il semaforo indica ‘puoi andare (ora)’.” Interesse: “Vai, comincia a muoverti!” - Potrebbe essere un po’ più cortese: “Potresti cominciare a muoverti, ora!” Relazione : Nome base => relazione personale “Tu reagisci più lentamente di me.” Auto-rivelazione: Sono impaziente. - Voglio guidare io. - Sono di fretta. ... Riquadro 2 Esempio dei quattro livelli in una comunicazione Ricezione e rilevanza Riceviamo la maggior parte delle informazioni inconsciamente e perciò effettuiamo una forte selezione di esse: questo ci protegge da un sovraccarico o eccedenza di stimoli. Nel ricevere un messaggio riassumiamo ed estraiamo le proprietà momentaneamente rilevanti da quelle irrilevanti (per esempio un particolare colore illuminato in un semaforo). Nelle situazioni pratiche effettuiamo una integrazione perspicace (consapevolmente conscia), cioè modifichiamo un elemento con caratteristiche che sono importanti per noi (semaforo rosso = fermarsi). Comunicazione non verbale La comunicazione non verbale veicola l’80% del messaggio nella comunicazione ed è la principale responsabile Distanza pubblica (> 3 m) Distanza vicina (1 – 3 m) Distanza intima (circa la lunghezza di un braccio) Riquadro 3 Distanza zone/sfere 90 delle dinamiche relazionali (secondo Malcho). Goleman nel libro “Intelligenza Emotiva” descrive come comunicare efficacemente significhi essere consapevoli e controllare il proprio linguaggio del corpo, integrando ciò con l’attitudine interiore verso l’interlocutore (empatia) e la gestione delle proprie emozioni. Queste ultime impattano su funzioni corporee autonome (la sudorazione, le dimensioni delle pupille o il battito cardiaco) che non possono essere controllate consciamente, ma sono chiaramente visibili ed osservabili dall’interlocutore. Due persone che sono in sintonia, che hanno un interesse reciproco, comunicando arrivano a sincronizzare il loro comportamento (tonalità, gesti, mimica, postura del corpo e della testa): questo effetto è osservabile, ad esempio, durante una cena. Quando comunichiamo efficacemente, quindi, si attiva il ‘pacing’ (mettersi al passo): una sincronia di gesti e di pensieri che conferma il raggiungimento dell’obiettivo comunicativo. Si può imparare (e fare pratica) ad usare il linguaggio del corpo in maniera conscia: l’utilizzo consapevole e mirato dei gesti e della mimica (in questo caso principalmente occhi e bocca) ha un impatto considerevole sull’interlocutore. Pensate al sorriso quando si saluta qualcuno: è un’espressione di gioia, facilita il contatto e aiuta a rilassarsi in situazioni critiche, diminuisce la tensione. A ciò si deve poi aggiungere l’effetto dell’auto-condizionamento: gestualità e mimica influenzano anche il nostro atteggiamento: sorridere prima di alzare il ricevitore per rispondere a una chiamata significa predisporsi favorevolmente al contatto e trasmettere sorriso all’interlocutore, che si sentirà accolto e benvoluto. Altri esempi di auto-condizionamento sono: una stretta di mano sicura di sé quando si saluta qualcuno, la postura eretta anziché piegata o inclinata, lo sguardo sicuro o il profumo che si indossa. Per la gestione di clienti internazionali o dalle ambasciate particolare attenzione è richiesta per non cadere in incomprensioni legate a culture diverse. Ciò che è corretto, addirittura richiesto in una cultura potrebbe essere visto come una molestia in un’altra (il guardare dritto negli occhi nei paesi islamici o l’annuire con la testa in Grecia). L’importanza della comunicazione non verbale si ritrova nelle parole di Nietzsche: “Una persona può mentire con le parole, ma da come si comporta nel farlo, rivela comunque la verità”. Sfera pubblica (> 4 m) Sfera sociale (1.3 – 4 m) Sfera personale (0.5 – 1.3 m) Sfera personale (0.5 – 1.3 m) ARTICO L O comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica Il Riquadro 3 si riferisce alla prossemica e mostra termini noti per definire le