Lenti a Contatto - Contact lenses
Novembre 2008, volume X, numero 3
Sommario
Articoli
Sickenberger W, Backmann N, Marx S
Dk=lo sapevate? pag. 69
Carlo Falleni
Osservare la zona ottica delle lenti a contatto
pag. 74
Sebastian Marx
Quanto sono rigide le lenti a contatto morbide?
Laura Boccardo Contattologia & Compliance
pag. 76
pag. 81
Rossella Fonte
Seminario di comunicazione
all’Università degli studi di Milano Bicocca, 11 giugno 2008
pag. 85
Helmer Schweizer Comunicazione: una necessità e un fattore di successo
nella pratica optometrica - Prima parte
pag. 87
Laura Boccardo Ortocheratologia in Pole Position
pag. 94
Rubriche
Laura Boccardo
Tips & tricks
Laura Boccardo
pag. 96
AIR OPTIXtm for ASTIGMATISM foto di A. Calossi
In libreria
pag. 95
d e c i m o a n n o
con il patrocinio di
ERRATA CORRIGE: nella figura 7 a pagina 44 dello scorso
numero di Lac appare un errore nella definizione della
seconda colonna del grafico.
La definizione corretta è: “Comfort a fine giornata”.
Ci scusiamo dell’errore.
66
Lenti a Contatto - Contact lenses
Novembre 2008, volume X, numero 3
Lenti a contatto
Contact lenses
Codirettori scientifici
L. Lupelli (Roma), N. Pescosolido (Roma)
Comitato scientifico
L. Boccardo (Certaldo), M. Bovey (Palermo),
R. Fletcher (London), A. Fossetti (Firenze),
P. Gheller (Bologna), M. Lava (Roma), S. Lorè (Roma),
A. Madesani (Forte dei Marmi), S. Maffioletti (Bergamo),
L. Mannucci (Padova), U. Merlin (Rovigo),
M. Pastorelli (Novi Ligure), M. Rolando (Genova),
A. Rossetti (Cividale del Friuli), C. Saona (Barcelona),
L. Sorbara (Toronto), M. Zuppardo (Roma)
Ringraziamenti
Si ringraziano A.I.LAC e S.Opt.I.
per la collaborazione scientifica
Comitato editoriale
A. Calossi (Certaldo), O. De Bona (Marcon),
M. Lava (Roma), C. Masci (Roma), F. Zeri (Roma)
Segreteria
O. De Bona
via E. Mattei, 11 - 30020 Marcon (VE)
tel. 041.5939411
e-mail: [email protected]
Nome della rivista
LAC
Direttore responsabile
Marco Perini
Proprietario testata
BieBi Editrice
Editore
BieBi Editrice di Mauro Lampo
Via Losana, 4 - 13900 Biella
Tiratura
Quadrimestrale, 32 pagine
Tipografia
TrueColor
via Pio X, 2/g - 28021 Borgomanero (NO)
Registrazione Tribunale
Biella, in data 6/5/99 al n. 487
Sped. gratuita
Numeri arretrati
Presso la segreteria
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2008, vol. X, n. 3
68
ARTICO L O
Dk= lo sapevate?
Sickenberger W, Backmann N, Marx S
Il contributo di un esperto alle attuali conoscenze sulla richiesta di ossigeno da parte della cornea
e sulla trasmissibilità all’ossigeno delle lenti a contatto.
Dopo il lancio delle lenti a contatto in silicone idrogel,
l’ossigeno è divenuto l’argomento dominante di molti
congressi e simposi. Il presente articolo tratta proprio la
questione della richiesta di ossigeno da parte della cornea
e della trasmissibilità all’ossigeno delle lenti a contatto.
Dk, Dk/t, EOP, flusso di ossigeno – che cosa dicono questi valori agli ottici e agli applicatori? Quali sono i valori
di soglia da conoscere? Sulla base di vari studi e approfondimenti, il presente articolo ha l’intento di contribuire
a una migliore comprensione di queste tematiche.
lente a contatto, per esempio sotto forma di una stria
(Figura 1) e di pieghe, o di opacità nella zona centrale.
Un’altra conseguenza del mancato apporto di ossigeno
è il crescente sviluppo di nuovi vasi sanguigni (neovascolarizzazione, Figura 2), che contribuisce alla perdita
di trasparenza della cornea. La deficienza di ossigeno
aumenta inoltre l’adesione dei batteri all’epitelio e con
essa anche il rischio di infezioni3.
Quo vadis Dk/t?
Un adeguato apporto di ossigeno è essenziale per la cornea, per mantenere la sua salute e la sua funzionalità.
Anche altri fattori importanti come una sufficiente mobilità, permeabilità agli ioni, scarsa affinità ai depositi,
biocompatibilità e bagnabilità hanno, naturalmente, un
ruolo molto importante. Di conseguenza, le lenti a contatto con elevata trasmissibilità all’ossigeno dovrebbero
almeno eguagliare, o meglio, anche superare le lenti a
contatto tradizionali per quanto riguarda queste caratteristiche. L’elevata trasmissibilità all’ossigeno è necessaria
per ridurre l’effetto della lente a contatto sul metabolismo corneale durante l’uso e per evitare eventuali adattamenti a condizioni di deficienza di ossigeno. Brennan
ed Efron1 hanno dimostrato nei loro studi che il livello di
ossigeno raccomandato nel film lacrimale sotto la lente a
contatto dovrebbe essere pari al 20.9%, quindi uguale al
livello di ossigeno nell’atmosfera. Hanno anche provato
che livelli minori di ossigeno influiscono negativamente
sulla fisiologia della cornea e ne danneggiano la salute.
Figura 1
Stria
Conseguenze della deficienza di ossigeno
La tipica deficienza di ossigeno (ipossia) induce modifiche della cornea, come l’edema corneale, che sono
note sin dalle prime apparizioni delle lenti a contatto sul mercato2. Una deficienza a lungo termine porta
all’indebolimento della cornea e quindi spesso all’interruzione dell’uso di lenti a contatto. A causa dell’ipossia le cellule endoteliali “pompano” meno acqua fuori
dalla cornea. L’edema che ne risulta appare sotto varie
forme, a seconda dell’entità del gonfiore e del tipo di
Figura 2
Neovascolarizzazione
69
2008, vol. X, n. 3
Dk= lo sapevate?
Studi più recenti si concentrano maggiormente sul metabolismo e sull’integrità della cornea. Ren & Wilson4
e Cavanagh5 hanno individuato alcune ragioni per le
conseguenze a lungo termine della deficienza di ossigeno indotta dall’uso di lenti a contatto. Hanno studiato
l’influenza dell’uso delle lenti a contatto sullo spessore
dell’epitelio e provato che lenti a bassa trasmissibilità
(basso Dk, basso Dk/t) possono portare a un assottigliamento di quest’ultimo. Attribuiscono questo effetto a uno squilibrio tra il rinnovamento cellulare nella
membrana basale e la rimozione delle cellule morte
dalla superficie corneale. Sono stati anche in grado di
dimostrare che il silicone idrogel ad alta trasmissibilità
all’ossigeno può ridurre quest’effetto. Gli autori dello
studio di Gothenburg6, come anche Jalbert, Sweeney e
Stapleton7 sono giunti a conclusioni simili.
La mancanza di ossigeno non solo compromette la cornea, ma inoltre aumenta il rossore limbare.
porto di ossigeno alla cornea hanno provocato numerose discussioni tra gli esperti.
Dk/t o flusso di ossigeno?
Papas8, nel suo studio, ha dimostrato che esiste chiaramente una relazione tra l’aumento del rossore limbare
(iperemia) e il ridotto apporto di ossigeno all’occhio
sotto la lente a contatto. Egli propone un valore minimo di Dk/t di 125 (valore precedente) per evitare
l’aumento del rossore limbare durante l’uso giornaliero. Un recente studio della Jenvis Research, presentato
alla conferenza della BCLA del 2007, ha confermato
questi risultati con l’uso di una nuova lente su costruzione (Individual) in silicone idrogel (si vedano anche
le Figure 3 e 4).
Le discussioni riguardano, da un lato, le misurazioni
consolidate della permeabilità (Dk) e della trasmissibilità (Dk/t) della lente a contatto e, dall’altro, il “flusso
di ossigeno” come misura della trasmissibilità all’ossigeno. Una differenza davvero sostanziale tra i due è la
determinazione dei rispettivi valori.
I valori Dk e Dk/t possono essere misurati in laboratorio, usando due diversi metodi. Entrambi questi
metodi prevedono l’impiego di sensori polarografici.
Il metodo più noto (che ha preso il suo nome da Irving
Fatt) misura il flusso di ossigeno9,10. Questa misurazione presenta due principali fonti di errore, di cui è necessario tenere conto quando si usano i valori misurati.
Innanzitutto, il cosiddetto “edge effect”, che aumenta
il valore misurato perché permette un flusso di ossigeno dai lati dell’area di misurazione. In secondo luogo,
il cosiddetto “boundary effect”, che causa una leggera
riduzione all’elettrodo e quindi riduce leggermente il
valore misurato.
Non è raro che i valori Dk e Dk/t vengano pubblicati
senza alcuna indicazione della correzione applicata o
del fatto che siano stati effettivamente corretti.
Questo rende molto difficile un confronto oggettivo.
Oltre che al metodo di misurazione del valore Dk (per
Figure 3
Iniezione bulbare. Condizioni della base line con lenti a contatto esistenti.
Figure 4
Dopo una settimana di utilizzo di una lente Individual (su costruzione) in silicone idrogel.
Tutti gli esperti sono concordi nel sostenere che evitare
l’ipossia è e rimane l’obiettivo più importante per un
applicatore diligente. Alcune pubblicazioni17 sulla misurazione della trasmissibilità all’ossigeno e sull’ap-
esempio, secondo Fatt, a 35°C, con correttivo dell’edge effect e del boundary effect, come illustrato sopra),
si deve prestare attenzione anche alle unità di misura.
Le unità di misura valide a livello internazionale (uni-
70
ARTICO L O
Dk= lo sapevate?
tà ISO) non sono ancora in uso per quanto riguarda il
Dk/t, analogamente a quanto accade per le prestazioni
dei motori, che dovrebbero essere indicate in kilowatt
(kW) invece che in cavalli vapore (CV).
lente con potere positivo.
L’applicatore delle lenti a contatto non conosce il valore
Dk/t di una lente Individual dato che, di solito, lo spessore al centro non è indicato sull’etichetta. In ogni caso,
Permeabilità (DK) e Trasmissibilità (Dk/t)
Metodo di misurazione secondo Fatt (35°C)
Valori precedenti e ISO 9913 - 1:199
Fattore di conversione: DkISO= Dkprecedenti x 0.75006
Precedenti
Dk (Barrer)
m(O2) x cm2
ml x sec x mmHg
ISO 9913
Dk/t
x 10-11
m(O2) x cm2
ml x sec x mmHg
Dk (Barrer)
x 10-9
m(O2) x cm2
ml x sec x hPa
x 10-11
Dk/t
m(O2) x cm2
ml x sec x hPa
x 10-9
Tabella 1
Permeabilità (Dk) e Trasmissibilità (Dk/t)
La Tabella 1 riporta le diverse unità di misura e le relative conversioni.
Un ulteriore punto critico del metodo Fatt risiede nel
fatto che i valori Dk/t pubblicati vengono generalmente
misurati utilizzando lo spessore al centro di una lente a
contatto di -3.00D. Questi valori non sono quindi pertinenti per lenti a contatto aventi spessori al centro maggiori (per esempio, con poteri positivi) o per i diversi
spessori nel profilo di una lente di -3.00D, e certamente
non per lenti con più alti poteri negativi. Questi valori
possono quindi essere fuorvianti. L’esempio di Figura 5
mostra il confronto diretto. Il valore Dk/t indicato per
la lente con potere negativo si riduce a un terzo per una
Figura 5
Esempio - Confronto tra geometrie e loro impatto sui valori Dk/t
conoscendo il valore Dk del materiale e il valore Dk/t per
una lente meno tre, l’applicatore può farsi un’idea della
trasmissibilità all’ossigeno della lente in questione. Vari
scienziati hanno sviluppato dei valori di soglia con l’intento di fornire un supporto agli ottici nella scelta delle
lenti giuste per specifiche situazioni e determinate condizioni d’uso. Uno dei risultati più largamente conosciuti è
quello dello studio di Holden, Mertz e McNally11 (1984),
che hanno utilizzato l’edema corneale durante l’uso di
lenti a contatto e sono giunti alla conclusione che un valore minimo di Dk/t di 24 (valore precedente) è necessario per l’uso diurno (dw) e uno di 87 (valore precedente)
è necessario per l’uso notturno (ew).
Donna LaHood12 ha corretto il valore per l’uso notturno
portandolo a 125, sulla base di una revisione dei dati e
di ricerche più recenti. Questo valore è stato confermato da Harvitt e Bonnano13 (1999), che hanno adottato un
approccio differente. Hanno misurato quanto ossigeno è
effettivamente disponibile per la cornea sotto una lente a
contatto e quanto ne viene effettivamente assorbito dalla
cornea stessa. Per fare questo, hanno misurato la pressione parziale dell’ossigeno in diversi punti del sistema
cornea-lente a contatto e calcolato il rispettivo flusso di
ossigeno. La base per questo calcolo era la Legge di diffusione di Fick, che afferma che il flusso di ossigeno
dipende dalla differenza della pressione dell’ossigeno
prima e dopo una membrana, oltre che dalla trasmissibilità di quest’ultima. In ogni caso, la misurazione
della pressione parziale dell’ossigeno sotto una lente a
contatto è risultata molto difficile.
