INFORMAZIONE FILOSOFICA Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Registrazione n. 634 del 12 ott. 1990 Tribunale di Milano. Spedizione in abbonamento postale gruppo IV/70. Prezzo: L. 7500 Copie arretrate L. 10000 Abbonamento annuale (5 numeri): L. 35000, studenti L. 25000, estero L. 56.000 Redazione, direzione, amministrazione e pubblicità: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. 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Milano Per l'invio di articoli e materiale informativo indirizzare a: Informazione Filosofica Viale Monte Nero, 68 20135 Milano In copertina: René Magritte Le drapeau noir, 1936 INFORMAZIONE FILOSOFICA Rivista bimestrale a cura di: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Uno strumento per orientarsi nella molteplicità delle proposte e dei temi che animano il pensiero contemporaneo e per affrontare consapevolmente i problemi della cultura e della società nel n. 7 Croce (e Gentile): perchè? Ermeneutica del mondo tecnico Nagel: uguaglianza e parzialità Saggezza e follia Una presenza incorporea La mano e lo sprone Ricordo di Alberto Caracciolo L’angelo fondatore La grammatica dell’esperienza Conoscenza metafisica Benjamin storicista? Le allieve di Freud: psicologia al femminile Umanesimo e nazismo: il “caso Heidegger” Althusser: autobiografia in cerca di una firma Il Dio dei filosofi Del diritto e della politica Filosofia sovietica: tradizioni e tendenze Nietzsche contra Rousseau Fenomenologia francese in traduzione tedesca Scienza e filosofia Ripensare la modernità Le regolarità e la ragione Epistemologia e ontologia in Locke Austin: teoria degli atti linguistici Dialettica materialistica e metafisica speculativa Rivalutazione di Frege La corrispondenza Freud-Ferenczi Montaigne oggi Fenomenologia dello Spirito: nuova traduzione francese Schelling:filosofia della mitologia Magia, mistica e cabbala: l’ebraismo nella cultura tedesca Althusser: ermeneutica e psicanalisi Filosofia e narrazione Croce: dalla politica all’etica Storicismo scientifico Verità e grazia in Malebranche Ragione e storia Critica della teleologia Letteratura e filosofia dello spirito Heidegger e Adorno "Informazione filosofica" si trova nelle migliori librerie: un numero Lire 7500 L'abbonamento 1992 - 5 numeri + supplemento - costa Lire 35.000 studenti Lire 25.000, estero Lire 56.000 L'importo può essere versato sul c.c.p. n. 17707209 oppure con assegno bancario non trasferibile intestato a: Cooperativa Edinform s.r.l. Informazione e Cultura Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Gentili lettori, conveniente giustificazione storica. In ciò solo consiste la dignità e l’ufficio civile della filosofia e della storiografia, perché, quanto all’azione e alla vita pratica, questa deve aiutarsi e si aiuta da sé nella cerchia che è sua, distrigandosi con genialità volitiva dalle difficoltà in cui si è impigliata, sollevandosi per propria virtù dalle bassure in cui è caduta; sebbene certamente ciò non possa fare se, come diceva Mefistofele, ‘disprezza ragione e scienza, suprema forza dell’uomo’, e si dà in preda agli inganni dello spirito di menzogna: se si dà a innalzare a verità filosofica le proprie immagini e illusioni e i propri deliri. Senza dubbio, vi sono tempi nei quali tra la filosofia e la vita pratica, sociale e politica si osserva una sorta di rispondenza, come accade tra razionalismo illuministico e riformismo nel settecento, tra storicismo idealistico e liberalismo nella prima metà dell’ottocento: tempi singolarmente felici nei quali un medesimo fervore morale genera quasi gemelli i modi della filosofia e i modi della vita. Ma ce ne sono altri, travagliati e dolorosi, nei quali il pensatore sta solitario o con poca compagnia, perché la vita sociale ha smarrito il suo equilibrio, e inclina tutta da un lato, o che sia premuta da angustie nelle quali penosamente si dibatte o che sia soverchiata dal rigoglio di nuove forze fisiologiche, nascenti dal suo fondo. Guai al filosofo se egli, per isfuggire la solitudine, o per altri assai meno nobili sentimenti, si piega e adegua la sua filosofia alla «filosofia dei tempi», o in qualche modo la seconda! Ché, per contrario, allora tanto più stretto e urgente è il dover suo di rammentare agli uomini mercé dei concetti speculativi e dei giudizi storici quella che è la vera e compiuta umanità; tanto più egli deve essere allora rigido verso gli altri e «Il pensatore sa molto bene che ogni cosa, anche verso sé stesso, perché «se il sale si fa insipido chi quelle che come uomo pratico egli aborre e combat- potrà mai salarlo?». Il suo regno è ben di questo te, e deve aborrire e combattere, ha la sua ragione ed mondo, ma non già dell’istante che passa. otterrà un giorno, da lui o da chi verrà dopo di lui, la nel saggio di apertura di questo numero, Girolamo Cotroneo traccia un preciso resoconto critico della ricezione di questi ultimi anni dell’opera e del pensiero di Benedetto Croce, a partire, possiamo ammetterlo, da quell’evento editoriale che fu, nel 1989, l’avvio da parte della casa editrice Adelphi della riedizione di alcune opere di Croce, sotto la direzione di Giuseppe Galasso. Alla luce di questo evento, Cotroneo ripercorre le tappe che hanno segnato fino ad oggi la rilettura e l’interpretazione della filosofia di Croce, senza rinunciare, in alcuni contesti di discorso, a significativi sguardi retrospettivi. L’analisi circostanziata e meditata della variegata letteratura critica su Croce apparsa in questi anni, che non ha mancato peraltro di portare all’evidenza parti nascoste o poco note dell’opera di questo autore, permette a Cotroneo di concludere il suo saggio richiamando quello che potremmo dire, riprendendo il suo giudizio, il carattere emergente di questo “ritorno” di Croce: il riconoscimento di un “pensiero civile”. Ed è proprio in virtù di questo carattere che vorrei citare qui l’Edizione Nazionale dell’opera di Benedetto Croce, avviata già nel 1981, con Decreto del Presidente della Repubblica, presso la casa editrice Bibliopolis di Napoli. Tra i primi volumi pubblicati, che tuttavia iniziano ad apparire solo nel 1991, figura una raccolta di saggi dello stesso Croce, intitolata: Il carattere della filosofia moderna (1940), oggi riedita a cura di Massimo Mastrogregori, ove Croce, alla fine, nell’ultimo capitolo, fa comparire Due postille, di cui una con il titolo: “Filosofia moderna e filosofia dei tempi”. Di questo breve scritto vorremmo proporre, all’insegna del “civile” nel pensiero, le parole che seguono: SOMMARIO 5 SAGGIO 35 PROSPETTIVE DI RICERCA 5 Croce (e Gentile): perché? 35 Epistemologia e ontologia in Locke 35 Austin: teoria degli atti linguistici 11 CONFERENZA 36 Dialettica materialistica e metafisica speculativa 11 Ermeneutica del mondo tecnico 36 Rivalutazione di Frege 37 Heidegger e Adorno. 15 SCHEDA 38 La corrispondenza Freud-Ferenczi 15 L'Università di Ginevra 38 Montaigne oggi 39 Fenomenologia dello Spirito: nuova traduzione francese 17 AUTORI E IDEE 39 Schelling: filosofia della mitologia 17 Nagel: uguaglianza e parzialità 17 Saggezza e follia 42 NOTIZIARIO 18 Una presenza incorporea 18 La mano e lo sprone 45 CONVEGNI E SEMINARI 19 Ricordo di Alberto Caracciolo 45 Magia, mistica e cabbala: l’ebraismo nella cultura tedesca 20 L’angelo fondatore 45 Althusser: ermeneutica e psicanalisi 22 La grammatica dell’esperienza 46 Filosofia e narrazione 23 Conoscenza metafisica 47 Croce: dalla politica all’etica 23 Benjamin storicista? 48 Storicismo scientifico 49 Verità e grazia in Malebranche 25 TENDENZE E DIBATTITI 50 Ragione e storia 25 Le allieve di Freud: per una psicologia al femminile 51 Critica della teleologia 26 Umanesimo e nazismo: il “caso Heidegger” 52 Letteratura e filosofia dello spirito 27 Althusser: autobiografia in cerca di una firma 28 Il Dio dei filosofi 54 CALENDARIO 28 Del diritto e della politica 29 Filosofia sovietica: tradizioni e tendenze 56 DIDATTICA 30 Nietzsche contra Rousseau 56 Manuali di filosofia per i licei 31 Fenomenologia francese in traduzione tedesca 56 Convegni 32 Scienza e filosofia 32 Ripensare la modernità 60 RASSEGNA DELLE RIVISTE 33 Le regolarità e la ragione 67 NOVITA' IN LIBRERIA SAGGIO Benedetto Croce (Mario Nunes Vais) SAGGIO Nell’ottobre dello scorso anno, su un giovane, ma già tre bisognava attendere il 1982 per vedere pubblicata, accreditato, periodico culturale, “La Rivista dei libri”, presso quello che era stato l’editore di Croce, un’opera appariva - preceduta da una discreta pubblicità - una sul pensiero di lui, quella, peraltro discutibile e comunlunga recensione di Umberto Eco all’Estetica come que dagli intenti non certo “laudativi”, di Paolo D’Angescienza dell’espressione e linguistica generale, la prima lo sull’estetica del filosofo napoletano; soltanto l’anno delle opere “sistematiche” di Benedetto Croce, apparsa, successivo veniva pubblicata finalmente un’opera procome è noto, nel 1904, e ripubblicata nel 1990, nel veniente dall’area, per così dire, “crociana”: Benedetto quadro dell’edizione Adelphi, curata da Giuseppe Galas- Croce. Trent’anni dopo, volume curato da Antonino so, di alcune opere di Croce, iniziata nel 1989 con quel Bruno, che raccoglieva gli atti di un convegno tenuto piccolo capolavoro letterario che è il Contributo alla l’anno prima a Catania, la sola manifestazione di rilievo realizzata in occasione del trentennale della morte di critica di me stesso. Il fatto che a uno dei più prestigiosi intellettuali italiani Croce. fosse stato richiesto - o che egli stesso avesse deciso di Ma non è forse il caso di insistere su questo tema, di farlo: la cosa non cambia molto - di occuparsi di un testo riaprire vecchie polemiche. Il problema da cui abbiamo al quale non aveva certo prestato fino ad allora molta preso le mosse è infatti un altro: la “ripresa” o il “ritorno”, attenzione (lo dimostrava la recensione stessa, costruita il “recupero”, del pensiero crociano nella nostra cultura. Ripresa, ritorno e recupero più sull’acuta intelligenza testimoniati in primo luogo del suo autore, che non su dalla ristampa dei suoi testi una evidente dimestichezza (che costituisce il fatto vee consuetudine con l’intero ramente nuovo), e da divercorpus delle opere crociane se pubblicazioni monograe con la non poca letteratura fiche, intorno alle quali tutcritica intorno ad esso); quetavia una precisazione ci sto fatto, dicevamo, comunsembra necessaria. Le più que lo si voglia giudicare, importanti e interessanti tra indica da solo l’attenzione queste (la data da cui qui che la cultura italiana di queprendiamo le mosse è il sti nostri anni dimostra ver1988, si vedrà poi perché) so Benedetto Croce. Un pendi Girolamo Cotroneo sono opera di studiosi che satore di cui, all’interno di non hanno certo atteso la certe aree culturali (non cer“ripresa” del pensiero croto “minoritarie”), fino a poco ciano per discuterlo: basti tempo addietro si parlava pensare al volume di Gensoltanto per irriderlo o per naro Sasso, Per invigilare “liquidarlo”, mentre presso me stesso, apparso per Il altre veniva semplicemente Mulino nel 1989, a quello ignorato. Tutto ciò, comunque, non significa che il pensiero crociano non circolas- di Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, se, e anche con una certa efficacia, nel nostro paese. pubblicato per Il Saggiatore nel 1990 o a quello di Anche se, come rilevava Francesco Compagna, nel 1967, Antonino Bruno, L’ultimo Croce e i nuovi problemi, su un numero speciale della rivista “L’Opinione” dal edito anch’esso nel 1989 da Franco Angeli; e ancora il titolo: Benedetto Croce. Una verifica, in occasione del volume di Giovanni Spadolini, che riuniva scritti sparsi venticinquesimo anniversario della morte di Croce, in nell’arco di quarant’anni, Il debito con Croce, apparso quel periodo in Italia si poteva, e forse si doveva, parlare nel 1990 presso Le Monnier. Autori tutti che nella storia di “Croce come samizdat”, dato che il suo pensiero - delle interpretazioni crociane avevano da tempo un posto come quello dei “dissidenti” sovietici - circolava quasi di di riguardo. Naturalmente non sono mancate le opere nascosto, attraverso opere pubblicate soltanto presso degli autori “nuovi”, o quasi, come quella di Paolo piccoli editori: ricordiamo il ricco e complesso volume Bonetti, L’etica di Benedetto Croce, apparsa nel 1991 di Gennaro Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della per Laterza, e quella, stampata nel 1989 da un’editore dialettica, del 1975, e le bellissime lettere di Croce a fiorentino, Ponte alle Grazie, di Michele Maggi, La Vittorio Enzo Alfieri, pubblicate nel 1976, la cui circo- filosofia di Benedetto Croce, che forse più di tutte le altre lazione era stata di gran lunga inferiore ai loro meriti, si poneva il problema di quale, oggi, poteva essere presso proprio perché comparse non presso i grandi editori il lettore colto, l’immagine di Croce. nazionali, ma il primo da Morano a Napoli e le seconde Accanto a queste pubblicazioni, e ad altre di cui diremo presso una misteriosa e praticamente irraggiungibile in seguito, molte manifestazioni culturali, tra cui ricorSicilia Nuova Editrice di Milazzo, in provincia di Mes- diamo quella del novembre 1990, a Napoli, presso l’Istisina. Del resto basti pensare che Laterza (Laterza!), nel tuto Suor Orsola Benincasa, nel corso della quale una 1965, lasciava passare una sprezzante considerazione su nutrita schiera di studiosi di diversa provenienza ha Croce di Franco Ferrarotti nella prima pagina della discusso i temi proposti dall’ultimo libro di Galasso, e la monografia Max Weber e il destino della ragione, men- fondazione a Pescara, presediuto da Raffaele Colapietra, Croce (e Gentile): SAGGIO di un Istituto Nazionale di Studi Crociani, il quale ha già avviato la pubblicazione di un bollettino bibliografico piuttosto interessante, mentre si annunziano - e varrà forse la pena parlarne a cose fatte - diverse iniziative per questo 1992, quarantennale della morte di Croce. Per strano che possa sembrare, da tutto questo riteniamo di dover escludere l’edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce, di cui l’editrice napoletana Bibliopolis ha pubblicato - per la verità in maniera molto discreta nel corso del 1991 i primi due volumi: il Carteggio Croce-Vossler 1899-1949, a cura di Emanuele Cutinelli Rèndina, e Il carattere della filosofia moderna, a cura di Massimo Mastrogregori, rispettivamente ottavo e decimo nel piano complessivo dell’edizione nazionale, preparato con grande cura e intelligenza da Mario Scotti; questo perché il decreto istitutivo, firmato dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, risale al 14 agosto 1981, in epoca, quindi, in cui il revival crociano, come qualcuno con malcelata ironia lo ha definito, non era neppure lontanamente prevedibile. Veniamo allora alla situazione odierna, che ha preso l’avvio nel 1988, quando si ebbe notizia che le edizioni Adelphi avrebbero ripubblicato un certo numero di opere di Benedetto Croce (in particolare opere di carattere più storico-letterario che filosofico in senso forte: scelta su cui ci sarebbe pure qualcosa da dire o da ridire). Notizia a cui fece seguito un ampio dibattito sviluppatosi soprattutto (ma non soltanto) sulle pagine di un autorevole quotidiano di Roma, “la Repubblica” - intorno all’opportunità o meno di realizzare questa operazione culturale, accolta, scriveva nel 1989 Norberto Bobbio, «più con curiosità e attesa (imprevedibile) dei risultati che con vera convinzione». Nel corso di quel dibattito la maggior parte degli studiosi intervenuti - molti dei quali autorevolissimi - espresse sull’argomento un giudizio in larga misura positivo (talora, non sempre opportunamente, ispirato al canone metodologico della pietas dovuta agli “antichi”, teorizzato dallo stesso Croce). Soltanto Massimo Cacciari provocando la reazione irritata di Norberto Bobbio, che si dichiarava comunque compiaciuto che lo studioso veneziano fosse rimasto solo - dichiarò che sarebbe allora stato molto meglio ripubblicare le opere di Giovanni Gentile: cosa del resto in parte accaduta nel trascorso 1991, quando Garzanti ha pubblicato, a cura di Eugenio Garin, alcune delle principali opere “filosofiche” (l’aggettivo richiede una sottolineatura, così come richiedeva di essere sottolineato il fatto che di Croce si pubblicassero soprattutto le opere “storico-letterarie) del pensatore siciliano, al quale peraltro, nell’ottobre del 1990, era stato dedicato, a Castelvetrano, suo paese natale, un grosso e interessante Convegno, organizzato da un noto studioso palermitano, Nunzio Incardona. Ricordiamo questo perché il discorso su Croce continua, nonostante sia stato ampiamente dimostrato che il suo pensiero, nemmeno nei suoi momenti originari, presenta affinità sensibili con quello di Gentile, a svilupparsi sempre evocando l’attualismo gentiliano. Lo prova il fatto che i due grossi convegni organizzati nel 1991 - l’uno a Siracusa in primavera, l’altro a Orvieto in autunno - dall’Istituto Gramsci, una istituzione che - in conformità ai suoi fini, del resto - non aveva certo finora contribuito alla conoscenza del pensiero di Croce e meno che mai di quello di Gentile, riguardavano il pensiero di entrambi i due massimi pensatori del Novecento italiano. Naturalmente non senza una ragione. Nel 1979, Lucio Colletti, nel suo celebre Tramonto dell’ideologia, parlando della cultura italiana, già da allora post-marxista, osservava che la nostra vicenda ideologica che dapprima si era sviluppata sotto il segno «di un marxismo rimodellato in chiave utopistica ed escatologica», appariva allora «sostenuta e corroborata dal pensiero teologico di Heidegger», il quale, “per generale riconoscimento”, è esso stesso “un escatologismo storico”: «Siamo dunque passati - concludeva Colletti - da una escatologia all’altra. O, come direbbe un cronista sportivo, la prima ha ‘tirato la volata’ alla seconda». In questo contesto non è affatto difficile comprendere le ragioni dell’interesse della cultura ex o post-marxista verso Giovanni Gentile, nel cui pensiero, ha scritto Eugenio Garin, escludendo implicitamente quello di Croce, «la cultura italiana sperimentò in forme proprie e originali la crisi profonda del pensiero europeo fra Ottocento e Novecento». Intorno alla metà degli anni Settanta, nel saggio Gentile e Gramsci, che doveva poi costituire la parte più cospicua del suo notissimo Il suicidio della rivoluzione, apparso per Rusconi nel 1978, Augusto Del Noce, suscitando non poche polemiche, non aveva avanzato soltanto la tesi secondo cui Gramsci nel suo lavoro di “ritraduzione storicizzante” - sarebbe a dire nel corso del suo tentativo di risalire da Croce a Marx non aveva incontrato Marx, «ma invece Gentile, pur credendo di incontrare Marx»; aveva anche sostenuto che Gentile, portando all’estremo «la filosofia del primato del divenire», aveva stabilito «il rapporto di necessità che intercorre tra la coerenza rigorosa della filosofia del divenire, e la più radicale negazione della metafisica». Per questa ragione, aggiungeva Del Noce, si può senz’altro sostenere che «la visione heideggeriana della storia della filosofia [...] coincide singolarmente con quella proposta da Gentile, ma con segno rovesciato: è, cioè, letta come processo verso il nichilismo». In questo senso, proseguiva, sarebbe «possibile dire che la filosofia di Heidegger è la verità della filosofia di Gentile, quella verità di cui Gentile non si accorse; o che la filosofia di Gentile è la conferma ante litteram della diagnosi di Heidegger»: ed è appunto questo, concludeva, «che le conferisce la sua eccezionale importanza attuale; è attraverso il suo studio che possiamo renderci conto della profondità della crisi del pensiero teologicometafisico e delle sue radici». Ove si tenga presente quanto il pensiero di Heidegger sia penetrato nella nostra cultura (soprattutto nell’area postmarxista, o post-moderna), l’interesse verso Gentile non potrà certo essere giudicato inspiegabile. Al limite è l’interesse verso Croce che potrebbe apparire inspiegabile, in quanto, per paradossale che possa sembrare, il suo pensiero appare in larga misura “estraneo” a una cultura filosofica come la nostra, egemonizzata nell’ul- SAGGIO timo periodo dalla filosofia cattolica, dall’attualismo gentiliano e dal marxismo, sarebbe a dire da filosofie “totalizzanti”, certamente più vicine che non quella di Croce alla nostra tradizione. Riparleremo di questo. In ogni modo, il rapporto Gentile-Heidegger doveva essere rilanciato, oltre dieci anni dopo il saggio di Del Noce (nel corso dei quali la conventio ad excludendum nei confronti di Gentile continuava ad essere operante; una conventio, occorre dirlo, che non si ebbe mai, o almeno non in maniera radicale come per Gentile, nei confronti di Croce); doveva essere rilanciato, dicevamo, da Salvatore Natoli, con il suo fortunato volumetto del 1989, Giovanni Gentile filosofo europeo, pubblicato per la Bollati Boringhieri, dove, accanto alla tesi secondo cui non basta «ricollocare Gentile nel quadro della filosofia europea: bisogna, al contrario, cominciare a leggere la filosofia europea alla luce dell’attualismo gentiliano o percepirne comunque la sintonia»; dove accanto a questa tesi, dunque, se ne incontra una molto più “suggestiva”: quella secondo cui «in Gentile si trovano evidenti anticipazioni di Heidegger e non solo del primo, ma anche del cosiddetto secondo Heidegger». Il che consentirebbe, secondo Natoli, di «rompere la formula ‘neoidealismo italiano’ e portare alla luce nessi significativi e illuminanti finora lasciati impliciti»; perché leggere Gentile non in relazione all’hegelismo o alla tradizione “italiana”, bensì «in relazione a Husserl, a Heidegger e viceversa, significa liberare uno spazio nuovo di riflessione e di discorso» (cosa impossibile a farsi con Croce, nel quale risulta “pressochè assente” ciò che, ad esempio, Husserl pensava e che “con altro lessico” era “oggetto di riflessione di Gentile”). Ma nel libro di Natoli vi è, almeno nei nostri fini, anche dell’altro, su cui conviene - per ragioni che diremo dopo - soffermarsi, riportando la pagina in cui, nel corso del riesame del rapporto tra Gentile e Gramsci, viene chiamato in causa Croce. Dice dunque Natoli che tra Gentile e Gramsci non esistono differenze «nella diagnosi della fase storica caratterizzata dal disfacimento del ceto liberale europeo e dall’impotenza diversamente motivata dalle socialdemocrazie»; si trattava di una crisi radicale, la quale «richiedeva un’esposizione che fosse radicale come la crisi stessa». Ora, prosegue Natoli, mentre Gentile e Gramsci ebbero percezione di questo, «Croce ben comprese l’ampiezza della crisi, ma non ne fu all’altezza sino in fondo»; e così come disconobbe il marxismo come “filosofia della storia”, disconoscendone di conseguenza l’epocalità, allo stesso modo non comprese «la dimensione innovativa ed eversiva del fascismo, e diversamente da Gramsci non ne [sentì] l’inimicizia, ma ne [soffrì] il fastidio proprio perché non ne [intese] il pericolo». Soltanto «a cose fatte [egemonizzò], e con incommensurabile merito, l’antifascismo», senza tuttavia comprendere fino in fondo che «la questione era di ben altra portata». Senza indugiare - in quanto non necessario al nostro scopo - sugli ulteriori argomenti, non certo privi di interesse, di Natoli, ci sembra necessario sottolineare che tutto ciò sarebbe accaduto non tanto perché Croce era un pensatore politico meno acuto e sensibile ai “segni dei tempi” di Gentile, ma perché era meno “filosofo”, per così dire, di lui: non avrebbe avuto, cioè, la dimensione teoretica, la profondità speculativa di Gentile, per cui il suo pensiero non era “epocale”, e finiva con l’approdare più che a una filosofia in senso forte, a una sorta di “saggezza”, talora persino distaccata, “olimpica”, come si è malamente detto. Qui il discorso - che ovviamente non riguarda più soltanto Salvatore Natoli - si farebbe piuttosto lungo. Si tratta comunque di una tesi fortemente contrastata dagli studiosi di ispirazione crociana, tra i quali, in tempi vicinissimi, Giancarlo Lunati che in un saggio del 1990, Croce etico-politico (apparso in un volume, edito da Rusconi con il titolo: il ritorno di Croce nella cultura italiana, di cui, assieme a Lunati, sono coautori Raffaello Franchini e Fulvio Tessitore) ha proposto - in polemica, appunto, con la “tradizione oramai pluridecennale” secondo cui «Croce fu meno filosofo di Gentile» - alcune considerazioni volte a dimostrare che Croce era «un filosofo vero, e soprattutto moderno, e [...] Gentile [...] un epigono di una scuola filosofica al tramonto»; e ancora «che Croce come filosofo sia tuttora attuale per la positività di molte sue proposte e che Gentile, di contro, sia fuori da ogni contributo utilizzabile e che, anzi, abbia in sé un potenziale negativo, qualora fosse inopinatamente utilizzato». Non è certo il luogo, né il caso, di indicare gli argomenti portati da Lunati a sostegno della sua tesi: in quello stesso volume, tuttavia, il saggio di Raffaello Franchini, Il significato della filosofia di Croce, dovrebbe sciogliere più di un un dubbio sulla profondità teoretica dell’autore della Logica come scienza del concetto puro; e altri ne scioglie , se per filosofia non si intende semplicemente un discorso sull’essere, il nulla e il divenire, il recente volume di Giuseppe Gembillo, Croce e il problema del metodo, pubblicato a Napoli da Flavio Pagano nel 1991, dove il problema “filosofico” del rapporto tra Croce e le scienze viene ripensato alla luce dell’epistemologia contemporanea. Non è questo tuttavia l’argomento di fondo della nostra nota: esso consiste invece nel tentativo di comprendere le ragioni dell’opzione, diciamo così, “gentiliana” della cultura italiana post-marxista e anche di certa cultura cattolica (del resto la prima rivalutazione, in tempi recenti, della grandezza teoretica di Gentile - gli scritti di Antimo Negri, in particolare i due volumi pubblicati con il titolo Giovanni Gentile per la Nuova Italia nel 1975, rappresentano una “continuazione”, non una “ripresa” o una “rivalutazione” - è venuta proprio da uno studioso cattolico, Augusto Del Noce, sia nel già ricordato Gentile e Gramsci, che nel postumo Giovanni Gentile, apparso, per il Mulino nel 1990, a un anno dalla morte del suo autore). Basterà, a conferma di questo, ricordare una recente considerazione avanzata da un allievo di Del Noce, Rocco Buttiglione, il quale - in un volume dedicato proprio all’opera del suo maestro, Augusto Del Noce. Biografia di un pensiero, apparso lo scorso anno per le edizioni Piemme - ha scritto che «la chiave della debolezza crociana è [...] l’abolizione dell’uno, che è come dire l’immanentismo, cioè il pensiero di una divinità SAGGIO priva di consistenza oggettiva. Se si reintroduce questo momento», prosegue l'autore, «diventa possibile realizzare l’intenzione fondamentale di Croce, salvandola dalla sconfitta cui essa è altrimenti destinata di fronte all’emergere dei totalitarismi ed in primo luogo davanti alla filosofia di Gentile». L’errore di Croce, dunque, sarebbe stato quello di cancellare l’uno dai trascendentali (anche se poi, tardivamente, aveva tentato di riformulare il problema individuando nella “categoria” della vitalità, la sola , l’unica origine della dialettica); ma in tal modo, aggiunge Buttiglione, «abolendo l’unità e sostanzialità divina, Croce pone, senza volerlo, le premesse per l’abolizione anche dell’unità e sostanzialità del soggetto umano», cosicché una eventuale «prosecuzione di Croce implica [...] l’abbandono di uno dei lati del suo pensiero». Ma quale lato? Certamente quello della “filosofia della distinzione”, a favore di una filosofia di tipo “monistico”: che è poi la vera, l’ultima radice della differenza tra Croce e Gentile. Differenza sottolineata, con un’opzione a favore di Croce, addirittura, per quanto la cosa possa apparire strana, da Gramsci, il quale ha scritto che «l’idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia e filosofia», cosa «che rappresenta una degradazione della filosofia tradizionale rispetto all’altezza cui l’aveva portata il Croce con la così detta dialettica dei “distinti”».Va da sé che Gramsci aveva qualcosa da ridire anche sulla “dialettica dei distinti”; ma questo non è, almeno qui, molto importante. Ciò che invece risulta importante, è il fatto che le filosofie di Croce e Gentile, lungi dall’essere “assimilabili”, identificabili sotto la medesima etichetta, si proponevano come due diverse visioni del mondo (e della storia e della politica e dell’etica); e non è scritto in nessun luogo che il concetto “monistico” di unità (da cui sono nate tutte le ideologie totalitarie) sia teoricamente più profondo e complesso di quello di distinzione (su cui si fondano le ideologie liberali), se non per il fatto che il primo (intendendo con esso il carattere costitutivo delle grandi filosofie idealistiche, del “rovesciamento” marxiano, delle filosofie dell’essere e del divenire) si presenta in maniera (non soltanto verbalmente) ambigua, equivoca, e quindi idonea al pensiero “totale” (che talora - come nel caso di Croce e Gentile - può anche sconfiggere il pensiero pluralistico, il pensiero che si autolimita). Ne viene che la cultura cattolica e quella post (o, meglio, ex) marxista, fondate entrambe su un “monismo assoluto” (che rigetta non soltanto la “distinzione” crociana, ma tutte le filosofie analitiche, che ignora, o disprezza, la svolta linguistica: si pensi a ciò che Adorno diceva di Wittgenstein), non potevano non preferire Gentile a Croce; quel Gentile che, secondo un duro e forse anche ingiusto giudizio di Norberto Bobbio, espresso nel 1986, nell’edizione einaudiana del suo Profilo ideologico del Novecento italiano, incarnerebbe l’ideologia italiana, cioè «un certo spiritualismo di maniera, ora speculativo, ora soltanto retorico e pedagogico, che scomunica dovunque appaiano, positivismo, empirismo, materialismo, utilitarismo, come filosofie volgari, anguste, mercantili, impure». Tutt’altra - anche se lontana di molto dalle filosofie indicate da Bobbio - la posizione di Croce, presso il quale il rifiuto del pensiero “totalitario” si manifesta in diverse occasioni. Fra queste, ad esempio, la “liquidazione”, da lui operata ben prima di Popper, di quell’aspetto fondamentale del pensiero “totalitario” rappresentato dalle “filosofie della storia” (indicate assai impropriamente da Popper con il nome di “storicismo”). Nel 1917, data della prima edizione italiana di Teoria e storia della storiografia, Croce, mentre denunziava la unholy alliance, per dirla con Popper, tra “determinismo storico” e “filosofia della storia”, dove il primo, indicato come la concezione “immanente” del reale, consente di «adoprare il cemento della causalità», e la seconda, indicata come la concezione “trascendente”, usa la «bacchetta magica della finalità», e dove ognuna nascerebbe in contrasto con l’altra; dopo questa premessa, dunque, Croce attribuiva alle filosofie della storia un carattere “poetico” (e quindi, in forza o a causa di ciò, inadeguato a qualsiasi tipo di spiegazione o comprensione della storia). Scriveva infatti che quel carattere, appunto, “poetico”, appare «in tutte le ‘filosofie della storia’: sia in quelle antiche, che rappresentavano gli accadimenti storici come lotte tra gli dèi di singoli popoli o di singole genti [...], sia in quelle moderne e modernissime che s’ispirano ai vari nazionalismi ed etnicismi [...], o che rappresentano il corso storico come la corsa verso il regno della Libertà, o come il passaggio dall’Eden del comunismo primitivo, attraverso il Medioevo della schiavitù, della servitù e del salariato, verso il comunismo restaurato, non più inconsapevole, ma consapevole, non più edenico ma umano». Si vede qui come Croce, che nel 1896, nel corso della discussione sul marxismo con Antonio Labriola, aveva negato che quella di Marx fosse una filosofia della storia, nel 1917 la considerava già come come tale, attribuendo implicitamente anche ad essa un carattere “poetico”. Ma di quali lacrime e di quale sangue avrebbero presto grondato quelle “poetiche” filosofie della storia, Croce non poteva nella prima metà degli anni Dieci - la rivoluzione d’ottobre, il fascismo e, soprattutto, il nazismo erano ancora lontani - neppure immaginarlo. Tuttavia, allorché la storia reale, in atto, gli mostrò le drammatiche conseguenze di quelli che una volta per lui erano stati soltanto pensieri di “candidi” o “torbidi” sognatori, il suo giudizio doveva decisamente mutare. Così, quando nel 1938, in una delle sue opere più note, La storia come pensiero e come azione, riprese questo argomento, sostituì l’espressione “carattere poetico” con “carattere mitologico”, e indicò nella filosofia della storia «un caso particolare di falsa posizione teorica». Alla luce degli avvenimenti che viviamo, e di quelli meno recenti, ma pur sempre a noi contemporanei, si comprende quanto Croce avesse letto correttamente la storia contemporanea, caratterizzata da quel fenomeno tipico ed esclusivo della “contemporaneità” che è il totalitarismo, di cui le “mitologiche” filosofie della storia, quale che fosse il loro segno, sono state il fondamento ideale. Di conseguenza il totalitarismo è un fenomeno che esige - proprio perché a differenza della “tirannide” nasce legittimamente o abusivamente da una “filosofia” SAGGIO - una interpretazione transpolitica (per usare il termine con cui Renzo De Felice definì l’interpretazione del fascismo di Augusto del Noce), una interpretazione, cioè, per usare le parole dello stesso Del Noce, che privilegia «come l’essenziale il momento filosofico; o che è attenta al parallelismo tra filosofia e politica come tratto nuovo che la specifica». Sarebbe erroneo, però, nonostante a una interpretazione non economicistica, né panpoliticistica, né obiettivistica, abbia aperto la strada proprio Croce con la sua storiografia etico-politica, attribuire al filosofo napoletano la paternità dell’interpretazione transpolitica della storia. O, se proprio lo si vuole, avendo Croce - secondo la nota osservazione di Gramsci - assunto (forse non proprio “placidamente”) come storia «il momento dell’espansione culturale», allora occorre tenere presente almeno un problema non del tutto secondario. Di fronte al fenomeno totalitario Croce assunse, come è noto, un atteggiamento “distaccato”, di riprovazione più che opposizione: o meglio - cosa che provocò il distacco da lui di molti giovani intellettuali - di opposizione “morale” più che “politica”. Ha scritto Fulvio Tessitore in un saggio dal titolo: Sulla storiografia di Benedetto Croce - che si legge nel già ricordato Il ritorno di Croce nella cultura italiana - che «già negli scritti del 18921894 [...] Croce aveva definito la sua storiografia ‘storia morale’», e che, pur se nel 1924 la «mai intermessa» riflessione sulla storia «confluì nella definizione di storia “etico-politica”», tuttavia il “momento etico” finiva progressivamente con il prevalere «su quello politico», per lo meno a partire dal 1929, dalla Storia dell’età barocca, il libro, cioè, dove, sempre a dire di Tessitore, «la vita politica era stata deliberatamente messa da canto a vantaggio della vita morale e culturale». Che le cose stiano così - che non soltanto nel Croce storico, ma anche nel Croce “uomo” il momento etico, dettato soprattutto dalla sofferenza per quanto vedeva accadere intorno a lui sia in Italia che in tutta Europa, sarebbe stato, a partire dall’avvento del fascismo, prevalente su ogni altro - non ci sembra possano esservi dubbi. Lo prova ad esempio la polemica con Gentile (ricostruita con molta finezza da Jader Jacobelli nel volume del 1989, Croce e Gentile dal sodalizio al dramma, pubblicato da Rizzoli), dove - in particolare nelle repliche e controrepliche pubbliche immediatamente seguite alla rottura privata del 24 ottobre 1924 - al tono ironico, sprezzante talora, di Gentile fa da contrappeso quello dolente, amareggiato, di Croce. E lo prova ancora un breve saggio del 1931, dal titolo Apoliticismo, dove si leggono queste parole: «La società non lascia di raccomandare e rammentare ai suoi poeti, ai suoi filosofi e storici di guardarsi dalle passioni e dalle tendenze della politica. La verità universale, la pura umanità non si ottiene, infatti, nelle opere loro se non col superare le particolari passioni e tendenze, quali sono per eminenza quelle che si raccolgono sotto il nome di “politica”. [...] E un’altra raccomandazione o esortazione la società rivolge ai cultori del bello e del vero, che è di astenersi, in quanto persone pratiche, dal partecipare alla politica, o, per lo meno, dal pretendere in essa a una parte importante e dirigente». Questo “ripiegamento”, questo passaggio dalla politica all’etica, non si trasforma mai però in moralismo. Semmai lo si potrebbe chiamare con Paolo Bonetti - che tuttavia tende a “sottodimensionare” (non senza qualche valido argomento e esibizione di testi) il privilegio crociano dell’etica - “disincanto politico”. Del resto nel già ricordato Apoliticismo, Croce scriveva che quella «esortazione e raccomandazione» ai filosofi, storici e poeti, a non occuparsi di politica, non intendeva «inculcare l’apoliticismo, ma, come si dovrebbe dire, il simpoliticismo, l’interessamento per la politica [...] non per far della politicante e cattiva poesia, filosofia e storiografia, [...] ma unicamente per convertire l’energia di quel sentimento in pura poesia, filosofia e storiografia». Ma di là di tutto questo, il “ripiegamento” di Croce verso i valori etici, che assumono presso di lui, in un particolare momento della storia d’Europa, il significato di valori della cultura, lo allineava alla “migliore parte” del pensiero “liberale” - o “conservatore” se si preferisce: ma impegnarsi a “conservare” la libertà e la sua “anima morale” non è certo disdicevole - del Novecento, da Thomas Mann (il cui carteggio con Croce è apparso lo scorso anno a Napoli, presso Flavio Pagano, con il titolo Croce-Mann. Lettere 1930-1936, a cura di Emanuele Cutinelli Rèndina e Rosario Diana e con la prefazione di Ernesto Paolozzi) a Johann Huizinga, a José Ortega y Gasset a Edmund Husserl, anch’essi impegnati nella battaglia culturale (quella politica era già perduta) contro il frenetico attivismo, la volgarità, la rozzezza culturale di cui si alimentavano i fascismi europei, contro i quali - ma pronto all’occasione ad accordarsi con essi - si ergeva un altro e non meno minaccioso totalitarismo. La scelta etica di Croce ha dunque le sue fondate motivazioni. Norberto Bobbio, alla tesi di Jacobelli secondo cui nello scontro tra Croce e Gentile non vi furono «un vincitore e un vinto, ma entrambi forse furono perdenti», ha replicato che «quale dei due filosofi, il difensore dello stato etico o lo storico della religione della libertà, abbia vinto e quale abbia perso», non può essere messo in dubbio; e che, almeno in questo caso, «la sentenza data dal tribunale della storia» non dovrebbe «essere sottoposta alla prova d’appello». Sul piano della “grande storia”, dei suoi tempi lunghi, della sua pazienza, le cose stanno certamente così. Ma sul piano della “storia vissuta” qualche differenza esiste. Gentile fu certamente “sconfitto”, ma una volta sola, e, per lui, definitiva. Croce invece fu “sconfitto” due volte, e ambedue le volte visse la sua sconfitta: la prima volta nel 1924 con la vittoria del fascismo (da cui nacquero alcuni saggi di altissimo valore morale, come ad esempio, L’ombra del mistero o lo stupendo Principio, ideale, teoria: a proposito della teoria filosofica della libertà); la seconda nel 1945, quando non una società e una cultura liberali, ma quel marxismo di cui aveva raccontato nel 1937 la vita e la morte, ricomparve in forze a minacciare la libertà appena riconquistata (e di questo momento doloroso sono espressione saggi come La fine della civiltà, L’anticristo che è in noi, Il peccato originale, dove l’amarezza provocata dalla nuova sconfitta traspare da ogni riga, in ogni parola). Forse proprio il suo destino di “vinto”, accompagnato da CONFERENZA Otto Pöggeler CONFERENZA Dell’opera critica e di pensiero di Otto Pöggeler colpisce in particolare la molteplicità di contributi ad alto livello in due campi così diversi come sono quelli che riguardano la filosofia di Hegel e Heidegger. Poiché a Heidegger e all’ermeneutica arriveremo tra breve, dato che questo è il tema appunto della conferenza che ascolteremo, grazie all’opera organizzativa del Goethe Institut e dell’Università degli Studi di Milano, vorrei aprire questo incontro accennando brevemente a qualche aspetto del Pöggeler studioso di Hegel, e anzitutto direttore dello Hegel Archiv di Bochum, da cui provengono i volumi dell’edizione critica di Hegel, che oramai sono diventati fondamentali per la ricerca. Nel 1955 Pöggeler esordiva con un libro intitolato: Hegel und die Kritik der Romantik (Hegel e la critica del romanticismo), in cui venivano ricostruite, con grande ricchezza di documentazione, tutte le figure romantiche toccate direttamente o indirettamente da Hegel. É un peccato che questo libro non sia stato più ristampato e non sia tradotto in italiano, perché è una fonte di lavoro preziosissima. Disponibile è invece un’altro testo fondamentale dell’opera critico-interpretativa di Pöggeler, L’idea di una fenomenologia dello spirito, tradotto a Napoli da Guida. Al topos degli studi hegeliani di contrapporre il metodo al sistema, Pöggeler oppone qui la concezione della fenomenologia come un’idea: un’idea che è un qualcosa di molto diverso sia da un metodo, che da un sistema; qualcosa che Pöggeler nelle opere successive chiamerà un “cammino”. Un’interpretazione questa molto interessante, perché mostra come ad un certo punto la filosofia di Hegel prenda una struttura fortemente teleologica, che spiega anche il distacco delle opere sistematiche dalla fenomenologia. Tra gli studi più recenti di Pöggeler bisogna poi menzionare un altro libro bellissimo, che si legge con molto piacere, Il problema dell’arte da Hegel a Heidegger, del 1984. Il filo che lega questa trattazione da Hegel a Heidegger in realtà non porta tanto a Heidegger quanto a Celan, che è uno degli altri pezzi forti degli studi e degli interessi di Pöggeler: Paul Celan come “possibilità di una poesia” dopo Auschwitz. Per quanto riguarda Heidegger, fin dal 1963 abbiamo di Pöggeler un libro che è rimasto fondamentale, Der Denkweg Martin Heideggers (Il cammino di pensiero di Martin Heidegger), proprio in questi giorni pubblicato in italiano dal- l’editore Guida di Napoli. Questo libro è tra l’altro molto importante, poiché reca in appendice alla terza edizione anche una sorta di autobiografia filosofica di Pöggeler. Su Heidegger e la politica Pöggeler scriveva già nel 1972, quando ancora il tema non era approdato sulle pagine dei giornali e non aveva quella risonanza pubblicistica che ha oggi; anche qui Pöggeler mostra una estrema misura, poiché non scagiona Heidegger, scavando un solco fra la sua filosofia e la sua attività politica, ma neanche demonizza l’una in nome dell’altra. Per Pöggeler bisogna piuttosto cercare di capire come e perché la filosofia di Heidegger abbia in qualche modo reso impossibile una comprensione del problema. Preziosissimo è poi lo studio: Heudegger und die hermeneutishe Philosophie (Heidegger e la fi- ler mette in luce, a mio parere, quale è la funzione di Hölderlin dopo Kierkegaard e Nietzsche. É un punto estremamente importante questo, e i Beiträge sono l’opera che giustifica tutto questo. Con un gioco di parole sarei tentato di dire, a questo proposito, che Hölderlin è per Heidegger ciò che Celan è per Pöggeler. Si tratta cioè di poeti che hanno saputo impostare il problema della poesia nella sua funzione di rinnovamento non solo della filosofia, ma della vita intera dell’uomo. É chiaro che in questo senso, e non in un senso puramente estetico, l’opera di Celan occupa una parte cospicua nel lavoro di Pöggeler, basti solo citare Spur des Wortes (La traccia della parola), un libro dove il discorso abbraccia Derrida e il postmoderno americano. Qui Pöggeler si chiede: perché, in fondo, Heidegger e Celan non potevano capirsi? Perché Heidegger pensa a partire da Eraclito e dalla tragedia greca, Celan dai poeti della rivoluzione russa e della mistica ebraica. Heidegger si illude, si fa prendere dalla nostalgia per un qualcosa di originario come la celebre “quadratura” di cielo e terra, divini e mortali, Celan invece non cade in questi cammini seducenti, ma che poi non portano comunque a soluzione. Questo continuo contrappunto tra l’opera di Heidegger e l’opera di Celan rispecchia il fatto che l’estetica, per quanto sia saldamente costituita con un suo statuto disciplinare, ha un peso, nel mondo contemporaneo, che va ben oltre questo statuto: poche altre volte, nei secoli, l’arte ha avuto una tale funzione veritativa, positiva o negativa, deformante che sia, una funzione filosofica come certo Hegel non pensava più che potesse avere. Prima di lasciare la parola a Otto Pöggeler, vorrei accennare, per concludere, ad un autore che purtroppo in Italia non è conosciuto, ma che è stato il mestro di Pöggeler, e cioè Oskar Becker. Becker fu un matematico di grande vaglia; fu il matematico su cui Husserl aveva riposto le speranze di uno sviluppo della fenomenologia verso la matematica. Ebbene, Oskar Becker teorizza, contro Heidegger, la necessità che accanto al Dasein si contempli il Dawesen: Dasein e Dawesen sono come uno spettro, attraverso il quale un medesimo raggio di luce si riflette, pur restando in realtà il medesimo raggio di luce; solo che quel raggio di luce ha tutte e due le componenti. Ma allora, se c’è questa paraontologia, non si potrà più dire che il sapere matematico è derivato, che è una restrizione regiona- Ermeneutica del mondo tecnico di Otto Pöggeler con una presentazione di Valerio Verra a cura di Massimo Mezzanzanica losofia ermeneutica) del 1983, anche perché apre la strada a quello che sarà il tema di questa conferenza. In ultima analisi, i due cammini che secondo Pöggeler Heidegger non ha saputo percorrere sono proprio il cammino della politica e il cammino dei fondamenti della matematica e dei fondamenti della fisica, e a questo proposito Pöggeler ci porrà senza dubbio delle questioni interessanti sul rapporto fra Heidegger e Heisenberg. É apparso di recente un nuovissimo libro di Pöggeler, Neuewege mit Heidegger (Nuovi cammini con Heidegger): Wege non Werke; l’opera di Heidegger non è costituita da opere concluse, ma da “cammini”, alcuni ricchi di sviluppi, alcuni che si sono interrotti, alcuni che si sono per così dire avvitati su se stessi e alcuni che ci sfidano a vedere se si possono ancora proseguire. Ebbene in questo libro, ma anche in un bel saggio che si trova nella raccolta Destruktion und Augenblick (Distruzione e attimo), Pögge- CONFERENZA le di un sapere interpretativo. La possibilità di un confronto sullo stesso piano tra sapere ermeneutico e sapere scientifico, alla luce del pensiero di Heidegger, è appunto ciò che ci propone Pöggeler nella sua conferenza. 1. Nessuno dubiterà del fatto che il nostro mondo attuale, con le sue occasioni favorevoli e con i suoi rischi, porta l’impronta della tecnica. Poichè in tutto il mondo si parla di una filosofia “ermeneutica”, si pone la domanda se tale ermeneutica sia in grado di intendere, cioè di comprendere e interpretare, ciò che nel nostro mondo è la tecnica con le sue possibilità e i suoi limiti. Non proviene la tendenza ermeneutica prevalentemente dalle tradizioni di lingua tedesca? L’antica ars interpretandi è fissata in un termine tecnico che deriva dalla lingua greca. Il titolo di una disciplina ausiliaria della teologia e della giurisprudenza può offrire la denominazione per la riflessione filosofica, in un paese che, per via della divisione confessionale e di una formazione dello stato avvenuta in ritardo, era vincolato a questioni religiose e al desiderio di un’unità culturale. Anche le questioni metafisiche vengono oggi mantenute, ma consegnate alla rettifica della costante riproblematizzazione o addirittura alla relativizzazione. Da vent’anni a questa parte la parola “ermeneutica” appare anche in America come una parola magico-filosofica. Non bisogna forse chiedersi a questo proposito se gli Stati Uniti d’America, in una crisi della loro comprensione di sé, non soggiacevano allo spirito di coloro che furono da essi vinti in una crociata politica? Allan Bloom parla, nel suo libro: The Closing of the American Mind, di un chiudere gli occhi che si abbandona a ottusi pregiudizi: con Nietzsche l’arte viene posta al di sopra della verità; con Max Weber la propria tradizione costituzionale e la propria economia vengono relativizzate alla stregua di pregiudizi religiosi; Freud e Heidegger aiutano l’irrazionale nella sua irruzione. Ad ogni movimento contrastante con la propria tradizione pragmatica e analitica viene dato il titolo di “ermeneutica”. In questo modo viene presentata da Stanley Rosen, nel suo libro Hermeneutics as Politics, la critica francese del logos di Derrida e Foucault. Ciò che sorprende è il fatto che la tradizione pragmatistica e analitica ha spontaneamente tramandato se stessa nel modo di un autoscioglimento nelle tendenze ermeneutiche. Nel 1979 Richard Rorty, nel suo libro Philosophy and the Mirror of Nature, ha aperto le tradizioni analitiche a quelle ermeneutiche. Dieci anni più tardi il suo libro Contingency, Irony and Solidarity prende le mosse dal fatto che la conoscenza si costituisce linguisticamente, che ad un certo momento il linguaggio cerca di costruire in maniera contingente una nicchia all’interno di un’evoluzione. Ha dunque il filosofo ancora un vantaggio rispetto al poeta, per il quale ne va di ciò che è nuovo ed originale? In ogni caso, le affermazioni metafisiche possono essere trattate ormai solo ironicamente. Tuttavia, di fronte alla libertà che concediamo all’ambito privato, l’ambito pubblico richiede una certa obbligatorietà e solidarietà. Qui gioco ironico e critica non sono sufficienti. Questa contrapposizione di privato e pubblico fa uso di una distinzione che si è sviluppata storicamente e che, ad esempio, sta alla base della cultura americana. Non dovrebbero anzitutto venire stabiliti diritto e limiti di una tale distinzione, soprattutto in una riflessione filosofica, prima di sottomettere ad essa le forme del filosofare? Nella scuola di Wilhelm Dilthey non si cercava solo una logica ermeneutica, ma anche di connettere filosofia e pedagogia. Wilhelm Flitner ha così assegnato alla pedagogia un carattere ermeneutico o ermeneutico-pragmatico, in quanto essa deve ricondurre a norme ciò che è individualizzato e ciò che è storico. Joachim Ritter si è ricollegato negli anni cinquanta a questa tradizione e ha sottoposto a verifica ermeneutica alcune distinzioni decisive della nostra cultura: per noi è vincolante che il mito conduca da una parte alla filosofia e dall’altra alla poesia, che, dopo l’analisi di Hegel, la società civile si emancipi dall’ambito dello stato. Le tendenze ermeneutiche, che derivano da Heidegger e che vengono sviluppate da Hans-Georg Gadamer, tendono secondo Ritter a seguire l’origine perduta e a voler rievocare la differenziazione sviluppatasi storicamente. La filosofia ermeneutica segue figure opposte del processo ermeneutico, tuttavia le tensioni nel principio ermeneutico non sono divenute feconde, ad esempio per la discussione in America. 2. Quando Edmund Husserl, durante la prima guerra mondiale, andò a Friburgo, si era separato dalla maggior parte dei suoi compagni di Gottinga: egli esigeva ora per la filosofia fenomenologica un io trascendentale in quanto istanza che assicurasse la verità e la certezza. Egli aveva però di fronte dal 1919 il suo nuovo assistente, il giovane Privatdozent Heidegger: se si vuole parlare di un “io trascendentale”, questo dovrebbe essere inteso alla stregua di un io fattuale (faktisches) e storico (historisches). L’io trascendentale, nel quale solo la costituzione dell’essere dell’ente riceve la sua garanzia ultima, risiede, in quanto possibilità, proprio in un ente determinato, nell’uomo finito e storico (geschichtlich). Così la fenomenologia trascendentale diventa una faccenda storica (geschichtlich), che spontaneamente richiede un costante rinnovamento e una costante rettifica. Per questo Heidegger può intendere la fenomenologia come ermeneutica. La teologia protestante, che a quel tempo cercava nuove vie proprio nell’esegesi, aveva più o meno abbandonato l’antica disciplina dell’ermeneutica; ma poiché Heidegger aveva studiato teologia nella facoltà cattolica, che a quel tempo seguiva zoppicando ciò che era storicamente nuovo, egli aveva potuto ancora seguire presso uno dei suoi insegnanti un corso sull’ermeneutica, ed aveva poi ritrovato questo tema in Schleiermacher e in Dilthey. Nella riduzione a metodo effettuata da Schleiermacher e Dilthey egli poteva però vedere solo un misconoscimento di ciò che l’ermeneutica era originariamente. Questo egli lo cercava nella disputa sul logos della filosofia quale era stata condotta da Aristotele con il suo maestro Platone. Allo stesso tempo, egli intendeva Aristotele, il maestro CONFERENZA dell’Occidente, a partire dalla critica con la quale Lutero si era rivolto contro la tradizione della teologia metafisica, avendo forse con ciò scoperto la situazione reale dell’uomo. Alle “cose stesse”, così come le cercava la fenomenologia, conduceva in ogni caso solo la via che passava per la storia, in cui tali “cose” venivano coperte e di nuovo messe allo scoperto, e forse in generale solo costruite. Alla fine dell’introduttivo par. 7 di Essere e tempo Heidegger illustra il logos della filosofia, e in particolare della fenomenologia, come ermeneutico. Allo stesso tempo il comprendere e la metodologia delle “scienze storiche” vengono assunti, nel loro contrasto con lo spiegare, come qualcosa di molteplicemente derivato; del comprendere e dell’interpretazione, e con ciò dell’ermeneutica, si parla proprio con riguardo all’essere, che si mostra o si “manifesta” in maniera molteplice nell’esserci come “fenomeno”. La fenomenologia in quanto ermeneutica tratta in senso ontologico-fondamentale la costituzione dell'ontologia (Ontologiebildung) in generale, e non in senso ontologico-regionale dell’uomo, che comprende se stesso anche e anzitutto in quanto storico. Che cosa può essere l’ermeneutica ai diversi livelli? in che modo il comprendere, ad un livello derivato, si distingue dallo spiegare? Tutto ciò avrebbe dovuto venire sviluppato in quella terza parte di Essere e tempo che non è mai apparsa. Le parti disponibili di Essere e tempo mostrano tuttavia chiaramente che il richiamo all’ermeneutica allontana altri modi filosofici di procedere. Il principio ermeneutico attesta se stesso attraverso l’ambito di discorso relativo al “comprendere” e all’”interpretare”. Invece che della “ragione” si tratta qui della “parola”; solo eccezionalmente viene fatto riferimento alla tradizionale distinzione tra concetto, giudizio, deduzione. La dialettica speculativa viene liquidata come un impiccio che già in Platone è foriero d’inganni. Il termine “argomentazione” compare più o meno cinque volte, ma in senso peggiorativo; di contro si parla trecentosessanta volte - anzitutto in riferimento al filosofare - di “interpretazione”, “interpretare” e “interpretativo”. Ci si appropria dell’ analitica in quanto caratterizzazione dell’ermeneutica dell’esserci, come se in tutto il mondo non si fosse sviluppato un filosofare analitico in alternativa al filosofare dialettico e al filosofare che d’allora in poi si chiamerà ermeneutico. In quanto Essere e tempo segue una tendenza ermeneutica unilaterale, della matematica si dice che essa è più limitata ma non più rigorosa della storia (Historie). E’ più limitata, in quanto prescinde dai tratti caratteristici, concreti e storici, del nostro essere-nel-mondo. Quando Heidegger, ancora nel senso delle idee neo-kantiane, presenta la fisica e la storia come scienze-modello, egli intende la fisica come l’astrazione di una “de-mondanizzazione” (Entweltlichung). La fisica spiega un processo come la caduta libera idealizzandolo e ignorando, ad esempio, l’esistenza della forza d’attrito. Così essa può iniziare un esperimento con formule matematiche e domandare se queste formule spiegano un processo, padroneggiando anche ripetizioni future, e se in tal modo “interpretano” il processo. In modo del tutto diverso si realizza il comprendere. Esso è legato alla cosa che va compresa da un relazione vitale, positiva o negativa - è legato ad esempio alle tendenze della Rivoluzione francese o all’annuncio di Gesù come il Cristo. A partire da questa relazione vitale il comprendere guadagna una anticipazione che deve poi venire corretta nell’interpretazione e precisata in una verifica costantemente rinnovata. A questo suo essere inserito nella storia (Geschichte) che si sviluppa, il comprendere non può sfuggire. HansGeorg Gadamer, in Verità e metodo, ha ricollegato le riflessioni di Heidegger con una riflessione sulle operazioni specifiche delle scienze dello spirito. L’ermeneutica torna ad essere un’ermeneutica filosofica in quanto essa sostiene che il comprendere è qualcosa di universale, e di conseguenza può vedere nello spiegare solo un fenomeno marginale derivato. In Verità e metodo (almeno nelle prime due sezioni) ci sembra di incontrare un aristotelico, che relativizza la generalità dell’idea rispetto alla situazione concreta e all’attimo. Tuttavia, più recentemente, il VII volume delle sue Opere ha mostrato che Gadamer intende se stesso come platonico. Egli insiste solo sul fatto che l’idea non può essere concepita solo a partire da modelli di tipo matematico; anche le virtù hanno ad esempio le loro idee, che possono però essere intese solo in modo aporetico. Resta la questione se tale ermeneutica non spinga tuttavia ai margini lo spiegare tramite la matematica, e la tecnica ad essa legata, e se con ciò essa sia ancora in grado di capire adeguatamente il nostro mondo che porta l’impronta della tecnica. 