AIDP Associazione Italiana per la Direzione del Personale Gruppo Lazio LA GIURISPRUDENZA DEL LAVORO 2013 Lunedì 24 MARZO 2014 14.30 – 18.00 FEDERMANAGER Via Ravenna, 14 ROMA RELATORI AVV. MAURIZIO MANICASTRI VICE PRESIDENTE AIDP/LAZIO PROF. AVV. MARCO MARAZZA ORDINARIO DI DIRITTO DEL LAVORO UNIVERSITA’ DI ROMA UNIVERSITAS MERCATORUM DOTT. PAOLO MORMILE GIUDICE DEL TRIBUNALE DI ROMA **** HA COLLABORATO ALLA REDAZIONE DELLA RASSEGNA AVV. FRANCESCO GIGANTE STUDIO LEGALE MARAZZA & ASSOCIATI _______________________________________________________________________________ STUDIO LEGALE MARAZZA & ASSOCIATI ROMA – MILANO – FIRENZE VIA DELLE TRE MADONNE, 8 00197 – ROMA 06/8073201 r.a. – 06/8088208 fax 1 SOMMARIO 1. Il nuovo rito abbreviato 2. L’articolo 18 Stat. Lav. 3. Il contratto collettivo nazionale di lavoro 4. Il lavoro subordinato e il lavoro autonomo 5. Costituzione del rapporto di lavoro: collocamento obbligatorio e patto di prova 6. I contratti a contenuto formativo 7. Il contratto di lavoro a termine 8. Il contratto di lavoro part-time 9. Il contratto a progetto 10. Il lavoro nei rapporti associativi 11. La somministrazione di lavoro 12. L’orario di lavoro 13. La retribuzione 14. Inquadramento e mansioni del lavoratore 15. Potere direttivo e modificazione del luogo di lavoro 16. Salute e sicurezza sul lavoro 17. Malattia 18. L’appalto 19. Trasferimento d’azienda e diritti del lavoratore 20. Il potere disciplinare del datore di lavoro 21. I licenziamenti individuali a) Licenziamento per giusta causa b) Licenziamento per giustificato motivo 22. I licenziamenti collettivi 23. Le dimissioni del lavoratore 24. L’attività sindacale 25. Il rapporto previdenziale 26. Rinunzie e transazioni 2 1. IL NUOVO RITO ABBREVIATO App. Milano Sez. Lav., 13-12-2013, n. 1577 Nel rito Fornero, la sentenza emessa nell’ambito del procedimento ex art. 1, comma 51, L. 92/2012 è nulla ai sensi dell’art. 158 e 161 c.p.c. se emessa dallo stesso giudice che ha giudicato nella prima fase conclusasi con ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49, L. Fornero. In particolare, osserva la Corte, all’interno della disciplina di cui alla L. 92/2012 non sono rinvenibili criteri utili per stabilire se la coincidenza nella persona fisica del giudice chiamato a definire ciascuna delle fasi in cui il procedimento de quo si articola, costituisca un’ipotesi riconducibile all’art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. (sull’obbligo di astensione del giudice). Il procedimento Fornero, che costituisce un ordinario giudizio di cognizione articolato in una fase a cognizione sommaria non cautelare, priva di preclusioni o decadenze, destinata a concludersi con un’ordinanza (di accoglimento o di rigetto) immediatamente esecutiva, munita di efficacia non suscettibile di sospensione o revoca sino alla definizione con sentenza dell’eventuale successivo giudizio di opposizione; ed un giudizio a cognizione piena di opposizione eventuale, esperibile contro l’ordinanza innanzi al medesimo ufficio giudiziario in funzione di giudice del lavoro, più informale rispetto al rito ordinario del lavoro, ma caratterizzato comunque dalle medesime decadenze e preclusioni della fase introduttiva, destinato a concludersi con sentenza esecutiva, a propria volta reclamabile innanzi alla Corte d’appello. Il procedimento in esame è assimilabile a quello previsto dall’art. 28, L. 300/70 (sulla repressione della condotta antisindacale) in quanto l’ordinanza che chiude la prima fase del procedimento è immediatamente esecutiva ed è destinata a realizzare un assetto dei rapporti tra le parti suscettibile, in caso di mancata opposizione, di assumere valore di giudicato tra le parti. L’alterità del giudice non può avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, ma deve ricomprendere anche la fase che, in un processo civile, si succede con autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata da una pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorchè avanti allo stesso organo giudiziario. Trib. Roma Sez. lavoro, 09-12-2013 Le domande ex art. 18 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) proposte nel giudizio soggetto al rito introdotto dall'art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012, non possono essere trattate con il rito ordinario, atteso che le disposizioni contenute nell'art. 1 citato non consentono alcuna deroga, né in ragione delle indicazioni formali contenute nell'intestazione del ricorso, né in ragione della complessità delle eventuali questioni pregiudiziali rispetto alla pronuncia di merito sulle domande ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma anzi prevedono che con il medesimo rito, e dunque nello stesso processo, possano essere risolte le questioni sulla qualificazione del rapporto (a prescindere, dunque, dalla loro complessità). 3 Cass. civ. Sez. lavoro, 07-05-2013, n. 10550 L'art. 1, comma 42, della legge 28 giugno 2012, n. 92, nel novellare il testo dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, non trova applicazione alle fattispecie di licenziamento oggetto dei giudizi pendenti innanzi alla Corte di cassazione alla data della sua entrata in vigore, giacché introduce una disciplina che àncora le sanzioni irrogabili per effetto dell'accertata illegittimità del recesso a valutazioni di fatto per un verso incompatibili con la natura del giudizio di legittimità, per altro verso non in linea - ove richieste nell'ambito di un nuovo giudizio di merito a seguito di rinvio - con il principio della durata ragionevole del processo, sancito, oltre che dall'art. 111 della Costituzione, dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Certo non è vietato che un lavoratore che abbia raggiunto i requisiti pensionistici entro il 31.12.2011 possa scegliere di proseguire l’attività lavorativa, ma l’effettiva operatività di tale scelta è subordinata all’esistenza di una concorde e durevole volontà di parte datoriale che, se di diverso avviso, può legittimamente intimare un licenziamento ad nutum. Trib. Roma Sez. lavoro Ordinanza, 21-02-2013 Rilevato che la determinazione del rito utilizzabile è diretta conseguenza della prospettazione della domanda, ove questa abbia ad oggetto l'accertamento dell'illegittimità di un contratto di somministrazione e del termine ad esso apposto e l'attuale esistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'utilizzatore, deve escludersi che la controversia abbia ad oggetto l'impugnativa di un licenziamento regolato dall'art. 18, legge 20 maggio 1970, n. 300(Statuto dei lavoratori), e che possa, quindi, essere utilizzato lo speciale procedimento di cui all'art. 1, comma 47 ss. l. n. 92 del 2012, con conseguente necessità di disporre il mutamento del rito in quello ordinario previsto per le controversie di lavoro. Trib. Milano, 15-02-2013 In assenza di specifica disciplina sul punto, non risulta possibile, nemmeno nella fase di cui al comma 49 dell'art. 1, legge n. 92 del 2012, convertire il rito (instaurato ex comma 48 art. 1 cit.) nelle forme di cui all'art. 413 c.p.c. e ss., tale conversione è ancor più da escludersi che possa avvenire nella fase di opposizione, introdotta proprio sul presupposto che la domanda ex art. 18, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) sia fondata e debba essere azionata nelle forme processuali previste dalla legge n. 92/2012 e non con ricorso ex art. 414 c.p.c., la cui proposizione non era certo preclusa dalla dichiarazione, per ragioni di mero rito, di inammissibilità/ improponibilità adottata dal Tribunale con l'ordinanza ex art. 1, comma 49, legge n. 92 del 2012. Trib. Reggio Calabria, 06-02-2013 4 A fronte di un ricorso che abbia i requisiti di cui all'art. 125 c.p.c., atteso che spetta al giudice di qualificare la domanda e per il principio di conservazione degli atti processuali, resta irrilevante l'omessa indicazione della legge n. 92/2010 nell'atto introduttivo, dovendosi avere riguardo alla domanda ed applicare il rito di cui alla legge n. 92/2012 tutte le volte in cui la controversia abbia ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'art. 18, legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), in quanto deve escludersi la "facoltatività" del rito. Trib. Palermo, 15-01-2013 Laddove sia proposta la domanda con il c.d. Rito Fornero ma l'oggetto del contendere non sia in via immediata "l'impugnativa di licenziamento nell'ipotesi regolate dall'art. 18 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori)" come previsto dall'art. 1, comma 47, legge n. 92 del 2012, il Giudice dispone il mutamento del rito assegnando alle parti dei termini per l'integrazione dei rispettivi atti. Trib. Roma Sez. lavoro Ordinanza, 14-01-2013 La comunicazione datoriale di scadenza del contratto di apprendistato per mancato raggiungimento della qualifica non può qualificarsi come licenziamento, trovando applicazione i principi in materia di disdetta da un contratto a termine; ne consegue l'inapplicabilità del rito speciale di cui all'art. 1, commi 47 ss. legge n. 92 del 2012 e, in mancanza di una specifica disposizione, l'applicazione del principio generale, desumibile dall'art. 702-ter c.p.c., che impone, in caso di errore nella scelta del rito, di dichiarare la inammissibilità della domanda. Trib. Genova Ordinanza, 09-01-2013 Il rito c.d. Fornero è obbligatorio per entrambe le parti e deve trovare applicazione per tutte le controversie nelle quali si discuta della legittimità di un licenziamento venga richiesta o meno l'applicazione dell'art. 18, legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), come modificato: il rito non è infatti funzionale alla reintegrazione, ma alla certezza dei rapporti cui deve pervenirsi per mezzo della celerità del rito. * * 2. L’ARTICOLO 18 STAT. LAV. Trib. di Roma, ordinanza, 24 – 02 - 2014 5 * L'art. 24, quarto comma, della legge n. 214 del 2011 si limita a disporre che "Il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato (...) fino all'età di settantenni”. Sotto un profilo strettamente letterale e di tecnica redazionale normativa, la presenza nella proposizione in oggetto del verbo essere unito al participio passato del verbo incentivare indica l'intenzione del legislatore di ritenere dispositiva e immediatamente cogente la previsione relativa. Sotto un profilo logico e di connessione tra il significato dei termini utilizzati, non pare che "l'incentivo" previsto - inteso nel suo significato di "spinta, sprone" - fermi restando "i coefficienti di trasformazione" e il mantenimento delle tutele ex art. 18 1. n. 300 del 1970 "fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità", legato all'utilizzo del termine "proseguimento" che indica la semplice "continuazione" del rapporto, possa essere considerato come un mero invito o essere sottoposto ad un accordo tra le parti. Del resto, la precisazione in tema di garanzia di stabilità del rapporto, in caso di prosecuzione, esclude che il datore di lavoro possa opporsi alla richiesta del lavoratore. Sotto il profilo teleologico, appare chiara la ratio espressa dalla norma e volta ad incentivare il lavoratore alla continuazione dell'attività lavorativa anche alla luce degli intenti espressamente nel comma 1, lett. b) dell'art. 24 in esame ove espressamente si fa riferimento, tra l'altro, al principio della "flessibilità" nell'accesso ai trattamenti pensionistici "anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa". Tanto chiarito, la norma in esame stabilisce un consequenziale diritto, di fonte legale, alla continuazione del rapporto lavorativo sino al compimento dei 70 anni di età, pur se il lavoratore abbia raggiunto la massima anzianità contributiva prevista dal proprio ordinamento di categoria. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-11-2013, n. 26519 La risoluzione del rapporto di lavoro prevista dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970) nell'ipotesi in cui il lavoratore, illegittimamente licenziato, non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dal ricevimento del corrispondente invito del datore di lavoro, richiede l'accertamento, riservato al giudice del merito, della sufficiente specificità dell'invito predetto. Ed infatti, non è sufficiente la manifestazione di una generica disponibilità del datore di lavoro a dare esecuzione al provvedimento di reintegrazione. Trib. di Roma, Sez. lavoro, 5-11-2013 Il tenore letterale della art. 24, comma 4, della legge n. 214/2011 non giustifica l’esistenza di un diritto potestativo in favore del lavoratore che sarebbe libero di scegliere se rimanere fino all’età di 70 anni o meno, diritto di fronte al quale sussisterebbe soltanto un obbligo del datore di lavoro di acconsentire alla prosecuzione del rapporto fino all’età richiesta dal lavoratore. L’utilizzazione del termine “incentivato”, in assenza di altre indicazioni che consentano di affermare sia il diritto del lavoratore che la disciplina dell’esercizio di tale diritto, porta ad affermare che la disposizione abbia un valore prettamente programmatico: ciò significa che l’art. 24, comma 4, è, in sostanza, un invito alle parti finalizzato ad una eventuale prosecuzione fino al limite massimo dei 70 anni, in coerenza 6 con l’impianto complessivo della riforma del sistema pensionistico che porta all’innalzamento dell’età pensionabile. La norma, non prevede alcun diritto potestativo ma incentiva la permanenza in servizio con coefficienti di trasformazione favorevoli e attraverso la tutela dell’art. 18 della legge n. 300/1970 che va a sostituire la disposizione attraverso la quale per i lavoratori che raggiungevano l’età pensionabile esisteva soltanto il recesso “ad nutum”. Tuttavia, la possibilità di rimanere in servizio dopo il compimento dei 66 anni e 3 mesi e fino ai 70 anni con la fruizione degli incentivi previsti dalla legge, è subordinata, in assenza di un diritto potestativo, al consenso di entrambe le parti, cosa che nella fattispecie considerata non si è verificata. App. Torino Sez. Lav., 24-10-2013 Il co. 3, primo periodo e il co. 14 dell’art. 24 DL 201/2011 non consentono per nulla di estendere ai lavoratori che abbiano maturato i requisiti per il diritto a pensione