diverse distanze tra le persone che comunicano. Questo aspetto è di fondamentale importanza per gli oculisti ma ancora di più per chi applica lenti a contatto. Evitare disguidi relazionali significa porre attenzione alla gestione della distanza con l’interlocutore, soprattutto durante la schiascopia, l’oftalmoscopia, l’esame con la lampada a fessura e l’applicazione delle lenti. Voltarsi leggermente di lato (ad esempio durante l’applicazione delle lenti) riduce la percezione di un approccio frontale e può aumentare notevolmente l’accettazione della vicinanza. Esistono diverse definizioni di comunicazione: • Condivisione di conoscenza • Diffusione di un’informazione • Invito a partecipare • Fare qualcosa insieme, unire le idee… • Uno scambio reciproco di pensieri in linguaggio, gesti, mimica, segni e immagini • Capacità di liberare energia, dare gusto alla vita (questo potrebbe essere anche un onere!) Comunicare efficacemente significa approcciarsi consapevolmente alla comunicazione: essere consci delle proprie attitudini interiori, controllarle e guidarle per gestire le dinamiche relazionali. Un esempio evidente si ha nell’auto-condizionamento: “Se vuoi trascorrere una buona giornata, aspettati di trascorrere una buona giornata!” La comunicazione efficace richiede un contenuto, deve avere un obiettivo e non prescinde dall’atteggiamento con l’interlocutore che dovrebbe essere sempre positivo. Stabilire una relazione comunicativa I primi istanti di contatto sono fondamentali per stabilire una relazione comunicativa efficace. Alcune culture, come l’asiatica e l’araba, considerano questa fase iniziale molto importante: ognuno prova qualcosa per il comportamento e lo stile dell’altro. Comunicare in maniera efficace con il cliente richiede attenzione e l’adattamento al comportamento e stile dell’interlocutore. Il ritmo di eloquio rappresenta un indicatore fondamentale: parlare ad una velocità simile a quella del cliente significa farsi percepire in sintonia e comunicare con maggiore facilità. Non è semplice, richiede energia ma il risultato vale lo sforzo! Nel colloquio con il cliente è importante riuscire ad entrare in sintonia, ascoltando con attenzione e ponendo domande per approfondire e capire le reali esigenze. La regola d’oro è: “Colui che pone le domande conduce la conversazione”! Ascolto attivo L’ascolto attivo si esprime con la capacità di ricordare il nome dell’interlocutore: spesso non poniamo abbastanza attenzione a questo che, al contrario, risulta un elemento fondamentale. È possibile facilitare la memorizzazione ricordandosi di ripetete più volte il nome del cliente all’inizio del colloquio. È importante evitare: • storpiature: possibili e fastidiose (meglio chiedere se ci sono dubbi) • commenti (“Che nome strano ...”, “Come mai questo nome inusuale?”): il nome rappresenta un elemento molto personale! L’ascolto attivo si esprime anche nell’accorgersi subito della presenza di un cliente, anche se si è impegnati con un altro interlocutore. È sufficiente porgere il benvenuto con un contatto visivo e un cenno della testa, senza dimenticare di sorridere. Se possibile, senza far innervosire il cliente che si sta seguendo, è utile informare il nuovo arrivato sul tempo che sarà necessario per essere disponibili per lui. Elemento importante dell’ascolto attivo è il linguaggio degli occhi: mantenere il contatto visivo mentre ascoltate, a meno di impedimenti culturali, trasmette interesse e coinvolgimento. Ascolto attivo significa anche rispetto per le parole dell’interlocutore: lasciar sempre finire la frase al cliente e non interrompere sono regole d’oro da non dimenticare mai. Solamente in casi particolari è opportuno interrompere il cliente, soprattutto quando è evidente che l’interlocutore sta facendo un monologo e non contribuisce più alla discussione. I segnali di ascolto sono un’altra espressione dell’ascolto attivo: mentre il cliente parla è opportuno esplicitare il nostro ascolto con commenti e intercalando assensi appropriati come “ah”, “davvero”, “e poi?”, “oh?”, “mhh” ... Durante il colloquio con il cliente è opportuno sfruttare alcune tecniche: • gestione del silenzio: prendere una breve pausa prima di rispondere, rispondere o passare direttamente alla domanda successiva • parafrasare, cioè riassumere quanto il cliente ha raccontato, usando meno parole, tralasciando gli elementi emotivi e concentrandosi sui fatti. 