3. Se fenomenologia e filosofia vengono intese come ermeneutica, questa ermeneutica si trova allora al di sopra del contrasto tra spiegare e comprendere. Per Heidegger essa è un ermeneutica che indica in modo formale. Ciò che viene indicato formalmente è se vogliamo per esempio spiegare oppure comprendere. Nel lavoro filosofico un’indicazione formale deve chiarire anticipatamente in quale sfera ci muoviamo: si tratta della cattedra che mi sta di fronte, dove al fidato “che cosa” (Was) si aggiunge la realizzazione a caso in un “che” (Daß), o si tratta di un altro uomo? Se questo uomo non funziona esattamente come un impiegato dietro a uno sportello di banca, è solo nel “che” dell’attimo messo in risalto che può aprirsi il suo “che cosa” o la sua essenza (Wesen). Se si tratta del comprendere bisogna domandare ulteriormente se cerchiamo la fede o il sapere. Il sapere può indicare in modo formale che all’uomo appartiene l’apertura al senso. Tuttavia deve essere lasciata alla fede la decisione relativa al fatto che possiamo o non possiamo seguire una rivelazione. L’ermeneutica che indica in modo formale, che conduce alle suddette distinzioni, deve cogliere se stessa; resta tuttavia abbandonato il carattere autoriflessivo della storia che si muove in avanti. L’ermeneutica appartiene all’uomo fattuale (faktisch) e storico (geschichtlich), che è un ente determinato tra altri enti. Heidegger accoglie la domanda di Scheler circa la posizione dell’uomo nel cosmo, una domanda che connette antropologia e metafisica. Heidegger deve sì respingere la metafisica scheleriana della causa bipolare del mondo in quanto mera reazione contro il retaggio della metafisica; ma egli riconosce che l’ontologia fondamentale, con il suo domandare circa il perché, è legata CONFERENZA all’uomo e che con ciò le spetta una prospettiva metafisica. In che modo l’uomo deve presupporre in generale la vita per il suo esserci e lasciarsi rinviare, nel proprio mondo, alla terra inesauribile? In che modo egli si delimita, in quanto mortale, rispetto alla potenza superiore del “divino”? Nietzsche e il nietzscheanismo hanno mostrato che questo insieme di terra e mondo, di mortali e divini ha una propria storia. Il corso su Metaphysische Anfangsgründe der Logik dell’estate 1928, che si riferisce in modo così insistente all’ultima filosofia di Scheler, fissa già anche il fatto che la tecnica ha fatto irruzione come una “bestia” scatenata nella connessione di mondo e terra, mortale e divino. Tuttavia, ancora nella tarda alternativa heideggeriana tra l’impianto della tecnica e la quadratura dell’originario essere-nel-mondo, non è chiaro quale sia la logica filosofica che segue questo antagonismo. Il modo in cui, ad esempio, il Giappone ha ripreso e sviluppato la tecnica, ci pone di fronte alla domanda se la tecnica si collega a costanti dell’essere-nel-mondo o se è una tendenza storica che ha avuto origine nell’ambiente culturale europeo-mediterraneo e si è poi estesa a livello planetario. La discussione condotta da Heidegger con il fisico Werner Heisenberg nel convegno del 1953 a Monaco su “Le arti nell’epoca della tecnica”, può mostrare come tali questioni restino irrisolte nell’ermeneutica così come si è sviluppata sino ad oggi. Heidegger è d’accordo con Heisenberg circa il fatto che non possa più darsi una filosofia della natura che, come faceva quella di Aristotele, partendo dalla natura di una cosa, ne determini il luogo nella totalità del mondo. Da Galilei in poi ci si limita a spiegare e a dominare tramite una legge processi naturali singoli ed isolati. In questa spiegazione ci si serve della matematica in quanto modalità più sicura del sapere; così Max Planck può chiamare “reale” ciò che può essere misurato. La teoria dei quanti di Heisenberg può intendere la causalità ormai solo in senso statistico; l’idea di una cosa in sé, nell’ambito atomico, viene rifiutata a favore di modalità d’accesso differenziate ai corpuscoli o alle onde, tuttavia il principio di indeterminazione fa sì che i processi siano nuovamente misurabili e con ciò dominabili. In tale dominare l’uomo incontra solo se stesso. Ma ciò significa per Heidegger: egli non incontra la propria essenza, che è quella di lasciar giungere in un’apertura, in quanto esserci, l’essere dell’ente differenziato. La rappresentazione (Vorstellen) dell’ente attraverso idee è diventata, nell’impianto (Gestell) della tecnica, un disporre (Stellen) universale; tale predisporre sottomette a se stesso anche l’uomo disponente in quanto mero materiale umano. Per Heidegger non è casuale, bensì necessario, che la fisica, in quanto tecnica atomica, cada negli intrecci bellici e industriali del nostro secolo. Heidegger può attendersi solo da un’arte radicata in maniera cultuale, che mostri ciò che è salvifico e salutare per l’abitare sulla terra, quello che Aristotele cercava ancora filosoficamente: l’incontro con le cose a partire dalla loro “natura”. Heisenberg sa dalla sua esperienza che la fisica atomica deve la sua nascita anche a scopi bellici. Ciononostante essa può ritirarsi, secondo la sua concezione, nella teoria e riconoscere aspetti di ciò che ci si mostra in quanto realtà. Il conoscere è rivolto dunque a idee e strutture e deve esigere per le sue teorie semplicità e simmetria. Così Heisenberg ha affermato, in uno sguardo biografico retrospettivo, di avere avuto, nella scoperta della formula decisiva nel 1925 a Helgoland, il senso «di guardare attraverso la superficie dei fenomeni atomici ad un terreno profondo di grande bellezza interiore». Secondo la concezione platonico-neoplatonica la bellezza conduce dal sensibile alle idee e può così cogliere il cosmo come dotato di forma. Le strutture che vengono presagite restano tuttavia parziali. L’aspetto metodico della ricerca non risiede nel legame del principio cartesiano con l’hegeliano sapere di sé dell’assoluto o addirittura con la nietzscheana volontà di potenza (come sostiene Heidegger); esso conduce piuttosto ad un controllo autocritico dei limiti del cogliere. L’affermazione di Heidegger per cui secondo Heisenberg l’uomo incontrerebbe solo se stesso, travisa ciò che Heisenberg osserva circa l’inasprimento della nostra situazione attuale: il fatto che noi, ad esempio, non abbiamo più come rivali le bestie feroci. La radicalizzazione problematica di Heidegger altera solo il punto di vista che le scoperte e le tecniche moderne possano disturbare l’equilibrio dell’essere-nel-mondo e che a lunga scadenza si debba trovare una compensazione. Il giardiniere di Chuang Tse individuava già nel pozzo a carrucola, la cui natura pre-tecnica poteva solo venire lodata da Heidegger, una macchina che alla lunga induce in chi la utilizza un cuore da macchina. L’attività contadina, a cui Heidegger si richiama, è ad esempio intervenuta in maniera massiccia nella natura attraverso il dissodamento. Anche l’arte è un effetto scambievole tra l’uomo e la realtà. Ma essa oggi non può più essere radicata in modo culturale o addirittura essere l’opera di un popolo. L’uomo, che anche dalla luna guarda indietro alla terra, cerca strutture astratte, e così l’arte moderna deve inclinare a nuove astrazioni. Nella sua lettera per l’ottantesimo compleanno di Heidegger, Heisenberg formulava in fondo una tagliente risposta di rifiuto: Heidegger misconosce la tradizione della filosofia così come le operazioni specifiche della scienza e dell’arte moderna, quando vuole superare o vincere l’orientamento del pensiero verso le idee. Nelle scritture figurate della scienza della natura e dell’arte l’interpretazione della realtà in base alle idee trova una nuova intensità e profondità. Heidegger ha cercato di rispondere a questa critica al suo principio “ermeneutico”. Così mi scriveva il 29 gennaio 1960: «So molto bene che, per chiarire il pensiero altro, ho allontanato la domanda positiva circa l’idea e ho anche determinato solo negativamente ciò che è matematico... Il termine ‘im-pianto’ può essere purtroppo facilmente frainteso, come anche ‘la cura’. Se si pensa l’im-pianto positivamente come la non ancora conosciuta pre-apparenza (Vor-schein) attuale degli eventi, allora si apre una via al compito di un pensiero positivo dell’‘idea’ e della ‘natura’ a partire dall’evento. Solo che, la problematica è totalmente diversa da quella della destituzione della natura dall’assoluto in Hegel». Heidegger fa poi riferimento all’invio da parte di Heisenberg, per Natale, delle sue conferenze su Fisica e filosofia. Qui Heisenberg mostra nuovamente che nell’autunno 1926 a Copenhagen non si voleva più chiedere quale schema matematico descriva una situazione sperimentale, ma piuttosto se «nella natura si verifichino in generale solo quelle situazioni sperimentali che possono venire AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Nagel: uguaglianza e parzialità Nel suo nuovo libro, Equality and partiality (Uguaglianza e parzialità, Oxford University Press, Oxford 1991), Thomas Nagel cerca di analizzare il problema centrale della teoria politica, nell’intento di definire quali caratteristiche devono possedere le istituzioni economiche, politiche e sociali per poter essere accettate e sostenute a buon diritto dall’umanità intera. Ciò che distingue l’analisi di Nagel da quella di altri pensatori che si sono interessati a questo problema come Nozick, Rawls o Barry, non è tanto il fatto che anch’egli sia consapevole che a tutt’oggi non esiste una soluzione accettabile e a tutti nota di questo problema, quanto la sua presunzione nel credere che comunque esso possa essere risolto. Equality and partiality è il primo lavoro sistematico di Thomas Nagel, incentrato sulla filosofia politica. I suoi precedenti lavori (The possibility of altruism, 1970; Mortal questions, 1979; The view from nowhere, 1986) hanno già evidenziato come egli consideri i classici problemi metafisici riguardanti l’identità umana, la razionalità e la posizione che occupa l’esperienza soggettiva in un universo oggettivo, come questioni intimamente connesse al dibattito sui motivi che conducono l’essere umano all’aggregazione con i propri simili. Questo nuovo studio possiede tuttavia una forza che gli altri suoi lavori non hanno, in quanto Nagel riesce qui ad avvicinarsi più di altri interpreti al vero nodo fondamentale della teoria politica. In Equality and partiality egli riesce infatti a combinare un risoluto realismo psicologico con un rispetto profondo per quella concezione secondo cui la realtà delle persone che ci circonda non è da ricercare esternamente, ma internamente a ciascun individuo. Nessun altro filosofo contemporaneo ha proposto una tale interpretazione del problema. Come Platone, Nagel ritiene che i problemi politici devono essere risolti all’interno dell’anima individuale, se li si vuole risolvere completamente. Quest’impostazione del problema riguarda sostanzialmente la relazione di un individuo con se stesso e con gli altri. Per Nagel si tratta della relazione tra due punti di vista differenti, ma coesistenti in ogni essere umano non patologico. Uno decisamente personale, e l’altro più impersonale. La concezione dominante nella moderna filosofia politica liberale coincide con la piena accettazione dell’esistenza e della legittimazione del punto di vista pienamente personale, e nel collocare le affermazioni di impersonalità decisamente al di fuori dell’individuo agente, affermando che solo l’oggettività esterna a ciascuno di noi è necessaria e sufficiente per far sì che vengano accettate, sia da un punto di vista morale che politico, posizioni che altrimenti rischierebbero di non essere prese in considerazione da nessuno. L’intuizione di Nagel risiede invece proprio nell’aver individuato, almeno in parte, questa inefficacia politica nella mancanza di considerazione nei confronti della morale personale che si trova all’interno del punto di vista della morale impersonale, e nella riluttanza a indirizzare le affermazioni morali direttamente al cittadino, le cui scelte politiche determinano propriamente l’ordine e la distribuzione degli eventi esistenziali all’interno di una democrazia. La soluzione del problema della legittimità politica è esposta, per Nagel, a due enormi problemi: uno pratico, l’altro teorico. Il primo riguarda l’opacità e l’instabilità della relazione tra affermazioni impersonali e personali di un essere umano. Il secondo riguarda l’evidente impossibilità di fornire un riordinamento del mondo economico attraverso una giustificazione impersonale, ma accettabile personalmente. Ciò che è interessante negli argomenti che Nagel usa per analizzare il primo punto è il suo tentativo di risolvere il problema dell’armonia psichica personale parallelamente a quello di designare legittime istituzioni sociali, politiche ed economiche, e di rifiutare contemporaneamente di imporre un ordine esterno al sistema: un progetto platonico, fondato però su di una epistemologia scettica e radicato in un mondo altrettanto scettico. Nagel stesso non riesce ad immaginarsi la soluzione di un tale problema, né ha la presunzione di poterla proporre, anche se insiste sul fatto che il suo approccio è l’unico coerente e adeguato, pur andando incontro palesemente a due limitazioni. La prima si può far risalire all’influsso kantiano ed è dovuta al fatto che Nagel si affida eccessivamente alla razionalità degli argomenti che propone, e che in se stessi dovrebbero garantire ed essere sufficienti per sostenere la forza psichica dell’impersonale: egli non si accorge che un tale progetto di tipo platonico non può appoggiarsi solo ad una concezione teorica. La seconda limitazione deriva dalla sua considerazione della povertà come «accadere della sfortuna», che non mette in evidenza, né tantomeno spiega, i processi causali che stanno alla base di questo fenomeno e da cui dipendono virtualmente le modalità di vita di ciascun essere umano. Nagel riesce comunque a fornire una illuminante spiegazione del perché l’ineguaglianza economica sia stata così poco intaccata dalla moderna fioritura della filosofia politica liberale. Fino a quando non si riuscirà a immaginare come il mondo economico possa servire i bisogni umani in maniera meno parziale, ogni approccio al problema della legittimità politica potrà fare a meno di accettare, implicitamente o esplicitamente, l’ipotesi che la formulazione e la ricerca di un modus vivendi valido per tutti gli esseri umani va oltre la nostra possibilità di fornire per esso una giustificazione imparziale. Di questo Nagel sembra essere ben consapevole. V.R. Saggezza e follia Un testo breve, 128 pagine in uno stile limpido, conciso, senza note critiche. Non sembra che ve ne sia bisogno in questo insolito “pamphlet” di Clément Rosset: Principes de Sagesse et de Folie (Principi di Saggezza e di Follia, Minuit, Parigi 1992), che si presenta nello stesso tempo come una rigorosa riflessione ispirata a Parmenide, che nei Frammenti pone la verità ontologica secondo cui è necessario che l’Essere sia e il Non Essere non sia, «e di conseguenza è necessario anche pensare e affermare questo». Tautologia originaria, questa, con la quale si è misurata l’intera filosofia occidentale AUTORI E IDEE a partire da Platone, che compie il cosiddetto “parricidio” nei confronti di Parmenide e impone una metafisica per eccellenza antirealistica. Questa imponente tradizione, animata secondo Clément Rosset da una volontà di non sapere e di esorcizzare la realtà fisica, sarebbe caratterizzata da due parallele strategie intellettuali, che sono altrettante maniere di «tergiversare con la verità di Parmenide». La prima sostituisce alla presenza della realtà un altrove, uno spostamento che fa sì che «l’Essere è, ma anche il Non Essere è»; la seconda è la strategia dello sdoppiamento, che proclama che «l’Essere certamente è, ma è doppio. Possiede una plasticità tale che, essendo l’Essere che è, può altrettanto bene essere completamente diverso». L’autore gratifica coi titoli di “follia” e di “mascalzonaggine intellettuale” queste costruzioni ontologiche, che stanno alla base dell’architettura culturale della nostra tradizione. È invece con gli strumenti di una conoscenza che vede nella “realtà vera” di ciò che esiste un motivo di piacere e non di rifiuto, che Rosset procede nella “gaia scienza” di smascherare i devoti del Non Essere e i cultori dell’illusione. Se esiste un problema filosofico, sostiene Rosset, questo problema è quello della realtà; per reggere l’evidenza della verità parmenidea non c’è bisogno di dimostrazioni, né di strutture ontologiche, ma di analizzare le esperienze del reale a partire dalla «percezione affettiva» dell’esistenza. Questa può esprimersi attraverso sentimenti di esultanza, di sorpresa o di nausea, esperienze esistenziali che si situano tutte nel punto d’incontro tra la realtà e il sensibile umano. È perciò tra i non filosofi, tra gli scrittori che Rosset va a cercare le testimonianze di questo sentire: «Tra tutti gli scrittori noti, Aristofane è tra quelli che meglio sono riusciti a evocare questo giubileo, che consiste nel sentirsi esistere, nel sentire esistere le cose attorno a sé, e che dunque costituisce una sorta di pura degustazione dell’esistenza». Nella varia casistica delle esperienze affettive del reale, le pagine meglio riuscite del libro di Rosset sono dedicate all’allegria. Sentimento spesso immotivato, o immotivabile, che resta tuttavia indifferente alla refutazione, l’allegria coltiva rapporti ironici, ma amichevoli con il pensiero razionale; in essa, afferma Rosset, «tutto resta pensato e tutto cessa di pensare». Questa leggerezza vitale che si fa beffe di ogni seriosità, e che, pur essendo “totalizzante” s’impone per contagio e non per costrizione, appare tanto nella forma quanto nel contenuto dell’opera di Rosset come lievito di una filosofia che vuole essere innanzittutto arte di vivere. E.N. Una presenza incorporea Tre sono gli argomenti con cui i dualisti affrontano il rapporto mente-corpo umano: 1) o la mente è materiale, o è immateriale; 2) la mente non è materiale; perciò 3) la mente è immateriale. Dimostrare la seconda di queste premesse è lo scopo principale dei dualisti, anche se la prima premessa non può certo reggersi senza un supporto argomentativo. Lo studio di John Foster, The immaterial self: a defence of the cartesian dualist conception of the mind (Il sé immateriale: una difesa della concezione cartesiana dualistica della mente, Routledge, London 1991), cerca appunto di dimostrare la coerenza dell’affermazione secondo cui la mente è immateriale. Sono possibili due strategie per mostrare che la concezione materialistica della mente è errata; una si fonda sul fatto che per ogni descrizione materialista i dualisti possono fornire obiezioni non facilmente confutabili; l’altra si propone di dividere le teorie materialiste in tipi logici, confutando ciascun tipo separatamente. Unendo queste due strategie, John Foster ci pone di fronte ad un’utile discussione sulle versioni correnti di materialismo. La sua argomentazione si basa sull’opinione secondo cui non è sufficiente mostrare i vari problemi che incontrano le “attuali” argomentazioni materialistiche, poiché se si vuole affermare positivamente il dualismo, si devono considerare tutte le “possibili” teorie materialistiche, fornendo argomenti generali contro di esse. Con questo obiettivo, Foster distingue tra coloro che affermano la non esistenza della mente e coloro che identificano la mente con il cervello. I primi sostengono che ogni cosa è materia, che la scienza arriverà in futuro a scoprire che la mente non esiste e che i fenomeni che ora vengono descritti come mentali sono in realtà determinati solo da una complessa attività neurale. A questi Foster obietta che non esiste un modo per regolamentare il procedere scientifico e arrivare a scoprire che l’odierna concezione della mente è errata. Coloro che invece identificano la mente con il cervello vengono raggruppati da Foster in ulteriori sotto-categorie, cui egli contrappone argomenti differenti, che comunque sottolineano tutti il carattere esperienziale degli stati mentali, in opposizione al materialismo che considera questi stati costituiti solo da stati cerebrali, senza peraltro chiarire la relazione tra ciò che è costituito e ciò che si costituisce, come ad esempio nella complessa attività neurale che costituisce l’esperienza del vedere il colore rosso. Anche se attualmente nessuna teoria materialistica può spiegare un simile passaggio, Foster ammette tuttavia che l’incertezza circa il corso futuro della scienza impedisce ai dualisti di rigettare fermamente il materialismo. V.R. La mano e lo sprone Non diminuisce l’interesse per l’opera di Jacques Derrida, di cui sono stati recentemente tradotti alcuni studi su Heidegger, raccolti in La mano di Heidegger (a cura di Maurizio Ferraris, traduzione di Giovanni Scibilia e Gaetano Chiurazzi, Laterza, Roma-Bari 1991) e il testo dell’intervento a un convegno su Nietzsche, Sproni. Gli stili di Nietzsche (a cura e con un saggio di Stefano Agosti, traduzione di Giovanni Cacciavillani, Adelphi, Milano 1991). Esercizio decostruttivo di un aforisma nietzscheano sulla donna e sulla verità, Sproni è un esempio del procedere dell’indagine di Jacques Derrida, anzi del suo stile, che, come dice lo stesso pensatore francese, sta alla scrittura come l’uomo sta alla donna. Proprio la differenza di sesso (Geschlecht, che è anche l’oggetto di uno dei saggi compresi in La mano di Heidegger) è uno dei grandi “rimossi”, a parere di Derrida, della storia della filosofia. Storia della filosofia che è storia delle verità, e, come tale, storia di un errore: l’errore di non saper essere, nel senso di non saper tenere ferma quella differenza e la distanza che ne consegue, che è il luogo d’origine della trascendenza all’interno della quale si colloca anche il problema del senso o della verità dell’essere. Ed ecco allora anche la resa dei conti con Heidegger: la “questione dell’essere” non è capace, cioè non è sufficientemente “capiente”, nei confronti del problema della verità, in quanto si trova in esso inscritta. Il quesito ontologico non è all’altezza del problema della differenza sessuale, e della dinamica di “propriazione” che ne scaturisce, in quanto presuppone l’una e l’altra, si pone al loro interno. I tre saggi brevi raccolti in La mano di Heidegger riprendono la posizione di Derrida nei confronti dell’idea heideggeriana di oltrepassamento della metafisica. Idea che per Derrida è la quintessenza della metafisica, così come lo è il porre la questione dell’essere e quella dell’autenticità. Dietro queste idee il pensatore francese, ben più che un residuo di antropocentrismo, intravede una vera e propria posizione esistenzialista. Come si connette qui questo discorso con quello sulla “mano di Heidegger”? In Heidegger proprio la mano definisce in modo decisivo il rapporto tra la condizione della Zuhandenheit (essere a portata di mano) e quella della Vorhandenheit (essere presente). Nella prima condizione si fa chiaro che ogni oggetto è “segno”, e nel proprio carattere di strumento rimanda a un altro da sé. Nella seconda l’oggetto è invece un “dato”, nella sua “semplice-presenza”. Ecco dunque, dice Derrida, in che senso il pensiero di Heidegger è un “pensiero della mano”; di qui il predominio che acquisisce AUTORI E IDEE in Heidegger la scrittura, operazione propriamente umana, attraverso cui sola può porsi la questione dell’essere come Anwesen, come non presenza, e della “differenza ontologica”. Un motivo, questo, che si accompagna a quello pure heideggeriano della voce, dell’essere, cioè del logocentrismo. La “mano” di Heidegger, la mano come organo della differenza fra l’uomo e l’animale, fra il Dasein e gli altri enti, non vale più però come la concreta normalità della prassi sensibile: non ci sono le “mani” che afferrano, colpiscono, accarezzano, ma “la” mano, incarnazione del logos che vive e si manifesta in una struttura “originaria”, quella scrittura che sa oltrepassare la “lettera morta”, contro cui già Platone si scagliava - fa osservare Maurizio Ferraris nel saggio introduttivo - per andare allo “spirito vivente” che palpita in essa. Il mito dell’oltrepassamento, dell’autenticità, quello dello “stare vicino” alla dimensione dell’origine e “essere per la morte” fanno dunque di Heidegger, secondo Derrida, ancora un metafisico e un umanista. Per il filosofo francese occorre però considerare, accanto alla “mano di Heidegger”, anche l’”orecchio di Heidegger”, cui è dedicato l’ultimo dei tre saggi raccolti in questo volume. È il tema dell’ascolto della voce, cioè dell’apertura all’altro, che fa passare la riflessione heideggeriana dalla tonalità solipsistica dell’esistenza nell’“essere per la morte” a una prospettiva dialogica; una prospettiva quest’ultima, per Derrida, più autenticamente ermeneutica, poiché implica un riconoscimento della differenza in quanto “prendersi cura” della differenza. F.C. Ricordo di Alberto Caracciolo Esempio di vita e maestro di pensiero: con queste parole Giovanni Moretto ci presenta Alberto Caracciolo nella biografia filosofica a lui dedicata, Filosofia umana. Itinerario di Alberto Caracciolo (Morcelliana, Brescia 1992). Dedicato alla figura e all’opera di Caracciolo è anche il quaderno monografico della rivista “Humanitas”, dal titolo: Filosofia-Religione-Poesia. In ricordo di Alberto Caracciolo, a cura di Domenico Venturelli, con interventi, oltre che di Venturelli e Moretto, di Xavier Tillette, Pietro Prini, Roberto Celada Ballanti, Sergio Givone, Roberto Garaventa, Franco Camera. I tre volumi sono stati presentati il 27 aprile 1992, in una giornata di studio dal titolo: Filosofia umana, organizzata dal Dipartimento di filosofia dell’Università degli Studi di Genova, a cui hanno partecipato, fra gli altri, Lorenzo Arruga, Cesare Galimberti, Gianni Vattimo, Carlo Sini. Perché definire “umana” la filosofia di Alberto Caracciolo? Secondo Giovanni Moretto, che da allievo considera Caracciolo maestro di filosofia in quanto maestro di vita, perché l’uomo era il vero centro d’interesse della filosofia di Caracciolo. Significativo per Moretto è l’accento che questi poneva sulla sua identità di insegnante, prima ancora che su quella di ricercatore. Fin dagli anni giovanili, che Moretto giudica decisivi riguardo al nucleo centrale dell’elaborazione filosofica di Caracciolo, per il filosofo veronese la conoscenza delle tematiche filosofiche era finalizzata alla loro trasmissione, e l’ideale della “filosofia” era quello della formazione di una personalità morale: il filosofo doveva anzitutto essere uomo retto, e il suo fine è la «formazione di uomini retti». Nella ricostruzione di Moretto, la “traduzione” filosofica di questo assunto consiste nell’affermazione di Caracciolo della natura metafisica della conoscenza: la metafisica non è una parte della conoscenza, ma il suo carattere costitutivo, al quale va aggiunto quello teleologico. Qui il riferimento è Kant e vale come affermazione della natura etica del filosofare, mediata attraverso quella della sua natura metafisica. Alla luce di questa natura etica della ricerca filosofica, il giudizio teleologico nasce a seguito del riconoscimento dell’insufficienza autofondativa del sapere scientifico, cioè del sapere teoretico delineato nella Critica della ragion pura. La dignità tutta particolare che Caracciolo riconosce all’uomo, la sua specificità, fanno sì che di esso venga rifiutata la riduzione a “oggetto”; viene così esclusa in linea di principio la possibilità che l’uomo, alla stregua degli altri enti, possa essere considerato oggetto di una scienza particolare, l’antropologia. Per questa stessa via viene anche escluso che la centralità dell’uomo all’interno del complesso degli enti intramondani possa essere interpretata, in senso antropocentrico, come primato dell’uomo rispetto a enti che si pongono sul suo stesso piano. Quella che Caracciolo rifiuta è, insomma, una “riduzione” della centralità dell’uomo a puro antropocentrismo. Muovendo da questi presupposti, l’itinerario di pensiero di Caracciolo non poteva non incontrarsi con la riflessione di Martin Heidegger, la cui ricezione, sottolinea Roberto Garaventa, viene mediata in Caracciolo dalla meditazione sul Nulla leopardiano e avviene sulla base di precise esigenze personali e filosofiche di Caracciolo, derivanti dalla sua formazione cristiana e liberale, e peraltro estranee, nella loro essenza, al filosofo tedesco. Dal punto di vista filosofico Pietro Prini rileva come queste esigenze si siano espresse nel differenziarsi del “Nulla religioso”, tematizzato da Caracciolo, dal nulla come “assenza di senso” di ascendenza nietzscheana e, poi, heideggeriana. L’esperienza religiosa è, senza dubbio, il movente decisivo della ricerca di Caracciolo; e la “sostanza religiosa della libertà” è l’elemento centrale del rapporto con quello che Moretto ribadisce essere, oltre a Karl Jaspers, l’altro autore determinante nella formazione filosofica del filosofo veronese, Benedetto Croce. Proprio questi due filosofi incarnerebbero, secondo Xavier Tillette, i due aspetti complementari della personalità intellettuale di Caracciolo, la critica filosofica e la coscienza del fondo tragico dell’esistenza. Nella polemica antimetafisica, condotta da Croce con gli strumenti dello storicismo assoluto, mancano, secondo Caracciolo, «gli elementi primi e fondamentali per fondare filosoficamente la libertà»; essa emerge dal nulla «nel naufragio di tutte le costruzioni ed oggettive istituzioni» e si caratterizza come “religiosa”. “Libertà del singolo” in senso kierkegaardiano, dunque; quel singolo essere umano, osserva Roberto Celada Ballanti, che nella sua irriducibilità alle investigazioni di qualsivoglia sistema filosofico si comprende in senso primario nell’Augenblick, nella dimensione del rapporto non concettualizzabile con il trascendente e definisce la sua essenza -la libertà, appunto - in modo affatto differente da quella del sistema stoico, come anche da quella del sistema crociano, attualistico o hegeliano. Di fatto è il rapporto tra verità e poesia, la “verità nel dominio del poetico”, come recita il titolo di un’opera di Caracciolo, che riassume, secondo Sergio Givone, l’itinerario che conduce Caracciolo da Croce a Heidegger: dove la bellezza rappresenta non solo l’esorcismo della verità, il velo di Maia che copre il fondo tragico dell’esistenza, ma la dimensione in cui questa verità traluce in modo originario. Profondamente umana è dunque in Caracciolo la cognizione, metafisica e religiosa, della finitezza e della trascendenza. Prendendo spunto dalla connessione tra nichilismo, religione ed eticità, Franco Venturelli fa notare come in Caracciolo la dimensione religiosa non si esaurisca sul piano della vita etica; connaturata alla prima è, infatti, l’esperienza di una Realtà, il Bene, percepita come “assoluta positività”, e ciò la differenzia dalla nozione di “sacro”, puro spazio trascendentale aperto alla ricezione di Dio (o degli dei). F.C. Alberto Caracciolo è scomparso il 4 ottobre 1990 a Genova. La sua morte improvvisa, che poneva il suo sigillo su un’opera del pensiero di altissima qualità, concludeva l’esistenza di un filosofo che come pochi ha vissuto la sostanza platonica del filosofare come “cura della morte”. Quasi presentendone l’arrivo, Caracciolo, che fino all’ultimo ha goduto di un’invidiabile freschezza di pensiero, di cui con la generosità di sempre rendeva partecipi amici e scolari, negli ultimi anni si era affrettato a pubblicare in rapida successione i suoi scritti più recenti, così che di inedito è rimasto soltanto un breve saggio, pure esso del resto rifinito e pronto per la stampa. A riguardarla nella sua integralità, sull’orizzonte di una morte che le è stata davvero francescanamente “sorella”, in quanto le ha conferito un profilo di autentica compiutezza, l’opera filosofica di Alberto Caracciolo ci si presenta come AUTORI E IDEE un’opera che non può essere definita altrimenti che come “bella”. La critica che si è troppo poco confrontata con gli interrogativi, in verità spesso scomodi, sollevati da questo pensatore schivo, quasi umbratile, tutto dedito alle fatiche del pensiero e pago soltanto delle intime gioie riservate a un magistero “da anima ad anima”, si è però accorta della rara bellezza della sua opera. Non a caso infatti, nelle recensioni di questo o quel saggio caraccioliano, s’incontra la definizione “bellissimo” o addirittura “stupendo”. È ovvio che una simile caratterizzazione non intende caricarsi di nessuna accezione estetizzante, ché troppo severo e meditato era il concetto di arte-poiesis che Caracciolo ha divulgato dalla sua prima cattedra genovese di estetica e dai suoi numerosi e notevoli saggi dedicati a questa disciplina filosofica (Scritti di estetica del 1949; Arte e pensiero nelle loro istanze metafisiche del 1953; Arte e linguaggio del 1970, fino all’ammiratissimo La verità nel dominio del poetico del 1986). L’opera di Caracciolo è bella perché, come un’opera d’arte, è l’espressione plasticamente viva di un pensiero dominato da una segreta ispirata intenzionalità, che, fattasi prodigiosamente chiara fin dai suoi primissimi esordi gli è venuta sempre più conferendo un carattere di inconfondibile sinfonicità - come s’addice all’opera di un pensatore di razza, che per essere tale è votato a pensare, con infinite e sempre nuove variazioni, un unico e medesimo grande pensiero, a somiglianza del sole della dossografia eraclitea che, pur nella sua immutabile identità, ogni giorno celebra il miracolo di un’inesausta novità. Ad assicurare a una tale opera questo suo carattere di bellezza hanno provveduto un linguaggio sempre memore dei domini del poetico e del musicale e un pensiero che, in quanto respirante nello spazio della pensosità interrogante, da nulla era alieno come dai dogmatismi e dai tesseramenti ideologici delle idee. Sì, Caracciolo aveva ben motivo di renderci questa testimonianza al termine del suo cammino nel pensiero: «Una cosa chi scrive sa come certa, per quanto natura l’ha portato a sentire e critica riflessione a pensare: di non essersi mai potuto riconoscere e di non essere disposto a riconoscersi sotto un ismo, comunque esso suoni». In effetti, neppure l’ismo di esistenzialismo, che pure per tante ragioni potrebbe sembrare il più idoneo, è in grado di denotare compiutamente quel cammino, i cui evidenti tratti esistenziali, più che all’influenza dei dioscuri della filosofia dell’esistenza, Jaspers e Heidegger, incontrati soltanto nel corso degli anni Cinquanta e fatti peraltro oggetto di indagini fondamentali (Studi jaspersiani del 1958 e Studi heideggeriani del 1989), devono essere fatti risalire a personalissime esperienze della giovinezza, in primis all’incontro con l’opera di Benedetto Croce, studiata criticamente soprattutto al fine di fare chiarezza dentro il magma vivente del proprio pensiero. In questo senso si può dire che il libro crociano del 1948 (L’estetica di B. Croce nel suo svolgimento e nei suoi limiti) era destinato a diventare, con le successive edizioni del 1958 e del 1988 (l’anno del congedo dall’insegnamento universitario) e con il nuovo titolo sintomatico: L’estetica e la religione di B. Croce, il Lebenswerk di Caracciolo. Con il pensiero crociano Caracciolo, che era nato a S.Pietro di Morubbio il 22 gennaio 1918, si era incontrato fin dai tempi del liceo “Scipione Maffei” di Verona, traendone energie liberatrici atte a fronteggiare il clima diseducativo dell’imperante fascismo. È per più versi significativo che la bibliografia caraccioliana si apra con tre titoli di carattere etico-politico: Il fascismo. La radice del suo errore e l’intima necessità del suo disfacimento (del 1944, come terzo dei quaderni de “Il ribelle”), la biografia di Teresio Olivelli, martire della resistenza e già compagno di Caracciolo al Collegio universitario Ghislieri di Pavia, del 1947 e, in questo stesso anno, la raccolta, proposta da Caracciolo, di una serie di Autobiografie di giovani del tempo fascista. Qui, in questi scritti dominati da un’altissima passione civile, vanno ricercate le radici più vere del successivo pensiero e dell’intero magistero di Alberto Caracciolo. Le stazioni di questo magistero, dopo gli studi universitari a Pavia, conclusi nel 1940 con una tesi sull’estetica del Settecento, lo porteranno a insegnare materie letterarie nei licei di Pavia, Lodi, Brescia e Genova. In quest’ultima città, nel 1951, dopo la libera docenza in estetica, Caracciolo assumerà per incarico l’insegnamento di questa materia nella facoltà di Lettere e Filosofia. Nel 1962, come professore straordinario, passava sulla cattedra di filosofia della religione, che nel 1968 lasciava per succedere a M. F. Sciacca sulla cattedra di filosofia teoretica. Filosofia, estetica e religione: nei titoli delle tre cattedre ricoperte da Caracciolo nei trentasettte anni d’insegnamento universitario si raccolgono anche gli interessi centrali che ne hanno guidato l’originale ricerca scientifica, confluita in una serie di volumi, che qui possiamo soltanto elencare: Etica e trascendenza (1950); La persona e il tempo (1955); La religione come struttura e come modo autonomo della coscienza (1965); Religione ed eticità (1971); Karl Löwith (1974); Pensiero contemporaneo e nichilismo (1976); Nichilismo ed etica (1983); Nulla religioso e imperativo dell’eterno. Studi di etica e di poetica (1990). Dell’operosità scientifica di Caracciolo restano prezioso documento anche le finissime traduzioni dal tedesco di testi di E. Tröltsch (L’assolutezza del cristianesimo, 1968), M. Heidegger (In cammino verso il linguaggio, 1973) e W. F. Otto (Theophania, 1983), oltre all’organizzazione di importanti seminari, come quello in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova su Problemi del linguaggio teatrale (197273) e quello in collaborazione con il Teatro Comunale dell’Opera di Genova su Musica e filosofia (1971-72). Come organizzatore di cultura Caracciolo ha dato il meglio delle sue energie nei tre colloqui internazionali di filosofia della religione, da lui diretti e patrocinati dalla Thyssen-Stiftung, che ebbero luogo a S. Margherita Ligure nel novembre 1978 e nel maggio 1980 e 1981, e nei quali vennero discussi tre temi tipicamente caraccioliani: “L’assenza di Dio nella cultura contemporanea”; “Anima bella e moi haissable”; “La sofferenza fenomenicamente inutile”. Per la centralità di quest’ultimo tema (la sofferenza apparentemente inutile) nel tessuto vivente del suo pensiero e per il phatos con cui lo svolse in quel memorabile convegno, Caracciolo è stato definito da un critico francese le philosophe du sanglot, una definizione che serba in sé il ricordo di un verso baudelairiano caro a Caracciolo: «Ardent sanglot qui roule d’âge en âge/ Et vient mourir au bord de votre éternité». Sulle rive dell’eternità, ricercata come senso ultimo del suo inquieto e insonne interrogare, è alla fine approdata la meditazione di Alberto Caracciolo, il cui ultimo libro, pubblicato tre mesi prima della morte, reca non a caso il titolo eloquente Nulla religioso e imperativo dell’eterno. In questo titolo resta fissata la parola estrema, più alta, che il cammino nel pensiero del filosofo Alberto Caracciolo era destinato a dire nella storia della filosofia. Proprio perché, prima di concludere la sua operosa giornata terrena, gli è riuscito di pronunciare quella parola, chi gli ha voluto bene può trovare conforto nel pensiero che la sua è stata davvero, anche in questo senso, un’esistenza “compiuta”. G.M. L’angelo fondatore Il pensiero contemporaneo si è spesso soffermato sul legame che intercorre tra speculazione metafisica e “Tecnica”. Il carattere totalizzante di quest’ultima, con la sua pretesa di legiferare oltre se stessa in uno slancio insieme “violento” e “imperialistico”, è il tema dell’ultima opera di Emanuele Severino, Oltre il linguaggio (Adelphi, Milano 1992). A questa tematica si richiama anche la nuova edizione ampliata del testo di Massimo Cacciari, L’angelo necessario (Adelphi, Milano 1992). Muovendosi su scenari tra loro distanti, entrambi i pensatori segnalano l’esigenza di ricollocare la ragione calcolante entro i propri limiti, e ne cercano una fondazione. Se si potessero riassumere in una battuta gli ultimi sviluppi di pensiero che Emanuele Severino ci presenta nel suo Oltre il linguaggio, si potrebbe dire che non si può rimarginare una ferita con lo stesso ferro che l’ha prodotta. Partendo dall’analisi delle stesse manifestazioni epocali messe a fuoco da Heidegger, Severino rimprovera in un certo senso al filosofo di Messkirch una mancanza di radicalità, un permanere all’interno delle stesse prospettive di pensiero di cui egli aveva contribuito a individuare i limiti. “Nessun Dio ci può salvare” è qui il caso di dire, contraddicendo la nota sentenza heideggeriana. La nozione di Dio come valore assoluto al di là del divenire comporta infatti l’ammissione della realtà stessa del divenire, comune alle prospettive, greca, ebraica e cristiana, che a parere di Severino ha posto il pensiero filosofico in una situazione di stallo, da cui esso dovrebbe poter essere salvato. La “Tecnica”, cioè la ragione calcolante dell’uomo occidentale, erede legittima del pensare metafisico instauratosi con Platone e Aristotele, non può tuttavia rimediare ai danni che essa stessa ha prodotto, perché questi non sono sue conseguenze accidentali, effetti indesiderati, bensì fenomeni insiti e consustanziali ai suoi stessi presupposti. Proprio all’esame di questa consustanzialità, al legame che intercorre fra l’“originario” e le forme della civiltà occidentale, in particolare il linguaggio, è ampiamente dedicata l’analisi delle prime due parti di Oltre il linguaggio. Qui il procedere calcolante e scientifico tenta di esorcizzare, nella propria dimensione “progettante”, cioè organizzatrice e “specialistica”, il nulla e la violenza della volontà “imperialistica” del soggetto; ma invano, a parere di Severino, poiché è il pensiero calcolante stesso a istituire questo nulla e questa violenza. Il passo decisivo verso l’abisso consiste, secondo Severino, nell’abbandono della questione dell’essere nella sua forma origina- AUTORI E IDEE Paol Klee, Angelo smemorato, 1939 AUTORI E IDEE ria puramente tetica, a favore di prospettive che prevedono l’accesso all’essere attraverso il pensiero e il linguaggio, attraverso, cioè, il divenire. Già Parmenide, osserva Severino, “conosce” il divenire, nel senso che per primo lo istituisce, e istituisce con esso il nulla. Apparentemente il filosofo presocratico nega il nulla e il divenire, ponendoli come illusori; eppure, proprio per poter pensare, cioè per poter istituire il pensiero, per primo li chiama alla luce. La verità dell’episteme, il suo “destino”, nel momento in cui essa tende a configurarsi come espressione dell’”incontrovertibile”, di ciò che sussiste al di là del divenire, è in realtà esattamente il contrario, il contrario di ciò che appare. L’episteme, aggiunge Severino, non è consapevole del fatto che la pretesa prevaricatrice del divenire sia il nulla; essa consiste al contrario in un atto di fede nella realtà del divenire stesso, insito nel suo stesso proposito di dominarlo. Proprio in questo atto di fede, che implica, come suo correlato, l’affermazione dell’«inesistenza di ogni immutabile e di ogni verità definitiva al di sopra del divenire», riposa, per Severino, la riduzione del pensiero a linguaggio, quella “svolta linguistica” in base alla quale, coerentemente con le proprie premesse, viene negata l’esistenza di una “cosa”, separata dal linguaggio (e dal pensiero), che la denoti. Sull’affermazione dell’inesistenza di un “incontrovertibile” che si sottragga al divenire, e non su un presunto “nesso necessario”, riposa l’identificazione di essere e pensiero e, successivamente, con l’ulteriore slittamento della questione ontologica, di essere e linguaggio. L’imporsi della prospettiva ermeneutica, in modo conseguente rispetto alle premesse, deriva dal riconoscimento che il carattere linguistico dell’essere non può concludere a un carattere assoluto del linguaggio stesso, poiché quest’ultimo consiste invece in una pluralità di linguaggi storicamente determinati e in un multiversum di interpretazioni. Ma se la fede nell’esistenza del divenire è il fondamento per quanto inadeguato - della prospettiva ermeneutica, vana sarà allora la pretesa di esorcizzare, attraverso quest’ultima - così “democratica”, così “tollerante” con tutto il suo essere “aperta al dialogo” - la “violenza” e l’”imperialismo” delle tradizionali spiegazioni sistematiche dell’essere, attraverso le quali, nella storia della metafisica, si è espressa la “volontà di potenza” soggettivistica. A quella e a queste è infatti comune la medesima violenza, che è poi un problema di credenza non sufficientemente fondata: la fede nel divenire. Se la riflessione di Severino si colloca nel contesto delle indagini sulla questione del fondamento del pensiero, questo è pure l’orizzonte cui appartengono le ricerche di Massimo Cacciari. Con la nuova edizione (la prima risale al 1986) de L’angelo necessario, ampliata con l’aggiunta di un’appendice, Paralipomena all’Angelo, Cacciari intende ribadire la “necessità filosofi- ca” della propria riflessione “teologica”, in connessione con l’esigenza di una fondazione del sapere filosofico che non faccia riferimento alla nozione di fondamento; un intento fondativo, quello di Cacciari, estraneo e in radicale opposizione con qualsiasi “logica del fondamento”. L’esigenza che qui si esprime è quella di una riflessione teologico-filosofica che sappia essere riflessione sull’originario, sull’”inizio” della filosofia. Per raggiungere questo obiettivo, essa deve fuggire il pericolo di “nominare” questo presupposto, determinarlo come fondamento, cioè come premessa di un sistema deduttivo “rigoroso”, quale può essere il sapere scientifico. Il “rigore” di cui si pregia quest’ultimo non lo rende meno in-fondato, perché in esso si dà già e sempre per scontato l’ente su cui si riflette, anziché porne la questione. Il fondamento di questa riflessione radicale, teologica o filosofica che sia, è per essa indicibile, in quanto non è suo oggetto, ma suo presupposto; tuttavia essa deve continuare a sforzarsi di dire questo fondamento. Siamo, come si vede, nell’orizzonte di pensiero cui appartiene la più recente e maggiore opera di Cacciari, Dell’inizio (1990): la “teologia necessaria” consiste nell’esigenza di un’interrogazione sulla ragione calcolante, per riflettere sulla fondazione dell’essenza dell’uomo che traluce dai suoi atti “decisivi”, cioè la libertà. Cacciari, nella nuova edizione de L’angelo necessario, sottolinea l’esigenza di questa interrogazione, anche in riferimento al suo eclissarsi nella storia della speculazione occidentale. questa interrogazione è invece più viva, sostiene Cacciari, nell’occasionalismo di certa tradizione islamica, non solo in confronto all’aristotelismo e all’averroismo, ma anche alle forme meno radicali dell’occasionalismo occamista e alla mistica occidentale, che non sanno cogliere nella sua pienezza l’idea della possibilità di una libertà affatto «estranea a ogni legge, a ogni razionalità teologica o metafisica». F.C. La grammatica dell’esperienza Quando, nell’inverno dello scorso anno, Jean-Marc Ferry pubblica, in due volumi, nella collana “Passages”, Les puissances de l’expérience (I poteri dell’esperienza, Cerf, Parigi 1991), quest’opera, nonostante il progetto ambizioso, non suscita grande dibattito: “dare ragione del nesso fra i registri differenziati del discorso e le diverse forme d’identità e di comprensione del mondo” e il lavoro estremamente documentato. È stato Paul Ricoeur a richiamare l’attenzione, nella primavera del 1992, su questo libro, definendolo «una delle opere più importanti recentemente pubblicate nel campo della filosofia sociale e politica, della filosofia ‘tout court’». L’ipotesi del libro di Jean-Marc Ferry è che la grammatica, e in particolare i pronomi personali, corrispondano a quell’ «architettura del mondo della vita», attraverso cui lo spirito umano ha organizzato i dispositivi e le disposizioni della nostra appartenenza all’esperienza di altri come noi (le persone) e di altri non come noi (le cose). Ferry formula così l’espressione partage grammatical du monde (divisione grammaticale del mondo), i cui termini, Io, Tu, Egli coprono tutto lo spazio possibile dell’esperienza, sia del mondo anonimo, sia del mondo che per noi deve avere un nome di persona. La grammatica ha cristallizzato nelle sue formule questa divisione dell’esperienza vissuta lungo il corso di una «storia pragmatica dello spirito umano». Una storia dell’esperienza, precisa Ferry, che ha la sua “potenza” più alta nel discorso in quanto, al contempo, «agire riflessivo e potere di tematizzazione dell’esperienza». I gradi preliminari sono certo il sentire e l’agire; ma solo il discorso offre la chiave dell’intelligibilità dell’esperienza, ossia «la piena competenza riflessiva». Tuttavia il discorso non è unico, conosce anch’esso una sua processualità, una sua “genesi pragmatica”, incarnandosi in registri diversi: narrativo, interpretativo, argomentativo, ricostruttivo. In quest’ultimo, l’identità trova la sua “posizione” riflessiva e autoriflessiva: fornisce le buone ragioni delle azioni e delle parole ed è in grado di riconoscere i contesti culturali e storici in cui gli argomenti prendono la forza delle convinzioni. Così si conclude il primo tomo, dal titolo: Le sujet et le verbe (Il soggetto e il verbo), mentre il secondo abbandona il campo pragmatico-trascendentale e cerca di ritrovare la grammatica e i diversi registri del discorso nella politica, nel sociale, nel campo morale, considerati tutti, come si dice nel titolo, ordini del riconoscimento. Ferry, infatti, ritiene che il problema morale dell’epoca moderna sia il riconoscimento; in primo luogo il riconoscimento degli individui, poi anche quello delle nazioni e delle tradizioni. La morale del riconoscimento sarebbe la versione aggiornata di quella kantiana del rispetto. Paul Ricoeur ha riconosciuto la fecondità di questo approccio, che sapientemente cerca un punto di contatto tra fenomenologia, agire comunicativo, pensiero utopico. Allievo di Habermas, Ferry cerca quantomeno di “riabilitare” la sfera del sensibile, sebbene su un piano inferiore. D’altronde, con estrema finezza, Ricoeur ne sottolinea anche la mancanza di “elasticità”. In primo luogo, Ferry considera del tutto negativamente il discorso narrativo-ermeneutico, ma è costretto, nel suo discorso “utopico”, a richiamarsi alle tradizioni narrative. Inoltre Ferry si muove su più piani, fenomenologico, argomentativo, pragmatico, senza mai veramente determinare su quale livello e con quali strumenti voglia posizionarsi. Proprio la nozione di riconoscimento, che figura al centro del- AUTORI E IDEE l’analisi di Ferry, andrebbe rivisitata, per Ricoeur tenendo conto dell’identità narrativa e dell’attività ermeneutica. F.M.Z. Conoscenza metafisica L’esigenza di cercare nell’interrogazione filosofica una fondazione per la ricerca scientifica è la motivazione di fondo del saggio di Georges Kalinowski, L’impossibile metafisica (a cura e con prefazione di Gianfranco Ferrari, Marietti, Genova 1991). La figura di Martin Heidegger, scelta da Kalinowski come uno dei principali obiettivi polemici, emerge tuttavia, nel corso della trattazione, come un interlocutore decisivo. Contro ogni tentativo di oltrepassamento della metafisica, che voglia più o meno presentarsi come una sua fondazione, è orientato lo studio di Georges Kalinowski. A dispetto del titolo, questo saggio vuole essere proprio un’apologia del valore cognitivo della metafisica, condotta dal punto di vista di una prospettiva tomista. Così si sviluppa, nella prima parte del testo, la confutazione di Hume attraverso un esame della sua posizione, nonché di quella di Kant, cui fa seguito una critica del neopositivismo, del marxismo e di Heidegger. Nella seconda parte viene delineato “l’abbozzo di una metafisica” come sistema cognitivo, che si configura come una “epistemologia metafisica”. L’ “abbozzo di sistema” di Kalinowski si snoda attraverso un’analisi degli enti esperienziali, condotta mediante categorie aristotelico-tomiste, e si completa nell’indagine relativa al loro fondamento (Dio). L’obiettivo del filosofo polacco è pervenire a una concezione dell’ontologia che, al contempo, possa dare ragione della relazione gnoseologica, nonché fornire alcune regole essenziali riguardanti il carattere della metafisica, che è sistematica «come ogni altra scienza». Il carattere provocatorio di questo testo, come rileva Gianfranco Ferrari nella sua Prefazione, risiede principalmente in due aspetti; anzitutto, nella confutazione di una negazione, quella dell’impossibilità di una metafisica come conoscenza effettiva, con la costruzione di una “metafisica-sapere”. In secondo luogo, la riflessione di Kalinowski non è ascrivibile sic et simpliciter alla “corrente” neotomista, anche se ne utilizza parecchi strumenti concettuali. La sua apologia del valore cognitivo della metafisica, con la costruzione di una metafisica come sistema scientifico, che pure rifiuta qualsiasi idea di fondazione concepita come oltrepassamento della metafisica, condivide con la speculazione di Heidegger più di un presupposto. Anzitutto quello relativo a una contiguità, che finisce per diventare continuità, fra scienza e metafisica: se l’una e l’altra, osserva Kalinowski, consistono per Heidegger nello studio dell’ente - e proprio per questo, perché non si occupa dell’essere dell’ente, la metafisica, a parere di Heidegger, è da condannare - non c’è dubbio che la metafisica sia in qualche modo rapportabile alle scienze, avendo anch’essa un suo “oggetto”, specifico quanto si vuole, ma pur sempre tale, l’essere. In secondo luogo, per entrambi i pensatori il discorso della filosofia, proprio in forza di questo oggetto, sta in un rapporto fondativo rispetto al discorso delle scienze, che si occupa dell’ente: per Heidegger, come per Kalinowski, la “filosofia prima”, che si occupa dell’essere, riguarda con ciò la conoscenza dell’«ente in quanto ente», nonché la «parte più nobile dell’ente» e «l’ente nella sua totalità». Ma il percorso del filosofo polacco si allontana poi dal terreno su cui si muove Heidegger, quando si tratta di valutare la riuscita del tentativo heideggeriano di fondazione della metafisica. In questo senso, la posizione di Kalinowski risulta ben definita dal suo giudizio su Heidegger, secondo cui questi avrebbe potuto risparmiarsi la propria critica della metafisica, se si fosse con maggior attenzione confrontato con quella di Tommaso, la cui metafisica, alla quale si sente vicino lo stesso Kalinowski, «corrisponde in effetti alle migliori intuizioni e desideri di Heidegger». F.C. Benjamin storicista? È dedicato ad un commento alle celebri Tesi benjaminiane sul concetto di storia lo studio di Ralf Konersmann Erstarrte Unruhe. Walter Benjamins Begriff der Geschichte (Inquietudine irrigidita. Il concetto di storia di Walter Benjamin, Fischer, Frankfurt a. M. 1991). Attraverso una puntuale analisi storico-filologica del testo, Konersmann evidenzia criticamente alcuni elementi che avvicinano la concezione benjaminiana della storia a quella dello storicismo. Le Tesi di Walter Benjamin sul concetto di storia si sviluppano attorno a un paradosso fondamentale: quello di voler connettere marxismo e teologia, sviluppando un concetto materialistico di storia e utilizzando allo stesso tempo, in maniera non metaforica, il concetto di “redenzione” come una categoria centrale dell’interpretazione della storia. Benjamin si dichiarava consapevole del carattere “necessario” di tale paradosso e contrapponeva all’osservazione critica di Max Horkheimer, secondo cui una tale concezione della storia avrebbe dovuto, di necessità, ammettere la credenza nel giudizio universale, l’idea che la storiografia non sia semplicemente una scienza, ma una modalità della memoria che ha la forza di trasformare il passato. Se non possiamo scrivere la storia mediante concetti di carattere teologico, è altrettanto vero per Benjamin che nel ricordo si produce un’esperienza in cui non è possibile pensare la storia in modo ateologico. Di fatto Benjamin si richiama al concettochiave di “esperienza” (Erfahrung) per legittimare il carattere aporetico del proprio concetto di storia e per riguadagnare alla filosofia quei territori del trascendente che Kant aveva confinato nella sfera del noumeno e dell’inconoscibile. Partendo dalla constatazione che questo tentativo filosofico ha le sue radici nell’esperienza storica, comune a Benjamin e ad altri intellettuali della sua generazione, dell’ascesa dei fascismi in Europa, Ralf Konersmann interpreta la teoria benjaminiana della storia come un tentativo radicale di render conto filosoficamente di questa esperienza. Intenzione esplicita di Benjamin era infatti di sviluppare una teoria della storia che permettesse, in una situazione di emergenza politica, di far fronte al fascismo. È con questo obiettivo che le Tesi si distanziano propriamente dalla concezione storicistica della storia. Per Benjamin il compito dello storico non è quello di conoscere il passato (secondo la formula di Ranke) così «come esso è stato», ma piuttosto quello di impadronirsi di un ricordo che balugina nel momento del pericolo. Ciò che caratterizza la conoscenza storica diventa allora, più che la pretesa di un’impossibile neutralità scientifica, il suo svilupparsi a partire da una necessità del presente che impone allo storico di prendere partito. In questo concetto di storia, che ha il suo fulcro nel presente, Konersmann individua un tentativo “disperato” - Benjamin non si faceva illusioni circa la portata pratica del proprio pensiero - di connettere teoria e prassi e di intendere (e praticare) la conoscenza storica come azione politica. Attraverso un’analisi puntuale delle metafore utilizzate nelle Tesi, Konersmann mostra inoltre l’esistenza di un legame tra l’accentuazione del momento del presente nella conoscenza storica e la metafora benjaminiana della realtà come “testo”: «Il predicato della leggibilità pone la realtà in rapporto con il momento della sua lettura, dunque con il punto temporale in cui essa diventa decifrabile». Da questo punto di vista la metafora del leggere rinvierebbe in Benjamin tanto alla fuggevolezza di questo momento, quanto al carattere interpretativo della conoscenza storica. Ma, ad onta del distacco programmatico di tali concezioni dalle posizioni storicistiche, Konersmann individua - ed è forse questo l’aspetto più nuovo del suo studio - alcuni punti di contatto tra Benjamin e lo storicismo: la contrapposizione di entrambi alla filosofia della storia speculativa di Hegel; il comune mettere in gioco l’individualità delle epoche storiche contro le ideologie del progresso e le filosofie evoluzionistiche; la svolta “criptoteologica” per cui tanto Benjamin quanto lo storicismo metterebbero in relazione la storia terrena con un punto di vista trascendente. M.M. TENDENZE E DIBATTITI Lou Andreas-Salomé TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Le allieve di Freud: per una psicologia al femminile Marie-Christine Hamon, psicanalista e docente all’Università di Parigi, nel suo recente Pourquoi les femmes aiment-elles les hommes? Et non plutôt pas leur mère (Perché le donne amano gli uomini? E non piuttosto la loro madre, Seuil, Parigi 1992), ricostruisce i termini del dibattito sulla psicologia femminile sollevato dalle allieve di Freud: Hélène Deutsch, Karen Horney, Mélanie Klein, Ruth Mack Brunswick, Jeanne Lampl de Groot, non tralasciando, fra l’altro, di toccare il significativo contrasto fra Freud e Abraham. Contemporaneamente viene pubblicato in Francia lo studio di Paul Roazen, Hélène Deutsch, une vie de psychanalyste (Hélène Deutsch, una vita da psicanalista, trad. dall’inglese di Pierre-Emmanuel Dauzat, P.U.F, Parigi 1992), dedicato alla teorica per antonomasia della sessualità femminile, reputata la “preferita” di Freud, in verità profondamente ferita dalla decisione del “Professore” di interrompere bruscamente l’analisi ingaggiata con lei da solo un anno. A queste interpretazioni fa riscontro, in area tedesca, con una maggiore attenzione per il significato della psicoanalisi nella storia della cultura occidentale, lo studio di Manfred Pohlen e Margarethe Bautz-Holzherr, Eine andere Aufklärung. Das Freudsche Subjekt in der Analyse (Un altro illuminismo. Il soggetto freudiano nell’analisi, Suhrkamp, Francoforte 1991), che affronta della concezione freudiana della soggettività e della realtà in rapporto a un punto di vista “maschile” sul mondo. Contrariamente a quanto di primo acchito si potrebbe sostenere, Sigmund Freud dedicò un interesse costante agli enigmi della psicologia femminile, sollecitato, e a volte “infastidito”, dalle riflessioni delle sue stesse allieve. Fino al 1923 Freud sottolinea con forza il ruolo svolto nel processo d’identità femminile dal Penisneid (invidia del pene) e dal complesso di castrazione. Nel ’23 Freud è però colto da una serie di ripensa- menti e ritorna sui propri passi. Una breve ma intensa stagione di dibattiti e di scambio reciproco di esperienze con analiste donne riattiva le sue riflessioni sul tema e nel 1931-32 arriva ad ammettere che all’origine dell’identità femminile non c’è l’invidia del pene, bensì la relazione d’amore con la madre. «Diventando donne, le bambine cambiano sesso e oggetto d’amore»: per quanto banale, l’osservazione costituisce un nodo inestricabile di interrogativi sull’identità psicologica femminile. L’“Edipo” che Freud interpretava in un primo momento come angoscia di castrazione nel bambino, e come complesso di castrazione nella bambina, viene rimesso in discussione dalle allieve di Freud a partire da certi illuminanti rilievi di Karl Abraham. Pur continuando a riconoscersi nell’impostazione del maestro, le allieve “rivisitano” ciò che il “Professore” intende con castrazione della madre e primato del fallo; tanto più rifiutano l’invidia del pene nella bambina e il tempo dell’identificazione col padre, necessario per Freud per passare dalla virilità alla femminilità, mettendo invece in primo piano l’originario legame affettivo con la madre e riformulando di conseguenza le nozioni di castrazione e di complesso di Edipo. Particolare importanza viene conferita al momento pre-edipico dell’infanzia, quando la madre rappresenta, per entrambi i sessi, il primo oggetto d’amore e di soddisfazione, ma anche una presenza onnipotente e divorante. È in particolare Mélanie Klein a sottolineare l’ambiguità emotiva dei bambini verso la madre e il ruolo della privazione e dell’abbandono provocato dallo svezzamento. Successivamente Ruth Mack Brunswick traduce le riflessione della Klein sull’identificazione primitiva con la madre non più in termini di sadismo orale e di divorazione immaginaria, bensì restituisce ai meccanismi freudiani dell’introiezione la loro dimensione simbolica. In questo modo la castrazione viene interpretata come passaggio preliminare e obbligato all’Edipo, alla figura maschile. È la delusione inferta dall’oggetto amato, dalla madre omnipotente, che promuove una particolare attenzione per il padre, detentore di qualcosa per cui egli raccoglie i favori della madre: l’invidia del pene non è tanto la conseguenza della scoperta della differenza dei sessi, quanto il mezzo per soddisfare il primo oggetto d’amore. D’altra parte, il riconoscimento della madre come “castrata” pone ora un limite alla sua “divorante” omnipotenza, mettendo fine al vissuto della bambina (ma anche del bambino) di non essere in grado di soddisfare le attese di questo “Altro” che è la madre. Senza castrazione della madre, non vi sarebbe dunque alcun Edipo, e di conseguenza nessun “virage” verso il padre. Se il libro della Hamon ha avuto un’accoglienza favorevole da parte della comunità psicanalitica e dei giornali, la biografia di Hélène Deutsch ad opera di Paul Roazen, già autore di La saga freudienne (La saga freudiana, 1986), ha riscontrato un notevole interesse: la Deutsch è stata il referente psicanalitico centrale di Simone de Beauvoir in Le deuxième Sexe (Il secondo Sesso, 1949) e la sua autobiografia è stata pubblicata in Francia nel 1986. la biografia di Roazen rende ragione del successo in America della Deutsch, che dal ’34 si dedicò con fervore alla formazione degli analisti, alla vulgata freudiana e alla difesa delle sue teorie sulla femminilità, attaccate dal movimento femminista come “fallocentriche”. Hélène Deutsch entrò nella società psicanalitica di Vienna nel 1919: donna estremamente attiva, anche politicamente, affettivamente inquieta (traumatizzata da un tentativo di stupro da parte di un fratello, poi da una relazione giovanile con un uomo più anziano e sposato, che si concluse con una forte depressione), entrò in analisi con Freud solo per un anno, dovendo il “maestro” interrompere la cura per mancanza di tempo. Un’interruzione che pesò molto alla Deutsch, la quale, pur riprendendo l’analisi a Berlino con Abraham. La Deutsch, preoccupata dell’opinione di Freud, colpevolizzata nei confronti del marito e del figlio, irrigidita nella nostalgia per il suo amore giovanile, resterà per sempre in uno stato “sospeso” di depressione e di “blocco”. In questo contesto di ripresa della discussione psicanalitica in Francia segnaliamo infine due altri testi di notevole interesse: La bisexualité psychique di Christian David (La bisessualità psichica, Payot, Parigi 1992), che prende in esame l’ambi- TENDENZE E DIBATTITI valenza sessuale dell’inconscio, e JeanMartin Charcot et l’hysterie di Wanda Bannour (Jean-Martin Charcot e l’isteria, Métailié, Parigi 1992), che traccia un ritratto della personalità di questo medico a partire dai suoi studi sull’isteria. Da un punto di vista diverso, più attento alla posizione e al significato della concezione freudiana della soggettività nella storia della cultura e della filosofia occidentali, anche lo studio di Manfred Pohlen e Margarethe Bautz-Holzerr pone il problema del legame di Freud con una concezione “maschile” della realtà. I due psicoanalisti, docenti all’università di Marburgo, rimproverano ai successori di Freud di avere travisato il significato originario della psicoanalisi freudiana, sviluppando una concezione della scienza, della soggettività e della realtà che separa rigorosamente il pensiero dal corpo. Tra le diverse analisi etimologiche offerte nel loro studio da Pohlen e Bautz-Holzerr, figura quella del termine “materia”. Derivante dal latino mater, madre, la materia rappresenta l’elemento femminile del nostro mondo, il grembo materno da cui nasce tutto ciò che è corporeo. Ora - e questa è la chiave interpretativa in base a cui viene determinato il significato dell’opera di Freud - la storia della cultura occidentale si presenta come la sconfitta progressiva del “femminile”. Il pensiero, liberatosi del corpo, recide le sue radici nella realtà fisica e materiale, mentre la scienza moderna rende muta e inespressiva la materia. In questo processo, iniziato già con i miti dell’antichità greca (come mostrerebbe la figura di Minerva, che, nata dalla testa di Zeus, rinuncia alla sua femminilità), è il principio cartesiano “penso, dunque sono” che segna il momento della definitiva separazione del pensiero dal corpo e che dà alla scienza moderna il suo orientamento decisivo. A questa tendenza si opporrebbe invece il metodo della psicoanalisi freudiana: Psiche, l’anima, è femminile e lo psicoanalista, nella sua attività terapeutica, presta ascolto al corpo e ne interpreta i sintomi come “parole” che non possono essere articolate dal linguaggio dell’intelletto. Tuttavia anche Freud, nonostante questa attenzione per l’elemento “femminile” e materiale, avrebbe considerato il mondo da una prospettiva unilateralmente “maschile”: non a caso Edipo è la figura che esprime in maniera esemplare l’immagine freudiana dell’umano, così come il conflitto tra padre e figlio è per Freud il conflitto psichico fondamentale. Per Pohlen e Bautz-Holzherr, è proprio a partire da questi presupposti che nel movimento psicoanalitico si sviluppano scissioni come quelle di Adler e Jung, che pure non mutano l’orizzonte fondamentalmente “maschile” della psicoanalisi. F.M.Z./M.M. Umanesimo e nazismo: il “caso Heidegger” La tesi dell’opuscolo di Jean Luc Nancy e di Philippe Lacoue-Labarthe, Il mito nazi (a cura di Carlo Angelino, Il Melangolo, Genova 1992) nega decisamente l’estraneità dei presupposti teorici del nazismo nei confronti del pensiero politico occidentale. Su questa base, sostenendo la non accidentalità delle scelte politiche di Heidegger, Philippe Lacoue-Labarthe, in La finzione del politico (a cura di Giovanni Scibilia, Il Melangolo, Genova 1991), rifiuta la semplice “riduzione biografica” del problema dei rapporti tra il filosofo e il nazismo. I motivi, in riferimento ai quali si sviluppa l’analisi di Lacoue-Labarthe sono da un lato la nozione di “umanesimo” e il ruolo che essa svolge in Heidegger, dall’altro il radicarsi del pensiero politico occidentale in un mito estetico. Secondo Jean Luc Nancy e Philippe Lacoue-Labarthe, lungi dall’essere un fenomeno estrinseco all’essenza della cultura occidentale, il nazismo ne incarna determinate tendenze e si riallaccia a temi presenti in essa fin dall’antichità. La prospettiva privilegiata da Nancy e Lacoue-Labarthe è quella estetico-mitologica: l’elemento di continuità fra il nazismo e la tradizione culturale occidentale consiste nel ridurre il pensiero politico a mitografia, e l’atto politico a gesto simbolico. La dimensione conoscitiva si rovescia dunque in quella estetica, la riflessione nella retorica, il concetto nell’evocazione; rovesciamento la cui necessità è radicata nei presupposti stessi del pensiero politico occidentale. Il “caso Heidegger” è in tal senso esemplare: il pensiero politico di Heidegger non è né un accidente estrinseco alla sua filosofia, riconducibile a motivi di carattere esclusivamente biografico, né un errore interno alla sua concezione filosofica, bensì mostra una piena dignità filosofica ed è «di un’assoluta coerenza con il suo pensiero». I presupposti dell’analisi di Lacoue-Labarthe sono in larga misura debitori all’impostazione heideggeriana, anche se l’interprete rifiuta però l’etichetta di “heideggeriano”, adducendo semplicemente il fatto che i problemi messi in luce da Heidegger sono quelli della filosofia in quanto tale. L’”assoluta coerenza” in Heidegger tra presupposti filosofici e posizione politica è confermata dal radicarsi di quest’ultima nell’analitica del Dasein, mentre la continuità fra la posizione politica e le concrete manifestazioni storiche, che essa tenta di giustificare teoricamente, si esplica in una sorta di “nazionalismo estetico” che esprime a livello intellettuale la realtà storica di ciò che stava accadendo. Lo “scandalo”, per Lacoue-Labarthe, non risiede nell’adesione di Heidegger a una determinata configurazione storico-ideologica, ma nell’impotenza della tradizione filosofica, che è poi quella platonica, alla quale Heidegger appartiene come esponente e, nel contempo, come suo critico, di giudicare una siffatta realtà politica. Lo scandalo in cui incorre Heidegger è allora un problema filosofico. La categoria attraverso cui Lacoue-Labarthe riconduce Heidegger da una parte alla tradizione platonica, e dall’altra al nazionalsocialismo, è quella di “nazional-estetismo”, in cui si esprimerebbe il progetto nazista di fare della vita politica un’“opera d’arte totale” (Gesamtkunstwerk), mediante un “trionfo della volontà” soggettiva. Un’idea, questa, già di Platone, che voleva tener fuori gli artisti dalla città ideale non solo perché la loro opera poteva essere perniciosa per l’anima dei cittadini, ma perché essa era, nel suo fondamento, inutile: la capacità mimetica del politico nei confronti del modello ideale è superiore a quella dell’artista e ne rende perciò inutile l’opera, in quanto lo stato ideale è esso stesso la vera opera d’arte. Questa abilità mimetica del soggetto non si mostra però come tale, ma come realizzazione dell’essenza della verità dell’essere che si manifesta. In questo modo il progetto, sommamente “umanistico” e antropocentrico, di costruzione della città ideale viene trasfigurato in una manifestazione epocale dell’Essere. In questo consiste dunque, a parere di Lacoue-Labarthe, la dignità filosofica delle posizioni politiche di Heidegger, posizioni che appaiono ora non tanto come applicazione coerente dei suoi presupposti filosofici, ma, più direttamente, come luogo di confine della filosofia heideggeriana, sospesa fra la critica della tradizione umanista, cioè della metafisica, e il suo appartenervi nella sua manifestazione più estrema. Bisogna tuttavia prender atto che, riguardo all’ipotesi di un “umanesimo nazista”, quale viene prospettata da interpreti come Lacoue-Labarthe e Jacques Derrida, i pareri sono tutt’altro che unanimi. È il caso in tal senso di richiamare qui la posizione di Domenico Losurdo, autore di La comunità, la morte, l’Occidente. Heidegger e l’ideologia della guerra (Bollati-Boringhieri, Torino 1991), che considera tale nozione una contraddizione in termini. Riprendendo l’espressione di Alfred Bäumler, Losurdo vede nel “nominalismo antropologico” l’eredità di Edmund Burke che, a suo parere, è il vero padre spirituale dell’ideologia reazionaria nelle sue varie sfumature. Per Losurdo Auschwitz è «il risultato della progressiva distruzione del concetto universale di uomo» e l’autore arriva persino a rimproverare a Theodor Wiesengrund Adorno una posizione “ultra-nominalista”, che quest’ultimo avrebbe in comune con Heidegger. L’antiumanesimo sarebbe dunque il fondo ultimo della filosofia heideggeriana, e il fattore determinante delle sue prese di posizione politiche. F.C. TENDENZE E DIBATTITI Louis Althusser nel 1978 Althusser: autobiografia in cerca di una firma A due anni di distanza dalla morte di Louis Althusser escono nelle librerie francesi due significativi profili biografici di questo «filosofo austero e omicida demente», come è stato definito. Il primo, documentato, lucido e generoso, è opera di Yann MoulierBoutang ed è costituito dal primo volume, La formation du mythe. 