entro il 31.12.2011 secondo la vecchia normativa nuove disposizioni attinenti profili diversi da requisiti e decorrenze quando tali disposizioni (come quelle sull’incentivazione al proseguimento dell’attività lavorativa e sulla stabilità reale del posto di lavoro fino al settantesimo anno di età) si riferiscano, come si è sopra evidenziato, espressamente ed esclusivamente ai lavoratori che conseguono il diritto a pensione dopo il 31.12.2011 secondo la nuova normativa. Trib. Varese Ordinanza, 04-09-2013 In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro, l'inadempimento datoriale dell'obbligo di repêchage non integra la manifesta insussistenza del fatto, ai fini della tutela reintegratoria, determinando, invece, l'insorgenza del diritto alla tutela indennitaria prevista dal 5 comma dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, L. n. 300/1970. Trib. Modena, 26-06-2013 La violazione dei criteri di scelta previsti dall'art. 5, legge n. 223 del 1991 per i licenziamenti collettivi, ed estensibili ai licenziamenti individuali in applicazione delle regole di buona fede e correttezza, non determina la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento. La tutela applicabile in questi casi è quella di tipo indennitario prevista dal comma 5 dell'art. 18, legge 20 maggio, n. 300 (Statuto dei Lavoratori). App. L'Aquila Sez. lavoro, 10-05-2013 7 In caso di licenziamento, è sufficiente che il lavoratore chieda l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), non avendo anche l'onere di provare il requisito dimensionale dell'impresa in cui è inserito. Ed infatti, tale onere, per il principio di vicinanza della prova, incombe al datore di lavoro. App. L'Aquila Sez. lavoro, 26-04-2013 In assenza di una norma derogatoria, gli sportivi professionisti vanno inclusi nel novero dei dipendenti della società ai fini della tutela reale ex art. 18, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori). Cass. civ. Sez. lavoro, 15-04-2013, n. 9073 La predeterminazione del danno in favore del lavoratore, nel regime di tutela reale ex art. 18, della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) non esclude che esso possa richiedere il risarcimento del pregiudizio ulteriore derivatogli dal ritardo della reintegra. In tale contesto, invero, è lo stesso comportamento della parte datoriale, la quale non ottempera con immediatezza all'ordine di reintegrazione del prestatore, che la espone ad ulteriori conseguenze sul piano risarcitorio, facilmente evitabili con un pronto adempimento del provvedimento di reintegrazione. In circostanze siffatte, pertanto, non ha luogo una duplicazione del risarcimento già effettuato in favore del lavoratore attraverso la corresponsione delle retribuzioni dovute, in quanto l'ulteriore danno, il quale può essere liquidato equitativamente dal Giudice con onere della prova a carico del prestatore, è strettamente collegato alla condotta omissiva solo eventuale della parte datoriale. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 02-04-2013 L'art. 18 St. lav. nel testo novellato dalla legge n. 92/2012 trova applicazione anche in caso di controversie riguardanti rapporti di pubblico impiego, perché l'art. 51, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 contiene un rinvio mobile all'art. 18, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), e successive modificazioni ed integrazione, sicché ogni novella della norma statutaria si rende applicabile al pubblico impiego in forza del richiamato rinvio. Trib. Ravenna Sez. lavoro, 18-03-2013 Il fatto contestato, la cui insussistenza comporta l'applicazione dell'art. 18, comma 4, legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), va inteso con riferimento non solo alla sua componente oggettiva (fatto materiale) ma anche a quella soggettiva (fatto giuridico) comprensiva 8 della valutazione in ordine al dolo o alla colpa del lavoratore e alla proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione. Ai fini della tutela reale o indennitaria nel licenziamento disciplinare il giudice non può guardare soltanto al mero fatto ipotizzato o contestato dal datore; ma deve guardare allo stesso fatto in relazione alla nozione di giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Il giudizio di proporzionalità tra infrazione e sanzione ai sensi dell'art. 2106 c.c. mantiene il suo valore essenziale nella scelta della tutela da applicare anche quando il fatto tipico sussiste ma non sia grave in assenza di una tipizzazione da parte dei contratti collettivi e del codice disciplinare. Trib. Pescara Sez. lavoro, 28-02-2013 La constatazione che la provvisoria esecutività, riconosciuta dall'art. 431, c. 1, c.p.c., si riferisca alle sole sentenze di condanna al pagamento e non anche alle sentenze aventi natura dichiarativa o costitutiva, riceve ulteriore conforto dalla circostanza che neanche l'inadempimento alla statuizione di condanna ad un'obbligazione in forma specifica ex art. 18, L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), ossia l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, non sia coercibile, ma esclusivamente sanzionabile con un risarcimento dei danni. Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 28-01-2014, n. 1725 In caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo a norma dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori(legge n. 300 del 1970), commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione. Ciò perché il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, con la conseguenza che le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-01-2013, n. 41 Il danno da risarcire in caso di licenziamento illegittimo e di esercizio del diritto di opzione deve essere commisurato alle retribuzioni che sarebbero maturate fino al giorno del pagamento dell’indennità sostitutiva e non fino alla data in cui il lavoratore ha operato la scelta. Ciò perché il sistema delineato dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) si fonda sul principio di effettiva realizzazione dell’interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi derivanti dal licenziamento illegittimo. Sussiste, pertanto, il principio di effettività dei rimedi giurisdizionali che, espressione dell’art. 24 Cost., mira a fare in modo che il risarcimento del danno patito dal lavoratore per ritardato percepimento dell’indennità sostitutiva possa ridurre il più possibile il pregiudizio da questi subito e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempiere l’obbligo indennitario. 9 * * * 3. Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Cass. civ. Sez. lavoro, 28-10-2013, n. 24268 Il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, purché sia esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto e non vengano lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in via definitiva nel loro patrimonio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto violati tali criteri nel caso di soppressione della fornitura di gas a tariffa ridotta per i dipendenti, anche in pensione, di una società di gestione del relativo servizio, che avevano optato per tale beneficio in natura in luogo di un assegno "ad personam" pensionabile, senza che fosse stato loro assicurato, dopo il collocamento a riposo, il corrispondente controvalore economico). Cass. civ. Sez. lavoro, 21-08-2013, n. 19357 Nell'interpretazione del contratto collettivo ove il giudice di merito abbia ritenuto che il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti riveli con chiarezza e univocità la loro volontà comune, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l'intento effettivo dei contraenti, l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente compiuta senza necessità di far ricorso ai criteri interpretativi sussidiari, il cui intervento si giustifica solo nel caso in cui siano insufficienti i criteri principali. (Nella specie, la corte territoriale aveva rigettato la domanda del lavoratore di riconoscimento di somme arretrate atteso che l'art. 62 del c.c.n.l. della dirigenza medica del 14 giugno 2007 faceva riferimento esplicito solo alle spettanze dei lavoratori in servizio e non anche, come nella specie, di quelli cessati alla data di entrata in vigore della norma contrattuale). Cass. civ. Sez. lavoro, 20-08-2013, n. 19252 In tema di efficacia della contrattazione collettiva, alla prolungata inerzia delle organizzazioni sindacali di una singola azienda nel reagire al mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, di una clausola di un contratto integrativo provinciale contenente una normativa di favore per i lavoratori 10 nella specie in materia di predisposizione del periodo delle ferie annuali "partecipata" con le organizzazioni sindacali - non può essere attribuita, di per sé, portata abrogatrice del contratto provinciale stesso, anche solo nella sua applicazione nell'azienda di cui si tratta. Ne consegue che alle organizzazioni sindacali è da riconoscere piena facoltà di far valere, nell'ambito dell'azienda, la persistente vigenza della norma, ma in modo adeguato alla situazione venutasi a creare per effetto del loro prolungato e concludente comportamento di disinteresse alla relativa applicazione. App. Perugia Sez. lavoro, 20-08-2013 L'art. 2070, 10 comma, c.c. non opera con riferimento alla contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti ed a coloro che, esplicitamente o implicitamente, abbiano aderito al contratto. Di conseguenza, il lavoratore non può aspirare all'applicazione di un contratto collettivo diverso da quello in concreto a lui applicato, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost.. Cass. civ. Sez. lavoro, 02-07-2013, n. 16509 L'art. 32 del c.c.n.l. del 18 luglio 1990 per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, si interpreta nel senso che il diritto alla riqualificazione professionale ivi introdotto per alcune categorie di personale (cosiddetta valorizzazione), con il "passaggio di determinate attività dal 5° livello (Area II operatori specializzati) al livello 6° (Area III tecnici)", pur ancorato alla data del 1 dicembre 1991 quanto agli effetti economici e giuridici, non è immediatamente operativo in quanto esplicitamente subordinato alla conclusione di uno "specifico" accordo, avente lo scopo di determinare "i criteri funzionali ed organizzativi" del passaggio. Cass. civ. Sez. lavoro, 02-07-2013, n. 16507 La clausola del contratto collettivo, la quale stabilisce che il lavoratore che al termine del periodo di aspettativa non riprenda servizio senza giustificato motivo sia considerato dimissionario, è nulla, in quanto stabilisce una causa di risoluzione del rapporto non prevista dalla legge. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-06-2013, n. 15928 Ai sensi dell'art. 7, punto 4, parte speciale Alitalia del c.c.n.l. 4 maggio 1989, come recepito e modificato dal c.c.n.l. 5 febbraio 1992 degli assistenti di volo dipendenti da compagnia di navigazione aerea a partecipazione statale, il superamento dell'impiego minimo di 40 ore di volo nel mese va retribuito, per le ore successiva alla quarantesima, con la maggiorazione oraria calcolata 11 secondo i coefficienti previsti dallo stesso art. 7, punto 4, ma, ove ciò si verifichi per effetto del cumulo tra ore effettive di volo (in misura inferiore a tale limite) ed ore di addestramento o di godimento ferie, ciò deve avvenire con la riduzione di una unità, rispondendo tale interpretazione alle finalità della norma collettiva di tutela del personale esposto a situazioni di maggiore usura e di protratta esposizione al volo a seguito di impiego effettivo. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-06-2013, n. 13917 In tema di individuazione del presupposto fissato dall'art. 29, all. 7, del c.c.n.l. 1990/1992 del personale delle Ferrovie dello Stato, per la sussistenza del diritto al beneficio del premio giornaliero per il disimpegno, oltre alle normali attribuzioni, del servizio spettante al dipendente assente, appare rispettosa dei canoni legali di ermeneutica contrattuale l'interpretazione data dal giudice del merito, secondo cui all'ipotesi di "improvvisa assenza" deve essere equiparata quella di cronica assenza di personale, potendosi ritenere, attraverso una interpretazione estensiva, che il compenso per la sostituzione di un dipendente assente sia dovuto, in base al principio di cui all'art. 36 cost., anche nell'ipotesi in cui l'assenza, anziché improvvisa, sia stata determinata da carenza di organico. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-03-2013, n. 7390 È riservata al giudice di merito l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, in ragione della loro efficacia limitata, ed essa non è censurabile in cassazione se non per violazione delle norme di legge sull'interpretazione dei contratti o per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, nell'interpretare l'art. 25 del contratto collettivo di lavoro per l'industria metalmeccanica, aveva ritenuto, al fine del licenziamento del lavoratore in tronco in caso di assenza ingiustificata "oltre quattro giorni consecutivi", rilevassero solo i giorni lavorativi, da considerarsi consecutivi anche se intervallati da giorni festivi o comunque non lavorativi). Cass. civ. Sez. lavoro, 22-02-2013, n. 4546 In tema di responsabilità disciplinare dei dipendenti postali, l'art. 34 del c.c.n.l. di categoria del 26 novembre 1994 consente il licenziamento del lavoratore in caso di sentenza penale di condanna irrevocabile, con onere per il datore di lavoro di provare la gravità delle condotte e la irrimediabile lesione del rapporto fiduciario, ma non si estende all'ipotesi in cui la sentenza di condanna non sia definitiva, atteso che, in questa ipotesi, il licenziamento per giusta causa può essere irrogato in forza dell'art. 74 del medesimo accordo collettivo, che prevede la possibilità del licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 cod. civ.per le ipotesi non specificamente regolate, fermo, in tal caso, l'onere del datore di lavoro di provare i fatti - costituenti reato ma non accertati in via definitiva dal giudice penale - e la loro gravità, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione, privando l'art. 34 citato della sua efficacia precettiva, sia in contrasto conl'art. 1367 cod. civ. 12 Cass. civ. Sez. lavoro, 15-01-2013, n. 810 In tema di lavoro dei ferrovieri, è correttamente motivata la sentenza di merito che, nell'interpretare l'art. 46, comma 5, all. 7 del ccnl di categoria del 1° gennaio 1990, di disciplina dell'indennità di chiamata, ha ritenuto che la funzione degli istituti della reperibilità e della disponibilità sia quella di rendere possibile interventi di carattere eccezionale od occasionale, comunque al di fuori di ciò che era ordinariamente prevedibile, e che la ragione della previsione dell'indennità di chiamata risieda nel fatto che le parti collettive hanno voluto introdurla a compenso di qualcosa di più di ciò che veniva già retribuito con la maggiorazione per lavoro straordinario. * * * 4. IL LAVORO SUBORDINATO E IL LAVORO AUTONOMO Cass. civ. Sez. lavoro, 09-01-2014, n. 290 In merito al lavoro giornalistico, si evidenzia come la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato od alla quotidiana permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neppure incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni. E', invece, determinante che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell'editore. Altresì, il compenso del collaboratore fisso deve quantificarsi tenendo conto dell'importanza delle materie trattate, il tipo, la qualità nonché la quantità delle collaborazioni. Cons. Stato Sez. VI, 05-12-2013, n. 5799 In tema di qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, gli indici sostanziali che possono considerarsi rivelatori di un vero e proprio rapporto di pubblico impiego consistono nella natura pubblica dell'ente datore di lavoro, nella diretta correlazione dell'attività lavorativa prestata con i fini istituzionali perseguiti, nell'effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'ente, nell'orario predeterminato e assoggettato a controllo, nella retribuzione prefissata e a cadenza mensile, nel carattere continuativo, professionale e in via prevalente, se non esclusiva, delle prestazioni lavorative effettuate (d.lgs. n. 104/2010 - CPA) Cass. civ. Sez. lavoro, 31-10-2013, n. 24576 13 Deve essere qualificato come rapporto di lavoro autonomo, ai sensi dell'art. 12 della legge 12 agosto 1974, n. 370 - che consente all'Amministrazione postale di provvedere al recapito dei telegrammi e degli espressi con prestatori d'opera autonomi incaricati di volta in volta e pagati ad opera quando non sia possibile effettuare il servizio con un fattorino - quello nel quale il lavoratore, nel tempo di durata della prestazione, protrattasi per poco più di tre mesi in coincidenza con l'ultimo trimestre dell'anno, si sia limitato ad eseguire gli incarichi specifici oggetto del contratto senza porre le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro per le altre attività dell'ufficio postale, dovendosi escludere, in tal caso, il continuativo inserimento nell'organizzazione aziendale e l'assoggettamento a direttive del dirigente dell'ufficio non concernenti i compiti propri dell'incarico oggetto del contratto. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-10-2013, n. 22785 In materia di attività giornalistica, la qualificazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti come autonomo o subordinato deve considerare che, in tale ambito, il carattere della subordinazione risulta attenuato per la creatività e la particolare autonomia qualificanti la prestazione lavorativa, nonché per la natura prettamente intellettuale dell'attività stessa, con la conseguenza che, ai fini dell'individuazione del vincolo, rileva specificamente l'inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell'organizzazione d'impresa. Nel giudizio di cassazione è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - incensurabile in tale sede ove congruamente motivata - la relativa valutazione. (Nella specie, relativa alla posizione di un redattore, la S.C. ha ritenuto decisivo il pieno inserimento del lavoratore nell'attività redazionale, con utilizzazione degli strumenti di lavoro - computer e cellulare - forniti dalla casa editrice, e con la preposizione in via stabile a settori di informazione o rubriche fisse, nonché l'assoggettamento del medesimo al potere decisionale e di controllo del capo cronista che impartiva direttive e poteva richiedere prestazioni ulteriori - quali l'impaginazione e la redazione dei titoli - rispetto alla mera redazione di articoli). Cass. civ. Sez. lavoro, 07-10-2013, n. 22786 In tema di contratto d'opera, la previsione della possibilità di recesso "ad nutum" del cliente contemplata dall'art. 2237, primo comma, cod. civ., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto, dovendosi ritenere sufficiente - al fine di integrare la deroga pattizia alla regolamentazione legale della facoltà di recesso - la mera apposizione di un termine al rapporto di collaborazione professionale, senza necessità di un patto espresso e specifico. Ne consegue che, in tale evenienza, l'interruzione unilaterale dal contratto da parte del committente comporta per il prestatore il diritto al compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto. 14 Cass. civ. Sez. lavoro, 09-09-2013, n. 20606 La qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato - ai fini della quale il "nomen iuris" attribuito dalle parti al rapporto può rilevare solo in concorso con altri validi elementi differenziali o in caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione - occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato sia con quelli di lavoro autonomo. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-08-2013, n. 19568 Ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, l'elemento della subordinazione (ossia della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità d'essere del rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito e ciò in particolare nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o intellettuale ed indipendentemente da una iniziale pattuizione scritta sulle modalità del rapporto; nella qualificazione del rapporto il giudice non può, pertanto, prescindere dal concreto riferimento alle modalità di espletamento dello stesso e in particolare da elementi sussidiari, che egli stesso deve individuare, quali l'autonoma gestione del lavoro da parte del lavoratore, l'assoggettamento o meno a direttive programmatiche, l'accettazione del rischio derivante dal mancato espletamento dell'attività lavorativa al fine di fruire di periodi di riposo. Cass. civ. Sez. lavoro, 19-08-2013, n. 19199 Ai fini dell'individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia. Tale principio non vale invece nell'ipotesi inversa in cui, rispetto ad una situazione lavorativa ritenuta priva dei connotati della subordinazione, le parti stipulino un contratto che, invece, riconosca, a partire da una certa data, la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, dovendosi ritenere, in tal caso, che la volontà delle parti sia da considerare conforme al concreto assetto del rapporto, non essendovi motivo per ritenere che le parti abbiano adottato un tipo contrattuale che impegni in modo più consistente anche il datore rispetto ad oneri collegati all'anzianità di servizio, al trattamento da riconoscersi al lavoratore in ipotesi di risoluzione del rapporto, al trattamento previdenziale e contributivo, senza che la veste formale corrisponda al contenuto della prestazione. 15 Cass. civ. Sez. lavoro, 01-08-2013, n. 18414 Ai fini della qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del dirigente, quando questi sia titolare di cariche sociali che ne fanno un "alter ego" dell'imprenditore (preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale o di una branca o settore autonomo di essa), è necessario - ove non sussista alcuna formalizzazione di un contratto di lavoro subordinato di dirigente - verificare se il lavoro dallo stesso svolto possa comunque essere inquadrato all'interno della specifica organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro (e, in particolare, dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso), nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale. Cass. civ. Sez. lavoro, 05-07-2013, n. 16835 Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, oppure, all'opposto, nel caso di prestazioni lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-05-2013, n. 11930 Deve essere qualificato in termini di lavoro subordinato quello prestato dal personale, docente e non docente, operante presso una scuola, materna ed elementare, gestita da un'associazione, nonostante la qualità di associati formalmente rivestita dai prestatori d'opera, in virtù di indici presuntivi quali: l'articolazione dei corsi e l'attribuzione delle classi agli insegnanti secondo moduli organizzativi previsti dalla legge, inconciliabili con una pretesa libertà di orario; la predeterminazione, nella misura e nei contenuti, delle attività lavorative; l'entità sia dell'impegno lavorativo giornaliero richiesto, sia delle erogazioni effettuate in favore del personale, incompatibile con la sostenuta natura di meri rimborsi spese "a forfait". 16 Cass. civ. Sez. lavoro, 18-04-2013, n. 9468 Alla stregua di quanto disposto dall'art. 2 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (secondo cui "l'attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario", ed inoltre "la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte") non ricorrono gli estremi della prestazione di volontariato nel caso in cui, per l'attività espletata, siano state corrisposte somme di danaro, essendo onere della parte convenuta in giudizio per il riconoscimento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dimostrare che la loro corresponsione sia avvenuta, invece, a titolo di rimborso spese, non superando l'ammontare di queste. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto che non costituisse attività di volontariato in favore dell'associazione Federconsumatori, bensì prestazione di lavoro subordinato alle dipendenze della C.G.I.L., l'attività espletata presso uno sportello da questa istituito per la tutela dei consumatori, dando rilievo altresì alla circostanza non solo che la predetta associazione è risultata sostanzialmente inesistente, ma soprattutto che la C.G.I.L., oltre a retribuire direttamente la sportellista, aveva interesse per i propri iscritti e simpatizzanti ad attivare un servizio a tutela del consumatore). Cass. civ. Sez. III, 21-03-2013, n. 7128 Ai rapporti di lavoro autonomo non si applicano le norme speciali antinfortunistiche, che, di regola, presuppongono l'inserimento del prestatore di lavoro nell'impresa del soggetto destinatario della prestazione, né l'art. 2087 cod. civ., il quale, integrando le richiamate leggi speciali, riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro subordinato. Cons. Stato Sez. III, 13-03-2013, n. 1496 L'obbligo del prestatore di lavoro di osservare un orario di servizio e di attenersi alle direttive impartite dai responsabili dei vari servizi dell'Amministrazione, finalizzati al coordinamento con la prestazione di altri professionisti, è conciliabile con una prestazione professionale di lavoro autonomo, non essendo la presenza di alcuni tratti caratteristici del lavoro subordinato, propri della c.d. parasubordinazione, sufficiente a trasformare il rapporto contrattuale in rapporto di pubblico impiego. T.A.R. Campania Salerno Sez. I, 12-03-2013, n. 640 L'accertamento giudiziale dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della pubblica Amministrazione, in difformità degli atti che lo hanno costituito come rapporto di lavoro autonomo ai sensi dell'art. 2222 c.c., non è proponibile se l'interessato non ha 17 tempestivamente impugnato questi atti. La pretesa dell'interessato, infatti, in quanto diretta all'accertamento di una diversa posizione giuridica ed economica, si collega ad una posizione di interesse legittimo, attesa la natura autoritativa del potere, con cui l'Amministrazione disciplina il suo assetto organizzativo e funzionale. Trib. Milano, 14-02-2013 Il fatto che il lavoratore abbia un proprio staff, nei confronti del quale proponga assunzioni, promozioni, aumenti di stipendio e ferie, non esprime, di per sé, subordinazione, potendo essere anche attuazione di un rapporto di lavoro autonomo; assume l'aspetto della subordinazione solo ove sia l'esecuzione di direttive ricevute dal datore nell'ambito della situazione di assoggettamento, in cui lo stesso lavoratore si trovi, e che resta il determinante parametro della subordinazione. App. Genova Sez. lavoro, 31-01-2013 L'onere di provare i fatti da cui derivare la natura subordinata del rapporto compete, per le regole generali, a chi la invoca e ciò tanto più quando vi sia un documento, sia pure formato a distanza di anni dall'inizio della prestazione, in cui le parti hanno qualificato come autonomo il rapporto e quando per un dato periodo di tempo quest'ultimo è proseguito senza nessuna contestazione sul piano qualificatorio da parte dell'attore. * * 5. COSTITUZIONE DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO E PATTO DI PROVA * DI LAVORO: COLLOCAMENTO Cass. civ. Sez. lavoro, 19-09-2013, n. 21458 In base al sistema delle assunzioni obbligatorie degli invalidi (ed assimilati) disciplinato dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, dopo il provvedimento di avviamento al lavoro risulta necessaria la collaborazione dell'invalido, che può essere ancorata alla previsione, nello stesso atto di avviamento, di un termine per la presentazione in azienda - il cui mancato rispetto comporta l'estinzione dell'obbligo di stipulazione posto dalla legge a carico del datore di lavoro, potendosi assimilare l'inerzia del lavoratore ad una implicita rinuncia - purché tale termine decadenziale non renda oggettivamente gravoso l'esercizio del diritto, secondo una valutazione da operare ai sensi dell'art. 2965 cod. civ. e che tenga conto della brevità del termine in rapporto alla particolare situazione del soggetto tenuto ad attivarsi per evitare la decadenza. 