91 2008, vol. X, n. 3 comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica • ottenere approvazione: in alcuni casi è una buona idea chiedere l’approvazione del riassunto fatto chiedendo direttamente: “Ho tralasciato qualcosa?” Nella gestione di situazioni di criticità (cliente arrabbiato o che si lamenta) è opportuno intercalate il discorso con qualche leggero annuire. Questo permette di tornare in un secondo momento sui fatti in cui siete d’accordo con il cliente, ad esempio: “Come mi ha confermato prima, le lenti erano...” “Mi ha detto che... è importante per Lei...”. Utilizzare alcune parole del cliente significa attivare il pacing, la sincronia: il cliente percepisce attenzione, ascolto e sintonia di comunicazione. Occuparsi del cliente Ogni cliente ha un particolare atteggiamento rispetto al sistema sanitario, agli occhi e alla vista. Questo atteggiamento influenza la disponibilità a cercare e accettare aiuto, a seguire le istruzioni e il livello di aspettative nei confronti del professionista. Uno specialista di microchirurgia, che guida, presbite e che nel tempo libero ami tirare al bersaglio, avrà esigenze molto diverse rispetto a un uomo senza richieste visive specifiche. Comunicare efficacemente con tipologie diverse di clienti significa gestire il contatto in maniera differente anche quando si tratta di uno stesso trattamento (ad esempio applicare le lenti a contatto). Ottenere un cliente soddisfatto e fidelizzato significa estrema attenzione ai suoi bisogni, necessità pratiche e aspettative. Sotto questo aspetto ogni cliente è unico e irripetibile e richiede attenzione personalizzata. Esigenze e bisogni non sempre sono così evidenti, ad esempio: • Emmetropi sintomatici, che vogliono a tutti i costi avere un paio di occhiali (o lenti a contatto) anche se non ne hanno davvero bisogno, solo perché la sorella, l’amica o il fratello li hanno. Riportano una situazione di visione sfocata, di sintomi astenopici, ma otticamente e oftalmologicamente nulla viene rilevato. Ovviamente non è possibile ignorare la sintomatologia, che richiede comunque approfondimenti che permettano di escludere eventuali altre cause fisiche e psicologiche (internista, dentista, ortopedico...). Un aiuto può giungere anche dal campo relativamente nuovo dell’optometria funzionale. • Ametropi asintomatici, vale a dire coloro che realmente avrebbero bisogno di una correzione visiva, ma che si rifiutano di portarla. Ci si può chiedere quale potrebbe 92 essere la correzione perfetta, la migliore possibile (pur rimanendo naturalmente dentro i limiti legali per la patente, ecc.). Una deviazione di questo tipo deve essere accompagnata da accurate istruzioni e spiegazioni. Potrebbe anche essere una buona idea riportare per iscritto ciò che è stato detto, chiedendo una firma come conferma. Un’altra regola d’oro da non dimenticare è: mai discutere con il cliente! Questo non significa, d’altro canto, essere sempre d’accordo: una strategia è quella di non commentare le sue opinioni, anche se non veritiere, proseguire e lasciare che si renda conto dei risultati. Il cliente, spesso, cambia il suo punto di vista senza che voi lo forziate. Secondo Blaise Pascal, “Le persone di solito sono più convinte di ragioni che hanno scoperto per conto proprio piuttosto che di quelle trovate da altri” . La situazione meno semplice da gestire, in tema di opinioni del cliente, è quella del cliente che si