71
2008, vol. X, n. 3
Dk= lo sapevate?
Per misurare l’assorbimento di ossigeno da parte della
cornea, Bonnano et al14 hanno utilizzato pigmenti fluorescenti sensibili all’ossigeno. Hill15 ha determinato
questo valore indirettamente, tramite l’EOP (Equivalent Oxygen Percentage - Percentuale di ossigeno equivalente). Si procede fornendo una quantità definita di
ossigeno all’occhio e poi si misura il tempo impiegato
per il suo assorbimento. In questo modo si ottiene una
curva di taratura. I risultati misurati con la lente a contatto possono quindi essere rapportati all’EOP della
lenti a contatto con bassa trasmissibilità all’ossigeno
(Dk/t), questo gradiente diminuisce e di conseguenza
l’assorbimento è minore. I diversi studi sul flusso di
ossigeno intendono determinare un valore Dk/t che
sia fisiologicamente accettabile e riconosca il flusso di
ossigeno attraverso la lente a contatto e all’interno della cornea. Il problema sta nel fatto che il modello del
flusso di ossigeno è parzialmente basato su presupposti teorici, che nemmeno gli autori delle ricerche sono
in grado di spiegare in dettaglio e con precisione17. Il
Classificazione secondo Benjamin
Tabella 2
Curva di Benjamin - Journal of the American Optometric Association, Volume 64, 3/93
curva di taratura. Nel 1993, Benjamin ha tentato di stabilire la correlazione tra il Dk/t e l’EOP, che era stato
utilizzato in modo predominante per le lenti a contatto
gas permeabili (RGP). Si veda anche la Tabella 2.
Il flusso di ossigeno
Il principio alla base del flusso di ossigeno è abbastanza semplice da spiegare. Ci devono essere pressioni
parziali differenti prima e dopo una membrana permeabile, che agisce come una barriera per il gas che si
diffonde. L’obiettivo dello sviluppo dei materiali per
lenti a contatto dovrebbe essere quello di riuscire a
fornire all’occhio una pressione parziale dell’ossigeno
di 155 mmHg (pari al 20.9% dell’ossigeno nell’aria).
In questo caso, vi sarebbe un gradiente notevole tra la
pressione parziale dell’ossigeno nella cornea e quella
del film lacrimale dietro la lente a contatto, e il flusso di ossigeno sarebbe elevato. Quando si utilizzano
72
fatto che la richiesta di ossigeno non sia un valore statico, ma piuttosto un valore dinamico e dipenda molto
da numerosi fattori diversi come il valore del pH del
film lacrimale sotto la lente a contatto, il numero e lo
spessore degli strati cellulari assorbenti ossigeno della
cornea, non facilita le cose.
Anche misurare la richiesta di ossigeno si è dimostrato difficile18. I modelli rimangono tuttavia importanti
per descrivere il processo e guidare ulteriori attività
di ricerca sulla cornea. Rimangono comunque limitati
nella loro applicazione clinica, dato che la pratica quotidiana raramente corrisponde alle condizioni e alle
impostazioni dei laboratori scientifici.
Quanto alto deve essere il valore Dk/t?
Questo porta a un ulteriore quesito: quanto alto deve
essere il valore Dk/t di una lente a contatto, per poter
assicurare alla cornea un apporto ottimale di ossige-
ARTICO L O
Dk= lo sapevate?
no? Gli studi sull’EOP e sul flusso di ossigeno potrebbero
portare alla conclusione che non importa se una lente a
contatto ha un valore Dk/t di 90 o 180, dato che il flusso
di ossigeno nella cornea non aumenta in modo significativo oltre un certo livello. Tuttavia, prendendo come riferimento gli studi clinici con portatori di lenti, come per
esempio gli studi di Papas e Bergenske7, si potrà notare
una differenza significativa in merito a iperemia limbare e livelli diversi di Dk/t. Quello di Papas e molti altri
studi indipendenti13,19,20 concludono che è necessario superare un livello di soglia di 125 Dk/t (valore precedente) per poter evitare l’iperemia limbare nell’uso diurno e
continuo. In questo modo sembra che si sia stabilito un
livello di soglia attualmente valido.
Oggi non è ancora possibile misurare ed esaminare la
richiesta individuale di ossigeno di una cornea in una
seduta di applicazione, perchè la varianza è molto elevata. Nell’esercizio della professione spesso si ignora che i
valori Dk/t rappresentano solo il valore centrale di una
lente di -3.00D. Che cosa si può dire di un portatore di
lenti di +6.00 D o di uno con una richiesta individuale di
ossigeno molto elevata? Una lente morbida convenzionale può quindi raggiungere molto presto i suoi limiti e
gli effetti della mancanza di ossigeno possono divenire
visibili altrettanto velocemente, nonostante le aspettative
e le speranze dell’applicatore. Portare le lenti per periodi
più brevi, in termini di ore, o fare delle pause durante il
tempo di utilizzo potrebbe aiutare, ma il paziente di solito non è molto d’accordo e nonostante le raccomandazioni dell’applicatore tende a portare le lenti più a lungo
e più spesso di quanto consigliato. Le lenti a contatto in
silicone idrogel o le lenti rigide altamente gas permeabili
offrono la sicurezza desiderata ma, a lungo termine, al
portatore dovrebbe essere offerto un apporto extra di ossigeno, per poter assicurare e mantenere la sicurezza e la
salute dell’occhio.
Bibliografia:
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critical oxygen requirement of the cornea. Contax 1987; July:5-18.
[6] Holden BA, Sweeney DF, Vannas A, Nilsson K, Efron N. Effects of long-term extended contact lens wear on the human
cornea. Invest Ophthalmol Vis Sci. 1985;26:1489-1501.
[7] Jalbert I, Sweeney D, Stapleton F. The effect of long term
wear of soft lenses of low and high oxygen transmissibility on
the corneal epithelium [AAO Abstract]. In: American Academy
of Optometry Annual Meeting; 2005; San Diego, USA; 2005.
[8] Papas E. On the relationship between soft contact lens oxygen transmissibility and induced limbal hyperaemia. Exp Eye
Res. 1998;67:125-131
[9] Deutsche Fassung EN ISO 9913-1 : 1998 Teil 1: Bestimmung
der Sauerstoff-Permeabilität und -Transmissibilität nach dem
Verfahren nach FATT (ISO 9913-1: 1996)
[10] Deutsche Fassung EN ISO 9913-2 : 2000 Teil 2: Bestimmung
der Sauerstoff-Permeabilität und –Transmissibilität nach dem
coulometrischen Verfahren (ISO 9913-2 : 2000)
[11] Holden BA, Mertz GW. Critical oxygen levels to avoid corneal edema for daily and extended wear contact lenses. Invest
Ophthalmol Vis Sci. 1984;25:1161-1167
[12] La Hood D, Sweeney D, and Holden B. Overnight corneal
edema with hydrogel, rigid gaspermeable and silicone elastomer contact lenses. Int Cont Lens Clin, 1988; 15:149-154
[13] Harvitt DM, Bonanno JA. Re-evaluation of the oxygen diffusion model for predicting minimum contact lens Dk/t values
needed to avoid corneal anoxia. Optom Vis Sci. 1999;76:712-719.
[14] Bonanno J, Stickel T, Nguyen T, Biehl T, Carter D, Benjamin
W, Soni P. Estimation of human corneal oxygen consumption by
noninvasic measurement of tear oxygen tension while wearing
hydrogel lenses. Invest Ophthalmol Vis Sci. 2002;43:371-376.
[15] Hill R. Oxygen uptake of the cornea following contact lens
removal. J Am Optom Assoc. 1965;36:913-915.
[16] Hill R, Fatt I. Oxygen deprivation of the cornea by contact
lenses and lid closure. Am J Optom. 1964;41:382
[17] Brennan NA. A model of oxygen flux through contact lenses. Cornea. 2001;20:104-108
[18] Fonn D, Holden B, Bonanno JA, Cavanagh D. O2 measurement and needs. Contact Lens Spectrum 2005;20:12-15.
[2] Goodlaw E. Contact lens solutions and their wearing time.
Optom Weekly. 1946;37:1675-1679
[19] Sweeney DF. Clinical signs of corneal hypoxia with high
Dk soft lens extended wear: Is the cornea convinced? Eye and
Contact Lens 2003; 29(1S):S22-S25
[3] Holden B, Stretton S, Lazon de la Jara P, Ehrmann K, LaHood D. The Future of Contact Lenses: Dk Really Matters.
Contact Lens Spectrum, Feb. 2006
[20] Ghormley R. How Much Oxygen is Enough for Safe Lens
Wear? Contact Lens Spectrum.
[4] Ren H, Wilson G. Apoptosis in the corneal epithelium. Invest Ophthalmol Vis Sci.1996;37:1017-1025.
[5] Cavanagh HD. The effects of low- and hyper-Dk contact lenses on corneal epithelial homoeostasis. Ophthalmol Clin N Am.
2003;16:311-325.
Traduzione della versione originale dell’articolo: “Dk=Don’t
Know?” apparso su DOZ nel numero di marzo 2007. Si ringraziano l’editore e gli autori per la gentile concessione a
tradurre e pubblicare l’articolo.
73
2008, vol. X, n. 3
Osservare la zona ottica
delle lenti a contatto
Carlo Falleni
Optometrista
L’illuminazione diretta è una delle numerose tecniche
utilizzate nella biomicroscopia con lampada a fessura.
Essa consente di osservare modificazioni di trasparenza o indice della cornea irraggiandone sezioni, settori
o l’intero diametro. Spostando il piano di attenzione e
di fuoco del biomicroscopio sull’iride, si può osservare l’ombra o il riflesso di discontinuità refrattive dei
mezzi ottici che precedono il piano irideo: cornea e
lente a contatto.
È possibile osservare diametro, posizione e dinamica
della zona ottica di una qualunque lente a contatto
grazie all’ombra, a forma di sottile anello, proiettata
dalla discontinuità refrattiva fra zona ottica e curve
periferiche (Figura 1).
Da alcuni anni sono disponibili lenti a contatto morbide toriche disposable, Focus Dailies Toric caratterizzate dall’assenza delle tacche di riferimento per la
verifica dell’orientamento del cilindro.
Figura 2
Proiezione della zona ottica di una Focus Dailies Toric Ciba
Vision [8,60/14,00; sf -2,00 / cil-0,75 / ax 180] correttamente allineata sull’asse dell’astigmatismo refrattivo, ax 170°.
Figura 1
Proiezione della zona ottica di Air Optix Individual Ciba Vision in un caso afachia chirurgica [9,20 / +12,00 / 14,80]. Il sistema illuminante e quello osservante sono allineati, l’illuminazione è diretta, diffusa, con fessura completamente aperta e
diaframma grande, gli ingrandimenti sono medi.
Figura 3
Proiezione della zona ottica di una Focus Dailies Toric Ciba
Vision [8,60/14,20; sf -2,00 / cil-0,75 / ax 180] ruotata di circa 40°
rispetto all’asse dell’astigmatismo refrattivo.
Tali lenti sono costruite con due assi di allineamento
del: 90° e 180°, ed due valori cilindrici: 0,75 e 1,50 D.
La zona ottica ha forma ellissoidale con asse maggio-
re orizzontale. Focus Dailies Toric è progettata per la
compensazione di astigmatismi secondo e contro regola, ma non obliqui e non è ricettabile su assi diffe-
74
ARTICO L O
osservare la zona ottica delle lenti a contatto
renti da 90 e 180. Ciò giustifica l’assenza dei segni di
riferimento. La verifica dell’allineamento è comunque
possibile grazie alla proiezione della forma ellittica
della zona ottica sul piano irideo (Figura 2 e 3).
Le immagini qui pubblicate sono ottenute con fotocamera Canon Power Shot A530 con risoluzione di 5.0
megapixel appoggiata, grazie ad un anello adattatore,
all’oculare del microscopio di una lampada a fessura
CSO con microscopio a 4 ingrandimenti.
Le impostazioni della fotocamera sono le seguenti:
• Formato: 2592 x 1944 pixel
• Distanza focale: 9,82 mm
• Diaframma: F/35
• Tempo di esposizione: 1/30 sec
• Autofocus: si
Figura 4
Dettaglio della fotocamera con l’anello adattatore sistemato
sull’oculare della lampada a fessura.
L’anello adattatore in teflon è stato realizzato su misura da un
tornitore locale.
75
2008, vol. X, n. 3
Quanto sono RIGIDE
le lenti a contatto MORBIDE?
Sebastian Marx
Qualche volta i lettori di pubblicazioni di settore si chiedono “Quanto sono rigide le lenti a contatto morbide?”.
Molto spesso in queste pubblicazioni si possono trovare
termini come morbidezza, durezza, rigidità o modulo
con riferimento alle lenti a contatto morbide. Tuttavia,
alcuni di questi termini che derivano dalla tecnologia
dei materiali non sono usati correttamente. L’obiettivo
di questo articolo è proprio chiarire il significato di termini come modulo e spiegare come dovrebbero essere
interpretati.