18 Cass. civ. Sez. lavoro, 22-07-2013, n. 17785 In tema di collocamento obbligatorio dei disabili, l'avviamento al lavoro dei disabili psichici deve avvenire, ai sensi dell'art. 9, comma quarto, della legge 12 marzo 1999, n. 68, su richiesta nominativa, nell'ambito delle convenzioni tra datore di lavoro ed ufficio del lavoro competente, disciplinate dall'art. 11 della medesima legge. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-07-2013, n. 17587 In tema di patto di prova, la dichiarazione di assunzione del lavoratore, se sottoscritta per ricevuta dal lavoratore, integra il requisito della forma scritta richiesto dall'art. 2096 cod. civ. Cass. civ. Sez. lavoro, 23-05-2013, n. 12730 Nei procedimenti giurisdizionali concernenti l'invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, qualora la difesa del Ministero dell'economia e delle finanze, nel giudizio di primo grado, sia stata assunta da un funzionario della stessa Amministrazione ovvero, in base ad eventuale convenzione, da un avvocato dell'I.N.P.S. (come consentito dall'art. 42 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326), la notifica della sentenza, come quella della successiva impugnazione (quest'ultima con esclusione del caso in cui la difesa personale o con propri dipendenti sia limitata al giudizio di primo grado) vanno effettuate nei confronti dei funzionari o avvocati incaricati della difesa, a norma dell'art. 330 cod. proc. civ. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-05-2013, n. 10338 Pur quando il lavoratore sia stato avviato al lavoro ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482, il suo diritto - quale portatore di handicap - a non essere trasferito presso altra sede lavorativa, se non con il proprio consenso, resta subordinato, secondo quanto previsto dal combinato disposto dagli artt. 3 e 33, comma sesto, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, alla gravità della disabilità, il cui accertamento è demandato ad apposita Commissione istituita presso la competente Azienda Sanitaria Locale, ai sensi dell'art. 4 della medesima legge n. 104 del 1992. Cons. Stato Sez. V, 27-03-2013, n. 1821 Il rapporto di lavoro alle dipendenze di Pubbliche Amministrazioni (regolato dal d.lgs. n. 165/2001) è disciplinato da una lex specialis, che deroga, rendendolo inapplicabile, l'art. 2096 c.c. ed i principi elaborati dalla giurisprudenza sulla base di detta norma. Così, mentre nell'impiego privato è pacifico ritenere che il patto di prova debba essere predisposto in forma scritta a pena di nullità, con la conseguenza che, in mancanza di detta formalità lo stesso deve considerarsi nullo e l'assunzione del 19 lavoratore va considerata definitiva, nel pubblico impiego il periodo di prova scaturisce direttamente per effetto ex lege e non per effetto di un patto inserito nel contratto di lavoro dall'autonomia contrattuale. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-03-2013, n. 5546 La disciplina del collocamento obbligatorio previsto dalla legge 2 aprile 1968, n. 482 (applicabile "ratione temporis") - a differenza della disciplina del collocamento ordinario - prescrive soltanto che la richiesta dell'imprenditore sia numerica (e solo eccezionalmente nominativa), senza prevedere ulteriori specificazioni in ordine alla professionalità del lavoratore che si intende assumere. Pertanto, ove l'imprenditore abbia fatto richiesta di avviamento (obbligatorio) di un lavoratore invalido (od assimilato) avente specifiche attitudini lavorative, l'Ufficio del lavoro può soltanto individuare in quale delle due fondamentali categorie professionali (impiegatizia od operaia) previste dall'art. 2095 cod. civ. tali attitudini siano inquadrabili e provvedere in conformità di tale generico inquadramento, con la conseguenza che nell'ipotesi di divergenza tra la categoria indicata nella richiesta e quella di appartenenza del lavoratore avviato non viene ad esistenza il diritto soggettivo di quest'ultimo ad essere assunto dall'impresa destinataria dell'ordine di assegnazione e diventa legittimo l'eventuale rifiuto dell'imprenditore di assumere il lavoratore avviato che non rientri nella generale categoria professionale risultante dalla richiesta. Trib. Milano Sez. lavoro, 15-02-2013 Il requisito della indicazione specifica delle mansioni nel patto di prova non può essere sostituito da ciò che è notoria competenza di un'impiegata d'ordine atteso che la finalità del patto di prova da cui consegue la necessaria specificazione delle mansioni da svolgere è quello di garantire l'esigenza di entrambe le parti di verificare la reciproca convenienza del contratto attraverso la verifica da parte del datore di lavoro delle capacità e qualità del lavoratore e da parte del lavoratore dell'entità della prestazione che gli viene richiesta e delle condizioni in cui il rapporto si svolge. * * * 6. I CONTRATTI A CONTENUTO FORMATIVO Cass. civ. Sez. lavoro, 08-10-2013, n. 22866 Il contratto di formazione e lavoro, pur costituendo una specie del "genus" contratto di lavoro a tempo determinato, è dotato di una propria autonomia funzionale in quanto caratterizzato - a differenza dell'ordinario contratto a termine - da una causa complessa comprensiva di una finalità di formazione per consentire al lavoratore l'acquisizione della professionalità necessaria per 20 immettersi nel mondo del lavoro, da cui la necessaria differenziazione della disciplina, legislativa e contrattuale, applicabile ai lavoratori (nella specie, del settore autoferrotranviario) così assunti. Ne consegue che, ove il convenuto, nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, abbia impostato la propria difesa configurando le assunzioni dei lavoratori ricorrenti come avvenute con contratti a tempo determinato, la successiva qualificazione dei medesimi contratti come di formazione e lavoro e la produzione della pertinente documentazione, effettuate per la prima volta con le note difensive depositate prima della discussione e della pronuncia della sentenza di primo grado, sono inammissibili perché tardive in quanto dirette ad introdurre un nuovo tema di indagine in contrasto con il sistema delle preclusioni, con conseguente declaratoria ex art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., ove la questione sia riproposta in appello. Cons. Stato Sez. IV, 08-10-2013, n. 4924 I requisiti soggettivi di ammissione debbono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda. Il limite di età dei 32 anni per i contratti di formazione e lavoro deve essere riferito al momento della stipulazione del contratto, qualora stipulati da imprese o loro consorzi, per i quali non è richiesta alcuna selezione pubblica di tipo concorsuale ed è ammessa l'assunzione nominativa, mentre deve riferirsi alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura concorsuale se stipulati da pubbliche amministrazioni. Cass. civ. Sez. lavoro, 10-05-2013, n. 11265 L'apprendistato è un rapporto di lavoro speciale, in forza del quale l'imprenditore è obbligato ad impartire nella sua impresa all'apprendista l'insegnamento necessario perché questi possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, occorrendo a tal fine lo svolgimento effettivo, e non meramente figurativo, sia delle prestazioni lavorative da parte del dipendente sia della corrispondente attività di insegnamento da parte del datore di lavoro, la quale costituisce elemento essenziale e indefettibile del contratto di apprendistato, entrando a far parte della causa negoziale. Spetta al giudice di merito verificare, con valutazione non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, la ricorrenza di una attività formativa, pur modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, purché adeguata ed effettivamente idonea a raggiungere lo scopo di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-04-2013, n. 10075 Il diritto di precedenza in favore dei lavoratori a tempo parziale, previsto, in caso di nuove assunzioni, dall'art. 5, secondo comma, del d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, presuppone l'indifferenza, per le esigenze oggettive del datore di lavoro, tra l'assunzione di nuovo personale e la 21 trasformazione in contratti di lavoro a tempo pieno di rapporti a tempo parziale già costituiti, in funzione dello svolgimento di mansioni identiche oppure equivalenti e, come tali, reciprocamente fungibili. In caso contrario, la trasformazione del rapporto di lavoro non risulterebbe sostitutiva rispetto all'assunzione di nuovo personale a tempo pieno e comporterebbe, perciò, un aggravio, non voluto dalla legge, dell'obbligo imposto al datore di lavoro. La condizione di equivalenza non è configurabile in presenza di un contratto a causa mista, come quello di apprendistato, in cui l'attività formativa concorre con quella lavorativa a integrare la fattispecie legale. App. Bologna Sez. lavoro, 13-03-2013 Nel contratto di formazione lavoro la divergenza fra gli obblighi contrattuali ed il concreto svolgimento del rapporto non realizza un inadempimento della parte datoriale, sanzionabile con la conversione del rapporto medesimo in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ove detto svolgimento, secondo la valutazione del Giudice del merito, avvenga con modalità tali da non compromettere la funzione del contratto. Questo, invero, a differenza dall'apprendistato, tende non già a consentire il mero conseguimento di nozioni base per l'esecuzione della prestazione professionale, bensì a favorire, attraverso l'acquisizione di specifiche conoscenze, l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, in funzione dell'accesso al mondo del lavoro. Trib. Roma Sez. lavoro Ordinanza, 14-01-2013 La comunicazione datoriale di scadenza del contratto di apprendistato per mancato raggiungimento della qualifica non può qualificarsi come licenziamento, trovando applicazione i principi in materia di disdetta da un contratto a termine; ne consegue l'inapplicabilità del rito speciale di cui all'art. 1, commi 47 ss. legge n. 92 del 2012 e, in mancanza di una specifica disposizione, l'applicazione del principio generale, desumibile dall'art. 702-ter c.p.c., che impone, in caso di errore nella scelta del rito, di dichiarare la inammissibilità della domanda. * * * 7. IL CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE Cass. civ. Sez. lavoro, 13-01-2014, n. 471 In materia di contratti a tempo determinato, la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, richiede che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive, le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, 22 d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. In tale contesto, non sono indicative di un intento risolutorio né l'accettazione del trattamento di fine rapporto, né la mancata offerta della prestazione, in quanto comportamenti entrambi non interpretabili, per difetto assoluto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 12-12-2013, n. 361/12 Sebbene l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, non osti a che gli Stati membri introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dall'accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4, punto 1, deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica l'indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Cass. civ. Sez. lavoro, 29-10-2013, n. 24335 Nei contratti di lavoro dirigenziale a tempo determinato, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, e in mancanza di una diversa previsione nel contratto individuale, il risarcimento del danno dovuto va commisurato all'entità dei compensi retributivi che sarebbero maturati dalla data del recesso fino alla scadenza del contratto, mentre non è dovuta alcuna indennità sostitutiva del preavviso, essendo questa legislativamente prevista solo per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-10-2013, n. 23702 In materia di contratti di lavoro a termine è infondato l'assunto in forza del quale si ritenga che la società per azioni a capitale pubblico sia sottratta alle norme di diritto privato concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato e, quindi, alla conversione del rapporto dei lavoro in rapporto a tempo indeterminato nel caso di nullità della clausola appositiva del termine. Dalla direttiva europea n. 70 del 1999 risulta, infatti, che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma generale di rapporto di lavoro anche se in talune circostanze eccezionali, quelli a termine possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori o dei prestatori di lavoro. Tra dette eccezioni rientrano i rapporti con enti pubblici oppure i rapporti privatistici, laddove ricorrano specifici motivi, previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Costituisce regola generale l'obbligo di apporre nel contratto individuale di lavoro la ragione giustificativa del termine, la cui enunciazione deve essere specifica nel regime previsto dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, mentre nella vigenza dell'art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 - con cui era stata affidata alla contrattazione collettiva, nazionale o locale, la possibilità di autorizzare 23 contratti a termine per causali, di carattere oggettivo o anche meramente soggettivo, ulteriori rispetto a quelle previste legge 18 aprile 1962, n. 230 - era sufficiente il richiamo, nel contratto stesso, alla previsione del contratto collettivo, così da consentire, anche in tale evenienza, il controllo giudiziario sull'operato delle parti ed evitare l'arbitrio che il silenzio avrebbe consentito. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-10-2013, n. 22965 In tema di contratti di lavoro a termine, l'art. 2 della legge n. 230 del 1962, che consente solo in caso eccezionali ed entro determinati limiti, la proroga dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, non trova applicazione per i contratti a termine stipulati con dirigenti tecnici o amministrativi ai sensi dell'art. 4 della stessa legge, sottratti alla disciplina di diritto comune dell'art. 1. Ne consegue che il contratto a termine con i dirigenti, soggetto al limite di cui all'art. 4, (per cui allo stesso può apporsi un termine purché non superiore a cinque anni ed in ogni caso, ove superiore a tre anni deve garantirsi dopo tale periodo il diritto di recesso al dirigente), può essere convenzionalmente prorogato senza che sia necessaria la ricorrenza delle condizioni di eccezionalità di cui all'art. 2. Nel rapporto di lavoro dei dirigenti, in sostanza, il contratto a termine non costituisce una deroga al principio ordinario del contratto a tempo indeterminato e non opera la prescrizione contenuta nell'art. 2 della legge n. 230 del 1962 secondo la quale, quando si tratti di assunzioni successive a termine, volte ad eludere le disposizioni dell'anzidetta norma, si verifica la conversione ex tunc dei rapporti a termine in un unico rapporto a tempo indeterminato. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-09-2013, n. 22245 L'indicazione da parte del datore di lavoro delle ragioni sostitutive legate alla maternità di una dipendente assunta a tempo indeterminato, della città e dell'ufficio presso i quali il dipendente a termine abbia poi effettivamente prestato la propria attività, risponde al criterio di specificità e comporta la legittimità dell'apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dalla non esatta coincidenza tra l'assenza della lavoratrice sostituita e la durata del rapporto del lavoratore assunto a tempo determinato. App. Perugia Sez. lavoro, 10-09-2013 In materia di assunzioni a termine dei dipendenti postali, l'art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, nel consentire anche alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, ha consentito il ricorso ad assunzione di personale straordinario nei soli limiti temporali previsti dalla contrattazione collettiva, con conseguente esclusione della legittimità dei contratti a termine stipulati oltre i detti limiti; resta altresì escluso che le parti sociali, mediante lo strumento dell'interpretazione autentica delle vecchie disposizioni 24 contrattuali ormai scadute (volta ad estendere l'ambito temporale delle stesse), possano autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita, tanto più che il diritto del lavoratore si era già perfezionato e le organizzazioni sindacali non possono disporre dello stesso. Trib. Milano, 27-08-2013 L'apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall'art. 1, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena d'inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l'onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, si da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-08-2013, n. 19095 L'ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell'apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell'attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, fermo restando che, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l'onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento. Cass. civ. Sez. lavoro, 05-08-2013, n. 18618 Nell'ipotesi in cui un Comune indica una prova pubblica selettiva per l'assunzione straordinaria a tempo determinato per due mesi di un numero limitato di dipendenti, alla scadenza del termine fissato ai contratti di lavoro stipulati con i primi della graduatoria, questi ultimi non 25 hanno diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro, pur nella permanenza della situazione che aveva reso necessarie le originarie assunzioni, ben potendo l'ente procedere alla stipula di nuovi contratti a tempo determinato, per i medesimi posti, ma con coloro che seguono in graduatoria i primi assunti, anche allo scopo di evitare l'esposizione alle sanzioni previste dall'art. 36 del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Trib. Pescara Sez. lavoro, 06-06-2013 Nel lavoro pubblico alla illegittimità del contratto a termine per violazione di norme imperative non può che conseguire un regime sanzionatorio che -con l'escludere ogni effetto reintegrativo stante la regola generale del concorso per l'assunzione del personale -viene ad essere incentrato sul versante dei danni subiti dalla pubblica amministrazione e dal lavoratore; danni che assumono anche essi una propria caratterizzazione correlata a negozi, la cui flessibilità assume natura e requisiti distinti da quelli risultanti nel lavoro privato e su cui i suddetti danni vanno conseguentemente parametrati. Corte cost., 29-05-2013, n. 107 Non sono fondate le due questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 sulle assunzione a termine per esigenze di carattere sostitutivo. In primo luogo, il criterio della identificazione nominativa del personale sostituito è da ritenere certamente il più semplice e idoneo a soddisfare l'esigenza di una nitida individuazione della ragione sostitutiva, ma non l'unico. Non si può escludere, infatti, la legittimità di criteri alternativi di specificazione, sempreché essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi. E così, anche quando ci si trovi - come ha rilevato la Corte di cassazione - di fronte ad ipotesi di supplenza più complesse, nelle quali l'indicazione preventiva del lavoratore sostituito non sia praticabile per la notevole dimensione dell'azienda o per l'elevato numero degli avvicendamenti, la trasparenza della scelta dev'essere, nondimeno, scrupolosamente garantita. In altre parole, si deve assicurare in ogni modo che la causa della sostituzione di personale sia effettiva, immutabile nel corso del rapporto e verificabile, ove revocata in dubbio. L'apposizione del termine per "ragioni sostitutive" è stata ritenuta legittima anche quando, avuto riguardo alla complessità di certe situazioni aziendali, l'enunciazione dell'esigenza di sopperire all'assenza momentanea di lavoratori a tempo indeterminato sia accompagnata dall'indicazione, in luogo del nominativo, di elementi differenti, quali l'ambito territoriale dell'assunzione, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni e il diritto alla conservazione del posto dei dipendenti da sostituire, che permettano ugualmente di verificare l'effettiva sussistenza e di determinare il numero di questi ultimi (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze n. 1576 e n. 1577 del 2010, cit.). 26 Cass. civ. Sez. lavoro, 16-05-2013, n. 11927 La ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell'apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell'attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti. App. Potenza Sez. lavoro, 12-05-2013 (Superata dal c.d. collegato lavoro) Accertata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte l'eccezione per mezzo della quale, a fronte della domanda risarcitoria proposta dal dipendente nei confronti del datore di lavoro, questi deduca l'avvenuta percezione, da parte del lavoratore, di un altro reddito per effetto di una nuova occupazione, ovvero la colpevole astensione, da parte dello stesso, da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno. Qualora, pertanto, vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possano ritenersi non controversi e dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il Giudice può trarne d'ufficio tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato. Trib. Milano, 08-05-2013 Il momento in cui valutare il rispetto del limite del 15% previsto dall'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 non può che essere quello della singola assunzione a termine, poiché la nullità è un vizio genetico del contratto e non può derivare da un evento sopravvenuto. Cass. civ. Sez. lavoro, 02-05-2013, n. 10260 In tema di assunzione a termine per ragioni di carattere sostitutivo, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita a una singola persona, ma a una funzione produttiva specifica, l'apposizione del termine è legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata da elementi ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente. 27 Cass. civ. Sez. lavoro, 30-04-2013, n. 10171 Invocata, in sede di legittimità, la normativa sopravvenuta di cui all'art. 32, commi 5, 6 e 7, L. n. 183 del 2010, in merito alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro, l'applicazione della stessa è subordinata alla necessaria condizione che i motivi di ricorso abbiano investito specificamente le conseguenze patrimoniali dell'accertata nullità del termine, non essendo possibile chiedere l'applicazione diretta della norma al di fuori del motivo di impugnazione. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-04-2013, n. 10068 In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, l'onere datoriale di specificare tali ragioni può ritenersi soddisfatto nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non sia riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta, con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell'assunzione. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-04-2013, n. 10070 Ai sensi dell'art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218, l'applicazione di una legge straniera nell'ordinamento italiano è inibita se determina effetti contrari all'ordine pubblico, da intendere come insieme dei principi essenziali della "lex fori", tra i quali rientra anche quello per cui l'accesso all'impiego pubblico deve avvenire mediante concorso, salvo eccezioni introdotte dalla legge, purché rispondenti a peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico. Ne consegue che non può trovare applicazione nel nostro ordinamento la legge argentina che prevede, in caso di ingiustificato rinnovo, la conversione del contratto a termine alle dipendenze della P.A. (nella specie, il Consolato d'Italia a Buenos Aires, articolazione del Ministero degli Esteri) in contratto di lavoro a tempo indeterminato. App. L'Aquila Sez. lavoro, 15-04-2013 Il ricorso al contratto di lavoro a termine è consentito soltanto a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, laddove tali ragioni non possono essere dilatate a tal punto da essere identificate con le preferenze insindacabili del datore di lavoro. In altri termini, tali ragioni non devono identificarsi in una valutazioni di mera convenienza economica ma devono esprimere effettive esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, nel senso di giustificare la scelta del contratto a termine, altrimenti non consentita. Deve in sostanza trattarsi di 28 ragioni oggettive che, in quanto tali, possono e devono essere dimostrabili e verificabili, oltre che indicate nell'atto scritto di assunzione. Trib. Bologna Sez. lavoro, 26-03-2013 In relazione ai contratti a termine, si evidenzia come il semplice silenzio del lavoratore, serbato per un periodo di tempo inferiore al termine di prescrizione del diritto, non implica una presunzione di consenso all'illegittima apposizione di un termine al rapporto di lavoro, né alla risoluzione dello stesso. Ed infatti, il semplice silenzio o la semplice inattività del lavoratore sono comportamenti che rilevano unicamente ai fini del decorso della prescrizione. Del resto, gli eventuali comportamenti ulteriori del soggetto prestatore dell'asserito mutuo consenso, devono essere univoci, precisi e non altrimenti interpretabili, atteso che si tratta di ricostruire un'eventuale manifestazione tacita di volontà dell'interessato, in senso sfavorevole all'interessato stesso. App. Trieste Sez. lavoro, 18-03-2013 La mera inerzia del lavoratore nel far valere i diritti conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto non basta da sola a dimostrare il suo completo disinteresse alla prosecuzione del rapporto e quindi la volontà implicita del lavoratore stesso di considerarlo definitivamente risolto e di rinunciare ad ogni pretesa al riguardo. Nel nostro ordinamento, infatti, esistono già degli istituti che attribuiscono valore tipico all'inerzia del titolare del diritto e cioè la prescrizione e la decadenza, tanto che è stato sempre affermato che la volontà tacita di rinunziare ad un diritto si può desumere soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli la sua univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso, laddove l'inerzia o il ritardo nell'esercizio del diritto non costituiscono elementi sufficienti, di per sé, a dedurne la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva. App. Bologna Sez. lavoro, 15-03-2013 I requisiti di specificità delle ragioni sostitutive legittimanti l'apposizione di un termine al contratto di lavoro, come richiesti dall'art. 1, D.Lgs. n. 368 del 2001, devono ritenersi soddisfatti qualora la clausola appositiva del termine contenga adeguati riferimenti all'ambito territoriale di destinazione del lavoratore, alle mansioni dei lavoratori da sostituire e al diritto del prestatore sostituito di conservare il posto di lavoro. Trib. Novara Sez. lavoro, 27-02-2013 29 Le disposizioni dell'art. 1 e dell'art. 2 de D.Lgs. n. 368/2001 non si " sommano" ma regolano la fattispecie in modo diverso. Entrambe sono finalizzate ad individuare in quale ipotesi sia consentita la stipulazione del contratto di lavoro a tempo determinato. (...) la differenza è data dal fatto che nella prima ipotesi la situazione del contratto è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo che devono essere specificate per iscritto, mentre la seconda la sussistenza delle ragioni che legittimano l'apposizione del termine già preventivamente valutate dal legislatore in ragione delle caratteristiche peculiari dei tre settori coinvolti ed i requisiti per la legittimità del termine sono quindi diversi (arco temporale definito, rispetto alla percentuale e comunicazioni alle associazioni provinciali sindacali). Sempre dal punto di vista letterale e il fatto che la rubrica descrive il contenuto dell'articolo 2 come "disciplina aggiuntiva per il trasporto aereo e di servizi aeroportuali"ulteriormente dimostra che l'intenzione del legislatore è quella di introdurre un'ipotesi tipica di apposizione del termine diversa in quanto si aggiunge, a quelle previste in via generale dall'articolo 1. La tesi della necessaria compresenza tanto dei requisiti di cui all'articolo 1 quanto di quelli di cui all'articolo 2 è poi del tutto illogica perché se la causalità del contratto fosse la regola indefettibile non vi sarebbe stata alcuna ragione di disciplinare in modo differenziato il settore del trasporto aereo, servizi aeroportuali e postale e comunque il trattamento riservato ai tre settori sarebbe deteriore rispetto a quello riservato alle altre aziende dovendo le prime rispettare tanto limite causale quanto quello temporale e percentuale (...) l'intenzione del legislatore, chiarita in modo in equivoco dalle "l'estensione della possibilità di porre un termine" è quindi quella di consentire anche alle imprese concessionarie di servizi postali la stipulazione di contratti a termine senza il rispetto delle limitazioni previste dall'art. 1 comma 1 D.lgs. n. 368/2001. Trib. Perugia Sez. lavoro, 07-02-2013 Qualora venga accertata l'illegittimità di un contratto a termine, stipulato nel settore privato, trova applicazione l'art. 32 della legge n. 183 del 2010, secondo il quale alla conversione giudiziale di un contratto di lavoro a tempo determinato si accompagna la liquidazione di un'indennità omnicomprensiva. Il carattere di onnicomprensività dell'indennità de qua esclude, pertanto, che possano residuare profili di danno suscettibili di separato risarcimento. Trib. Genova Sez. lavoro, 04-02-2013 In merito alla domanda giudiziale volta alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, è infondata la doglianza di parte ricorrente relativa al mancato rispetto della percentuale del 15% di assunzioni a termine di cui all'art. 2, comma 1-bis del D.Lgs. n. 368 del 2001 laddove il datore di lavoro abbia fornito la prova contraria. A tal riguardo si rileva, infatti che l'onere di deduzione e prova dell'osservanza dell'anzidetto limite percentuale è posto a carico del datore di lavoro il quale deve dimostrare l'obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro. Grava invece sul lavoratore il solo onere di allegare la violazione dei limiti percentuali o comunque di chiedere che la parte opposta assolva all'onere sulla stessa incombente. 