1918-56, di un’ampio lavoro ricostruttivo: Louis Althusser. Une biographie (Grasset, Parigi 1992). Il secondo contributo biografico sul filosofo è opera dello stesso Althusser: un’auto-analisi, potenzialmente infinita, tesa a cogliere i momenti e i luoghi in cui la follia e il folle dolore hanno “preso” corpo irrimediabilmente nell’omicidio della moglie. Tentativo soprattutto di uscire dal “nonnome”, dal “non-luogo” del non sapere e del non intendere, con lo scopo dichiarato di lavorare all’interno del proprio bagaglio di fantasmi, colpe, ricordi, per ritrovare in qualche modo la “firma” di sé sul corpo dei propri atti, quantunque scellerati. Quando Louis Althusser strangolò sua moglie fu trasportato subito all’ospedale Saint-Anne e, riconosciuto in stato di “con- fusione mentale”, di “delirio onirico”, non fu processato, bensì, secondo l’articolo 64 del codice penale, beneficiò dal febbraio 1981 dello statuto di non-luogo, che comportava lo stato di irresponsabilità civile, alterazione psichica, tutela, privazione del diritto di firmare qualunque cosa a suo nome. La follia è anche la perdita del nome e della responsabilità di dirsi e riconoscersi come autore dei propri atti. L’autobiografia è allora il tentativo di recuperare un nome proprio, per quanto residuale, fatto di non-luoghi, di cancellazione delle tracce, di erosione del sé. In questa sua autobiografia, pubblicata postuma, Althusser cerca di capire come la costellazione dei suoi vissuti abbia potuto “prendere” una certa forma. C’è una matrice strutturale e remota su cui si incistano gli errori e i fantasmi di tuttta una vita: Althusser rintraccia in tal senso nella propria vita il nodo strutturale di ripetizione e di aleatorio. Da un lato si depositano sul fondo psichico del filosofo una costellazione precisa di vissuti che si ripetono, creano circoli viziosi, intrecciano un destino di non essere e d’impotenza; dall’altro, gli eventi s’incarnano in situazioni aleatorie, si fissano in momenti che solo nell’après coup assumono una loro intelligibilità. Ma quest’aleatorio ha i caratteri della beffa tragica: è un destino inutile, inassumibile, l’attimo in cui si gioca una vita, come avviene appunto nel delirio omicida. Autobiografia dunque che cerca di dare un nome a quest’aleatorio, riconoscendosi un nome, una firma. Il modello letterario è composito: certamente Rousseau, ma anche il Moi, Pierre Rivière, autoritratto di un parricida del XIX secolo pubblicato da M. Foucault, e Les mots di J. P. Sartre. La novità è che si tratta della prima autobiografia di un filosofo omicida e di un uomo che è passato, prima del crimine, per diverse psicanalisi. È un autoritratto impietoso, l’espiazione tardiva di un uomo che pare essere sempre arrivato in ritardo agli «appuntamenti con se stesso». Althusser si dipinge infatti come un uomo vigliacco, capace di sedurre professori e amici, spinto da un profondo desiderio di essere amato, autore di scelte prese fra impotenza e delirio, incapace di cogliere le motivazioni profonde del proprio agire. Una delle chiavi di questa intricata vicenda sarebbe nascosa nella nascita stessa di Althusser: la madre si sposò con il fratello del suo primo amore, Louis Althusser, morto in guerra, e volle chiamare con lo stesso nome il figlio in ricordo del suo antico e unico amore. Per questo Althusser confessa di essersi sempre sentito abitato e usurpato da un altro, amato in nome di un altro, al posto di un altro. E sempre attraverso un terzo anonimo il filosofo cerca di darsi un nome: «Ho cercato di ricostruire il mio crimine come fosse accaduto a un altro, a un terzo». La notevole eco nella stampa francese ri- TENDENZE E DIBATTITI scossa da quest’autobiografia può essere spiegata come curiosità morbosa, desiderio di comprendere chi l’uomo chi il filosofo, chi l’opera autobiografica. Nella sua ricostruzione biografica, Yann MoulierBoutang sottolinea in particolare nella vicenda di Althusser le rotture di un percorso intellettuale “modello”, lineare e “austero”. Un’alternarsi di impegni universitari, scolastici e politici, svolti con austerità e rigore, e di crisi depressive, angosce endemiche, fantasmi ripetitivi. L’«avvenire dura a lungo» - quest’espressione di De Gaulle è rovesciata da Althusser: non si tratta tanto della costruzione di un progetto nel tempo e del consolidarsi di un risultato duraturo, quanto dello sviluppo aleatorio, ma irrimediabile, di una storia a partire da un inizio tutto sbagliato. F.M.Z. Il Dio dei filosofi Pensare Dio è uno dei compiti che la filosofia si è da sempre posta, e il suo rapporto col “pensiero di Dio” della teologia è uno dei motivi portanti del suo sviluppo. La seconda parte dell’opera di Wilhelm Weischedel, Il dio dei filosofi (traduzione di Letterio Mauro, Il Melangolo, Genova 1991), ripercorre la tappe della riflessione teologica dei filosofi dall’idealismo tedesco a Heidegger. La questione del rapporto tra il pensiero filosofico e quello teologico è invece al centro del volume collettivo: Dio e la filosofia (a cura di Daniele Goldoni, Guerini e associati, Milano 1991), che raccoglie gli interventi, fra gli altri, di Italo Mancini, Ugo Perone, Mario Ruggenini, Vincenzo Vitiello al convegno omonimo, organizzato a Venezia nel 1988 dal Circolo Koìnos. A una medesima tematica è dedicata l’opera di Wohlfart Pannenberg, L’idea di Dio e il rinnovamento della filosofia (Bibliopolis, Napoli 1991), che raccoglie una serie di lezioni, tenute da Pannenberg a Napoli, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Nell’indagine di Wilhelm Weischedel, dedicata alla riflessione filosofica sulla nozione di Dio dall’idealismo a Heidegger, appare una sorta di cesura. Fino all’annuncio nietzscheano della “morte di Dio”, la questione si configura nei termini della possibilità, ora perseguita, ora rifiutata, di dimostrare l’esistenza di Dio. Dopo, è l’avvento del nichilismo a collocare il problema in una nuova luce, tanto nell’ambito filosofico, quanto in quello teologico. A partire dall’“assenza” di Dio, posizione alla quale sarebbe pervenuta la filosofia, molti teologi sentono l’esigenza di separare i destini della propria disciplina da quelli della filosofia. Fra questi non vi è certamente Wohlfart Pannenberg, che vede nella filosofia non solo una sorta di “punto di partenza” per la speculazione teologica, ma uno strumento critico indispensabile per quest’ultima. Come diviene chiaro nella critica heideggeriana del’onto-teo-logia, la “morte di Dio” è problema schiettamente filosofico, prima ancora che teologico. In tal senso l’espressione “logica della fede”, con cui si apre il contributo di Italo Mancini al volume Dio e la filosofia, riguarda perciò un discorso filosofico sulla questione della fede e non ha la valenza di un’esperienza di fede, che si dà invece da sé la propria “logica”, un linguaggio a essa adeguato. Per Mario Ruggenini questa seconda ipotesi non può incontrare il piano filosofico, su cui si pone invece la questione dell’essenza di Dio come un sottrarsi al paradigma del senso; esperienza, questa, che non solo è tipicamente filosofica, ma è originariamente filosofica. “Paradosso della filosofia” è infatti il suo essere, allo stesso tempo, esperienza di un mistero e pensiero, cioè fabulazione, glossa ed ermeneutica di questo stesso mistero; l’esperienza filosofica è esperienza del divino come assenza, spiegazione dell’inspiegabilità dell’Essere. La negazione di Dio e la negazione della verità sono dunque i parametri, reciprocamente coimplicantisi, che fungono da confini definitori del “moderno”: un territorio però inabitabile, argomenta Ugo Perone, qualora si decida di permanere in esso recidendo il nesso esistente tra la questione di Dio e della verità, tra fede e ragione. È precisamente questa l’operazione intrapresa tanto da coloro che cercano una conciliazione tra i due termini, con la sussunzione di uno nell’altro, quanto da coloro che ne rimuovono uno in modo esplicito. Il “pensiero della differenza”, che lega invece inscindibilmente l’uno e l’altro polo della relazione, è invece la strada indicata da Perone: la filosofia, interpretando “nuclei di verità” fuori di essa, senza produrli, si dirige alla religione come luogo privilegiato. Heidegger domanda come venga Dio alla filosofia. Per Vincenzo Vitiello in questa domanda si cela un’affermazione, quella relativa alla consustanzialità della questione di Dio e di quella dell’Essere; consustanzialità che si esprime proprio nel provenire della domanda non dalla fede, ma da un’esigenza intrinseca alla filosofia stessa. È dunque evidente come, in questa prospettiva, ciò che cade è proprio il nesso con l’esperienza di fede propria della religione: il Dio dei filosofi non è quello dei fedeli; non è, sostiene Vitiello, un Dio che risponde, ma un Dio che interroga, e la sua domanda è relativa all’essere dell’ente finito. Eppure è proprio a questa domanda che, secondo Wohlfart Pannenberg, la teologia, con l’ausilio “correttivo” della strumentazione filosofica, è orientata a rispondere. Se tuttavia la teologia, osserva Pannenberg, può effettivamente impegnarsi a sostenere la questione filosofica del problema della metafisica, la questione dell’esse- re, ci si dovrà legittimamente chiedere quanto una teologia siffatta non sia cresciuta sul terreno della metafisica, quanto, in ultima analisi, i presupposti metafisici dei suoi “strumenti” filosofici non siano il terreno più proprio da cui questa teologia non può uscire, identificandosi inesorabilmente con essi e, proprio per questo, rimanendo altrettanto inesorabilmente lontana da altre esperienze, come quella specifica della religione: la fede. F.C. Del diritto e della politica Trova spazio nel dibattito sul rinnovamento delle categorie di filosofia politica una nuova attenzione per i temi del diritto. Ne sono testimonianza l’uscita in Francia di tre testi che si situano sul crinale tra pensiero giuridico, riflessione antropologica e filosofia del diritto: Aux confins du Droit di Norbert Rouland (Ai confini del Diritto, Odile Jacob, Parigi 1992), La Force du Droit (La Forza del Diritto, Esprit, Parigi 1992), una panoramica del dibattito contemporaneo a cura di Pierre Bouretz, e Philosophie du Droit di Alain Renault e Lukas Sosoe (Filosofia del Diritto, PUF, Parigi 1992). Se è il concetto di democrazia a portare in sé la nozione di diritto come elemento di regolazione dei rapporti tra individui e istituzioni, è del resto proprio la modernità democratica, con la sua complessità e le sue esigenze, a costituire una sfida per il diritto. Da qui l’esigenza di una ridefinizione della teoria giuridica che, in colloquio con l’etica e l’antropologia, giunga a stabilire una relazione critica con i valori della modernità. È quanto fa Norbert Rouland nel suo: Aux confins du Droit, una veloce ma precisa ricognizione delle culture e della storia, fino alle “sorgenti del diritto”. La posizione dell’autore è netta nell’affermare che, se il diritto va oltre le formulazioni e le pratiche dei giuristi e non è un prodotto della pura teoria, prendendo anzi le forme delle differenti culture in cui si sviluppa, rimane tuttavia comune e fondamentale l’esigenza di pacificare i rapporti sociali, di contenere la violenza e di istituzionalizzare e regolare il ciclo della vendetta. Il riconoscimento del pluralismo giuridico è una delle conquiste, a cui la modernità è giunta attraverso alcuni passaggi fondamentali. Li si può riassumere schematicamente nel divenire storico del rapporto tra diritto e scrittura, che sottrae la legge alla consuetudine, ai legami comunitari e religiosi, e apre il campo delle interpretazioni in direzione di una concezione positiva e tecnica del diritto; infine nell’avvento dello Stato moderno, che impone «il monopolio statale del diritto» come unico criterio di regolazione del conflitto. A questo esito Rouland oppone una diversifica- TENDENZE E DIBATTITI zione degli ordini giuridici e il ricorso a «tecniche dell’ordine negoziato» che si situino sul terreno non istituzionalizzato dei rapporti interumani, delle relazioni con il proprio corpo e con gli «oggetti biologici». Su queste basi si può, secondo Rouland, ridurre la pretesa assolutistica dell’etnocentrismo giuridico per inaugurare una «ricerca transculturale dei diritti dell’uomo». Resta tuttavia la domanda se il relativismo giuridico ed il riconoscimento del diritto alla differenza non siano progetti incompiuti e privilegi inesportabili di una determinata civiltà. Il quadro di riferimento della raccolta di saggi: La Force du Droit, a cura di Pierre Bouretz, è quello di una «modernità affrancata da qualsiasi tradizione», dove l’urgenza di un rinnovato sistema giuridico misura nientemeno che la capacità «di fissare i nuovi contorni dell’umano per la società». In questa impegnativa prospettiva l’autore procede alla ricognizione delle scuole di pensiero giuridiche contemporanee: dalla teoria dell’interpretazione di Kelsen, alla considerazione del diritto come sistema autonomo (Luhmann), o come parte del sistema della comunicazione e del linguaggio (Habermas). Una particolare attenzione è rivolta alla “teoria della giustizia” di Rawls, che assume il diritto nella prospettiva dell’equità e non della semplice uguaglianza formale, chiamando in causa un principio di giustizia che rimane fondamentalmente extragiuridico e tuttavia accessibile alla ragione calcolante. È infatti la ricerca dell’interesse individuale e comune, con il corredo di scelte e di decisioni che l’accompagna, che consente di stabilire la nozione di giusto. In materia di libertà personale e di diritti individuali, ciò significa che «ciascuno deve avere un eguale diritto al sistema più esteso di libertà fondamentali eguali per tutti». È su questa base, dove il diritto individuale è temperato dal riconoscimento del diritto degli altri, che si può ora trovare uno spazio culturale e legislativo per la correzione delle ineguaglianze sociali. La riflessione di Alain Renaut e di Lukas Sosoe assume come punto di partenza la necessità sociale di un «reinvestimento dei valori giuridici». Un bisogno di diritto, questo, che è intimamente legato tanto alle regole di funzionamento di una società complessa, quanto alla necessità di norme per l’individuo, ormai disancorato dai valori etici della tradizione e posto davanti all’ «angoscioso problema del limite e del fondamento del limite». Secondo Renaut e Sosoe le attuali teorizzazioni filosofiche del giuridico, sia dal punto positivistico, sia storicistico, dimostrano la stessa incapacità di risposta circa le condizioni di possibilità «di un diritto irriducibile al fatto, ovvero di un diritto conforme a ciò che si deve pur continuare a considerare la sua essenza». Una posizione “criticista”, questa adottata dai due autori, che conduce inevitabilmente al problema di una fondazione umanistica del diritto, dove il soggetto viene rappre- sentato come coscienza e volontà, in una prospettiva universalistica che tuttavia non giunge a confrontarsi con la riflessione filosofica contemporanea, in cui l’idea di soggetto risulta dispersa o negata. Ancor più che con l’antiumanesimo filosofico, a partire dal quale non è data alcuna fondazione positiva del concetto di diritto, i due autori si confrontano con le obiezioni provenienti da dottrine che sostengono un “antimodernismo giuridico” e che vedono nella dissoluzione relativistica del diritto il portato storico e concettuale dell’Umanesimo stesso. Particolarmente dettagliate sono in tal senso le analisi dedicate a L. Strauss, M. Villey e Heidegger; in quest’ultimo, la posizione antimodernistica nei riguardi del diritto raggiunge la sua forma più pura e “iperbolica” nel momento in cui la decostruzione della metafisica della soggettività rende impossibile qualsiasi fondazione universale del diritto e, ricusando la nozione stessa di valore, svaluta radicalmente l’opposizione tra totalitarismo e stato di diritto. Solo le dottrine antimodernistiche, a giudizio degli autori, sono in grado di affrontare la dissoluzione positivistica e storicistica del diritto; il cammino verso la fondazione di un criticismo giuridico viene ricondotto nel solco del pensiero di Kant e di Fichte, uniti nel rifiuto dello storicismo e fautori di una concezione non naturalista e non individualista del diritto naturale. La critica dell’idea di natura umana, presente in questi due filosofi, evita di cadere negli impasses del giusnaturalismo classico e nel positivismo e pone una distinzione tra la morale e il diritto; distinzione legata al radicamento del diritto naturale nell’intersoggettività. La critica kantiana e fichtiana della metafisica del diritto naturale costituirebbe così lo “zoccolo” teorico di una «critica moderna» alla «moderna negazione del diritto», aprendo la possibilità di una «ricomposizione del soggetto di diritto». E.N. Filosofia sovietica: tradizioni e tendenze In un suo recente viaggio in quella che allora si chiamava ancora Unione Sovietica, Vittorio Hösle constatava la presenza di un grande interesse per la filosofia. La ricerca di nuove forme di orientamento nella realtà che sta assillando la cultura sovietica sarebbe motivata da una parte dalla crisi del marxismo e dall’altra dalla crisi dello Stato. Nel suo Consciousness and revolution in soviet philosophy: from the bolsheviks to Evald Ilyenkov (Coscienza e rivoluzione nella filosofia sovietica: dal bolscevismo a Evald Ilyenkov, University Press, Oxford 1991) David Bakhurst cerca di delineare una storia della tradizione filosofica sovietica attraverso la vita e il pensiero di Evald Ilyenkov, un autore che secondo Bakhurst è riuscito a rendere nuovamente stimolante il marxismo dopo la soppressione della cultura filosofica ad opera di Stalin. Il marxismo critico proposto da Ilyenkov non solo sembra in grado di fornire un’interpretazione particolarmente profonda di quel socialismo russo, che potrebbe aver fornito la base al fenomeno della perestroika, ma anche di ipotizzare una relazione con i filosofi di tradizione anglo-americana che condividono l’ostilità di Ilyenkov verso il dualismo soggettooggetto. Quattro sono le tendenze fondamentali della filosofia russa che Vittorio Hösle individuava: 1. Il marxismo-leninismo, attestato su posizioni difensive, considerato da un numero molto basso di filosofi come la filosofia “definitiva”; 2. Il gruppo d’intellettuali che fa riferimento a Gorbaciov, a cui appartengono filosofi di fama, che conformemente alla tradizione marxista mantengono buoni rapporti con la dimensione della politica. A questo gruppo appartiene I. Frolov, redattore-capo della “Pravda” e membro del Politburo, autore di opere sui problemi etici dell’età della tecnica; e inoltre Lektorski, curatore di “Voprosy Filosofij”, la più importante rivista specialistica di filosofia. Le sue ricerche vanno nel senso di un collegamento tra la teoria marxista della conoscenza e nuove posizioni, in particolare quelle di matrice analitica. Alla cerchia di Frolow va aggiunto anche W. Stepin, autore di opere dedicate a problemi di filosofia della scienza, che nel 1968 aveva protestato contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e venne perciò estromesso dal partito. Negli ultimi anni Stepin è stato chiamato a dirigere l’Istituto di filosofia dell’Unione Sovietica, dove ha sostenuto posizioni favorevoli alla perestroijka; 3. Un gruppo che cerca di collegarsi alla filosofia occidentale, politicamente vicino alle posizioni di Eltsin. Secondo alcuni degli intellettuali appartenenti a questo gruppo non sarebbe possibile introdurre in tempi brevi una democrazia di tipo occidentale nell’entità politica sorta dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ad essi appartiene E. Soloviev, che nelle sue ricerche di storia delle idee ha mostrato che la storia russa non ha conosciuto né Rinascimento, né Riforma, sostenendo l’importanza di un inserimento dei concetti e dei valori di fondo della cultura protestante nella cultura russa. Importanti contributi per lo scambio fra tradizione russo-sovietica e europeo-occidentale sono stati offerti da N. Motroscilova, a cui si devono l’organizzazione dei soggiorni a Mosca di filosofi come Habermas e Derrida, così come la traduzione di diversi scritti di questi pensatori; 4. Quest’ultima corrente rifiuta tanto il marxismo quanto la democrazia di tipo europeo-occidentale, e cerca la propria identità nelle antiche tradizioni della cultura russa. TENDENZE E DIBATTITI Jean-Jacques Rousseau e Friedrich Nietzsche La ricostruzione della storia della filosofia sovietica proposta invece da David Bakhurst attraverso il punto di vista del pensiero di Evald Ilyenkov, prende avvio dal dibattito, risalente al 1920, tra coloro che affermavano che la filosofia sovietica si sarebbe dovuta occupare di un materialismo rielaborato a partire dalla dialettica hegeliana, e coloro che difendevano invece il positivismo scientifico; ciò che veniva chiamato in causa era il ruolo stesso della filosofia. In quest’opera di ricostruzione, una fonte altrettanto importante dello stesso periodo è quella che fa riferimento alla psicologia “socio-storica” di Lev Vygotsky, la cui teoria della produzione sociale della coscienza anticipa parecchie posizioni successive di Ilyenkov. Per quanto invece riguarda il contributo e l’influenza di Lenin nello sviluppo della filosfia sovietica, Bakhurst afferma che il pensiero leniniano ha fornito non solo la base per l’esistenza di un pensatore come Ilyenkov, ma ha anche reso possibile sia l’empirismo scientifico moderno che il filisteismo sovietico in generale. La seconda metà dell’opera di Bakhurst è dedicata a Ilyenkov stesso, la cui filolofia è strettamente legata con i primi lavori di Marx e specialmente con il pensiero di Hegel. I temi principali che vengono presi in considerazione sono quelli della dialettica, dell’ideale e del soggetto, socialmente costituito, senza tralasciare il background filosofico di riferimento. Il cuore della filosofia di Ilyenkov è il concetto di ideale, che egli espone nei primi anni Sessanta. Qui l’ideale è considerato presente nella realtà oggettiva, in quanto il mondo reale si idealizza e acquista significato attraverso l’attività umana, orientata verso l’oggetto. Le nostre forme di pensiero appartengono perciò alla realtà stessa; conseguentemente un essere pensante è colui che può volgersi verso una condizione idealizzata. Analogamente in Vygotsky, secondo il quale la coscienza e la mente non sono innati, ma sono creazioni del sociale, e il soggetto e l’oggetto agiscono l’uno sull’altro in un mondo la cui principale attività è l’idealizzazione attraverso l’attività umana. Sorge tuttavia la domanda circa l’esistenza anteriore del mondo rispetto all’attività umana di orientamento verso l’oggetto. Non meno problematica è anche l’affermazione che interpreta i valori morali in analogia con il manufatto. Per Ilyenkov l’importante attività umana dell’idealizzazione giustifica per analogia sia i valori oggettivi ideali, che includono la morale, sia la produzione da parte di un essere umano di un manufatto, che in virtù dell’opera umana racchiude in sé un momento idealizzato. M.M./V.R. Nietzsche contra Rousseau Negli ultimi vent’anni si è assistito, in campo anglo-americano, ad una rinascita d’interesse per il pensiero politico all’interno della tradizione analitica, pur mantenendosi una decisa rilut- tanza verso i problemi centrali del dibattito politico non appartenenti alla tradizione liberale democratica. Solo recentemente questo interesse si è rivolto al pensiero e alla figura di Nietzsche. Ne è un’ulteriore conferma lo studio di Keith Ansell-Pearson, Nietzsche contra Rousseau: a study of Nietzsche’s moral and political thought (Nietzsche contra Rousseau: uno studio sulla morale e sul pensiero politico di Nietzsche, University Press, Cambridge 1991). A partire dal 1980 sono stati tradotti in inglese molti saggi sul pensiero nietzscheano di autori francesi e tedeschi: i quattro volumi, a cura di David F. Krell, del monumentale studio di Heidegger su Nietzsche (1979-1982), Nietzsche and philosophy di Deleuze (1983), Schopenhauer and Nietzsche di Simmel (1986), la raccolta di brani scelti di autori come Blondel, Derrida, Klossowski, Kofman ed altri apparsi in The new Nietzsche (1986), a cura di David B. Allison. Certo è che questa periodica rinascita dell’interesse verso il pensiero nietzscheano non può non essere messa in relazione con il collasso degli Stati socialisti nell’Europa Orientale, verso i quali Nietzsche provava un ben noto disprezzo. L’interpretazione di Nietzsche che Keith Ansell-Pearson presenta nel suo Nietzsche contra Rousseau differisce tuttavia da altre già proposte, in quanto non considera centrale nel pensiero nietzscheano la celebrazione anarchica del- TENDENZE E DIBATTITI l’assenza di tutte le identità istituite, bensì mostra Nietzsche come un pensatore che propone una posizione di mediazione tra una concezione anarchica di potere ed una autoritaria. Da questo punto di vista Ansell-Pearson rifiuta l’interpretazione tradizionale che vede Nietzsche e Rousseau contrapposti nel loro pensiero. In tal senso Nietzsche avrebbe erroneamente identificato la concezione di Rousseau con il pensiero del risentimento come quel pensiero che ha tolto valore alla forza vitale, caratterizzata da un’originaria libera attività spontanea, da una potenza illimitata. Se si considera accuratamente questo aspetto, osserva Ansell-Pearson, ci si accorge che non solo emerge un Rousseau più sottile nelle sue analisi, ma riusciamo anche meglio a chiarire la dimensione politica della filosofia di Nietzsche. Ansell-Pearson accetta la tradizione post-kantiana e quella post-hegeliana, secondo cui la modernità politica non può che essere compresa in virtù di una struttura che dia spazio alle antinomie: autonomia individuale-autorità, vita privata-condizione di cittadino, naturale-sociale. In tal senso Rousseau sarebbe il primo ad articolare e drammatizzare queste antiniomie, che a dispetto degli sforzi di Hegel non sono ancora state risolte. È appunto all’interno di questa prospettiva che secondo Ansell-Pearson i parado ssi nietzscheani possono essere valutati appieno. In questa differente interpretazione del pensiero di Rousseau non troviamo una difesa incondizionata dell’ugualitarismo, ma il riconoscimento della necessità della leadership nella forma di una aristocrazia elettiva; né troviamo una caratterizzazione di Rousseau come romantico rivoluzionario, che si appella ad un ritorno all’innocenza naturale, bensì ci troviamo di fronte a un Rousseau che insiste, come anche Nietzsche, sul fatto che ciò che noi chiamiamo umanità non è altro che il prodotto di un processo storico. D’altra parte, fa notare Ansell-Pearson, l’accentuazione che Nietzsche propone del pensiero di Rousseau ha le sue radici nel rifiuto critico di Voltaire. Si tratta allora di mettere a confronto questi due filosofi in relazione alla risposta politica e antipolitica che essi propongono di fronte ai mali della civilizzazione. La tensione esistente tra Rousseau e Nietzsche non deve pertanto essere usata per porli l’uno di contro all’altro, ma deve invece produrre un’adeguata dupplice lettura. La descrizione che attraverso la figura di Zarathustra Nietzsche propone dell’etica individuale è di fatto incompatibile con la sua concezione politica elitaria, basata sulla forza. In realtà è Rousseau, e non Nietzsche, che riesce a stabilire lo spazio politico in cui gli individui possono costantemente controllare e dominare se stessi. In definitiva bisogna riconoscere che il più grosso risultato che Ansell- Pearson riesce a conseguire con il suo volume è quello di aver evidenziato in maniera originale come il pensiero morale e politico di Nietzsche prenda forma in funzione alla posizione dei filosofi che lo hanno preceduto. V.R. Fenomenologia francese in traduzione tedesca Due recenti traduzioni sembrano indicare in Germania un interesse per alcuni sviluppi del pensiero filosofico francese di matrice fenomenologica. Si tratta di una nuova traduzione, in edizione storico-critica, di quello che divenne un “libro di culto” dell’esistenzialismo, L’essere e il nulla di Jean-Paul Sartre, che appare con il titolo: Das Sein und das Nichts. Versuch einer phänomenologischen Ontologie (L’essere e il nulla. Saggio di un’ontologia fenomenologica”, a cura di Traugott König e Hans Schöneberg, Rowohlt, Reinbek 1991) e della prima traduzione di un saggio recente di Emmanuel Lévinas, Hors sujet, tradotto con il titolo: Außer sich. Meditationen über Religion und Philosophie (Fuori di sé. Meditazioni sulla religione e sulla filosofia, a cura di Frank Miething, Hanser, München 1991). Nata in Germania con Edmund Husserl e sviluppata, con esiti differenziati di autonomia rispetto alla riflessione del maestro, da pensatori come Martin Heidegger, Max Scheler, E. Fink, la fenomenologia ha avuto un’ampia diffusione nella cultura francese degli anni ’30 e ’40 con opere come La trascendenza dell’ego (1936-37), L’immaginario (1940) e L’essere e il nulla (1943) di Jean-Paul Sartre, La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl (1930), Dall’esistenza all’esistente (1947), e Scoprendo l’esistenza con Husserl e Heidegger (1949) di Emmanuel Lévinas, La struttura del comportamento (1942), Fenomenologia della percezione (1945) e Senso e non-senso (1948) di Maurice Merleau-Ponty. Nelle opere dei filosofi francesi di formazione e orientamento fenomenologico, si facevano valere, in accordo col senso non-dogmatico e non-scolastico della filosofia husserliana, nuovi temi e nuove prospettive, che portavano il metodo fenomenologico ad aprirsi a nuovi ambiti di indagine, mettendolo in confronto critico con gli sviluppi heideggeriani della fenomenologia. In un’opera come Totalità e infinito (1961) di Lévinas, questa tendenza diventa aperta presa di distanza da alcuni aspetti non marginali della filosofia di Husserl, e in particolare dalle sue analisi della costituzione dell’“altro” nelle Meditazioni cartesiane. Il tema dell’altro, e quello ad esso legato della soggettività in cui e per cui l’altro si costituisce - che giunge alla filosofia fran- cese attraverso la traduzione di Lévinas delle Meditazioni cartesiane - ha una particolare rilevanza anche in L’essere e il nulla di Sartre. Di quest’opera esce ora in Germania una nuova traduzione, opportunamente dotata di un glossario, di un apparato storico-critico e di una postfazione di Traugott König, utili a rendere esplicito l’ambito di riferimenti della terminologia sartriana, che spazia dalle Meditazioni cartesiane a Essere e tempo di Heidegger a termini della dialettica hegeliana. Sono noti i tratti attraverso cui quest’opera sartriana si distanzia dalla lettera dei testi husserliani: la concezione dell’essere della coscienza come “per sé” e “libertà” nullificante, contrapposta alla solidità ed opacità dell’”in sé” delle cose o dell’Essere tout court; il tema dell’angoscia della scelta di fronte alla molteplicità dei possibili ed al sentimento di una responsabilità assoluta; i temi dello “scacco” e della “malafede”, esito del tentativo della coscienza di sottrarsi alla propria responsabilità, giustificando i propri comportamenti in base ai valori consacrati dai ruoli e dalle gerarchie sociali. Attraverso la descrizione dell’infelicità della coscienza nei suoi vani tentativi di colmare la mancanza che la caratterizza adeguandosi al modo d’essere dell’in sé, Sartre piegava così il metodo fenomenologico ad un’impostazione di carattere ontologico; e sviluppando l’analisi delle modalità del rapporto della coscienza con l’altro (un rapporto che fin dall’esperienza dello “sguardo” si configura negativamente, come riduzione del per sé ad oggetto) colorava la fenomenologia di tonalità di carattere morale. Un’accentuazione in senso etico della fenomenologia si ha anche in Lévinas, in cui però l’influsso di Husserl si sovrappone a quello di figure di pensiero della tradizione teologica ebraica, e in cui la discussione con Heidegger, implicita in tante categorie della filosofia di Sartre, diventa decisa avversione ad un pensiero che tenterebbe di costringere l’irriducibile alterità ed esteriorità dell’altro all’interno della totalità dell’essere. I saggi raccolti in Hors sujet, un’opera di cui non esiste ancora una traduzione italiana, sono intesi da Lévinas come un omaggio a pensatori che, in modo diverso, sono stati importanti per lo sviluppo della sua riflessione. Accanto a saggi dedicati a fenomenologi come Edmund Husserl, Martin Heidegger, Hermann Leo van Breda e Alphonse De Waelhens, a filosofi francesi come Vladimir Jankélévitch e Jean Wahl, cui Lévinas fu vicino nelle discussioni al Collège de France degli anni post-bellici, troviamo qui gli “omaggi”, non formali ma condotti nella prospettiva di una discussione critica, a pensatori del “dialogo” di matrice cristiana, come Gabriel Marcel, ed ebraica, come Martin Buber e Franz Rosenzweig. Il carattere paradossale e confinante con la teologia negativa della concezione dell’altro di Lévinas appare, in particolare, nei saggi dedicati a Buber, a cui Lévinas rimprovera di intendere il rapporto con l’altro TENDENZE E DIBATTITI come una relazione di comunicazione e di scambio tra termini uguali. Per Lévinas tale relazione - originariamente “etica”, in quanto mette il soggetto di fronte ad un’”esteriorità” irriducibile alla dimensione dell’identità, richiamandolo così alla propria responsabilità - è invece una relazione “asimmetrica” e, per così dire, sbilanciata dal lato dell’altro: nel volto del quale baluginano, per Lévinas, le tracce della trascendenza e dell’alterità divine. M.M. Scienza e filosofia Il problema del metodo, fondamentale nella ricerca filosofica, come in quella scientifica, per analizzare e spiegare una disciplina teorica, diviene essenziale quando si vuole ricercare le radici della scienza moderna, dato che ciò presuppone un contatto con culture scientifiche differenti dalla nostra, a cui non si possono applicare, generalizzando, i nostri principi di metodo. Questo problema viene affrontato da Geoffrey Lloyd per quanto riguarda l’antica scienza greca in Methods and problems in Greek science (Metodi e problemi nella scienza greca, University Press, Cambridge 1991). George Gheverghese Joseph in The crest of peacock: non-european roots of mathematics (La coda del pavone: le radici non europee della matematica, Tauris, London 1991) cerca invece di dimostrare come le radici della nostra cultura siano riscontrabili non solo, come vuole la tradizione eurocentrista, all’interno della cultura greca, ma anche nel pensiero matematico orientale. Robert N. Proctor in Value-free science?: Purity and power in modern knowledge (Scienza libera? Purezza e potere nella conoscenza moderna, Harvard University Press, Washington 1991) vuole invece prendere coscienza del significato che possiedono oggi i termini di libertà e neutralità, proclamati dalla scienza, rispetto a quello che possedevano nel XVII secolo. Contro le posizioni che appiattiscono la filosofia sulla scienza, si è alzata in questo secolo un’acuta critica, che ha preso di mira lo scientismo filosofico, considerato una misera infatuazione della filosofia per la scienza; a questo proposito si segnala infine il libro di Tom Sorell, Scientism: philosophy and the infatuation with science (Scientismo: filosofia e infatuazione per la scienza, Routledge, London 1991). Lo scopo centrale di Methods and problems in Greek science, volume che raccoglie 18 dei più importanti scritti di Geoffrey Lloyd, è quello di mettere in rilievo l’inadeguatezza di valutazioni superficiali e generalizzanti, che applicano il principio di semplicità all’antico pensiero scientifico greco. È comune infatti l’affermazione secondo cui gli “scienziati” dell’antica Grecia sarebbero da considerarsi dei dogmatici poco scientifici, poiché non riscontravano le loro teorie con il ricorso all’esperienza e all’osservazione. Ma parlare di scienza greca significa avere a che fare con un gran numero di progetti scientifici, che vanno dalla cosmologia, all’astronomia e meteorologia attraverso l’ottica e l’idrostatica, alla medicina e zoologia; il modo dell’osservazione scientifica in relazione alla teoria varia in tal senso considerevolmente rispetto alla scienza considerata, e nello stesso modo varia la tecnologia a disposizione delle varie discipline. Inoltre il modo in cui i Greci si appellavano all’osservazione scientifica riflette differenti e spesso complessi atteggiamenti nel considerare la relazione tra teoria e dati. In base a queste considerazioni Lloyd fa notare che il rischio cui si va incontro, quando si tenta di comprendere la cultura greca, è quello di non considerare le altre culture dello stesso periodo o allo stesso stadio di sviluppo, che offrono un importante verifica delle nostre interpretazioni. Altra forma di assunzione erronea è considerare la nostra prospettiva culturale come unico esito possibile dello sviluppo che lega il pensiero filosofico e scientifico greco al nostro odierno, dimenticando invece che esso è il prodotto di contingenze storiche. Facendo propria l’ammissione del fatto che le radici della nostra cultura non si trovano solo in quella greca, avendo questa risentito fortemente dell’influenza della cultura egiziana e di quella mesopotamica, George Gheverghese Joseph, nel suo libro The crest of peacock, si propone di fornire un completo ed esauriente studio delle matematiche extra-europee. In particolare a tutt’oggi si trascura ancora la radice africana dell’aritmetica egiziana, mentre si sottovaluta la matematica cinese e si ignora completamente il pensiero matematico ed i risultati tecnologici indiani. È evidente ormai, osserva Gheverghese Joseph, come alcuni dei risultati raggiunti dalla matematica moderna siano stati anticipati dal pensiero matematico indiano. Di tutt’altra impostazione è invece lo studio di Robert N. Proctor, Value-free science?: Purity and power in modern knowledge, che intende affrontare il problema dell’uso della conoscenza scientifica. Sebbene l’autore insista ripetutamente che la nostra comprensione della scienza deve essere condizionata dalla consapevolezza politica, dall’impegno morale e dal miglioramento delle condizioni umane, quest’opera appare come uno studio competente di storia delle idee. Il concetto di libertà e di neutralità della scienza è un prodotto della storia. In tal senso Proctor fa notare come differenti progetti scientifici, spesso opposti e incompatibili fra loro, si siano ugualmente serviti del concetto di libertà della scienza. Da questo punto di vista vengono esaminati sia il contrasto che nasce tra argomenti riguardanti fatti scientifici e affermazioni puramente morali, che non esprimono altro che opinioni e preferenze, sia il contrasto tra semplici questioni scientifiche e questioni fondamentali legate alla morale e ai valori. Interessante è anche la chiara dimostrazione di come il concetto di neutralità possa significare cose differenti, in relazione al contesto considerato, e come ciò che è implicito in questa nozione vari a seconda della funzione sociale degli argomenti particolari a cui essa si rivolge. L’analisi storica presente nel libro è divisa in tre parti. La prima considera il XVII secolo, la rivoluzione scientifica, la meccanizzazione del disegno del mondo, il declino della tecnologia e la rigida differenziazione di fatti e valori. Nella seconda parte viene analizzato il sorgere dell’ideale della scienza pura in Germania nel XVIII secolo e i dibattiti fra gli studiosi sulla possibilità e desiderabilità della libertà per la scienza. La parte finale del libro considera le recenti controversie, riguardanti le affermazioni di positivismo come presupposto per l’acquisizione del valore della libertà della conoscenza. Attraverso questa analisi storica lo studio di Proctor fornisce anche una descrizione sociologica dell’incidenza dell’ideologia della neutralità, come base per una cooperazione tra ambiti differenti e sostanzialmente in disaccordo tra loro. Secondo Proctor invece, nell’odierna situazione è importante che la ricerca scientifica e la conoscenza prodotta vengano valutate da posizioni di rigido impegno morale. Egli tuttavia non giustifica una morale specifica, né fornisce un tipo di conoscenza con cui giudicare la conoscenza scientifica. Alla critica dello scientismo come esagerazione dei risultati raggiunti dalla scienza, sottovalutazione di altri ambiti di conoscenza, applicazione illimitata dei metodi della scienza è rivolto infine il lavoro di Tom Sorell, Scientism: philosophy and the infatuation with science. Per Sorell lo scientismo è per definizione scorretto, ma non sempre dannoso. Ciò che invece appare realmente dannoso è lo scientismo in filosofia. In questo secolo lo scientismo filosofico ha significato in particolare ridurre la filosofia alla filosofia della scienza. Questa concezione ristretta della filosofia è propria del positivismo logico, che pur essendo stato attaccato e confutato, ha favorito l’idea che la filosofia possa per molti versi coincidere con la scienza. Per Sorell questo procedere del pensiero porta ad ignorare i legittimi problemi filosofici, invece di cercarne una risposta. Sorell si mostra particolarmente sensibile al ruolo critico della filosofia nei confronti dello scientismo, anche perché la filosofia possa fornire una soluzione. V.R. Ripensare la modernità In tempi di dibattito circa la fine della storia e l’ingresso nell’era del- TENDENZE E DIBATTITI la postmodernità, il recente lavoro di Bruno Latour, Nous n’avons jamais été modernes (Non siamo mai stati moderni, La Découverte, Parigi 1992), può rappresentare un monito significativo, nonchè una rinnovata proposta di riflessione. Nello spazio di questa riflessione sulla natura e gli oggetti della modernità si inscrive anche l’intervista di Latour a Michel Serres: Eclaircissements (Chiarimenti, François Bourin, Parigi 1992), ovvero “guida ragionata” al pensiero del filosofo ginevrino. La costituzione della modernità porta all’origine il marchio di una divisione netta tra il dominio del politico e quello della scienza. I due nomi che firmano questo progetto sono quelli di Thomas Hobbes e di Robert Boyle: teorico della legittimità del potere politico sulla società il primo, del potere scientifico sulla natura il secondo. Emblematico l’esempio che Bruno Latour adduce per dimostrare questa «grande divisione» posta a fondamento della mentalità moderna: si tratta della costruzione della pompa a vuoto, da parte dello scienziato inglese, un’invenzione di laboratorio che per essere realizzata dovette addirittura ottenere il riconoscimento da parte dell’autorità reale; questo imprimatur segnò la differenziazione dei territori del politico e dello scientifico, dove al Re spettava l’amministrazione della società e allo scienziato quella della natura. Da quel momento in poi la storia della modernità avrebbe dovuto procedere lungo i binari paralleli del progresso della scienza e di quello della «rappresentazione» politica. La realtà, secondo Latour, si è invece rivelata molto differente da questa partizione che mirava a isolare i due ordini. Basta anche solo citare l’ingegneria genetica, per accorgersi che le frontiere della ricerca scientifica si affacciano oramai su panorami complessi, dove hanno luogo forme composite di natura e cultura: “quasi-oggetti” - li definisce Michel Serres - di fronte ai quali l’intelletto dà prova di uno straordinario imbarazzo, convalidando il fatto che «i moderni rimangono incapaci di pensare se stessi». A partire da questo rilievo critico, il libro di Latour traccia i primi passi nella direzione di una rinnovata epistemologia, che sia insieme sociologia delle scienze, nell’intento di definire quegli ibridi di natura e cultura, che la modernità ha prodotto, ma che poi ha lasciato irriflessi. Un progetto, questo di Latour, che deve del resto molto al lavoro di ricerca di Michel Serres. In tal senso la recente pubblicazione della raccolta di interviste e colloqui dello stesso Latour con Serres può essere considerata una testimonianza della necessità di Latour di misurarsi con il riconosciuto maestro. Serres viene qui solleci- tato a rendere ancora più chiaro il suo discorso, a esplicitare le sue referenze. Eloquente nelle risposte, ma anche nella misuratezza con cui vengono solo sfiorate determinate questioni, il discorso di Serres procede limpido ed efficace nel fissare i contorni di una filosofia che si vuole «non critica» e intenzionalmente vicina alla tradizione filosofica che descrive. Una forte preoccupazione etica traspare da queste pagine, pessimismo sulle sorti di un’epoca che ha insegnato agli uomini ad amministrare l’esercizio del potere con la produzione di «cadaveri e di supplizi». E.N. Le regolarità e la ragione Ciò che più si riscontra nell’attuale dibattito sul “realismo” e sull’”antirealismo” è la tendenza verso una meta-teoria del significato, che non tiene conto dell’idealismo kantiano e dei risultati della meccanica quantistica, che potrebbero invece contribuire in maniera incisiva allo sviluppo di questa discussione. Negli Stati Uniti la filosofia ha tuttavia prodotto qualche sforzo in più per tentare di avvicinare la teoria fisica, come testimonia ad esempio la difesa di Hilary Putnam della logica quantistica. Bas C. Van Fraassen, con il suo nuovo libro Quantum Mechanics: an empiricist view (Meccanica quantistica: un punto di vista empirico, Clarendon Press, Oxford 1991), rappresenta il tentativo più sofisticato compiuto da un filosofo nel proporre una metafisica della scienza che possa conciliare le esigenze della teoria con quelle del senso comune, cercando di dimostrare, come già Cartesio, che le radici della fisica si trovano nella metafisica. La meccanica quantistica mette in dubbio a livello formale che la realtà sia distinta dagli espedienti per mezzo dei quali viene misurata. Coloro che per primi svilupparono questa teoria - Heisenberg, Schrödinger, Bohr e Richenbach - conoscevano bene, tuttavia, la filosofia kantiana e ciò che Kant chiamò realismo trascendentale. Perché allora questa teoria viene trascurata nel dibattito attuale su realismo e anti-realismo? E che cosa rende l’approccio semantico alla metafisica immune dalla speculazione fisica? Il libro di Bas C. Van Fraassen affronta questa discussione attraverso l’analisi di esperimenti di meccanica quantistica, tesi a dimostrare o meno la possibile indipendenza del mondo fisico dalla nostra osservazione e misurazione. In particolare Van Fraassen analizza gli esperimenti di Schrödinger, che voleva dimostrare che i fenomeni quantistici non possono essere confinati nel mondo della micro-fisica, in quanto vanno ad incidere sul regno della natura, e le ricerche di Einstein, Podolsky e Rosen che al contrario volevano restaurare la fede nella indipendenza del mondo fisico. Un problema questo che non è stato interamente trascurato dai filosofi inglesi: si ricordi il saggio di Michael Lockwood, Mind, Brain e the quantum (Mente, cervello e i quanti, 1989), in cui i problemi che sorgono nella meccanica quantistica venivano messi in relazione non solo con l’anti-realismo di Dummett, ma anche con questioni inerenti alla filosofia della coscienza; ma si ricordi anche la posizione assunta da Karl Popper sia in Quantum theory and the schism in physics (La teoria quantistica e lo scisma in fisica, 1982), sia in The logic of Scientific discovery (La logica della scoperta scientifica, 1934), in cui viene difeso un certo genere di realismo, nonché lo studio di Richard Healey, Incompleteness, nonlocality and realism (Incompletezza, nonlocalità e realismo, 1987). Van Fraassen intende ora fornire un’alternativa al realismo scientifico, formulando una forma di empirismo, capace di considerare distinta l’esigenza dell’informazione da quella per la verità. Lo scopo della scienza non è quello di cercare il vero in quanto tale, ma quello di dare una spiegazione adeguata rispetto ai fenomeni osservati, cioè una verità “empirica”. Essa deve rimanere neutrale rispetto alla verità del realismo; non può rispondere alla domanda se esiste una realtà oltre i risultati dell’osservazione. L’enigma che sorge dalla meccanica quantistica nasce all’interno del campo dell’osservabile ed è relativo ai concetti necessari per fornire una sua descrizione consistente. In un tale contesto problematico, una discussione come quella sorta tra Einstein e Heisenberg non può essere assimilata a quella che mette a confronto la posizione risalente a Kant e quella di Dummett. Nella sua sofisticata discussione sul determinismo Van Fraassen afferma che il mondo fisico può ospitare fenomeni che non sono compatibili con le teorie causali tradizionali; che si possono trovare degli spazi nella fisica in cui esiste un elemento indeterministico; che la teoria dei quanti è cosí coinvolgente da indurci a credere che le principali questioni conoscitive che essa esprime riguardino i termini e le dimostrazioni da essa chiamati in causa. Se la teoria dei quanti la si considera da questo punto di vista, essa non vuole fornire la nozione di causalità in quanto tale, e le leggi che essa indica appaiono come le migliori possibili per spiegare questi fenomeni, sempre che non si voglia andare oltre questi fenomeni nel tentativo di fornire la descrizione di una “sottostante struttura” esistente, che non produce altro che problemi. Secondo Van Fraassen questa teoria sarebbe consistente: subentrano contraddizioni solo quando in maniera ingiustificata si tenta di conciliarla con il “senso comune”. Ma ciò che alla fine egli non spiega è proprio il rapporto che questa teoria ha con il realismo e quale ne è il progetto di spiegazione scientifica, cosicchè la sua alternativa al realismo scientifico rimane un’ipotesi oscura. V.R. PROSPETTIVE DI RICERCA John Locke PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Epistemologia e ontologia in Locke L’importante scritto filosofico di John Locke Saggio sull’intelletto umano (1690), è oggetto di un grosso studio in due volumi di Michael Ayers dal titolo: Locke, volume one: epistemology and volume two: ontology (Locke, volume uno: epistemologia e volume due: ontologia, Routledge, London 1991). Ayers scorge nel pensiero di Locke potenti e sofisticati argomenti a favore di una epistemologia e di una ontologia realista capace di opporsi in maniera costruttiva a molte ricorrenti affermazioni anti-realistiche. Questa posizione di Ayers fonda le sue radici su una approfondita analisi del testo di Locke, e sulle problematiche affrontate dai suoi predecessori e contemporanei. Ne risulta non solo un’acuta analisi dell’argomento lockiano e insieme una critica delle teorie dell’epoca, ma anche importanti premesse per una ontologia e una epistemologia realistica in contrasto con quel pensiero contemporaneo che affonda le sue radici nell’idealismo. Sovente Locke è stato considerato come un filosofo che non è riuscito a seguire fino alle sue ultime conseguenze il proprio pensiero. Se lo avesse fatto, probabilmente sarebbe giunto alle stesse conseguenze della filosofia di David Hume. Michael Ayers, nel suo recente studio sul filosofo, rifiuta totalmente questa posizione. La famosa adozione, da parte di Locke, del termine “idea”, che appartiene al cuore della sua epistemologia, non deve essere considerata, secondo Ayers, solo in relazione ai suoi predecessori, come Cartesio, Gassendi, Arnauld ed altri, ma deve essere posta anche a confronto con Aristotele e con l’ultima scolastica, guidata da Francisco Suárez. Così come l’uso di questo termine in Aristotele può essere compreso solo all’interno della sua metafisica, allo stesso modo si può comprendere la posizione di Locke solo se si considera il suo pensiero sulla natura e sull’origine dell’esperienza come intimamente connesso con l’adozione delle forme sostanziali della scolastica. Non si tratta con questo, osserva Ayers, di considerare Locke come colui che identifica l’oggetto intenzionale della percezione con un oggetto reale del mondo. Piuttosto, le idee lockiane devono essere concepite come una dimostrazione evidente dell’indipendenza dell’esistenza delle cose. Locke, in tal senso, si dimostrerebbe scettico non riguardo all’esistenza delle cose, ma alla loro essenza. Secondo Locke infatti gli atomi dell’esperienza - le idee semplici sono i segni naturali dell’esistenza di una struttura causale regolare. Esse ci permettono di avvicinarci al mondo, ma non ci rivelano la sua essenza. A questo proposito Ayers fornisce un’analisi molto dettagliata del pensiero Locke sulla percezione delle qualità degli oggetti, mettendo in evidenza come per Locke, a differenza degli idealisti, la conoscenza percettiva sia conoscenza delle relazioni spaziali e causali esistenti tra gli oggetti e noi stessi. Da ciò Ayers prende spunto per riaffermare, contro l’odierna epistemologia, il ruolo della coscienza, recuperando la tesi tradizionale secondo cui la coscienza e l’intenzionalità intrinseca o primaria procedono di pari passo- una tesi, questa, che contro una interpretazione funzionalista della mente mette in ombra il posto assegnato al linguaggio nell’acquisizione dei concetti. Nel secondo volume della sua opera Ayers prende soprattutto in considerazione il concetto di sostanza, e in particolare di sostanza materiale, esaminando il posto che questo concetto occupa nell’ontologia lockiana, la coerenza generale della posizione di Locke e la forza filosofica di una teoria realista della sostanza, in rapporto alla discussione sulla natura del meccanicismo e sulla sua relazione con il razionalismo e l’empirismo. La sostanza mentale viene analizzata da Ayers in un secondo momento, ponendola in relazione con la concezione lockiana dell’induzione, della legge morale e della libertà umana. A proposito della nozione di identità in Locke, Ayers coglie l’occasione per riaffermare che la coscienza di se stessi come oggetti materiali fra altri oggetti compenetra essenzialmente la nostra esperienza sensoriale delle cose in generale, per cui la categoria di sostanza materiale non può essere facilmente rifiutata. Attraverso il pensiero di Locke, Ayers rie- sce a conferire una base stabile alla sua proposta realista. Tuttavia l’intento di fornire un’analisi storica e approfondita del pensiero lockiano spesso si confonde con la necessità di esporre contemporaneamente la propria posizione filosofica. V.R. Austin: teoria degli atti linguistici Nel campo della filosofia analitica, il nome di John L. Austin è legato alla formulazione della cosiddetta “teoria degli atti linguistici”. Gli “speech acts” sono appunto il tema di dodici conferenze tenute dal giovane e geniale docente inglese, originariamente raccolte sotto il titolo How to do Things with Words, e ora tradotte in Francia a cura di Gilles Lane, Quand dire, c’est faire (Quando dire è fare, Seuil, Parigi 1991). Affrontando lo studio del linguaggio comune, la tradizione analitica, che ha uno dei suoi capiscuola in Bertrand Russel, tende a ricondurlo ad un modello matematico che analizza le varie formulazioni del discorso secondo i paramentri di vero o falso, giusto o scorretto. Il linguaggio viene così a ridursi ad una serie di “affermazioni” che disporrebbero o meno di uno statuto logico, mutuato, come si è detto, dal modello logico-matematico. La teoria degli atti linguistici di John L. Austin, rivelando come nel linguaggio comune siano presenti enunciati di tipo “imperativo, dichiarativo, interrogativo”, ha provveduto a rovesciare questo ordine di valori. Il linguaggio di ogni giorno ha una propria “performatività” che esorbita dalla mera funzione affermativa e definitoria. È il caso delle formule giuridiche o religiose che sanciscono la pubblicità e la legittimità di un atto, quale il matrimonio o il battesimo. La linguistica, prendendo in esame le ritualità, le convenzioni ed i moduli espressivi di una determinata cultura, si trova così a confinare con le scienze sociali e con la stessa psicologia, dal momento che deve tener conto anche delle componenti soggettive che informano il discorso: la sincerità del locutore e l’effetto prodotto sul- PROSPETTIVE DI RICERCA l’uditore. Una semplice locuzione d’avvertimento, ad esempio, può avere un valore “perlocutorio”, quando la persona a cui viene rivolta ne risulta allarmata oltre misura. L’attenzione portata al contesto in cui avviene la comunicazione discorsiva porta Austin a concludere che «qualsiasi» atto linguistico tende a «compiere qualcosa», ovvero a «considerare l’affermazione come una enunciazione prodotta in un contesto ed essenzialmente produttiva di qualcosa, non foss’altro che della ‘descrizione’ di una situazione». L’impostazione di Austin, che si vuole modestamente considerare una sottodisciplina della linguistica e che si propone di studiare «l’impiego del linguaggio nella comunicazione», diventa bensì l’analisi del linguaggio comune e delle sue condizioni di operabilità, inaugurando quella scuola che, in ambito anglosassone, viene chiamata pragmatica. E.N. Dialettica materialistica e metafisica speculativa Sotto la guida di Hans Heinz Holz è attivo dal 1980 presso il Dipartimento di Filosofia della Rijksuniversiteit di Groningen (Olanda) un gruppo di ricerca sul tema: Storia e trasformazione della metafisica. Tra i temi trattati nel programma di ricerca figurano alcune vecchie conoscenze del cosiddetto materialismo dialettico: la teoria della conoscenza come “rispecchiamento” dell’essere nel pensiero, il concetto di totalità, la dialettica della natura; ma anche ricerche inedite, come quella sulla possibilità di una fondazione “metafisico-speculativa” della dialettica intesa in senso “materialistico”. Da quando, nel 1979, Hans Heinz Holz viene chiamato alla cattedra di filosofia dell’Università di Groningen, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università, ha preso avvio un programma di ricerca sul tema: Storia e trasformazione della metafisica, a cui hanno contribuito anche Detlev Pätzold, Jos Lensink e Jeroen Bartels. Alcune delle principali problematiche di questo programma, che si configura come un tentativo di recupero di un concetto “speculativo” di ragione, venivano delineate da Holz, con riferimento a Leibniz, Hegel e a Josef König (un pensatore attivo nel nostro secolo a Göttingen e da noi ancora pressochè sconosciuto), già nella sua lezione inaugurale sul tema: “Natura e contenuto delle proposizioni speculative”. Si può dire che punto di partenza di questo progetto di ricerca sia la questione dello statuto della verità filosofica, considerata indipendentemente dall’ambito di ricerca delle scienze particolari. La filosofia, così come è intesa da Holz, costruisce le sue teorie solo a partire dall’esperienza del pensiero, ed in questo senso è “speculativa”. Un secondo aspetto caratteristico di questa concezione della filosofia (e qui si situa il riferimento a Hegel e a Leibniz) è il suo carattere sistematico e la sua utilizzazione del concetto dialettico di totalità come categoria fondante, in quanto ogni “pensato” rinvia ad un orizzonte che lo trascende e la rappresentazione di un “ente” nel pensiero implica già che venga posto l’insieme di tutti gli enti; lo sviluppo di ogni concetto determinato deve condurre dunque, secondo Holz, alla totalità infinita del mondo. In contrasto con le singole teorie scientifiche, la dialettica - nucleo fondamentale della metafisica speculativa che si vorrebbe restaurare - viene così intesa come “metateoria critica”, che ha a che fare con la questione dell’unità del sapere e del suo orizzonte infinito. In quanto l’attività del pensiero viene concepita come speculativa (si postula cioè che si diano concetti “a priori”), si tratta di vedere in che modo tali concetti si rapportano alla realtà. È l’antica questione metafisica del rapporto tra pensiero ed essere, a cui qui viene data risposta riprendendo la teoria engelsiana e dialettico-materialistica della conoscenza come “rispecchiamento”. Alla base del programma di ricerca del gruppo di Groningen vi è il problema della possibilità e della configurazione di una filosofia intesa alla luce delle concezioni del “materialismo dialettico”, cioè di una forma del materialismo che si ispira alla Dialettica della natura di Engels e che trova tra i suoi antenati la filosofia classica tedesca (Kant, ma soprattutto Hegel e, nel caso specifico, anche Leibniz), piegandone però le istanze all’esigenza di fondare una posizione gnoseologica “realistica”. Attraverso il riferimento alle tematiche della Dialettica della natura si vuole da un lato sottolineare il significato ontologico che si attribuisce al rapporto di rispecchiamento stabilito tra pensiero ed essere; dall’altro si intende far valere la categoria della totalità (o della “connessione complessiva”) come costitutiva di una concezione materialistico-dialettica della natura. Un aspetto ulteriore di questa concezione viene poi introdotto attraverso un richiamo a Leibniz, per il quale le categorie fondamentali della dialettica della natura vengono sviluppate come “equivalenti di momenti formali della realtà”. Un altro tema di rilievo di questo progetto di ricerca è quello del rapporto tra filosofia e scienza. Se Engels sviluppava i concetti della