Cos’è in realtà un modulo?
Nei paesi di lingua inglese la definizione “modulo” viene
utilizzata sempre più spesso in relazione alle lenti a contatto morbide. È possibile che vi siate già chiesti che cosa
significa questo termine e che importanza ha per l’applicazione delle lenti a contatto. Poichè in alcune lingue
non è presente il termine “modulo”, questo viene spesso
sostituito con le parole “rigidità del materiale”. Sebbene
il termine modulo abbia vari significati, viene usato principalmente per descrivere l’elasticità dei materiali. Viene
anche chiamato modulo di Young, dal nome del medico
e fisico inglese Thomas Young. Si applica frequentemente anche la definizione “modulo di strappo”. Il modulo
di elasticità è un valore tipico della tecnologia dei materiali, che descrive il rapporto tra sforzo e deformazione
nella distorsione di un corpo solido in una reazione lineare di elasticità. L’espressione modulo di elasticità viene
abbreviata in E-Module o con un simbolo unito alla E. Il
modulo di elasticità si misura come la tensione [N/mm2
= MPa], vale a dire Newton su millimetro quadrato o megapascal.
Il modulo di elasticità viene definito come un gradiente verso l’alto del grafico nella curva di sollecitazionedeformazione all’interno dell’area lineare della curva di
elasticità. Questa area lineare è anche chiamata linea di
Hooke. (si veda la zona 1 in Figura 1)
E= d σ = const
dε
σ descrive la trazione meccanica e ε la deformazione. La
deformazione è l’allungamento rispetto alla posizione
originale. Il modulo di elasticità viene descritto come
una costante del materiale, perché il suo utilizzo insieme al numero di contrazioni trasversali (tasso relativo di
spessore cambia con l’allungamento relativo) dà la legge
dell’elasticità. Tuttavia, il modulo di elasticità non è costante in relazione a tutte le dimensioni fisiche. Dipende
da una serie di condizioni ambientali, come temperatura,
umidità, tasso di deformazione o frequenza (Figura 2)
Figura 1
Curva di sforzo-deformazione1: Linea di Hooke con gradiente
E verso l’alto
76
Figura 2
Dipendenze di oscillazione del componente viscoso dei materiali delle lenti a contatto2
ARTICO L O
quanto sono rigide le lenti a contatto morbide?
Materiale
Modulo [MPa]
Vetro
da 40000 a 90000
PMMA
3000
Gomma
da 1 a 10
Lenti a contatto morbide
da 0.4 a 1.2
Tabella 1
Moduli di elasticità a seconda dei vari materiali
Modulo significa rigidità?
Nelle pubblicazioni si trova spesso il termine rigidità utilizzato come sinonimo di modulo per spiegare alcune situazioni più agevolmente. Ma fisicamente non è corretto.
La rigidità di un corpo dipende per definizione dal materiale usato, ma anche dalla sua geometria. La rigidità di un
corpo è data dal prodotto tra il modulo di elasticità per il
momento d’inerzia geometrico. La rigidità è la proprietà di
un corpo la cui sezione trasversale può cambiare attraverso
la sua lunghezza. Quindi la rigidità può variare in punti diversi del corpo. Per una stessa lunghezza, lo spessore gioca
un ruolo fondamentale, perchè contribuisce enormemente
sulla rigidità, come illustrato in Figura 3.
Formula generale
della rigidità
Momento di inerzia
geometrico di un cuboide
c = rigidità
A = momento di inerzia
geometrico [m4]
E = modulo di elasticità
A = momento di inerzia
geometrico
b = larghezza
L = lunghezza del corpo
a = altezza
Figura 3
Dipendenza dalla rigidità del profilo
Il piegamento e la torsione (torsione = rotazione) di una
lente a contatto è il prodotto del modulo di elasticità
e del momento di inerzia geometrico. Non è possibile
formulare una semplice espressione per la “rigidità”
di geometrie complesse, perchè le lenti a contatto non
hanno un profilo trasversale semplice come quello di un
cuboide (Figura 3).
A questo punto deve essere eseguito un calcolo integrale.
Come menzionato, la rigidità di una lente dipende sempre dal materiale e dalla sua geometria. Il modulo come
il valore Dk, è una costante del materiale, mentre la rigidità, esattamente come il valore Dk/t è una proprietà
specifica del corpo (per esempio una lente a contatto).
Morbidezza
Il termine morbidezza è usato nel linguaggio parlato,
mentre in fisica si parla di resilienza. La resilienza è
l’opposto della rigidità e descrive la capacità di un
corpo di cedere a una forza (tensione o pressione). Il
corpo si deforma e si verifica uno sforzo.
δ=
l
E•A
l = allungamento/profondità di campo, E = modulo di
elasticità, A = superficie della sezione
Durezza
La durezza è la resistenza meccanica di un corpo alla
penetrazione da parte di un altro corpo, per esempio la
resistenza di una lente a contatto rispetto a un’unghia.
La durezza in linea di principio può essere accertata
solo tramite confronto con materiali multipli. La durezza non è solo la resistenza all’azione di corpi più duri,
ma anche di corpi di uguale durezza o addiruttura più
morbidi. La misurazione della durezza dei materiali
può essere effettuata in modi diversi, ma per determinati gruppi di materiali vengono generalmente usati
alcuni metodi specifici. Per quanto riguarda le lenti a
contatto, la durezza si misura in Shore. Un metodo di
misurazione simile è la determinazione della durezza
IRHD = International Rubber Hardness Degree [Grado
internazionale di durezza della gomma]. In alcuni paesi è
anche chiamata “micro-durezza”. La durezza di un materiale è in relazione alla sua resistenza solo a determinate condizioni, anche se la resistenza influisce sui test
di misurazione della durezza, dato che questi si basano sulla profondità dell’impressione dei vari campioni.
77
2008, vol. X, n. 3
quanto sono rigide le lenti a contatto morbide?
Caratteristiche di applicazione
La prima parte dell’articolo ha chiarito quali siano i
parametri di base dei materiali delle lenti a contatto. Questa seconda parte tratta invece degli effetti e
dell’importanza delle costanti dei materiali per l’applicazione e l’uso delle lenti a contatto.
Il frequentemente usato termine modulo, deve essere
inteso come il parametro fisico “modulo di Young”.
Analogamente al valore del Dk che è una costante del
materiale, mentre la rigidità, esattamente come il valore del Dk/t, è una proprietà di un corpo specifico (per
esempio una lente a contatto). Ma quale significato
hanno oggi i concetti di modulo e rigidità nell’applicazione delle lenti a contatto?
Una lente sottile fatta di un materiale con modulo più
elevato può presentare le stesse caratteristiche di rigidità di una lente spessa fatta di un materiale con modulo più basso. Di per sé, il modulo non rende una lente a contatto nè confortevole nè disagevole da portare.
La Figura 4 illustra come il comfort di una lente a contatto dipenda da vari fattori. Oltre che dalle proprietà
del materiale, il comfort è anche influenzato da fattori
esogeni come per esempio fattori ambientali, cosmetici, o difetti meccanici.
La resistenza alla flessione e la distribuzione della
pressione sulla superficie della lente a contatto possono influire sul comfort. Per esempio, una variazione
della curva base può modificare l’applicazione della
lente e di conseguenza il comfort dato dalla stessa. I
collegamenti tra le separate classi di materiali sono
rappresentati in Figura 4. L’incidenza della curva base
è della massima importanza per le lenti rigide gas permeabili, seguite dalle lenti in silicone idrogel.
Assumendo una adeguata bagnabilità, le lenti rigide
gas permeabili possono essere molto confortevoli se la
geometria delle lenti viene scelta in modo da ottenere
Materiale con modulo basso
Figura 4
Fattori da cui dipende il comfort delle lenti a contatto
caratteristiche ottimali di portabilità in termini di movimento e centraggio. Le lenti a contatto morbide con
medio ed elevato contenuto d’acqua e bassa rigidità
coprono la maggior parte delle geometrie corneali e
nella maggior parte dei casi non devono essere realizzate su misura. Se guardiamo soltanto la distribuzione
delle geometrie corneali, i parametri universali corrispondono alle necessità dell’80% degli occhi.
Questo appare chiaro osservando l’aumento delle quote di mercato delle lenti usa e getta registrato negli ultimi anni. Secondo un’indagine condotta nel 2006 dalla
società per la ricerca sui consumi, le lenti usa e getta
standard hanno raggiunto una quota pari all’82% del
mercato complessivo delle lenti a contatto. Risultava
infatti che il 60% delle lenti erano lenti da 2 e 4 settimane, mentre il 22% era costituito da lenti a contatto
giornaliere3.
La Figura 5 illustra il rapporto tra la geometria della
lente e il modulo. Tanto più elevato è il modulo del
materiale di una lente a contatto, tanto più rilevante è la geometria o la forma della lente. Un portatore
di lenti a contatto ammicca in media 14.0004 volte al
giorno. Se la geometria non è corretta, una resistenza
Materiale con modulo elevato
Importanza crescente della geometria delle lenti a contatto
Figura 5
Modulo in relazione all’importanza della geometria
78
ARTICO L O
quanto sono rigide le lenti a contatto morbide?
meccanica più elevata alla palpebra e alla cornea può
peggiorare l’adattamento alla forma della cornea con
la conseguenza di sollevamenti al bordo delle lenti a
contatto. Possono svilupparsi complicanze come le lesioni SEAL5,6 (lesioni epiteliali arcuate superiori), illustrate nella Foto 1, e la formazione di Mucin Balls sotto
la lente a contatto, come illustrato nella Foto 2. Questo
è stato occasionalmente osservato nella prima generazione di lenti in silicone idrogel.
Dopo l’ulteriore sviluppo della geometria della superficie posteriore, queste complicanze sono praticamente
scomparse. Con questi presupposti, non sarebbe corretto discutere l’argomento “modulo” senza metterlo
geometria. La vecchia regola pratica consiglia di: “utilizzare il raggio corneale centrale medio e aggiungere
un 1 mm per ottenere la curva base” non è più valida. Sebbene sia alquanto sorprendente applicare una
lente a contatto morbida con K piatto quasi uguale a
quello corneale, può effettivamente essere necessario
in caso di diametri ridotti e curve base molto inclinate
per lenti a contatto su misura in Sifilcon A (AIR OPTIX
Individual). Le superfici posteriori asferiche si aprono
verso la periferia e aiutano a mantenere un buon movimento e ad evitare una applicazione troppo stretta.
Gli specialisti di lenti a contatto possono contare sulla
disponibilità di una grande varietà di materiali e geo-
Foto 1
Seal
Foto 2
Mucin Balls
in relazione con la geometria della lente. La pratica
dimostra che la procedura di applicazione delle lenti
a contatto più rigide è importante e questo deve essere
assolutamente chiaro per quanto riguarda le lenti rigide gas permeabili. Tuttavia, anche per le lenti a contatto in silicone idrogel è importante prestare la massima
attenzione, in quanto al giorno d’oggi vengono utilizzati materiali diversi con diverse proprietà.
metrie. Questa varietà permette di realizzare un’applicazione individuale delle lenti a contatto che soddisfa
le esigenze del cliente come pure i requisiti ottici geo-
È un errore credere che i materiali in silicone idrogel
con modulo superiore a 1 MPa offrano minor comfort. La pratica dimostra che molti portatori di lenti
Pure Vision o AIR OPTIX Night and Day riferiscono
che queste lenti sono estremamente confortevoli. Le
lenti a contatto fatte con materiali con modulo inferiore a
1 MPa sembrano garantire migliori prestazioni. Questo
è confermato anche dalle nuovissime lenti in silicone idrogel come le AIROPTIX Individual. La Figura 6
illustra quanto sopra riportato. Il comfort delle lenti
in silicone idrogel dipende dall’applicazione. Vi sono
delle differenze rispetto alle lenti a contatto classiche
in idrogel, per quanto riguarda sia il materiale che la
Figura 6
Comfort iniziale offerto dalle lenti a contatto in idrogel (barra blu) rispetto a lenti a contatto personalizzate in Sifilcon A,
*p<0,058. La prima visita di controllo ha avuto luogo a una
settimana dalla nuova applicazione, la seconda visita di controllo a due settimane dalla nuova applicazione e la visita di
conclusione della prova dopo tre mesi di utilizzo delle lenti in
Sifilcon A. 0 indica comfort eccellente, 4 comfort molto scarso.
79
2008, vol. X, n. 3
Materiale
Marca
H2O (%)
Valore Dk(Dk x 10-11) Modulo [MPa]
PMMA
Varie
ND
0,1
~2000
Lotrafilcon A
AIROPTIX Night & Day
24
140
1,4
Balafilcon A
PureVision
33
110
1,1
Lotrafilcon B
AIROPTIX
36
99
1,0
Sifilcon A
AIROPTIX Individual
32
117
1,1
Comfilcon A
Biofinity
48
128
0,75
Senofilcon A
Acuvue OASYS
38
103
0,72
40
129
n.B.
Menicon Premio
pHEMA
diverse
38
7,5
0,50
Omafilcon A
Proclear
62
34
0,49
Galyfilcon A
Acuvue ADVANCE
47
60
0,43
Etafilcon A
1-day ACUVUE
58
21
0,3
Tabella 2
Caratteristiche delle lenti a contatto7
metrici e fisiologici. Tuttavia, è importante avere una conoscenza precisa delle filosofie di applicazione delle lenti
a contatto, soprattutto per i nuovi sistemi. In definitiva,
si può dire che ogni materiale disponibile in commercio
con una geometria ottimale può essere applicato in modo
da consentire un uso confortevole delle lenti a contatto,
a condizione che le condizioni esogene siano adeguate.