30 L'apposizione del termine al contratto di lavoro, ovvero l'indicazione della circostanza che tale termine implichi, presuppone a pena di nullità, un patto in forma scritta "ad substantiam", che deve essere anteriore, o quanto meno contestuale, all'inizio del rapporto e non può essere surrogato né da dichiarazioni scritte unilaterali delle parti o di un terzo, né da accordi verbali tra le parti. In mancanza il contratto è da ritenersi stipulato a tempo indeterminato. Trib. Firenze Sez. lavoro, 29-01-2013 In materia di lavoratori dello spettacolo, la validità delle assunzioni a termine è necessariamente ancorata alla contestuale ricorrenza dei requisiti della temporaneità e della specificità, nonché alla circostanza che l'assunzione riguardi soggetti il cui apporto lavorativo si inserisca, con vincolo di necessità diretta, anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma. Non può, dunque, ritenersi sufficiente ad integrare l'ipotesi di legittimo ricorso al contratto a tempo determinato, la mera qualifica tecnica o artistica del personale, correlata alla produzione di spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, occorrendo che l'apporto del peculiare contributo professionale, tecnico o artistico del soggetto esterno sia necessario per il buon funzionamento dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di ruolo dell'azienda. Trib. Campobasso, 28-01-2013 La nullità del termine apposto al contratto di lavoro determina la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato, con efficacia dalla pronuncia giudiziale, nonché, in seguito alla emanazione della legge n. 183 del 2010, l'obbligo della parte datoriale di riammettere il lavoratore in servizio con reimpiego dello stesso nel medesimo posto occupato alla data di scadenza del rapporto a termine. Quanto al periodo antecedente la pronuncia giudiziale, invece, la parte datoriale deve condannata alla corresponsione di una indennità onnicomprensiva, che esaurisce in sé tutte le conseguenze, sul piano risarcitorio, dell'accertata illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 15-01-2013, n. 768 Il lavoratore che, essendo stato alle dipendenze di un datore di lavoro per contratti a termine seguiti da contratto a tempo indeterminato, agisca nei confronti del datore stesso e del cessionario del contratto di lavoro per sentirli condannare alla ricostruzione della carriera, previa declaratoria di nullità del termine, può adire il giudice del luogo dove si trova la dipendenza aziendale cui è addetto, anche per la domanda nei confronti del datore cedente, ricorrendo, tra questa e la domanda nei confronti del cessionario, una particolare connessione, che, in analogia con le ipotesi più intense di connessione ex artt. 31 e ss. cod. proc. civ., consente di instaurare, anche in deroga ai fori speciali 31 di cui all'art. 413 cod. proc. civ., un unico giudizio davanti al giudice territorialmente competente per una delle cause connesse. * * * 8. IL CONTRATTO DI LAVORO PART-TIME Trib. Reggio Calabria, 05-11-2013 Pur ove si tratti di contratti part-time in eccedenza (rispetto al limite fissato dalla contrattazione collettiva), ma non nulli, il superamento del limite non appare determinare anche una fittizia insorgenza di un rapporto a tempo pieno (e conseguentemente dell'applicazione della contribuzione virtuale). Corte cost., 19-07-2013, n. 224 Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183, che consente alle P.P.A.A. (entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della detta legge) di sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata, in relazione agli articoli 10, 35, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, nonché all'art. 5, comma 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/Ce del 15 dicembre 1997 (attuata con decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61) dal Tribunale ordinario di Forlì. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-04-2013, n. 10075 Il diritto di precedenza in favore dei lavoratori a tempo parziale, previsto, in caso di nuove assunzioni, dall'art. 5, secondo comma, del d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, presuppone l'indifferenza, per le esigenze oggettive del datore di lavoro, tra l'assunzione di nuovo personale e la trasformazione in contratti di lavoro a tempo pieno di rapporti a tempo parziale già costituiti, in funzione dello svolgimento di mansioni identiche oppure equivalenti e, come tali, reciprocamente fungibili. In caso contrario, la trasformazione del rapporto di lavoro non risulterebbe sostitutiva rispetto all'assunzione di nuovo personale a tempo pieno e comporterebbe, perciò, un aggravio, non voluto dalla legge, dell'obbligo imposto al datore di lavoro. La condizione di equivalenza non è configurabile in presenza di un contratto a causa mista, come quello di apprendistato, in cui l'attività formativa concorre con quella lavorativa a integrare la fattispecie legale. 32 Cons. Giust. Amm. Sic., 03-04-2013, n. 401 In merito alla questione inerente il costo del lavoro, stimato in seno al disciplinare di gara, in modo inferiore rispetto a quelli previsti dal D.P.C.M. del 30 marzo 2001, regolante la materia, si osserva come in tema di lavoro, costituisce fatto notorio che il costo orario di un dipendente full time è ben diversificato rispetto a quello del dipendente a tempo parziale in quanto nel primo caso la retribuzione mensile annua è definita dai contratti collettivi in via forfettaria. Invero, la retribuzione annua del dipendente ad orario pieno non è costituita dal costo orario base moltiplicato per le ore di servizio prestate, come invece avviene nel caso del lavoratore a tempo parziale. Ne discende che la retribuzione del lavoratore a tempo pieno è inferiore a quella del lavoratore a tempo parziale. * * * 9. IL CONTRATTO A PROGETTO Cass. civ. Sez. lavoro, 01-10-2013, n. 22396 In tema di contratto di lavoro a progetto, il recesso anticipato per giusta causa, regolato dall'art. 67, comma 2, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, non comporta l'obbligo di corresponsione di alcuna penale, dovendosi interpretare l'eventuale clausola penale recepita nel contratto come intesa a disciplinare le sole ipotesi di recesso "ad nutum" in quanto funzionale a rafforzare il vincolo contrattuale e a liquidare preventivamente, a favore della parte adempiente, la prestazione risarcitoria spettante per l'inadempimento della controparte, e non potendo viceversa trovare applicazione al caso in cui il recesso è fatto per giusta causa, in quanto, altrimenti, verrebbe a beneficiare della penale la parte inadempiente agli obblighi contrattuali. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-06-2013, n. 15922 Il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall'art. 61 del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, nonostante il "nomen juris" adottato dalle parti, aveva escluso la configurabilità di un lavoro a progetto e ravvisato la subordinazione del lavoratore, il quale era tenuto a promuovere e vendere quotidianamente un predeterminato numero minimo di prodotti, visitando dati clienti). Cass. civ. Sez. lavoro, 29-05-2013, n. 13394 33 Il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall'art. 61 del d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermatola sentenza di merito che, nel rigettare la domanda di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, aveva ritenuto rispondente ai requisiti di legge il progetto consistente nel mettere a disposizione di una società, acquirente di una concessionaria automobilistica, l'esperienza specifica e le conoscenze maturate in qualità di ex titolare, mediante una collaborazione coordinata e continuativa e in assenza di qualsiasi soggezione ad un potere direttivo datoriale, al fine dell'inserimento della nuova impresa nel mercato). Trib. Pescara Sez. lavoro, 16-05-2013 Rientrando, invero, nel novero delle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c., il rapporto di lavoro a progetto, risulta caratterizzato dalla specificità della prestazione lavorativa affidata al prestatore e quindi della non coincidenza della stessa con l'attività principale o accessoria normalmente esercitata dall'impresa, sia pure in funzionale collegamento con la struttura organizzativa del committente. In pratica il progetto, che consiste in un'attività ben identificabile e collegata ad un risultato finale, costituisce l'oggetto dell'attività del lavoratore che viene gestita autonomamente da quest'ultimo in funzione del risultato ed indipendentemente dal tempo impiegato nell'esecuzione dell'attività lavorativa. Cons. Stato Sez. V, 09-04-2013, n. 1916 In merito all'utilizzo di contratti a progetto, ai sensi degli artt. 61 e 69 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 è indispensabile per la validità di tali contratti l'individuazione di un progetto specifico, ossia di una precisa attività temporalmente e funzionalmente delimitata con un risultato finale ad essa rapportato, attività che non può identificarsi in toto con una organizzazione aziendale. Trib. Pescara Sez. lavoro, 04-04-2013 Per escludersi il rapporto di dipendenza è indispensabile che sussista, quale elemento costitutivo del contratto, un progetto definito che deve essere specifico oppure deve trattarsi di un programma di lavoro o di una fase di esso, dovendo, viceversa, concludersi che, in difetto, rivive per legge il prototipo contrattuale che conosce il nostro ordinamento e, dunque, il contratto di lavoro subordinato. * * 34 * 10. IL LAVORO NEI RAPPORTI ASSOCIATIVI Cass. civ. Sez. V, 15-11-2013, n. 25701 La quota di utili percepita dall'associato chiamato a prestare attività lavorativa in seno al contratto di associazione in partecipazione non è suscettibile di essere assoggettata ad IVA in ragione dell'assimilazione quoad effectum della prestazione dell'attività lavorativa dell'associato al conferimento in associazione, equiparabile sotto il profilo fiscale, alla distribuzione degli utili fra i soci. Cass. civ. Sez. lavoro, 28-08-2013, n. 19832 In tema di società cooperative, nel regime dettato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un trattamento economico complessivo (ossia concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, la cui applicabilità, quanto ai minimi contrattuali, non è condizionata dall'entrata in vigore del regolamento previsto dall'art. 6 della legge n. 142 del 2001, che destinato a disciplinare, essenzialmente, le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci e ad indicare le norme, anche collettive, applicabili, non può contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle previsioni collettive di categoria. App. Genova Sez. IV, 01-08-2013 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 6 della legge n. 142 del 2001, nel caso in cui la società cooperativa deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci lavoratori, la contribuzione previdenziale deve essere calibrata sulla base dei minori importi concretamente erogati, in deroga alla disciplina del minimale contributivo di cui all'art. 1 della legge n. 389 del 1989, applicabile in generale anche alle cooperative. App. Perugia Sez. lavoro, 25-06-2013 Alla mancata corrispondenza fra la reale natura del rapporto e la sua veste formale di associazione in partecipazione non deve necessariamente seguire la conclusione che il rapporto sia di natura subordinata. Vengono al riguardo in considerazione l'art. 86, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 e l'art. 1, comma 30, della legge n. 92/2012. Le due norme prevedono infatti la possibilità di provare che un rapporto di lavoro - formalmente di associazione in partecipazione, ma in realtà non corrispondente a tale contratto, per assenza di effettiva partecipazione e di adeguate erogazioni 35 (art. 86, 2 comma, cit.) o di effettiva partecipazione agli utili o senza consegna del rendiconto (art. 1, comma 30, cit.) - non sia di lavoro subordinato. Cass. civ. Sez. lavoro, 22-05-2013, n. 12564 La distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato, impone di accertare se lo schema negoziale pattuito abbia davvero caratterizzato la prestazione lavorativa, ovvero se questa si sia svolta con lo schema della subordinazione. In tal senso è corretta la decisione giudiziale che ritenga in concreto non attuato lo schema negoziale tipico del contratto di associazione in partecipazione, nell'ipotesi in cui sia mancato il controllo sugli utili da parte degli associati, i quali siano, altresì, rimasti sostanzialmente estranei alla gestione dell'azienda. * * * 11. LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO Cass. civ. Sez. lavoro, 28-11-2013, n. 26654 La disposizione di cui all'art. 22, comma quinto, D.Lgs. n. 276 del 2003 si applica soltanto alla somministrazione regolare e non anche a quella fraudolenta. Ne consegue che in caso di somministrazione irregolare o fraudolenta il lavoratore temporaneo deve necessariamente essere computato nell'organico dell'utilizzatore, al fine precipuo di evitare che la somministrazione irregolare raggiunga la sua finalità illecita. Trib. Messina, 27-09-2013 Le conseguenze della somministrazione irregolare non ricadono sulla società di somministrazione tant'è che viene espressamente contemplata la possibilità di convenire in giudizio la sola impresa utilizzatrice. La norma è aderente alla realtà dei fatti: le causali indicate nei contratti di somministrazione sono esplicate dalla società utilizzatrice trattandosi di aspetti riguardanti esclusivamente la loro organizzazione su cui la somministratrice non può intervenire, né il legislatore ha chiesto di farlo, per cui è ovvio che tenuto a contraddire in ordine alla loro sussistenza siano solo le prime non avendo l'agenzia di intermediazione al riguardo alcuna responsabilità. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-09-2013, n. 20598 36 In tema di somministrazione di manodopera, la legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non è sufficiente per rendere legittima l'apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una situazione riconducibile alla ragione indicata nel contratto stesso. (Nella specie, il rapporto di lavoro interinale era stato instaurato per le esigenze di un maggior fabbisogno di personale connesse alla predisposizione a livello nazionale del progetto della nuova rete logistica e l'avviamento dei trasporti locali postali "week end", mentre, in realtà, la filiale di assegnazione del lavoratore non era stata meccanizzata ed aveva continuato ad operare con modalità manuali, senza, pertanto, apprezzabili variazioni delle esigenze di adeguamento delle risorse umane). Cass. pen. Sez. III, 20-06-2013, n. 37379 L'art. 28, comma 1, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 - nel punire la somministrazione di lavoro posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore - contempla un reato permanente. Cass. civ. Sez. lavoro, 29-05-2013, n. 13404 1. In tema di lavoro interinale, l'indennità prevista dall'art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 trova applicazione in ogni caso in cui vi sia una contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato, e dunque anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell'illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del primo comma dell'art. 3 della legge 24 giugno 1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione, atteso che anche tale contratto è riconducibile alla categoria del contratto di lavoro a tempo determinato (come si desume anche dalla Direttiva 1999/70/CE, di recepimento dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, che, proprio per tale astratta riconducibilità, lo ha escluso espressamente dal suo campo di applicazione). 2. L'indennità prevista dall'art. 32 L. 4 novembre 2010 n. 183 si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subìto dal lavoratore a causa dell'illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. Cass. civ. Sez. lavoro, 13-05-2013, n. 11411 Nel contratto di somministrazione di lavoro non è sufficiente il richiamo ai "casi previsti dal contratto collettivo" applicato dall'azienda utilizzatrice, essendo necessaria una più specifica determinazione della causale. La legittimità del contratto di fornitura rappresenta il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. I vizi del contratto commerciale di 37 fornitura tra agenzia interinale ed impresa utilizzatrice si riflettono sul contratto di lavoro. Ed infatti, l'illegittimità del contratto di fornitura implica le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e, dunque, l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, ovvero il datore di lavoro effettivo, stante quanto disposto dall'art. 10, comma 1, della legge n. 196 del 1997. App. L'Aquila Sez. lavoro, 05-04-2013 Gli eventuali vizi formali del contratto di assunzione stipulato dal lavoratore con l'agenzia di somministrazione di lavoro non comportano l'imputazione ope legis del rapporto in capo all'utilizzatore, non rinvenendosi nel D.Lgs. n. 276 del 2003 alcuna previsione in tal senso. In ogni caso deve rilevarsi che l'attuale formulazione dell'art. 21, comma quarto, del citato provvedimento richiede soltanto che il contratto commerciale sia stipulato per iscritto e non anche che il medesimo abbia un determinato contenuto. La norma richiede, invero, ad substantiam, un requisito di forma, non anche un requisito di contenuto-forma, a differenza da quanto previsto dall'art. 1, D.Lgs. n. 368 del 200l, ove il legislatore esige che le ragioni datoriali siano specificate per iscritto. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-04-2013, n. 8120 Il contratto commerciale di somministrazione di manodopera a tempo determinato dev' essere giustificato da ragioni specifiche, non ostando alla specificità la circostanza che le ragioni addotte siano più d'una, purché l'indicazione consenta il controllo giudiziario sulla loro effettività, ossia sulla corrispondenza dell'impiego concreto del lavoratore a quanto affermato nel contratto. Nell'ambito delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore, consentono il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, rientrano le punte di intensa attività non fronteggiabili con il ricorso al normale organico; ne consegue che il riferimento a queste ultime può costituire valido requisito formale di tale tipo di contratto. Cass. civ. Sez. lavoro, 17-01-2013, n. 1148 In tema di lavoro interinale, la legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Ne consegue che l'illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e, quindi, l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo; inoltre, alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs. 38 368 del 2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l'utilizzatore ed il lavoratore. Trib. Firenze Sez. lavoro, 10-01-2013 L'accertata irregolarità del contratto di somministrazione di lavoro, ex art. 27, D.Lgs. n. 276 del 2003, comporta la instaurazione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con decorrenza dall'inizio della somministrazione. La citata previsione, invero, nella parte in cui richiama il rapporto di lavoro subordinato senza ulteriori specificazioni, deve intendersi riferita ad un rapporto a tempo indeterminato, non potendosi, in caso contrario, comprendere l'efficacia deterrente della imputazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, ormai esauritosi, in capo all'utilizzatore anziché al somministratore. In tal contesto, inoltre, nemmeno rileva la circostanza che il contratto individuale di lavoro subordinato tra lavoratore e somministratore da una parte, e quello commerciale tra somministratore e utilizzatore dell'altra, siano a tempo determinato, in quanto a norma del citato art. 27, viene costituito un nuovo e distinto rapporto di lavoro subordinato tra parti diverse, ovvero tra prestatore di lavoro ed utilizzatore (fatta salva la previsione di cui all'art. 27, comma secondo). Tribunale di Roma, Sent. del 9-01-2014 Il contratto di somministrazione a tempo determinato è legittimo “a fronte di qualsiasi motivazione, anche di natura non temporanea, riferita all’attività produttiva”. * * * 12. L’ORARIO DI LAVORO Cass. civ. Sez. lavoro, 07-02-2014, n. 2837 Il tempo impiegato per indossare la divisa è da considerarsi lavoro effettivo e, pertanto, deve essere retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-10-2013, n. 24180 In materia di lavoro subordinato, in relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, occorre distinguere il danno da usura psicofisica del lavoratore, conseguente alla mancata fruizione 39 del riposo dopo sei giorni di lavoro settimanale, dal danno alla salute, ovvero danno biologico, consistente in una sorta di infermità del lavoratore cagionata dall'attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita da riposi settimanali. Mentre il danno da usura psicofisica del lavoratore ha carattere presuntivo, il danno alla salute deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza, sia nel nesso eziologico, prescindendo dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall'illecito contrattuale. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-09-2013, n. 21361 In tema di lavoro notturno, l'art. 4, comma primo, del d. lgs. 26 novembre 1999, n. 532, e l'art. 13 del d. lgs. 8 aprile 2003, n. 66, consentono alla contrattazione collettiva di prevedere una flessibilità dell'orario di lavoro notturno, che consenta l'avvicendamento nel servizio con eventuale superamento del limite giornaliero delle otto ore, al fine di assicurare la presenza di personale per fare fronte ad emergenze impreviste, non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere la necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio. (fattispecie relativa a personale di vigilanza addetto ai turni di notte). Cons. Stato Sez. III, 12-09-2013, n. 4525 Nel settore sanitario l'istituto del plus orario (previsto dagli artt. 59 ss. del d.P.R. n. 348 del 1983, poi 66 ss. e 101 ss. del d.P.R. n. 270 del 1987, quindi 123 ss. del d.P.R. n. 384 del 1990) non implica l'automatica liquidazione in favore del lavoratore di un compenso in misura fissa e predeterminata, commisurata allo stipendio tabellare, per le ore di lavoro prestate in eccedenza (appunto in plus orario), ma presuppone lo svolgimento di una complessa ed articolata procedura che prima della liquidazione prevede: - la programmazione di tale attività, in relazione alle finalità incentivanti perseguite, tramite l'adozione di formali atti autorizzatori; - il controllo della compatibilità finanziaria; - la trattativa con le organizzazioni sindacali aziendali rappresentative delle diverse categorie di personale del comparto e la stipula di un'intesa; - la verifica del conseguimento degli specifici obiettivi individuati. Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 30-05-2013, n. 342/12 Gli articoli 6, par. 1, lettere b) e c), nonché 7, lettere c) ed e), della Direttiva n. 95/46/CE non ostano ad una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, che impone al datore di lavoro l'obbligo di mettere a disposizione dell'autorità nazionale competente in materia di vigilanza sulle condizioni di lavoro il registro dell'orario di lavoro al fine di consentirne la consultazione immediata, nella misura in cui tale obbligo sia necessario ai fini dell'esercizio da parte di detta autorità della sua attività di vigilanza dell'applicazione della disciplina in materia di condizioni di lavoro, in particolare per quanto riguarda l'orario di lavoro. 40 Cass. civ. Sez. Unite, 16-05-2013, n. 11828 La vestizione degli indumenti di lavoro (e, più in generale, della divisa aziendale) costituisce un'operazione preparatoria della prestazione di lavoro e ad essa strumentale. La consolidata giurisprudenza della Sezione lavoro ritiene che al fine di valutare se il tempo occorrente per tale operazione debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica. In particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa o gli indumenti (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro), la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non deve essere retribuito. Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, l'operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito Cass. civ. Sez. lavoro, 15-05-2013, n. 11727 In caso di servizio di reperibilità prestato in giorno festivo senza effettivo svolgimento di attività lavorativa (c.d. reperibilità passiva), al dipendente - il quale, in applicazione della normativa collettiva del comparto sanità, ha diritto alla fruizione di un giorno di riposo compensativo senza riduzione del debito orario - non spetta il risarcimento del danno da usura psico-fisica, per mancata fruizione del riposo compensativo, ove non abbia rigorosamente provato la sussistenza di un concreto pregiudizio in tal senso. Cons. Stato Sez. III, 24-04-2013, n. 2312 La circostanza che un dipendente pubblico abbia effettuato prestazioni eccedenti l'orario d'obbligo non è da sola sufficiente a radicare il suo diritto alla retribuzione e l'obbligo dell'amministrazione di corrisponderla atteso che, altrimenti, si determinerebbe l'equiparazione del lavoro straordinario autorizzato con quello per il quale non è intervenuto alcun provvedimento autorizzativo, compensando attività lavorative svolte in via di fatto, ma non rispondenti ad alcuna riconosciuta necessità. Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 11-04-2013, n. 335/11 L'art. 5 della Direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che la riduzione dell'orario di lavoro può costituire uno dei provvedimenti di adattamento necessari. Spetta al giudice nazionale valutare se, nelle circostanze del caso, la riduzione dell'orario di lavoro quale provvedimento di adattamento rappresenti un onere sproporzionato per il datore di lavoro. 