lamenta. La strategia comunicativa migliore, in questo caso, è quella di non percepire la lamentela sul piano personale (critica me!), comunicare restando su un livello reale riguardo fatti concreti e oggettivi. Il tutto senza dimenticare l’empatia verso il cliente. Non a caso la gestione delle lamentele è la più alta scuola di intelligenza emotiva! Il processo decisionale Rendere la comunicazione meno faticosa significa ricordare che alcuni clienti faticano a prendere decisioni: offrire troppe alternative non rappresenta mai una strategia efficace. Per fissare un appuntamento è importante guidare la presa di decisone dell’interlocutore: domandare al cliente se preferisce mattina o pomeriggio e offrire un orario disponibile, evitando di lasciargli libera scelta. La presa di decisione influenza l’applicazione delle prescrizioni: è importante argomentare sulla prescrizione basandosi sui vantaggi che il cliente trarrà dall’applicazione corretta. Una strategia consiste nel preparare un’alternativa: nel caso venisse chiesta è possibile esporla sottolineando poi gli aspetti che la differenziano dalla scelta ottimale (ma che la rendono comunque accettabile.) Primo incontro, storia e sintomi Regole d’oro, da ricordare sempre: • Evitare i pregiudizi basati sugli stereotipi • Evitare i condizionamenti negativi • Ricordarsi di sorridere ARTICO L O comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica • Utilizzare l’ascolto attivo (in tutte le sue forme) per comprendere la storia clinica e i sintomi • Focalizzare e ricordare i dettagli • Osservare le sfumature nel tono e i segnali della comunicazione non verbale. ficienza dei processi interni alla struttura, inoltre, sottolinea la presa di responsabilità circa la cura del cliente da parte di chi l’ha effettivamente seguito, minimizzando la possibilità di incomprensioni. Misure, tecnica interrogatoria, comunicazione dei * La seconda parte dell’articolo verrà pubblicata risultati, conclusione dell’esame nel prossimo numero di Lac Un principio base: “La qualità delle risposte è direttamente proporzionale alla qualità delle domande”. Quindi quando il cliente fornisce cattive risposte è importante riflettere sulle domande che sono state poste. Durante l’esame è anche importante a preparare al meglio l’interlocutore: ad esempio, è possibile avvisare il cliente che la visione con i prossimi occhiali potrebbe essere inizialmente inferiore, ma che lo scopo è di confrontare le due posizioni degli occhiali, prima di posizionare il Jackson Cross Cyndler davanti. I clienti sono ansiosi di portare il proprio aiuto, vogliono dare una risposta, vogliono vedere una differenza e questo, se non gestito al meglio, aumenta la difficoltà di gestione della situazione. Nel relazionarsi con il cliente è importante scomporre il risultato dell’esame in parti più piccole, più facili da comprendere. Spiegare ciò che i risultati realmente significano per il cliente, come potete aiutarli a migliorare la situazione e cosa loro possono fare. Lo statunitense Dr. Gerber una volta disse: “Dovete essere veramente capaci di adattare ogni specifica raccomandazione ad ogni paziente” e “Affinché ogni raccomandazione che facciamo abbia valore ed efficacia per i nostri pazienti, dobbiamo essere in grado di ricondurla alle loro esigenze”. Anche se quest’ultima era riferita all’applicazione di lenti a contatto per presbiti, si adatta anche alla comunicazione con il cliente in generale. Per ottenere una comunicazione efficace è fondamentale utilizzare tutti i canali e i livelli di comunicazione: usare immagini, grafici, far provare dei campioni. Spesso i clienti ricordano solamente ciò che viene detto alla fine di un discorso: è importante quindi riassumere ancora le parti più importanti, le azioni e i passi successivi, oltre alle date degli appuntamenti successivi. Nel salutare il cliente è importante rivolgersi a lui chiamandolo per nome, porgere