propria concezione della natura in rapporto alle acquisizioni della scienza ottocentesca (ed in particolare alle teorie dell’evoluzione), Holz indica l’esigenza di tener conto, oggi, dei nuovi sviluppi delle scienze, ed in particolare della teoria della relatività e della fisica delle particelle elementari. Un altro problema che viene posto dagli attuali sviluppi delle scienze, e soprattutto dalla loro applicazione tecnologica, è quello della funzione della società come istanza di mediazione tra sapere e prassi: una prassi sociale che viene intesa da Holz come “cardine della filosofia materialistico-dialettica” e che viene considerata come “rapporto naturale”, cioè come rapporto condizionato dalla natura, che del resto è parte costitutiva dell’uomo. Una componente importante della dialettica diventa così l’antropologia, per la costituzione della quale Holz trova alcuni spunti in Helmut Plessner, che collocava l’antropologia filosofica al confine tra storia naturale inconscia e storia consapevole dell’umanità. M.M. Rivalutazione di Frege Il pensiero di Glottlob Frege è stato per parecchi anni considerato quasi esclusivamente da un punto di vista prettamente storico, mentre è stato poco considerato per quanto riguarda i risultati che egli si era prefisso, in quanto ciò che egli aveva cercato di dimostrare, e cioé che l’aritmetica è una branca della logica, fu decisamente confutato dalla successiva dimostrazione di Russell dell’inconsistenza della teoria degli insiemi. Recentemente il pensiero di Frege è stato rivalutato in particolare da Michael Dummett, che ha posto al centro del dibattito odierno lo specifico e rivoluzionario contributo di pensiero di Frege alla questione del metodo filosofico, alla logica, alla metafisica, alla filosofia della mente, alla semantica e alla filosofia del linguaggio. Sulla scia di questa rivalutazione si pone anche il recente studio di Dummett dal titolo: Frege: philosophy of mathematics (Frege: filosofia della matematica, Duckworth, London 1991). Verso la fine della sua vita, quando ormai Frege aveva accettato le implicazioni devastanti delle dimostrazioni di Russell circa l’inconsistenza della teoria degli insiemi, la sua ricerca, salvo poche eccezioni, iniziava per lo più ad essere considerata da filosofi e matematici un completo fallimento. È proprio questa opinione che Michael Dummett, nel suo recente studio su Frege, cerca di confutare se non addirittura di invertire. Dummett è molto preciso nell’evidenziare gli errori di Frege, ma anche nel riconoscere il suo debito verso pensatori come Dedekind, Peano, Husserl, Cantor, Russell e Hilbert, tenendo ben presente i successivi sviluppi che si sono avuti in filosofia della matematica, che permettono a Dummet di considerare sopprattutto i meriti dell’approccio fregeano nei confronti delle teorie formaliste, nominaliste, intuizioniste dell’epoca. Combinando argomenti storici e filosofici, Dummett passa in rassegna, alla luce dei testi, molti degli argomenti di cui Frege si occupò, come ad esempio la natura dei numeri, la relazione tra logica e aritmetica, PROSPETTIVE DI RICERCA Martin Heidegger e Theodor W. Adorno l’esistenza di oggetti matematici, le questioni riguardanti la necessità, il significato, il riferimento, la dimostrazione, l’identità, l’infinito e così via. Gran parte di questo studio è dedicata a un’analisi dettagliata del saggio di Frege: Die Grundlagen der Arithmetik (Fondamenti dell’aritmetica, 1884), e di alcuni passi selezionati di Grundgesetze der Arithmetik (Leggi fondamentali dell’aritmetica, 1893-1903), mettendo in evidenza uno degli aspetti più controversi dell’interpretazione dummettiana. I Grundgesetze espongono senza dubbio il punto di vista finale e definitivo di Frege, ma ciò non significa che questa sua ultima concezione sia la stessa o sia perlomeno in accordo con quella esposta circa dieci anni prima nei Grundlangen, come invece cerca di dimostrare Dummett. Ma al di là di questi specifici problemi d’interpretazione, il principale pregio dello studio di Dummett risiede nel contributo che egli fornisce al dibattito contemporaneo sulla filosofia della matematica, proponendo una valida giustificazione del neofregeanismo, che egli considera tutt’oggi come la teoria più convincente sulla natura generale della matematica. Nonostante le due principali debolezze del programma originale di Frege, da una parte la sua acritica assunzione della validità della logica classica per i problemi riguardanti la quantificazione di entità infinite, dall’altra la sua fiducia in un metodo capace di giustificare l’esistenza di oggetti matematici, Dummett considera questo programma coerente e capace di chiarire ciò che è la matematica, stabilendo chiaramente quali siano i suoi oggetti, la sua applicabilità universale, la verità e la capacità di informazione delle sue asserzioni, la natura della sua necessità, e la possibilità per noi di possedere una conoscenza a priori delle sue verità. Certo è che le considerazioni di Dummett sono sufficientemente forti e controverse da rendere questa sua analisi di estrema importanza per lo sviluppo contemporaneo del problema dei fondamenti della matematica. V.R. Heidegger e Adorno. Muovendo da quello che può essere considerato il centro teorico del problema del linguaggio e della denominazione, Alexander Garcìa Düttmann, nel suo studio Das Gedächtnis des Denkens. Versuch über Heidegger und Adorno (La memoria del pensiero. Saggio su Heidegger e Adorno, Suhrkamp, Francoforte 1991), riesce a mettere in luce analogie e strutture comuni a questi due pensatori fondamentali della storia della filosofia tede- sca di questo secolo. Agli studi finora disponibili sul problema del rapporto tra Adorno e Heidegger Alexander Garcìa Düttmann rimprovera un eccesso di semplificazione nel contrapporre l’atteggiamento dei due pensatori di fronte al nazismo. Scegliendo come tema centrale dell’analisi la questione e il significato del “nome” nell’opera dei due filosofi, Garcìa Düttmann tenta invece di sottrarsi ad una presa di posizione unilaterale e pregiudiziale, individuando nel denominare un’operazione fondativa del pensiero in generale, e dunque anche del pensiero politico. L’indagine di Garcìa Düttmann prende le mosse da una contrapposizione delle esperienze storico-politiche di Adorno e Heidegger sotto i titoli di “Auschwitz” e “Germania”, che mettono in evidenza rispettivamente la dimensione della “colpa” e quella della “fondazione” (Stiftung). Da questo punto di vista le due filosofie si trovano contrapposte in modo apparentemente inconciliabile, e non sembrano in grado di render conto dell’unicità dell’accadere. Interpretando, per così dire, Adorno contro se stesso, Garcìa Düttmann mette in contrasto l’idea adorniana della “colpa” e del “nome” con una concezione in cui i due concetti si situano in una diversa costellazione: quella di una universalizzazione PROSPETTIVE DI RICERCA necessaria della colpa come impossibilità di sottrarsi alla connessione della colpa. Da questo punto di vista la colpa diventa una sorta di inevitabile ingiustizia che è implicita nell’operazione della denominazione, che individualizza e distingue ciò che di per sé non è nominabile e distinguibile e che sempre precede la denominazione. Ma questa operazione colpevole è allo stesso tempo necessaria, in quanto solo attraverso i nomi è data “la possibilità del senso, dell’esperienza e del linguaggio” e senza di essi l’evento resterebbe inespresso. Si spiega così come, per Adorno, la denominazione non sia solo “colpa”, ma rappresenti anche l’apertura della possibilità della memoria di un evento. Evidenziando poi come proprio a questa apertura Heidegger conferisca un significato fondamentale in quanto “fondazione”, Garcìa Düttmann indica in conclusione che tanto in Heidegger quanto in Adorno il linguaggio, e con esso l’origine della memoria, possiedono una doppia struttura, al tempo stesso di “colpa” e di “fondazione”. M.M. La corrispondenza Freud-Ferenczi È recentemente apparso nelle librerie francesi il primo volume della corrispondenza fra Sigmund Freud e Sandor Ferenczi Correspondance 19081914 (Calmann-Lévy, Parigi 1992): è l’opera di un gruppo di traduttori, ricercatori, psicanalisti, legati alla rivista “Le Coq Héron”, fondata nel 1970. La cura del volume è di Judith Dupont, per la traduzione, e di André Haynal, per l’apparato critico. Specialisti e stampa hanno accolto questo evento con soddisfazione: la traduzione, l’apparato critico sono eccellenti. In concomitanza con questo evento editoriale, viene pubblicata l’edizione delle opere complete di Sandor Ferenczi, Psychanalyse (Psicanalisi, voll. I-IV, Payot, Parigi 1992) e il suo Journal critique: janvier-octobre 1932 (Giornale critico: gennaio-ottobre 1932, Payot, Parigi 1992). Forse questo voluminoso epistolario, come è stato osservato, non apporta contributi nuovi o “rivoluzionari” all’esegesi delle teorie freudiane; tuttavia, grazie anche all’opera dei curatori, Judith Dupont e André Haynal, esso offre due ritratti affascinanti e complessi nell’inchiostro di una lunga, tormentata corrispondenza. Attraverso le pieghe, gli adombramenti, i non detti delle lettere, l’intrecciarsi delle risposte possiamo ritrovare la passione, la curiosità e il duro lavoro di due uomini consci di essere protagonisti di una nuova avventura del pensiero e della scienza, due figure in risonanza con i problemi dell’epoca (l’ultima lettera di questo volume, del 28 luglio 1914, testimonia della preoccupazione di Freud per l’assassinio di Francesco-Ferdinando a Sarajevo). Ferenczi, in particolare, fin dalla sua esperienza come medico a Budapest nel 1897 (era nato nel 1873 da una famiglia di ebrei polacchi emigrati) si prodigò per una medicina “sociale”: celebre e scandalosa fu la sua difesa dell’omosessualità nel 1906 in un testo coraggioso presentato all’Associazione medica di Budapest. Egli rifiutava i pregiudizi reazionari della classe dominante che indicavano negli omosessuali, detti “Uraniani”, un elemento disturbante dell’ordine sociale. Ferenczi conobbe Freud nel febbraio 1908, quando il maestro, allora cinquantaduenne, era uno scienziato riconosciuto e un patriarca attorniato da un folto numero di allievi. Nel 1907, Ferenczi entrò a far parte delle “Serate psicologiche del mercoledì”, veri e propri seminari, i cui protagonisti (Karl Abraham, Carl Gustav Jung, Ernst Jonas fra gli altri) discutevano dei loro risultati “pioneristici”, della cultura del tempo, della loro vita privata: incontri “febbricitanti”, come risulta dall’epistolario, in cui Freud viene ritratto come un uomo sempre preoccupato della logica e della scientificità delle costruzioni teoriche e Ferenczi, al contrario, uomo più intuitivo, impulsivo. L’epistolario ci restituisce questa antinomia, ma anche questa “benefica” complementarietà fra una mente scientifica e rigorosa e un atteggiamento clinico più preoccupato dei risultati terapeutici che delle ipotesi scientifiche. Questa divergenza scandisce i momenti più importanti del rapporto fra i due scienziati: la scoperta del “controtransfert” e il dibattito sull’”occultismo”. Ferenczi scopre nel 1908 l’esistenza del “controtransfert”, uno dei tasselli essenziali della situazione analitica teorizzata da Freud due anni dopo. Il problema si pone nel momento in cui Ferenczi vuole sperimentare gli effetti del controtransfert su di sé: diviene così analista della propria amante e poi della figlia di questa, di cui si innamorerà a sua volta con effetti disastrosi su tutti. Freud si inquietò moltissimo e dovette prendere in analisi la figlia amata dell’amante di Ferenczi: la storia ha un esito “felice”, l’equilibrio è ricomposto attraverso l’analisi. In seguito, nel 1912, Sandor entra in analisi con Freud, sebbene all’inizio il maestro fosse contario a questa operazione, tanto più che i nodi affettivi sono assai intricati fra i due scienziati: Freud considera da sempre Ferenczi come un “figlio”. I rapporti s’invertono nel 1926 quando Ferenczi, ritenendo Freud soggetto a seri disturbi psichici, gli propone di entrare in analisi con lui. Per quanto riguarda l’occultismo, Ferenczi è e rimane sempre affascinato da questo problema e consulta astrologhi, fattucchiere e zingare, credendo nella trasmissione telepatica del pensiero. Freud sopporta questa situazione, finché nel 1913 decide di dimostrare scientificamente l’esistenza della telepatia. Ferenczi ne è entusiasta e scrive a Freud: «Quando verrò a Vienna, mi presenterò come l’astrologo di corte degli psicanalisti». F.M.Z. Montaigne oggi La nuova edizione italiana dell’opera di Michel de Montaigne, Saggi (traduzione a cura di Fausta Garavini, voll.III, Adelphi, Milano 1992) ripropone la questione della collocazione storica del pensatore francese e, nel contempo, della sua modernità: il presupposto di un soggetto giudicante si rovescia nella conferma dei suoi limiti, nella sua dissoluzione. Erede e precursore di correnti e spunti teorici che lo pongono, dal punto di vista storico, come crocevia del dibattito filosofico e culturale del suo tempo, la meditazione di Michel de Montaigne risulta, per taluni aspetti, vicina a tematiche contemporanee, almeno quanto lo è a quelle del Cinquecento. La formazione di Montaigne è tipicamente umanistica; come larga parte della cultura della sua epoca, anch’egli è più debitore nei confronti dei classici della letteratura latina di quanto non lo sia verso quelli del pensiero filosofico stricto sensu. La riflessione di Montaigne si nutre abbondantemente di argomentazioni scettiche; questo riferimento, a un tempo culturale e filosofico, nel caso del pensatore francese assume una duplice valenza, o meglio un carattere bifronte. Da un lato il suo scetticismo, come fondamento di un nuovo ideale di saggezza, si pone in evidente relazione con il pensiero libertino, e con la sua critica corrosiva di ogni pretesa fondazione razionale della conoscenza del mondo, della credenza religiosa, dell’agire morale e di quello politico. La riduzione a opinione, ipotesi e congettura di ogni verità metafisica, scientifica o morale, è infatti, in Montaigne, l’esito del lavoro di un “libero pensatore” nel senso più ampio del termine, un erudito che nell’isolamento personale e sulla scorta delle proprie meditazioni e letture si trincera nel distacco ironico, se non freddo, con il quale usi, costumi e “vanità” umane vengono giudicati. In questo senso, come sostiene Antimo Negri in un suo recente intervento critico a proposito di questa edizione, il relativismo culturale al quale perviene la meditazione di Montaigne, il riconoscimento della pluralità divergente e irriducibile dei “punti di vista”, lo collocano in una relazione significativa con l’Illuminismo. D’altra parte la svalutazione delle pretese di esaustività dello strumento razionale e, in generale, delle potenzialità conoscitive dell’uomo, lasciano in ultima analisi inviolato il santuario della credenza religiosa, qualora esso sia affidato alla fede: e se il conservatorismo politico di Montaigne - che pure potrebbe risultare incrinato dalla sua posizione più propriamente filosofica - rimanda all’idea di una “naturalità” dell’esistente nelle sue abitudini, così la rivalutazio- PROSPETTIVE DI RICERCA ne della religione richiama una “naturalità” della credenza nell’esistenza di Dio. Come gli elementi e i motivi scettici, anche la caratterizzazione che l’io assume nella riflessione di Montaigne mostra un aspetto bifronte. Da una parte la sua meditazione pone prepotentemente in primo piano la soggettività individuale dell’autore, dove la centralità dell’ego, anche dal punto di vista stilistico, è esplicitata da Montaigne in modo prima inedito, un modo che lo ha reso una delle figure più significative delle origini del pensiero moderno per l’affermazione dell’istanza soggettivista, in evidente sintonia con l’impostazione cartesiana. L’insistenza sui limiti dell’io si giustifica proprio dal punto di vista di questo io, e ha come conseguenza l’affermazione della relatività dei punti di vista, non solo nel senso del relativismo culturale, “ideologico”, ma delle stesse esperienze esistenziali degli individui. D’altra parte, all’individuo viene in questo modo sottratta la certezza di un fondamento sostanziale ad esso proprio e viene risucchiato nel gorgo delle “sue” esperienze, che non sono più “proprie”. Quasi paradossalmente, la “contemporaneità” di Montaigne sta proprio in questo rovesciamento dialettico: l’istanza scettica, che pure si fonda sul presupposto del punto di vista di un io giudicante, non perviene a un io che chiude in modo unitario il complesso delle esperienze che lo costituiscono. Il percorso della riflessione sembra piuttosto svolgersi nel senso di un mettersi in gioco di questo stesso io; il punto di arrivo dissolve quello di partenza. F.C. Fenomenologia dello Spirito: nuova traduzione francese La traduzione della Fenomenologia dello spirito di Hegel in lingua francese, compiuta da Jean Hyppolite nel 1941, oltre a costituire un evento per la cultura filosofica d’Oltralpe, è stata il testo di riferimento per più di una generazione di intellettuali. Non è eccessivo affermare che la conoscenza della dialettica e del sistema hegeliano in Francia è passata attraverso la mediazione di Kojève e di Hyppolite, del quale è stato tra l’altro recentemente ripubblicato: Figures de la pensée philosophique (Figure del pensiero filosofico, PUF, Parigi 1991). A mezzo secolo di distanza, a cimentarsi nella traduzione del fondamentale testo hegeliano (Phenoménologie de l’Esprit, Aubier, Parigi 1991) è un allievo di Hyppolite: Jean-Pierre Lefebvre. Germanista di fama, traduttore di Hölderlin, Kant e Marx, Jean-Pierre Lefebvre si è immerso per cinque anni nell’«etere» filosofico hegeliano prima di dare alle stampe questo suo lavoro di traduzione, che si propone di rileggere alcune categorie centrali del filosofo di Jena, rinnovando il vocabolario dove quello adottato da Hyppolite si dimostrava troppo datato o troppo tecnicistico, senza del resto temere di far ricorso ad etimi o formulazioni del francese non più in uso, ma contemporaneo al periodo che ha visto la stesura della Fenomenologia. L’intenzione è dunque quella di restituire la «dimensione linguistica» del testo hegeliano, concepito come introduzione ai corsi universitari. Si trattava in tal senso di ripristinare il ritmo essenzialmente orale di quest’opera, che ha introdotto il linguaggio popolare nell’universo filosofico, intrecciando la concretezza con l’astrazione e portando ad altezza di concetto l’espressione idiomatica. Testo pensato per l’esposizione, come molti saggi di Hegel, la Fenomenologia conserva le cadenze, la forza ascensionale e dimostrativa di un pensiero-parlato, essenzialmente conciso, ma con le digressioni, i rallentamenti e le espansioni tematiche tipiche dell’ordine orale. Sotto questo riguardo, la traduzione di Lefebvre è molto attenta alle articolazioni semantiche del testo, alle «spezie retoriche» che rendono così caratteristico il filosofare hegeliano; coraggiose, ma motivate le scelte lessicali. Le differenze con la traduzione di Hyppolite sono spesso rimarchevoli e tali da introdurre delle novità concettuali in espressioni ormai invalse da un punto di vista storico e culturale. È il caso, tra i molti, della coppia Herr und Knecht (padrone e servo), che Hyppolite traduce con maître et esclave (padrone e schiavo), mentre Lefebvre la riformula nei termini di maître et valet (padrone e servo), scelta che ripresenta l’universalità di tale rapporto in una locuzione più vicina al fondo sociale e alla terminologia ad Hegel contemporanea. Propedeutica dell’intero sistema, la Fenomenologia può essere letta come il Bildungsroman del Sapere Assoluto dove sono delineate le tappe del processo di formazione, trasformazione e conquista tanto della coscienza, quanto del sapere. Riproporla oggi in una nuova versione, significa rinnovare quel lavoro di appropriazione critica che in ogni traduzione si compie, nel quadro di riferimento ideale e linguistico del tempo. Si vuole così ribadire, al di là delle critiche allo “spirito di sistema”, la centralità delle categorie hegeliane per la lettura della nostra epoca. In estrema sintesi - come ha affermato Hyppolite - l’impegno vuole essere quello «di non trattare Hegel ‘come un cane morto’, ma di ripen- sarlo e, per utilizzare un’espressione heideggeriana, di ‘ripeterlo’ alla luce del mondo attuale». E.N. Schelling: filosofia della mitologia Concepita da Luigi Pareyson all’inizio degli anni Settanta e realizzata sotto la sua direzione, la collana Philosophica varia inedita vel rariora dell’editore Mursia può oggi annoverare fra i suoi titoli, in prima edizione mondiale, il volume: La phillosophie de la mythologie de Schelling (a cura di Luigi Pareyson e Maurizio Pagano, introduzione di Maurizio Pagano, Mursia, Milano 1991), contenente la trascrizione in lingua francese di due corsi di lezioni tenuti da Wilhelm Friederich Joseph Schelling a Monaco nel 1835-36 e a Berlino nel 1845-46, concernenti la filosofia della mitologia. Il testo dei due corsi fu redatto rispettivamente da Charles Secrétan e Henri-Frédéric Amiel, sulla base degli appunti raccolti durante le lezioni. L’importanza di questa edizione consiste nel fatto di confermare da una parte l’interpretazione generalmente ammessa di un evolversi della filosofia schellingiana della mitologia, ma anche di precisare dall’altra alcune tappe essenziali di questa evoluzione, rettificando in tal modo la tendenza a considerare questa filosofia come un insieme di testi definitivi. Di una philosophie en devenir come quella Wilhelm Friederich Joseph Schelling è all’altezza solo una ricerca storico-critica che sappia mantenersi a sua volta en devenir. Una ricerca che, inoltre, non abdichi al suo ruolo “eversivo”, ma sappia scompaginare e rifluidificare, insistendo sulle varianti a scapito dei testi cosiddetti “finiti”, l’interpretazione consolidata e quindi ritenuta sbrigativamente canonica. Ciò vale specialmente per la Schelling-Forschung, che gode oggi senza dubbio di buona salute, ma è da sempre costretta a sopravvivere in una situazione filologica a dir poco lacunosa. Ciò anzitutto per il quasi totale silenzio editoriale cui Schelling si votò nella seconda metà della sua vita. Di qui la frammentarietà e provvisorietà della Spätphilosophie, nonché l’enorme rilevanza di qualsiasi nuova Nachschrift che sia in grado di gettare luce sulla sua filosofia intermedia e tarda. A ciò si aggiungano, poi, la distruzione durante il secondo conflitto mondiale di uno dei due Nachlässe esistenti (quello monachese), e la conoscenza alquanto insufficiente dell’estesissimo epistolario, in parte sicuramente perduto, e comunque non pubblicato, anche per le parti conservate, in modo del tutto critico né da Plitt, né da Fuhrmans, i due più autorevoli storiografi schellingiani. PROSPETTIVE DI RICERCA Proprio per ovviare almeno in parte a questa deplorevole condizione della SchellingForschung nacque la collana internazionale “Philosophica varia inedita vel rariora”, diretta da Luigi Pareyson nell’ambito del “Centro di studi sul pensiero tedesco”, da lui stesso fondato presso l’Università di Torino, ed edita in una veste editoriale accuratissima prima presso la Bottega d’Erasmo e oggi presso Mursia (in Germania la collana è distribuita dall’editore Meiner di Amburgo). In attesa di un’edizione veramente critica e complessiva delle opere di Schelling, avviata solo nel 1976 dalla Bayerische Akademie der Wissenschaften e purtroppo giunta a tutt’oggi appena al quarto volume della prima delle quattro sezioni previste (che non copre ancora neppure il periodo della filosofia della natura degli anni 1797-1799), Pareyson decise, a partire dal 1972, di affidare a ben noti specialisti la cura di testi schellingiani di primaria importanza. Ricordiamo in primo luogo la fondamentale raccolta, curata e introdotta dallo stesso Pareyson, di tutti quegli scritti schellingiani che, perché frammentari o di importanza apparentemente secondaria o perché anonimi e di incerta attribuzione, furono esclusi, con grave detrimento per gli studiosi, sia dall’edizione ottocentesca di Cotta che da quella novecentesca del giubileo curata da Schröter. Risultato di questa raccolta è un volume di oltre 700 pagine, Schellingiana rariora (Bottega d’Erasmo, Torino 1977) contenente 185 tra scritti e frammenti pubblicati da Schelling stesso o da altri dopo la sua morte, tutti scrupolosamente annotati e contestualizzati (data, fonte, storia della genesi) e di valore certamente non solo biografico. Se è vero che Schelling attende ancora un suo biografo, uno strumento imprescendibile in questa direzione è costituito dai tre ampi volumi di testimonianze curati da Xavier Tilliette. Il primo, Schelling im Spiegel seiner Zeitgenossen (vol.I, Bottega d’Erasmo, Torino 1974, circa 600 pagine), presenta quasi 600 tra citazioni, resoconti e dichiarazioni, principalmente di origine epistolare o diaristica, di quasi tutti coloro che, amici o semplici conoscenti, filosofi, poeti o uomini politici, ebbero occasione di incontrare Schelling nelle diverse fasi e sedi della sua attività. Ma, com’è destino di ogni ricerca di questa natura, ben presto questa prima raccolta si mostrò incompleta, e allora Tilliette, seguendo il solo criterio possibile, quello pragmatico - ricordiamo qui le sue parole: «bisogna smettere quando non vale più la pena di proseguire la caccia» - andò via via integrandola. Con il secondo e altrettanto imponente volume (oltre 500 pagine), Schelling im Spiegel seiner Zeitgenosse. Ergänzungsband. Melchior Meyr über Schelling (vol.II, Bottega d’Erasmo, Torino 1981), Tilliette offriva infatti l’esito di ricerche compiute su molti altri epistolari del tempo. Accanto a questi nuovi materiali, ancora una volta ordinati in successione cronologica e annotati, Ti- liette pubblica inoltre, facendola precedere da un’utile premessa informativa, una importante e ampia scelta dai diari di un allievo di Schelling, il poco noto poeta e filosofo bavarese Melchior Meyr, mettendoci così a disposizione informazioni sugli ultimi decenni della vita di Schelling (a partire dal 1830), sulle lezioni e le vicende pubbliche, ma anche e soprattutto sulla sua vita quotidiana; si potrebbe quasi dire un inedito Schelling en pantoufles. Completa il volume una breve scelta dal diario (18351836) di un altro membro della ristretta cerchia schellingiana, il poeta Heinrich Puchta. In un terzo e meno ampio volume di aggiunta, Schelling im Speigel seiner Zeithenossen. Zusatzband (vol.III, Mursia, Milano 1988) Tilliette completa questa imponente ricerca con 211 nuove testimonianze, ricavate principalmente dai diari (del periodo 1827-1841) di Schmeller, Roth e Boisserée. Ma a Pareyson premeva soprattutto avviare la pubblicazione delle numerosissime Nachschriften dei corsi di Schelling, dalle quali si attendeva un vero e proprio rinnovamento radicale dell’attuale redazione della filosofia positiva. Qui come in altri casi la filologia, pur contravvenendo all’esplicita intenzione dell’autore (era desiderio di Schelling, infatti, che non si pubblicassero i molti manoscritti delle sue lezioni, tanto meno quelli dei suoi uditori), commette una felix culpa. E proprio nella collana pareysoniana apparvero già negli anni settanta due tra le più importanti Nachschriften allora disponibili: le Stuttgarter Privatvorlesungen, versione indedita curata, introdotta e annotata da Milkos Vatö (Bottega d’Erasmo, Torino 1973), che raccoglie appunti di Georgii risalenti al 1810 e poi rielaborati dal figlio di Schelling secondo le indicazioni paterne, e la Grundlegung der positiven Philosophie, Münchner Vorlesung WS 1832/33 und SS 1833, curata e commentata da Horst Fuhrmans (Bottega d’Erasmo, Torino 1972) ovvero la cosiddetta “grande introduzione alla filosofia” (circa 500 pagine), ricavata dai primi due di cinque quaderni di appunti di J.G.C.F. Helmes ritrovati nel monastero benedettino di Vaals e qui integrati, nelle loro parti lacunose, da un’altra Nachschrift di autore ignoto (J.B.B.D.) del semestre invernale 1833-34 e da brani già editi nei Werke. Un secondo volume dell’opera, più volte annunciato da Fuhrmans e contenente commenti e confronti con altre Nachtschriften, non vide mai la luce. Le Stuttgarter Privatvorlesungen nella trascrizione di Georgii, importantissime soprattutto per la perdita del manoscritto schellingiano usato dall’editore Cotta e qui pubblicate, proprio per facilitare l’inevitabile lavoro di collazione, insieme al testo dell’edizione Cotta, ad alcuni estratti del “Calendario di Schelling per l’anno 1810" e ad alcune lettere a Georgii, costituiscono l’esordio di quella imponente “eremeneutica del cristianesimo”, in cui molti vedono il compimento della riflessione schellin- giana, un momento di transizione in cui il filosofo cerca di ricollocare, per quanto in maniera puramente schematica, la nuova “filosofia della libertà”, sviluppata l’anno precedente nella Freiheitsschrift, entro la struttura sistematica ereditata dalla filosofia dell’identità. Nell’amplissima Introduction historiques et philosophique, preposta ai testi, Vetö mette a fuoco con grande competenza tutte le dimensioni toccate in queste lezioni, quella ontologica (ripresa della dottrina delle potenze, ma in un quadro che prevede una processualità non solo logica ma storica), quella antropologica (emersione di un’autentica teosofia basata sulle tre potenze dell’animo, dello spirito e dell’anima intesa come elemento impersonale) e quella escatologica (teoria del male come “disarmonia positiva” di origine non fisica ma spirituale, e dell’immortalità come “essentificazione”). I due corsi monachesi, raccolti nella Grundlegung der positiven Philosophie dopo una densa introduzione storico-critica in cui Fuhrmans ricostruisce tutti i corsi del periodo monachese e berlinese, nonché la situazione delle relative Nachschriften, testimoniano l’intenzione schellingiana di erigere, in antitesi a Hegel, ma anche prendendo le distanze dalla propria filosofia dell’identità, una “filosofia positiva” che, pur essendo sistema e muovendo dall’assoluto, abbandoni il piano della logica e della necessità per abbracciare in sé la vita e la realtà, senza per questo cadere in un cieco irrazionalismo. Questa dottrina di Dio e della creazione si articola secondo Schelling in quattro sezioni: dalla contrapposizione di filosofia logica e filosofia storica si procede a un esame storico dei sistemi razionalistici moderni (da Cartesio all’idealismo), con la presentazione dell’empirismo filosofico regressivo nel suo carattere scientifico (emancipato, quindi, dal suo presunto valore solo propedeutico), per giungere, infine, alla vera e propria filosofia positiva, vale a dire il passaggio dalla filosofia ascendens alla filosofia finalmente descendens con l’emancipazione del concetto della logica. Nell’ultimo e recente volume della collana, La philosophie de la mythologie de Schelling (Mursia, Milano 1991), a cura di Luigi Pareyson e Maurizio Pagano, la pubblicazione di altre due importanti Nachschriften, redatte in lingua francese da Charles Secrétan e Henri-Frédéric Amiel e concernenti rispettivamente due corsi di lezioni tenuti da Schelling a Monaco nel 1835-36 e a Berlino nel 1845-46, dedicati alla filosofia della mitologia, apporta un contributo decisivo al chiarimento dell’ultima fase di pensiero di Schelling, quella più marcatamente orientata in senso religioso-teosofico, che pone capo alla cosiddetta “filosofia positiva”. Il primo corso dedicato alla filosofia della mitologia, tenuto da Schelling a Erlangen, risale al 1821; il tema fu poi ripreso in diversi corsi dopo il 1827. È però solo a partire dal 1831 che alla filosofia della mitologia fa seguito la PROSPETTIVE DI RICERCA Friederich Wilhelm Joseph Schelling (incisione di A. Schultheis) PROSPETTIVE DI PROSPETTIVE RICERCA DI RICERCA filosofia della rivelazione, che con la prima viene a costituire la cosiddetta “filosofia positiva”. Nella prima Dio si manifesta come natura necessaria, nella seconda si qualifica nei termini di un essere personale e libero. Significativo è il carattere della nozione di rivelazione, quale emerge dagli appunti di Henri-Frédérich Amiel: la rivelazione è il mezzo, e non il fine, perché il fine è la fondazione di una “libera religione” che, quanto alla forma, viene a coincidere con il libero pensiero e, quanto al contenuto, con la “ragione nella sua pienezza”, che è Dio. Ciò comporta che la nozione filosofica di rivelazione non si sovrapponga a quella della rivelazione di una particolare religione positiva. La valutazione riduttiva del pensiero di Schelling, espressa altrove da Amiel, pare che non abbia influito sulla sua trascrizione dei corsi. Circa vent’anni dopo il corso di lezioni monacense, Amiel considerava infatti la speculazione di Charles Secrétan, accomunandola in ciò a quella di Schelling, come “un’eredità medievale”, un tentativo di «fare della filosofia un’ancella della teologia cristiana», mirante a dedurre dalla teorizzazione filosofica una particolare religione positiva. La posizione “comparativistica” e teistico-illuminista di Amiel in materia di filosofia della religione, che lo porta alla condanna del pensiero di Schelling per un suo presunto carattere confessionale, tende a occultare il debito contratto nei confronti del pensatore tedesco. Come nota nella sua Introduzione Maurizio Pagano, questa posizione si accompagna a incertezze presenti nello stesso Amiel, sospeso fra relativismo comparativista e primato della fede cristianoprotestante. Tutto ciò, oltre a confermare la distanza critica fra maestro e allievo, autorizza l’ipotesi, nel caso della trascrizione di Amiel, di una possibile sovrapposizione di punti di vista su questioni d’importanza fondamentale per l’intera meditazione schellingiana. Senz’altro più consona alla concezione di Schelling è la posizione di Charles Secrétan, il cui confronto con il pensatore tedesco non si limitò all’ascolto delle sue lezioni. A differenza degli appunti di Amiel, che si presentano in forma più sintetica, la trascrizione delle 51 lezioni di Secrétan dà al testo un andamento maggiormente discorsivo. Mentre nelle lezioni trascritte da Secrétan viene prima ripresa l’Introduzione alla Filosofia della mitologia, presentata nel 1834, poi analizzate le mitologie egiziana, indiana e greca, le lezioni monacensi, oggetto delle note di Amiel, abbracciano la filosofia della mitologia nel suo complesso. Il raffronto tra questi materiali e le parti corrispondenti dell’edizione Cotta mostra come Schelling nel progredire della propria ricerca non mutasse sostanzialmente il proprio punto di vista teorico, ma tendesse a innervarlo in una mole sempre più rilevante e aggiornata di dati storici. In questo modo risulta confermata quella linea interpretativa che considera la posi- zione di Schelling, in merito alla filosofia della mitologia, a partire da quella espressa nella sua versione finale, riassuntiva di quelle precedenti, e cioè nelle lezioni di Monaco. Ma l’evoluzione della concezione di Schelling conferma anche la sua convinzione che la filosofia riposa sempre su fatti. Non ci si può rifiutare di sottomettersi ad essi; e il progresso del pensiero consiste appunto nel cercare incessantemente nuovi fatti per poterne dare una spiegazione, potenziando in questo il meccanismo stesso della scienza, che rimarrebbe sterile, se finisse col chiudersi in un argomentare tautologico, che si nutre esclusivamente di forme astratte. In questo è racchiuso il senso profondo della filosofia della mitologia dell’ultimo Schelling, in polemica da un lato con Kant, dall’altro con Hegel. Appare inoltre chiara la congruenza di queste affermazioni con la prospettiva di “filosofia positiva” di cui fanno parte, quando Schelling distingue, in relazione all’esistenza di qualcosa, tra condizioni negative e condizioni positive: tanto le kantiane forme a priori, quanto il prius assoluto hegeliano si collocano in tal senso dal “lato negativo”, rispettivamente delle condizioni della conoscenza e di quelle dell’esistenza della realtà. D’altra parte, se fin dalle lezioni del 1835-36 emerge con evidenza che è il fondamento fattuale della filosofia della mitologia a fare di essa una scienza, solo nelle lezioni del 1845-46 diviene chiaro che ciò che distingue la filosofia della mitologia dalla mitologia pura e semplice è la prospettiva organicista, la connessione di una molteplicità di elementi in un’articolazione organica. In conclusione, se l’evoluzione della speculazione schellingiana, quale emerge dal contenuto di queste trascrizioni, non contraddice i propri presupposti, bisogna tuttavia notare come quella parte dell’edizione canonica riguardante la filosofia della mitologia sia da considerarsi più la sedimentazione stratificata di un pensiero in divenire, che non il testo di un’opera pronta per la pubblicazione. È grazie alla collana Philosophica varia inedita vel rariora se conclusioni di questo genere sono oggi possibili e se conseguentemente la ricerca storiografica italiana si è imposta all’attenzione degli studiosi nella pubblicazione degli inediti schellingiani. La limitata diffusione di questa collana è tuttavia dovuta per lo più al pregiudizio secondo cui la pubblicazione di appunti e testimonianze concernenti un determinato autore riguarderebbe solo gli specialisti e i filologi. Invece, essendo l’ultima filosofia schellingiana un mero “palinsesto” in via di sistemazione, è ora che al serio contributo filologico si riconosca la stessa dignità che si è soliti concedere al lavoro interpretativo. Tanto più per una “filosofia dinamica” come quella schellingiana, aperta come e più di altre ad infinite interpretazioni proprio per il suo carattere intimamente metaforico. L’anti- NOTIZIARIO E’ stata ufficialmente presentata a Torino, in occasione del salone del libro la nuova rivista di filosofia PARADOSSO. La rivista nasce per iniziativa di Massimo Cacciari, Sergio Givone, Carlo Sini, Vincenzo Vitiello, Margherita Petranzan e si propone di dar vita ad un lavoro di ricerca filosofica rigoroso, fortemente caratterizzato, ma non accademico, nè settoriale, con l’intento di far dialogare prassi e pensiero non rigidamente collocate o collocabili all’interno di chiusi ambiti disciplinari. Emblematico quindi il titolo della rivista che, richiamandosi al duplice significato del termine “paradosso”, che rimanda in un senso a “ciò che é lontano dalla comune opinione”, in un altro a ciò che é “meraviglioso”, vuole proprio cogliere l’essenza della filosofia e dello spirito che anima questa rivista. Rivolgendosi ad un pubblico non necessariamente “addetto ai lavori”, i contenuti degli articoli si presentano con un linguaggio scevro da ogni forma di retorica di tipo accademico, eppure carico dell’indispensabile rigore e della scientificità d’approccio, limpido e diretto. La rivista é a scadenza quadrimestrale e si articola secondo tre sezioni fondamentali: “Saggi”, di impostazione monografica,”Scholia”, cioé glosse filologico-filosofiche a proposito di testi o di singoli passi classici, “Percorsi”, sezione libera da vincoli tematici, che raccoglie interviste, inediti, studi filologici, compendi di conferenze e lettere di particolare interesse. La sezione “Saggi” ha carattere monografico e sviluppa nel corso dell’anno un tema particolarmente rilevante nel dibattito filosofico; la programmazione per il 1992 approfondirà nuclei tematici inerenti alla questione della Natura: “Dialogo sulla natura”, “Ethos e natura”, “Natura e Sovranatura”. L’ARCHIVIO-BLOCH di Ludwigshafen (Germania) ha acquisito 47 lettere inedite indirizzate dal filosofo alla sua collaboratrice ed allieva Ruth Römer. I testi costituiscono un’interessante documentazione relativa agli anni in cui il filosofo fu attivo a Lipsia. NOTIZIARIO È deceduto in un incidente stradale in Cecoslovacchia il filosofo VILÈM FLUSSER. Emigrato nel 1940 dalla Germania in Gran Bretagna e poi in Brasile, Flusser ha vissuto negli ultimi anni in Francia. In opere come Ins Universum der technischen Bilder (Nell’universo delle immagini tecniche) e Die Schrift (La scrittura) Flusser ha analizzato la società attuale dal punto di vista della presenza e dell’influsso delle tecniche computeristiche, mettendo l’accento sulla difficoltà di distinguere in esse ciò che è fittizio da ciò che è reale. In una tale società anche la scrittura andrebbe gradatamente perduta a favore del sistema binario attraverso cui avviene l’elaborazione computerizzata delle informazioni. Ma dall’epoca del computer e dai suoi sviluppi tecnologici Flusser si attendeva anche lo sviluppo di un nuovo tipo di polis e di una decentralizzazione del potere politico. Una recensione dell’ultima opera di Flusser Gesten. Versuch einer Phänomenologie (Gesti. Tentativo di una fenomenologia) è apparsa nel n. 6 di “Informazione Filosofica”. HELMUTH KUHN è morto all’età di 92 anni. Nato nel 1899 a Lüben in Slesia, Kuhn si laurea nel 1923 e consegue l’abilitazione all’insegnamento universitario nel 1930. Dopo aver lavorato a Berlino come Privatdozent, Kuhn emigra nel 1938, sotto la pressione del regime nazista, negli Stati Uniti, dove insegna prima alla North Carolina University e successivamente all’Emory University di Atlanta. Nel 1949 ritorna in Germania diventando docente dapprima a Erlangen e poi a Monaco. È tra i fondatori della Philosophische Rundschau e tra i curatori della Zeitschrift für Politik. Dal 1957 al 1962 è stato presidente della Società generale tedesca di filosofia. Tra gli ambiti principali in cui si è esercitata la sua attività di studioso si possono indicare la metafisica, la filosofia greca, la filosofia politica e l’estetica. Sua opera fondamentale nell’ambito degli studi di filosofia politica è Der Staat (Lo stato), del 1967, in cui si mostra tra l’altro come ogni stato dipenda da presupposti di carattere religioso e spirituale che esso stesso non può creare. Si ispira ad alcuni versi del poeta russo Ossip Mandelstam il titolo di una nuova rivista semestrale di poesia e filosofia, KAMEN , di cui è ora in libreria il primo numero. Articolata in sezioni di volta in volta dedicate ad argomenti di poesia, filosofia, critica e poetiche, la rivista si propone di presentare, nella prospettiva di un lavoro di ricerca e di scelta di valori, testi poetici originali e traduzioni, riflessioni sul rapporto tra filosofia e poesia, contributi critici sull’attività poetica e documentazioni relative alle poetiche di artisti contemporanei e non. Nel numero 1 vengono proposti, accanto ad una nuova traduzione poetica del Cantico dei cantici, dovuta ai biblisti Luigi Commissari e Giuseppe Barbaglio, tre testi inediti di Carlo Michelstaedter (Parmenide, Zenone lo stoico, Questione centrale) facenti parte del “Fondo Michelstaedter” della Biblioteca Civica di Gorizia. L’ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI STORICI bandisce un con- corso a dodici borse di studio per l’anno accademico 1992-1993, per giovani laureati in Università italiane. L’importo di ciascuna borsa sarà di L. 10.000.000, qualora i vincitori non risiedano nella provincia di Napoli, e di L. 7.000.000, se residenti nella provincia di Napoli. Al concorso possono partecipare tutti coloro che siano laureati in Lettere o in Filosofia, e i laureati in Giurisprudenza o in Scienze politiche o in Economia e Commercio o in Architettura che abbiano svolto la tesi in discipline storiche o filosofiche, che non abbiano superato il trentacinquesimo anno di età alla data del 1 ottobre 1992 e che non abbiano ancora usufruito di borse di studio presso l’Istituto; sono inoltre esclusi dalla partecipazione al concorso gli ammessi ai dottorati di ricerca, così come coloro che percepiscano altre borse di studio o che svolgano altre attività retribuite. I concorrenti dovranno presentare alla Direzione dell’Istituto (via Benedetto Croce 12 - 80134 Napoli), entro il 1 ottobre 1992 (farà fede il timbro postale), domanda in carta semplice, includendo le indicazioni della data e del luogo di nascita, della cittadinanza italiana, della residenza, e la dichiarazione che nulla risulta a carico del candidato presso il rispettivo Casellario giudiziario. Per ulteriori chiarimenti i candidati potranno rivolgersi alla Segreteria dell’Istituto tra le ore 9.00 e le 13.00 (tel. 081/5517159-5512390). Con la nuova collana della Fromman-Holzboog, PHILOSOPHISCHE CLANDESTINA DER DEUTSCHEN AUFKLÄRUNG, avviata in collabo- razione con Ulriche Meyer e curata da Martin Pott, viene presentata per la prima volta una raccolta rappresentativa degli scritti filosofici clandestini dell’illuminismo tedesco. Si apre con ciò la porta a testi di autori, che nella prima metà dell’epoca illuministica in Germania vennero condannati in quanto spiriti liberi, atei, o spinozisti e con ciò divieto di pubblicazione dei loro scritti, oltre a persecuzioni personali. Con la documentazione di questi scritti viene anche alla luce una linea della tradizione tedesca finora sepolta, che allarga la nostra immagine dell’illuminismo e la arricchisce circa i suoi primi avvii radicali. Gli scritti di Stosch, Lau, Wagner, Bucher, Wachter ecc., che oggi nelle biblioteche sono rintracciabili a malapena, offrono un panorama impressionante della molteplicità di temi dell’illuminismo radicale che, all’interno della ricerca storica, è stato finora appena preso in considerazione. Per porre rimedio all’attuale carenza, i singoli volumi sono corredati da introduzioni bio-bibliografiche e appendici con dettagliata documentazione. Nei documenti si tratta degli atti dei processi proibiti, delle repliche e delle polemiche dei contemporanei, che raccolgono le reazioni di uomini noti come Leibniz, Spener, Pufendorf o Thomasius. La collana si apre con gli scritti di Theodor Ludwig Lau (1670-1740), radicale, il più rappresentativo del gruppo di liberi pensatori tedeschi dell’inizio del XVIII secolo: Meditationes philosophicae, Theses, Dubia philosophico-theologica. Con il volume di Fabio Bazzani, Unità Identità Differenza. Interpretazione di Schopenhauer, si inaugura la collana FILOSOFIA. TESTI E STUDI delle edizioni fiorentine Ponte alle Grazie. La collana, diretta dallo stesso Fabio Bazzani, intende proporre all’attenzione degli studiosi e dei lettori una serie di volumi che contribuiscano ad una riconsiderazione complessiva di figure e momenti particolarmente significativi del pensiero filosofico nel quadro della cultura della modernità, soprattutto sul versante dell’etica e sul versante teoretico, con specifico riguardo a quelle interpretazioni che pongano al centro dello svolgersi argomentativo la problematica esistenziale-esperienziale. Sono in preparazione i seguenti volumi: due testi di Kierkegaard, di cui uno inedito in Italia, nella traduzione di K. Ferlov, riveduta da M. L. Sulpizi, con il titolo: Per provare se stesso e Giudica da te; un volume collettaneo su aspetti generali e particolari della teoresi di Marx e della successiva elaborazione e ricezione dal titolo: Continente Marx; una nuova traduzione di L’essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach, condotta da F. Bazzani e D. Haibach sull’edizione del 1849; uno studio di M. Matteini su MacIntyre dal titolo: Crisi della cultura etica e prospettive per una rifondazione. MacIntyre e la morale contemporanea; la traduzione integrale dello studio di Georg Simmel, Schopenhauer e Nietzsche, a cura di A. Olivieri. L’opposizione tra filosofia “analitica” e “continentale”. Ci sono filosofi analitici nel Continente, e i valori della filosofia analitica sono (intendono essere) universali. La FILOSOFIA ANALITICA è caratterizzata dalla finalità della chiarezza, dall’insistenza nelle argomentazioni esplicite e dalla necessità che ogni punto di vista venga esposto nei rigori di valutazioni e discussioni critiche allo stesso tempo. L’universalità di questi valori è una delle ragioni dell’attuale ripresa della filosofia analitica in Europa dopo la lunga interruzione causata dalla seconda Guerra Mondiale e dall’esilio di molti filosofi europei nel Nord America. I filosofi analitici si trovano oggi non solo in paesi dove l’interesse analitico è fiorito senza interruzzioni, come la Gran Bretagna o la Scandinavia, ma anche in Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Gracia, Olanda, Ungheria, Italia, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Spagna, Svizzera e Iugoslavia. Al fine di stabilire ulteriori contatti e collaborazioni fra i filosofi analitici del Continente e quelli della Gran Bretagna, l’European Society for Analytic Philosophy (ESAP) si è posta tre obiettivi. In primo luogo organizzare Congressi europei di filosofia analitica (ECAP) con frequenza regolare. Questi Congressi permetteranno ai filosofi analitici europei, qualunque sia la loro area di interesse, di incontrarsi e di conoscersi. Il primo ECAP avrà luogo a Aix en Provence (Francia) dal 23 al 26 aprile 1993. Le sessioni verranno organizzate nei seguenti settori: Etica, Filosofia della Mente, Filosofia del Linguaggio. Agli autori viene richiesto di presentare un ampio schema d’intervento (circa 2000 parole) prima del 25 giugno 1992. L’accettazione verrà notificata dal 19 novembre 1992. In secondo luogo emettere un bollettino o altri tipi di pubblicazione di interesse generale: sono in programma un elenco di filosofi analitici europei e un opuscolo contenente informazioni sugli aspetti istituzionali della filosofia nei vari paesi d’Europa. In terzo luogo facilitare l’organizzazione di conferenze e di “officine” (cioè gruppi di lavoro) europei su specifici argomenti. Le prime conferenze, tenute sotto l’auspicio dell’ESAP, saranno: un simposio su “Senso e Riferimento”, organizzato da P. Kotátko a Karlovy-Vary, in Cecoslovacchia, il 7-11 settembre 1992, e un gruppo selezionato di lavoro sul tema: “Teoria del Significato e Intuizionismo”, organizzato da G. Sundholm a Leiden, in Olanda, nel settembre 1992. Per informazioni contattare la filiale ESAP presente in ogni paese, o un membro della Commissione Centrale (per l’Italia: ESAP-Roma o Diego Marconi, ESAP-Torino). Un gruppo di intellettuali francesi (tra gli altri Félix Guattari e Jean Laplanche) ha pubblicamente protestato per la lentezza con cui viene pubblicata l’edizione del Séminaire di JACQUES LACAN. In quasi CONVEGNI E SEMINARI Emblemi Torah (Germania XVIII e XIX sec.) CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Magia, mistica e cabbala: l’ebraismo nella cultura tedesca Si è tenuto dal 9 all’11 dicembre 1991 a Francoforte un convegno sul tema: Mistica, magia e cabbala nell’ebraismo tedesco, organizzato dall’Università di Francoforte in collaborazione con il Centro di ricerca Gershom Scholem per lo studio del misticismo ebraico e della cabbala dell’Università ebraica di Gerusalemme. Nel corso del convegno eminenti studiosi della cabbala e del pensiero ebraico, provenienti da Israele, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania, hanno preso in considerazione diversi aspetti della mistica ebreo-tedesca dal XII al XIX secolo. Di carattere preminentemente storico-culturale, ma interessante anche per la storia delle idee e della filosofia, il tema dell’eredità della mistica ebraica nella cultura tedesca, a cui è stato dedicato il convegno di Francoforte, non ha fatto concessioni alle mode esoteriche che oggi imperversano da più parti. Non per questo sono però stati predominanti i toni dell’erudizione: anche quando proponevano escursioni nelle lontane e affascinanti lande della mistica medioevale o itinerari nella vita di oscuri rabbini, gli interventi avevano sempre ben presente l’obiettivo di mettere in luce il significato del sapere cabbalistico, della mistica ebraica e della sua storia per la cultura attuale. Con il termine “cabbala” (dall’ebraico qabbalah) si indica l’insieme delle dottrine mistiche ed esoteriche dell’ebraismo, esposte in un grande complesso di scritti pubblicati, di manoscritti e in un vasto insieme di tradizioni orali. Il convegno di Francoforte ha inteso indagare l’eredità di questo complesso di tradizioni, seguendone le tracce nelle vite e nelle opere di esponenti della storia culturale tedesca, oggi per lo più dimenticati. Alla vita di Lippmann Mühlhausen, calligrafo e interprete della cabbala vissuto nella seconda metà del sec. XIV, è stato dedicato l’intervento di Israel Yuvael. Lippmann Mühlhausen esortò le comunità ebraiche alla corretta scrittura delle lettere nella forma delle quali, secondo il sapere cabbalistico, si attua la rivela- zione di Dio, pensato come un’essenza costituita da dieci campi di forza. Mühlhausen, presso cui le preoccupazioni teologiche si intrecciavano con quelle politicosociali, intendeva anche conferire alla fede ebraica un fondamento stabile per difenderla dal sospetto che gli ebrei costituissero una setta e che per questo, come altri eretici, dovessero essere sottoposti all’inquisizione ed alla condanna a morte. Centrale in diversi interventi è stata l’analisi del tema delle deviazioni dall’ortodossia. Fu il caso, ad esempio, di Nathan Adler, un rabbino ed erudito vissuto a Francoforte alla fine del XVIII secolo, che aveva raccolto attorno a sé un gruppo di giovani e che aveva introdotto nuovi rituali di preghiera. Di lui si raccontava che per mettere alla prova il potere dei suoi amuleti avesse dato alle fiamme il ghetto ebraico di Francoforte. Secondo Rachel Elior questa leggenda mostrerebbe come la comunità ebraica, spaventata di fronte ad una sorta di scissione esoterica al proprio interno, avrebbe espulso dalle proprie file un conoscitore della cabbala di straordinario valore. Allo scritto: Parole di ammonimento di Theodor Wechsler, risalente al XIX secolo, è stato dedicato l’intervento di Jakob Katz, che ha tentato di leggere questo documento come un precoce ammonimento-profezia riguardo alla tragedia ebraica negli anni del nazismo. Nel suo scritto Wechsler, visitato da sogni e visioni divine, avrebbe riconosciuto il nucleo ideologico razzista dell’antisemitismo, predicendo al tempo stesso l’annientamento degli ebrei - una profezia che secondo Katz non è stata ascoltata dagli ebrei dell’epoca a causa di una certa resistenza a divenire consapevoli della propria situazione di pericolo. Con il suo intervento dedicato al pensatore rinascimentale Pico della Mirandola, Klaus Reichert ha individuato la presenza di un influsso della cabbala nella storia culturale europea e nello sviluppo della coscienza borghese. In Pico lo studio della cabbala porterebbe infatti allo sviluppo di istanze di emancipazione della cultura, della filosofia e della religiosità dal potere ideologico e teologico della chiesa: la cabbala mostra per Pico come l’individuo abbia la capacità di riconoscere autonomamente Dio e l’ordine del mondo e come, nella sua azione nel mondo, possa confidare nella libertà del proprio volere. Nel convegno sono stati anche messi in luce alcuni influssi indiretti della cabbala sulla storia culturale tedesca ed in particolare sulla filosofia dell’età romantica: così, ad esempio, il “nulla assoluto” di Hegel non sarebbe pensabile senza la cabbala, alle cui fonti si alimenterebbe del resto anche l’idea di Schelling, secondo cui Dio avrebbe creato il mondo ritraendosi. M.M. Althusser: ermeneutica e psicanalisi Nei giorni 5 e 6 febbraio 1992 si è tenuto all’Università degli Studi di Milano un convegno sul tema: Louis Althusser: lettura sintomale ed ermeneutica psicoanalitica, che ha rappresentato l’occasione per affrontare in Italia l’eredità di pensiero del filosofo francese, recentemente scomparso, alla luce dell’evoluzione del dibattito filosofico attuale. In particolare, il convegno ha voluto sottolineare la “differenza” di Althusser rispetto agli indirizzi dominanti della koinè ermeneutica. Benché sia Louis Althusser sia l’ermeneutica mettano al centro della loro attenzione l’atto di lettura, l’ermeneutica tende a considerare il piano della significazione come “dato” evidente ed originario, mentre la lettura sintomale giudica la costituzione del senso un qualcosa di irriducibile all’identità del significato, e rimanda alla “logica” produttiva interna del testo. Il decentramento dell’analisi testuale dall’ermeneutica del senso all’istanza letterale dell’organizzazione significante conduce al cortocircuito tra ermeneutica e psicoanalisi. Questo appunto il nucleo problematico affrontato nel convegno milanese su Althusser. I principali punti di riferimento per inquadrare la lettura sintomale di Althusser sono da un lato Spinoza e Hegel, dall’altro Freud e Lacan. Se in questo sembra trascurato il rapporto decisivo col testo di Marx, Althusser stesso ha spiegato che la lettura sintomale consiste nell’esercizio di un de- CONVEGNI E SEMINARI tour attraverso altri testi della tradizione filosofica, necessario per definire il proprio punto di vista. Pertanto comprendere le tesi di Althusser e la loro elaborazione attraverso Marx consiste nel rimetterle in gioco ripercorrendo criticamente il detour che le ha prodotte. È così che una serie considerevole di interventi al convegno hanno mirato a rintracciare le ragioni dell’affinità profonda che lega Althusser a Spinoza. In particolare Domenico Cosenza ha insistito sulla fondamentale rilevanza del metodo esegetico di Spinoza, quale è esposto nel cap. VII del Trattato teologico-politico, evidenziando come in esso sia in gioco in modo decisivo il rapporto tra avvenimento storico e produzione testuale, ciò che costituisce secondo Cosenza il “tratto differenziante” della lettura sintomale rispetto ad altri esempi di pratiche di lettura. Secondo questa ipotesi ci sarebbe una causalità immanente che collega contesto storico e genesi del testo. Vittorio Morfino condivide invece la necessità di specificare e approfondire le componenti materialistiche del rapporto Althusser-Spinoza. Morfino sottolinea la presenza simultanea di tre assi attorno a cui si costruisce il discorso althusseriano: struttura, storia e politica. Pur accogliendo in sé il rigore della metodologia strutturalista, la lettura sintomale non è una analisi formalistica, ma si concepisce come una pratica di intervento nel reale, necessariamente in tensione con le rappresentazioni ideologiche della società. In questo contesto appare chiara la contiguità col discorso spinoziano: la critica della conoscenza immaginaria non può sopprimere l’immaginazione. Alessandro Pandolfi, infine, ha chiarito come il lavoro di Althusser su Spinoza sia servito principalmente a dar rigore alla dialettica marxista. Ma ha anche confrontato Althusser con la elaborazione di Gilles Deleuze, riscontrando come quest’ultimo sia riuscito a liberare Spinoza e il materialismo dalla dialettica stessa, al contrario di Althusser che ne rimane, invece, irretito. Di diversa impostazione l’intervento di Markus Ophälder ed Ezio Partesana che hanno sostenuto come la lettura sintomale continui ad implicare nella sua prassi il riferimento alla negazione determinata. Tale riferimento sembra essere necessario per non circoscrivere l’analisi althusseriana al livello di una testualità autoreferenziale ed esporla, invece, alla prova della critica storica. Da questo punto di vista, i limiti della critica dell’ideologia, quale viene configurata dalla lettura sintomale, sono stati affrontati da Vanni Cicchinelli, che ha attraversato da vicino il concetto di dialettica nell’opera di Marx. Una critica questa, che è stata ribadita, con una precisa argomentazione storiografica, da Enrico Rambaldi, che ha rilevato l’impossibilità di pensare con rigore la filosofia marxiana all’interno dei canoni voluti da Althusser. L’altro versante del dibattito è stato occupato dal rapporto di Althusser con la psicoanalisi e in special modo con Jacques La- can. Mario Spinella ha ricostruito le fasi di questo rapporto e le modalità della ricezione di entrambi in Italia attraverso una testimonianza diretta della sua esperienza personale di intellettuale e scrittore, pur non mancando di descrivere i nessi teorici che legano i due pensatori francesi. Massimo Recalcati ha invece preso le mosse nel suo intervento dal presupposto che Althusser fraintenda la nozione di sintomo, in quanto ne sopprime lo statuto reale. Attraverso la metaforizzazione del sintomo, pensato come significante di un significato rimosso il sintomo viene ridotto al registro del senso. La lettura sintomale deve viceversa dislocarsi rispetto al reale come residuo inassimilabile al senso, deve riformularsi in riferimento all’arresto del processo di significazione. Lavorare sui sintomi, vuol dire lavorare sui limiti del senso. Significativo è risultato in tal senso l’intervento di Rita Fioravanzo, che ha cercato infine di mostrare la genealogia dell’idea di “sintomo”, del suo ruolo nell’economia del corpo pulsionale, prendendo in alcuni casi le distanze dal concetto althusseriano di sintomo. L’ultimo argomento di dibattito al convegno è stato l’eventuale rapporo tra Althusser e l’ontologia ermeneutica di derivazione heideggeriana. Jean Marie Vincent ha sostenuto che la lettura sintomale non ha uno statuto psicoanalitico, bensì ermeneutico, mettendo in rilievo come sia in Heidegger che in Althusser la prassi filosofica venga caratterizzata dal primato dell’interrogazione, pur con le differenti modalità attraverso cui nei due filosofi si attua l’esercizio del domandare. Paolo D’Alessandro ha invece insistito sugli aspetti nietzscheani del pensiero di Althusser, richiamando in particolare il significato della Darstellung come inversione del paradigma classico della rappresentazione e sua torsione verso gli aspetti quasi teatrali (in riferimento ad Artaud) e ludici della “messa in scena”. Il rapporto tra decostruzionismo derridiano e lettura sintomale è stato il tema dell’intervento di Igino Domanin, che ha messo in luce una convergenza strategica tra i due approcci nella critica dei fondamenti dell’ermeneutica del senso. Nicole Edith Thevenin e Adriana Santacroce hanno proposto, sul filo della metafora del visibile e l’invisibile, un interessante accostamento della lettura sintomale alle tesi di Merleau-Ponty, la prima sottolineando come l’invisibile sia un “prodotto” della stessa visibilità, la seconda cercando attraverso un detour nell’opera dell’ultimo Merleau-Ponty di descrivere le peculiarità ermeneutiche della lettura sintomale. Riccardo Massa, infine, dopo aver ricostruito la ricezione in ambito pedagogico delle tesi metodologiche althusseriane, si è soffermato sull’attualità del loro valore epistemologico e sul loro significato operativo. I.D. Filosofia e narrazione In occasione della presentazione della rivista Itinerari Filosofici si è tenuto il 12 febbraio 1992 a Milano un dibattito sul tema Filosofia o narrazione? Forme della scrittura e questione del pensiero, al quale, oltre a Flavio Cassinari, Ettore Fagiuoli e Marco Fortunato, redattori della rivista, hanno partecipato Mario Ruggenini, Carlo Sini e Vincenzo Vitiello. Per Carlo Sini non c’è dubbio che il discorso filosofico, se non di una autonomia nei confronti delle altre pratiche discorsive, goda comunque di una sua specificità; è però fuorviante porre la questione del rapporto tra filosofia e narrazione nei termini di un’alternativa. Dietro di essa traspare infatti, a parere di Sini, una contrapposizione fra la ricerca filosofica, delineata come disinteressata, desensibilizzata, aggirantesi in una sorta di mondo iperuranico, e la narrazione, concepita invece come “concreta”, “soggettiva”, e com-petente, consonante con il proprio “oggetto”. Ma questa caratterizzazione è falsa: il filosofo non è affatto “disinteressato”, e la condizione ontologica - non psicologica - del filosofare è proprio il pathos, come già evidenziava Platone. Qui sta il vero problema, che riguarda la meditazione e la scrittura filosofica. Tuttavia bisogna riconoscere il rischio che il nesso tra filosofia e narrazione venga banalizzato e ridotto al rango di moda culturale. È in effetti invalsa l’abitudine di considerare la riflessione sulla “narrazione” un approccio filosofico “debole”, autoidentificativo, di cui si riconoscono limiti e precarietà una sorta di surrogato di quella che in altri tempi era la questione della “fondazione”, cioè la ricerca di un fondamento in senso “forte”. Per Mario Ruggenini colui che narra è “colui che sa”, perché ha fatto esperienza. Ma di che cosa fa esperienza la filosofia? Per Heidegger, che vuole in ciò riferirsi a Platone, l’oggetto dell’esperienza della filosofia è l’essere dell’ente, e il suo obiettivo è dire “come stanno le cose”, cioè la