Per garantire un comfort eccellente per tutto il giorno è
necessario poter disporre di materiali con molte proprietà diverse. Si tratta in particolare di un’elevata permeabilità all’ossigeno, un’elevata capacità lubrificante, una
resistenza ai depositi ed un’elevata bagnabilità. L’industria delle lenti ha riconosciuto la veridicità di questo soprattutto negli ultimi due anni e sta cercando di definire
nuovi requisiti per le lenti a contatto, oltre che per la loro
manutenzione.
Le variabili utilizzate nelle formule possono variare da
paese a paese.
Traduzione della versione originale dell’articolo: “Wie
hart sind weiche Kontaktlinsen?” apparso su DOZ nel numero di ottobre 2007. Si ringraziano l’editore e l’autore per
la gentile concessione a tradurre e pubblicare l’articolo.
80
Bibliografia:
[1] Seidel W.: Werkstofftechnik, Carl-Hanser-Verlag München
Wien 2005, 6.Edition
[2] Sweeney, D.F.: Silicone Hydrogels, Edinburgh: ButterworthHeinemann 2004
[3] GFK. Germany 2006.
[4] Al-Abdulmunem M: Relation between tear break-up time
and spontaneous blink rate. Int. Contact Lens Clin. 1999 Sep;
26 (5): 117-120.
[5] Dumbleton K.: Adverse events with silicone hydrogel continuous wear. CLAE, 2002;25:137- 46.
[6] Tan J, Keay LM Jalbert I et al. Mucin balls with wear of conventional and silicone hydrogel contact lenses. Optom Vis Sci,
2003; 80:4 291-7
[7] French K., Why is modulus important?, www.siliconehydrogels.org + data of manufacterers
[8] Sickenberger/Marx: VDC congress 2007 Berlin, JENVIS
Research
ARTICO L O
CoNTATTOLOGIA
& COMPLIANCE
Laura Boccardo
Optometrista FAILAC
Figura 1
La relazione introduttiva di Brian Holden
Figura 2
L’intervento di Kathy Dumbleton
I bambini che ti ubbidiscono alla prima, tuo marito in
orario per cena, i pedoni sulle strisce e gli automobilisti che si fermano per farli attraversare: l’esperienza di
tutti i giorni ci mostra quanto è difficile avere compliance dalle persone che ci stanno intorno. Mille esempi si
potrebbero portare per spiegare cosa sia questa via di
mezzo fra la cooperazione e l’obbedienza, questa ennesima parola importata dall’inglese, che in Italia difficilmente riusciamo a tradurre e anche a pronunciare.
Oltre seicento delegati, diciotto relatori e otto aziende
produttrici di lenti a contatto si sono incontrati durante la sesta edizione del Convegno Assottica, che si è tenuta a Roma, presso il Marriott Park Hotel, domenica
9 e lunedì 10 novembre, per confrontarsi sul significato
della parola compliance in contattologia: due giorni di
intenso lavoro per scoprire che la chiave del successo
nel mondo delle lenti a contatto va trovata nei rapporti
reciproci fra applicatori, pazienti e aziende.
I lavori in sala plenaria sono stati moderati da Marco
Palma, inviato speciale del TG5, autore di numerose
inchieste giornalistiche in ambito medico scientifico,
vincitore di diversi premi giornalistici per i servizi sulla sanità italiana.
La serie delle relazioni si è aperta con l’intervento di
Claudio Belotti, esperto di comunicazione interpersonale e considerato uno dei pionieri della programmazione neuro-linguistica in Italia. Nel suo intervento in-
troduttivo “La compliance: una sfida da vincere insieme
al cliente”. Claudio Belotti si è concentrato sul rapporto fra applicatore e paziente e sui mezzi comunicativi
più efficaci per far sì che il paziente si conformi alle
istruzioni che gli vengono date. In particolare ha sottolineato quanto siano più efficaci i rinforzi positivi, cioè
i premi, rispetto ai rinforzi negativi, cioè le punizioni.
I grandi temi della ricerca e della pratica contattologica sono stati introdotti da Brien Holden, Scientia
Professor alla School of Optometry and Vision Science
dell’Università del New South Wales in Australia, nella
lezione magistrale di apertura ”Lenti a contatto e segmento anteriore dell’occhio: solo uno degli aspetti del
processo di formazione continua in optometria”. Brien
Holden ha ripercorso la sua lunga carriera di ricercatore, che abbraccia gli ultimi quarant’anni di sviluppo delle lenti a contatto: l’aggiornamento è un lavoro
continuo, che riempie una vita e non si arriva mai al
punto di poter dire che non c’è più nulla da imparare.
Una grande lezione da parte di una delle persone più
preparate al mondo nel campo delle lenti a contatto.
Maurizio Rolando, professore associato di Oftalmologia presso la Clinica Oculistica, Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica dell’Università di
Genova, nella relazione magistrale “Riconoscere le
disfunzioni lacrimali. Qual è la differenza tra occhio
secco e sensazione di secchezza?” ha distinto tra la
81
2008, vol. X, n. 3
contattologia & compliance
presenza di fastidio transitorio, legato alla condizione
del momento, di modesta rilevanza clinica e facilmente recuperabile, e la presenza di una vera sindrome di
secchezza oculare.
I sintomi di occhio secco associati all’uso di lenti a
contatto e le possibili soluzioni per prevenire e ridurre
questo fenomeno sono stati discussi da Kathy Dumbleton, Senior Researcher di facoltà al Centre for Contact
Lens Research dell’Università canadese di Waterloo,
nella relazione “Migliorare i sintomi di occhio secco
marginale con materiali per lenti a contatto di nuova
tecnologia”. Ancora sul tema dell’occhio secco, Jennifer Craig, docente di Optometria e Scienze della Visione presso l’Università di Auckland in Nuova Zelanda,
nell’intervento “Soluzioni, lacrime artificiali e occhio
secco marginale: fanno la differenza per il comfort del
paziente?” ha preso in esame le varie componenti di
soluzioni e lacrime artificiali, unitamente alle loro funzioni. Malgrado i progressi ottenuti negli ultimi anni
nella tecnologia dei materiali per lenti a contatto e dei
liquidi di manutenzione, la riduzione del comfort legato alla sensazione di occhio secco continua ad essere
il principale fattore che limita l’uso delle lenti a contatto: il contattologo, dopo aver analizzato le cause, può
limitare questo fastidio agendo sull’ambiente, sulla
scelta delle lenti, dei liquidi di manutenzione e degli
umettanti.
La sessione della domenica pomeriggio è stata dedicata agli aspetti più tipicamente refrattivi della contattologia. In “Correggere la presbiopia con lenti a contatto:
una sfida da vincere”, Alessandro Fossetti, docente al
Corso di Laurea in Ottica e Optometria presso l’Università degli Studi di Padova, ha discusso quali possono essere gli ostacoli che limitano la diffusione delle
lenti a contatto bifocali e multifocali e come questi possano essere superati. Roberto Pregliasco, optometrista
di Genova, in “Motivazioni ed aspettative del portatore di lenti a contatto” ha illustrato come, indagando
esigenze e stile di vita del paziente, sia possibile condurre il portatore ad un utilizzo gratificante e sicuro
delle lenti a contatto, soddisfacendo le sue aspettative
e permettendo il raggiungimento di una qualità visiva
ottimale.
La conclusione della prima giornata congressuale è
stata affidata a Gary Gerber, optometrista statunitense dalla personalità estremamente esuberante, che ha
illustrato alla platea “Come distinguersi nella propria
professione”, con un intervento molto coinvolgente e
simpatico, in grado di ravvivare gli animi gravati da
un’intensa giornata di lavori.
I temi trattati in plenaria sono stati approfonditi in
una serie di corsi monotematici, che si sono svolti la
domenica sera e il lunedì nella prima mattinata. Due
82
Figura 3
Panoramica della sala plenaria
Figura 4
Sala plenaria
corsi si sono occupati di comunicazione: Carlo Raffaelli, esperto di programmazione neuro-linguistica, ha
condotto il corso “Da collaboratori a squadra unita”,
mentre Claudio Belotti ha approfondito il tema de “La
comunicazione persuasiva per avere la compliance”.
Umberto Benelli, oftalmologo, docente presso l’Università di Pisa, ha parlato de “L’endotelio corneale:
aspetti fisiopatologici e diagnostica strumentale”, illustrando l’impiego del microscopio speculare non a
contatto. Guido De Martin, optometrista di Trento, ha
parlato della correzione della presbiopia con lenti a
contatto, nel corso “L’accompagnamento del presbite
durante tutte le fasi applicative della lente a contatto”.
Kathy Dumbleton e Jennifer Craig hanno sviluppato
i temi trattati nelle loro relazioni in plenaria nei corsi
ARTICO L O
contattologia & compliance
“Tecniche di valutazione dell’occhio secco” e “Ottimizzazione del film lacrimale e valutazione della superficie oculare”.
Domenica sera oltre cinquecento persone hanno partecipato alla cena di gala con musica dal vivo, che si
è conclusa sulla pista da ballo allestita nelle ampie
sale del Marriot Park Hotel: la sede del convegno si
è dimostrata un luogo ideale per accogliere così tante
persone, sia nei momenti di lavoro, sia nei momenti
di ristoro e aggregazione, che sono parte integrante di
una riunione di così vasta partecipazione.
Filo conduttore degli interventi in plenaria del lunedì mattina è stato il tema della sicurezza nell’utilizzo
delle lenti a contatto. José Manuel Gonzàlez Meijome,
professore di Optometria presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Minho (Portogallo) ha illustrato
“L’importanza clinica dello staining corneale in contattologia”. La colorazione dell’epitelio corneale è un
segno clinico di grande rilevanza che, correttamente
classificato ed interpretato, permette di programmare
strategie di intervento mirate, al fine di migliorare il
rapporto fra cornea e lente. La relazione si è focalizzata soprattutto sullo staining puntato superficiale, che
tanto ha fatto discutere, soprattutto per il suo legame
con i sistemi di manutenzione delle lenti in silicone
idrogel. Francesco Loperfido, responsabile del servizio
di Oftalmologia Generale e di Fluoroangiografia Retinica presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, nella
relazione la “Gestione delle infezioni e delle infiammazioni in contattologia” ha passato in rassegna le
più gravi complicanze dovute al non corretto uso delle lenti a contatto, sollecitando gli applicatori ad una
proficua collaborazione con gli oftalmologi, al fine di
preservare la salute dei pazienti.
Luigi Lupelli, titolare dell’insegnamento di Ottica della Contattologia all’Università degli Studi “Roma Tre”
ha illustrato le caratteristiche e l’utilizzo delle scale di
gradazione per immagini, che permettono di determinare la gravità delle reazioni oculari indotte dall’uso
delle lenti a contatto. Nella sua relazione “Le scale di
gradazione sono veramente utili (e vengono realmente
utilizzate)?” ha presentato i risultati di un questionario
condotto su un campione di contattologi che mostra
come, malgrado molti dispongano delle grading scales,
ancora pochi le usino con regolarità.
Kathy Dumbleton, nell’intervento “Cosa fanno i nostri
clienti con le loro lenti a contatto?” ha presentato una
serie di esempi comportamentali tratti dalla sezione
“domande e risposte” di un sito internet specializzato.
La ricercatrice ha preso inoltre in esame i risultati di alcuni recenti studi sulla non-compliance nell’uso e nella
manutenzione delle lenti a contatto.