il biglietto da visita e informarlo che può richiamare se ha altre domande. La consegna del biglietto da visita è come la firma in una vendita o in un esame: rende l’intero processo più accattivante, rinforza il legame con il cliente e con ciò che è stato detto durante il colloquio. Per quanto concerne l’ef- 93 2008, vol. X, n. 3 R U BRICA Ortocheratologia in Pole Position Laura Boccardo Optometrista FAILAC Il 19 e 20 ottobre scorsi a Imola (Bo) si sono svolte due giornate di aggiornamento in ortocheratologia organizzate dall’AIOK (Accademia Italiana di Ortocheratologia) in collaborazione con S.Opt.I. (Società Optometrica Italiana). L’incontro prevedeva sia un corso di base, per i contattologi che si avvicinano ora al mondo dell’ortocheratologia, sia un corso avanzato per esperti, nei quali si sono alternati come relatori: Jennifer D. Choo, Carlo Lovisolo, Antonio Calossi, Marino Formenti, Alessandro Fossetti, Riccardo Olent, Salvatore Pintus e Giuseppe Toffoli. Ospite d’onore è stata Jennifer Choo, ricercatrice australiana che sta dedicando gran parte dei suoi studi alla comprensione dei meccanismi istologici, che permettono il modellamento del tessuto corneale. L’intervento della Choo si è articolato in due parti. Nella sua prima relazione ha illustrato uno studio condotto su un modello animale per studiare la ridistribuzione del tessuto corneale, in conseguenza all’applicazione di lenti per ortocheratologia. I risultati hanno mostrato una significativa variazione di spessore dell’epitelio corneale indotta dall’applicazione di lenti a geometria inversa nelle zone centrale, paracentrale e periferica della cornea. La tecnica istologica utilizzata per analizzare il tessuto, non ha permesso invece di mettere in evidenza l’eventuale interessamento dello stroma corneale. La seconda relazione illustrava i risultati di uno studio, condotto nuovamente su modello animale, per valutare se le modificazioni tessutali indotte dall’ortocheratologia possono essere considerate una compromissione dell’epitelio, tale da favorire una maggiore incidenza di cheratite microbica. Nei gatti, a cui sono state applicate le lenti per ortocheratologia, non si è sviluppato alcun caso di cheratite microbica, malgrado la massiccia esposizione ai batteri a cui sono stati sottoposti durante lo studio. Questo dimostra che il modellamento corneale di per sé non è un fattore di rischio per la cheratite microbica. I relatori italiani hanno invece portato l’attenzione sulla clinica, con gli occhi puntati sulle nuove frontiere dell’ortocheratologia: la correzione dell’ipermetropia, della presbiopia, dell’astigmatismo, le speranze su un possibile controllo della progressione miopica e di un impiego nella stabilizzazione del cheratocono, in abbinamento con le nuove tecniche di cross-linking. 94 Figura 1 Jennifer Choo Marino Formenti, presidente di AIOK, ha inoltre illustrato i contenuti del recente Congresso dell’American Academy of Orthokeratology, che si è svolto lo scorso aprile a San Diego e al quale ha partecipato, portando la testimonianza dell’esperienza italiana in ortocheratologia. Il lunedì si è tenuta una sessione di presentazione di casi clinici, illustrati da alcuni soci AIOK che hanno sostenuto l’esame di fellowship. Complessivamente, hanno partecipato alle due giornate di studio oltre cento iscritti, a dimostrazione di quanto vivo sia l’interesse per questo argomento fra i contattologi del nostro paese. R U BRICA R U BRICA TIPS &TRICKS a cura di Laura Boccardo La manutenzione delle lenti in caso di piggyback • M. A. Ward, Choosing Piggyback Lens Care Products, Contact Lens Spectrum, Gennaio 2006. La disponibilità dei nuovi materiali in silicone idrogel (SI) e rigidi ad altissimo Dk ha rivitalizzato il campo delle applicazioni piggyback su cornee irregolari, risolvendo il loro problema principale e cioè la carenza di apporto di ossigeno. Quando dovete scegliere il