verità degli enti. Ma la verità per il filosofo è, in ultima analisi, solo e soltanto la verità del filosofo. La filosofia non ha diritto ad alcuna legittimazione che sia fondata su un suo eventuale riferirsi a una verità “generale”, che comprenda o fondi quella delle altre scienze. Il problema della filosofia è allora di non lasciarsi rinchiudere nella “sua” verità, ma di porsi la questione, mai risolta una volta per tutte, del rapporto tra la propria verità e quella delle altre pratiche discorsive. La specificità della filosofia consiste proprio nel suo “essere esposta”, nel suo doversi necessariamente confrontare con le “altre narrazioni” che la circondano. È così che per Vincenzo Vitiello il CONVEGNI E SEMINARI rapporto tra filosofia e narrazione può addirittura essere considerato come il problema della filosofia. Occorre interrogarsi su cosa sia narrazione, sul fatto che la filosofia abbia o meno un suo linguaggio, e quale esso sia. La proposizione speculativa hegeliana è il tentativo di un dire, di un giudizio, che non sia un “dire”, che non sia un giudizio. Ma il problema è già di Platone, quando sostiene che la “cosa” della filosofia non è dicibile; non è dicibile “ciò che veramente è”, e questo è pure il problema di Hegel, anche quando sostiene che il vero non debba essere espresso come sostanza, come “oggetto”, ma come “soggetto” che “si fa” nel dire. “In positivo”, l’acquisizione decisiva della riflessione hegeliana è il ruolo determinante della copula, dell’in-significante “è”, che collega i termini significanti e condiziona la costruibilità del giudizio. Se è così, se il dire filosofico è affetto dalla debolezza costitutiva dell’inesprimibilità del proprio “oggetto”, debolezza in forza della quale si costituiscono i suoi termini, se la copula del giudizio è il “trascendentale del trascendentale”, allora il dire filosofico non può assolutamente mai essere “narrazione”, perché quest’ultima si colloca sul lato della “nascita delle cose”, più che su quello della riflessione su di esse. In questo senso, nel radicale coimplicarsi ed escludersi di filosofia e narrazione si manifesta, a parere di Vitiello, la questione della filosofia. Marco Fortunato ha rilevato come alla narrazione spetti, nei confronti della filosofia, il compito di una maggior prossimità al flusso variegato dell’accadere. Nello stile “narrativo” di Thomas Bernhard, ha osservato Fortunato, dove un periodare interminabile ha il senso di un experimentum, di uno scollamento dell’io narrante da sé e dalla sorveglianza esercitata dall’ego, sembra dominare il paradigma di un’irriducibile complessità, che in qualche modo propone la traduzione in chiave “narrativa” dell’esercizio filosofico di illuminazione e discussione dell’oggetto. La natura di “semplificazione sintetizzante” della filosofia, già rilevata da Nietzsche, parrebbe invece connotata da una maggiore povertà: in compenso, di contro all’analiticità del fare narrativo, la peculiarità dello stile filosofico e della concettualizzazione risiede nella capacità di dare spessore alle figure volta per volta emergenti, di coinvolgerle nella riflessione affinché ciascuna mostri il proprio carattere di rimando a un significato che la trascende. Riprendendo la questione di una sostanziale duplicità del rapporto tra filosofia e narrazione, Flavio Cassinari ha rilevato come essa da un lato rimandi, nell’ambito del pensiero novecentesco, alla questione dello statuto della filosofia e a quella di un suo possibile oltrepassamento in un pensiero non concettuale, dall’altro come, proprio da questo punto di vista, il rapporto tra filosofia e narrazione riguardi il costituirsi stesso della filosofia in quanto tale. Il problema del rapporto tra filosofia e narrazione si manifesta anche in quello del rapporto tra filosofia come sapere disciplinare autonomo e filosofia come pratica che mira al fondamento comune delle altre pratiche discorsive. In questo senso la questione del linguaggio è un problema di fondazione: ciò che è indicibile è il primum, la verità della filosofia, la “cosa” sua propria e, quindi, la sua specificità. “Debolezza” della filosofia è allora, in senso etimologico, il suo non essere sufficientemente “capace” di com-prendere se stessa. Per questo essa si qualifica come un “porre questioni” e non, a differenza delle scienze, come soluzione di problemi. Infine Ettore Fagiuoli ha distinto il metodo della filosofia, che trascende la dicotomia tra filosofia e narrazione, dal modo della filosofia, che concerne invece direttamente questo problema. Richiamandosi all’opera di Ernst Bloch, Fagiuoli ha sostenuto che lo “stile” blochiano cerca di scrollarsi di dosso gli irrigidimenti in cui la lingua è stata costretta: esso si mostra come una sorta di metalinguaggio, che mette in discussione se stesso e la legittimità dei suoi modi dal punto di vista di un vero e proprio “discorso sul metodo”. Ciò che risulta dall’impianto argomentativo blochiano è l’inscindibilità di metodo e modo, che mette in discussione lo stesso fondamento del linguaggio e della filosofia. L’esortazione fenomenologica ad andare “alle cose stesse” perde qui di significato, proprio per via del carattere problematico di quelle “cose” stesse a cui si fà appello. L’“è” del predicare hegeliano è lo stesso nocciolo opaco contro cui lotta il linguaggio di Bloch. M.C. Croce: dalla politica all’etica Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, si è svolto dal 27 al 30 gennaio 1992 un seminario di studi tenuto da Girolamo Cotroneo dal titolo: Benedetto Croce dalla politica all’etica. Ricordando il 40° anniversario della morte di Benedetto Croce, Cotroneo ha tuttavia precisato che il titolo del seminario avrebbe dovuto essere, anche se non in modo del tutto legittimo: “Benedetto Croce dall’etica all’etica”, dato che il tema predominante dell’opera di Croce, fin dagli scritti giovanili, fu l’etica e non la politica. Nel Contributo alla critica di me stesso (1916) Benedetto Croce sostiene di non volersi più occupare di problemi municipali, ma solo di quelli generali o nazionali, cioè di puntare la sua attenzione sulla storia nazionale e di trattare quest’ultima non come storia politica, ma come storia morale dei sentimenti e della vita spirituale dell’Italia dal Rinascimento in poi. Queste affermazioni di Croce sembrerebbero confermare che il passaggio dalla problematica politica a quella etica sia avvenuto nel 1916. Ma il prevalere dell’interesse etico, ha osservato Girolamo Cotroneo, è già presente nel 1895 con lo scritto: Intorno alla storia della cultura, dove Croce parla di unità della storia, dove la storia politica deve essere necessariamente accompagnata e integrata dalla storia della cultura. L’esigenza della componente morale nell’interpretazione dei fatti storici, già presente in questo scritto del 1895, porterà Croce a formulare la celebre concezione della storia come storia etico-politica, privilegiando il momento etico su quello politico. Da questo punto di vista lo scritto Elementi di poltica (1924) può considerarsi il manifesto programmatico di questa concezione storica; in esso Croce teorizza che il vero canone di interpretazione storiografica è quello morale. Compito dello storico è di ricercare le azioni nella loro logica e nella loro necessità, occupandosi non della perfezione morale degli avvenimenti, ma del carattere e del significato etico che essi assumono all’interno della storia. Infatti, tutti gli avvenimenti politici che attraversano la storia sono sempre mossi da un impulso etico, cioè l’anelito alla libertà. Le ragioni e la genesi di questo concetto di storiografia come storia etico-politica sono da ricercarsi, secondo Cotroneo, in due elementi fondamentali, l’uno di carattere teoretico, cioè il concetto di contemporaneità della storia, l’altro di carattere personale, cioè il rifiuto costitutivo verso la politica. Il concetto di contemporaneità della storia, infatti, sostenendo che la storiografia nasce da un bisogno pratico, cioè da una sollecitazione del presente, e rivestendo una funzione catartica, capace di sciogliere i problemi presenti attraverso l’interiorizzazione del passato, collega immediatamente la storiografia ad un momento della vita pratica, che è appunto l’atteggiamento etico, la morale. Il secondo elemento, cioè il rifiuto costitutivo di Croce verso la politica, risale al suo soggiorno romano in casa Spaventa, dopo il terremoto di Casamicciola, dove le discussioni politiche di carattere particolaristico infastidirono molto Croce, infondendogli quella estraneità alla politica che lo accompagnerà per tutta la vita. Già nel periodo definito “marxista” (1895-1900), Croce, dopo aver studiato le opere di Marx e aver tratto da esse ciò che per lui era utile, giudica questa sua esperienza politica in modo negativo, considerando il marxismo non una filosofia, ma una dottrina sociopolitica. Del resto, anche nel periodo della riscoperta della politica dal 1916 al 1931, traspare un certo distacco. Nell’articolo Liberalismo, dove si esprime una precisa dichiarazione di appartenenza ad un gruppo politico, Croce definisce il liberalismo partito della cultura, un modo di vivere e di operare concretamente tra i due estremi del socialismo e dell’autoritarismo. La concezione liberale è, perciò, una concezione metapolitica, che si presenta piuttosto come una CONVEGNI E SEMINARI religione, la religione della libertà. Questa breve parentesi “politica” viene interrotta nel 1931 con il saggio Apoliticismo, frutto della delusione provocata dall’avvento del fascismo in Italia, in risposta agli intellettuali del consenso che si aggregarono, pur provenendo da esperienze politiche diverse, al fascismo. In questo scritto emerge tutto il pessimismo crociano nei confronti della plitica, che lo allontanò dalla vita pratica, provocando una contraddizione con il suo principio metodologico della contemporaneità della storia. Nella vita di Croce le delusioni provocate dalla politica non si conclusero con la fine del fascismo; dopo la caduta di quest’ultimo tutti gli intellettuali antifascisti, che si erano nutriti del pensiero crociano, abbandonarono il loro maestro spirituale, poiché il fascismo venne letto come l’altra faccia del sistema liberale, che per combattere l’avvento del socialismo si era concretizzato nell’autoritarismo. Di questa interpretazione si era fatto promotore involontario lo stesso Croce, soprattutto con certe sue riserve per il socialismo, ma anche per la democrazia. Nel saggio Democrazia e liberalismo (1943), Croce aveva sostenuto che questi due termini, anche se logicamente separati, sono idendici nel rifiutare ogni potere assolutistico che neghi la libertà, ma differiscono nella misura in cui nella democrazia il concetto di libertà è qualcosa di astratto, mentre nel liberalismo è un concetto concreto e reale. Proprio questo radicalismo del democraticismo aveva provocato secondo Croce il contraccolpo del fascismo. Queste considerazioni non poterono certo essere accettate dagli intellettuali antifascisti del secondo dopoguerra. Di fronte a questa nuova delusione, Croce si rivolge, in maniera definitiva, all’etica. L’interesse etico di Croce viene ora assorbito dalla considerazione della natura umana che contiene il male dentro di sé e dal quale non riesce a redimersi. Tuttavia, osserva Cotroneo, l’esito di Croce non è pessimistico, ma è quello di un’etica forte, consapevole dei limiti umani e quindi capace di difendersi dalle facili illusioni di una visione del mondo che indicava la via della redenzione, credendo di averla trovata. G.P. Storicismo scientifico Presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato presentato il 27 marzo 1992 il libro di Luigi Zanzi, Dalla storia dell’epistemologia: lo storicismo scientifico (Jaca Book, Milano 1991). Il volume riunisce vari saggi, elaborati negli ultimi quindici anni, in cui l’autore propone una concezione “operazionale” della logica della storiografia (nella prospettiva di uno storicismo scientifico), che consente un innovativo e fruttuoso dialogo tra la cultura umani- stica e quella scientifica. Alla presentazione del testo hanno partecipato, oltre l’autore, Giuseppe Gembillo e Giulio Giorello. Per Luigi Zanzi la teorizzazione di uno storicismo scientifico nasce dall’esigenza di delineare una nuova immagine della ricerca storiografica, che evidenziando le procedure logiche e le “tecniche” operanti nella concreta ricerca storica, risulti decisamente svincolata dai presupposti di quello storicismo “neoidealistico” che tanta diffusione ha avuto nella cultura filosofica italiana del ‘900. Si tratta, in particolare, di superare gli esiti antintellettualistici e antiformalistici dello storicismo neoidelaistico che, come è noto, giunse ad una radicale contrapposizione fra cultura umanistica, che non può non essere studiata e compresa al di fuori della storia, e quella scientifica che, invece, risulterebbe incapace di alcun riferimento storico in quanto volta al conseguimento di presunte verità assolute e soggetta ad uno sviluppo meramente cumulativo delle conoscenze. Ciò nonostante Zanzi ritiene opportuno mantenere la denominazione “storicista” per caratterizzare la sua prospettiva di riflessione metodologica ed epistemologica sulla storia. Si tratta di uno storicismo “scientifico”, caratterizzato da una varietà di risorse di metodo che dipendono dalla elaborazione di specifici strumenti (ad es. di specifiche forme linguistico-logiche) che rivelano altresì come qualunque ricerca storiografica risulti pregna di aspetti “teorici”. In questo senso il farsi carico della tradizione storicistica corrisponde al progetto teorico di evidenziare l’implicita assunzione da parte di storiografi di determinati paradigmi epistemologici, come anche di inconsapevoli scelte teoriche. Questo indirizzo di ricerca si rivolge non solo alla pratica storiografica che si riferisce alle vicende umane, ma anche alla pratica storiografica utilizzata dagli scienziati in riferimento alle “vicende naturali”. Viene così eliminata la radicale contrapposizione tra la cultura storiografica e la cultura scientifica. Tutto ciò implica nella pratica scientifica una storicità non più passiva, come semplice riflesso del mutare storico delle teorie, bensì una storicità attiva, momento fondamentale della stessa elaborazione di tali teorie. A partire dal riconoscimento delle caratteristiche di tale attività storicizzante deriva l’esigenza di far ricorso ad una concezione “operazionistica” della conoscenza storica, laddove però tale “operazionismo” va inteso esclusivamente in chiave, per così dire, “tecnologica”, cioè senza alcuna pretesa di elaborare riduzionisticamente modelli gnoseologici e/o ontologici onnicomprensivi. Le origini di un tale “storicismo scientifico” possono essere reperite storicamente tra ‘800 e ‘900, quando lo stesso neopositivismo cominciò ad orientarsi verso paradigmi di scientificità del tutto nuovi e gran parte della riflessione filosofica sulla scien- za (Duhem, Poincarè, Mach e poco più tardi, G. Vailati e F. Enriques) pervenne al riconoscimento della centralità dei problemi riguardanti una prospettiva epistemologica storicista nello studio dell’evoluzione delle teorie scientifiche. In particolare nel nostro paese, quando lo storicismo neoidealistico sembrò ostinatamente chiudersi in se stesso nella teorizzazione delle presunte “leggi della storia”, tutta quella cultura storicista che intendeva sottrarsi alle strette di tale “legalismo” si volse con rinnovato interesse verso la cultura scientifica, accentuandone i nuovi orientamenti. Per tale motivo in Italia più che altrove si è giunti ad un esito di “storicismo scientifico” ovvero al riconoscimento del carattere attivo ed intrinseco della storicità della scienza, rinunciando così ad imporre alla storia delle scienze (e alla storia in generale) uno statuto epistemologico precostituito. Tuttavia, sebbene lo storicismo scientifico si sia affermato, almeno nel nostro paese, come critica nei confronti dello storicismo neo-idealistico e, più in generale, delle filosofie della storia di stampo hegeliano, secondo Zanzi occorre sempre tener presente che ogni epistemologia della storicizzazione non può disconoscere il suo grande debito intellettuale proprio nei confronti di quella cultura storicista che trae i suoi fondamenti dall’opera di Hegel e dai suoi ripensamenti successivi. Nel suo intervento Giuseppe Gembillo ha messo in luce come il progetto teorico proposto da Zanzi risulti particolarmente attuale, offrendo alla riflessione filosofica sulla scienza validi strumenti concettuali per ripensare gli sviluppi della più recente ricerca scientifica. Se guardiamo al profondo mutamento dello statuto epistemologico della scienza contemporanea, innescato dalle innovazioni della meccanica quantistica e proseguito nell’ambito di itinerari di ricerca quali quelle di R. Thom, Mandelbrot e Y. Prigogine, appare chiaro che il vecchio modello neopositivistico di scienza è ormai entrato irreversibilmente in crisi. In tal senso l’invito prigoginiano a “procedere per storie” si incontra fruttuosamente con le opzioni teoriche fondamentali di un rinnovato storicismo. Giulio Giorello ha invece rilevato che il progetto di storicismo scientifico proposto da Zanzi, già presente in alcune tematiche dell’ultimo Geymonat, rappresenta una promettente via d’uscita dagli esiti irrazionalistici di gran parte dell’epistemologia post-neopositivista e post-falsificazionista. Tuttavia nel momento in cui lo storico può esplorare, utilizzando ben precise tecniche di storicizzazione, i processi di formazione delle singole teorie, si rinnova la possibilità di un confronto tra tali teorie e di una “comunicazione” fra i diversi universi di pensiero. In tal modo i “paradigmi” o “programmi di ricerca” non possono più essere considerati come dei sistemi chiusi, bensì come degli universi aperti che possono fruttuosamente dialogare tra di loro. Inoltre la centralità del fattore sto- CONVEGNI E SEMINARI Michelangelo, Giudizio Universale (Ramo, Cappella Sistina) rico, dal momento che la dimensione storica è innanzitutto dimensione interpretativa, consente un fruttuoso collegamento tra epistemologia ed ermeneutica. A.N. Verità e grazia in Malebranche Dalla ricostruzione della genesi del Traité de la nature et de la grace (1680) di Malebranche, che Alfonso Ingegno ha proposto nel seminario di studi da lui tenuto presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 10 al 13 febbraio 1992, è emerso come, sotto l’urgenza di difficoltà interne al pensiero del filosofo e in forza delle obiezioni formulate dai contemporanei, il mondo concettuale della Recherche de la verité (1674-75) abbia subito in un brevissimo arco di tempo una revisione radicale ed abbia trovato proprio nel Traité un primo definitivo assestamento. Prendendo le mosse dal confronto tra la prima e la seconda edizione della Recherche (1675-76), Alfonso Ingegno ha rilevato un primo significativo cambiamento di prospettiva nella riflessione di Nicolas Malebranche sul rapporto uomo-Dio antecedente al peccato originale. Si tratta della scomparsa di quel “piacere preveniente” con cui Dio avrebbe assistito Adamo, con- ducendolo all’amore di sé. Ad esso si sostituisce, nella seconda edizione, un rapporto razionale, in cui la conoscenza del vero bene è intesa al contempo come fonte di gioia e, in quanto libera unione con Dio, fonte anche di merito. Il peccato, tuttavia, in quanto distrazione volontaria che ha determinato nell’uomo una dipendenza dell’anima dal corpo, ha lasciato aperto il problema della sua origine. Dal momento infatti che l’azione divina è posta a fondamento di ogni inclinazione umana e della partecipazione alla conoscenza delle idee, anche imputando l’errore non ai sensi, perché questi hanno dominato l’uomo solo in conseguenza del peccato, ma al cattivo uso della libertà da parte dell’uomo nel giudizio, non è escluso il rimando a Dio come autore del peccato e della concupiscenza. In ogni caso, ha rilevato Ingeno, Malebranche non ha potuto evitare, nella Recherche, il paradossale rapporto tra sapienza e potenza divina, da un lato, e mondo creaturale dall’altro, rapporto che genera propriamente il ricorso di Dio a volontà correttive, istitutrici dell’ordine della grazia. La grazia del Creatore, come “luce dello spirito”, offuscata dalla forza della concupiscenza, ha reso indispensabile infatti la grazia del Redentore e questa, come “sentimento del cuore”, restaurando la luce del divino quale autentica fonte di amore si è rivelata un dono gratuito, che nessuna conoscenza umana può fornire. Lo scopo della filosofia di chiarire le cause apparenti degli errori umani, mediante la loro riconduzione al cattivo uso della libertà da parte dell’uomo, è pertanto vanificato di fronte alla perdita del ruolo della libertà provocata dall’azione della grazia. In base a queste considerazioni Ingegno ha quindi spiegato il ripensamento che, negli scritti successivi alla Recherche, Malebranche matura nei riguardi del fine e del concetto stesso di creazione, sottolineando la novità da questi introdotta, in opposizione alla concezione tradizionale, di una imperfezione insita nel creato come mezzo per il raggiungimento di un fine superiore. Nelle Conversations chretiennes (1677), e anche negli Eclaircissements alla Recherche (1678), il fine della creazione è infatti posto al di là della produzione del mondo corporeo nell’incarnazione del Figlio, mentre il peccato originale ne è considerato la causa solo occasionale. Viene ribadita poi, in coerenza con la prescienza divina, l’immodificabilità della volontà di Dio in quanto regolata da un “ordine essenziale delle cose”. Nell’ordine della natura il momento del disordine non viene più spiegato col ricorso a cause seconde, di cui Malebranche non accetta più l’efficacia autonoma. Nell’ordine della grazia, invece, l’irrazionale distribuzione di questa rimandava a quella insipienza nella condotta divina che Malebranche aveva dissolto mediante necessità di legge. L’azione del Cristo, in realtà solo apparentemente CONVEGNI E SEMINARI disordinata, viene pertanto spiegata con la finitezza dell’anima di Cristo ed è illustrata come condizione di merito. Più chiaramente nel Traité, l’azione del Cristo, definita come causa occasionale di attuazione della legge della grazia, è precisata nelle sue caratteristiche: essa non si scontra, osserva Ingeno, con le leggi di natura, ma anzi le utilizza per i suoi scopi; né essa finisce col coartare la volontà umana, che ripristina invece nella sua condizione originaria, facendosi così mezzo alla restaurazione della legge dell’ordre. Il rien, il limitarsi dell’anima a un bene finito e particolare, è visto infatti come possibilità non più dipendente da Dio, ma coincidente con la libertà umana. Inoltre poichè il repos, la quiete, è identificato anche con la sospensione del giudizio della volontà, quando questa evita di cadere nel peccato, la grazia non viene fatta intervenire direttamente sulla volontà. Essa piuttosto, opponendo una “santa concupiscenza” alla concupiscenza del peccato e quindi restaurando l’equilibrio originario della natura umana, rende nuovamente possibili le condizioni che permettono all’uomo di meritare, ripristinando appunto la legge dell’ordre, secondo cui ogni merito va ricompensato. Infatti, nel momento in cui la libertà salda la grazia del Creatore a quella del Redentore, il movimento, l’impulso al bene in generale dato da Dio attraverso la volontà è tornato in modo meritorio, perchè libero, a subordinare la volontà individuale alla Ragione, secondo la legge di natura. Dunque, osserva Ingegno, da una parte Malebranche esclude la libertà della creatura come intervento autonomo nel disegno divino, ma dall’altra l’ammette come necessaria alla realizzazione del fine ultraterreno, giungendo così a trarre dall’immutabilità della volontà divina l’intera vicenda religiosa dell’uomo. Sebbene una tale pretesa non si dimostri priva di difficoltà, Ingegno ha tuttavia rilevato le significative novità di questa concezione. Solo all’interno di un quadro generale di leggi, la Scrittura e il messaggio di Cristo appaiono comprensibili a Malebranche e la lettura radicalmente nuova che questi ne trae esclude originalmente ogni carattere antropomorfico della divinità e nega la stessa vecchia concezione della Provvidenza. L.S. Ragione e storia Nel quadro delle “Lezioni d’autore in biblioteca”, iniziativa di cultura libraria promossa e organizzata dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, si è tenuto il giorno 13 maggio, preso la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, in collaborazione con l’editore Rusconi, la presentazione del libro di Mario Dal Pra e Fabio Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana (Rusconi, Mi- lano 1992). Alla manifestazione, oltre a F. Minazzi, hanno partecipato Fulvio Papi e Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri. La recente scomparsa di Mario Dal Pra, di poco antecedente all’uscita in libreria di questo volume, ha conferito all’incontro un tono particolare, un clima di presenzaassenza, che ha messo ancor più in evidenza il significato teorico-storico di quest’opera, a cui Dal Pra lavorò intensamente, assistito da Fabio Minazzi, negli ultimi tre anni della sua vita. Ragione e storia si offre infatti all’interpretazione come la più viva testimonianza di un discorso critico che Dal Pra ha sviluppato nel corso di tutta la sua vita di studioso e di uomo impegnato nella vita civile italiana, nello sforzo di definire uno spazio libero e aperto che potesse meglio tutelare la conoscenza e la prassi umana. Così la tensione tra ragione e storia, tra vita e filosofia, tra teoria e prassi, che quest’opera chiama in primo piano, testimonia innanzitutto dell’intento della ragione di volgersi alla concretezza storica per superare il vuoto e l’inefficacia delle sue astrazioni; ma testimonia anche dell’anelito della prassi alla ragione quale antidoto alla propria limitatezza e inconclusività. Dall’ampio dialogo che nel libro Minazzi instaura con Dal Pra nasce una ricostruzione della storia della filosofia italiana del Novecento, che trova diretto riscontro nella biografia intellettuale di uno dei suoi maggiori rappresentanti, Mario Dal Pra appunto, dagli anni della formazione nel Veneto cattolico degli anni Trenta, all’esperienza della Resistenza, alla fondazione della “Rivista di storia della filsofia” nel secondo dopoguerra, al periodo delle monografie su Hume e sullo scetticismo greco, al magistero di un rinnovato studio della storia della filosofia all’Università di Milano negli anni Sesssanta e Settanta. Al sostegno della memoria biografica si è richiamato espressamente Fulvio Papi, che ha preso spunto dalle sue prime conoscenze di Dal Pra insegnante di liceo e poi docente universitario, allora teorico dello scetticismo greco, impegnato con i problemi del teoricismo, del dogmatismo, dell’obiettivazione dell’essere: «filosofie che divorano il tempo nel concetto» - come le definisce Papi - e che creavano in Dal Pra «oltre al fastidio teoretico, un vero e proprio fastidio morale». In tale contesto critico, fa notare Papi, Dal Pra passava da un realismo filosofico a un cristianesimo morale, dove l’esperienza centrale era quella dell’impegno personale in un preciso contesto storico. È qui che propriamente si costituisce il rapporto di Dal Pra con il Croce del Perchè non possiamo non dirci cristiani, il Croce della concreta presenza nella storia; un’esperienza questa che tra l’altro porterà Dal Pra all’adesione, con un gruppo di amici, al Partito d’Azione. L’importanza di quest’ultima opera di Dal Pra, Ragione e storia, risiede per Papi pro- prio nel venir meno, in alcuni momenti, dell’immagine ovvia, dominante, “pubblica” di Dal Pra come studioso della storia della filosofia, come teorico della misura morale del lavoro storiografico. Un’aspetto questo d’indubbia importanza e profondità e tuttavia, osserva Papi, riduttivo rispetto alla ricchezza filosofica, teoricoproblematica del personaggio, che non pareva emergere dalla devozione per il sapere storico, dal rigore metodologico, dal rispetto per le fonti, per i testi della tradizione filosofica, che caratterizzavano in misura più evidente e dominante l’opera di Dal Pra. Nei dialoghi di cui si compone Ragione e storia emerge invece, in primo luogo, secondo Papi, una particolare concezione del rapporto tra fatto e interpretazione, tra filosofia e filologia. Ogni fatto viene ricondotto alla progettualità, all’interpretazione che ne sta alla base, ricostruito in funzione di quell’oggettività che è «un ideale trascendentale della ragione storica» e che non può confondersi con l’oggettività semplice, elementare del fatto storico. In secondo luogo in quest’opera viene riconfermata la specificità della storia della filosofia, secondo cui ogni elaborazione storica deve essere fatta in funzione di struttere razionali, che sono «le modalità attraverso cui i pensieri prendono forma e consistenza e diventano filosofia». Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri ha invece posto l’accento, nel suo intervento, sul magistero di Dal Pra nel campo della storia della filosofia medievale. Pur concentrandosi nell’arco di pochissimi anni, salvo sporadiche eccezioni, gli studi di Dal Pra sul pensiero medievale hanno portato all’attenzione degli interpreti autori fino ad allora poco considerati, se non addirittura sconosciuti dalla critica, procurandogli ampia fama, anche a livello internazionale. Nello scritto su Amalrico di Bène, fa notare Fumagalli Beonio Brocchieri, Dal Pra mostra di condividere con il suo autore l’importanza per l’individuale, «la critica al rito, all’esteriore, e il recupero di un giudizio morale interiore, intenzionale». Giovanni di Salisbury interessa invece a Dal Pra per due motivi: la concezione della logica come strumento di progresso civile, e quella della fede come necessità tanto nelle “cose umane”, quanto nella religione. L’etica intenzionale di Abelardo, nel suo aspetto di morale interiore, che attribuisce valore all’inclinazione, al pensiero nascosto, e in quello esteriore, destinato a divenire insignificante, di morale degli atti, dei comportamenti, è ciò che lega Dal Pra a questo autore, in cui egli rintraccia il carattere della progettualità morale, basata sulla scelta responsabile e individuale. Con lo studio su Scoto Eriugena, Dal Pra dà prova della necessità di inserire il pensiero del singolo, che in questo caso è il neoplatonismo, nella tradizione, intesa soprattutto come linguaggio: risultato è l’intento di parlare una lingua estendendone i significati. All’interpretazione di Occam, fa nota- CONVEGNI E SEMINARI re in particolare Fumagalli Beonio Brocchieri, Dal Pra apporta un contributo significativo, “operativo”, come lui stesso lo avrebbe definito, individuando nella teologia della libertà del credente il nesso che permette di passare dall’Occam logico a quello politico. Gaunilone e Anselmo rappresentano invece per Dal Pra l’esempio di un appello diretto, immediato all’esperienza. Nicola d’Autrecourt infine è per Dal Pra il pensatore dei limiti invalicabili della conoscenza umana, del cammino della ragione che non ha certezze e che proprio per questo libera la fede. In apertura del suo intervento, Fabio Minazzi ha ricordato come in un profilo autobiografico, pensato nella forma di un “contributo alla critica di se stesso” e redatto dallo stesso Dal Pra nel 1988 a Montecchio Maggiore, suo paese natale, questi indicasse tra i momenti cruciali della sua attività filosofica un nodo problematico che riuniva in sé tutte le diverse fasi della sua riflessione: il rapporto tra “ragione e storia”, tra strutture della ragione e dimensione del mondo della prassi, rapporto che trovava nello storicismo critico il suo esito necessario. Questo appunto il precedente, ha affermato Minazzi, che sta alla base della scelta di Dal Pra di avviare il progetto di una ricostruzione della sua biografia intellettuale come storia delle tradizioni concettuali, un progetto che oggi trova la sua realizzazione nel volume Ragione e storia. Alla luce di questi presupposti Minazzi ha brevemente ripercorso le fasi decisive dello sviluppo di pensiero di Dal Pra, mettendo in rilievo da ultimo come nella sua opera filosofica si configuri un’attitudine, un modo d’intendere il lavoro intellettuale che è diverso da una tradizione culturale e civile italiana, le cui radici affondano in ultima analisi nel ‘600. Dal Pra, ha osservato Minazzi, ha voluto sempre intendere il proprio itinerario di pensiero come continua trasformazione e ripensamento: pensare voleva dire per lui modificare, rimettere in discussione. Il motore di questo processo di cambiamento risiedeva appunto nel modo d’intendere il lavoro intellettuale. In un’opera del ’44, Valori cristiani e cultura immanentistica, in cui Dal Pra, in un momento critico della sua riflessione ancora sospesa tra cultura cristiana e immanentismo laico, riscopre il valore dell’interiorità, dell’individualità, riscopre addirittura il valore dell’utilitarismo e rivendica il diritto degli individui, è contenuta, secondo Minazzi, una traccia significativa di questa concezione, che può essere riassunta nelle parole con cui un anno prima, nel ’43, un autore allora ancora sconosciuto a Dal Pra, Giulio Preti, scriveva in Idealismo e positivismo: «Il nostro lavoro è fede, anche se fede soltanto in se stessa». R.R. Critica della teleologia Nella sede dell’Istituto Italiano per gli studi Filosofici, dal 23 al 27 marzo 1992 Reiner Wiehl, ha tenuto un seminario sul rapporto tra “teleologia” e “critica della teleologia” in alcuni dei più significativi autori della filosofia moderna: Spinoza, Kant, Hegel. Un problema questo che investe diversi aspetti della modernità, tra cui la possibilità di cogliere la razionalità della natura o, in termini più attuali, di costruire un’ermeneutica della natura, o, ancora, in un autore come Kant, il rapporto tra filosofia teoretica e filosofia pratica. In Kant, osserva Reiner Wiehl, la teleologia è qualcosa di simile a ciò che per Heidegger è la fenomenologia: non una scienza di fenomeni, di oggetti determinati, ma un metodo, un modo di guardare le cose anticostruttivistico, intuitivo, riferito però ad alcuni domini speciali: la natura nel punto in cui il vivente si distingue dal non vivente, l’agire umano come porsi degli scopi e ricerca dei mezzi idonei per soddisfarli. Si tratta di una problematizzazione della razionalità della natura e della razionalità della cultura, e insieme della possibilità di un legame tra questi due ambiti. Nella Critica della ragion pura Kant mostra che esiste un’opposizione assoluta tra le leggi della natura e la legge della libertà. Nella Critica del giudizio egli si spinge oltre e trova nella teleologia, nel concetto del “bello” e in quello del “vivente”, le condizioni di un possibile legame tra natura e libertà. In tale contesto di riflessione, fa notare Wiehl, Kant interpreta Spinoza, autore antiteleologico e fortemente critico della libertà del volere, come “pensatore teleologico”, e questo non per via di un fraintendimento, ma in virtù di una nuova formulazione del concetto di teleologia come teleologia interna, non intenzionale. Se, nel sottolineare la “differenza ontologica” tra la sostanza e tutte le creature finite e infinite, Spinoza stabiliva di guardare le cose dal punto di vista dell’assoluto, per il quale non c’è contingenza, né possibilità, per Kant, come pensatore della contingenza, il problema è invece quello di trovare una necessità legata alla contingenza come condizione di compatibilità tra legge della natura e legge della libertà: la teleologia è in tal senso per Kant il necessario del contingente. La concezione kantiana della teleologia, rileva Wiehl, si basa dunque su un certo concetto di contingenza e sulla distinzione tra contingenza del mondo e contingenza di ciò che è nel mondo. Sono rintracciabili nelle diverse opere di Kant vari significati del contingente. Vi è innanzitutto la contingenza dei giudizi percettivi, poi la contingenza dei singoli giudizi d’esperienza, che aggiungono ai primi la sussunzione del percepito ad una legge, e dell’intero sistema dell’esperienza. Kant parla inoltre della contingenza dell’esistenza delle cose nell’apparenza (Erscheinung) e nella Critica del giudizio fornisce una determinazione generale del casuale, affermando che ogni particolare è contingente se riguardato in relazione al più generale, perché non possiamo concludere direttamente dal particolare al generale; casuale, ancora, è il modo particolare delle cose di presentarsi al nostro intelletto discorsivo, che pensa andando da un punto all’altro. Inoltre, se guardiamo le cose come fenomeni, vediamo che non è contingente solo la loro esistenza, ma anche l’unità di forma (Gestalt) che esprimono, la loro organizzazione interna. Ma che rapporto c’è tra la teleologia kantiana e questi significati del contingente? Nella Critica del giudizio Kant afferma che l’essere la natura, come tutto, un sistema è un fatto dubbio, mentre è certo che nella natura come tutto ci siano dei sistemi. Kant critica appunto Spinoza perché con il suo necessitarismo avrebbe annichilito la contingenza. Questo è vero, osserva Wiehl, ma solo dal punto di vista dell’assoluto, per cui tutto è necessario, anche la contingenza delle cose. L’uomo, come parte dell’ordine naturale, può esistere, oppure no, è contingente, in quanto la sostanza non costituisce la sua essenza: dal punto di vista della natura naturata, quindi, vi è una contingenza necessaria. Il problema è se Spinoza abbia annichilito anche questa contingenza dal punto di vista dell’assoluto, della natura naturans. Il panteismo spinoziano implica, sì, che tutte le cose fanno parte dell’assoluto, ma non che l’assoluto entri con tutte le sue parti nelle cose. Secondo i successori di Kant, osserva Wiehl, la filosofia kantiana della natura diventa nella “terza critica” una filosofia della vita. Nella Critica del giudizio la facoltà del giudizio riflettente deve rendere possibile il sistema empirico della natura, ricercandone un principio capace di spiegare l’unità della natura di fronte alla molteplicità delle sue forme. Ma Kant dice anche che vi sono nella natura dei sistemi contingenti caratterizzati da una forma che li rende un tutto, da un’organizzazione interna, e distingue tra una finalità soggettiva, che esprime un’affinità della natura con la nostra facoltà di giudicare, e una finalità oggettiva, che permette di comprendere da una finalità assoluta delle forme della natura le finalità della forma esterna o dell’organizzazione interna che presuppone la forma della cosa. Di questa natura e della facoltà che essa dimostra, in ogni specie dei suoi prodotti organizzati, di organizzarsi da sé in un unico esemplare, si dice troppo poco, fa notare Wiehl, se la si considera come un analogo dell’arte e si pensa un artista come un essere ragionevole fuori di essa. Ci si avvicina di più a questa impenetrabile proprietà della natura quando in effetti la si chiami un “analogo della vita”. Se con Kant ci si ferma al concetto di “analogo della vita”, con Hegel si assiste a un nuovo sviluppo del concetto di “vita”. Hegel riconosce come meriti di Kant l’aver distinto tra finalità relativa e finalità interna - distinzione che introducendo un principio di spiegazione della vita supera la prospettiva della metafisica tradizionale - e l’aver CONVEGNI E SEMINARI mostrato la ricchezza di funzioni della facoltà del giudizio, che per Hegel ha una posizione intermedia non tra ragione e intelletto, ma tra il singolare e il generale. Limiti di Kant sono, invece, l’aver trattato il problema della teleologia a livello del giudizio riflettente, anzichè del giudizio determinante, e il non aver riconosciuto che la teleologia, legata alla logica del concetto, si pone ad un livello più alto, più vicino alla realtà, della causalità legata alla logica della riflessione. Per Hegel nell’attività teleologica l’inizio e la fine, la causa e l’effetto sono sempre già stati; questa attività è un diventare che è sempre già la cosa diventata: in essa la distinzione dei concetti come mezzi e fini si perde, ma tale perdita è importante per descrivere la vita, per superare la filosofia della riflessione, che fissa i concetti, e porsi nella fluidità delle cose che trapassano l’una nell’altra. La teleologia è trattata da Hegel nel capitolo della Fenomenologia dello spirito dedicata alla ragione (Vernunft) e diviso in tre parti, di cui la prima tratta della ragione osservante la natura, in particolare dell’organico nella natura. La prima attività dell’osservazione è la descrizione delle cose. Qui si ha un primo significato di sistema come sistema descrittivo della natura, che però può rivelarsi esteriore, lontano dall’essenzialità delle cose. L’altra attività legata all’osservazione è la ricerca delle leggi, come qualità proprie delle cose, che all’inizio appaiono come condizioni contingenti da purificare per poter giungere a un concetto di sistema, un tutto di leggi posto sotto un’unità concreta; il concetto di organismo è anch’esso un concetto di sistema riguardato come singola cosa empirica. Se applichiamo all’organico i concetti generali del fine, vediamo che la natura organica ha un limite, anche se non assoluto, nel mondo inorganico, che usa per conservare se stessa. Mentre in Kant avevamo un’opposizione assoluta tra mondo organico (teleologia) e mondo inorganico (meccanismo), in Hegel l’inorganico è usato come mezzo per la conservazione dell’organico. All’organico si legano, quindi, l’attività di autoconservazione, di autoorganizzazione, di autosentimento. Questi concetti di fine non rappresentano, tuttavia in Hegel principi euristici, volti a spiegare quei fenomeni della natura non riconducibili al meccanismo, ma caratteri determinati della vita stessa. F.F. Letteratura e filosofia dello spirito Nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli Giuseppe Orsi ha tenuto, dal 30 marzo al 2 aprile 1992, un seminario di studi dal titolo: Momenti di una filosofia dello spirito. La riflessione sul concetto di spirito è stata affrontata da Orsi attraverso l’analisi di esperienze intellet- tuali e morali quali ci provengono dall’ambito letterario. Nell’ultima lezione è stata inoltre indagata la problematica della storicità della natura presente nella riflessione filosofica di Croce. Un Petrarca portavoce di una sensibilità moderna, caratterizzata dalla scissione e dalla contraddizione costante tra il sentimento religioso e l’ammirazione del mondo classico, inteso come amore per le seduzioni terrene, emerge dalla letteratura specializzata che si è occupata della tematica del “conflitto” presente nel Secretum del Petrarca. Secondo Giuseppe Orsi, questa interpretazione appare già poco credibile se si riflette che un preteso sentire laico, inteso nel senso della terrestre mondanità, non è una novità rispetto a certa sensibilità profondamente materialistica del medioevo. Ciò che invece merita di essere messo in rilievo, ha osservato Orsi, è che il Petrarca ha sentito profondamete l’autonomia dello spirito che entra in conflitto con la trascendente divinità di Dio. In Petrarca si avanza la consapevolezza della vita dello spirito, intesa come operosità spirituale e relazione creativa e interpretativa del soggetto con il suo oggetto, con le sue produzioni, che sono le sue rappresentazioni, le opere prodotte, le tracce interpretate, le testimonianze illuminate dalla comprensione. E questa scoperta dello spirito non è conciliabile con una teologia, sia essa classica o cristiana, che è di fatto proiettata verso il trascendente e l’immobile, e che perciò annulla l’autonomia, la ricchezza e la molteplicità dello spirito. Il vero conflitto petrarchesco sta nella sua incapacità di opporsi argomentativamente al nichilismo teologico rappresentato nel Secretum dalla figura di Agostino; Petrarca vive e sente la scoperta dell’autonomia dello spirito senza esserne teoricamente consapevole. Egli intuisce il valore dell’attività spirituale come mediazione espressiva ed ermeneutica e sente di doverla difendere, difendendo l’impegno espressivo e i prodotti dello spirito. Purtuttavia, non distinguendo ancora tra segno ed espressione, Petrarca finisce col confondere, come tracce dello spirito, libri e lapidi, opere e sepolcri. Questa interpretazione della tematica del “conflitto” nel Secretum petrarchesco mostra, secondo Orsi, come una certa storiografia umanistica del dopoguerra abbia tradotto sistematicamente il problema umanistico della infinita attività ermeneutica dello spirito nei termini di una alternativa tra teoria-contemplazione e pratica-azione, oscurando la dimensione del fare spirituale. In particolare l’esperienza intellettuale di Giacomo Leopardi, ha osservato Orsi, può essere paragonata, anche se sembra esserne lontana, a quella del Petrarca, poiché entrambe esprimono, mediante una resistenza, il riconoscimento dell’autonomia dello spirito: Petrarca resistendo alla me- tafisica antica e alla teologia medioevale, Leopardi, invece, resistendo al razionalismo astratto, all’illuminismo e al materialismo settecentesco, che pure egli stesso mai rinnega. Pur non rinunciando, in piena Restaurazione, a nessuna delle conquiste del razionalismo illuministico, Leopardi approfondisce le conseguenze delle premesse sensiste e della visione materialistica settecentesca della realtà e, in questo contesto, viene a confrontarsi con il problema della specificità dello spirito umano. In particolare nei due canti “sepolcrali” del 1835, Leopardi perviene all’individuazione di un mondo di rappresentazioni e di affetti - egli dirà di “natura umana” - che va oltre il materialismo settecentesco e trova il suo fondamento non nella natura, ma nell’attività umana, e la sua prima origine nell’atto dell’ “immaginar”. L’autonomia dell’immaginazione fonda ora l’autonomia del mondo della rappresentazione e degli affetti. Da ultimo Orsi ha preso in considerazione il problema della storicità dello spirito e della storia della natura quale emerge nello scritto di Benedetto Croce: La storia come pensiero e come azione (1938). Nel capitolo “La natura come storia senza storia da noi scritta”, Croce sostiene che tutta la realtà è storia ed una volta attribuita storicità alla natura, la sua storia non si può svolgere meccanicamente, come pura processualità, ma deve svolgersi spiritualmente. In realtà Croce non fonda la continuità di storia umana e di storia naturale nel fatto che entrambe sono conoscenza umana e che questa è sempre tale (fondazione gnoseologica dello storicismo), ma sostiene addirittura che non è ammissibile la distinzione di storia dell’umanità e storia della natura, giungendo ad attribuire alla natura non solo storia, ma anche storicità, coscienza della sua storia, e spiritualità. Questa concezione del 1938, presente anche in un altro articolo, “Storicità della natura”, contenuto nel volume: Il carattere della filosofia moderna, non mette bene in evidenza, secondo Orsi, la distinzione tra spirito e natura, cioè tra la storicità dello spirito e il divenire in generale della natura. Il problema, invece, trovava una soluzione più coerente nell’Estetica del 1902, dove Croce sosteneva che l’espressione costituisce la prima affermazione dell’attività umana, e dove si sosteneva che l’attività espressiva del linguaggio è già spirito e non qualcosa a metà strada tra spirito e natura. Con ciò Croce metteva in evidenza che la storicità c’è solo là dove c’è l’espressione, rappresentazione che è già spirito. L’ulteriore distinzione interna all’attività spirituale non poteva essere altro che quella tra rappresentazione, presente anche negli animali, che non dà luogo a oggetti dello spirito, a opere, e “cultura”, categoria superiore dello spirito, che è produzione di oggetti espressivi e capacità d’interpretarli. G.P. CONVEGNI E SEMINARI Francesco Petrarca nello studio (miniatura da un manoscritto del sec. XV) CALENDARIO La Fondazione San Carlo di Modena nell’ambito del ciclo di lezioni: Aperture al futuro, ha organizzato due conferenze: 23 marzo, Augusto Placanica: “Futuro temuto - Futuro sperato”; 10 aprile, Adriano Prosperi: “Fine del mondo - Conquista del mondo”. Il 30 aprile, in occasione della presentazione del volume Le scienze delle religioni di Giovanni Filoramo e Carlo Prandi, si è tenuto un incontro con Giovanni Filoramo e Enzo Pace. Il 13 maggio si è svolta una conferenza dal titolo: Il simbolismo nell’esperienza religiosa con Antoine Vergote. Infine, in collaborazione con l’editore Bollati Boringhieri, il 26 maggio è stato presentato il volume di Günther Anders: L’uomo è antiquato, con la partecipazione Pier Paolo Portinaro e Barnaba Maj. Inoltre dal 10 al 16 settembre avrà luogo il secondo Corso Internazionale di Alti Studi dedicato a Prospettive di Sociologia della Religione. Le lezioni avranno luogo presso i locali della Fondazione. ● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315. Dal 10 al 13 aprile si è svolto presso l’Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Magistero, il I Congresso Internazionale sul Testo Filosofico, con la partecipazione dell’Accademia d’Ungheria. Questo il calendario degli incontri: 10 aprile, Mario Ruggenini: “Il testo della finitezza”; Heinz Kimmerle: “Contro l’etnocentrismo dell’opposizione oralità-scrittura”; Janos Petöfi: “Testi filosofici e filosofia del linguaggio”; 11 aprile, Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone: “Un cuore nel cuore”; Alessandro Ghisalberti: “Prospettive sui testi filosofici in età medievale”; Francesco Marsciani: “L’occhio e lo spirito”; Detlef Thiel: “Platone sulla genesi dei testi filosofici”; Alessandro Zinna: “Discorso filosofico e discorso scientifico”. 13 aprile, Janos Kelemen: “Due approcci al testo filosofico: l’analisi logico-linguistica e quella ermeneutica; Carlo Amable Balinas: “Lettura ‘iconica’ del testo filosofico”. ● Informazioni: Wanda Tasquier, Istituto di Filosofia e Scienze dell’Uomo, P.I. Florio 24, 90139 Palermo, tel. 091/6956511. In occasione della pubblicazione dei libri di Dino Formaggio: I giorni dell’arte e Problemi di estetica, la Casa della Cultura di Milano ha organizzato il 27 aprile un incontro sul tema: Esperienza dell’Estetica. Sono intervenuti: Dino Formaggio, Fulvio Papi, Stefano Zecchi. Sempre presso la Casa della Cultura, il 29 aprile si è svolto un incontro con gli autori per la presentazione del libro: Linguaggi della psicosi, linguaggi della complessità. Sono intervenuti: Eugenio Borgna, Roma- CALENDARIO no Madera, Sergio Piro, Italo Valent. Si è svolto inoltre il 28 aprile un convegno dal titolo: Identità e Cultura nel gruppo sociale e clinico con interventi di Eva Cantarella, Alfredo Civita, Eugenio Gaburri, Gian Marco Pauletta d’Anna. ● Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567. L’Università popolare di Varese ha organizzato dal 14 al 16 maggio un convegno dal titolo: Il sapere per la società civile. Tra gli interventi, segnaliamo: 14 maggio, Angelo Guerraggio e Fabio Minazzi: “Considerazioni introduttive”; Franco della Peruta: “Il quadro politico italiano da Crispi a Giolitti”; Luigi Ambrosoli: “L’educazione popolare nel programma e nell’azione socialista tra il 1890 e il 1915". 15 maggio, Valerio Castronovo: “La situazione economica italiana ai primi del Novecento”; Mario Quaranta: “Positivismo, socialismo e movimento operaio nelle riviste d’inizio secolo”; Franco Cambi: “Le Università Popolari nella storia dell’educazione: cultura popolare, educazione scientifica, immagine della scienza; Pier Carlo Masini: “Il movimento anarchico e la cultura”; Carlo G. Lacaita: “La cultura del lavoro in Lombardia tra Ottocento e Novecento”; Angelo Guerraggio: “La primavera scientista all’inizio del secolo”; Fabio Minazzi: “Filosofia e cultura popolare nel dibattito del neoilluminismo italiano” ● Informazioni: Dott. Fabio Minazzi, via Talizia 29/E, 21100 Varese, tel. 0332/264012. L’Associazione di cifrematica - Spirali/Vel edizioni ha organizzato nel mese di maggio tre incontri: 15 maggio, Piero della Francesca e Mondrian, sono intervenuti Bernard-Henry Levy e Armando Verdiglione; 21 maggio, Il pianeta teatro, interventi di Fernando Arrabal e Armando Verdiglione; 29 maggio, La scrittura. L’ebreo errante, l’arabo, il cattolico con Jean-Pierre Faye, Marek Halter e Armando Verdiglione. ● Informazioni: Spirali edizioni, tel. 02/8054417. Organizzato dal Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi dell’Università di San Marino, si è svolto, dal 21 al 22 maggio, un convegno dal titolo: Sogno ed etnologia: elementi transculturali del sogno. Sono intervenuti, tra gli altri: Jacques Galinier e Michel Perrin. Dal 16 al 19 giugno ha avuto luogo, sempre organizzato dal Centro, un convegno dal titolo: Knowledge Through Signs: Ancient Semiotic Theories. Questo il calendario degli interventi: 16 giugno, Umberto Eco: “Dal Congresso di Vienna ai moti della Romagna”; Anthoby A. Long: “Introduction to the Stoic Theory of Language”; Antony A. Long: “Introduction to the Stoic Theory of Sign”. 17 giugno, David Sedley: “Introduction to the Epicurean Theory of Sign”; David Sedley: “Introduction to the Epicurean Theory of Language”; 18 giugno, Mario Vegetti: “Iatromantis: medicina, mantica e predizione per segni nel V secolo; Walter Leszl: “I messaggi degli dei e i segni della natura”; Elizabeth Asmis: “Developments in the Epicurean Theory of Sign”; David Glidden: “Skeptic Semiotics and Natural Conventions”. 19 giugno, Maurizio Bettini: “Signum, Limes/Limen, Argumentum: Some Aspects of the Semiotic Terminology in Latin”; Giuseppe Pucci: “Il segno creatore. Aspetti dell’integrazione del segno nella mitologia vedica; Franco Lo Piparo: “Sign and Symbol in Aristotle”; Gerard Verbeke: “Meaning and Role of the Expressible (Lektón) in Stoic Logic”. ● Informazioni: Università degli Studi di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/ 882516. ta il 28 maggio una conversazione sul tema: La questione del moderno. Hanno partecipato: Maurizio Ferraris, Umberto Galimberti, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini e Vincenzo Vitiello. In occasione della pubblicazione del volume Filosofia 91, si è svolta il 19 giugno, presso la sede dell’Istituto, una conversazione sul tema: La razionalità dell’ermeneutica. Hanno partecipato: Maurizio Ferraris, Aldo G. Gargani, Pier Aldo Rovatti, Mario Ruggenini, Gianni Vattimo. ● Informazioni: Sala Incontri ISU, Corso di Porta Romana 19, 20100 Milano. Nel quadro della propria attività, la Società Filosofica Italiana, sezione lucchese, ha organizzato a Lucca pe il 29 maggio, in collaborazione con la Società Italiana di Studi kantiani, una giornata di studio sul tema: Le radici del male. Morale e religione in Kant. Sono intervenuti: F. Bianco, C. De Pasquale, A. Fabris, S. Marcucci. ● Informazioni: S.F.I. sez. lucchese, c/o Liceo Scientifico, via delle Rose, 55100 Lucca, tel. 0583/582685. Si sono svolti, presso la Fondazione Rosselli di Torino, due seminari tenuti da Richard E. Nisbett dell’Università del Michigan: 9 giugno, Who uses the normative rules of choise, “Teaching reasoning”; 10 giugno, Cultural Differences in predisposition to violence. ● Informazioni: Fondazione Rosselli, via San Quintino 18/C Torino, tel. 011/5622510. Dal 9 al 13 giugno 1992 ad Augst (Svizzera), si terrà nella Dr. René Clavel-Stiftung una seduta sotto la direzione di Wiebke Schrader su Problemi della metafisica morfopoietica. ● Informazioni: Prof. dr. R. Berlinger, Institut für Philosophie, Universität Würzburg, Residenzplatz 2, D-8700 Würzburg, tel. 0931/31859. Il 26 maggio, in occasione della presentazione del libro di Riccardo Viale, Metodo e Società nella scienza, il Club Turati di Torino ha organizzato, con la presenza dell’autore, un incontro con interventi di Luciano Gallino, Giulio Giorello e Paolo Legrenzi. ● Informazioni: Club Turati, via Accademia delle Scienze 7, 10100 Torino, tel. 011/531857. Il 13 e 14 giugno 1992 si tiene la VI Giornata annuale dell’AG Marx-Engels-Forschung, sul tema: Il soggetto storico nell’opera di Engels e Marx. Tra i relatori: Joachim Bischoff, Martin Beyer, Werner Goldschmidt, Joachim Hirsch, Wolfgang Jahn, Heinz Jung, Jürgen Jungnickel e Hans Jörg Sandkühler. ● Informazioni: Institut für Marxistiche Studien und Forschungen, Kölner Str. 60, D-6000 Frankfurt a./ M. Organizzato dall’Istituto per il Diritto allo Studio Universitario, si è svol- Organizzata da Hypothesis, il 16 giugno ha avuto luogo una tavola rotonda su Follie e inganni della medi- CALENDARIO cina. Sono intervenuti: Mario Abis, Gian Felice Clemente, Giulio Giorello, James McCormick, Petr Skrabanek. ● Informazioni: Hypothesis, via G. Belli 39, 00193 Roma, tel. 06/ 3231141. Dal 18 al 20 giugno 1992 si è tenuto a Münster un Colloquium Logicum con la partecipazione di M. van Lambalgen (“Proof theory of generalized quantifiers”), D. Martin (“The current situation in cardinals and determinacy”), R. Murawski (“Hilbert’s Programm incompleteness theory, vs. partial realization”), A. Prestel (“Neuere Ergebnisse in der Modelltheorie von Körpern”), R. Soare (“Definability, Incompleteness, and Automorphisms of Recursively Enumerable Sets”), G. Wechsung (“Komplexität von Zahlproblemen”). Le sezioni previste: 1. La logica nella matematica; 2. La logica in filosofia; 3. La logica nell’informatica. ● Informazioni: Colloquium Logicum, Institut für Mathematische Logik, Einsteinstr. 62, D-4400 Münster. Dal 25 al 28 giugno ha avuto luogo a Graz il V Congresso internazionale di Filosofia per bambini. Il congresso si è articolato nelle seguenti sezioni: 1. Dimensioni teoretiche della “Filosofia per bambini”; 2. Logica e pensiero critico; 3. Etica; 4. Filosofia per bambini e filosofia femminista, 5; Filosofia per bambini in ambiti specialistici; 6. Filosofia per bambini: curriculum e rapporto con la prassi. ● Informazioni: Dr. Daniela G. Camhy, Österreichsche Gesellschaft für Kinderphilosophie, Schmiedgasse 12/IV, A-8010 Graz. Dal 2 al 4 luglio si è tenuto a Marburg il Congresso Hermann Cohen, organizzato dall’Istituto di Filosofia dell’Università, in occasione del 150 anniversario della nascita di Cohen. Hanno preso parte al convegno, come realtori esterni: G. Edel (Amburgo), P. Fiorato (Genova), H. Holzhey (Zurigo), I. Kajon (Roma), T. Meyer (Siegen), A. Poma (Torino), H. Schnädelbach (Amburgo), P. Schultess (Zurigo). La direzione del convegno è stata di Reinhard Brandt (Marburg). In contemporanea, nella biblioteca dell’Università è stata allestita una mostra sulla vita e le opere di Hermann Cohen. ● Informazioni: Prof. Reihard Brandt, Institut für Philosophie, Universität Marburg. Dal 13 al 19 settembre la Förder- und Forschungsgemeinschaft Friedrich Nietzsche organizza la “NietzscheWerkstatt Schulpforta” negli spazi della Landesschule Pforta sul tema: Friedrich Nietzsche e l’Illumini- smo. ● Informazioni: FFG Friedrich Nietzsche e.V., Postfach 136, O-4020 Halle/S. Dal 21 al 24 luglio si tiene a Dortmund il II Convegno su Nietzsche. Sono intervenuti fra gli altri: Ralf Eichberg, Hans-Martin Gerlach, Endre Kiss, Joergen Kjaer, Rudolf Kreis, Renate G. Müller, Uschi Nussbaumer-Benz, Günter Wohlfart e Hermann Josef Schmidt. ● Informazioni: Prof. Dr. Hermann Josef Schmidt, Universität Dortmund, Fachbereich 14, Philosophie, Postfach 500 500, D-4600 Dortmund 50. Nell’agosto del 1992 a Kirchberg avrà luogo il XV Wittgenstein Symposium sul tema: Filosofia della matematica. Sono previste le seguenti sezioni: 1. Wittgenstein; 2. Platonismo ed esistenza matematica; 3. Costruttivismo e matematica intensionale; 4. Teoria della dimostrazione e teorema di Gödel; 5. Storia del pensiero matematico; 6. Rapporti della matematica con le altre scienze e con l’arte; 7. Sezione aperta ad altri aspetti della filosofia della matematica; 8. Workshop sul libro di Michael Dummet: Frege: Philosophy of Mathematics. Parleranno fra gli altri M. Dummett, Hao Wang, J. Hintikka, R. Kleinknecht, P. Weingartner, C. Wright. ● Informazioni: Österreichsche Ludwig-Wittgenstein-Gesellschaft, A-2880 Kirchberg am Wechsel, tel. 02641/2280, 2257. La Société Internationale pour l’Etude de la Philosophie Médiévale (SIEPM) organizza dal 18 al 23 agosto il IX Congresso di filosofia medievale a Ottawa (Canada). Tema del convegno sarà: Filosofia morale e politica nel Medio Evo. ● Informazioni: The Ninth Congress of Medieval Philosophy, University of Ottawa, Ottawa, ON KIN GN5, Canada. Dal 31 agosto al 13 settembre 1992 la Foundation für Intellectual History organizza il suo secondo seminario per laureati dal titolo: Metodi nei commenti aristotelici del XVI secolo. Il seminario intende colmare, con uno sforzo collettivo, le lacune nelle conoscenze del pensiero aristotelico nei secoli precedenti a Galileo. Fra i partecipnti: Charles Burnett (Londra), Luce Giard (Parigi), Nicolas Jardine (Cambridge) Eckhard Kessler (Monaco), Charles H. Lohr (Friburgo) e William A. Wallace (Washington D.C.). ● Informazioni: Prof. Eckhard Kessler, Institut für Geistesgeschichte und Philosophie der Renaissance, Ludwigstr. 31, D-8000 München 22. Dal 2 al 5 settembre 1992 la Stiftung Niedersachsen organizza a Hannover un Congresso internazionale sul tema: Attualità dell’estetica. Il Congresso si articolerà in cinque sezioni. Fra i relatori: Karl Heinz Bohrer (Die Grenzen des Ästhetischen - eine Schlüsselkategorie unserer Zeit?), Hermann Lübbe (Gegenwartsschrumpfung: über die Ästhetisierung der Zeit im Fortschritt), Wilhelm Schmid (“Alle Widersprüche finden sich in mir” - Lebenskunst al “Ethik” der Selbsterfindung bei Montaigne), Neil Postman, Rüdiger Bubner (Über das Symbolische in der Politik), Claus Leggewie (Staatskunst - Über die Politik der Differenz), Gernot Böhme (Ökologische Naturästhetik: Ästhetische Erkenntnis der Natur), Martin Seel (Ästhetische Natur als Wirklichkeit des Menschen), Rudolf zur Lippe, Bernd-Olaf Küppers (Die natürliche Dimensionen ästhetischer Komplexität), Paul Feyerabend (Kunst als ein Produkt der Natur), Dietmar Kamper (Erinnern, Wiederholen, Durcharbeiten. Über prähistorische Wahrnehmungsmuster in einer Ästhetik des Posthistoire), Arthur C. Danto (Kunst nach dem Ende der Kunst), Gottfried Boehm (Der erste Blick. Über Realität als Kunst), Ernst Pöppel (Einige Bedingungen für den Zerfall, Verfall und Wegfall des Schönen - Hirnforschungsgrenzüberschreitungen?), Humberto Maturana (Die Biologie des Ästhetik), Gianni Vattimo (Ästhetischen Verstehen als geschichtliches Tun), Albrecht Wellmer (Probleme des ästhetischen Verstehens), Jean-François Lyotard. ● Informazioni: Stiftung Niedersachsen, Ferdinandstr. 4, D-3000 Hannover 1, tel.0511/315001. Per questioni organizzative: COC-Kongreßorganisation, Büro Rhein-Main, Berliner Str. 175, D-6050 Offenbach/ Main 1, tel. 069/813028. L’European Society for Analytic Philosophy (ESAP) promuove, nel quadro del proprio programma di attività scientifica, un simposio sul tema: Senso e Riferimento, organizzato da P. Kotátko a Karlovy-Vary, in Cecoslovacchia, dal 7 al 11 settembre 1992, e un gruppo selezionato di lavoro sul tema: Teoria del Significato e Intuizionismo, organizzato da G. Sundholm a Leiden, in Olanda, nel settembre 1992. Organizzato dall’ESAP, avrà luogo a Aix en Provence (Francia) dal 23 al 26 aprile 1993 il I Congresso europeo di filosofia analitica (ECAP). I temi delle sessioni saranno: Etica; Filosofia della Mente; Filosofia del Linguaggio. ● Informazioni: Prof. Diego Marconi, ESAP-Torino. Dal 10 al 13 settembre, organizzato dall’ A.D.I.F., si svolgerà Il XIV Congresso Nazionale di Filosofia sul tema: Filosofia e Cultura nell’Eu- ropa di domani. Questi gli interventi: 10 settembre: Paul Poupard, Battista Mondin, Aniceto Molinaro; 11 settembre: Enrico Berti, Vittorio Possenti, Vladimir Zelinski; 12 settembre: Luciano Corradini, Rocco Buttiglione; 13 settembre: Tavola Rotonda conclusiva del Congresso. ● Informazioni: Prof. Giuseppe Schiff, via Rubignacco 8/A-2, 33043 Cividale delò Friuli, tel. 0432/733796. Dal 22 al 25 settembre 1992 si svolgerà a Svetlogorsk, nei pressi di Kaliningrad, la Conferenza di Kaliningrad 1992 sul tema: L’eredità di Frege nel XX secolo, logica e filosofia. Sono previste sezioni sui temi: 1. Frege in prospettiva analitica; 2. L’eredità di Frege in semantica logica; 3. Frege e i fondamenti della matematica. Si terranno inoltre degli “Special Simposia” sui temi: “La logica di Kant e la sua influenza su quella di Frege”; “La matematica, la logica e la filosofia di David Hilbert”. ● Informazioni: Department of Philosophy, Kaliningrad (URSS). Dal 24 al 26 settembre 1992, la Spinoza-Gesellschaft, le Università di Leipzig e di Hannover insieme a “Studia Spinoziana” organizzano una giornata internazionale di studio sul tema: Libertà e necessità. Attualità di Spinoza nel dibattito etico e politico dell’era moderna. Fra i partecipanti: Manfred Walther (“Zwischen Philosophie und Wissenschaft: Spinoza als Widerpart und Anreger ethischer und politischer Theoriebildung in der Neuzeit”), Shlomo Avineri (“Spinoza as the source of Moses Hess’ socialism and proto-zionism”), Emilia Giancotti (“Freiheit und Notwendigkeit bei Spinoza und Marx”), Ursula Goldenbaum (“Anthropologie und Geschichtsphilosophie bei Spinoza und im Marxismus”), Klaus-Dieter Eichler (“Spinoza und sozialistiche Utopien: Bloch und Negri”), Helmut Seidel “Theorie der Entfremdung bei Spinoza und Marx”). Sono previste sezioni su: 1. Spinoza e l’Illuminismo (europeo); 2. Spinoza e il pensiero democratico (Rivoluzione francese etc.); 3. Spinoza e la teoria socialista (principale periodo di riferimento: XIX secolo); 4. Determinismo ed etica (soprattutto il presente). ● Informazioni: Internationale Spinoza-Tagung, Organisationsbüro, Institut für Philosophie der Universität Leipzig, Augustusplatz 9, O-7010 Leipzig. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Manuali di filosofia per i licei Sono recentemente apparse riedizioni aggiornate di manuali di filosofia già da anni in uso nei licei. Segnaliamo in particolare l’edizione rinnovata di Filosofie e società di Mario Vegetti, Franco Alessio e Fulvio Papi (Zanichelli, Bologna 1992), nonché di Filosofi e filosofie nella storia di Nicola Abbagnano e del suo allievo Giovanni Fornero (Paravia, Torino 1992). Nel frattempo è apparso il secondo volume del nuovo manuale di Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo Vigorelli e Emilio Zanette, Il testo filosofico (Bruno Mondadori, Milano 1992). Filosofie e società di Mario Vegetti, Franco Alessio e Fulvio Papi ha una lunga storia. Apparso la prima volta nel 1975, con la collaborazione di Renato Fabietti per il secondo volume, ha segnato una svolta nella tradizione della manualistica filosofica in Italia, introducendo prospettive d’indagine aperte alle connessioni della filosofia con altri campi disciplinari, dalla sociologia all’epistemologia, ed evidenziando i referenti sociali, istituzionali, scientifici e politici delle teorie filosofiche. Nella nuova veste editoriale il manuale è stato interamente riscritto da Franco Alessio per quanto riguarda il secondo volume, mentre il primo e il terzo volume sono stati ampiamente rielaborati dagli autori, che hanno tenuto conto degli sviluppi più recenti della ricerca e delle linee più attuali del pensiero filosofico contemporaneo. L’ordine stesso della materia, specialmente nel terzo volume, è stato ridefinito favorendo un migliore accorpamento problematico degli argomenti, che risultano pertanto più “leggibili” dallo studente, diversamente da quanto accade quando ci si affidi prevalentemente ad un criterio d’ordine cronologico. Anche sotto il profilo didattico il manuale si presenta per più aspetti nuovo: l’approccio alle tematiche e agli autori risulta linguisticamente più agile; è stata ampliata la sezione antologica e introdotte schede sul lessico. Il manuale di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, si presenta in una nuova edizione riveduta per opera del coautore. Sono stati aggiunti nuovi paragrafi, risistemate o riscritte parti del testo precedente, senza tuttavia che il profilo del manuale risulti mutato nella sostanza. Di nuovo c’è un glossario e un riepilogo per ciascun capitolo. Al manuale di Abbagnano e Fornero si affianca ora l’antologia in tre volumi a cura di G. Brianese, G. Fornaro e M. Trombino, dal titolo: Leggere filosofia (Paravia, Torino 1992). Nel frattempo è apparso il secondo volume di Il testo filosofico. Storia della filosofia: autori, opere, problemi, a cura di F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette. Si riconfermano le scelte culturali e didattiche che hanno motivato la costruzione del primo volume, su cui abbiamo già ampiamente riferito sul n. 5 di questa rivista. Ne risulta un libro che non è solo un’introduzione alla storia del pensiero moderno, ma anche e soprattutto un percorso originale attraverso gli scritti dei filosofi, tale da valorizzare diversi testi che spesso sono stati esclusi dalle antologie tradizionali, per criteri di economicità o di altro ordine, e che consentono all’insegnante di costruire nuovi itinerari di avvicinamento alle tematiche filosofiche. Entro l’anno è prevista l’apparizione del terzo volume, che si contraddistinguerà in particolare per le ampie sezioni dedicate al pensiero filosofico del ‘900, con le relative scelte dei testi più significativi degli autori contemporanei. Convegni Organizzato dall’ARIFS ( Associazione per la Ricerca e l’insegnamento di Filosofia e Storia) in collaborazione con l’Università di Torino si è recentemente svolto a Brescia il XV Convegno nazionale per l’aggiornamento degli insegnanti sul tema: Fenomenologia ed esistenzialismo, con la partecipazione di noti filosofi italiani, E. Casari, V. Verra, G. Piana, G. Semerari, P. Rossi, S. Poggi, F. Bianco, A. Santucci, O. Faracovi e il tedesco R. Wiehl. L’intenso programma del convegno può essere suddiviso in tre grandi blocchi: il primo riguardante la fenomenologia di Husserl e le sue articolazioni, il secondo imperniato sulla filosofia dell’esistenza nell’area tedesca (Heidegger e Jaspers), l’ultimo infine relativo all’esistenzialismo francese (Sartre) e a quello italiano (Abbagnano, Pareyson e Paci). Per quanto riguarda il blocco fenomenologico, Ettore Casari e Stefano Poggi hanno tracciato il complesso quadro di alcune tra le ascendenze filosofiche più pregnanti della fenomenologia husserliana. Casari ha evidenziato il concetto di oggetto intenzionale di Brentano e la successiva correzione in senso antipsicologistico di Bolzano come elementi determinanti, soprattutto il secondo, nelle origini della teoria husserliana dell’intenzionalità mentre Stefano Poggi ha insistito sulla complessità e sulla fecondità del rapporto tra fenomenologia e psicologia, ricostruendo la fitta serie di intrecci tra Husserl e pensatori quali Stumpf, Meinong, Natorp e Dilthey. A questi primi interventi hanno fatto seguito relazioni di interpretazione più complessiva del pensiero di Husserl. Giovanni Piana ha attaccato con vigore una interpretazione psicologizzante della fenomenologia, di cui ha evidenziato il fondamentale carattere di metodica descrittiva, avente come obiettivo non il dato, ma la ricerca, nell’infinita matassa dei dati empirici, di legami e rapporti funzionali in base a determinate regole. La fenomenologia diviene una forma particolarmente sofisticata di intuizionismo, che cerca di cogliere nell’esperienza nessi, determinazioni, configurazioni strutturali. Da un’ altra angolatura prospettica, Giuseppe Semerari ha proposto la nozione di mondo-della-vita non semplicemente come approdo finale della riflessione di Husserl, bensì come fulcro di tutto lo svolgimento del suo pensiero. Già in Ideen II - pronte, anche se non pubblicate, nel 1912-13 - si sblocca il solipsismo di Ideen I e si configura un concetto di Io come Io posso/Io faccio, come struttura portante di ogni capacità di essere e fare; d’altro canto, nelle Meditazioni Cartesiane Husserl presenta il tempo come dimensione storica della costituzione dell’Io. Soggettività e tempo sono di fatto le tematiche che evi- DIDATTICA denziano contiguità e distanze della fenomenologia di Husserl in rapporto all’analisi esistenziale heideggeriana. L’apertura alla dimensione dei valori da parte della fenomenologia è stato l’elemento caratterizzante dell’intervento di Reiner Wiehl, che ha sottolineato l’importanza dei contributi di Scheler e di Hartmann. A questa apertura occorre ricollegarci, ha osservato Wiehl, per ritematizzare un problema fondamentale dell’uomo moderno: il problema della natura del male. Nell’ambito del secondo blocco di interventi riguardante la filosofia dell’esistenza in area tedesca, è stato ribadito il giudizio critico ormai consolidato di una irriducibilità del pensiero Heidegger ad una qualsivoglia forma di esistenzialismo. Lo ha dimostrato Valerio Verra attraverso una rilettura attenta e puntuale delle pagine, tratte dal paragrafo 7 di Essere e tempo, sul concetto preliminare di “ontologia come fenomenologia”. In base a queste premesse Verra ha sviluppato una strategia di lettura che mette in luce la struttura teleologica di Essere e tempo, al cui interno gli esistenziali si ordinano in una prospettiva ontologica complessiva, diversamente da quanto avviene ad esempio in Jaspers, che non fuoriesce dall’ambito esistentivo, concentrando il suo interesse sulla persona, sul soggetto individuale. D’altro canto, che si potessero imboccare strade così profondamente diverse a partire da alcuni presupposti comuni e da una reale amicizia tra questi due filosofi, lo ha dimostrato la precisa ricognizione del pensiero di Jaspers condotta da Pietro Rossi, attento a rilevare le profonde differenze tra i due a partire dalla loro formazione teorica e a sottolineare l’originalità e la ricchezza soprattutto nei tre volumi di Filosofia (1932) - delle analisi di Jaspers. Continuità e discontinuità del pensiero di Heidegger sono state illustrate invece da Franco Bianco, che ha parlato, per l’ultimo Heidegger, della ricerca di un nuovo inizio, oltre la metafisica, in stretta sintonia spirituale con l’impresa poetica di Hölderlin, fino ad arrivare all’ “ultima Divinità” dei Beiträge zur Philosophie. I due interventi finali, su Sartre e sull’esistenzialismo italiano, hanno evidenziato una diversa connotazione della “filosofia dell’esistenza”. Ornella Faracovi ha messo in rilievo gli equivoci della filosofia sartriana, per un verso molto più radicata nella tradizione francese di quanto non lo fosse nella fenomenologia, per un altro orientata verso esiti di tipo morale, con l’opzione finale per la scelta politica, la cosiddetta “etica dell’impegno”. Mentre Antonio Santucci ha messo in rilievo le particolari coloriture e diversificazioni della “filosofia dell’esistenza” in Italia, che ha avuto il suo momento più intenso negli anni ’40, ma che ha visto i suoi protagonisti (Abbagnano, Pareyson, Paci) prendere strade diverse già a partire dal decennio successivo: così l’esistenziali- smo “positivo” di Abbagnano si sviluppava in chiave storico-scientifica nella prospettiva di un libero dialogo razionale, mentre l’esistenzialismo di Paci si orientava verso il relazionismo e la fenomenologia, e il personalismo esistenziale di Pareyson si risolveva in una ermeneutica, intesa come intreccio e corrispondenza di interpretazione e verità. Non è stato facile, nella tavola rotonda conclusiva, fare il punto sui rapporti tra fenomenologia ed esistenzialismo. È emersa l’impossibilità di assumere uno schema storiografico unitario, fondato sulla pura successione cronologica, e, nel contempo, la necessità di approfondire la specificità delle interazioni e dei reciproci influssi nelle diverse realtà nazionali (Germania, Francia, Italia). A questo proposito l’osservazione più efficace è stata forse quella di Reiner Wiehl, che ha sottolineato l’esigenza di non chiudersi in un lavoro di semplice ed estenuante esegesi, ma di raccogliere come eredità positiva e imprescindibile i problemi aperti che i filosofi precedenti ci hanno lasciato, per cercare di affrontarli e di lavorare seriamente attorno ad essi. Un’ulteriore citazione merita l’intervento di Valerio Verra, che, a differenza di tutti gli altri, ha affiancato precise indicazioni didattiche alla sua proposta di interpretazione di Essere e tempo. Egli ha insistito su alcuni punti: 1) lo schematismo, presente anche in molti manuali di filosofia, con cui si legittima una presunta successione temporale e transizione concettuale dalla fenomenologia all’esistenzialismo; 2) la rigidità con cui vengono presentate le differenti fasi di pensiero di determinati autori (come è il caso di Heidegger); 3) la confusione tra fasi diverse del pensiero di un autore e fasi diverse di ricezione di quel pensiero. A questo proposito bisogna rilevare che il problema di una traduzione didattica dei contenuti filosofici offerti alla riflessione in questo convegno impone una considerazione conclusiva di carattere più generale. Si è consolidata, infatti, una dicotomia tra due tipologie di convegni, uno ad alto tasso contenutistico, l’altro incentrato sul dibattito intorno ai fondamenti della didattica, alle metodologie e alle proposte programmatiche. Una maggiore interazione tra queste modalità sarebbe probabilmente feconda e utile, anche se le difficoltà di intersezione tra piano della ricerca e piano didattico sono notoriamente rilevanti. L’ARIFS ha scelto la qualità dei contenuti e persegue con molta coerenza questa strada. A questo riguardo, il suo presidente, Giancarlo Conti, ha già preannunciato il tema del prossimo convegno: La filosofia italiana tra Umanesimo e Rinascimento, che si terrà nei primi mesi del ’93 con la partecipazione di alcuni tra i più noti e importanti studiosi di questo tema, a partire da Garin e Vasoli. F.S. Dal 2 al 6 marzo 1992 si è svolto a Santa Margherita Ligure un seminario di aggiornamento per docenti di filosofia sul tema: Il sapere filosofico e gli altri saperi. Linee di rinnovamento dell’insegnamento della filosofia nella scuola secondaria superiore, organizzato, su incarico del Ministero della Pubblica Istruzione, dal Preside del Liceo Classico di Rapallo e coordinato da Anna Costantini Sgherri, ispettrice ministeriale. Una seconda parte del Seminario è prevista per ottobre 1992. Scopo del seminario era di aggiornare gli insegnanti sulle nuove metodologie e i nuovi contenuti nell’insegnamento della filosofia, con particolare riferimento alle proposte elaborate dalla Commissione “Brocca”, al fine di produrre materiali di riflessione ed approfondimento sui principali temi che caratterizzano i processi di sperimentazione. L’invito è stato dunque rivolto a quegli insegnanti nelle cui scuole già viene sperimentata nel biennio la riforma “Brocca”. Erano infatti presenti circa cinquanta docenti di tutta Italia, per la maggior parte provenienti da Istituti Magistrali, particolarmente coinvolti dalla maxi-sperimentazione “Brocca”, dato che l’applicazione di questa riforma verrebbe a modificare sostanzialmente l’Istituto Magistrale, trasformandolo in indirizzo socio-psico-pedagogico. Non mancavano però rappresentanti dei Licei Scientifici e Classici. La riforma “Brocca” infatti prevede, oltre a un biennio unificato, la formazione di indirizzi classico, scientifico, linguistico, socio-psico-pedagogico e scientifico-tecnologico; come novità di rilievo, la riforma propone anche indirizzi tecnologici ed economici, corrispondenti agli attuali Istituti Tecnici, dove la filosofia verrebbe insegnata con due ore settimanali. L’insegnamento della filosofia sarebbe dunque presente in tutti gli indirizzi scolastici, ottenendo di nuovo quel ruolo formativo messo in discussione nel passato. Il limite di tale progetto è, secondo alcuni, il prolungamento dell’orario scolastico sino a 35 ore settimanali, a cui fa riscontro un diverso modo di utilizzo del tempo d’insegnamento e un diverso impegno nello studio da parte degli studenti: un limite reale, soprattutto se si tiene conto del fatto che le strutture della scuola superiore italiana non sono ancora adeguate al tempo prolungato. Ma al convegno di Santa Margherita non sono stati tanto discussi questi aspetti delle proposte elaborate dalla Commissione “Brocca”, quanto piuttosto il rinnovamento metodologico e i nuovi programmi didattici contenuti nel materiale appena completato dalla Commissione e distribuito per l’occasione ai partecipanti. (Per ulteriori informazioni sui contenuti di questo materiale ci si può rivolgere alla prof.ssa Susanna Creperio, c/o Liceo Ginnasio “G. DIDATTICA Parini”, via Goito 4, 20100 Milano). Il programma dei lavori è stato particolarmente intenso. A fianco delle relazioni di docenti universitari, finalizzate all’attualizzazione dei contenuti dell’insegnamento della filosofia - di particolare interesse l’intervento di D. Palladino (Università di Genova) sul rapporto/distinzione tra logica matematica e logica filosofica - si sono tenuti tre gruppi di lavoro, ciascuno dei quali aveva il compito di elaborare e ipotizzare itinerari didattici, utilizzando le proposte dei programmi della Commissione “Brocca”. Gli aspetti più interessanti del Convegno sono stati da un lato la presentazione e discussione di nuove proposte didattiche e a questo proposito segnaliamo la relazione di E. Berti concernente i lavori della Commissione “Brocca” e i criteri che hanno ispirato la Commissione stessa - dall’altro il tentativo, promosso da Anna Costantini Sgherri, di trasformare l’incontro in un laboratorio di ricerca. I lavori di gruppo e il dibattito tra i gruppi hanno infatti favorito non solo il confronto tra diverse esperienze e l’elaborazione di nuovi progetti, ma anche l’uscita dall’isolamento in cui spesso gli insegnanti si trovano a lavorare. Bisogna tuttavia osservare che dal punto di vista dei metodi e dei contenuti le nuove proposte della Commissione “Brocca” non appaiono particolarmente innovative per chi già da tempo pratica la lettura diretta dei testi dei filosofi, l’uso strumentale del manuale e il “taglio” dei programmi ministeriali con l’individuazione di tematiche. C’è piuttosto da augurarsi che le nuove metodologie possano essere estese e praticate il più possibile, dato anche il successo didattico confermato dalle sperimentazioni in atto. S.C.V. L’IREF (Institut de Recerca per l’Ensenyamente de la Filosofia) di Barcellona ha promosso, con il sostegno finanziario della CEE, una conferenza di tutti i Centri che in Europa si occupano della cosiddetta Philosophy for Children (Filosofia per bambini). Al meeting, che si è tenuto a Barcellona dal 14 al 16 febbraio 1992, hanno partecipato i rappresentanti di undici dei quindici centri che attualmente operano nei paesi sia dell’Ovest europeo (Gran Bretagna, Olanda, Austria, Islanda, Spagna, Italia, Portogallo, Belgio, Svezia) che dell’Est (Romania, Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria, Polonia). Presente anche Matthew Lipman, il fondatore dello IAPC (Institute for advancement of Philosophy for Children nel New Jersey) e autore dei sette racconti che, insieme con i relativi manuali per gli insegnanti ed altri testi teorici, ultimo dei quali Thinking in Education (University Press, Cambridge 1991), costituiscono l’insieme del curriculum della Philosophy for Children. La recente crescita d’interesse in area europea per una proposta pedagogica e didattica ricca di suggestioni innovative e, nel contempo, così ancorata alla tradizione culturale occidentale, ha suggerito l’opportunità di compilare un primo inventario del lavoro che si va facendo, dei risultati e dei programmi fin qui elaborati, un’anagrafe e una mappa delle iniziative più significative. Partendo da questa preliminare ricognizione, il convegno di Barcellona si è proiettato verso uno sforzo di coordinamento e di progettazione di dimensione europea. È stata anche sottoscritta una lettera di intenti in vista della costituzione di una Federazione europea dei Centri di Philosophy for Children. Sarà denominata Sophia e avrà la sua sede ad Amsterdam; curerà, tra l’altro, la formazione degli insegnanti in questa particolare area dell’educazione e potrà rappresentare un utile punto di riferimento anche in relazione alla documentazione e al collegamento tra le diverse esperienze. La presentazione dello statuto della Federazione e le linee di programma per il prossimo futuro sono previsti in occasione dello svolgimento della V Conferenza Internazionale di Philosophy for Children, che si tiene a Graz (Austria) dal 25 al 28 giugno 1992. A curarne l’organizzazione, così come per la prima edizione del 1987, è il Centro austriaco, uno dei primi sorti in Europa, diretto da Daniela Camhy, ricercatrice presso l’Università di Graz. La Conferenza si articolerà in diverse sezioni, ognuna delle quali esaminerà un particolare aspetto del curriculum in questione: dimensioni teoretiche della Philosofy for Children, pensiero critico e pensiero logico, etica ambientale, Philosophy for Children e filosofia femminista, Philosophy for children e pratica didattica. Per quel che concerne la situazione italiana, i primi passi sul terreno della divulgazione sono stati mossi con la pubblicazione della prima traduzione in italiano di un racconto di Matthew Lipman, Il prisma dei perché (Armando, Roma 1992). Ad aprire la strada a questa pubblicazione fu, nel 1987, un articolo di Luciana Vigone: “La filosofia con il bambino, la filosofia per il bambino” (“Bollettino della Sfi”, n.131/1987). Seguiva, nel 1988, la pubblicazione di un articolo dello stesso M. Lipman, “Pratica filosofica e riforma dell’educazione” (“Bollettino della Sfi”, n.135/ 1988). Proprio da questi articoli traeva alimento l’interesse di un gruppo di docenti i quali, incominciando ad usare in classe pagine dei racconti di Lipman, tentavano i primi approcci al programma: una testimonianza di questi primi tentativi la si può avere dal resoconto di R. Bertuzzi riguardante un’esperienza nella scuola elementare: “Come argomentano i bambini: un’esperienza nella scuola elementare nel volume curato da A.Colombo, I pro e i contro. Teoria e didattica dei testi argomentativi” (“Quaderni del Giacel”, La Nuova Italia, Firenze 1987). Intanto, nel 1990, Lipman teneva un seminario all’Università di Dubrovnik in Iugoslavia. Era l’occasione per approfondire la conoscenza del programma, soprattutto dal punto di vista della sua applicazione pratica e, inoltre, per operare una prima verifica del lavoro fatto. Dall’impulso proveniente da quell’incontro derivarono due risultati importanti: 1) venivano poste le condizioni per la pubblicazione della traduzione del racconto Ilary Stottelmeier’s Discovery (tradotto col titolo: Il prisma dei perché) a cura di A. Cosentino; 2) M. Santi raccoglieva un’intervista di Lipman, quanto mai utile a chiarire il senso della Philosophy for Children e a sgombrare il campo dai molti fraintendimenti possibili, pubblicandola con il titolo: “Filosofare con i bambini. Conversazione con M. Lipman” (“Prospettiva E.P.”, n.6/91). Sulla scorta di queste premesse è stato possibile andare oltre la personale curiosità e l’iniziale impegno di ricerca. Sono nati, così, due Centri che si occupano, in Italia, di Philosophy for Children: il CIREP, legato al lavoro di ricerca che M. Santi sta svolgendo presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova, e il CRIF, nato sull’onda della pubblicazione de Il prisma dei perché e impegnato soprattutto sul terreno della sperimentazione didattica. Se questo è l’inizio, il seguito del lavoro presenta indubbiamente incognite e difficoltà che potranno essere affrontare e superate solo sul campo. Soprattutto bisognerà tener conto del particolare statuto pedagogico che impedisce di pensare la Philosophy for Children come una possibile disciplina tra le altre. In questi termini sarebbe difficilmente istituzionalizzabile. In verità, si potrebbe dire che le essenziali istanze formative che essa implica sono, in buona parte, già circolanti a livello di aspettative esplicite e implicite nei programmi scolastici esistenti - particolarmente in quelli per la scuola elementare del 1985. Molto più verosimilmente l’approccio a questo programma didattico è rappresentabile come una proposta di costante impegno alla ricerca e all’aggiornamento offerto all’attenzione di ciascun insegnante e a gruppi di insegnanti, per cui, riguardo agli sviluppi futuri, molto dipenderà dalla risposta che man mano verrà dal mondo della scuola. A.C. Si è tenuto presso l’auditorium dell’ I.T.C. sperimentale “Erasmo Da Rotterdam” di Bollate (MI), nei giorni 7-89 maggio 1992, il convegno nazionale: Filosofia, formazione professionalità. Il senso dell’insegnamento della filosofia nella formazione dello studente di scuola secondaria superiore. Si sono succedute relazioni di Fulvio Papi, Anna Costantini Sgherri, Luciana Vigone, Alessandro Caval- DIDATTICA li, Giancarlo Fantacone, Raffaella Lamberti, Ferdinando Vidoni, Rossana Di Fazio, Pier Luigi Raccagni, Gerevini, Bruno Coppola. I programmi elaborati dalla Commissione “Brocca” per i nuovi modelli di triennio delle scuole secondarie superiori (ipotesi di una riforma “annunciata” e ancora non realizzata) prevedono l’inserimento di due ore settimanali di insegnamento della filosofia negli ultimi due anni degli istituti a indirizzo tecnico. A poche settimane dalla loro pubblicazione ufficiale, il convegno di Bollate ha avviato una riflessione sulle valenze formative della materia in relazione ai nuovi profili professionali, individuando quali competenze sono richieste all’insegnante di filosofia in relazione alle nuove prospettive educative, viste sotto il profilo dei contenuti, dei metodi e degli strumenti più idonei. Nella sua relazione introduttiva, Fulvio Papi ha mostrato, con una sapiente analisi teoretica e semiologica, la problematicità, ma anche la pensabilità e coerenza di fondo di un progetto che mette in relazione concetti apparentemente così distanti fra loro come filosofia, formazione, professionalità.La filosofia, ha osservato Papi, come elemento di formazione della professionalità è già un orizzonte filosofico, che riconosce l’esistenza conflittuale di una pluralità di filosofie come ciò che fonda e rende possibile la filosofia in quanto forma di comunicazione vivente, attivabile, di riflessività ulteriore sulla professionalità operativa. Quanto poi la filosofia, come tradizione, possa positivamente collaborare a un progetto scolastico di tipo tecnologico, è per Papi una “scommessa” che vale la pena di stringere, a patto di muoversi in un orizzonte che presupponga una formazione universitaria polivalente degli insegnanti, una visione “antropologica” della filosofia, un uso “de-regolato” della filosofia, capace di riflettere criticamente sui linguaggi che costruiscono una professionalità tecnica operativa. Da un punto di vista più istituzionale, Anna Costantini Sgherri, ispettrice ministeriale, ha sottolineato con forza il legame di continuità che esiste tra le indicazioni dei programmi “Brocca” e l’esperienza realizza-ta dalle scuole sperimentali. «La ricchezza del dibattito sull’insegnamento della filosofia sviluppato dalle scuole sperimentali - ha rilevato Costantini Sgherri consiste nel fatto che esse hanno affrontato con esiti e prodotti significativi, e per giunta senza nessuna indicazione e nessun aiuto, problemi di tipo propedeutico, di impianto concettuale: per esempio la fattibilità di un programma di filosofia in un contesto non liceale, la compatibilità di questo con le esigenze di un indirizzo di tipo tecnologico...».Luciana Vigone, vicepresidente della Società Filosofica Italiana, ha invece sottolineato l’urgenza del problema etico nel mondo contemporaneo, di cui la scuola non può non farsi carico, mettendo anche in evidenza la necessità di una dimensione europea dell’insegnamento della filosofia nella scuola italiana in vista di future spinte concorrenziali e competitive a livello europeo, che metteranno a dura prova tutti gli ordinamenti scolastici e universitari. Un orientamento comune sembra tuttavia già emergere nei vari paesi europei rispetto al mantenimento della prospettiva storica nella trattazione dei problemi e delle teorie filosofiche, nonché rispetto al riconoscimento del valore dello studio dei testi classici. Alessandro Cavalli ha espresso una certa preoccupazione intorno alla proposta di riforma “Brocca”, che conterrebbe a suo giudizio “un rischio di licealizzazione”, non corrispondente «ai bisogni formativi di una società moderna». In ogni caso questa, per Cavalli, potrebbe essere l’occasione per introdurre questioni di filosofia morale nelle scuole, in particolare di “etica pubblica” che, oltre ad essere uno dei compiti educativi della scuola, raccoglie una domanda profonda dei giovani. Dichiarandosi favorevole all’introduzione della filosofia nei tecnici, Raffaella Lamberti osserva tuttavia che una vera innovazione della didattica filosofica non potrà prescindere dalla considerazione di una filosofia “al femminile”, anche in termini di linguaggio, di rappresentazione simbolica, nonostante la difficoltà che può sollevare una proposta del genere non solo per la sua novità, ma soprattutto per la diffidenza che suscita la questione di un essere, di un sapere e di un pensare non neutro rispetto alla sessualità. Un immenso patrimonio di cultura femminile, ancora largamente sconosciuto, potrebbe in realtà essere introdotto nei curricoli scolastici come complementare ai programmi vigenti, per essere poi sviluppato in funzione di nuovi approcci a questioni di ordine epistemologico, gnoseologico, ontologico, morale. Rossana Di Fazio si è interrogata sulle relazioni possibili tra “filosofia arte e letteratura”. Una riflessione sulle categorie estetiche consentirebbe da una parte la consapevolizzazione del sapere embrionale degli studenti, dall’altro un arricchimento concettuale ed esplicativo della lettura dell’immagine. Di Fazio ha concluso il suo intervento sottolineando l’importanza che nel progetto “Brocca” viene data al lavoro interpretativo sui testi: «lavorare sui procedimenti propri degli scienziati, così come degli artisti e degli scrittori consente di scardinare luoghi comuni, di fare chiarezza intorno a procedimenti generali che sono modelli di creatività. Questa non è una teoria sull’arte: è filosofia». Con una relazione sul tema: “Filosofia e professionalità”, Giancarlo Fantacone ha analizzato il rapporto fra istruzione e formazione all’interno del fatto educativo, in particolar modo soffermandosi sui problemi epistemologici e pragmatici impliciti nella pedagogia e nel concetto di formazione, che oggi richiama una comprensione della “complessità”, una ricerca di spazi individuali di libertà e autonomia e, infine, una scoperta della propria etica di individuo attivo nella responsabilità gestionale: definizioni che rimandano direttamente alle basi del pensiero filosofico.Più in particolare, Ferdinando Vidoni ha dibattuto il tema “Filosofia, scienze e tecnologia”, evidenziando l’importanza di alcuni percorsi di filosofia della scienza all’interno dei programmi della riforma “Brocca” e la valenza formativa di una riflessione sugli «strumenti e procedimenti razionali che vengono messi in atto nelle conoscenze scientifiche». Rimane aperto il problema di come impostare un insegnamento della filosofia della scienza non riduttivo, volto a praticare un progetto interdisciplinare basato su approcci logico-epistemologici e attento alle implicazioni etiche, sociali e politiche della scienza e della tecnica. Sia Pier Luigi Raccagni sia Gerevini, entrambi ricercatori del progetto ISPER, hanno parlato di “Giovani, mass-media e problemi della comunicazione”. Raccagni ha illustrato, con taglio sociologico, le difficoltà della filosofia, disciplina “aristocratica” per eccellenza, anell’incontrarsi con la cultura giovanile, profondamente intessuta di “immagini”, ed ha proposto un’interessante ricerca didattica basata sulla scoperta delle nuove basi del sapere giovanile (privilegiando soprattutto il cinema), coniugate con la rivisitazione di problemi filosofici. Gerevini si è poi soffermato più approfonditamente sulla necessità di cogliere nel cinema e nella sua teorizzazione epistemologica una nuova possibile impostazione filosofica più aderente alla nuova realtà culturale giovanile, basata sull’immagine.All’interno di una prospettiva affine, Bruno Coppola, trattando di “Filosofia, computer e didattica”, ha sottolineato come ogni possibile discorso innovativo debba innanzitutto affrontare il problema delle metodologie di insegnamento della disciplina, anche in considerazione del profondo cambiamento in atto “nell’interlocutore studentesco” e nelle tecniche di comunicazione. Estremamente interessante in tal senso è l’uso delle nuove tecnologie ipertestuali, che oltre alla facilità di aggiornamento dei materiali archiviati e del risparmio di tempo nel ritrovamento delle informazioni, permettono l’individualizzazione dell’insegnamento e la creazione di originali percorsi di apprendimento. La terza giornata del convegno, dedicata a scambi di esperienze e materiali didattici, presentazione di iniziative di aggiornamento e di ricerca in corso, ha mostrato l’esistenza di una grande varietà e ricchezza di elaborazioni, di cui spesso non si è a conoscenza per mancanza di momenti di raccordo e di confronto reciproco. Tra gli intervenuti, Fabio Cioffi, del l'I.T.C. c.s. di Bollate (MI), ha rilevato come il dibattito sull’alternativa tra un’impostazione di tipo storico e un’impostazione di tipo problematico nell’insegnamento della filosofia sia stato superato, grazie ad una metodologia basata sulla lettura dei testi, che risolve i limiti di entrambe le precedenti prospettive con una articolazione in tre fasi distinte: una prima fase di contestualizzazione storico-culturale del testo; una seconda fase che analizza il testo nelle sue caratteristiche formali, strutturali, di “ge- RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG (1968-1988): ein Rückblick, di G. Normanno. Vol. 45, n. 4, ottobre/dicembre 1991 Klostermann, Frankfurt a./M. Erscheinungen und Dinge an sich, di T. Pogge: dall’opposizione tra fenomeno e cosa in sé della Critica della ragion pura è possibile ricavare quattro possibili interpretazioni della teoria trascendentale di Kant, fondamentali, secondo l’autore dell’articolo, per comprendere fino in fondo tale opposizione e contribuire ad un ulteriore chiarimento del senso dell’idealismo trascendentale kantiano. Die spielerische Entgegnung der Idee auf die ernste Natur, di H. Busche: l’analitica del sublime kantiano, le differenze tra bello e sublime, sublime matematico e sublime dinamico. Epikurs Stellungsnahme zur aristotelischen Hedone-Diskussion in der Nikomachischen Ethik, di G. Manolidis. Was heist “praktisches Wissen”?, di A. W. Müller: analisi dei problemi sollevati dal libro di G. E. M. Anscombe Absicht (Karl Albert Verlag, Freiburg, München, 1986). Forschungsinteresse, Tatsachenwissen und praktische Orientierung, di B. Gräfrath: la riflessione di Max Weber sul concetto di Wertfreiheit della scienza. Wissenschaftsgeschichtliche Aspekte des historiographischen Ansatzes von Wilhelm Windelband, di W. K. Schulz. Bemerkungen zur Willensfreiheit, di E. Biedermann. Wolfang Stegmüller zum Gedenken, di F. von Kutschera: al ricordo di Stegmüller segue la bibliografia del filosofo. Politische Philosophie im Mittelalter, di F. Bertelloni: recensione di AA. VV.: The Cambridge History of Medieval Political Thought (Cambridge University Press, Cambridge, New York, 1988). Zwanzig Jahre italienische Kant-Rezeption DIALEKTIK n. 2, 1991 Meiner Verlag, Hamburg Tema della rivista: “Conoscenza storica. Il modello di teoria di Marx”. Karl Marx - Kein Bürgerrecht in der wissenschaftlichen Kultur?, di O. Negt. Bild-Theorie. Zur Logik der konstruktiven Einbildungskraft im Marxschen Werk, di S. Tagliagambe: alla luce delle indicazioni di Althusser, l’articolo si propone di analizzare le problematiche relative alla costruzione dell’oggetto teoretico nell’economia politica di Marx; secondo l’autore, in Marx sarebbe rintracciabile una logica dell’immaginazione costruttiva, che presenta notevoli punti di tangenza con la teoria galileiana delle leggi empiriche. con le teorie della relatività e dei quanta, la teoria marxista della conoscenza si è trovata a dover determinare in maniera migliore la relazione tra soggettività ed oggettività. Alla luce di tali osservazioni l’articolo vuole proporre una rivisitazione di alcune categorie proprie della filosofia marxista: le categorie dialettiche di contraddizione, storia, materia. Die philosophische Einheit von Anthropologie, Geschichtsphilosophie und Ökonomie im Konzept von Marx, di H. H. Holz: la teoria di Marx è essenzialmente una teoria filosofica ed è per questo motivo che le ricerche più tarde, relative a problemi di economia politica, sono la conseguenza di problemi filosofici; in particolare, l’economia politica troverebbe la propria genesi nei problemi di antropologia. Die Kategorie der doppelten Produktion des Lebens. Kritische Anmerkungen zur Geschichte einer Verdrängung, di T. Mies: la questione della relazione tra individuo e collettività nel marxismo. Der analytische Marxismus zwischen Philosophie und Naturwissenschaften, di G. Lock: il marxismo analitico è ispirato dalla filosofia analitica? Revisione critica di questa tesi. Zum Zusammenhang von Lage und Rolle der Arbeiterklasse im Frühwerk von Karl Marx und Friedrich Engels, di W. Goldschmidt: la questione, all’interno delle opere di Marx ed Engels, della relazione tra le condizioni della classe lavoratrice nel sistema capitalistico e la sua presunta missione storica. Alla luce delle condizioni economiche ed ideologiche relative al 1840, l’articolo distingue tra una argomentazione “essoterica”, classica del marxismo, ed una “esoterica”. La prima si basa su un’immediata e necessaria correlazione tra le condizioni di vita della classe lavoratrice e la sua missione storica: ipotesi storicamente fallita alla luce degli sviluppi del capitalismo nel nostro secolo. La seconda argomentazione si fonda su una sorta di potere di emancipazione, proprio della stessa capacità creativa del lavoro umano ed apre prospettive più concrete nel contesto di un possibile progetto socialista. Über den Begriff “Realität” und geschichtliche Erkenntnis, di P. Jaeglé e P. Roubaud: in relazione allo sviluppo della fisica Welteinheit als Interpretationskonstrukt Gründe für ein hypostasiertes Weltmodell im Interpretationismus, di H. Lenk: a pro- Wissenschaftliches Weltbild und Rationalität empirischer Philosophie. Der Theorietypus “Marx” und die epistemologische Bedeutung der Naturwissenschaften, di H. J. Sandkühler: l’articolo si propone di evidenziare il legame strutturale tra il modello di teoria marxiano e la tradizione empiristica, baconiana, in cui esso si inscrive; Marx cerca i propri ideali di razionalità epistemologici e metodologici non nella filosofia speculativa, ma nelle scienze naturali. Questo carattere della filosofia marxiana non è tuttavia dovuto solo alla necessità di fondare empiricamente l’economia politica, ma anche all’istanza antiirrazionalistica che richiede una immagine scientifica del mondo. RASSEGNA DELLE RIVISTE posito dell’articolo: “Die Wirklichkeit der Wissenschaft Probleme des Realismus”, comparso su “Dialektik” 1/1991. Lawrence Krader, di F. W. Kramer. Der Fortgang der Marx/Engels-Gasamtausgabe, di M. Hundt. Thomas Aquinas on the will as rational appetite, di D. Gallagher: i diversi modi attraverso cui Tommaso divide i livelli di “appetito”; la sua nozione di volere come appetito razionale e la distinzione tra appetito sensibile e razionale. Descartes on sense qualities, di J. V. Buroker. Karl Marx und seine naturwissen-schaftlichen Studien in den 1870er und frühen 1880er Jahren - Einblicke in die MEGA Forschung, di P. Jäckel e V. Mueller. A new source of spinozism: Franciscus Van den Enden, di W. Klever. ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Was Schopenhauer an idealist?, di D. E. Snow e J. J. Snow: alla luce dei contributi più recenti della ricerca anglosassone, l’articolo tenta di determinare il ruolo dell’idealismo nella filosofia di Schopenhauer, le cui posizioni sembrano fin dall’inizio legate alle controversie post-kantiane dell’inizio del XIX sec. Vol. 73, n. 3, 1991 Walter de Gruyter, Berlin, New York “Scholasticorum taediosa circa suppositiones praecepta”. Leibniz und die Problematik der Suppositionstheorie Ockhams, di H. Weidemann. De la connaissance qu’avait Kant de la métaphysique wolffienne, ou Kant avait-il lu les ouvrages métaphysiques de Wolff?, di J. Ecole: benché tradizionalmente la filosofia critica venga proposta come una reazione alla metafisica wolffiana, l’articolo intende analizzare quale sia il vero rapporto tra Kant e Wolff e quale effettiva conoscenza Kant abbia avuto della sua metafisica. Adam Smith and Thomas Cadell: Zwei neue Briefe, di H. Klemme. The despair that is ignorant of being despair, di N. Pappas: la figura del “disperato” incosciente in Kierkegaard; l’origine del concetto di incoscienza; il modello freudiano; l’inconscio nel filosofo danese ed in Freud. Aristotle and the Stoics: a methodological crux, di D. E. Hahm: recensione dello studio di F. H. Sandbach, Aristotle and the Stoics (Cambridge 1985). British Philosophy in the Seventeenth Century di I. Harris: recensione del volume: Die Philosophie des 17. Jahrhunderts (vol. 3, 1988). JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXIX, n. 4, ottobre 1991 Washington University, St. Louis Skeptic purgatives: therapeutic arguments in ancient skepticism, di M. Nussbaum: lo scetticismo greco e le sue strategie terapeutiche; il confronto con le pratiche “mediche” delle altre scuole. “And time does justice to all the world”: ein unveröffentlichter Brief von David Hume an William Strahan, di H. F. Klemme. MAN AND WORLD Vol. 25, n. 1. gennaio 1992 Kluwer, Dordrecht Grave voices: a discussion about praxis, di A. L. Brown: la figura di J. Climacus, individualità libera da costrizioni ideologiche e critico di Hegel. The genesis of Being and Time, di T. Kisiel. The leap (Der Sprung) for Being in Heidegger’s Beiträge für Philosophie (Vom Ereignis), di G. Kovacs: la natura del “pensiero al lavoro” descritto nei Beiträge, il salto fondamentale, operato da Heidegger, nello sforzo di riformulare l’intera questione dell’Essere. Hegelian elements in Gadamer’s notions of application and play, di J. Mitscherling. Rorty’s hermeneutics and the problem of relativism, di A. T. Nuyen: il dibattito tra Habermas e Rorty a partire dall’opera di quest’ultimo: Philosophy and the mirror of nature (1979); la filosofia di Rorty in rapporto a quella di Gadamer; il post-strutturalismo e il problema del relativismo. Knowledge, hermeneutics and history, di T. Rockmore: analisi delle recenti discussioni sull’ermeneutica; il contrasto tra interpretazione, conoscenza in senso tradizionale e storia. Write memory, di J. Llewelyn: recensione dell’opera di D. Farrell Krell: Of memory, reminiscence and writing (Bloomington e Indianapolis 1990) INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXI, n. 4, dicembre 1991 Fordham University, New York Time and infinity, di W. L. Craig: l’antico argomento cosmologico del Kalam, spesso ignorato dai filosofi post-illuministi, è l’oggetto di discussione di quest’articolo che esamina le recenti posizioni critiche circa questo argomento. The empiricism of Hume’s political theory, di R. J. Roth: tentativo di rispondere alla domanda: “In che senso la teoria politica di Hume deriva dal suo empirismo?”, prendendo le mosse non tanto dalle sue opere strettamente filosofiche, ma dai suoi scritti storici. Language and translatability: Tarsky versus Davidson, di M. A. Adeel. The echo of silence: toward a reconstruction of Merleau-Ponty’s philosophy of history, di S. Tagore: il problema della storia svolge un ruolo centrale nella speculazione dell’ultimo Merleau-Ponty. Le sue considerazioni sui problemi filosofici dell’arte e dei rapporti tra arte e storia possono essere delineati solo alla luce della più ampia riflessione sul problema della storia e della tradizione. L’articolo tenta di ricostruire tale riflessione, spesso non chiaramente delineata, tenendo presente il pensiero sull’Essere, quale è espresso soprattutto in Il visibile e l’invisibile (1968), e il rapporto con Hegel. The grammatology of emptiness: post-modernism, the Madhyamaka dialectic and the limits of the text, di K. Liberman. Intentionality in Aquina’s theory of emotions, di M. P. Drost. The stratification of emotional life and the problem of Other Minds according to Max Scheler, di R. R. A. Ibana: Scheler è il filosofo che ha introdotto nella fenomenologia l’analisi della vita emozionale: analisi della concezione scheleriana della stratificazione della vita emozionale, la critica incisiva di Scheler da parte di Edith Stein e la risposta del filosofo. The art of existence: three approaches in Kierkegaard’s thought, di A. Sagi: tre approcci kierkegaardiani all’arte dell’esistere: unità di conoscenza ed esistenza, idealità e realtà; l’ideale di vita concreta-riflessiva; esistenza come sintesi tra gli elementi ontologici dicotomici che costituiscono la vita. RASSEGNA DELLE RIVISTE J.B.S.P. Vol. 23, n. 1, gennaio 1992 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Derrida, Levinas, Pragmatismo”. The problem of closure in Derrida (I), di S. Critchley: analisi della nozione di clôture in Derrida. Nella sua prima produzione Derrida pare accettare la fenomenologia husserliana, che concepisce la filosofia e la verità come un’idea infinita, estranea ad ogni struttura storica chiusa e finita: la fenomenologia diviene, per Derrida, lo strumento per attaccare lo strutturalismo e la nozione di totalità finita (o chiusura strutturata) che esso presuppone. In una seconda fase di pensiero Derrida sembra tuttavia rivedere tali posizioni. Repeating the parracide: Levinas and the question of closure, di J. Protevi: la critica di Levinas a Parmenide in quanto padre della filosofia occidentale. Being and space: a re-reading of existential spatiality in Being and Time, di R. Frodeman: secondo l’articolo lo spazio è importante quanto il tempo per comprendere l’Essere ed Heidegger stesso fornisce in Essere e Tempo un’interpretazione esistenziale dello spazio, legandolo al nostro comportamento pratico nel mondo. Nessun privilegio è perciò rilevabile tra spazio e tempo nel loro rapporto con l’Essere. Mead’s pragmatic instrumentalism: some phenomenological overtones, di S. Rosenthal. On the origin of organization in consciousness, di P. S. Arvidson: la questione dell’origine dell’organizzazione della coscienza quale è esposta in The Field of Consciousness (1964) di Aron Gurwitsch. Sartre’s autobiography and his early philosophy, di R. Gordon e H. Gordon: l’opera autobiografica di Sartre, Les mots (1964), non è soltanto un’opera chiave per la comprensione delle scelte di vita compiute dal filosofo, ma anche l’espressione più viva dello sviluppo della prima fase della sua riflessione filosofica. La religion dans les Grundzüge de Fichte, di M. Maesschalck: nelle lezioni del 1804 su I tratti fondamentali dell’epoca presente, Fichte intende elevare la sua filosofia al ruolo di “autentico Cristianesimo”. Ne emerge una sorta di unità tra la nuova metafisica e l’unica vera religione che dovrebbe permettere allo spirito di allontanarsi dal moderno soggettivismo, per concepire l’azione umana in funzione del piano divino della realizzazione dell’Amore tra gli uomini: un compito politico, questo, comune alle più alte sfere della cultura umana, al fine di donare autentico senso collettivo alla libertà formale teorizzata dai Lumi. Le rôle du sujet dans l’interprétation, di L. Fontaine De Visscher: una rilettura di Schleiermacher alla luce delle tesi di Manfred Frank, il primo che ha tentato di conciliare soggetto e struttura nell’interpretazione, rivedendo il ruolo della soggettività alla luce delle conquiste dello strutturalismo. Per entrambi gli autori centrale è il problema del linguaggio. Le Neveu de Corneille, di P. Seys: recensione dello studio di A. Niderst: Fontenelle (Plon, Paris, 1991). Bulletin bergsonien, di J. Etienne. Figures modernes de la contingence ontologique, di M. Dupuis: recensione dell'ultimo volume di D. Giovannageli: La fiction de l’être. Lectures de la philosophie moderne (De Boeck-Wesmael, Bruxelles, 1990). Faut-il trouver aux causes une raison?, di R. Franck: sul libro di P. Van Parijs: Le modèle économique et ses rivaux. Introduction à la pratique de l’épistémologie des sciences sociales (Droz, Paris, Genève, 1990). Vol. 89, novembre 1991 Institut Supérieur de Philosophie, Louvain La Neuve Existe-t-il un cartésianisme esthétique?, di P. Seys: i fondamenti estetici ed epistemologici dell’opera di Rameau alla luce dello studio di C. Kintzler: Jean Philippe Rameau. Splendeur et naufrage de l’esthétique du plasir à l’âge classique (1983). La détermination aristotélicienne du principe divin comme vie, di F. Volpi: accanto alle tradizionali definizioni del divino come “motore primo immobile” e “pensiero di pensiero”, troviamo nella Metafisica anche la determinazione del principio divino come “vita”, dove Dio appare come perfetto ed eterno essere vivente; alcune osservazioni in merito. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES ottobre/dicembre 1991 PUF, Paris. Husserl: au-delà de l’onto-théologie?, di J. Benoist: i testi a carattere teologico negli scritti di Husserl sono disseminati per lo più nelle ricerche inedite ed appaiono spesso imprecisi e poco convincenti rispetto all’autosufficienza dell’ateismo metodologico che viene proposto nelle opere pubblicate; tuttavia il problema di Dio occupa un posto importante all’interno della struttura del pensiero husserliano, secondo una testimonianza dello stesso filosofo; l’articolo, rivolgendosi a testi inediti, si propone di ricostruire tale questione. La vie m’est-elle donnée?, di N. Depraz: riflessioni sullo statuto della nozione di vita nella fenomenologia. L’essence de la renonciation, di P. Guillamaud. L’esprit et la lettre, di D. Thouard: retorica ed ermeneutica nel Discorso sulla religione di Schleiermacher. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES luglio/settembre 1991 PUF, Paris. Tema della rivista: “La filosofia greca”. Les corps lumineux chez Hermias et ses rapports avec ceux de Synésios, d’Hiéroclès et de Proclos, di N. Aujoulat. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN La structure du qualitativisme aristotélicien, di V. P. Vizguine: attraverso una rilettura dell’opera aristotelica in termini di problematicità, aporeticità, “incoerenza”, l’articolo esamina la nozione di qualità in tutte le sue manifestazioni e rappresentazioni; da quanto emerge dall'interpretazione dell'autore si tratterebbe di un vero e proprio enigma filosofico. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 45, n. 4/1991 Universa, Wetteren Tema della rivista: “Lo Stato”. L’enjeu des voix dans le Philoctète de Sophocle, di M. Villela-Petit: l’articolo vuole restituire valore filosofico forte ad una tragedia che, al contrario di Antigone e di Edipo, non ha mai avuto grande credito presso i commentatori, al contrario delle interpretazioni letterarie che pongono Filottete come “perfetto eroe sofocleo”. Souvereignty: Bodin, Hobbes, Rousseau, di H. A. Lloyd. Temps et métaphysique. Hommage à Pierre Aubenque, di J. de Dios Vial Larrain. Réflexions autour de la théorie kelsénienne de l’Etat, di M. Troper. The State, di N. Barry: il concetto di Stato, spesso non sufficientemente analizzato dalla critica; la concezione dello Stato alla luce dell’anarchismo, del liberalismo, della teoria organica. RASSEGNA DELLE RIVISTE Minimalstaat oder Sozialrechte. Eine Problemskizze, di O. Höffe: l’articolo riprende essenzialmente il Cap. IV del libro di O. Höffe: L’Etat et la justice (Paris, Vrin, 1988). L’Etat démocratique de la demande sociale, di A. Renaut: i diritti sociali possono essere considerati come diritti dell’uomo? La questione viene affrontata da un punto di vista filosofico, cioé ricercando i fondamenti della possibilità o della pensabilità di questa domanda. Y a-t-il une crise de la souveraineté?, di S. Goyard-Fabre: esaminando il concetto di sovranità nella sua valenza filosofica, l’articolo, pur mettendone in luce le modificazioni nel corso dei secoli, tende ad evidenziarne la forza teorica anche nel mondo contemporaneo, caratterizzato da una generale crisi della politica; il concetto di sovranità può ancora costituire l’essenza dello Stato? Segue una bibliografia sul tema a cura di L. Sosoë. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 55, n. 1, gennaio/marzo 1992 Beauchesne, Paris Le corps de la terre, di J. Laurent: lo statuto della terra nel pensiero di Plotino. Mythe et révélation dans l’Etoile de la rédemption; contemporanéité de Franz Rosenzweig, di M. Bienenstock: la sorgente schellingiana della riflessione di Rosenzweig sul linguaggio e la comunicazione attraverso il linguaggio; questi temi hanno un ruolo fondamentale nella filosofia della rivelazione e denotano la contemporainetà del suo pensiero. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXIII, n. 1, aprile 1992 Il Mulino, Bologna. Heidegger e la fenomenologia, di W. Biemel: Heidegger definisce il suo modo di ricerca fenomenologico, benché nel corso degli anni prenda sempre più le distanze da Husserl. L’articolo esamina un gruppo di opere degli anni Venti per tentare di chiarire la questione. Svolta o continuità nel pensiero di Heidegger?, di O. Pöggeler. La critica all’innatismo nel Settecento, di S. Parigi: un esame delle posizioni relative all’innatismo ed all’anti-innatismo del Settecento, anche alla luce della gnoseologia lockeana. La verità è definibile?, di P. Minari: analisi della struttura e delle caratteristiche di due tra le più importanti nuove “teorie della verità”, la teoria della definizione induttiva della verità di Kripke e la teoria della stabilità della verità sotto revisione di Gupta e Herzberger; l’interesse per tali ricerche non è legato soltanto all’ambito ristretto della logica, ma è orientato in generale alla filosofia del linguaggio ed in particolare all’uso della parola “vero”. Tra liceo e università: livelli e funzioni dell’insegnamanto della filosofia in Italia, di P. Rossi. La filosofia insegnata: tra rigidità normativa e soggettivismo didattico, di L. Vigna. Sull’attribuzione del frammento On Power, di L. Parisoli: On Power è il titolo attribuito ad un manoscritto del XVIII secolo, anonimo, che si rivolge contro l’analisi di Hume del concetto di power. Qui lo scritto viene attribuito a James Gregory (1753-1821). La foi messianique de Hugo Bergmann, di W. Kluback. qualitativa e quantitativa, della riflessione di ciascuno dei due autori e che esclude assolutamante una dipendenza di Heidegger da Rosenzweig, ma che vuole piuttosto riprendere una linea di ricerca aperta da Löwith. Enrico De Negri interprete di Hegel, di A. Nuzzo. Mathesis e costruzione tra geometria antica e moderna, di A. Ferrarin: recensione dello studio di D. Rapport Lachterman: The ethics of geometry. A genealogy of modernity (Routledge, New York, 1898). Kant, Wittgenstein e l’argomento ontologico, di G. L. Paltrinieri: l’articolo vuole proporre una rilettura dell’argomento ontologico anselmiano alla luce della prospettiva wittgensteiniana, tenendo presente l’importanza decisiva di Kant su tutta l’opera del filosofo austriaco. STUDI KANTIANI Vol. IV, 1991 Giardini Editori e Stampatori, Pisa Categorie e finalità nella concezione kantiana della scienza, di S. Marcucci: analisi dei rapporti tra le categorie dell’intelletto e l’idea di finalità, il principio a priori del Giudizio; quest’ analisi viene condotta sia su un piano teoretico, sia su un piano epestemologico, tentando cioé di vedere come finalità e categorie concorrano a fondare conoscenze specifiche nelle varie branche della scienza. Natur und Freiheit bei Kant. Die beiden “Türangeln der Philosophie”, di R. Langthaler. Dalla critica della ragion pratica alla dottrina della virtù. Imperativo categorico, analogia e teleologia morale in Kant, di F. Gonnelli. TEORIA L’herméneutique d’Austin Farrer: un modèle partecipatoire, di C. P. Bigger: Farrer difende la teologia razionale prendendo le mosse da una posizione volontarista e neoscolastica, per approdare ad un modello “postmoderno” della fede; in tale modello Dio si rivela nell’ermeneutica delle immagini, la cui dialettica è costruita da Farrer sulla scia di Gadamer. L’articolo tenta di delineare questa dialettica tenendo presente anche l’interpretazione di Lévinas. Relations, intellegibilité et non-contradiction dans la metaphysique du sentir de F. H. Bradley: une réinterprétation (II), di J. Bradley. Vol. XI, n. 2, 1991 ETS Editrice, Pisa. Mito e filosofia nella logica di G. Gentile, di V. Sainati, con un intervento di V. Vitiello. Il “giudizio” in Croce, di V. Vitiello: la “forma” del giudizio ed il “contenuto” del giudizio in Croce. La concezione dell’”evento” nella Stella della Redenzione di Franz Rosenzweig e nel pensiero di Martin Heidegger, di B. Casper: affinità e differenze tra la la concezione dell’”evento” di Rosenzweig e quella heideggeriana esposta nei Beiträge zur Philosophie. Si tratta di un’analisi che, come sottolinea l’autore, intende prescindere da quella che è la concreta struttura, Kant, Bergson e la “philosophie nouvelle”, di A. Genovesi: quali sono i reali rapporti tra Kant e Bergson? Attraverso un’analisi documentaria precisa, l’articolo intende sottolineare il confronto che Bergson attua con Kant, relativamente alle nozioni di spazio e tempo. Se il metodo di Bergson ha origini kantiane, i risultati a cui approda sono sostanzialmente diversi ed antikantiani. Sul senso interno, di I. Kant, a cura di L. Fonnesu e C. La Rocca. Catalogus Praelectionum Academiae Regiomontanae 1719-1804, di R. Pozzo: il ritrovamento di un documento concernente l’Università di Königsberg, ritenuto perduto dopo il 1945. RASSEGNA DELLE RIVISTE Anno XII, n. 1, aprile 1992 Il Mulino, Bologna Cinquecento religioso e arti figurative: in margine ad alcuni recenti studi, di S. Giombi. Conversione e allegoria nella Commedia, di J. Freccero. L’erosione del determinismo, di M. Ferriani. “Cosa significa questo?”