La sessione del lunedì pomeriggio si è aperta con la
Figura 5
Esposizione dei poster scientifici
premiazione della Poster Competition. Quest’anno
erano in concorso otto poster, sette di ricerca e uno fotografico, in gran parte frutto di lavori condotti da studenti o docenti dei vari corsi di Laurea in Ottica e Optometria attivi nelle varie sedi universitarie del nostro
paese. Fabrizio Zeri, docente nel Corso di Laurea in
Ottica e Optometria presso l’Università di Roma Tre,
ha presentato tre poster, che hanno messo in evidenza
le sue competenze di contattologo con un occhio sempre rivolto alla psicologia. Il primo poster presentava
l’“Uso prostetico di una lente morbida sclerale su un
occhio con deviazione elevata” e mostrava come l’impiego di queste lenti possa essere una risorsa efficace
per il ripristino delle normali condizioni estetiche oculari. Il secondo poster presentava i risultati di un’indagine condotta mediante questionari su “Il fenomeno del drop-out visto fai formatori italiani di lenti a
contatto”: è proprio tra contattologi e pazienti che si
nascondono importanti fattori in grado di concorrere
all’abbandono delle lenti a contatto. Il suo terzo poster, presentato in collaborazione con Maurizio Maltese, psicologo, ha mostrato “L’atteggiamento verso le
lac: genitori e figli a confronto”, argomento di grande
attualità, vista la sempre maggiore richiesta di lenti a
contatto da parte degli adolescenti. Antonio Calossi,
in collaborazione con l’equipe del dottor Ferdinando
Romano di Caserta, ha presentato una studio di un
anno sull’impiego di “Ortocheratologia notturna e
cross-linking nel cheratocono”, condotto per verificare
la possibilità di stabilizzare l’effetto del modellamento
corneale in pazienti affetti da cheratocono, mediante la
tecnica di cross-linking del collagene stromale. Mauro
Frisani, studente di Ottica e Optometria all’Università
di Torino, con Antonio Calossi che è docente di Ottica
83
2008, vol. X, n. 3
contattologia & compliance
per la Contattologia presso lo stesso Corso di Laurea,
ha presentato un lavoro su “Spessore dell’epitelio corneale e spessore della cornea umana, misurati in vivo
con l’OCT Fourier Domain”. La tomografia a coerenza
ottica è un metodo di indagine clinica con cui è possibile ottenere in vivo immagini ad altissima risoluzione, il suo impiego non è ancora largamente diffuso a
causa dei costi della tecnologia impiegata, ma mostra
straordinarie possibilità di sviluppo nel prossimo futuro: ne sentiremo ancora parlare. Patrizia Oliana ha
esposto un poster sulla “Valutazione delle alterazioni
endoteliali, eventi avversi e variazioni della sensibilità
al contrasto indotte dall’utilizzo di tre lenti in silicone
idrogel a porto giornaliero”, riportando i risultati di
una ricerca condotta come tesi in Ottica e Optometria
presso l’Università di Milano Bicocca. Andrea Daniele
e Mirko Chinellato, studenti in Optometria all’Università di Padova, hanno presentato il poster “Considerazioni sul Tear Ferning Test, review con riferimenti sperimentali sulle potenzialità e i limiti del TFT”. Il poster
fotografico di Cristina Mazzoni e Guido De Martin,
con un titolo che suona come uno slogan “No Rub generation?... No thank!”, ha puntato tutto sulla forza
delle immagini per ribadire i limiti delle procedure di
pulizia che non prevedono lo sfregamento delle lenti
a contatto.
Il Comitato Scientifico composto da Luigi Lupelli,
Giancarlo Montani e Roberto Pregliasco, dopo aver
preso atto dell’elevata qualità dell’intera serie dei poster scientifici presentati, ha ritenuto che meritasse una
particolare menzione il poster di Antonio Calossi, Ferdinando Romano, Giuseppe Ferraioli e Vito Romano
dal titolo “Ortocheratologia Notturna e Cross-linking
nel Cheratocono” per le seguenti ragioni: l’originalità dell’argomento trattato in cui è stata prevista l’applicazione di lenti a contatto a geometria inversa su
cornee cheratoconiche trattate con la procedura del
cross-linking, per comprendere se vi fosse la possibilità d’integrare le due tecniche per ottenere una migliore
performance visiva, il rigore scientifico con cui è stato
disegnato e condotto lo studio e la chiarezza della presentazione sia nella parte descrittiva che in quella iconografica, nel rispetto della sintesi caratteristica di tale
modalità di comunicazione. Il premio è stato ritirato
da un emozionatissimo Giuseppe Ferraioli, in rappresentanza dell’intera equipe.
Per la prima volta in questa edizione è stata introdotta
una sessione dedicata alla descrizione di casi clinici,
costituita da una serie di interventi flash su argomenti
specialistici. Dino Marcuglia ha illustrato alcuni casi
di applicazioni post-chirurgia LASIK: sono situazioni
complesse, sia per le difficoltà applicative, sia perché
si ha a che fare con pazienti provati da un punto di vi-
84
sta psicologico, che si rivolgono all’optometrista anche
dopo anni di consulti di vario genere. Carlo Tronti ha
parlato dell’impiego del piggyback, cioè dell’applicazione di due lenti, morbida e rigida, una sopra all’altra, al fine di stabilizzare l’applicazione e proteggere
la cornea in casi complessi. Stefano Lorè ha portato
alcuni casi di ortocheratologia che hanno evidenziato
diversi aspetti di questa procedura finalizzata al rimodellamento della cornea per la correzione dei difetti refrattivi. Fabrizio Zeri, attraverso casi clinici diversi, ha
analizzato le principali alterazioni endoteliari indotte
dall’uso delle lenti a contatto: possono infatti verificarsi sia alterazioni transitorie come le blebs, sia alterazioni a lungo termine, come polimegatismo e polimorfismo. È stata poi la volta di Dennis Reid, ex allenatore
olimpico neozelandese cha applica la sua esperienza
sportiva come consulente per le imprese al dettaglio.
Durante la sua presentazione “Mettere in pratica una
strategia efficace per le vendite e l’assistenza in optometria”, ha illustrato i concetti e le idee che hanno contribuito a costruire alcune delle attività al dettaglio e di
assistenza postvendita di maggior successo in tutto il
mondo, applicandoli al contesto del mercato italiano
dell’ottica.
A conclusione del convegno, Brien Holden è tornato
sul palco per esplorare il futuro della tecnologia e delle
geometrie delle lenti a contatto nella relazione “Lenti
in silicone hydrogel e il futuro della contattologia”.
Le prestazioni delle lenti in silicone idrogel contemporanee stanno ad indicare la necessità di ulteriori sviluppi nel campo della vera biocompatibilità con l’occhio: la ricerca si sta orientando verso lo sviluppo di
superfici antibatteriche e l’ampliamento dei parametri,
in modo da soddisfare tutte le prescrizioni e le fasce
di età.
Infine, nel suo intervento di chiusura “Adesso tocca a
noi!”, Claudio Belotti ha ripreso i punti fondamentali emersi durante le due giornate, affinché potessero
diventare il punto di partenza per tutti i partecipanti
verso nuove consapevolezze e motivazioni per lo sviluppo professionale e personale.
La crescita costante, che questo congresso mostra edizione dopo edizione, è un punto di orgoglio per la
contattologia italiana, che ha bisogno di occasioni di
incontro e confronto per stimolare e promuovere il
progresso della nostra professione. Diamo a tutti appuntamento il prossimo anno per la settima edizione
del Congresso di Assottica.
ARTICO L O
Seminario di comunicazione
all’Università degli studi di Milano Bicocca, 11 giugno 2008
Rossella Fonte
Con circa 400 iscritti dal 2001 e più di 50 laureati ad oggi,
il Corso di Laurea in Ottica e Optometria presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, è giunto al suo ottavo anno accademico.
È in questo contesto che Helmer Schweizer ha tenuto il
seminario dal titolo “La comunicazione nella pratica optometrica” l’11 giugno 2008.
Il Corso di Laurea in Ottica e Optometria è articolato,
come previsto dalle direttive del DM270/2004, su 20
esami con un ampio spazio riservato alle materie caratterizzanti la professione (optometria e contattologia) e
dai nuovi laboratori annuali il cui scopo è quello di far
emergere maggiormente le competenze pratiche e professionali dello studente. Nella struttura didattica i corsi
professionalizzanti sono così caratterizzati: gli insegnamenti di optometria sono tre: uno di optometria generale
di 12 cfu (circa 100 ore di lezione frontale) uno di laboratorio di optometria generale di 8 cfu (corrispondente a
300 ore di laboratorio) e uno di optometria avanzata di 8
cfu al terzo anno di cui 4 cfu di lezioni frontali e 4 cfu di
laboratorio. Analogamente sono stati strutturati gli insegnamenti di contattologia. Ma una delle cose veramente
importanti è la dotazione e la strumentazione dei labora-
Università degli Studi di Milano Bicocca
tori, nei quali gli studenti, oltre alle normali esercitazioni, svolgono attività di ricerca junior alcune delle quali,
proprio nel campo della contattologia hanno suscitato un
certo interesse sia nel mondo scientifico (dando corso a
degli articoli che vedranno luce su riviste internazionali
del settore) che nel mondo dell’industria.
Seguono i percorsi didattici:
Percorso didattico a tempo pieno
Insegnamenti del I anno
cfu Insegnamenti del II anno
Istituzioni di matematica I;
8
annuale
Chimica (I e II modulo);
8
annuale
Anatomia e istologia umana e 8
oculare; semestrale
Fisica I; annuale
8
Ottica geometrica e oftalmica e
laboratorio ottica geometrica e 8
di progettazione sistemi ottici;
annuale
Trattamento dati ed immagini; 8
annuale
Fisiologia generale ed oculare; 8
semestrale
cfu Insegnanti del III anno
Tecniche fisiche per
l’optometria generale; annuale
12
Fisica II; annuale
8
Ottica della contattologia
generale; annuale
12
Laboratorio tecniche fisiche
per l’optometria; annuale
8
Laboratorio ottica della
contattologia; annuale
8
Istituzioni di matematica II;
annuale
8
Lingua dell’Unione Europea
3
Strumenti ottici e loro
evoluzione storica; semestrale 4
TOTALE crediti I anno
59
TOTALE crediti II anno
60
cfu
Optometria avanzata; semestrale 8
Fisica della visione; semestrale 4
Principi di patologia oculare;
semestrale
Fisica III con laboratorio;
semestrale
Proprietà ottiche dei materiali;
semestrale
4
Tirocini e prova finale
18
8
4
Corso libero a scelta dello studente 12
Attività formative volte ad
agevolare le scelte professionali,
mediante la conoscenza diretta 3
del settore lavorativo cui il titolo
di studio può dare accesso. Art
10. comma 5d
TOTALE crediti III anno
61
85
2008, vol. X, n. 3
seminario di comunicazione all’Università degli Studi di Milano Bicocca, 11 giugno 2008
Percorso didattico a tempo parziale
Insegnamenti del I anno
cfu
Istituzioni di matematica
16
Chimica (I e II modulo)
4
Fisica I
TOTALE crediti I anno
8
32
Insegnamenti del II anno
cfu
Ottica geometrica e lab di ottica geometrica
8
Anatomia e istologia umana e oculare
8
Trattamento dati ed immagini
8
Lingua dell’Unione Europea
TOTALE crediti II anno
3
27
Insegnamenti del III anno
cfu
Tecniche fisiche per l’optometria generale
Fisiologia generale oculare
Laboratorio tecniche fisiche per l’optometria
TOTALE crediti III anno
12
8
8
28
Insegnamenti del IV anno
cfu
Fisica II
Strumenti ottici e loro evoluzione storica
Ottica della contattologia generale; annuale
laboratorio ottica della contattologia
Ottica della contattologia generale
TOTALE crediti IV anno
8
4
12
8
12
32
Insegnamenti del V anno
cfu
Optometria avanzata
Fisica III con laboratorio
Principi di patologia oculare
laboratorio ottica della contattologia
Corso libero a scelta dello studente
TOTALE crediti V anno
8
8
4
8
12
32
Insegnamenti del VI anno
cfu
Proprietà ottiche dei materiali
4
Fisica della visione
4
Tirocini e prova finale
18
Attività formative volte ad agevolare le scelte
professionali, mediante la conoscenza diretta 3
del settore lavorativo cui il titolo di studio
può dare accesso. Art 10. comma 5d
TOTALE crediti VI anno
29
86
Veduta aerea e facciata laterale dell’Università degli Studi di
Milano Bicocca
Laboratori di Ottica e Optometria
È altresì importante notare che 3 cfu (75 ore), a tutti gli effetti parte integrante del percorso di studi, sono destinati
ad attività formative volte ad agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso. Il tutto sta
ad indicare una maggiore interazione con il settore produttivo e industriale a livello di seminari e altre attività
di informazione (etica, nuove frontiere dell’optometria
e della contattologia in termini di strumentazione e di
nuovi test, ecc). Queste attività rappresentano un’ottima
opportunità sia per le aziende che per gli studenti.
Per maggiori informazioni in merito si invitano gli interessati
a consultare il sito dell’Università degli Studi di Milano Bicocca (http://www.2.mater.unimib.it/MANIF_OTTICI.html).
Helmer Schweizer
Optometrista, Embrach, Svizzera
VDC, BCLA, FIACLE, SBAO, WVAO; BBA/GSBA; Cand. MBA/GSBA
Prima parte
Abstract
Comunichiamo con il cliente sempre: consciamente, inconsciamente, in modo diretto e indiretto. Nei diversi
momenti di contatto, ad esempio durante l’applicazione
delle lenti a contatto, la comunicazione ha luogo a livelli e
in forme diverse ed è volta al raggiungimento di obiettivi
che spaziano dalla mera informazione all’insegnamento
sino al cambiamento dei comportamenti agiti dal cliente.
Definito l’obiettivo che si vuole raggiungere, la comunicazione è efficace ed efficiente quando le diverse forme
e livelli costituiscono una unità coerente (interferenza
positiva). In caso contrario, forme e livelli non coerenti
tra loro, la comunicazione perde in credibilità ed efficacia
(interferenza negativa) e, quindi, l’obiettivo comunicativo non verrà raggiunto.
Uno dei principi fondamentali della comunicazione ci ricorda che è importante ciò che viene percepito dall’interlocutore, non ciò che l’emittente intendeva comunicare.
Il fulcro della comunicazione efficace, quindi, è il destinatario della comunicazione stessa: è importante adattarsi all’interlocutore nella scelta degli strumenti (linguaggio, velocità, elementi di supporto come grafiche, ecc…).
Questo porta ad affermare che “meno è spesso meglio”:
privilegiare la qualità, e non la quantità, nella comunicazione con il cliente significa ottenere una comunicazione
mirata, riproducibile e personalizzata che porta ad una
maggiore soddisfazione e fedeltà del cliente.