sistema di manutenzione per una coppia di lenti SI/RGP, ricordatevi queste regole: • Potete usare liquidi per lenti morbide con lenti RGP. • NON potete usare liquidi per RGP con lenti morbide. • Sia le RGP, sia le Silicone-idrogel necessitano di essere pulite e risciacquate sistematicamente. Se utilizzate una soluzione unica. La sera, pulite la lente RGP con un detergente per lenti rigide, sciacquate abbondantemente e conservate con una soluzione unica per lenti morbide; quindi pulite, sciacquate e conservate separatamente la lente morbida con la soluzione unica. La mattina, sciacquate le lenti con soluzione fresca, inserite le lenti, sciacquate i contenitori e lasciateli asciugare all’aria. Se utilizzate un sistema al perossido. La sera, pulite la lente RGP con un detergente per lenti rigide, sciacquate abbondantemente ed immergete nel perossido; quindi pulite e sciacquate e conservate separatamente la lente morbida nel perossido, secondo le indicazioni del produttore. La mattina, sciacquate le lenti ed indossatele. È possibile che la lente RGP non si bagni in modo adeguato, se inserita direttamente nell’occhio dopo il perossido: in questo caso, usate solo soluzioni uniche o umettanti per lenti morbide, ma non umettanti per lenti RGP, che contaminerebbero la lente morbida. Abbinare nuovi materiali e prodotti di manutenzione Quando si applica o si riapplica un paziente con lenti in silicone idrogel, bisogna sempre prescrivere un sistema di manutenzione appropriato per l’utilizzo con queste lenti. Fornendo uno starter pack al momento dell’applicazione, i pazienti potranno avere immediato accesso alla nuova soluzione e quindi più facilmente continueranno ad utilizzarla da lì in avanti. Spiegate l’importanza di utilizzare la soluzione prescritta con questi nuovi materiali, al fine di ridurre potenziali problemi legati ad un’incompatibilità fra lente e soluzione. Educando i pazienti in questo modo, migliorerete la loro consapevolezza e attenzione nei confronti delle lenti a contatto e avrete pazienti che stanno meglio e sono più felici! • Vishakha Thakrar, OD, Mississauga, Ontario, Canada • Contact Lenses Today Fitting Tip of the Month - Ottobre 2008 Informare i pazienti delle novità Forse il migliore modo per assicurarsi la lealtà del portatore di lenti a contatto è quello di informare in modo propositivo il paziente su tutte quelle che sono le nuove opzioni nel campo della contattologia. Troppo spesso, se un paziente sembra andare bene con le sue attuali lenti a contatto, non ci annoiamo a discutere i nuovi sviluppi della tecnologia. In realtà, sia che parliamo di protezione dagli ultravioletti, trattamento dell’occhio secco, lenti progressive o toriche, i pazienti vogliono il meglio, e vogliono conoscere ciò che voi siete in grado di offrire in termini di nuove tecnologie. Un paziente informato darà maggiore valore alla prestazione professionale che gli viene fornita, si presenterà con regolarità ai controlli per essere sicuro di essere sempre aggiornato, con più facilità consiglierà ai conoscenti di rivolgersi a voi. Tutto può cominciare con questa semplice frase: “Lascia che ti spieghi che cosa è uscito di nuovo dall’ultima volta che ci siamo visti.” Tanto i vostri pazienti, quanto il vostro lavoro ne trarranno beneficio. • Stephen Cohen, OD, Arizona • Contact Lenses Today Fitting Tip of the Month - Novembre 2008 Vendere vantaggi Claudio Belotti, esperto di PNL, è intervenuto al recente convegno Contattologia&Compliance, Roma, 9 Novembre 2008, portando alcuni suggerimenti che possano migliorare la comunicazione fra applicatore e paziente. I nostri pazienti non sono degli esperti di lenti a contatto, non conoscono i termini tecnici, non si rendono conto di cosa possa voler dire, per esempio, Dk alto o Dk basso. Però sono consci delle proprie esigenze e cercano soluzioni ai propri bisogni. Quando noi presentiamo una novità, dobbiamo offrire al paziente