. Sopra uno “strano trucco” shakespeariano in Antonio e Cleopatra, di G. Sacerdoti: il significato dell’ultima cena di Antonio nella tragedia di Shakespeare. Estetica leopardiana ed estetica crociana, di M. A. Rigoni. INTERSEZIONI Ermeneutica della parola, ermeneutica dell’immagine. La philosophia sacra di Friedrich Christoph Oetinger, di R. Ruschi: benché si collochi in una prospettiva decisamente antilluministica, il pietismo rappresenta senz’altro uno dei veicoli principali di rinnovamento della vita culturale, morale e religiosa della Germania del Settecento in una direzione tesa ad evidenziare l’immagine dell’uomo come individuo, esistenza singolare. Centrale in quest’ottica è la scoperta del sentimento, che si pone anche come strumento di conoscenza caratterizzato da “un’originaria attitudine ermeneutica” in grado di rivolgersi alla dimensione naturale e storica dell’uomo. Alla luce di questa nuova sensibilità culturale si colloca la riscoperta del patrimonio linguistico e simbolico, tratto dal misticismo biblico, propria del pietismo che guarda alle “parole”,alle “immagini” ed ai “simboli” della Sacra Scrittura come storia della rivelazione di Dio. Il legame stretto che unisce la mistica pietista, il riconoscimento della valenza conoscitiva del sentimento, la rivalutazione comunicativa del linguaggio metaforico e simbolico concorrono alla nascita, soprattutto nella regione del Wüttemberg, di un particolare orientamento filosofico che fa capo a F. C. Oetinger (1702-1782), il più importante rappresentante del pietismo speculativo svevo, alla cui concezione di philosophia sacra è dedicato l’articolo. La rivoluzione scientifica ha prodotto una rivoluzione medica?, di R. Porter: l’articolo affronta la questione se la medicina, alla luce delle proposte della rivoluzione scientifica del XVII e XVIII sec., abbia tentato di diventare scientifica, assumendo metodi ed obiettivi dell’Illuminismo. Tra sublime e Romantik: l’esempio olandese (1808-1810), di S. Contarini: nel 1808 il tradizionale Concorso indetto dall’Accademia delle Scienze di Haarlem fu dedicato ad un tema, quello della differenza tra bello e sublime, solitamente ai margini della riflessione olandese. Dei sei trattati che vennero esaminati, superarono la prova soltanto quello di Daniele Berlinghieri (Siena 1761), vincitore del concorso, e di Albertine Necker De Saussure, seconda classificata, il cui trattato rimase anonimo. L’articolo prende in esame la struttura e le tematiche di questi scritti. Michail Bachtin: ontologia dell’incontro ed ermeneutica della fiducia, di F. Pellizzi: ricostruzione delle tematiche di fondo della riflessione di Bachtin. ACTA PHILOSOPHICA Vol. 1, n. 1, gennaio/giugno 1992 Armando, Roma Questa nuova rivista, semestrale, nasce all’interno della Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Romano della Santa Croce e si propone di sviluppare, in un clima di massimo pluralismo, la riflessione filosofica in direzione di una ricerca della verità sul mondo, sull’uomo e su Dio. La rivista, aperta ai contributi di altri istituti universitari, si presenta in una veste internazionale, accogliendo, accanto a saggi in lingua italiana, anche contributi in altre lingue. La doctrine de la création et le concept de néant, di G. Cottier: la paradossalità del discorso sul nulla in base a testi di Leibniz e di Malebranche. L’articolo propone la tesi che il concetto di nulla può essere valutato soltanto all’interno della dottrina della Creazione. Fondamenti etici e antropologici dello sviluppo, di U. Farri. Die evolotionäre Erkenntnistheorie und der Unterschied Tier/Mensch, di F. Inciarte: la distinzione tra uomo ed animale alla luce della distinzione tra linguaggio estensionale e linguaggio intensionale; l’irriducibilità dell’uomo all’animale pare fondata su presupposti di valutazione oggettiva e dalla riflessione come prerogativa dell’uomo. La gnosi cristiana come “altro” illuminismo. Riflessioni sulla filosofia cristiana, di P. Koslowski. Rapporti tra il concetto filosofico e il concetto clinico di morte, di A. R. Luno: le principali correnti di opinione in medicina relativamente al concetto di morte. Giustizia e politica: alla ricerca di una via nuova, di G. Chalmeta: analisi del libro di A. Heller: Oltre la giustzia (Bologna, Il Mulino, 1990) Modernità e nuova sensibilità, di E. Colom Costa: analisi dello studio di A. Llano: La nueva sensibilidad (Espasa Calpe, Madrid, 1988). Il contesto fregeano della relazione di raffigurazione nel Tractatus Logico-philosophicus, di R. J. Catano: la questione della “teoria della raffigurazione” nel Tractatus di Wittgenstein ed il parallelismo con Frege. Hermenéutica, politica y filosofia, di F. Moreno: recensione del libro di S. Rosen: Hermeneutics and Politics (Oxford University Press, New York, 1987). Verso un pensiero dell’essere: dialogo tra Heidegger e Fabro, di L. Romera Onate: la fonte di tutta la riflessione heideggeriana è rappresentata dalla questione ontologica; per questo l’articolo intende riproporla attraverso il confronto con un altro pensatore contemporaneo, Cornelio Fabro, il cui incontro con il filosofo tedesco avviene proprio alla luce del problema dell’essere. TELLUS n. 6, gennaio/aprile 1992 Libreria Intervento, Morbegno (So) La rivista è dedicata al tema: “Metropoli e museo”, che rappresenterebbe la nuova dialettica caratterizzante la “città totale”; si intende per città totale il modo dell’urbanizzazione, tipico della tarda modernità, cioé un assorbimento dell’esterno nell’interno tale da ridurre lo spazio di autonomia degli ambienti rustici e solitari, coinvolgendoli all’interno di problematiche tipicamente urbane. La dialettica metropolimuseo rappresenta quindi il tentativo di conservare in forma museale tutto ciò che è soggetto ad una continua trasformazione, sotto la spinta dell’urbanizzazione. Il museo si propone qui come emblema della necessità, propria del nostro tempo, di mantenere in vita il rapporto con il passato per dare senso anche alla nostra esperienza presente. Questa problematica appare centrale per la regione della Valtellina, realtà culturale-geografica a cui si rivolge questo numero della rivista. La città delle muse, di P. L. Cervellati: qual é la strada per un possibile ritorno ad un “vivere civile” delle condizioni abitative ed ambientali? L’articolo propone la trasformazione dei centri storici in musei, in città delle muse, attuando un lavoro di ripristino dei parchi e dei centri storici non in funzione di una loro ulteriore riduzione a luoghi di elite, ma nel tentativo di riscoprirne la naturale bellezza, indagando “le nostre origini, la nostra identità, la nostra capacità di progettare il nostro futuro, senza distruggere il presente e il passato”. Progettare il cambiamento, di I. Fassin: il ruolo del museo oggi come mediazione tra presente e passato, non solo semplice “tempio delle memorie”, ma soprattutto spazio RASSEGNA DELLE RIVISTE di ricerca, dove si realizzano la ridefinizione della coscienza storica e sociale degli abitanti nel confronto con chi è estraneo al luogo. Archeologia del moderno, di L. Bonesio. Memoria, museo, territorio, di L. Corrieri: il rapporto tra oggetto museale e territorio. Dopo la storia, di M. Baldino: il ruolo del museo in rapporto a quella che Nietzsche chiama la “malattia storica” del nostro tempo. Sei poesie di Carlos Drummond de Andreade, a cura di A. Tabucchi. Non più scrivere. Intervista a W. Hildesheimer, a cura di R. Dedola: intervista all’intellettuale tedesco morto nel 1991. Lettera di fiato, lettera di luce, di C. Lo Scalzo. Tre tempi per Hildesheimer, di G Luzzi. Derrida e l’Europa, di C. Resta: recensione del volume di J. Derrida: Oggi l’Europa (a cura di M. Ferraris, Milano, Garzanti, 1991). Le origini del nome Rezia e di altri nomi antichi, di G. Semerano. Martin Heidegger, di R. Perrotta. Sui modi di dire Physis, di R. Gasparotti: riflessione approfondita sui modi di pensare e di esperire il complesso fenomeno “natura”, partendo dall’osservazione aristotelica circa l’identità di senso e la diversità di significato di questa parola. ELENCHOS Per una filosofia della natura, a cura di F. Desideri: passo tratto dal II Vol. degli Scritti teoretico-filosofici di Novalis in corso di pubblicazione presso Einaudi. Platonismo e gnosi. Frammento su Simone Weil, di M. Cacciari. I Greci e la poesia. Colloquio con Hans Georg Gadamer, a cura di A. Cazzullo e C. Zaltieri: atti del colloquio con Gadamer, tenutosi il 3 dicembre 1991, in occasione di due conferenze del filosofo tedesco all’Università degli Studi di Milano dal titolo: L’ermeneutica e il futuro del pensiero; Testo, interpretazione e verità. L’idioma di un’ultima utopia. Saggio sul concetto di alienazione in Marx, di M. Donà: in relazione alla particolare temperie storica che ha visto il crollo del tentativo di “realizzare” il sogno marxiano, è ora possibile attuare un serio ripensamento della proposta di Marx alla luce di una più puntuale esegesi testuale, prendendo le mosse proprio dal rapporto con la filosofia di Hegel. PARADOSSO n. 1, marzo 1992 PAGVS Edizioni, Treviso Tema della rivista: “Dialogo sulla natura”. Dialogare con la natura, pensare la natura, sono operazioni che implicano problemi enormi per il pensiero, per la riflessione sempre condannata a differire sè dall’oggetto del proprio riflettere. Forse che l’interrogante non appartiene a quel quid, intorno a cui si interroga come se fosse qualcos’altro, che mette in questione l’essere stesso dell’interrogante? Pensare la natura significa porsi il problema delle condizioni di possibilità di una distinzione tra naturale ed artificiale; pensare la natura è pensare le aporie ed i problemi filosofici fondamentali che il domandare porta alla luce, nel suo stesso eterno ripresentarsi nelle parole dell’uomo; è alla luce di tale consapevolezza che gli ideatori di questa rivista intendono muoversi già da questo primo numero, attenti al rigore speculativo che un tema così difficile impone. Dialogo sulla natura, di C. Sini. Della natura in Montaigne e in Pascal, di S. Givone: i due autori, pur partendo da analoghi presupposti per quanto riguarda la considerazione della natura ed il suo rapporto con l’uomo, traggono conseguenze opposte nei confronti di essa. Alberto Caracciolo: un pensatore moderno del religioso, di P. Ruminelli. IL CANNOCCHIALE n. 3, settembre/dicembre 1991 Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Leo Strauss e la disputa tra gli antichi e i moderni, di S. Rosen. Voltaire: dizionario filosofico, di A. G. Sabatini: viene qui riportata l’introduzione del curatore al volume di Voltaire, Dizionario filosofico (Roma, Newton Compon, 1991). La comunicazione estetica nella Critica del Giudizio, di J. Kelemen: attraverso l’analisi di un aspetto di quest’opera, spesso trascurato dagli studiosi, l’articolo vuole dimostrare come «una teoria della natura dei segni e della comunicazione sia fondamentale per molti problemi trattati da Kant». Il linguaggio della poesia: distinzione nell’unità dell’esprimere e del comunicare, di V. Stella. A proposito di un certo “athéisme e inhumanisme”, di F. Garritano: la questione della scrittura e del testo nelle considerazioni di Ricoeur, nel Livre di Mallarmé, in Blanchot e Lévinas. Note introduttive alla lettura della conferenza: “Il concetto di tempo” (1924) di Anno XII, n. 2, 1991 Bibliopolis, Napoli Ti esti-poion esti. Un aspetto dell’argomentatività dialettica del Menone, di L. M. Napolitano Valditara: questo dialogo, generalmente considerato di raccordo tra fase giovanile e fase della maturità della riflessione platonica, può essere autonomamente riesaminato non solo per specifiche proposte filosofiche, ma anche per il rapporto che esso instaura tra razionalità filosofica e razionalità specificatamente matematica. Language and style of the aristotelian De Mundo in relation to the question of its inauthenticity, di D. M. Schenkeveld. Fato, valutazione ed imputabilità. Un argomento stoico in Alessandro De Fato 35, di M. Vegetti. Primo principio e mondo intellegibile nella metafisica di Proclo. Problemi e soluzioni, di C. D’Ancona: la questione della derivazione di tutta la realtà da un unico e semplice principio ha condotto Plotino e Proclo ad assumere atteggiamenti diversi. La metafisica di Proclo si caratterizza per una moltiplicazione ipostatica dei principi di determinazione-indeterminazione, interazione di finito e infinito, determinanteindeterminato, che Plotino tratta appunto quali semplici principi. Quali sono le ragioni filosofiche di questa divergenza? RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Vol. LXXXII, n. 4, ottobre/dicembre 1990 Vita e Pensiero, Milano. Filosofia della mente ed etica in Stuart Hampshire, di M. Reichlin: nel panorama filosofico inglese della prima metà del nostro secolo si situa la figura di Stuart Hampshire, nato nel 1914 e appartenente, secondo l’articolo, a quella che può essere definita come la “vecchia guardia” della filosofia analitica. Se la filosofia del linguaggio ordinario si poneva allora nell’ottica neoposotivistica di una dissoluzione dei problemi filosofici tradizionali, attraverso lo strumento della logica e dell’analisi del linguaggio, la riflessione di Hampshire non è tanto rivolta alla “fine della filosofia”, quanto più ad un recupero delle problematiche filosofiche “reali”, con particolare attenzione all’etica, attraverso la “svolta linguistica”; una posizione, quella di Hampshire, emblematica della differenza tra la scuola di Oxford, a cui egli appar- RASSEGNA DELLE RIVISTE tiene, e quella di Cambridge. Il Filebo come summa del pensiero metafisico platonico, di P. Bonagura: rilettura del Filebo, con particolare attenzione alle pagine metafisiche, alla luce delle “dottrine non scritte” di Platone. Un’ipotesi sul concetto aristotelico di astrazione. La sostituzione da parte di Aristotele, in Met. M,N, dei metodi della metafisica platonico-accademica “generalizzante” ed “elementarizzante” con l’astrazione universalizzatrice, di E. Cattanei. Considerazioni sul De Mundo e analisi critica delle tesi di Paul Moraux, di A. P. Bos: confronto critico con la posizione di Moraux, uno dei più grandi studiosi di Aristotele del nostro secolo, circa l’autenticità della paternità aristotelica del De Mundo. Creazione ed eternità del mondo, di A. Molinaro: la questione dell’eternità e della creazione del mondo nel De aeternitate mundi contra murmurantes di S. Tommaso. L’oggettivismo etico rosminiano, di R. Nebuloni. Giovanni Maria Cornoldi tra neotomismo e intrasigentismo cattolico, di R. Quinto. AQUINAS (Vol. XXXIV, maggio/agosto 1991) presenta un articolo di G. Alfano, Letteratura e filosofia nel pensiero e nell’opera di Dante Alighieri, ed un intervento di M. Schreier, La metafisica di Nicolaj A. Berdjaev. Una rapsodia russa. AESTHETICA (n. 33, dicembre 1991, Centro Internazionale Studi di Estetica, Palermo) offre ai lettori, a cura di G. M. G. Scoditti, un saggio che riporta alcune formule poetiche Nowau, composte oralmente nell’isola di Kitawa (Milne Bay Province, Papua New Guinea) tra il 1973 ed il 1988. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ (Anno XIV, n. 2. Piemme, Milano) propone, tra gli altri, i seguenti articoli: Il significato dell’antrolpologia filosofica nel pensiero di Max Scheler, di F. Bosio; Il problema antropologico nei Beiträge zur Philosophie di Martin Heidegger, di U. Regina; La carne del tempo. Esistenza e temporalità in M. Merleau- Ponty, di G.M. Tortolone. Il BOLLETTINO DEL CENTRO STUDI VICHIANI (Anno XXI, 1991, Bibliopolis, Napoli) presenta, tra gli altri, i seguenti contributi: Note sulla possibilità di una dinamica psicologica in G. W. Leibniz, di M. Sanna; La via leibniziana alla metafisica. L’emendazione della filosofia e il diritto dell’individualità, di R. Bonito Oliva; Il concetto di rappresentazione in Leibniz: Dall’algebra alla metafisica, di A. Lamarra. LA RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO (Anno LXVIII, n. 3, 1991, Giuffrè editore, Milano) presenta un articolo di D. Campanale, Essere e diritto nel fr. B 1 (D-K) di Anassimandro. STUDI CRITICI (Vol.1, n. 0, ottobre 1991, Flavio Pagano Editore, Napoli), nuova rivista semestrale, presenta una serie di articoli sul pensiero politico di Benetto Croce ed un interessante confronto tra il liberalismo crociano e quello di Rorty: Liberalismi a confronto: Rorty, Larmore, Croce, di R. Prodomo. I QUADERNI DEL CENTRO STUDI PER LA FILOSOFIA MITTELEUROPEA (Vol.III, n. 1- 3, aprile/dicembre 1991) pubblicano, a cura di R. Poli, gli atti del convegno dal titolo: “Ajdukiewicz on Language and Meaning” (Cracovia, novembre 1990), dedicato alla figura di Kazimiers Ajdukiewicz in occasione del centenario della nascita. VESTNIK LENINGRADSKOGO UNIVERSITETA (Serie 6: Filosofia, Politologia, Sociolo- gia, Psicologia, Diritto, 199034, Sankt-Peterburg, Universitetskaja nab., 7/9) ha pubblicato nel 1991 i seguenti articoli di filosofia: Problemi metodologici dello studio dei sistemi partitico-poylitici, di V. A. Ackasov (n.4, pp.30-33); Alcuni problemi teorici di geografia poylitica, di K. E. Aksenov (n.4, pp.19-23); Questioni teorico-metodologiche dello studio della vita politica, di G. P. Artermov (n.4, pp.17-19); La cultura come oggetto della filosofia, di G. A. Brandt (n.3, pp.12-15); Problemi urgenti di politologia, di A. A. Fedoseev (n.4, pp.3-9); Sul significato pragmatico del marxismo, di G. G. Filippov (n.2, pp.3941); Il ruolo dei fondamenti filosofici della teoria politica nel suo sviluppo, di G. G. Filippov (n.4, pp.9-11); Filosofia della cultura: problemi e prospettive, (n.3, pp.34); La coscienza filosofica nel contesto della cultura della crisi, di N. V. Golik (n.3, pp.22-28); “Classe operaia” e tecnocrazia, di D. A. Guscin (n.2, pp.36-39); L’etica nel sistema della filosofia della cultura, di V. G. Ivanov (n.3, pp.41-45); Culturologia ed estetica: dialogo sulla crisi della cultura (n.La Francia degli anni 70/80), di E. P. Jurovskaja (n.3, pp.28-32); Il problema dell’uomo nella storia della filosofia marxista, di M. S. Kagan (n.2, pp.10-18); Risultati e nuove frontiere della filosofia della cultura, di M. S. Kagan (n.3, pp.4-12); Il marxismo e l’attualità: a quale eredità noi rinunziamo, di A. S. Kolesnikov (n.2, pp.31-33); Il problema dell’essenza e dell’esistenza nella politica, di V. D. Komarov (n.4, pp.14-17); Il problema dello Stato nella filosofia sociale di E. Weil, di M. Ja. Korneev e S.D. Vjakkereva (n.1, pp. 3-12); Il ruolo della politologia nello studio dei problemi globali di oggi, di Ju. V. Kosov (n.4, pp.33-35); Sul senso dell’esistenza finita (n.il problema della morte nell’esistenzialismo di M. Heidegger e J. P. Sartre), di E. K. Krasnuchina (n.1, pp. 12-18); La politologia come disciplina scolastica, di A. G. Krutilin (n.4, pp.32-33); Problemi metodologici della teoria della rivoluzione: eredità marxista e attualità, di S. A. Lancov (n.4, pp.28-30); Su una forma non verbale di rapporti (n.La danza come lingua e mito), di E. K. Lugovaja (n.3, pp.54-57); Il problema della proporzione dell’internazionale e del nazionale nell’analisi politologica, di D. R. Mamedov (n.4, pp.37-39); Ideologia e comunicazione, di B. V. Markov (n.2, pp.4148); Il marxismo in un mondo che cambia: autoanalisi, valutazioni, prospettive (n.2, pp.3-4); Come intendevamo Marx, di V. M. Mezuev (n.2, pp.33-36); Per il problema dell’uomo nella filosofia russa del XVIII sec., di V. S. Nikonenko (n.2, pp.52-55); Sul rapporto con la filosofia sociale del marxismo, di Ju. V. Perov (n.2, pp. 7-10); Il posto della politologia nel sistema delle scienze sociali, di I. F. Pokrovskij (n.4, pp.35-37); La politologia in URSS. Situazione, problemi, prospettive (n.4/3); Un ricercatore instancabile (n.A. A. Bogdanov. Sguardo attraverso i decenni), di V. V. Prozerskij (n.2, pp.18-26); Fenomenologia della coscienza marxista, di S. N. Savel’ev (n.2, pp.48-52); Il destino storico del marxismo classico: ricerca di nuovi approcci all’analisi, di V. N. Scevscenko (n.2, pp.26-31); I problemi della teoria nella sociologia occidentale contemporanea, di R. P. Scpakova (n.3, pp.57-65); La concezione della cultura nel pensiero religioso-filosofico russo della fine del XIXinizio del XX sec, di A. M. Sergeev (n.3, pp.49-54); Il marxismo nel contesto delle sue valutazioni generali, di Ju. N. Solonin (n.2, pp.4-7); La filosofia della cultura: valutazione metodologica della crisi delle culture, di Ju. N. Solonin (n.3, pp.16-22); Per lo studio della filosofia della natura di Giovanni Scoto Eriugena, di Ju. N. Solonin e A. Tolstenko (n.1, pp.18-26); Filosofia della cultura ed estetica, di E. N. Ustjugova (n.3, pp.33-41); Problemi metodologici degli studi politico-giuridici, di K. K. Vavilov (n.4, pp.27-28); Il problema dei partiti politici nei lavori dei sociologi russi della fine del XIX-principio del XX sec., di V. D. Vinogradov (n.3, pp.65-72); Politica e religione nella società contemporanea, di G. V. Voroncov (n.4, pp.23-27); Marxismo e filosofia russa, di A. F. Zamaleev (n.2, pp.55-58); Filosofia della cultura e filosofia dei valori, di A. V. Zdor (n.3, pp.45-49); Le leggi oggettive della politica oggetto della politologia, di D. P. Zerkin (n.4, pp.11-14). NOVITA' IN LIBRERIA Agrippa, Hericus Cornelius De occulta philosophia, libri tres a cura di Vittoria Perrone Compagni E.J. Brill, Leiden febbraio 1992 pp.656 Il saggio enciclopedico di Agrippa De occulta philosophia reppresentò un importante contributo per la discussione filosofica del Rinascimento sul potere del magico e sulla sua relazione con la religione. Questa edizione chiarisce un numero di controversie sull’interpretazione di questo lavoro. Anastaplo, George American moralist: on law, ethics and government Ohio University Press, gennaio 1992 pp.600, £ 95.00 Andreas-Salomé, Lou Friedrich Nietzsche à travers ses oeuvres a cura di Ernst e Thomas Pfeiffer Grasset, Paris marzo 1992 pp.246, FF 110 Da Roma a Lucerna, dall’amicizia al disaccordo, conversazioni e lettere nutrono lo scambio prolifico dove si intrecciano le intuizioni di Lou ed i lampi di genio del filosofo. questo saggio fu pubblicato in Francia nel 1932. La sua traduzione è stata rivista per questa nuova edizione. Andrini, Simona La pratica della razionalità Diritto e potere in Max Weber Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.160, L. 20.000 L’autrice del volume torna a riflettere su Max Weber e questo significa abbandonare le schematiche divisioni disciplinari e il ricorso ad un uso meccanico delle categorie sociologiche; significa presentare taluni aspetti meno frequentati da cui possa emergere l’unità che sta a fondo della riflessione weberiana. Angoulvent, Anne-Laure Hobbes ou la crise de l’Etat baroque. PUF, Paris marzo 1992 pp.256, FF 135 Il Leviatano è una delle teorie dello Stato moderno tra le più dirompenti. Una nuova ipotesi è la sua inscrizione, attraverso principi politici e giuridici, in una prospettiva filosofica, psicologica ed estetica barocca. Arendes, Lothar Gibt die Physik Wissen über die Natur? Das Realismusproblem in der Quantenmechanik Königs. & Neumann, Würzburg marzo 1992 pp.140, DM 29,80 Le scienze naturali postulano un mondo che esiste indipendentemente dalla coscienza umana, sul quale esse pretendono di offrire una conoscenza obiettiva. Questo lavoro costituisce un’analisi dettagliata del problema, con un punto di vista opposto a quello della principale teoria fisica del nostro tem- NOVITA' IN LIBRERIA po, cioè quella quantistica. Arendt, Hannah Das Urteilen. Texte zu Kants politischer philosophie a cura di R. Beiner Piper, München marzo 1992 pp.224, DM 19.80 Aristotele Della Interpretazione a cura di Marcello Zanatta Rizzoli, Milano marzo 1992 pp. 369, L. 12.000 Il tema del trattato è la teoria del giudizio, tema principe della logica e operazione fondamentale della razionalità. Nella teoria aristotelica del discorso enunciativo viene del resto chiamata in causa la nozione di verità, che costituisce uno dei significati dell’Essere. Questa articolazione tra logica e ontologia ha percorso interamente la storia della filosofia occidentale. La traduzione del De Interpretazione è corredata da un’introduzione e da un vasto commento che focalizza i problemi nei loro aspetti teorici e dal punto di vista storico-filologico. Aristotele La Métaphysique trad. dal greco di Jean-Louis Poirier. Presses Pocket, Paris febbraio 1992 FF 65 Il testo fondatore della filosofia occidentale presentato nella sua versione integrale e seguito da una documentazione sulla sua posterità nelle tradizioni greco-latina, araba ed ebraica. Aristotele Ethique à Eudème ed. e trad. di Vianney Décarie Vrin, febbraio 1992 pp.236, FF 54 “Aristotele ha penetrato la massa intera e tutti gli aspetti dell’universo reale, la cui ricchezza e diversità ha assoggettate al concetto; la maggior parte delle scienze filosofiche gli sono debitrici della loro differenziazione e del loro inizio.” (Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia). Arrington, Robert L. Glock, Hans-Hohann (a cura di) Wittgenstein’s “philosophical investigation”: text and context Routledge, London gennaio 1992 pp.256, £ 35.00 Aubral, Francois Initiation à la philosophie Marabout, Paris gennaio 1992 pp.94, FF 34 Prendere coscienza di sé e del mondo. Interrogarsi ed interrogare il mondo. La ragione, il linguaggio, l’estetica, la politica, la morale e la metafisica. Audretsch, J. (a cura di) Die andere Hälfte der Wahrheit. Naturwissenschaft, Philosophie, Religion C.H. Beck, München marzo 1992 pp.250, DM 22 Le “verità” di cui parlano fisici e biologi da una parte e filosofi e teologi dall’altra si escludono a vicenda? Il libro espone lo sviluppo storico di questa problematica dall’Illuminismo fino al dibattito contemporaneo. Aurelius, Marcus Meditations A.S.L. Farquharson, marzo 1992 pp.256, £ 7.99 L’imperatore Marco Aurelio impersonificò la figura ideale del re-filosofo nell’antichità. Le sue Meditazioni rivelano una mente di chiarezza ed originalità eccezionale e uno spirito in accordo alla particolarità del destino umano. Ayer, A.J. The philosophy of A.J. Ayer Open Court Publishing Company, marzo 1992 pp.840, £ 19.50 Consiste in 24 saggi di Ayer, ognuno affronta un problema chiave del suo pensiero. B. Gräfrath et al. (a cura di) Einheit, Interdisziplinarität Komplementarität. Orientierungsprobleme der Wissenschaft heute. De Gruyter, Berlino febbraio 1992 pp.262, DM 68 Teoria della scienza generale e specialistica: due culture? Scienze naturali, dello spirito e sociali. Interdisciplinarità. Scienze della decisione e dell’orientamento. Scienza e politica. Discussione su un modello di unità da Leibniz al Circolo di Vienna fino ai giorni nostri (“grand unified theory” in fisica). Bacelli, Luca Praxis e poiesis nella filosofia politica moderna Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.272, L. 35.000 Contro le tendenze contemporanee della filosofia pratica e delle teorie sociologiche dell’azione, ispirate al modello della polis, l’autore sostiene che il rapporto classico fra praxis e poesis non può essere riproposto nelle mutate condizioni della società contemporanea. Pur riconoscendo i limiti del paradigma della produzione, l’autore sottoliena la pertinenza teorico politica della connessione fra economia e politica entro il contesto delle società industriali avanzate. Balzan, Luciano L’orizzonte di senso e-veniente Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.160, L. 29.000 Proprio in virtù della sua natura sensibile, e perciò profondamente inadeguata, il “linguaggio” che si evince da ogni pragmatica corporea, da ogni Torah, sin dall’inizio tradisce l’urgenza di un oltrepassamento che si trasforma in concreta possibilità di senso per noi e-veniente da “originarie amabilità”. Barbour, Lohn D. The coscience of the autobiographer: ethical and religious dimensions of autobiographer Macmillan Acad., febbraio 1992 pp.304, £ 35.00 In questo libro si afferma che lo scrivere un’autobiografia sorge il problema cruciale di coscienza di come un autore prova a conoscere, verificare e rappresentare il carattere. Si vuole esplorare questo problema legato alla natura del vero, della caratterizzazione, della virtù, della vergogna e della dimensione religiosa della coscienza. Barisic, Pavo Welt und Ethos. Hegels Stellung zum Untergang des Abendlandes Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1992 pp.186, DM 38 Il punto di vista da cui qui viene discusso il concetto di mondo è il classico riferimento all’ethos. In rapporto all’ethos, si comprende il tratto caratteristico della considerazione del mondo occidentale nel senso di mondo dell’uomo. La parola ethos indica inequivocabilmente nel suo significato originario la propria dimora, la propria patria. Barron, Jorge U. Die Grundartikulation des Seins. Eine Untersuchung auf dem Boden der Fundamentalontologie Martin Heideggers Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1992 pp.344, DM 68 Questo saggio è un’analisi attenta dei due problemi fondamentali dell’ontologia heideggeriana sulla base di “Sein und Zeit” (1927) e delle lezioni “Die Grundprobleme der Phänomenologie” (1927). Baumgarten, Alexander Gottlieb NOVITA' IN LIBRERIA Riflessioni sul testo poetico Aesthetica Ed., Palermo 1992 pp.154, L. 25.000 Per la prima volta in traduzione italiana ed edizione critica il celebre saggio da cui nasce l’estetica moderna. Bazzani, Fabio Unità identità differenza Ponte alle Grazie, Firenze, marzo 1992 pp. 254, L. 32.000 Interpretazione complessiva del pensiero di Schopenhauer alla luce delle categorie di unità, identità, differenza. Attraverso esse, viene messo in crisi il concetto di razionalità proprio dell’età moderna, il cui ontologismo viene mostrato come inadeguato alla fondazione di un’autentica prospettiva etica. In questo modo Schopenhauer inaugura un modello interpretativo del mondo e della vita che non riguarda solo la dimensione filosofica della cultura, ma anche le altre forme del sapere. Behrens, Fritz Abschied von der sozialen Utopie VCH, Weinheim marzo 1992 pp.260, DM 48 Bellingreri, Antonio La metafisica tragica di Schopenhauer Franco Angeli, Milano aprile 1992 pp.176, L. 25.000 L’autore elabora una interpretazione della filosofia di Schopenhauer come metafisica tragica: determinando il filosofare come pensare senza fondamento, il filosofo aveva già espresso in modo compiuto la forma prevalente del pensiero contemporaneo. Bernstein, Richard J. The new constellation. The ethical-political horizons of modernity/post-modernity Polity Press, Oxford febbraio 1992 pp.280, £ 11 Questo lavoro suggerisce che il dibattito sulla modernità e sull’era postmoderna dovrebbe essere inteso come uno “Stimmung”, ovvero uno “stato d’animo” che influenza il pensiero corrente. L’autore esamina la visione etico-politica di pensatori come Heidegger, Derrida, Habermas e Rorty. Berthold, Jürg Althusserlektüren. Lektüre, Ideologie, Didaktik in Louis Althusser Diskurs Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1992 pp. 170, DM 38 Il presente lavoro, sottolineando l’originalità ricca di tensione dell’opera di Althusser, rende evidente che una sua lettura è utile anche alla luce delle sempre più numerose sconfitte della tradizione marxista. Bertolini, Mara Meletti Il pensiero e la memeoria. Filosofia e psicologia nella “Revue Philòpsophique” di Théodule Ribot (1876-1916) Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.464, L. 40.000 Questo saggio intende presentare le linee tematiche che caratterizzano la ricerca sull’attività del pensiero in Francia e le loro variazioni teoriche, mostrandone i collegamenti con una più generale prospettiva antropologica. Besoli, Stefano Il valore della verità Ponte alle Grazie, Firenze, maggio 1992 pp.238, L. 35.000 Questo studio sulla “logica della validità” nel pensiero di R. H. Lotze mette a fuoco l’originalità di questo filosofo che secondo Besoli consiste nel tentativo di oltrepassare il carattere unilaterale tanto dell’idealismo hegeliano quanto del realismo herbartiano, per cercare di definire i contorni di una problematica conoscitiva non più legata al mero rispecchiamento del reale. Bhaskar, Roy Philosophy and the idea of freedom Blackwell Publishing Oxford marzo 1992 pp.256, £ 35 La prima parte è una critica del lavoro di Richard Rorty sulla problematica epistemologica. La seconda parte contiene tre testi che completano tale critica: il primo esamina la natura del realismo critico, il secondo esplora i rapporti tra fatto e valore, ed il terzo è una sinossi della filosofia marxista. Bialas, V. (a cura di) Naturgesetzlichkeit und Kosmologie in der Geschichte. Steiner, Stuttgart marzo 1992 pp.120, DM 48 Bianco, Franco Di Bernardo, Giuliano (a cura di) Episteme e azione Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.248, L. 32.000 L’idea di portare l’attenzione sul tema dei rapporti tra “episteme” e “azione”, è in larga misura collegata al configurarsi, nell’attuale riflessione filosofica ed epistemologica, di teorie che si presentano come espressione della crisi del modello di razionalità dominante nella nostra tradizione, a partire dall’Illuminismo. Vengono così studiate concezioni e teorie che sono alla base non solo dell’odierna prospettiva “postanalitica”, ma anche di movimenti come lo storicismo, l’ermeneutica, il pragmatismo. Bielefeld, H. et al. (a cura di) Würde und Recht des Menschen. Festschrift für Johannes Schwartländer zum 70. Geburtstag Königshausen & Neumann Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.350, DM 98 Interventi di filosofi, teologi e giuristi che si confrontano con differenti aspetti del diritto moderno e soprattutto del diritto umano. Bilgrami, Akeel Belief and meaning: the unity and locality of neutral content Blackwell Publishing, gennaio 1992 pp.256, £ 37.50 Questo libro propone una teoria del contenuto intenzionale che é ad un tempo sia fregeana che kantiana nella sua concezione della relazione tra la mente e il mondo esterno. Senza compromettere la costituzione sterna della mente, questo libro nega l’importanza della normatività e della società per l’intenzionale. Blustein, Jeffrey Care and commitment: taking the personal point of view Oxford University Press gennaio 1992 pp.288, £ 27.50 Bottani, Andrea - Penco, Carlo Significato e teorie del linguaggio Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.288, L. 38.000 Questa raccolta vuole dare un’immagine dello stato attuale del dibattito in filosofia del linguaggio, un dibattito che registra, oltre agli ultimi sviluppi del filone modellistico, la nascita e la rapida crescita di approcci alternativi, come le semantiche procedurali e la semantica situazionale di Barwise e Perry. I saggi tradotti ruotano tutti intorno al problema del significato: il rapporto tra significato e riferimento, tra significato e verità, tra significato e teoria logica. Boulad-Ayoub, Josiane Fiches pour l’étude de Kant Université du Québec, gennaio 1992 pp.143, F 64 Schede di lettura per affrontare lo studio di Kant. Offrono una guida al percorso kantiano, oltre che un’analisi puntuale delle sue opere e un chiarimento dei punti nevralgici della sua riflessione. Brezis, David Temps et presence: essai sur la coceptualité kierkegaardienne Vrin, Paris febbraio 1992 pp.288, F 216 Il proposito di questo studio è di mostrare che all’origine del pensiero esistenziale si trova piu’ un dispositivo testuale dal meccanismo complicato piuttosto che la semplicità di appello a qualche “Eigentlichkeit”. Brumbaugh, Robert S. Plato for the modern age University Press of America febbraio 1992 pp.256, £ 13.95 Un’introduzione alla biografia di Platone con una descrizione dei suoi lavori rivolta a coloro che iniziano a studiare filosofia ma anche al lettore in generale. Include una spiegazione sistematica della teoria di Platone delle forme e conclude con una applicazione delle idee di Platone nel mondo d’oggi. Brun, Jean Socrate PUF, febbraio 1992 pp.128, F 34 Tutta la storia della filosofia greca è dominata dalla figura di Socrate; questo filosofo sfugge alla storia e agli storici mentre il suo messaggio è sempre attuale. Burke, Edmund Inchiesta sul bello e il sublime Aesthetica Ed., Palermo 1992 pp.204, L. 30.000 Le più inquietanti radici del moderno in un classico esorcizzato dalla cultura ufficiale. C. Holzhey et al. (a cura di) Forschungsfreiheit.Ein ethisches und politisches Problem der modernen Wissenschaft. Vlg. D. Fachvereine Zürich gennaio-febbraio 1992 pp.288, Frs 34 Si discutono scopi e circostanze di contorno della libertà nella ricerca al pari di considerazioni etiche e di intralci istituzionali. Si toccano quindi alcune “questioni scottanti”: la dipendenza dal finanziatore, la trasparenza della ricerca su commissione, il conflitto fra libertà di ricerca e salvaguardia della personalità. Calvi, Evelina (a cura di) Oltre la linea dell’avanguardia Guerini, Milano giugno 1992 pp.166, L. 28.000 Raccolta di saggi (fra gli altri, Carchia, Ferraris, Portoghesi, Vattimo e Vercellone) nei quali architetti e studiosi di estetica esaminano la legittimità di assumere ancora l’avanguardia, nei suoi tratti trascgressivi, come paradigma del fare artistico. Caprettini, Gian Paolo Semiologia del racconto Laterza, Bari marzo 1992 pp.184, L. 32.000 Il volume costituisce il tentativo, attraverso l’esame di testi di Dostojewskj, Pirandello, Borges, di costruire una teoria semiologica, e risponde a due esigenze: render conto del rapporto fra identità culturale dei testi e la tradizione culturale cui essi si riferiscono, e mettere in luce il carattere di razionalità del significato narrativo, che non si identifica semplicemente con il senso del racconto. Carfantan, Serge Conscience et connaissance de soi Presses Universitaires de Nancy febbraio 1992 pp.273, F 100 Si tratta di uno studio generale del tema della conoscenza di sé che parte dalla tradizione occidentale, con Socrate, per arrivare al Vedanta indiano. Carl, Wolfgang Die transzendentale Deduktion der Kategorien in der ersten Auflage der Kritik der Reinen Vernunft. Ein Kommentar. Klostermann, Frankfurt a.M. marzo 1992 pp.248, DM 78 Carrive, Lucien (a cura di) Mandeville, Bernard La fable des abeilles: deuxième partie (1729) introduzione di Paulette Carrive. Vrin, gennaio 1992 NOVITA' IN LIBRERIA pp.317, F 225 Scritta e pubblicata quindici anni dopo la prima parte, questa seconda analizza i nuovi aspetti del funzionamento della società, stabilendo tra l’altro la differenza tra amor proprio e amore di sé. Carruthers, Peter Human knowledge and human nature: a new introduction to an ancient debate Oxford University Press febbraio 1992 pp.208, £ 9.95 I dibattiti contemporanei sull’epistemologia dedicano molta attenzione alla natura della conoscenza, ma tendono a dimenticare il problema delle sue radici. L’autore cerca di trasformare e rinvigorire l’empiricismo contemporaneo, mentre cerca di fornire una introduzione all’insieme di problemi della teoria della conoscenza. Egli da una presentazione e un’assestamento alle affermazioni dell’empiricismo classico, particolarmente alla sua negazione della conoscenza a priori e della conoscenza innata. Egli afferma che é giusto rigettare la prima ma non la seconda, presentando una nuova giustificazione del pricipale motivo che lascia gli empiricisti contemporanei liberi nell’accettare la conoscenza innata. Egli propone una discussione dello scetticismo affermando che l’accettare l’accettare l’idea dei concetti innati può condurre ad una risoluzione decisiva del problema in favore del realismo. Carver, T. (a cura di) The Cambridge companion to Marx Cambridge University Press Cambridge marzo 1992 pp.384, £ 40 Attingendo dal dibattito corrente e dalle nuove prospettive, questo libro fornisce un’esauriente trattazione dei più significativi contributi teorici di Marx. Cascardi, Anthony J. The subject of modernity Cambridge University Press Cambridge marzo 1992 pp.320, £ 12 Offre un resoconto storico delle origini e delle trasformazioni della razionalità e dell’io, come sono rappresentati in Descartes, Cervantes, Pascal, Hobbes e nel mito del Don Giovanni, toccando temi di epistemologia, letteratura, politica, religione e psicologia. Cauquelin, Anne La mort des philosophes: et autres contes. PUF, Paris marzo 1992 pp.128, FF 70 Si tratta di raccontare la morte, concreta, triviale, a volte eroica, spesso curiosa, di qualche filosofo. Una serie di favole, racconti, leggende, che l’autore ha raccolto con un pizzico di provocazione e l’intenzione dichiarata di ristabilire l’opinione comune. Caussat, Pierre L’evenement Desclée De Brouwer, marzo 1992 pp.210, FF 112 L’autore è dottore in filosofia e maitre de conferences all’università di Parigi X-Nanterre. Egli analizza qui il concetto di avvenimento come rischio di catastrofe ma anche come nuova possibilità. pp.500, £ 29.95 Presenta i contributi che si sono avuti nel 1989 al Boston Area Colloquium. Essi includono argomenti come forma e gene-razione in Aristotele, il pensiero epicureo, la teoria etica e psicologica di Plotino e l’ignoranza e l’akrasia in Platone. Ciascun contributo presenta un commento. Cavaillé, Jean-Pierre Descartes, la fable du monde. Vrin, Paris febbraio 1992 pp.352, FF 210 Descartes ha scritto un’opera di scienza fisica, intitolata “Le Monde”, che si presenta come una favola. Si tratta qui di rendere conto della presenza paradossale di una favola in uno scritto rivendicante la produzione della vera scienza. L’autore confronta il teso cartesiano con la cultura barocca nella quale esso si inscrive. Clément, Olivier Berdiaev: un philosophe russe en France Desclée De Brouwer, Paris gennaio 1992 pp.241, FF 99 Una biografia di quel pensatore cristiano russo che fuggì nel 1922 dalla Russia di Lenin per stabilirsi a Parigi. Caysa, V. (a cura di) “Hoffnung kann enttäuscht werden”. Ernst Bloch in Leipzig Hain, Frankfurt/M. marzo 1992 DM 38 Changeux, Jean-Pierre; Connes, Alain Matière à pensée Seuil, Paris marzo 1992 pp.267, FF 49 Questo dialogo, tra un matematico ed un neurobiologo, sui legami che possono esistere tra il cervello e gli oggetti matematici, sfocia in una riflessione sui rapporti tra scienza ed etica. Chen, Ludwig C.H. Acquiring knowledge of the ideas. A study of Plato’s methods in the Phaedo, the Symposium and the central books of the Republic Steiner, Stuttgart marzo 1992 pp.248, DM 88 Chevalier, Jacques Histoire de la pensée -1: Des présocratiques à Platon pp.271, F 185 -2: D’Aristote à Plotin pp.335, F 185 Ed. Universitaires, febbraio 1992 Presenta, per ogni pensatore, una trattazione completa di riferimenti dotti e discussioni su problemi specifici (in appendice). Il periodo studiato è di nove secoli. Cillins, Stephen L. From divine cosmos to sovereign state: an intellectual history of consciousness and the idea of order in Renaissance England Oxford University Press Oxford gennaio 1992 pp.256, £ 11.95 Cleary, John J. Sharlin, Daniel C. (a cura di) Proceedings of the Boston Area colloquium in ancient philosophy: vol.VI University Press of America febbraio 1992 Cometa, Michele Il romanzo dell’infinito Aesthetica Ed. , Palermo 1992 pp.212, L. 28.000 Mitologie, metafore e simboli dell’età di Goethe reinterpretati in un affresco unitario. Connell, George B. Evans, C. Stephen (a cura di) Foundations of Kierkegaard’s vision of community: religion, ethics and politics in Kierkegard Humanities P., U.S., gennaio 1992 pp.304, £ 35.95 Conrad, Judith Freiheit und Naturbeherrschung. Zur Problematik der Ethik Kants Königshausen, Würzburg febbraio 1992 pp.194, DM 44 Cooper, David E. Palmer, Joy (a cura di) Environment in question: ethics and global issues Routledge, London gennaio 1992 pp.272, £ 10.99 Copenhaver, John D. Prayerful responsibility: prayer and social responsability in the thought of Douglas Steere University Press of America marzo 1992 pp.216, £ 30.50 Questo studio esamina il problema di mettere in relazione la preghiera con la responsabilità sociale attraverso un’analisi e valutazione critica del pensiero religioso di Douglas Steere, un pensatore quacquero ed una figura chiave nella spiritualità del ventesimo secolo. Cornell, Drucilla Beyond accommodation: ethical feminism, sexual difference and utopian possibility Routledge, London, marzo 1992 pp.240, £ 10.99 Traccia un diagramma del femminismo etico attraverso l’alleanza con il decostruzionismo filosofico. L’autrice si oppone alla descrizione essenziale e naturalista della sessualità femminile offerta dalle femminste francesi che riducono la differenza sessuale femminile. Corradi Fiumara, Gemma The symbolic function: psychoanalysis and the philosophy of language Blackwell Publishing, London febbraio 1992 pp.256, £ 12.95 Tentativo di spiegare l’azione simbolica umana e sviluppare una decsrizione del linguaggio e della conoscenza generalmente distante dai difefrenti movimenti filosofici e psicoanalitici. L’autore afferma che l’uso umano dei simboli non é una funzione puramente cognitiva ma é anche interattiva. Costantini, Michel La génération Thalès Criterion, Paris marzo 1992 pp.90, FF 99 Nel corso degli anni 650-550 a.C., attorno alla generazione di Talete, si sono prodotti dei progressi decisivi in tre campi del sapere: il pensiero pragmatico, il pensiero figurativo, il pensiero speculativo. Cousineau, Robert H. Zarathustra and the ethical ideal. Timely meditations on philosophy John Benjamin Publ., Amsterdam gennaio-febbraio 1992 pp.224, Dfl. 130 Il libro ci invita a riflettere su come uscire dai grossi vicoli ciechi dell’analitica contemporanea, dell’ermeneutica e del pensiero postdecostruzionista. Couture, Jocelyne Ethique et rationalité Mardaga, marzo 1992 FF 120 Contiene la sostanza di alcune conferenze su questo tema tenute all’Université du Québec a Montréal. Come possono scelte individuali dettate da interessi e punti di vista limitati, convergere verso un ordine socialmente vantaggioso. Crane, T. (a cura di) The contents of experience. Essays on perception Cambridge University Press Cambridge marzo 1992 pp.276, £ 30 I saggi raccolti in questo volume non solo offrono nuove risposte ad alcuni classici interrogativi sulla percezione, ma esaminano anche l’argomento alla luce delle recenti ricerche sul contenuto mentale. Croce, Benedetto The aesthetic as the science of expression and of the linguistic in general (“estetica”): part 1. Theory Cambridge University Press Cambridge marzo 1992 pp.224 Presentando una descrizione della struttura della mente umana, Croce mostra come l’arte sorge naturalmente da questa struttura, ed introduce anche la nozione dell’unità organica del lavoro artistico. Cumming, Robert Denoon Phenomenology and deconstruction. NOVITA' IN LIBRERIA The dream is over. Univ. of Chicago Press Chicago gennaio-febbraio 1992 pp.176, $ 21 Cumming dimostra che ciò che può essere considerato rilevante per arrivare ad una fine della filosofia, può essere facilmente determinato considerando le rotture che hanno caratterizzato la storia della filosofia. Egli perviene a certe categorie spiegando cosa comportano distruzioni quali la rottura di Heidegger con Husserl, quella di Heidegger con Sartre e quella di Merleau-Ponty con Sartre. D. Luutz (a cura di) Gesellschaftliche Reproduktion und soziale Kommunikation. Studientexte zu einer philosophischen Theorie sozialer Kommunikation. Argument, Hamburg febbraio 1992 pp.111, DM 18 Dähnhardt, Simon Wahrheit und Satz an sich. Zum Verhältnis des Logischen zum Psychischen und Sprachlichen in Bernard Bolzanos Wissenschaftslehre Centaurus Vlg., Pfaffenweiler marzo 1992 Dal Pra, Mario - Minazzi, Fabio Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana Rusconi, Milano maggio 1992 pp.347, L. 36.000 Articolato in cinque densi capitoli che ripercorrono i momenti di sviluppo del pensiero di Dal Pra dagli anni di studio nel Vento degli anni trenta, passando per l’impegno durante la seconda guerra mondiale e nella Milano della ricostruzione, fino alle discussioni che hanno posto le premesse per un rinnovamento della storiografia filosofica in Italia, questo agile volume può ben essere visto come l’autobiografia intellettuale di Dal Pra, scomparso poche settimane prima della sua apparizione nelle librerie. Si presenta come una lunga intervista, nella quale Minazzi si è assunto il compito di porre le domande e corredare il testo di note assai puntuali. Il volume raccoglie diversi materiali inediti o poco noti che documentano lo spessore teorico dei risultati cui ha messo capo il pensiero di Dal Pra. Davies, Brian The thought of Thomas Aquinas Clarendon Press, London febbraio 1992 pp.408, £ 45.00 Tommaso d'Aquino é stato uno dei più importanti filosofi occidentali e uno dei più grandi teologi della Chiesa Cristiana. I filosofi che dopo Wittgenstein hanno lottato per sfuggire dal potente pensiero di Cartesio, e i teologi che hanno cercato di allontanarsi dalle dicotomie sorte nello stesso periodo, trovano entrambi in Aquino un uomo libero da queste preoccupazioni che parla direttamente con il nostro tempo. Questo libro rappresenta una moderna presentazione del pensiero totale di Aquino. In generale i libri sul suo pensiero considerano o la sua filosofia o la sua teologia. Ma egli stesso non ha mai fatto tale distinzione, e questo libro permette di considerallo interamente. Davis, Paul The mind of God: the scientific basis for a rational world Simon & Schuster, London febbraio 1992 pp.288. £ 14.99 Completando la sua indagine matafisica del significato e dell’origine della vitain “God and the new physics”, il fisicista Paul Davis vuole ulteriormente analizzare le spiegazioni teologiche e scientifiche della creazione dell’universo. Egli esamina la natura della ricerca scientifica ed il nostro ruolo nel cosmo, facendo fuoco sulla nostra comprensione crescente della complessità organizzata, che avviene grazie all’avvento della velocità del computer. Epoche differenti hanno usato loro proprie metafore per descghrivere l’universo. Per 300 anni, la scienza é stata dominata dalla ricerca di modelli semplici in natura. Ma ora, con l’avvento del computer, possiamo riscontrare il fatto che le leggi fisiche giocano un duplice ruolo: esse forniscono i modelli semplici che sottolineano tutti i fenimeni fisici, ma esse sono anche in grado di far emergere la profonda complessità organizzata. Che le leggi del nostro universo possiedano questa cruciale doppia proprietà é un fatto di significanza cosmica, che ci mette in grado di riflette sulla natura di quello stesso universo e di intravedere le regole che lo percorrono. Decher, Fr. - Henningfeld, J. (a cura di) Philosophische Anthropologie im 19. Jahrhundert Königshausen & Neumann Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.214, DM 38 I primi articoli presentano i luoghi sistematici dell’antropologia nella filosofia di Fichte, Schelling ed Hegel. I successivi si occupano di questioni antropologiche in Humboldt, Schleiermacher, Feuerbach, Darwin, Kierkegaard, Marx, Dilthey e Nietzsche. Delbos, Victor De Kant aux postkantiens Aubier, Paris marzo 1992 FF 145 Uno studio sui metafisici tedeschi della prima metà del diciannovesimo secolo e sulla loro assimilazione del kantismo. Delhomme, Jeanne Jeanne Delhomme A cura di Monique Dixsaut. Cerf, Paris marzo 1992 pp.250, FF 195 La filosofia è stata per J.Delhomme una ricerca continua, con dei ripensamenti ed un desiderio sempre appassionato di lucidità. La sua tesi sul pensiero interrogativo potrebbe coprire tutta la sua opera. Della Valle, Sergio Il bisogno di una libertà assoluta Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.256, L. 38.000 L’autore cerca di dimostrare la presenza nella Fenomenologia di una filosofia della storia nel senso “forte” del termine, ossia come lettura filosofica complessa delle vicende dell’umanità. Deedica inoltre ampio spazio alla interpretazione hegeliana delle diverse fasi di sviluppo dello “spirito del mondo”: dallo stato di natura e dal dispotismo orientale alla Rivoluzione francese e allo stato moderno postrivoluzionario. Dennett, Daniel Consciousness explained Allen Lane the Penguin Press London marzo 1992 pp.448, £ 20.00 Si riconsidera il punto tradizionale sulla coscienza per affermare che la tautologia ed il dualismo cartesiano della mente e del corpo dovrebbero essere sostituiti con la teoria della neuroscienza, della psicologia e dell’intelligenza artificiale. Dentone, Adriana (a cura di) Michele Federico Sciacca: Europa o “occidentalismo”? Unicopli, Milano marzo 1992 pp.295, L. 25.000 Raccolta degli interventi del convegno di Chiavari (8-10 marzo 1990) dedicato al pensiero di Michele Federico Sciacca. Tratti caratteristici della civiltà occidentale sono per Sciacca la crisi dei valori religiosi, morali, estetici, civili, il rifiuto della tradizione classica e cristiana, nell’affermazione della “logica dell’utile” che accompagna tecnicismo e scientismo. Descartes, Rene Meditations on first philosophy traduzione di G. Hefferman Univ. Notre Dame Paris gennaio 1992 pp.96, £ 3.50 Descartes, Rene Critical assessment a cura di Georges J.D. Moyal Routledge, London marzo 1992 £ 300 Una raccolta dei più significativi contributi della dottrina cartesiana. Contiene circa 120 articoli sul metodo cartesiano, l’epistemologia, la metafisica e gli apporti di Cartesio alla matematica e alla scienza. Detlefsen, Michael (a cura di) Proof, logic and formalization Routledge, London, gennaio 1992 pp.272, £35.00 Detlefsen, Michael (a cura di) Proof and knowledge in mathematics Routledge, London gennaio 1992 pp.256, £ 35.00 Dieterich, R. - Pfeiffer, C. (a cura di) Freiheit und Kontingenz. Zur interdisziplinären Anthropologie menschlicher Freiheiten und Bindungen Asanger, Heidelberg marzo 1992 pp.350, DM 68 Djuric, M. (a cura di) Nietzsche und Hegel Königshausen & Neumann Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.180, DM 29,80 Gli interventi di una giornata internazionale su Nietzsche tenutasi a Dubrovnik dall’1 al 6 aprile 1991. Droz, Geneviève Les mythes platoniciens Seuil, Paris febbraio 1992 pp.212, FF 43 Repertorio completo dei miti platonici, alcuni molto noti (la caverna, la reminiscenza, Prometeo), altri meno. Un condensato di tutta la saggezza greca. Druwe, U. - Mikusin, B. Die Dichtungsphilosophie der Renaissance als Antizipation der modernen Sprachphilosophie Ars Una, Munchen marzo 1992 pp.124, DM 38 Dupuy, Jean-Pierre Le Sacrifice et l’envie: le libéralisme aux prises avec la justice sociale. Calmann-Lévy, Paris marzo 1992 pp.374, F 150 Individualismo liberale e giustizia sociale: di questa coppia di contrari, vera croce delle società democratiche, tratta l’autore in un’esplorazione della filosofia liberale di ispirazione economica, da Adam Smith a Robert Nozick. During, Simon Foucault and literature: towards a genealogy of writing Routledge, London marzo 1992 pp.156, £ 35.00 Offrendo una critica di Foucault e degli studi letterari che sono stati influenzati dal suo pensiero, Diring fa risalire lo spirito “trasgrssivo” di Foucault a Sade e Artaud fino ai “nuovi novellisti francesi” del 1960. Eco, Umberto - Rorty, Richard Culler, Jonathan Brooke-Rose, Christine Interpretation and overinterpretation a cura di Stefan Collini Cambrige University Press marzo 1992 pp.160 I limiti dell’interpretazione sono analizzati in questo lavoro da un semiotico le cui proprie novelle dimostrano la complessità che ha povocato nei lettori un’intensa speculazione. Eftichios Bitsakis (a cura di) Basi della fisica moderna Dedalo, Bari febbraio 1992 pp.298, L. 28.000 Con questa nuova opera Bitsakis viene a inserirsi nel controverso dibattito sullo spazio del realismo in fisica. Giunge a ridefinire lo statuto epistemologico degli oggetti quantici, da lui considerati come entità fisiche indipendenti. Gli strumenti della tradizione dia- NOVITA' IN LIBRERIA lettica applicati alla fisica dei quanti fanno di quest’epoca un importante punto di incontro tra filosofi e fisici. Ehrenberg, Stefan Gott, Geist und Korper in der Philosophie von Nicolas Malebranche Academia, Vlg., St. Augustin marzo 1992 pp.206, DM 44 Eibl-Eibesfeldt, Irenäus L’uomo a rischio Bollati Boringhieri, Milano maggio 1992 pp.264, L. 36.000 L’etologia come storia naturale dell’irragionevolezza umana e riflessione sui destini della nostra specie. L’autore vuol far luce sulle trappole insidiose capaci di mettere a rischio la nostra sopravvivenza e sui presupposti indispensabili per correggere la rotta. Emo, Andrea Le voci delle muse. Scritti sulla religione e sull’arte (1918-1981) a cura di M. Donà e R. Gasparotti Marsilio, Venezia aprile 1992 pp.199, £ 35.000 Dopo il precedente Il dio negativo, questo volume raccoglie i testi dedicati dall’appartato e solitario filosofo Andrea Emo all’estetica ed alla religione. Il nucleo attorno a cui si muove la riflessione di Emo è il tema del “negativo”, nelle sue articolazioni teologico-filosofiche e religiose: come, sul piano teologico, il Dio cristiano è il “Dio negativo”, che continuamente si nega perché gli esseri possano esistere, così, in un’estetica debitrice della lezione di Hegel e Heidegger, anche l’arte si manifesta negando se stessa e le proprie forme. Emser, Engelbert Engagement für Humanität. Ein Christlicher Dialog mit Albert Camus. Haag und Herchen, Frankfurt/M. gennaio-febbraio 1992 pp.276, DM 38 Enderlein, Wolfgang Abwägung in Recht und Moral Alber, Freiburg i.Br. gennaio-febbraio 1992 pp.420, DM 96 Il libro tratta la questione del fondamento delle azioni sulla base di criteri fondati sul fine e orientati sull’atto, in riferimento alla scelta del gesto nella morale extragiuridica e in quella giuridica, in particolare nella situazione decisionale giudiziaria. Engel, J. Ronald - Engel, Joan Gibb (a cura di) Ethics of environment and development: global challenge and international response Belhaven Press, London marzo 1992 pp.256, £ 14.99 Questo libro analizza insieme ambientalisti, filosofi, biologi, teologi ed altri per considerare le dimensioni morali ed etiche del deterioramento ambientale e dello sviluppo sostenibile. Engler, Ulrich Kritik der Erfahrung. Die Bedeutung der ästhetischen Erfahrung in der Philosophie John Deweys Königshausen & Neumann, Würzburg marzo 1992 pp.294, DM 78 Lo studio su John Dewey cerca di cogliere al di là delle vecchie barriere eurocentriche di accettazione storica (pragmatismo, strumentalismo) un legame con il passato e di individuare in questo accostamento una filosofia che tende all’analitico anche dall’altra parte dell’Atlantico. Ernst, Germana Religione, ragione e natura Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.296, L. 36.000 Amico di Galileo, autore di una celebre utopia, La città del Sole, Campanella è una delle figure più alte del periodo tra il ‘500 e il ‘600. Questo volume esamina alcuni aspetti centrali della sua filosofia, mettendone in rilievo i rapporti con il pensiero di altri autori contemporanei quali Della Porta, Cardano, Vanini e lo stesso Galileo. Esterbauer, Reinhold Transzendenz-”Relation”. Zum Transzendenzbezug in der Philosophie Emmanuel Levinas Passagen-Vlg., Wien marzo 1992 pp.288, DM 52.80 Failla, Mariannina Dilthey e la psicologia del suo tempo Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.160, L. 25.000 Ricostruzione insieme teorica e storica della teoria psicologica di Dilthey. Una tale ricostruzione mostra come la teoria di Dilthey superi l’avversità kantiana per la scienza psicologica e nel contempo delinei i tratti di quella “coscienza naturale” che troverà un fondamento nelle riflessioni fenomenologiche di Husserl. Fedler, Stephan Der Aphorismus. Begriffsspiel zwischen Philosophie und Poesie M und P, Stuttgart gennaio-febbraio 1992 pp.229, DM 39.80 Fehér, I.M. (a cura di) Wege und Irrwege des neueren Umganges mit Heideggers Werk. Ein deutsch-ungarisches Symposium Duncker und Humblot, Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.211 Feldman, Fred Confrontations with the reaper: a philosophical study of the nature and value of death Oxford University Press febbraio 1992 pp.240, £ 22.50 Questa monografia presenta una discussione del problema filosofico intorno alla morte. L’autore analizza il problema concettuale sulla natura della morte e l’antico problema etico epicureo sul danno della morte, che sorge dall’idea che la morte non esiste. Fernández Moreno, Luis Wahrheit und Korrespondenz bei Tarski. Eine Untersuchung der Wahrheitstheorie als Korrespondenztheorie der Wahrheit Königshausen, Würzburg marzo 1992 pp.182, DM 46 Ferretti, Giovanni (a cura di) Filosoia e teologia nel futuro dell’Europa Marietti, Genova febbraio 1992 pp.275, L. 38.000 Questa collezione di saggi è la pubblicazione degli atti del V colloquio su Filosofia e Religione tenutosi a Macerata nell’ottobre del 1990. Viene preso in considerazione il contributo che la filosofia e la teologia possono dare alla nuova Europa, chiedendosi se è possibile riproporre una convergenza fra le due discipline, e su quali temi. Ferry, Luc-Renaut, Alain Philosophie politique 3: Des droits de l’ homme à l’idée républicaine PUF, Paris marzo 1992 pp.192, F 119 Questo saggio contribuisce a chiarire le differenze determinanti tra liberalismo e socialismo. Feuerbach, Ludwig Etica e felicità Guerini, Milano maggio 1992 pp.127, L. 22.000 Prima traduzione italiana condotta sul manoscritto. La filosofia per l’uomo annunciata da Feuerbach conduce all’elaborazione di un’etica eudemonistica. Contro Kant, una volontà separata dall’impulso a essere felici è giudicata una pura invenzione del pensiero, senza alcun contenuto. I doveri verso gli altri possono essere spiegati, invece, a partire dal desiderio di felicità delll’individuo, che non si appaga esclusivamente del proprio bene ma mira, al tempo stesso, a una felicità comune. Filone d’Alessandria la vita contemplativa a cura di Paola Graffigna Il Melangolo, Genova gennaio 1992 pp. 189, L. 22.000 Opera singolare della tradizione ebraica, il De Vita Conteplativa di Filone d’Alessandria è l’apologia della vita religiosa di una comunità di perfetti: i Terapeuti. Fleischmann, Eugène La philosophie politique de Hegel Gallimard, Paris febbraio 1992 FF 63 Dall’autore di “Le christianisme mis à nu”. Florschütz, Gottlieb Swedenborgs verborgene Wirkung auf Kant. Swedenborg und die okkulten Phänomene aus der Sicht von Kant und Schopenhauer Königshausen, Würzburg marzo 1992 pp.202, DM 48 Fornari, Fabrizio Essere ed evento in Heidegger Franco Angeli, Milano aprile 1992 pp.200, L. 25.000 La “svolta del pensiero heideggeriano oltre l’interruzione-fallimento di Essere e tempo. Forum für Philosophie Bad Homburg (a cura di) Zeiterfahrung und Personalität Suhrkamp, Frankfurt/M. gennaio-febbraio 1992 pp.272, DM 24 Foti, Veronique M. Heidegger and the poets: poiesis, sophia, techne Humanities P., U.S., gennaio 1992 pp.192, £ 27.95 Frank, Manfred Der unendliche Mangel an Sein. Schellings Hegelkritik und die Anfänge der Marxschen Dialektik. Mit einer neuen Einleitung und einem Anhang über Heine und Schelling Fink, München marzo 1992 pp.380, DM 68 In un’epoca in cui il marxismo ha dichiarato bancarotta, il libro di Frank conquista un ruolo di attualità che al suo primo apparire (1975) non aveva.Per questo motivo, l’autore ha operato un’importante revisione sull’opera. Franzini, Elio Fenomenologia Introduzione tematica al pensiero di Husserl Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.128, L. 20.000 Vengono qui presentati, in una sintesi che ne rispetta il senso filosofico, i temi principali della fenomenologia di Husserl. Accanto agli strumenti principali del metodo fenomenologico, ai suoi nuclei fondati, il pensiero di Husserl è osservato nella sua dimensione più profonda e radicale, volta alla definizione del senso stesso della filosofia. Frazen, Elizabeth Hornsby, Jennifer Lovibond, Sabina (a cura di) Ethics: a femminist reader Blackwell Publishing, marzo 1992 £.13.95 26 articoli scritti da donne confrontano i pregiudizi maschili storici e contemporanei nella moralità. Questo libro rappresenta una risposta femminile al problema della moralità. Mary Wollstonecraft, Simone de Beauvoir, Adrienne Rich e Catherine Mackinnon sono fra le autrici. French, Peter A. (a cura di) Philosophy and the arts Univ. Notre Dame Paris., gennaio 1992 NOVITA' IN LIBRERIA pp.496, £ 17.50 Friedlein, Curt Geschichte der Philosophie. Lehr-und Lernbuch. E. Schmidt, Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.432, DM 49.80 Froment-Meurice, Marc La chose, meme: solitude II Galilée, Paris febbraio 1992 pp.320, F 175 Di cosa si tratta? La cosa esiste? » piuttosto una non- esistenza, ma poetica; un segno più che un senso. Ad esempio l’immagine, l’identità, la libertà. Qualche riferimento a Rousseau, Nietzsche e Derrida. L’autore ha appena terminato una biografia di Georg Trakl per i tipi di Belin. Fuller, Michael Truth, value and justification Avebury, Aldershot marzo 1992 pp.200, £ 32 Una ricerca storica e sistematica sui fondamenti dell’epistemologia e dell’etica. Rintraccia i legami esistenti tra realtà e valore, vero e valore, realtà e teoria. Conclude affermando che, nonostante qualche sviluppo interessante, la filosofia non è mai andata oltre il “paradigma kantiano”. Gamm, Gerhard Die Macht der Metapher. Im Labyrinth der modernen Welt J.B. Metzler, Stuttgart marzo 1992 pp.197, DM 38 Gamm segue precisamente l’esperienza estetica e suggerisce l’idea che poiché il rapporto fra ragione e facoltà immaginativa, concetto e metafora, illuminismo e mito possano essere pensati sostanzialmente in funzione della nostra società. Gardeya, Peter Platons LACHES. Interpretation und Bibliographie. 2., erw. Aufl. Königshausen & Neumann, Würzburg marzo 1992 pp.42, DM 24 Il testo segue il pensiero del riso del dialogo platonico dando al lettore una prospettiva del contrasto fra la letteratura e le più importanti argomentazioni e concetti platonici. Gava, Giacomo Scienza e filosofia della coscienza Franco Angeli, Milano aprile 1992 pp.240, L. 30.000 Il volume presenta le principali concezioni di neuroscienziati, studiosi del comportamento animale, di intelligenza artificiale, psicologi e filosofi che si sono particolarmente dedicati al problema della coscienza. Gehring, A et al. (a cura di) Diagrammatik und Philosophie. 1. Rodopi, Amsterdam gennaio-febbraio 1992 pp.202, Dfl 75 Congresso interdisciplinare (15.16.12.1988), organizzato dal Forschungruppe Philosophische Diagram- matik alla Fern-Universität/Gesamthochschule Hagen. Generali, Dario (a cura di) Antonio Vallisneri: epistolario Vol. I: 1679-1710 Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.656, L. 70.000 Gerth H., Hans Mills, W. Charles Max Weber. Da Heidelberg al Midwest a cura di Pietro L. Di Giorgi Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.176, L. 25.000 Prima biografia di Max Weber in lingua italiana a settant’anni dalla morte. Biografia agile, ma densa ed articolata, utile per la contestualizzazione storica dell’uomo, del politico e dello scienziato sociale. Geymonat, Ludovico Minazzi, Fabio Dialoghi sulla pace e sulla libertà Cuen, Napoli febbraio 1992 pp.223, L. 20.000 Il libro prende in considerazione i concetti di pace e di libertà, cercando di liberarli dai luoghi comuni, proponendo una lettura approfondita dei giorni nostri. Analisi teoriche si intrecciano con la biografia intellettuale e civile di Ludo-vico Geymonat. Gilbert, Paul P. La semplicità del principio. Introduzione alla metafisica Edizioni Piemme, Casale Monferrato marzo 1992 pp. 383, L. 45.000 Nell’interrogazione sul Principio il pensiero umano incontra il suo limite speculativo ma anche la sua stessa destinazione. In questa introduzione alla metafisica, Gilbert mostra per quale via sia possibile una riflessione orienatata verso il principio e, attraverso un percorso sistematico e riflessivo, porta a vedere nell’incontro con l’altro, l’esercizio di ciò che costituisce l’essere più intimo dell’uomo. Gill, Jerry H. Merleau-Ponty and metaphor Humanities Press, USA gennaio-febbraio 1992 pp.176, £ 28 Accertando l’uso pitovalico del linguaggio e delle metafore in MerleauPonty, l’autore cerca di gettare una nuova luce sulla comprensione di questo pensatore e sull’esercizio della filosofia, scoprendo nei suoi lavori l’uso delle immagini metaforiche. Goehr, Lydia The immaginary museum of musical works: an essay in the philosophy of music Clarendon Press, febbraio 1992 pp.320, £ 35.00 Goodman, L.E. On justice. An essay in Jewish philosophy Yale U.P., New Haven gennaio-febbraio 1992 pp.296, $ 42 Goodman presenta la prima teoria generale della giustizia, in questo secolo, che usa sistematicamente i principi giudaici inserendoli in un dialogo con l’influenza etica e politica dei testi della tradizione occidentale. Graham, Joseph F. Onomatopoetics: theory of language and literature Cambridge University Press marzo 1992 pp.330 Si riconsiderano gli argomenti del Cratilo di platone su come le parole significano le cose, e la teoria di Chomsky dello stato naturale innato del linguaggio che contrata la nozione di Saussure. Gramont, Jerome de La vie quotidienne: esquisses Ed. Universitaires, Paris gennaio 1992 pp.142, FF 145 Queste pagine, scritte per una trasmissione alla radio, si rivolgono ad un pubblico di non filosofi. Granger, Gilles-Gaston La verification O. Jacob, Paris febbraio 1992 pp.313, FF 180 Un esame dei rapporti tra conoscenza simbolica e conoscenza intuitiva dal punto di vista dell’idea di verità. Grassi, Ernesto La metafora inaudita Aestethica Ed., Palermo 1992 pp.170, L. 20.000 L’esito conclusivo di un protagonista della cultura filosofica del Novecento. Grim, Patrick The incomplete universe: totality, knowledge, and truth Bradford Book, London febbraio 1992 pp.256, £ 22.50 La principale affermazione di questa indagine filosofica é che all’interno della logica non si ha una nozione coerente di vero o di conoscenza totale. Grim esamina una serie di paradossi mettendo in relazione i risultati, mostrandone le loro implicazioni per l’epitemologia, la metafisica e la filosofia della religione. Questo libro affronta i falsi paradossi proponendone una soluzione, il paradosso del conoscitore di Kaplan e di Montague, i teoremi di Goedel e i relativi fenomeni di incompletezza, e una nuova forma dell’argomento cantoriano. L’enfasi é filosofica piuttosto che formale, con un occhio alla connessione con i mondi possibili e alla nozione di omniscienza. Grim, Patrick The incomplete universe. Totality, knowledge and truth MIT Press, Cambridge gennaio-febbraio 1992 pp.256, $ 30 In qualsiasi logica che utilizziamo, può esserci una nozione incoerente di tutta la verità o della totalità della conoscenza. Grim esamina una serie di paradossi logici e mette in relazione i risultati formali per rivelarne le implicazioni rela-tive all’epistemologia, alla metafisica e alla filosofia della religione. Guattari, Félix Chaosmose Galilée, marzo 1992 pp.176, F 98 Tra le nebbie e i miasmi che oscurano la nostra fine di millennio, la questione della soggettività è ormai divenuta un leitmotiv. La psicoanalisi, l’analisi istituzionale, il cinema, la letteratura, la poesia... Tutte le discipline dovranno unire la loro creatività per scongiurare la barbarie. Guyer, Paul (a cura di) The Cambridge companion to Kant Cambridge University Press febbraio 1992 pp.496, £ 12.95 Questo volume é una descrizione siste-matica e completa dell’insieme di scritti su Kant prodotti da un gruppo di seguaci di Kant sui temi della filosofia della scienza, della filosofia morale e politica, dell’estetica e della filosofia della religione. H.