Questo tipo di comunicazione, efficace e personalizzata,
rappresenta un vero punto di forza in un ambiente competitivo come quello attuale. I clienti di oggi vogliono
avere un’esperienza positiva e divertente, non solo essere serviti come al solito. Vogliono essere interrogati e
ascoltati, non solo ricevere “una valanga di informazioni”. Coloro che non guardano il contatto con il cliente con
il giusto entusiasmo o non sono in grado di mostrarlo,
perdono una grande opportunità.
Parole chiave
Comunicazione, livelli di comunicazione, comunicazione
verbale, comunicazione non verbale, intelligenza emotiva, contenuti effettivi, chiamata all’azione, relazione,
auto rivelazione, comunicazione faccia a faccia, comportamento, domande aperte, domande chiuse, percezione.
Introduzione
Una comunicazione efficiente ed efficace tra il cliente (paziente) e lo specialista (oftalmologo, optometrista o ottico)
è un fattore importante di successo in una professione. Il
successo può essere definito in molti modi diversi, a seconda del punto di vista della persona interessata ad esso.
Per un cliente un contatto di successo è un incontro in cui:
• pensa di non aver perso più tempo del necessario
• è soddisfatto del servizio ricevuto e del prodotto
• ha la sensazione di essere stato ben servito
• pensa che la visita sia stata accurata
• ritiene di essere stato ben ascoltato
• ritiene di aver ricevuto quello che voleva
In ottica di servizio, inoltre sarebbe ancora meglio se
l’esperienza concreta superasse le aspettative: vogliamo
un cliente felice, non soltanto soddisfatto!
Questo non significa necessariamente che lo specialista
sia in grado di fornire una ancora migliore acuità visiva,
ma indica una comunicazione efficace e personalizzata,
declinata anche con azioni semplici quali l’essere amichevoli, puntuali, attenti nella conversazione, e il fornire
spiegazioni facili da capire e da seguire.
Successo, secondo il punto di vista dello specialista, spesso significa valutazione economica del cliente (volume di
vendita o fatturato). A questi aspetti concreti e oggettivamente misurabili va sicuramente aggiunta la soddisfazione personale nell’impostare e gestire il rapporto con il
cliente per arrivare alla sua fidelizzazione. Alcuni clienti ci
elogeranno in maniera esplicita, altri non lo faranno mai
ma parleranno bene di noi: in entrambi i casi abbiamo
raggiunto l’obiettivo!
Nella prima parte dell’articolo verranno affrontate le teorie
generali, le esperienze e le dinamiche comunicative. Successivamente verranno esaminate situazioni specifiche: il comportamento del cliente che si occupa della cura degli occhi, le
proposte per l’uso consapevole e conscio dei diversi strumenti
di comunicazione, i mezzi che lo specialista può utilizzare per
ottenere migliori risultati per sé stesso e il cliente.
87
2008, vol. X, n. 3
ARTICO L O
Comunicazione
una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
Come trarre vantaggio da una buona comunicazione?
L’abilità di comunicare efficacemente rappresenta il vero
punto di forza nel clima attuale di crescente concorrenza.
Al contrario dei prezzi, la capacità comunicativa non può
essere facilmente imitata e perciò rappresenta un elemento importate di differenziazione rispetto ai competitors.
Una comunicazione percepita come buona o molto buona dai pazienti aumenta il livello di soddisfazione e non
solo li rende dei clienti più fedeli, ma li fa diventare dei
veicoli pubblicitari: mettono in moto il passaparola positivo. I loro commenti e le loro raccomandazioni porteranno nuovi clienti o, addirittura, faranno tornare clienti
ormai considerati persi. Al contrario, i clienti insoddisfatti possono danneggiare l’immagine della attività con
i loro commenti negativi. L’obiettivo è quindi quello di
avere sempre clienti soddisfatti, e questo obiettivo si può
raggiungere con la buona “cultura della comunicazione”,
rivolta sia al cliente esterno che al cliente interno (collaboratori). I clienti valutano il clima comunicativo non
solo durante il colloquio ma anche, e soprattutto, percependo indicatori quali:
• sorriso e cordialità
• utilizzo di un linguaggio adeguato
• esternazione del ruolo (ad esempio la postura e la sicurezza nel parlare)
• comportamento con e tra i dipendenti
• comportamento verso altri clienti.
Buona comunicazione, quindi, significa non solo clienti
fidelizzati ma anche maggior efficienza nei rapporti con
i collaboratori e, quindi, orientamento alla crescita, alla
produttività e al profitto.
• Soddisfazione del cliente
• Clienti fedeli (regolari)
• Convenienza per i clienti
• Differenziazione
• Nuovi clienti (pubblicità con il passaparola ...)
• Aumento nell’efficienza
• Aumento dell’autostima dell’applicatore, di tutti
gli impiegati
Riquadro 1
Vantaggi di una buona comunicazione
Quando noi comunichiamo?
Paul Watzlawick una volta disse: “Non si può non comunicare”. Invertendo l’osservazione, questo significa
che una persona comunica sempre e in ogni momento.
88
Comunichiamo non solo quando parliamo: ogni nostro
comportamento e postura è comunicazione.
Lo studio della comunicazione si declina a seconda delle
diverse modalità:
• Comunicazione di massa
• Comunicazione di gruppo
• Comunicazione individuale
• Comunicazione interpersonale
Questo articolo si concentra sulle ultime due categorie (individuale e interpersonale) che sono le più importanti per il lavoro
quotidiano nella pratica optometrica.
La comunicazione interpersonale include:
• La comunicazione non verbale
• La comunicazione vocale
• La comunicazione visiva
• La lingua parlata
• La comunicazione di supporto
• La comunicazione supportata dalla gestualità
• La comunicazione supportata
In una comunicazione l’80% del messaggio viene veicolato dalla parte non verbale. Questo significa che comunicando è fondamentale curare non soltanto le parole che
vengono utilizzate (che veicolano il 20% del messaggio),
ma anche e soprattutto gli aspetti non verbali quali:
• mimica facciale (sorriso)
• gestualità
• postura del corpo
• gestione dello spazio (prossemica)
• linguaggio degli occhi
• impostazione della voce (paraverbale)
• aspetto esteriore
È importante ricordare che gli aspetti non verbali della
comunicazione hanno influenza sugli altri ma anche su
sé stessi. Un esempio noto a dimostrazione di questo è
il sorriso che si è soliti assumere prima di rispondere ad
una telefonata: la voce risulterà realmente più amichevole, più sommessa e gentile.
Altri aspetti rilevanti per una comunicazione efficace
sono:
• come ascoltiamo gli altri
• come mostriamo loro empatia
• come integriamo le nostre (e le loro) situazioni emotive
personali e come ne parliamo
• qual è l’atteggiamento nei confronti dell’interlocutore.
Per approfondimenti ed una panoramica esaustiva, rimando al testo di Daniel Goleman “Intelligenza Emotiva”.
ARTICO L O
comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
Comunicazione faccia a faccia
La comunicazione viso a viso è definita come un sistema
di interazioni sulla base del comportamento in relazione
a persone presenti, che hanno la possibilità di osservarsi a
vicenda. In tali circostanze ogni aspetto del proprio comportamento viene inteso come comunicazione da parte
dell’interlocutore, il quale ottiene ulteriori informazioni
dall’osservazione (conscia e inconscia) durante tutto il
tempo del contatto. L’osservatore assegna a queste informazioni un alto livello di verità, spesso fidandosi più di
queste che delle parole pronunciate (udite): questo a conferma di quanto detto sopra (il messaggio viene veicolato
solamente per il 20% dalla parole che utilizziamo)
Nella comunicazione viso a viso possono essere utilizzati
diversi canali di comunicazione:
• Audio (parlando e ascoltando)
• Visivo (guardando; utilizzando immagini, grafici, tabelle...)
• Tattile (tatto e percezione)
• Olfattivo (odorato)
• Termico (temperatura)
• Senso del gusto (mi attrae, è interessante per me, gradimento...)
Perché la comunicazione sia efficace è necessario utilizzare più canali, senza limitarsi ad un unico, come verrebbe spontaneo fare.
Il modello a quattro livelli
Il modello di comunicazione a quattro livelli descrive le
caratteristiche multilivello nei messaggi umani. Questi
quattro livelli sono:
• Il livello reale o obiettivo
• Il livello dell’interesse
• Il livello della relazione
• Il livello dell’autorivelazione
Questo modello, in particolare, aiuta a spiegare le ‘incomprensioni’: queste vengono definite come disturbi e
originano dal fatto che il destinatario pone il messaggio
su un livello diverso da quello che intendeva utilizzare
l’emittente.
Livello reale
La comunicazione su questo livello utilizza solo contenuti oggettivi e non considera la persona, i gesti o altri elementi del non verbale. L’informazione include messaggi
puramente oggettivi, reali.
Il mittente si sta chiedendo: “Di cosa voglio informare?
Quali sono i fatti?”
La comunicazione stessa è reale, comprensibile, neutrale
e chiara.
Livello dell’interesse
Il livello dell’interesse include l’intenzione di stimolare
una specifica azione da parte del destinatario, una sua
richiesta d’azione.
Il mittente si chiede “Quale azione voglio provocare? Quale
azione voglio che tu faccia?” Il mittente prova ad influenzare il destinatario, in maniera più o meno velata. In alcuni
casi si può parlare di manipolazione.
Livello della relazione
Questo livello si occupa della relazione tra mittente e destinatario, o meglio, di come questa relazione è da loro
percepita. Questo livello diventa visibile nei “tu” e “noi”
all’interno del messaggio. Il mittente esprime cosa pensa
del destinatario e del loro modo di relazionarsi, si valutano l’un l’altro (dal punto di vista del mittente).
La domanda è: “Come tratto le persone intorno a me con il
mio modo di comunicare?”.
Il livello dell’auto-rivelazione
Il mittente rivela sempre, consciamente o inconsciamente, informazioni su sé stesso, sulle sue motivazioni, su
i suoi valori, sulle sue emozioni: si tratta del cosiddetto
“I-message”. Ogni messaggio diventa quindi un piccolo “campione della personalità del mittente”.
La domanda è: “Che cosa dico (rivelo) di me stesso?”.
Schulz von Thun una volta ha detto:
“I livelli nascosti all’interno del significato puramente semantico delle parole sono rilevanti quanto il contenuto puramente
cognitivo di una frase, e a volte trasmettono messaggi emotivi
e relazionali più forti degli elementi direttamente e realmente
compresi”.
Il Riquadro 2 mostra un esempio nel quale tutti i quattro
livelli diventano visibili anche all’interno di un breve messaggio. I ruoli maschio/femmina all’interno dell’esempio
possono naturalmente essere invertiti. L’esempio costituisce anche una buona prova della teoria di Von Thun:
è possibile visualizzare l’immagine della scena, predire
dove e come i disturbi possano presentarsi, e dove molto
probabilmente si verificheranno.
89
2008, vol. X, n. 3
comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
Per il mittente, questo significa che i messaggi verbali, reali possono essere più o meno oscurati dagli altri livelli e,
nel caso peggiore, andare completamente smarriti. Allo
stesso tempo, essere a conoscenza di queste dinamiche è
un’opportunità: occupandocene consciamente possiamo
indirizzare e includere tutti i livelli in anticipo aumentando considerevolmente l’efficacia dei nostri messaggi.
La donna guida la macchina.
L’uomo siede sul sedile del passeggero.
L’uomo (mittente): “Maria, il semaforo è verde.”
Informazione reale: “Il semaforo indica ‘puoi andare (ora)’.”
Interesse: “Vai, comincia a muoverti!” - Potrebbe
essere un po’ più cortese: “Potresti cominciare a
muoverti, ora!”
Relazione : Nome base => relazione personale “Tu
reagisci più lentamente di me.”
Auto-rivelazione: Sono impaziente. - Voglio guidare io. - Sono di fretta. ...
Riquadro 2
Esempio dei quattro livelli in una comunicazione
Ricezione e rilevanza
Riceviamo la maggior parte delle informazioni inconsciamente e perciò effettuiamo una forte selezione di esse:
questo ci protegge da un sovraccarico o eccedenza di stimoli. Nel ricevere un messaggio riassumiamo ed estraiamo le proprietà momentaneamente rilevanti da quelle irrilevanti (per esempio un particolare colore illuminato in
un semaforo). Nelle situazioni pratiche effettuiamo una
integrazione perspicace (consapevolmente conscia), cioè
modifichiamo un elemento con caratteristiche che sono
importanti per noi (semaforo rosso = fermarsi).
Comunicazione non verbale
La comunicazione non verbale veicola l’80% del messaggio nella comunicazione ed è la principale responsabile
Distanza pubblica (> 3 m)
Distanza vicina (1 – 3 m)
Distanza intima (circa la lunghezza di un braccio)
Riquadro 3
Distanza zone/sfere
90
delle dinamiche relazionali (secondo Malcho).
Goleman nel libro “Intelligenza Emotiva” descrive come
comunicare efficacemente significhi essere consapevoli
e controllare il proprio linguaggio del corpo, integrando
ciò con l’attitudine interiore verso l’interlocutore (empatia) e la gestione delle proprie emozioni. Queste ultime
impattano su funzioni corporee autonome (la sudorazione, le dimensioni delle pupille o il battito cardiaco) che
non possono essere controllate consciamente, ma sono
chiaramente visibili ed osservabili dall’interlocutore.