non una serie di caratteristiche tecniche, ma una serie di vantaggi. L’invito è quindi quello di parlare in termini di salute, sicurezza, libertà di movimento, qualità della visione, piuttosto che in termini di permeabilità a gas, principi attivi, geometrie o aberrazioni ottiche. Avete un piccolo trucco o qualsiasi suggerimento che possa risolvere i problemi più comuni che si incontrano nella pratica contattologica di tutti i giorni? Avete piacere di condividerlo con i colleghi? Inviate i vostri Tips&Tricks alla redazione di LAC. 95 2008, vol. X, n. 3 IN LIBRERIA The optometrist’s practitioner-patient manual a cura di Laura Boccardo Anthony J. Phillips 2008, Butterworth Heinemann Elsevier 133 pagine a colori 4 pagine di tavole a colori Copertina rigida Lingua inglese Quali elementi contribuiscono alla buona pratica clinica? Una preparazione approfondita, un aggiornamento continuo, una strumentazione all’avanguardia, uno staff e un ambiente di lavoro ben organizzati, prodotti di prima qualità … ma tutto questo va sprecato se il paziente non capisce veramente qual è il suo problema e in che modo noi lo possiamo aiutare. La buona pratica clinica passa inevitabilmente per la buona comunicazione fra optometrista e paziente. A volte illustrare ai pazienti dei concetti un po’ tecnici è difficilissimo: sembra di parlare due lingue diverse e, in molti casi, è proprio così. Vi capita di non riuscire a spiegarvi a 96 parole e di iniziare a scarabocchiare disegni sul primo foglio che trovate? Non tutti però hanno la mano di Giotto e non è detto che il vostro schizzo sia più comprensibile delle vostre parole. Anthony Phillips (autore dello storico “Contact Lenses”, giunto ormai alla sua quinta edizione)ha avuto un’idea tanto semplice, quanto geniale: chiamare un illustratore (Jennifer Rose), raccogliere un po’ di belle fotografie e quindi comporre un manuale che aiuti l’optometrista a comunicare con il proprio paziente, con la convinzione che un’immagine valga più di mille parole. “The optometrist’s pratictionerpatient manual” è diviso in cinque sezioni: l’occhio, le lenti da occhiali, le patologie, le lenti a contatto e la visione binoculare. In apertura troviamo un tavola di lettura e la griglia di Amsler. L’anatomia dell’occhio e delle strutture annesse è illustrata sia con disegni, sia con fotografie. Alcuni diagrammi spiegano le ametropie, la presbiopia e l’acuità visiva. La sezione dedicata agli occhiali raccoglie molto del materiale illustrativo che siamo soliti trovare in allegato ai listini delle lenti oftalmiche. La sezione sulla patologia è divisa in segmento anteriore e segmento posteriore ed è molto sviluppata, dato che gli optometristi anglosassoni hanno la possibilità di guardare il fondo dell’occhio e fare prevenzione anche in campo patologico, soprattutto per il glaucoma. La sezione sulle lenti a contatto aiuta ad illustrare sia il corretto uso delle lenti, sia le possibili complicanze. Nell’ultima sezione, una serie di diagrammi spiega i più comuni difetti della visione binoculare. In una società in cui la quasi totalità dell’informazione ci arriva tramite immagini, siamo abituati a comprendere e a trattenere meglio quello che vediamo, rispetto a quello che ascoltiamo. “The optometrist’s pratictioner-patient manual” è quindi un libro straordinariamente povero di testo scritto, perché le parole ce le dovete mettere voi, adattandole di volta in volta alla persona che vi siede di fronte, tenendo conto della sua età, del suo livello culturale, del tempo che avete a disposizione. Anche il problema della lingua inglese diventa quasi irrilevante: non è un libro da leggere, è un libro da usare. La copertina è rigida e robusta, le pagine sono spesse, lucide, rilegate a spirale, per essere sfogliate e risfogliate senza che si sciupino. La veste grafica è molto curata, per farvi fare bella figura con il vostro interlocutore. www.elsevierhealth.com