-J. Gawoll (a cura di) Deutsch-italienisches Kolloquium 1991: Giordano Bruno Bouvier, Bonn febbraio 1992 pp.200, DM 48 Con interventi di: Kurt Flasch (Bochum), Saverio Ricci (Napoli), Josef Simon (Bonn), Maria Caciagli (Firenze), Richard Baum (Aachen), Rita Sturlese (Pisa), Reiner Lengeler (Bonn), Christiane Schultz (Napoli), Willi Hirdt (Bonn) e Norbert Oellers (Bonn). Hall, Harrison Dreyfus, Hubert (a cura di) Heidegger - a critical reader Blackwell Publishing, London marzo 1992 pp.270, £ 12.95 Questa collezione di saggi afferma l’influenza di Heidegger sul pensiero occidentale del ventesimo secolo. Cercano anche di mostrare come Heidegger si avvicina all’idea dell’essere, della mente, dell’agire e del linguaggio, e analizza la maniera in cui questo pensiero é in relazione la filosofia corrente. Hampshire, Stuart Innocence and experience Penguin Books, febbraio 1992 pp.208, £ 6.99 Questo libro é un distillato di una vita che si é interessata di filosofia morale. I temi affrontati sono quelli dell’anima, della giustizia e della storia, dell’individualità, dell’innocenza e dell’esperienza. Handjaras, Luciano Problemi e progetti del costruzionismo. Saggio sulla filosofia di Nelson Goodman Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.184, L. 25.000 Goodman si interroga essenzialmente su un unico problema: come costruiamo i nostri mondi della filosofia, del- NOVITA' IN LIBRERIA l’arte, della scienza e come ne valutiamo la giustezza. Ridefinendo i rapporti tra conoscenza, comprensione e operazioni costruttive, amplia e ridetermina l’idea di conoscenza e delinea una trama di somiglianze e differenze cognitive ed estetiche tra “opere” di solito considerate inconfrontabili. Hanfling, Oswald (a cura di) Philosophical aesthetics: an introduction Blackwell Publishing, marzo 1992 pp.496. £ 10.95 Contiene un esame dei principali dibattiti in filosofia estetica, attraverso pensatori della Grecia antica fino a filosofi moderni. I temi sono quelli della natura dell’arte e della bellezza, l’esperienza estetica ed il valore della valutazione dell’arte. Hanfling, Oswald (a cura di) Philosophical aesthetics. An introduction Blackwell Publishing, Oxford marzo 1992 pp.496, £ 11 Un compendio delle più importanti tematiche estetiche, dall’ antica Grecia al mondo moderno. Gli autori discutono sulla natura dell’arte e della bellezza, sull’esperienza estetica, sul valore e la valutazione dell’arte. Haslett, David Ethics and economic systems Clarendon Press, London marzo 1992 pp.224, £ 20.00 Analizzando i sistemi economici da un punto di vista filosofico, questo studio considera gli argomenti etici per differenti tipi di sistemi economici. L’autore considera i vantaggi e gli svantaggi del sistema coperto e analizza i possibili compromessi accettabili. Hastings, Centre What price parenthood?: ethics and assisted reproduction Dartmouth Pub. Co., gennaio 1992 pp.120, £ 30.00 Hayoun, Maurice-Ruben Libera, Alain de Averroès et averroisme PUF, Paris febbraio 1992 pp.128, FF 34 Chi era Ibn Rushd ? Cosa nasconde il corpo delle dottrine alle quali il Medio Evo latino ha dato il nome del filosofo arabo del dodicesimo secolo ? Queste sono le domande alle quali questo libro cerca di rispondere. Herder, Johann Gottfried Idées sur la philosophie de l’histoire de l’humanité a cura di Marc Crépon Presses-Pocket, Paris febbraio 1992 pp.431, FF 70 Comprende un’introduzione critica che situa l’autore nel suo tempo, una scelta delle principali opere ed una documentazione sulla recezione di Herder in Francia. Heuser, Harro Als die Götter lachen lernten. Griechische Denker verändern die Welt Piper, München marzo 1992 pp.320, DM 38 Harro Heuser spazza la polvere della tradizione sui testi dei classici greci. I ritratti da lui disegnati con mano lieve da Omero a Democrito costituiscono una lettura stimolante e divertente per chiunque sia interessato all’affascinante multiformità e alla straordinaria modernità degli “antichi greci”. Hill, Claire Ortiz Word and object in Husserl, Frege and Russell: roots of twentieth-century philosophy Ohio University Press gennaio 1992 pp.225, £ 33.20 Hinderer, D.E. Building arguments Wadworth Pub. Co., gennaio 1992 £ 17.50 Hobbes, Thomas De la nature humaine a cura di E. Naert Vrin, Paris febbraio 1992 pp.171, FF 48 L’opera di Hobbes mette in gioco dei concetti che hanno fatto strada alla filosofia politica moderna. Holz, H.H., Prestipino, G. (a cura di) Antonio Gramsci heute. Aktuelle Perspektiven seiner Philosophie. Pahl-Rugenstein, Bonn marzo 1992 pp.200, DM 28 Holz, Hans H. Gottfried Wilhelm Leibniz Campus-Vlg., Frankfurt/M. marzo 1992 pp.165, DM 19.80 Hubbard, Arthur John New age and the world’s survival Allborough Publishing, Cambridge gennaio 1992 pp.250, £ 9.50 Hüni, Heinrich Wahrnehmungswirklichkeit nach Aristoteles Königshausen & Neumann Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.106, DM 34 Il lavoro cerca una riabilitazione filosofico-fenomenologica della realtà data nella percezione. Hupe, Hans-J. “Werde, der Du sein willst”. Kreativität und Teleologie in der Kulturanthropologie Michael Landmanns Bouvier, Bonn febbraio 1992 pp.192, DM 58 La voluminosa opera antropologico culturale di Michael Landmann (19131984) viene qui per la prima volta resa accessibile e rivalutata sotto forma di una ricostruzione sistematica. Il programma di Landmann di un’antropologia culturale filosofica prende il posto della tradizionale antropologia in- dividuale e della ragione. Hutcheson, Francis Recherche sur l’origine de nos idées de la beauté et de la vertu. a cura di Anne-Dominique Balmès Vrin, Paris febbraio 1992 pp.288, FF 159 Identificare e giustificare l’irreducibile specificita’ del senso e del sensibile, nella virt‘ e dinanzi ai calcoli della ragione: questo è lo scopo che l’autore (1694-1744) si è prefisso. Ingendahl, Angela Eigenwert oder Ressource. Der Naturbegriff in der neueren ethischen Diskussion Alano Rader Publ., Aachen marzo 1992 pp.106, DM 22 Invitto, Giovanni Esistenzialismo e dintorni. Saggi storiografici Franco Angeli, Milano aprile 1992 pp.192, L. 28.000 I saggi raccolti tentano di dimostrare come gli esistenzialismi non costituiscano, per la storiografia filosofica, solo dei “residui archeologici”. Le filosofie dell’esistenza tornano infatti ad occupare uno spazio nella cultura occidentale. Invitto, Giovanni Visioni del mondo e nuova progettualità Franco Angeli, Milano aprile 1992 pp.224, L. 32.000 I saggi raccolti prendono in esame la crisi delle Weltanschauungen tradizionali e la risposta data dalle nuove progettualità teoretiche,, esistenziali, politiche. Irion, Ulrich Eros und Thanatos in der Moderne. Nietzsche und Freud als Vollender eines antichristlichen Grundzugs im europäischen Denken Königshausen & Neumann Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.300, DM 48 Istituto e Museo di Storia della Scienza Archimede. Mito tradizione scienza a cura di Corrado Dollo L. S. Olschki, Firenze maggio 1992 pp. 488, L. 95.000 Atti del convegno tenuto a Siracusa Catania il 9-12 ottobre 1989, con i contributi di G. Fichera, G. Cambiano, R. Rasched, A. de Pace, C. Dollo. Ives, Christopher Zen awakening and society Macmillan Acad. and Professional marzo 1992 pp.192, £ 35.00 Il Buddismo Zen si é tradizionalmente incentrato sulla pratica monastica e sull’espressione artistica del risveglio (satori) ma ha rivolto poca attenzione all’etica sociale. Questo libro considera la relazione tra lo Zen e l’etica sociale. Jasper, David The study of literature and religion: an introduction Macmillan Acad. and professional marzo 1992 pp.162, £ 12,99 Una introduzione ad una serie di temi interdisciplinari riguardanti la letteratura, l’arte e la testualità all’interno della tradizione religiosa basata sui testi e sulla studio testuale. Jaulin-Mannoni, F. Ouvrage de dame: introduction méthodologique à l’étude des logiques appliquées ou à la decouverte du sens. APECT, Paris gennaio 1992 pp.418, FF 460 Utilizza i procedimenti della logica contemporanea ed alcuni esempi pratici, per trattare i problemi posti dalla logica non classica: possibile, indecifrabile, contraddizione. Joubaud, Catherine Le corps humain dans la philosophie platonicienne: étude à partir du Timée. Prefazione di Luc Brisson Vrin, Paris gennaio 1992 pp.322, FF 225 L’interpretazione corrente considera il corpo negativamente presentandolo come un ostacolo. Nel Timeo invece il corpo è inteso nella sua globalità e questo permette di ritrovare l’unità della comprensione platonica del corpo. Jüttner, S.- Schlobach, J. (a cura di) Europäische Aufklärung(en). Einheit und nationale Vielfalt Keiner, Hamburg marzo 1992 DM 128 Kaehler, Kl.E.; Marx, W. Die vernunft in Hegels Phänomenologie des Geistes Klostermann, Frankfurt/M. marzo 1992 pp.244, DM 78 Kahlo, M.- Wolff, E.A.; Zaczyk, R. (a cura di) Fichtes Lehre vom Rechtsverhaltnis. Die Deduktion der Paragr.1-4 der “Grundlagen des Naturrechts” und ihre Stellung in der Rechtsphilosophie Klostermann, Frankfurt a.M. marzo 1992 pp.194, DM 48 Kalinowski, Georges La phénoménologie de l’homme chez Husserl, Ingarden et Scheler Ed. Univesitaires, gennaio 1992 pp.124, FF 155 Le lezioni di Kalinowski sulla fenomenologia dell’uomo in Husserl, Ingarden e Scheler, offrono sia un’ introduzione al pensiero di questi tre fondatori dell fenomenologia, sia uno studio appofondito della loro antropologia. Kant, Immanuel Metaphysics of moral NOVITA' IN LIBRERIA a cura di Mary Gregor, Cambridge University Press gennaio 1992 pp.400, £ 30.00 Kant, Immanuel Anthropologie du point de vue pragmatique a cura di Michel Foucault Vrin, Paris febbraio 1992 pp.176, FF 45 Contiene: Sulla facoltà di conoscere, Il sentimento di piacere e di dispiacere, Sulla facoltà di desiderare. Kant, Immanuel Essai pour introduire en philosophie le concept de grandeur négative A cura di R. Kempfdi G.Canguilhem Vrin, Paris febbraio 1992 pp.66, FF 21 Kant definisce qui il concetto di grandezza negativa, prima di applicarlo agli oggetti filosofici. Karel Janácek Indice delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio L. S. Olschki, Firenze maggio 1992 pp. 374, L. 115.000 Karel Janácek presenta il risultato di un’attività di studioso di filosofia antica protattasi per più di quarant’anni: l’Indice delle Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio costituisce uno strumento essenziale nell’indagine filosofica classica, di cui si avvertiva profondamente la mancanza. Karel Lambert, J. (a cura di) Philosophical applications of free logic Oxford U.P., New York gennaio-febbraio 1992 pp.288, £ 32 Una raccolta di saggi che discute l’applicazione della logica libera agli argomenti filosofici. Tra le varie materie toccate figurano la logica, la metafisica e la filosofia della religione. Keown, Damien The nature of buddhist ethics Macmillan Acad. and Professional febbraio 1992 pp.240, £ 35.00 Tentativo di comprendere la natura teorica dell’etica buddista e chiarire il suo ruolo. L’opinione secondo cui l’etica ha valore limitato o provvisorio é rigettata come lo é la caratterizzazione dell’etica buddista come utilitarista. Questo libro avvicina la tradizione aristotelica dell’etica nel suggerire che la morale come la perfezione intellettuale é un costituente del bene finale o del nirvana. Kersting, Wolfgang Thomas Hobbes zur Einführung Junius-Vlg., Hamburg marzo 1992 Kinloch, David P. The thought and art of Joseph Joubert (1754-1824) Clarendon Press, marzo 1992 pp.256, £ 35.00 Rcostruzione dello sviluppo del pensiero di Joubert, scrittore di considerevole sensibilità per i temi relativi al- l’estetica. Klagge, James C. Methods of interpreting Plato and his dialogues Clarendon Press, Oxford marzo 1992 pp.288, £ 35 In questo volume alcuni studiosi di Platone riflettono sui metodi di interpretarlo. Tra gli argomenti trattati: l’uso delle fonti antiche nell’interpretazione deio dialoghi, lo stile letterario e retorico di Platone, i suoi temi, la sua scrittura e l’uso della forma dialogica. Kleinberg, Stanley S. Politics and philosophy. The necessity and limitations Blackwell Publishing, Oxford gennaio-febbraio 1992 pp.208, £ 11 Esplora la natura delle fedi politiche chiedendosi se esse siano, generalmente parlando, conformabili a sistemi di pensiero razionali e morali, o se invece non siano che sublimazioni di interessi privati. Vengono vagliate diverse ideologie, programmi di partiti e opere di grandi pensatori politici. Klenner, Hermann Deutsche Rechtsphilosophie im 19. Jahrhundert Akademie Vlg., Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.257, DM 38 Konersmann, Ralf Erstarrte Unruhe. Walter Benjamins Begriff der Geschichte Fischer Taschenbuch, Frankfurt a.M gennaio-febbraio 1992 DM 19,80 Una ricognizione nelle strutture linguistiche e di pensiero benjaminiane concerneti il problema della storia. Krämer, Hans Integrative Ethik Suhrkamp, Frankfurt a.M. gennaio-febbraio 1992 pp.400, DM 64 Anche grazie alle filosofie specialistiche, l’ampliamento dell’etica attraverso l’insegnamento di uno stile di vita, un’etica dell’ambizione o della fortuna, viene oggi percepito come desiderio. Hans Krämer si è dato come obiettivo una chiarificazione sistematica delle condizioni da produrre perché sia possibile oggi e in futuro il rinnovamento di questo tipo di etica. Kristeva, Julia Language, the unknown: an initiation into linguistics Harvester Wheatsheaf, marzo 1992 pp.328, £ 10.99 Una introduzione alla storia della cultura grafica filosofia, antropologia e semiotica. In una serie di analisi ispirate a Levi-Strauss, Barthes, Derrida, Freud e Lacan, si descrive la storia del pensiero come un fenomeno che unisce la speculazione filosofica e la pratica linguistica. Krohn, W. Kuppers, G. (a cura di) Emergenz. Die Entstehung von Ordnung, Organisation und Bedeutung Suhrkamp, Frankfurt/M. gennaio-febbraio 1992 pp.420, DM 28 Kuhlewind, Georg Working with anthroposophy: the practice of thinking traduzione di M. Lipson Anthroposophic P., N.Y. gennaio 1992 pp.96, £ 9.95 Kuhlmann, Wolfgang Kant und die Transzendentalpragmatik Königshausen, Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.204, DM 48 Kuhn, Elisabeth Friedrich Nietzsches Philosophie des europäischen Nihilismus De Gruyter, Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.293, DM 158 Dalla storia del concetto i primi passi della rappresentazione della nascita, della tematica e dell’elaborazione del “nichilismo” nel corpus degli scritti filosofici di Nietzsche. Kupperman, Joel J. Character Oxford University Press gennaio 1992 pp.240, £ 24.00 Kutschera von, Franz Fondamenti dell’etica Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.398, L. 48.000 Nel contesto della vasta produzione contemporanea nel settore etico, questo volume si contraddistingue per il taglio logico-epistemologico. I risultati a cui si perviene costituiscono il punto di avvio del tentativo di fondazione dell’etica proposto dall’autore. Vi si difende un’etica oggettivistica, che fa perno da una parte sulla nozione di esperienza dei valori e dall’altra su quella di dovere, in una prospettiva di integrazione tra punto di vista teleologico e deontologico. Kvanvig, Jonathan L. The intellectual virtues and the life of the mind: on the place of the virtues in contemporary epistemology Rowman & Littlef., febbraio 1992 pp.180, £ 31.50 In questo libro l’autore afferma che le virtù cognitive possiedono uno spazio fondamentale in epistemologia, ma non lo spazio dato loro dagli epistemologis contemporanei attenti alla virtù. Le virtù cognitive, in accordo con questa tesi, sono parte del nostro ideale cognitivo, e non sono riducibili o spiegabili tramite le nozioni epistemologiche familiari della giustificazione o della conoscenza. Lacroix, Jean Kant et le Kantisme PUF, Paris febbraio 1992 pp.128, FF 34 L’esposizione completa della filosofia di Kant a partire dal tema centrale dell’opposizione e dei rapporti della natura e della libertà. Lagrée, Jacqueline (a cura di) Grotius. La raison ardente: religion naturelle et raison au 17e siècle Vrin, Paris gennaio 1992 pp.351, FF 180 La religione naturale nel diciassettesimo secolo conobbe, negli ambienti protestanti liberali, una sorta di età dell’oro. Laguerre L’ordre naturel contre l’ordre culturel Eternel Retour, Paris febbraio 1992 pp.259, FF 100 L’ordine culturale, ideologia dominante creata dagli intellettuali, parte dal principio che nell’uomo niente è innato ma tutto è acquisito. L’autore insorge contro tale ideologia e dimostra che l’ordine naturale, ovvero l’innato, domina i nostri comportamenti. Lance, Pierre En compagnie de Nietzsche L’Ere nouvelle, Paris gennaio 1992 pp.208, FF 90 Raccolta di articoli consacrati al filosofo dell' "eterno ritorno". Lash, Scott - Friedman, Jonathan Modernity and identity Blackwell Publishing, Oxford gennaio-febbraio 1992 pp.448, £ 13 Un contributo ai dibattiti contemporanei sul modernismo e sul postmodernismo. Questo libro apre la possibilità di una “terza via”, respingendo l’opposizione tra l’alto modernismo e l’anti- etica irrazionale del postmodernismo. Latraverse, Francois Lekton, n.1. Wittgenstein Université du Quebec, gennaio 1992 pp.240, FF 80 I testi raccolti per il primo numero di questa rivista sono tratti da un simposio organizzato nel maggio del 1989 all’Università del Quebec a Montreal, in occasione del centenario della nascita di Wittgenstein. Le Doeuff, Michelle Hipparchia’s Choice. An Essay concerning women and philosophy Blackwell Publishing, Oxford gennaio-febbraio 1992 pp.368, £ 15 Affronta la storia della filosofia mettendo in questione il sesso e discutendo le conclusioni sociali e legislative che ci hanno finora guidati. Traccia il cammino per una filosofia che tenga conto della storia, del femminismo, della società e dell’intelligibilità. Lee, Sander H. (a cura di) Inquiries into values: the inagural session of the international society for value inquiry E. Mellen P., U.S., gennaio 1992 NOVITA' IN LIBRERIA pp.776, £ 59.95 Lefebvre, Henri Elements de Rythmanalyse: introduction à la connaissance des rythmes prefazione di René Lourau Syllepse, Paris marzo 1992 pp.116, FF 90 Ultima opera teorica del filosofo (19011991), il progetto ritmoanalitico, rimasto il suo giardino segreto, si ricollega spesso all’opera fondamentale “Critique de la vie quotidienne”. La ritmoanalisi, scienza nascente, studia i processi complessi dei ritmi, quelli del tempo come quelli degli spazi sociali. Leibniz, Gottfried Wilhelm Discorso di metafisica a cura di Andrea Sani La Nuova Italia, Firenze 1992 pp.78, £ 16.000 Scritto da Leibniz tra 1685 e 1686 per far conoscere le proprie idee in tema di metafisica al cartesiano e giansenista Antoine Arnauld, il Discorso di metafisica contiene in nuce le linee del sistema leibniziano maturo ed affronta i problemi di Dio, delle sostanze individuali, della conoscenza e della morale. Lesniewski, Stanislaw Collected works a cura di Surma, S.J. Klwer Acad. Publrs., gennaio 1992 pp.620, £ 63.00 Levinas, Emmanuel La mort et le temps A cura di Jacques Roland LGF, Paris febbraio 1992 pp.155, FF 30 Questo testo è un corso tenuto alla Sorbonne durante l’anno accademico 1975/76. In questa meditazione sulla morte, Levinas fa capo a due autori, due sistemi di pensiero che lo hanno profondamente influenzato: Husserl e Heidegger. Levinas, Emmanuel Le temps et l’autre PUF, Paris marzo 1992 pp.96, FF 40 Il sunto delle quattro conferenze tenute sotto il titolo di “Le temps et l’autre” nel 1946/47 sul tema: il tempo è la limitazione dell’essere finito o la relazione che lega l’essere finito a Dio ? Un modo di pensare il tempo. Lewis, Frank A. Substance and predication in Aristotle Cambridge University Press Cambridge marzo 1992 pp.352, £ 30 Questo libro tratta del tema centrale della metafisica aristotelica e delle varie trasformazioni che esso ha subito prima di essere espresso sistematicamente nella “Metafisica”. Libera, Alain de La philosophie médiévale PUF, Paris marzo 1992 pp.128, FF 34 La presentazione tematica permette di trovare i principali apporti della filosofia medievale. Loche, Anna Maria Jeremy Bentham e la ricerca del buongoverno Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.264, L. 30.000 La ricerca del buongoverno costituisce un motivo costante nella filosofia politica di Jeremy Bentham (17481832), il primo conseguente teorico della democrazia parlamentare. Caposcuola della filosofia utilitaristica e radicale, fu sempre un convinto assertore della necessità di riformare sia la scienza e il linguaggio politici e giuridici, sia i meccanismi istituzionali allora dominanti. Lübbe, H. Im Zug der Zeit. Verkürzter Aufenthalt in der Gegenwart Springer, Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.425, DM 58 In questo libro vengono analizzati e descritti gli sviluppi culturali, economici e quelli tecnici correnti della contrazione del presente, approdando a un ampio panorama di interpretazioni temporali della cultura moderna. MacDonald, Cynthia Mind-body identity theories Routledge, London gennaio 1992 pp.256, £ 10.99 Maesschalck, Marc Jalons pour une nouvelle éthique: Philosophie de la liberation et éthique sociale. Institut supérieur de philosophie febbraio 1992 pp.339, FF 132 Comprende quattro grandi parti: Una filosofia della liberazione, Filosofia del linguaggio ed etica sociale, Creatività e lotte sociali, Un’altra idea della cultura e della democrazia. Malcolm, John Plato on the self-predication of forms. Early and middle dialogues Clarendon Press, Oxford gennaio-febbraio 1992 pp.240, £ 27.50 Un’ interpretazione dei primi dialoghi di Platone. Rileva che i rari casi di autopredicazione rintracciabili in essi sono semplicemente argomentazioni concernenti gli universali, quindi Platone non è passibile di alcuna confutazione facente appello all’argomento del “terzo uomo”. Malherbe, Michel Trois essais sur le sensible Vrin, Paris febbraio 1992 pp.146, FF 99 Tre parti: L’atto del sensibile, Il sensibile stesso e L’essere del sensibile. Fa riferimento anche a testi di Aristotele, Hume e G.E.Moore. Marcel, A.J. - Bisiach E. (a cura di) Consciousness in contemporary science Clarendon Press, London marzo 1992 pp.416, £ 17.50 Il significato della coscienza nella scienza moderna viene analizzato da un certo numero di autorità apparteneti alla psicologia, neurologia e filosofia. I temi considerano lo sgretolamento della coscienza, la sua funzione e le sue radici nella cognizione. Marcel, Gabriel Les hommes contre l’humain prefazione di Paul Ricoeur Ed. Universitaires, gennaio 1992 pp.171, FF 165 L’ autore fa una diagnosi di quelle che potremmo chiamare le tendenze pesanti del nostro tempo. Gli avvenimenti recenti ne rivelano tutta l’ampiezza visionaria. G. Marcel denuncia il rafforzarsi della tirannia burocratica, le minacce di distruzione dell’umanità con l’arma atomica e il pericolo del bolscevismo. Marcel, Gabriel Parain-Vial, Jeanne (a cura di) Etre et avoir Ed. di Jeanne Parain-Vial Ed. Universitaires, gennaio 1992 pp.192, FF 169 Questo libro ci fa conoscere Marcel, la sua riflessione quotidiana, paziente e folgorante, sulle esperienze vissute; in particolare quelle sull’avere e sull’essere ci conducono direttamente nel cuore dell’antropologia e della questione ontologica. Marco-Aurelio Pensées pour moi meme a cura di Frédérique Vervliet e Ernest Renan Arléa, febbraio 1992 pp.250, FF 110 Esame di coscienza quasi quotidiano dello stoico imperatore romano che scrisse questi pensieri in greco. Marcuse, Herbert L’ontologie de Hegel et la théorie de l’historicité prefazione di Mimica Cranaki Gallimard, Paris gennaio 1992 pp.350, FF 72 Dall’ autore di Ragione e rivoluzione un saggio sulla teoria sociale di Hegel. Margolis, Joseph The truth about relativism Blackwell Publishing, Oxford marzo 1992 pp.240, £ 13 Una difesa completa del relativismo filosofico. Riunisce le principali critiche del mondo antico (mosse a Protagora) e i vari attacchi sviluppatisi nella filosofia contemporanea. Marion, Jean-Luc Sur la théologie blanche de Descartes PUF, Paris gennaio 1992 pp.496, FF 65 La teologia di Descartes è bianca per- ché anonima e indeterminata. La teologia della metafisica cartesiana resta bianca perché il suo beneficiario (o messaggero) in definitiva non è identificato. Mathieu, Vittorio L’opus postumum di Kant Bibliopolis, Napoli aprile 1992 pp.315, L. 70.000 La cosiddetta opera postuma di Kant è un’ingente raccolta di abbozzi di un’opera mai compiuta, che doveva essere il culmine della filosofia trascendentale. La forma del manoscritto esclude che lo si possa utilizzare con profitto senza una preparazione di anni. Tuttavia una conoscenza dell’ultimo pensiero di Kant si rivela sempre più importante: di qui il lavoro di ricostruzione in cui questo volume si è impegnato. Matteucci, Giovanni (a cura di) Wilhelm Dilthey. Materiali editi e inediti (1886-1909) Franco Angeli, MIlano maggio 1992 pp.336, L. 38.000 La pubblicazione dei materiali raccolti nel presente volume cerca di colmare le lacune attuali sul lavoro di Dilthey, da un lato aprendo la possibilità di esaminare l’elaborazione teorica dei principi che egli applicò nei suoi scritti storico-critici, dall’altro lato offrendo un prezioso strumento per un’analisi trasversale dell’intera speculazione diltheyana. McCarthy, George E. (a cura di) Marx and Aristotle: ninenteenth-century german social theory and classical antiquity Rowman & Littlefield, marzo 1992 pp.260, £ 17.95 Una collezione multidisciplinare di autori che esaminano l’influenza della filosofia greca classica su Marx, specialmente il pensiero di Aristotele e di Epicuro. McGilvray, James A. Tense reference and worldmaking McGill University Press gennaio 1992 pp.392, £ 39.95 Meo, Oscar Il contesto. Osservazioni dal punto di vista filosofico Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.200, L. 24.000 Avvalendosi soprattutto dell’emergere dell’interesse per la dimensione “pragmatica” del linguaggio, e tenendo conto delle principali teorie linguistiche e critiche contemporanee, il volume si propone di investigare il problema del contesto alla luce dell’evoluzione subita dai concetti di “teso”, “significato” e “comunicazione”. Meyer-Schubert, Astrid Mutterschossehnsucht und Geburtsverweigerung. Zu Schellings früher Philosophie und dem frühromantischen Salondenken Passagen-Vlg., Wien marzo 1992 NOVITA' IN LIBRERIA pp.224, DM 56 Miller, Richard B. Interpretations of conflict. Ethics, pacifism, and the just-war tradition Univ. of Chicago, Chicago gennaio-febbraio 1992 pp.296, $ 21 Miller riunisce qui le opposte tradizioni del pacifismo e della teoria della guerra giusta, inserendole in un indispensabile dialogo sull’etica e la guerra. Minazzi, Fabio (a cura di) Il cono d’ombra Marcos y Marcos, Milano settembre 1991 pp.243, L. 24.000 Il “cono d’ombra” è quello all’interno del quale si è collocati dalle categorie di pensiero e dagli eventi accaduti negli anni Trenta. La rimeditazione di questo periodo ha dunque il significato di una rivisitazione delle periodizzazioni e dei giudizi che hanno riguardato la cultura novecentesca, per l’instaurazione di un nuovo bilancio critico di essa. Il volume raccoglie i testi degli interventi al ciclo seminariale di lezioni su Aspetti della cultura europea alla svolta degli anni Trenta tenutosi a Varese nel 1988. Mojsisch, B. - Pluta, O. Historiae philosophiae Medii evi. Studien zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters. Festschrift für Kurt Flasch zu seinem 60. Geburtstag. Band 1 Gruner, Amsterdam marzo 1992 pp.600, Dfl 300 Saggi in tedesco, inglese, francese, italiano. Moravcsik,J.M. Thought and language Routledge, London, gennaio 1992 pp.304, £ 10.99 Morilhat, Claude Charles Fourier: imaginaire et critique sociale Méridiens-Klincksieck, Paris gennaio 1992 pp.248, FF 139 Questo studio coglie l’insieme del discorso di Fourier senza mascherarne gli aspetti “scandalosi” nel campo dell’economia come ibn quello dei costumi. Morin, Edgar La méthode Seuil, Paris febbraio 1992 pp.243, FF 39 Condizioni, possibilità e limiti della conoscenza umana, concepita nella sua natura al tempo stesso cerebrale, spirituale e culturale. Moritz, Karl Philipp Scritti di estetica Aesthetica Ed., Palermo 1992 pp.224, L. 25.000 Un classico ingiustamente emarginato viene qui riproposto nella prima edizione italiana. Morris, Brian Anthropology and the human subject Berg, Leamington Spa gennaio-febbraio 1992 pp.400, £ 40 Esamina le differenti concezioni del soggetto umano nella tradizione intellettuale occidentale. Attinge alle maggiori discipline intellettuali che hanno contribuito a tale tradizione: sociologia, filosofia, Marxismo, psicoanalisi, sociobiologia ed antropologia. Nachtsheim, Stephan Emil Lasks Grundlehre J.C.B. Mohr, Tübingen marzo 1992 pp.264, DM 128 Lask ha trasformato profondamente l’insegnamento fondamentale neokantiano, fondando una moderna filosofia trascendentale. Il libro apprezza tale revisione e i suoi frutti oggettivi non solo per la filosofia teoretica, ma anche per la “testimonianza esterna” della filosofia nella sua totalità. Nancy, Jean-Luc Le poids d’une pensée PUG: Griffon d’argile, marzo 1992 pp.138, F 68 Dieci testi, scritti tra il 1982 ed il 1991, che possono essere considerati come dei testi letterari, considerando che per J.L.Nancy la qualità della scrittura è in sé portatrice di senso filosofico. L’autore fa parte , insieme a Derrida, Lyotard e Lacoue-Labarthe, dei più originali filosofi francesi contemporanei. Nathan, N.M.L. Will and world: study in metaphysics Oxford university Press gennaio 1992 pp.192, £ 25.00 Nathan, N.M.L. Will and world Clarendon Press, marzo 1992 pp.192, £ 25 Tra i problemi metafisici si trova spesso un conflitto tra ciò che è vero e ciò che si crede o percepisce come tale. L’autore di questo trattato fa delle riflessioni generali su questo conflitto, scorgendo nella risoluzione di esso un importante obiettivo filosofico. Nguyen, Vinh-De Le problème de l’homme chez Jean-Jacques Rousseau. Presses de l’Université du Québec febbraio 1992 pp.253, FF 188 E’ importante riconoscere che l’opera di J.J.Rousseau, moralista, scrittore politico, pensatore religioso e filosofo dell’educazione, è fondamentalmente antropologico. Norris, Chistopher Deconstruction and the interests of theory Penter Publishers, marzo 1992 pp.256, £ 13.99 Una collezione di saggi sulla moderna filosofia analitica, che analizzano anche l’uso della teoria e la maniera in cui alcune propongono una teoria critica letteraria che, per l’autore, propongono risultati indesiderabili. Nüse - Groeben - Freitag - Schreier Über die Erfindung/en des Radikalen Konstruktivismus. Kritische Gegenargumente aus psychologischer Sicht Dt. Studienvlg., Weinheim gennaio-febbraio 1992 pp.360, DM 34 Sulla base dell’affermazione radicale che “il mondo è una nostra invenzione” (H. v. Foerster), gli autori e le autrici dimostrano in che misura secondo le tesi radicali costruttivistiche si tratti di un’”invenzione” che deve essere ritenuta incoerente a livello intellettuale in quanto non sufficientemente fondata. Oatley, Keith Best laid schemes: the psychology of the emotions Cambridge University Press marzo 1992 pp.400 Analizza un insieme di campi appartenenti alla scienza cognitiva -tra cui la psicologia, la filosofia e la linguisticaper mostrare come le emozioni sono centrali per la comprensione dell’agire umano e della vita mentale, e per analizzare funzioni criciali legate a eventi inaspettati e priorità. Olson, Carl The theology and philosophy of Eliade: seeking the centre Macmillan Acad. and Professional febbraio 1992 pp.208, £ 35.00 Questo libro si basa sul lavoro di Mircea Eliade, seguendo le molte facce ed implicazioni dell’erudizione di Eliade come storico delle religioni. Il secondo ed il terzo capitolo analizzano proprio questo aspetto di Eliade, mentre il quarto capitolo esamina gli aspetti teologiic del suo lavoro. Dopo un esame della situazione umana e della sua comprensione di Dio, il libro mette in evidenza che la chiave di interpretazione delle riflessioni teologiche di Eliade risiede nel ruolo della nostalgia. Questo libro analizza anche il contributo al dibattito culturale di Eliade, la sua teoria del mito, dell’ontologia arcaica e il suo concetto di potere. Olsson, Gunnar Lines of power, limits of language University Minnesota Press gennaio 1992 pp.144, £ 16.95 Onfray, Michel Cinismo Rizzoli, Milano marzo 1992 pp.180, L. 32.000 Contro la dilagante mediocrità e volgarità, Onfray recupera il paradosso, l’ironia, l’umorismo degli antichi maestri quali Antistene, Diogene, Cratete e Eraclios. Pazientemente l’autore è andato alla ricerca dei frammenti di questa filosofia cinica per dimostrare che che vi è una decisa antinomia tra sapere e poteri istituzionalizzati; il nuovo cinico potrebbe impedire alle cristallizzazioni sociali e alle virtù collettive trasformate in ideologie, di prendere il sopravvento sulle singolarità. Onfray, Michel Cynismes LGF, Paris marzo 1992 pp.192, FF 31 Una riabilitazione di quei filosofi che, nel IV sec. a.C., si proclamavano cani, portavano barba, bisaccia e bastone, facevano all’amore in pubblico ed erigevano l’ironia a sistema etico: ai molti che facevano ricorso alle idee ed alle teorie più astruse, essi opponevano il gesto e praticavano il gioco di parole. Oosthout, Henri Modes of knowledge and the transcendental. An introduction to Plotinus Gruner, Amsterdam gennaio-febbraio 1992 pp.200, Dfl. 110 Ott, Hugo Martin Heidegger. Unterwegs zu seiner Biographie. Campus-Vlg., Frankfurt/M. marzo 1992 pp.366, DM 26.80 Padgett, Alan God, eternity, and the nature of time Macmillan Acad. and Professional marzo 1992 pp.208, £ 35.00 Un’analisi e discussione della natura del tempo e dell’eternità, che si focalizza sull’essere senza tempo di Dio. Dopo aver considerato due teorie del tempo alla luce della scienza e della filosofia moderna, l’autore conduce un “processo” alla nozione di tempo. Palmer Stephen Human ontology and rationality Avebury, London gennaio 1992 pp.236, £ 32.00 Paquet, Léonce Les Cyniques grecs: fragments et témoignage introd. di Marie-Odile Goulet-Cazé LGF, Paris marzo 1992 pp.448, FF 42 Antistene e Diogeme di Sinope sono i nomi dei padri fondatori del più apertamente sovversivo tra i movimenti intellettuali dell’antichità. Questa raccolta riunisce la totalità dei detti e dei rari scritti dei cinici, su una filosofia in cui l’uomo deve sforzarsi di rendersi libero affrancandosi dai beni materiali e dominando il desiderio. Pattison, George Kierkegaard The aesthetic and the religious. From the magic theatre to the Crucifixion of the image Macmillan Acad., London marzo 1992 pp.304, £ 35 La lettura di Kierkegaard proposta dall’autore inizia con una serie di riflessioni che collocano il suo pensiero e le sue opere nel Romanticismo, nell’idealismo tedesco e nella storia intellettuale danese del primo ‘800. L’autore analizza il ruolo della comunicazione indiretta nelle fonti di Kierkegaard. Pattison, George (a cura di) NOVITA' IN LIBRERIA Kierkegaard on art and comunication Macmillan Acad., London marzo 1992 pp.192, £ 35.00 E’ una collezione di saggi che analizzano il problema dell’estetica e della comunicazione negli scritti di Kierkegaard. Gli autori mettono in evidenza la costante e complessa interazione che esiste tra il medium ed il messagio, l’autore, l’autorità e il lettore, tra il testo ed il trascendente, tra il leggere e la falsa interpretazione presente nei testi di Kierkegard. Pera, Marcello- Shea, William (a cura di) L’arte della persuasione scientifica Guerini, Milano giugno 1992 pp.273, L. 40.000 Raccolta di studi il cui filo conduttore è la convinzione che la conoscenza scientifica non dipenda da una rigida “logica della ricerca”, ma da una più duttile arte della persuasione. Non c’è un “metodo” che, come arbitro imparziale, regoli il confronto tra natura e soggetto, ma uno scambio discorsivo all’interno di una comunità di competenti. Perret, Catherine Walter Benjamin La difference, Paris marzo 1992 FF 138 Questa monografia cerca di riabilitare giustamente W.Benjamin: anzitutto questo scrittore tedesco, morto nel 1940, è uno dei più grandi critici ed esteti del nostro secolo. Peter Sloterdijk Critica della ragion cinica Garzanti, Milano maggio 1992 pp. 432, L. 43.000 “Cinismo” è oggi sinonimo di insensibilità, ma il cinismo degli antichi, o quello che Nietzsche chiamava “cynismus”, aveva ben altro significato: una forma estrema di autodifesa che opponeva alla minaccia dell’insensatezza sociale un nucleo irriducibile di sopravvivenza. La Critica della ragion cinica parte da questa contrapposizione per rileggere l’intera storia della filosofia, sottoponendo ad una serrata analisi il rapporto tra intellettuali e apparati di potere. Peter, Joachim Das transzendentale Prinzip der Urteilskraft. Eine Untersuchung zur Funktion und Struktur der reflektierenden Urteilskraft bei Kant De Gruyter, Berlin marzo 1992 pp.277, DM 118 Analizza l’interpretazione di Kant nella seconda Introduzione alla tesi esposta, dove fonda nella stabilità propria del principio di riflessione la sua funzione trascendentale come condizione di possibilità delle peculiarità empiriche. Philosophie, n.33: Philosophie de l’ésprit Minuit, Paris marzo 1992 pp.92, F 52 Dopo essersi occupati quasi esclusivamente di filosofia del linguaggio, i filosofi analitici hanno rivolto il loro interesse verso la filosofia della percezione. I lavori riuniti qui mostrano, da Helmholtz a Fodor, che le difficoltà epistemologiche ed ontologiche classiche sono ancora presenti nelle teorie contemporanee dello spirito. Piguet, Jean-Claude Widmer, Gabriel (a cura di) Le renversement sémantique Cahiers de la Revue de théologie et philosophie Paris febbraio 1992 pp.182, FF 174 Un teologo ed un filosofo discutono sul tema della conoscenza, sul significato e la parola, sul linguaggio e l’esperienza. Pinchard, Bruno La Fabbrica della mente ou la Raison dédoublée Aubier, Paris marzo 1992 pp.624, FF 195 Studia il doppio dispiegarsi del sapere: il poema razionale della scienza ed il poema fantastico della vita, il cammino del concetto e quello del simbolo, la certezza che la metafisica è possibile. Platone Timée, Critias a cura di Luc Brisson Flammarion, Paris febbraio 1992 pp.448, FF 42 Raggruppa due dialoghi associati da tempo dalla tradizione. Il primo verte sull’origine dell’universo, sull’uomo e la società. Il secondo, sebbene incompiuto, completa il primo narrando della guerra condotta da Atene contro Atlantide: nascita di un mito e sguardo rattristato sulla vita dell’uomo sociale sottomesso all’usura del tempo. Platone Gorgia Loffredo, Napoli ottobre 1991 pp.556, L. 70.000 A cura di Stefania Nonvel Pieri, primo volume della nuova serie della collana “Filosofi antichi”, ora diretta da Enrico Berti e Giovanni Pesce, presso il Centro di studi filosofici di Gallarate. Testo a fronte, ampio commento critico. Plebe, A. - Emanuele, P. I filosofi e il quotidiano Laterza, Bari maggio 1992 pp.218, L. 25.000 Attraverso una ricostruzione del rapporto tra il quotidiano e il pensiero filosofico in tutta la tradizione occidentale, gli autori discutono questa controversa questione, chiedendosi se in un mondo ormai privo di ideologie non si ha necessariamente bisogno della filsofia per poter afforntare le scelte che ogni giorno ci vengono proposte. Polk, James Am Horizont der Zeit. Ontologische Erkenntnis und Transzendenz in der Vernunftkritik Kants Oberhofer, Berlin marzo 1992 pp.238, DM 88 Popper, Karl La lezione del Novecento Marsilio, Venezia maggio 1992 pp.120, L. 12.000 Karl Popper racconta in questo volume, in una distesa conversazione con Giancarlo Bosetti, le ragioni del suo distacco dal comunismo. Preterossi, Geminello I luoghi della politica Guerini, Milano maggio 1992 pp.205, L. 34.000 Qual è il destino della politica negli Stati territoriali sovrani dell’epoca moderna? Come può conciliarsi la libertà individuale con l’esigenza di un ordine stabile ed equo? E’ possibile salvaguardare un nucleo non negoziabile di principi indiscussi, nonostante la crescita degli interessi sociali? Sono le domande a cui Hegel tenta di rispondere, in un’”epoca della Restaurazione” meno monolitica di quanto si creda. Raffel, Stanley Habermas, Lyotard and the concept of justice Macmillan Ac., London marzo 1992 pp.176, £ 35 Utilizza un concetto di giustizia per dimostrare le teorie di Habermas e Lyotard. Respinge l’irrazionalità propria dell’anti- positivismo, senza discutere la validità della critica postmoderna. Rand, Ayn Virtue of selfishness: new concept of egoism New Amer. Lib, gennaio 1992 pp.152, £ 3.99 Rawis, John Die Idee des politischen Liberalimus. Aufsätze 1978-1990 A cura di W. Hinsch Suhrkamp, Frankfurt a.M. gennaio-febbraio 1992 pp.280, DM 48 Il riconoscimento del dato di fatto del Pluralismo è ciò che differenzia l’idea di Rawis del Liberalismo sia dalle concezioni utilitaristiche che dall’insegnamento morale kantiano. Reese- Schäfer, Walter Richard Rorty Campus Vlg., Frankfurt a.M. marzo 1992 pp.140, DM 17,80 Richard Rorty può essere considerato il più importante rappresentate dell’attuale filosofia americana e al contempo il principale interlocutore del dibattito filosofico fra Europa e America. Rehfus, Wulff D. Einführung in das Studium der Philosophie Quelle & Meyer, Stuttgart marzo 1992 pp.312, DM 29.80 Reichert, Thomas Die Beziehung zwischen den Begriffen des Menschen und der Wahrheit bei Martin Buber Haag + Herchen, Frankfurt a.M. gennaio-febbraio 1992 pp.176, DM 28 Può esistere un’etica senza norme di comportamento? Un sapere senza forme aprioristiche di conoscenza? Richir, Marc- Tassin, Etienne (a cura di) Jan Patocka: philosophie, phénoménologie, politique. J.Millon, Paris febbraio 1992 pp.236, FF 115 Gli autori, filosofi, approcciano il pensatore ceco in occasione del Collège international de philosophie del 1991. Richter-Reichenbach, Karin-S. Identität und Asthetisches Handeln. Präventive und rehabilitative Funktionen ästhetischer Prozesse Dt. Studien-Vlg., Weinheim marzo 1992 pp.200, DM 48 Rockmore, Tom On Heidegger’s nazism and philosophy Univ. of California Berkeley marzo 1992 pp.400, $ 54 Rockmore sostiene che il pensiero filosofico di Heidegger ed il suo nazismo, sono interdipendenti ed inseparabili, giacché egli si accostò al Nazional Socialismo su basi filosofiche e questo influì notevolmente sulla sua teorizzazione successiva. Roetz, Heiner Die chinesische Ethik der Achsenzeit. Eine Rekonstruktion unter dem Aspekt des Durchbruchs zum postkonventionellen Denken Suhrkamp, Frankfurt a.M. gennaio-febbraio 1992 pp.380 DM 64 Contrariamente a quanto vuole un’opinione diffusa in Occidente, anche l’antica Cina ha conosciuto un’epoca storica di illuminismo, nel senso di emancipazione dello spirito dalle istituzioni, dalle tradizioni e dalle convenzioni, grazie alla quale dispone di un potenziale autoctono, fissato nei testi, di coscienza critica. Romilly, Jacueline De Great sophists in Periclean Athens traduzione di John Lloyd, Oxford University Press gennaio 1992 pp.288, £ 35.00 Rosas, Alejandro Transzendentaler Idealismus und Widerlegung der Skepsis bei Kant. Untersuchung zur analytischen und metaphysischen Schicht in der “Kritik der reinen Vernunft” Königshausen & Neumann, Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.160, DM 68 Per una migliore interpretazione e una ricostruzione oggettiva della strategia NOVITA' IN LIBRERIA dimostrativa di Kant, questa analisi cerca di portare in luce e di separare l’oggetto dall’indipendenza reciproca dei livelli del significato e dell’argomentazione nella critica della ragion pura. Rose, Gillian The broken middle. Out of our ancient society Blackwel Publishing, Oxford gennaio-febbraio 1992 pp.372, £ 15 L'analisi si snoda attraverso molte discipline: filosofia, teologia, giudaica, diritto, teoria politica e sociale, critica letteraria, femminismo, architettura. Offre una riflessione sulla moderna tradizione filosofica e respinge l’antiteoria del postmodernismo. Rosset, Clément Principes de sagesse et de folie Minuit, Paris febbraio 1992 pp.122, FF 65 A partire da un precetto parmenideo, Rosset propone una riflessione che si estende in tre punti: Sull’esistenza, Sulla follia (l’esistenza spiazzata), Sulla dissolutezza (l’esistenza sdoppiata). In appendice: Il miracolo greco, Lo specchio animale, Lo specchio della morte, Morale e dissolutezza, Le mancanze della parola dissoluta. Rossi, Luciano Negazioni Quattro Venti, Urbino marzo 1992 pp.137, L. 24.000 Raccolta di saggi dedicati alla riflessione sull’aspetto teleologico nell’ambito dell’intervento umano, elemento di mediazione fra il carattere di necessità dei fatti naturali e quello di accidentalità di quelli artificiali. Rovatti, Pier Aldo L’esercizio del silenzio Raffaello Cortina, Milano 1992 pp.134, L. 16.000 Costeggiando una zona filosofica tra Husserl e Heidegger, i saggi contenuti in questo libro tentano di addestrare il lettore a scansare l’effetto di verità che sembra implicito nella parola filosofica e, poi, ad abitare questa stessa parola introducendovi, a propria volta, qualcosa come silenzio. Rudolph, Enno Odyssee des Individuums. Zur Geschichte eines vergessenen Problems Metzler, Stuttgart gennaio-febbraio 1992 pp.200, DM 32 L’autore persegue con un’analisi storico-filosofica l’usurpazione dell’individuo da parte della comunità e pone l’accento sulla resistenza in senso opposto del singolo, che conserva la propria ineffabilità davanti alla generalizzazione teoretica (nel senso del soggetto) e all’estraniamento sociale. Russ, Jacqueline Les méthodes en philosophie Armand Colin, febbraio 1992 pp.192, FF 69 Propone lo studio dei fondamenti filosofici del metodo (sviluppo didattico, analisi, sintesi), delle regole essenziali della retorica ed infine di un insieme di tecniche di analisi dei soggetti, di creazione di piani, di redazione di doveri. Russo, Lucia Pizzo (a cura di) L’educazione estetica Aesthetica Ed., Palermo 1992 pp.84, L. 10.000 Un serrato confronto interdisciplinare su un annoso problema di scottante attualità. Rustenmeyer, Dirk Historische Vernunft, politische Wahrheit Dt. Studien-Vlg., Weinheim gennaio-febbraio 1992 pp.267, DM 68 Rütten, Thomas Demokrit. Lachender Philosoph und sanguinischer Melancholiker. Eine pseudohippokratische Geschichte Brill, Leiden/Köln gennaio-febbraio 1992 Dfl. 125 Saleemi. Anjum P. Universal grammar and language learnability Cambridge University Press marzo 1992 pp.200, £22.50 Salomon, W. - Cartwright, N. - Mischel, T. VanFrassen, B. Spiegare e comprendere. Saggi sulla spiegazione scientifica a cura di Luigi P. Zorzato Spazio Libri, Ferrara gennaio 1992 pp.141, L. 24.000 Una raccolta di quattro saggi che considera il problema della spiegazione scientifica proponendo nuovi orientamenti critici, sviluppando e superando l’impostazione generale data dall’epistemologia neopositivista. Sandrini, Maria Grazia Probabilità e induzione Carnap e la conferma come concetto semantico Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.128, L. 20.000 Il volume si propone innanzitutto di esporre e di chiarire i concetti basilari della fondamentale opera di Carnap Logical Foundations of Probability, situandoli nel più ampio orizzonte semantico nel quale Carnap stesso li ha concepiti. Franco Angeli, Miano maggio 1992 pp.112, L. 24.000 Il tentativo di Couturat di allargare i confini della filosofia sfociò in una valutazione esagerata della nascente logica simbolica e in un impossibile connnubio fra lingua filosofica di Leibniz e il progetto di lingua esperanto. Nacque così l’intelligente progetto di lingua Ido, che aspirava a costituirsi contestualmente come lingua filosofica, logicamente perfetta, e come manifesto della sociologia linguistica. Savater, Fernando Etica per un figlio Laterza, Bari-Roma giugno 1992 pp.117, L. 18.000 La riflessione morale non come branca della filosofia o della pedagogia, né come disciplina specialistica ma, secondo Savater, come «parte essenziale di ogni educazione veramente degna di questo nome». Schad, W. (a cura di) Die menschliche Nervenorganisation und die soziale Frage. Ein anthropologisch-anthroposophisches Gespräch Vlg. Fre. Geistesleben, Stuttgart gennaio-febbraio 1992 pp.340, DM 48 Schaefer, Alfred Der Nihilismus in Hegels Logik. Kommentar und Kritik zu Hegels Wissenschaft der Logik Berlin-Vlg., Berlin marzo 1992 pp.168, DM 25 Schlegel, Friedrich Frammenti di Estetica a cura di Michele Cometa Aesthetica Ed., Palermo 1992 pp.116, L. 15.000 La prima edizione italiana dei fondamenti dell’estetica romantica. Schleiermacher, Friedrich Daniel Estetica a cura di Paolo D’Angelo Aesthetica Ed., Palermo 1992 pp.168, L. 20.000 Schlitt, Michael Umweltethik. Philosophisch-ethische Reflexionen Theologische Grundlagen - Kriterien Schöning, Paderborn gennaio-febbraio 1992 pp.250, DM 48 Schoedinger, Andrew B. (a cura di) Problem of universals Humanties P., U.S., gennaio 1992 pp.488, £ 15.95 Sankaracarya World speaks to the faustian man traduzione di S.R. Gupta Motilal Banarsidass, India gennaio 1992 pp.455, £ 30.00 Schoeller, Donata Gottesgeburt und Selbstbewußtsein. Denken der Einheit bei Meister Eckart und G.W.F.Hegel Bernward, Hildesheim marzo 1992 pp.144, DM 28 Sanzo, Ubaldo L’artificio della lingua Luois Couturat 1868-1914 Schopenhauer, Arthur Le vouloir-vivre; l’art et la sagesse a cura di André Dez. PUF, Paris gennaio 1992 pp.240, FF 56 Questo filosofo, con più di un secolo di anticipo, aveva già posto problemi con i quali noi ora ci confrontiamo: studi sull’energia, sui sentimenti, sulle arti, sulle religioni, dialogo OrienteOccidente. Schopenhauer, Arthur Fondement de la morale a cura di Alain Roger. LGF, Paris gennaio 1992 pp.256, FF 30 Una formidabile riflessione sulla morale vent’anni dopo Il mondo come volontà e rappresentazione. Schultz, B. (a cura di) Essays on Henry Sidgwick Cambridge University Press Cambridge marzo 1992 pp.352, £ 37.50 In questo libro un eminente gruppo di filosofi rivaluta l’intero lavoro di Sidgwick, non solo la sua teoria etica, ma anche i suoi contributi come storico della filosofia, teorico politico e riformatore. Secretan, Philibert Erkenntnis und Aufstieg: Einführung in die Philosophie von Edith Stein Tyrolia-Vlg, Innsbruck marzo 1992 pp.152, DM 34 Seiffert, Helmut Einführung in die Wissenschaftstheorie. C.H.Beck, München marzo 1992 pp.240, DM 19.80 Semerari, Fulvio Potenza come diritto: Hobbes, Locke, Pascal Edizioni Dedalo, Bari aprile 1992 pp.278, L. 30.000 Questo volume esamina l’aspetto della controversia etico-politica del Seicento che si delinea nel pensiero di Hobbes, Locke e Pascal, considerando il problema della fondazione del diritto e della giustizia, mettendo in rilievo le divergenze teoriche tra Hobbes e Locke da una parte e Pascal dall’altra. Sena, Michelantonio La filosofia di F. De Sanctis Nuove edizioni Tempi Moderni Napoli febbraio 1992 pp.103, L. 13. 000 Sul presupposto del carattere filosofico dell’arte, dove la filosofia è caratterizzata dal suo collocarsi nella dimensione etica, il saggio individua in semplicità e laicità i caratteri della filosofia della Storia della letteratura italiana. Seneca Lettres à Lucilius ed. di Marie-Ange Jourdan. Flammarion, Paris febbraio 1992 pp.192, FF 42 Le prime ventinove lettere qui tradotte integralmente, esortano alla pratica della filosofia e si spiegano attorno ad alcuni temi stoici: l’assenza di paura dinanzi alla morte, l’invulnerabilità del saggio difronte alla fortuna, la for- NOVITA' IN LIBRERIA za d’animo, la necessità di liberarsi dalle passioni. Seneca Consolations a cura di Colette Lezam Rivages, Paris febbraio 1992 pp.146, FF 45 Accusato di congiura ai danni dell’imperatore Claudio, il filosofo viene esiliato in Corsica nel 41. Durante questo esilio che durerà otto anni, seneca invia alla madre Helvia queste Consolazioni, nelle quali conduce una riflessione generale sull’esilio e sulle condizioni di una felicità vera. Senofonte Anabasi trad. it. di Andrea Barabino Garzanti, Milano marzo 1992 pp.560, L. 22.000 Serres, Michel Le contrat naturel Flammarion, Paris febbraio 1992 pp.192, FF 37 Una meditazione sui nuovi doveri che ormai abbiamo verso il mondo che abitiamo e che abbiamo così a lungo ignorato, preoccupati dei nostri lutti, delle nostre guerre, del nostro progresso. Un saggio che vuole essere anche un grido di aiuto. Serres, Michel; Latour, Bruno Eclaircissement: entretiens avec Bruno Latour. F.Bourin, Paris febbraio 1992 pp.322, FF 110 Con l’aiuto di B.Latour e sotto forma di intervista, Michel Serres ripercorre la sua formazione, il suo passaggio dalle scienze alla filosofia, spiega il suo metodo e colloca il suo pensiero nella riflessione contemporanea. Sher, Gila (a cura di) The bounds of logic: a generalized viewpoint Bradford Book, London febbraio 1992 pp.160, £ 24.75 Sherry, Patrick Spirit and beauty: an incorporation to theological aesthetics Clarendon Press, London marzo 1992 pp.208, £ 25.00 Nella stiria della teologia cristiana, la bellezza, sia in natura che in arte, é stata spesso associata con lo Spirito Santo. Questo libro esamina la connessione tra questi due concetti e la relazione con l’ispirazione, la gloria di Dio e la bellezza divina. Skinner, Quentin - Tuck, Richard Thomas, William - Singer, Peter Great political thinkers: Machiavelli, Hobbes, Mill and Marx Oxford Paperbacks, marzo 1992 pp.480, £ 8.99 Questo volume contiene studi su quettro dei teorici politici più influenti della tradizione occidentale: Machiavelli il cui nome é ora sinonimo di dupplicità, Hobbes uno dei più grandi filosofi politici inglesi, Mill difensore della libertà individuale, Marx la cui eredità ha toccato milioni di persone. Smith, W.H. Newton - Jiang, Tianji ( a cura di) Popper in China Routledge, London, gennaio 1992 pp.176, £ 30.00 Snare, Francis The nature of moral thinking Routledge, London, marzo 1992 pp.176, £ 8.99 Un libro introduttorio al problema dell’etica. Snare fornisce una base storica e filosofica per valutare i problemi centrali dell’etica. Sokolowski, Robert Pictures, quotations, and distinctions: fourteen essays in phenomenology University of Notre Dame Press marzo 1992 pp.320, £ 25.95 Una antologia dei saggi di Sokolowski, un pensatore interessato a problemi di analisi concettuale. I saggi rilevano il proggetto di analisi fenomenologica critica di molte differenti forme di presentazione che di esperienza umana. Spinnici, Paolo Il significato e la forma linguistica. Pensiero, esperienza e linguaggio nella filosofia di Anton Marty Franco Angeli, Milano maggio 1992 pp.344, L. 35.000 Che rapporto c’è tra linguaggio e pensiero? Qual’è la funzione specifica del linguaggio? In che misura la dimensione pragmatico-comunicativa determina universalmente la forma linguistica? A tutte queste domande Anton Marty dà una risposta approfondita ed originale. Spinoza, Baruch Traité de la réforme de l’entendement Ed. Bernard Rousset Vrin, Paris febbraio 1992 pp.479, FF 250 La filosofia di Spinoza non è più disprezzata, non resta che comprenderla nel suo movimento che genera il sistema del vero per portarci alla liberazione di noi stessi. Standish, Paul Beyond the self: Wittgenstein, Heidegger and the limits of language Avebury, London gennaio 1992 pp.283, £ 32,50 Stoecker, Ralf Was sind Ereignisse? Eine Studie zur analytischen Ontologie De Gruyter, Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.253, DM 134 Strauss, Leo Qu’est-ce que la philosophie politique ? PUF, Paris marzo 1992 pp.304, FF 198 L’autore tratta della definizione di filosofia politica e della sua storia, sot- tolineando la necessità di appoggiarsi seriamente sui pensatori classici. La filosofia qui esposta si occupa di ciò che è più elevato nell’uomo. Taubes, Jacob Abendländische Eschatologie. Mit einem Anhang Matthes & Seitz, München gennaio-febbraio 1992 pp.250, DM 46 L’unico libro di Jacob Taubes, geniale erudito ebreo, sulle tracce dell’attesa della fine del mondo. Un uomo che per qualcuno è diventato un mito. Taureck, Bernhard H.F. Lévinas zur Einführung Junius, Stuttgart gennaio-febbraio 1992 pp.150, DM 17,80 Lévinas, filosofo di lingua francese indubbiamente difficile, ma per alcuni problemi colui che ha più da dire ai giorni nostri, attinge principalmente a due fonti: la tradizione giudaica e la fenomenologia di Husserl. Taureck, Bernhard H.F. Ethikkrise - Krisenethik. Analysen, Texte, Modelle Rowohlt, Reinbeck marzo 1992 DM 24.80 Tepe, Peter Postmoderne, Poststrukturalismus Passagen-Vlg., Wien marzo 1992 pp.336, DM 78 Thomas H. (A cura di) Naturherrschaft. Wie Mensch und Welt sich in der Wissenschaft begegnen Busse Seewald, Herford marzo 1992 pp.336, DM 28 Il libro documenta un dialogo fra scienziati naturali e filosofi sul rapporto fra comprensione del mondo e realtà del mondo, organizzato dal Kölner Lindenthal-Institut. Quale prospettiva sulla struttura del mondo possono fornirci gli scienziati naturali? E soprattutto quali rapporti dell’uomo con l’ambiente e con se stesso sono auspicabili? Thomessen, Niels Communicative ethics in theory and practice Macmillan Acad., London marzo 1992 pp.240, £ 40.00 Questo testo sull’etica comunicativa, pubblicato in Danimarca per la prima volta nel 1985, rappresenta un’alternativa all’etica teleologica e deontologica e conduce la filosofia danese nel dibattito anglo-americano. Un disegno di comunicazione interpersonale é il prodotto di un’analisi di conflitti. Többicke, Christian Negative Dialektik und Kritische Ontologie. Eine Untersuchung zu Theodor W. Adorno Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1992 pp.158, DM 34 Il libro rischiara il fondamento teoretico della filosofia di Adorno, ricavando l’elemento ontologico e metodologi- co, e cioè la novità del pensiero di Adorno. Tommaso D’Aquino Questions disputées du De veritate: Raison supérieure et raison inférieure, De la syndérèse, De la conscience ed. e trad. di Jean Tonneau Vrin, Paris gennaio 1992 pp.255, FF 198 Tre “questioni” che giocano un ruolo essenziale nell’elaborazione dell’antropologia morale di S.Tommaso. Tommaso D’Aquino L’etre et l’essence Ed.e trad. diCatherine Capelle Vrin, Paris febbraio 1992 pp.94, FF 36 Prima di dedicarsi al problema dell’esistenza di Dio, San Tommaso definisce i termini stessi di esistenza ed essere. Tönnies, Sybille Der Dimorphismus der Wahrheit. Universalismus und Relativismus in der Rechtsphilosophie Westdt. Vlg., Wiesbaden marzo 1992 pp.340, DM 56 La vecchia polemica fra universalismo e relativismo viene oggi risolta dalla teoria del sistema a favore del relativismo. Le due opposte posizioni non si escludono a vicenda, ma possono essere considerate complementari, il che significa una vittoria dell’universalismo e un grosso obiettivo. Trigano, Shmuel Philosophie de la lois: l’origine de la politique dans la Tora Cerf, Paris marzo 1992 Venturi Ferriolo, Massimo Giardino e filosofia Guerini, Milano marzo 1992 pp.218, L. 32.000 Il giardino come suggestiva metafora della vita e, in quanto tale, immagine etica, che investe direttamente il comportamento dell’uomo e le regole essenziali cui è tenuto. A partire da Omero e dal Socrate del Fedro, Venturi Ferriolo ricostruisce la fenomenologia pensiero-giardino-paesaggio nella riflessione filosofica in Occidente: un vario configurarsi di rapporti che trova i momenti più significativi nella teorizzazione del sentimento per la natura nel Settecento francese e inglese, nelle riflessioni rousseauiane sul paesaggio e, infine, in Goethe e nei Romantici. Wackernagel, Wolfgang Ymagine denudari: éthique de l’image et métaphysique de abstraction chez Maitre Eckhart Vrin, Paris gennaio 1992 pp.224, FF 150 Tre parti: la prima è consacrata all’etica dell’ “Entbildung”, la seconda alle nozioni di analogia, immagine e astrazione, e la terza al “ritorno delle immagini”. Wahsner, Renate Prämissen physikalischer Erfahrung Zur Helmholtzschen Kritik NOVITA' IN LIBRERIA des Raum-Apriorismus und zur Newton-Marxschen Kritik des antiken Atomismus Vlg. f. Wiss. und Bildung, Berlin gennaio-febbraio 1992 pp.112, DM 24.80 Wallace, William A. Galileo, The Jesuits and the medieval Aristotle Variorne, Aldershot marzo 1992 pp.350, £ 45 La convenzionale opposizione tra l’aristotelismo scolastico e le scienze umanistiche è stata via via rimessa in questione negli ultimi anni. Questi articoli cercano di dimostrare l’importanza dell’aristotelismo nei fondamenti delle scoperte scientifiche di Galileo. Walls, Jerry L. Hell: the logic of damnation University of Notre Dame Press marzo 1992 pp.224, £ 21.50 Analizzando il problema dal punto di vista della teologia filosofica, l’autore esplora la dottrina dell’inferno in relazione sia alla natura divina che alla natura umana. Walther, M. (a cura di) Spinoza und der deutsche Idealismus Königshausen und Neumann, Würzburg gennaio-febbraio 1992 pp.204, DM 48 Watier, Pierre Georg Simmel et les sciences humaines: actes du colloque de Strasbourg (14-15 septembre 1988) Méridiens-Klincksieck febbraio 1992 pp.256, FF 100 Dallo studio delle metropoli all’arte di Rodin, differenti aspetti di questo filosofo e sociologo sono affrontati, passando dalla filosofia della vita e del denaro, alla decomposizione della personalità e alla sociologia del quotidiano. Weidmann, Heiner Flanerie, Sammlung, Spiel. Die Erinnerung des 19. Jahrhunderts bei walter Benjamin Fink, München marzo 1992 pp.176, DM 48 Weil, Simone La pesanteur et la grace Presses pocket, Paris gennaio 1992 pp.209. FF 32 Concepito come una successione di riflessioni su temi vari, ma la cui coerenza é stupefacente, questo libro costituisce un’iniziazione all’opera di S.Weil. Wenzel, Uwe J. Anthroponomie. Kants Archäologie der Autonomie Akademie-Vlg., Berlin marzo 1992 pp.326, DM 142 Werner, Rudolf Auf der Suche nach dem verlorenen Sinn. Die Dialektik der Aufklärung im System der Kritischen Theorie und ihr Verhältnis zur philosopischen Tradition Schelzky und Jeep, Berlin marzo 1992 pp.180, DM 39.80 White, Michael J. The continuos and the discrete Clarendon Press, marzo 1992 pp.368, £ 40.00 Un’analisi dei tre vecchi modelli di grandezza spaziale,tempo e moto locale. Il modello aristotelico é presentato come un’applicazione dell’antica concezione dell’estensione al mondo fisico. Gli altri due modelli sono un modello “quantistico” della grandezza spaziale ed un modello stoico. Wokart, Norbert Antagonismus der Freiheit. Wider die Verharmlosung eines Begriffs J.B. Metzler, Stuttgart marzo 1992 pp.160, DM 32 La libertà non deve affatto essere pensata come una qualità, ma come motivo sostanziale dell’uomo. Ciò per la prima volta compare nella filosofia del Rinascimento, ma viene veramente compreso solo nell’idealismo tedesco. Quando la libertà dunque costituisce la sostanza dell’uomo, costui non ne patirà mai la mancanza. Wolff, Francis Aristote et la politique PUF, febbraio 1992 pp.128, F 38 Un’analisi dei libri chiave della filosofia politica aristotelica, per rivelarne a tutti l’intenzione singolare ed il senso universale. Wright, John Science and the theory of rationality Avebury, Aldershot gennaio-febbraio 1992 pp.100, £ 25 L’opinione largamente diffusa che le teorie scientifiche debbano essere semplici, induttive ed empiriche, mentre le altre teorie debbano essere accurate ed esplicative. Questi requisiti in realtà possono essere ridotti ad uno solo: l’indipendenza della teoria dai dati. Wurtz, Jean-Paul (a cura di) Ernst Barthel: philosophe alsacien 1890-1953 Presses Univers. de Strasbourg febbraio 1992 pp.91, FF 60 Raccoglie studi pubblicati in occasione del centenario della nascita di questo pensatore alsaziano, conosciuto per il suo anticonformismo. Young, Julian Nietzsches philosophy of art Cambridge University Press marzo 1992 pp.192 L’autore afferma che il pensiero di Nietzsche sull’arte può essere compreso solo nel contesto dell sua filosofia. In particolare si discute nell’estetica nietzscheana il tema della morte di Dio, dell’aterno ritorno e dell’idea dell’Ubermensch. Yourgrau, Palle The disappearance of time: an essay on the philosophy of Kurt Goedel Cambridge University Press gennaio 1992 pp.192, £ 27.50 Questo é un libro sulla filosofia del tempo, ed in particolare la filosofia del logico Kurt Goedel (1906-1978). Si valuta il tentativo di Goedel di mostrare che Einstein non ha spiegato in maniera appropriata il concetto di tempo. Diversamente da studi recenti più tecnici, il problema analizzato é la realtà del tempo. Il libro analizza la