Due persone che sono in sintonia, che hanno un interesse
reciproco, comunicando arrivano a sincronizzare il loro
comportamento (tonalità, gesti, mimica, postura del corpo e della testa): questo effetto è osservabile, ad esempio,
durante una cena. Quando comunichiamo efficacemente,
quindi, si attiva il ‘pacing’ (mettersi al passo): una sincronia di gesti e di pensieri che conferma il raggiungimento
dell’obiettivo comunicativo. Si può imparare (e fare pratica) ad usare il linguaggio del corpo in maniera conscia:
l’utilizzo consapevole e mirato dei gesti e della mimica
(in questo caso principalmente occhi e bocca) ha un impatto considerevole sull’interlocutore. Pensate al sorriso
quando si saluta qualcuno: è un’espressione di gioia, facilita il contatto e aiuta a rilassarsi in situazioni critiche,
diminuisce la tensione. A ciò si deve poi aggiungere l’effetto dell’auto-condizionamento: gestualità e mimica influenzano anche il nostro atteggiamento: sorridere prima
di alzare il ricevitore per rispondere a una chiamata significa predisporsi favorevolmente al contatto e trasmettere sorriso all’interlocutore, che si sentirà accolto e benvoluto. Altri esempi di auto-condizionamento sono: una
stretta di mano sicura di sé quando si saluta qualcuno, la
postura eretta anziché piegata o inclinata, lo sguardo sicuro o il profumo che si indossa. Per la gestione di clienti
internazionali o dalle ambasciate particolare attenzione è
richiesta per non cadere in incomprensioni legate a culture diverse. Ciò che è corretto, addirittura richiesto in
una cultura potrebbe essere visto come una molestia in
un’altra (il guardare dritto negli occhi nei paesi islamici o
l’annuire con la testa in Grecia).
L’importanza della comunicazione non verbale si ritrova nelle parole di Nietzsche: “Una persona può mentire con le parole, ma da come si comporta nel farlo, rivela
comunque la verità”.
Sfera pubblica (> 4 m)
Sfera sociale (1.3 – 4 m)
Sfera personale (0.5 – 1.3 m)
Sfera personale (0.5 – 1.3 m)
ARTICO L O
comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
Il Riquadro 3 si riferisce alla prossemica e mostra termini
noti per definire le diverse distanze tra le persone che comunicano. Questo aspetto è di fondamentale importanza
per gli oculisti ma ancora di più per chi applica lenti a
contatto. Evitare disguidi relazionali significa porre attenzione alla gestione della distanza con l’interlocutore,
soprattutto durante la schiascopia, l’oftalmoscopia, l’esame con la lampada a fessura e l’applicazione delle lenti.
Voltarsi leggermente di lato (ad esempio durante l’applicazione delle lenti) riduce la percezione di un approccio
frontale e può aumentare notevolmente l’accettazione
della vicinanza.
Esistono diverse definizioni di comunicazione:
• Condivisione di conoscenza
• Diffusione di un’informazione
• Invito a partecipare
• Fare qualcosa insieme, unire le idee…
• Uno scambio reciproco di pensieri in linguaggio, gesti,
mimica, segni e immagini
• Capacità di liberare energia, dare gusto alla vita (questo potrebbe essere anche un onere!)
Comunicare efficacemente significa approcciarsi consapevolmente alla comunicazione: essere consci delle proprie attitudini interiori, controllarle e guidarle per gestire
le dinamiche relazionali.
Un esempio evidente si ha nell’auto-condizionamento:
“Se vuoi trascorrere una buona giornata, aspettati di trascorrere una buona giornata!”
La comunicazione efficace richiede un contenuto, deve
avere un obiettivo e non prescinde dall’atteggiamento
con l’interlocutore che dovrebbe essere sempre positivo.
Stabilire una relazione comunicativa
I primi istanti di contatto sono fondamentali per stabilire una relazione comunicativa efficace. Alcune culture,
come l’asiatica e l’araba, considerano questa fase iniziale
molto importante: ognuno prova qualcosa per il comportamento e lo stile dell’altro. Comunicare in maniera efficace con il cliente richiede attenzione e l’adattamento al
comportamento e stile dell’interlocutore.
Il ritmo di eloquio rappresenta un indicatore fondamentale: parlare ad una velocità simile a quella del cliente
significa farsi percepire in sintonia e comunicare con
maggiore facilità. Non è semplice, richiede energia ma il
risultato vale lo sforzo!
Nel colloquio con il cliente è importante riuscire ad entrare in sintonia, ascoltando con attenzione e ponendo
domande per approfondire e capire le reali esigenze. La
regola d’oro è: “Colui che pone le domande conduce la conversazione”!
Ascolto attivo
L’ascolto attivo si esprime con la capacità di ricordare il
nome dell’interlocutore: spesso non poniamo abbastanza
attenzione a questo che, al contrario, risulta un elemento fondamentale. È possibile facilitare la memorizzazione ricordandosi di ripetete più volte il nome del cliente
all’inizio del colloquio.
È importante evitare:
• storpiature: possibili e fastidiose (meglio chiedere se ci
sono dubbi)
• commenti (“Che nome strano ...”, “Come mai questo
nome inusuale?”): il nome rappresenta un elemento molto personale!
L’ascolto attivo si esprime anche nell’accorgersi subito
della presenza di un cliente, anche se si è impegnati con
un altro interlocutore. È sufficiente porgere il benvenuto
con un contatto visivo e un cenno della testa, senza dimenticare di sorridere. Se possibile, senza far innervosire
il cliente che si sta seguendo, è utile informare il nuovo
arrivato sul tempo che sarà necessario per essere disponibili per lui.
Elemento importante dell’ascolto attivo è il linguaggio
degli occhi: mantenere il contatto visivo mentre ascoltate, a meno di impedimenti culturali, trasmette interesse
e coinvolgimento.
Ascolto attivo significa anche rispetto per le parole dell’interlocutore: lasciar sempre finire la frase al cliente e non
interrompere sono regole d’oro da non dimenticare mai.
Solamente in casi particolari è opportuno interrompere il
cliente, soprattutto quando è evidente che l’interlocutore
sta facendo un monologo e non contribuisce più alla discussione. I segnali di ascolto sono un’altra espressione
dell’ascolto attivo: mentre il cliente parla è opportuno
esplicitare il nostro ascolto con commenti e intercalando assensi appropriati come “ah”, “davvero”, “e poi?”,
“oh?”, “mhh” ...
Durante il colloquio con il cliente è opportuno sfruttare
alcune tecniche:
• gestione del silenzio: prendere una breve pausa prima
di rispondere, rispondere o passare direttamente alla domanda successiva
• parafrasare, cioè riassumere quanto il cliente ha raccontato, usando meno parole, tralasciando gli elementi
emotivi e concentrandosi sui fatti.
91
2008, vol. X, n. 3
comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
• ottenere approvazione: in alcuni casi è una buona idea
chiedere l’approvazione del riassunto fatto chiedendo
direttamente: “Ho tralasciato qualcosa?”
Nella gestione di situazioni di criticità (cliente arrabbiato
o che si lamenta) è opportuno intercalate il discorso con
qualche leggero annuire. Questo permette di tornare in
un secondo momento sui fatti in cui siete d’accordo con
il cliente, ad esempio:
“Come mi ha confermato prima, le lenti erano...”
“Mi ha detto che... è importante per Lei...”.
Utilizzare alcune parole del cliente significa attivare il pacing, la sincronia: il cliente percepisce attenzione, ascolto
e sintonia di comunicazione.
Occuparsi del cliente
Ogni cliente ha un particolare atteggiamento rispetto al
sistema sanitario, agli occhi e alla vista. Questo atteggiamento influenza la disponibilità a cercare e accettare
aiuto, a seguire le istruzioni e il livello di aspettative nei
confronti del professionista.
Uno specialista di microchirurgia, che guida, presbite e
che nel tempo libero ami tirare al bersaglio, avrà esigenze
molto diverse rispetto a un uomo senza richieste visive
specifiche.
Comunicare efficacemente con tipologie diverse di clienti significa gestire il contatto in maniera differente anche
quando si tratta di uno stesso trattamento (ad esempio
applicare le lenti a contatto).
Ottenere un cliente soddisfatto e fidelizzato significa
estrema attenzione ai suoi bisogni, necessità pratiche e
aspettative. Sotto questo aspetto ogni cliente è unico e irripetibile e richiede attenzione personalizzata.
Esigenze e bisogni non sempre sono così evidenti, ad
esempio:
• Emmetropi sintomatici, che vogliono a tutti i costi avere un paio di occhiali (o lenti a contatto) anche se non ne
hanno davvero bisogno, solo perché la sorella, l’amica o
il fratello li hanno. Riportano una situazione di visione
sfocata, di sintomi astenopici, ma otticamente e oftalmologicamente nulla viene rilevato. Ovviamente non è possibile ignorare la sintomatologia, che richiede comunque
approfondimenti che permettano di escludere eventuali altre cause fisiche e psicologiche (internista, dentista,
ortopedico...). Un aiuto può giungere anche dal campo
relativamente nuovo dell’optometria funzionale.
• Ametropi asintomatici, vale a dire coloro che realmente avrebbero bisogno di una correzione visiva, ma che si
rifiutano di portarla. Ci si può chiedere quale potrebbe
92
essere la correzione perfetta, la migliore possibile (pur
rimanendo naturalmente dentro i limiti legali per la patente, ecc.). Una deviazione di questo tipo deve essere accompagnata da accurate istruzioni e spiegazioni. Potrebbe anche essere una buona idea riportare per iscritto ciò
che è stato detto, chiedendo una firma come conferma.
Un’altra regola d’oro da non dimenticare è: mai discutere
con il cliente!
Questo non significa, d’altro canto, essere sempre d’accordo: una strategia è quella di non commentare le sue
opinioni, anche se non veritiere, proseguire e lasciare che
si renda conto dei risultati. Il cliente, spesso, cambia il
suo punto di vista senza che voi lo forziate. Secondo Blaise Pascal, “Le persone di solito sono più convinte di ragioni
che hanno scoperto per conto proprio piuttosto che di quelle
trovate da altri” .
La situazione meno semplice da gestire, in tema di opinioni del cliente, è quella del cliente che si lamenta. La
strategia comunicativa migliore, in questo caso, è quella
di non percepire la lamentela sul piano personale (critica
me!), comunicare restando su un livello reale riguardo
fatti concreti e oggettivi. Il tutto senza dimenticare l’empatia verso il cliente. Non a caso la gestione delle lamentele è la più alta scuola di intelligenza emotiva!
Il processo decisionale
Rendere la comunicazione meno faticosa significa ricordare che alcuni clienti faticano a prendere decisioni: offrire troppe alternative non rappresenta mai una strategia
efficace. Per fissare un appuntamento è importante guidare la presa di decisone dell’interlocutore: domandare
al cliente se preferisce mattina o pomeriggio e offrire un
orario disponibile, evitando di lasciargli libera scelta.
La presa di decisione influenza l’applicazione delle prescrizioni: è importante argomentare sulla prescrizione
basandosi sui vantaggi che il cliente trarrà dall’applicazione corretta. Una strategia consiste nel preparare un’alternativa: nel caso venisse chiesta è possibile esporla sottolineando poi gli aspetti che la differenziano dalla scelta
ottimale (ma che la rendono comunque accettabile.)
Primo incontro, storia e sintomi
Regole d’oro, da ricordare sempre:
• Evitare i pregiudizi basati sugli stereotipi
• Evitare i condizionamenti negativi
• Ricordarsi di sorridere
ARTICO L O
comunicazione: una necessità e un fattore di successo nella pratica optometrica
• Utilizzare l’ascolto attivo (in tutte le sue forme) per
comprendere la storia clinica e i sintomi
• Focalizzare e ricordare i dettagli
• Osservare le sfumature nel tono e i segnali della comunicazione non verbale.
ficienza dei processi interni alla struttura, inoltre, sottolinea la presa di responsabilità circa la cura del cliente da
parte di chi l’ha effettivamente seguito, minimizzando la
possibilità di incomprensioni.
Misure, tecnica interrogatoria, comunicazione dei * La seconda parte dell’articolo verrà pubblicata
risultati, conclusione dell’esame
nel prossimo numero di Lac
Un principio base: “La qualità delle risposte è direttamente
proporzionale alla qualità delle domande”. Quindi quando
il cliente fornisce cattive risposte è importante riflettere
sulle domande che sono state poste.
Durante l’esame è anche importante a preparare al meglio l’interlocutore: ad esempio, è possibile avvisare il
cliente che la visione con i prossimi occhiali potrebbe essere inizialmente inferiore, ma che lo scopo è di confrontare le due posizioni degli occhiali, prima di posizionare
il Jackson Cross Cyndler davanti.
I clienti sono ansiosi di portare il proprio aiuto, vogliono dare una risposta, vogliono vedere una differenza e
questo, se non gestito al meglio, aumenta la difficoltà di
gestione della situazione.
Nel relazionarsi con il cliente è importante scomporre
il risultato dell’esame in parti più piccole, più facili da
comprendere. Spiegare ciò che i risultati realmente significano per il cliente, come potete aiutarli a migliorare la
situazione e cosa loro possono fare. Lo statunitense Dr.
Gerber una volta disse: “Dovete essere veramente capaci di
adattare ogni specifica raccomandazione ad ogni paziente” e
“Affinché ogni raccomandazione che facciamo abbia valore ed
efficacia per i nostri pazienti, dobbiamo essere in grado di ricondurla alle loro esigenze”. Anche se quest’ultima era riferita
all’applicazione di lenti a contatto per presbiti, si adatta
anche alla comunicazione con il cliente in generale.
Per ottenere una comunicazione efficace è fondamentale
utilizzare tutti i canali e i livelli di comunicazione: usare immagini, grafici, far provare dei campioni. Spesso i
clienti ricordano solamente ciò che viene detto alla fine
di un discorso: è importante quindi riassumere ancora
le parti più importanti, le azioni e i passi successivi, oltre
alle date degli appuntamenti successivi.
Nel salutare il cliente è importante rivolgersi a lui chiamandolo per nome, porgere il biglietto da visita e informarlo che può richiamare se ha altre domande.
La consegna del biglietto da visita è come la firma in una
vendita o in un esame: rende l’intero processo più accattivante, rinforza il legame con il cliente e con ciò che è
stato detto durante il colloquio. Per quanto concerne l’ef-
93
2008, vol. X, n. 3
R U BRICA
Ortocheratologia
in Pole Position
Laura Boccardo
Optometrista FAILAC
Il 19 e 20 ottobre scorsi a Imola (Bo) si sono svolte due
giornate di aggiornamento in ortocheratologia organizzate dall’AIOK (Accademia Italiana di Ortocheratologia) in collaborazione con S.Opt.I. (Società Optometrica Italiana). L’incontro prevedeva sia un corso di
base, per i contattologi che si avvicinano ora al mondo
dell’ortocheratologia, sia un corso avanzato per esperti, nei quali si sono alternati come relatori: Jennifer D.
Choo, Carlo Lovisolo, Antonio Calossi, Marino Formenti, Alessandro Fossetti, Riccardo Olent, Salvatore
Pintus e Giuseppe Toffoli.
Ospite d’onore è stata Jennifer Choo, ricercatrice australiana che sta dedicando gran parte dei suoi studi
alla comprensione dei meccanismi istologici, che permettono il modellamento del tessuto corneale.
L’intervento della Choo si è articolato in due parti. Nella sua prima relazione ha illustrato uno studio condotto
su un modello animale per studiare la ridistribuzione
del tessuto corneale, in conseguenza all’applicazione
di lenti per ortocheratologia. I risultati hanno mostrato una significativa variazione di spessore dell’epitelio
corneale indotta dall’applicazione di lenti a geometria
inversa nelle zone centrale, paracentrale e periferica
della cornea. La tecnica istologica utilizzata per analizzare il tessuto, non ha permesso invece di mettere in
evidenza l’eventuale interessamento dello stroma corneale. La seconda relazione illustrava i risultati di uno
studio, condotto nuovamente su modello animale, per
valutare se le modificazioni tessutali indotte dall’ortocheratologia possono essere considerate una compromissione dell’epitelio, tale da favorire una maggiore
incidenza di cheratite microbica. Nei gatti, a cui sono
state applicate le lenti per ortocheratologia, non si è
sviluppato alcun caso di cheratite microbica, malgrado la massiccia esposizione ai batteri a cui sono stati
sottoposti durante lo studio. Questo dimostra che il
modellamento corneale di per sé non è un fattore di
rischio per la cheratite microbica.
I relatori italiani hanno invece portato l’attenzione sulla clinica, con gli occhi puntati sulle nuove frontiere
dell’ortocheratologia: la correzione dell’ipermetropia,
della presbiopia, dell’astigmatismo, le speranze su
un possibile controllo della progressione miopica e di
un impiego nella stabilizzazione del cheratocono, in
abbinamento con le nuove tecniche di cross-linking.
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Figura 1
Jennifer Choo
Marino Formenti, presidente di AIOK, ha inoltre illustrato i contenuti del recente Congresso dell’American
Academy of Orthokeratology, che si è svolto lo scorso
aprile a San Diego e al quale ha partecipato, portando
la testimonianza dell’esperienza italiana in ortocheratologia. Il lunedì si è tenuta una sessione di presentazione di casi clinici, illustrati da alcuni soci AIOK che
hanno sostenuto l’esame di fellowship.
Complessivamente, hanno partecipato alle due giornate di studio oltre cento iscritti, a dimostrazione di
quanto vivo sia l’interesse per questo argomento fra i
contattologi del nostro paese.
R U BRICA
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TIPS
&TRICKS
a cura di
Laura Boccardo
La manutenzione delle lenti in
caso di piggyback
• M. A. Ward, Choosing Piggyback Lens
Care Products, Contact Lens Spectrum,
Gennaio 2006.
La disponibilità dei nuovi materiali in
silicone idrogel (SI) e rigidi ad altissimo Dk ha rivitalizzato il campo delle
applicazioni piggyback su cornee irregolari, risolvendo il loro problema
principale e cioè la carenza di apporto
di ossigeno. Quando dovete scegliere
il sistema di manutenzione per una
coppia di lenti SI/RGP, ricordatevi
queste regole:
• Potete usare liquidi per lenti morbide con lenti RGP.
• NON potete usare liquidi per RGP
con lenti morbide.
• Sia le RGP, sia le Silicone-idrogel necessitano di essere pulite e risciacquate
sistematicamente.
Se utilizzate una soluzione unica.
La sera, pulite la lente RGP con un
detergente per lenti rigide, sciacquate
abbondantemente e conservate con
una soluzione unica per lenti morbide;
quindi pulite, sciacquate e conservate
separatamente la lente morbida con la
soluzione unica. La mattina, sciacquate
le lenti con soluzione fresca, inserite le
lenti, sciacquate i contenitori e lasciateli asciugare all’aria.
Se utilizzate un sistema al perossido.
La sera, pulite la lente RGP con un
detergente per lenti rigide, sciacquate
abbondantemente ed immergete nel
perossido; quindi pulite e sciacquate
e conservate separatamente la lente
morbida nel perossido, secondo le indicazioni del produttore. La mattina,
sciacquate le lenti ed indossatele.
È possibile che la lente RGP non si bagni in modo adeguato, se inserita direttamente nell’occhio dopo il perossido: in questo caso, usate solo soluzioni
uniche o umettanti per lenti morbide,
ma non umettanti per lenti RGP, che
contaminerebbero la lente morbida.
Abbinare nuovi materiali e prodotti di manutenzione
Quando si applica o si riapplica un
paziente con lenti in silicone idrogel,
bisogna sempre prescrivere un sistema
di manutenzione appropriato per l’utilizzo con queste lenti. Fornendo uno
starter pack al momento dell’applicazione, i pazienti potranno avere immediato accesso alla nuova soluzione
e quindi più facilmente continueranno
ad utilizzarla da lì in avanti. Spiegate
l’importanza di utilizzare la soluzione
prescritta con questi nuovi materiali,
al fine di ridurre potenziali problemi
legati ad un’incompatibilità fra lente e
soluzione. Educando i pazienti in questo modo, migliorerete la loro consapevolezza e attenzione nei confronti delle
lenti a contatto e avrete pazienti che
stanno meglio e sono più felici!
• Vishakha Thakrar, OD, Mississauga,
Ontario, Canada
• Contact Lenses Today Fitting Tip of the
Month - Ottobre 2008
Informare i pazienti delle novità
Forse il migliore modo per assicurarsi
la lealtà del portatore di lenti a contatto è quello di informare in modo propositivo il paziente su tutte quelle che
sono le nuove opzioni nel campo della
contattologia. Troppo spesso, se un paziente sembra andare bene con le sue
attuali lenti a contatto, non ci annoiamo
a discutere i nuovi sviluppi della tecnologia. In realtà, sia che parliamo di protezione dagli ultravioletti, trattamento
dell’occhio secco, lenti progressive o
toriche, i pazienti vogliono il meglio,
e vogliono conoscere ciò che voi siete
in grado di offrire in termini di nuove tecnologie. Un paziente informato
darà maggiore valore alla prestazione
professionale che gli viene fornita, si
presenterà con regolarità ai controlli
per essere sicuro di essere sempre aggiornato, con più facilità consiglierà ai
conoscenti di rivolgersi a voi. Tutto può
cominciare con questa semplice frase:
“Lascia che ti spieghi che cosa è uscito
di nuovo dall’ultima volta che ci siamo
visti.” Tanto i vostri pazienti, quanto il
vostro lavoro ne trarranno beneficio.
• Stephen Cohen, OD, Arizona
• Contact Lenses Today Fitting Tip of the
Month - Novembre 2008
Vendere vantaggi
Claudio Belotti, esperto di PNL, è
intervenuto al recente convegno
Contattologia&Compliance,
Roma,
9 Novembre 2008, portando alcuni
suggerimenti che possano migliorare la comunicazione fra applicatore
e paziente. I nostri pazienti non sono
degli esperti di lenti a contatto, non
conoscono i termini tecnici, non si rendono conto di cosa possa voler dire,
per esempio, Dk alto o Dk basso. Però
sono consci delle proprie esigenze e
cercano soluzioni ai propri bisogni.
Quando noi presentiamo una novità,
dobbiamo offrire al paziente non una
serie di caratteristiche tecniche, ma
una serie di vantaggi. L’invito è quindi
quello di parlare in termini di salute,
sicurezza, libertà di movimento, qualità della visione, piuttosto che in termini di permeabilità a gas, principi attivi,
geometrie o aberrazioni ottiche.
Avete un piccolo trucco o qualsiasi suggerimento che possa risolvere i problemi più
comuni che si incontrano nella pratica contattologica di tutti i giorni? Avete piacere di
condividerlo con i colleghi? Inviate i vostri
Tips&Tricks alla redazione di LAC.
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2008, vol. X, n. 3
IN LIBRERIA
The optometrist’s practitioner-patient manual
a cura di
Laura Boccardo
Anthony J. Phillips
2008, Butterworth Heinemann Elsevier
133 pagine a colori
4 pagine di tavole a colori
Copertina rigida
Lingua inglese
Quali elementi contribuiscono alla
buona pratica clinica? Una preparazione approfondita, un aggiornamento continuo, una strumentazione all’avanguardia, uno staff e un
ambiente di lavoro ben organizzati,
prodotti di prima qualità … ma tutto questo va sprecato se il paziente non capisce veramente qual è il
suo problema e in che modo noi lo
possiamo aiutare. La buona pratica
clinica passa inevitabilmente per la
buona comunicazione fra optometrista e paziente.
A volte illustrare ai pazienti dei concetti un po’ tecnici è difficilissimo:
sembra di parlare due lingue diverse e, in molti casi, è proprio così. Vi
capita di non riuscire a spiegarvi a
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parole e di iniziare a scarabocchiare
disegni sul primo foglio che trovate? Non tutti però hanno la mano
di Giotto e non è detto che il vostro
schizzo sia più comprensibile delle
vostre parole.
Anthony Phillips (autore dello storico “Contact Lenses”, giunto ormai
alla sua quinta edizione)ha avuto
un’idea tanto semplice, quanto geniale: chiamare un illustratore (Jennifer Rose), raccogliere un po’ di
belle fotografie e quindi comporre
un manuale che aiuti l’optometrista
a comunicare con il proprio paziente, con la convinzione che un’immagine valga più di mille parole.
“The optometrist’s pratictionerpatient manual” è diviso in cinque
sezioni: l’occhio, le lenti da occhiali, le patologie, le lenti a contatto
e la visione binoculare. In apertura troviamo un tavola di lettura e
la griglia di Amsler. L’anatomia
dell’occhio e delle strutture annesse è illustrata sia con disegni, sia
con fotografie. Alcuni diagrammi
spiegano le ametropie, la presbiopia e l’acuità visiva. La sezione dedicata agli occhiali raccoglie molto
del materiale illustrativo che siamo
soliti trovare in allegato ai listini
delle lenti oftalmiche.
La sezione sulla patologia è divisa in segmento anteriore e segmento posteriore ed è molto sviluppata, dato che gli optometristi
anglosassoni hanno la possibilità
di guardare il fondo dell’occhio e
fare prevenzione anche in campo
patologico, soprattutto per il glaucoma. La sezione sulle lenti a contatto aiuta ad illustrare sia il corretto uso delle lenti, sia le possibili
complicanze. Nell’ultima sezione,
una serie di diagrammi spiega i più
comuni difetti della visione binoculare. In una società in cui la quasi
totalità dell’informazione ci arriva
tramite immagini, siamo abituati a
comprendere e a trattenere meglio
quello che vediamo, rispetto a quello che ascoltiamo. “The optometrist’s pratictioner-patient manual” è
quindi un libro straordinariamente
povero di testo scritto, perché le parole ce le dovete mettere voi, adattandole di volta in volta alla persona che vi siede di fronte, tenendo
conto della sua età, del suo livello
culturale, del tempo che avete a disposizione.
Anche il problema della lingua inglese diventa quasi irrilevante: non
è un libro da leggere, è un libro da
usare. La copertina è rigida e robusta, le pagine sono spesse, lucide, rilegate a spirale, per essere sfogliate
e risfogliate senza che si sciupino.
La veste grafica è molto curata, per
farvi fare bella figura con il vostro
interlocutore.
www.elsevierhealth.com