41 Cons. Stato Sez. IV, 26-02-2013, n. 1186 Deve escludersi che l'Amministrazione militare sia di norma tenuta a pagare le ore di lavoro straordinario prestate dai propri dipendenti in eccedenza al limite massimo previsto dal monte ore autorizzato e senza che risulti comprovata l'effettiva autorizzazione preventiva a svolgere il lavoro extra orario: per questo genere di prestazioni eccedenti il militare ha solo il diritto eventualmente a fruire di corrispondenti riposi compensativi. App. L'Aquila Sez. lavoro, 25-01-2013 Il lavoratore che proponga azione giudiziale per la rivendicazione economica a titolo di lavoro straordinario è gravato dall'onere di allegare e provare i fatti costitutivi del diritto a tale compenso ex art. 2697 c.c., in riferimento sia all'orario normale di lavoro, ove diverso da quello legale o contrattuale, sia alla prestazione di lavoro asseritamente eccedente quello ordinario. Né, in tale contesto, può farsi ricorso al criterio equitativo di cui all'art. 432 c.p.c. attenendo quest'ultimo alla valutazione del valore economico della prestazione lavorativa e non anche alla esistenza ed alla quantità di essa. * * * 13. LA RETRIBUZIONE Cass. civ. Sez. lavoro, 11-02-2014, n. 3027 Le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per violazione dei molteplici obblighi facenti carico al datore di lavoro, hanno natura retributiva solo quando derivino da un inadempimento, il quale, pur non riguardando direttamente l'obbligazione retributiva, tuttavia incida immediatamente su di essa in quanto determini la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente. Viceversa, le attribuzioni patrimoniali che il lavoratore riceve, come nel caso di cui all'art.32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, a titolo di risarcimento del danno per violazione degli altri obblighi del datore, sebbene siano anch'esse dipendenti dal rapporto di lavoro non hanno natura retributiva. Ne deriva che sull'indennità ex art. 32 della citata legge n. 183 non spettano né la rivalutazione monetaria, né gli interessi legali, se non dal momento della pronuncia giudiziaria dichiarativa dell'illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato. Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 16-01-2014, n. 429/12 42 Il principio di effettività, non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, di assoggettare a un termine di prescrizione trentennale - che inizia a decorrere dalla conclusione dell'accordo in forza del quale è stata fissata la data di riferimento ai fini dell'avanzamento o dall'inquadramento a un livello di retribuzione erroneo - il diritto del dipendente di chiedere una nuova valutazione dei periodi di servizio da prendere in considerazione ai fini della fissazione di tale data di riferimento. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-11-2013, n. 26287 L'irripetibilità della retribuzione perduta durante la sospensione cautelare si giustifica unicamente nell'ipotesi in cui il procedimento disciplinare si concluda con la destituzione, ora licenziamento, del lavoratore, giacché con la decisione definitiva cessa la ragion d'essere della misura cautelare. Cass. civ. Sez. lavoro, 15-11-2013, n. 25730 In tema di premio di produzione. Deve rilevarsi che l'uso aziendale presuppone l'esistenza di un trattamento di maggior favore a favore dei lavoratori rispetto a quello previsto dai contratti individuali e collettivi di lavoro, il che non si verifica nella fattispecie all'esame, ove il premio di produzione costituisce un elemento aggiuntivo della retribuzione contrattualmente previsto, e che comunque, secondo il più recente e condiviso orientamento di questa Corte, agendo l'uso aziendale sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, deve riconoscersi la conseguente legittimazione delle fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica in peius del trattamento in tal modo attribuito. Corte giustizia Unione Europea Sez. VII, 07-11-2013, n. 522/12 L'articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi, dev'essere interpretato nel senso che non osta all'integrazione nel salario minimo di elementi retributivi che non modificano il rapporto tra la prestazione del lavoratore, da un lato, ed il corrispettivo da quest'ultimo percepito a titolo di retribuzione di tale prestazione, dall'altro. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga nel caso degli elementi retributivi di cui trattasi nel procedimento principale. Trib. Milano Sez. lavoro, 04-11-2013 L'art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza e adeguatezza della retribuzione prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e l'art. 3 Cost. impone l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma non anche nei rapporti tra privati: 43 conseguentemente la mera attribuzione di un trattamento retributivo superiore a parità di mansioni non potrebbe mai costituire fondamento del diritto di altri lavoratori al medesimo superiore compenso, ma solo al risarcimento del danno laddove risulti provata non solo la mera disparità di trattamento (fatto di per sé legittimo), ma anche l'illegittimità del comportamento datoriale, attraverso la prova dell'intento discriminatorio. Cons. Stato Sez. V, 17-10-2013, n. 5046 La riforma contenuta nel d.lgs. n. 387 del 1998 ha una valenza innovativa nel senso che nel pubblico impiego il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori effettivamente svolte è stato introdotto con carattere di generalità, nel rispetto dei precetti costituzionali, dall'art. 15, d.lgs. n. 387 cit., a decorrere dalla sua entrata in vigore (22 novembre 1998), con norma avente natura innovativa e non ricognitiva o retroattiva, ferma restando la necessità di una determinazione formale dell'Amministrazione e della vacanza del posto in organico. Cass. civ. Sez. lavoro, 15-10-2013, n. 23366 In tema di passaggio di personale da un'amministrazione all'altra, il mantenimento del trattamento economico collegato al complessivo "status" posseduto dal dipendente prima del trasferimento opera nell'ambito, e nei limiti, della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento, trovando giustificazione la conservazione del trattamento più favorevole nel principio di irriducibilità della retribuzione, principio questo che però, ove subentri un trattamento complessivamente migliore per tutti i dipendenti, non giustifica - in assenza di una diversa specifica indicazione normativa - l'ulteriore mantenimento del divario, la cui inalterata persistenza si pone in contrasto con il principio di parità di trattamento dei dipendenti pubblici stabilito dall'art. 45 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. (Fattispecie relativa alla conservazione dell'assegno di garanzia attribuito ai dipendenti dell'INADEL, conservato a seguito del passaggio all'INPDAP e poi riassorbito al momento del passaggio alla qualifica e posizione superiore). Cass. civ. Sez. lavoro, 11-10-2013, n. 23178 Nei rapporti giuridici di durata, quale il rapporto di lavoro, non è interdetto al legislatore modificare "in peius" la posizione di una delle parti, prevedendo una diversa retribuzione, salvo il limite della ragionevolezza e l'assenza del diritto di ripetere le somme già corrisposte; ne deriva che l'art. 1, comma 116, della legge n. 662 del 1996, può ben modificare il trattamento economico dei militari di leva, a decorrere dalla data dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, a prescindere dalla data del bando di reclutamento del personale e, quindi, anche con riferimento al personale già ammesso al servizio di leva. 44 Cons. Stato Sez. III, 25-09-2013, n. 4735 Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la domanda di un professore universitario per l'accertamento del proprio diritto alla corresponsione in misura piena della retribuzione di posizione, rapportata all'incarico di direttore di dipartimento ad attività integrata presso un'Azienda ospedaliera. Cons. Stato Sez. III, 24-09-2013, n. 4688 La domanda del dipendente pubblico volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa in virtù dello svolgimento di mansioni superiori non può fondarsi sull'art. 2041 c.c. stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e non dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che abbia comunque percepito legittimamente la retribuzione prevista per la qualifica. Cass. civ. Sez. lavoro, 20-09-2013, n. 21631 In tema di personale del comparto della scuola al personale inquadrato nella qualifica superiore nel profilo professionale di direttore dei servizi generali ed amministrativi non compete un trattamento economico parametrato all'intera anzianità di servizio, essendo stato adottato, in applicazione dell'art. 8 del CCNL 15 marzo 2001, il criterio della cd "temporizzazione", consistente nel convertire il valore economico della retribuzione in godimento in anzianità spendibile per l'inquadramento; ciò non contrasta con norme imperative in materia, restando peraltro sottratte le clausole contrattuali al sindacato giurisdizionale sotto il profilo dell'opportunità delle scelte operate dai contraenti anche per quanto concerne l'equiparazione graduale di posizioni analoghe. Cass. civ. Sez. lavoro, 13-09-2013, n. 21010 L'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute fiscali, atteso che il meccanismo di queste ultime si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione delle spettanze retributive (come pure all'assegnazione delle relative somme in sede di esecuzione forzata) non ha il potere d'interferire, restando le dette somme assoggettate a tassazione, secondo il criterio cd. di cassa e non di competenza, soltanto una volta che saranno dal lavoratore effettivamente percepite. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-09-2013, n. 20604 45 In tema di trattamento di fine rapporto spettante ai dipendenti della Regione Sicilia, l'art. 6, quinto comma, legge reg. Sicilia 1 febbraio 1963, n. 11, nel prevedere il computo degli "emolumenti fissi e continuativi in godimento all'atto della cessazione dal servizio", si riferisce esclusivamente alle voci di retribuzione che, secondo la normativa regionale, sono riconosciute ai dipendenti della Regione. Ne consegue che restano esclusi gli emolumenti che trovino causa in una situazione contingente e temporanea - quale quella del distacco o del comando - in quanto destinati a venire meno una volta che questa sia cessata. (In applicazione del principio di cui alla massima, la S.C. ha ritenuto non computabile nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto l'indennità di amministrazione percepita dal lavoratore, dipendente regionale della Sicilia, in qualità di comandato presso la Corte dei conti). T.A.R. Campania Napoli Sez. V, 02-09-2013, n. 4142 Il diritto del dipendente alla corresponsione dell'indennità sostitutiva per le ferie non godute soggiace al termine di prescrizione decennale, essendo direttamente correlato ad un inadempimento contrattuale del datore di lavoro. All'indennità sostitutiva delle ferie non godute, infatti, è riconosciuta natura risarcitoria, per effetto dell'inadempimento contrattuale del datore di lavoro, obbligato, quando l'adempimento in forma specifica sia divenuto impossibile. Il risarcimento del danno comprende, quindi, la retribuzione dovuta per il lavoro prestato nei giorni destinati alle ferie o al riposo, nonché la riparazione degli ulteriori danni subiti dal lavoratore a seguito del mancato riposo psicofisico cui ha diritto. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-08-2013, n. 19579 Il lavoratore che opera alle dipendenze di una ditta appaltatrice ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la pulizia della divisa da lavoro (nella specie, la Suprema corte trae la configurabilità del diritto dall'esistenza di una clausola del contratto di appalto, in applicazione dello schema del contratto a favore di terzi ex art. 1411 c.c.). Cass. civ. Sez. lavoro, 07-08-2013, n. 18835 In tema di sospensione cautelare dal servizio nell'impiego pubblico connessa alla pendenza di un procedimento penale, l'art. 7, comma 27, del c.c.n.l. del comparto Ministeri del 16 maggio 1995, nel prevedere l'automatica perdita di efficacia della misura ove intervenga una sentenza di assoluzione o il proscioglimento con formula piena, stabilisce il conguaglio di "quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio", rispondendo tale soluzione alla natura non sanzionatoria ma meramente cautelare provvisoria della misura. Ne consegue che spetta all'ufficiale giudiziario, nei cui confronti sia stata disposta la suddetta misura poi rimasta caducata a seguito di assoluzione, l'integrale ripristino, con effetto "ex tunc", dell'intero trattamento economico, con inclusione nella retribuzione di tutto ciò che gli sarebbe spettato ove avesse prestato la normale attività lavorativa, 46 ivi compresa l'indennità di trasferta, atteso che, ai sensi dell'art. 133, settimo comma, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1223, aggiunto dall'art. 7, comma 1, della legge 18 febbraio 1999, n. 28, la stessa non ha più carattere personale ma è attribuita all'ufficio e va ripartita, in parti uguali, tra tutti coloro che ne fanno parte. Cass. civ. Sez. lavoro, 23-07-2013, n. 17895 Nel regime antecedente al d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214 - il cui art. 6 ha abrogato gli istituti dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, così attribuendo all'I.N.A.I.L. la gestione dell'intera materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali sul lavoro dei dipendenti pubblici, fatta eccezione per i comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico - il sistema assicurativo previsto in favore dei dipendenti pubblici, comunque gestito, era basato sul principio secondo cui la retribuzione automaticamente erogata dall'amministrazione di appartenenza al dipendente infortunatosi per causa di servizio escludeva la corresponsione dell'indennità per inabilità temporanea assoluta da parte dell'I.N.A.I.L. Trib. Napoli, 26-06-2013 In ambito di rapporto lavorativo, in caso di mancata concessione del riposo settimanale, con definitiva perdita dello stesso da parte del lavoratore, sussista una violazione dell'art. 36, comma 3, Cost., oltre che dell'art. 2109 cod. civ., per cui alla sua perdita corrisponda il diritto del prestatore ad uno specifico compenso, tenuto conto che la qualità del lavoro, ex art. 36 Cost., deve essere valutata anche con riguardo al maggior costo personale che la prestazione comporta per il lavoratore, con la conseguenza che in caso di lavoro nel settimo giorno, pur con fruizione di riposo compensativo, il datore di lavoro ha sempre l'obbligo di corrispondere una specifica maggiorazione, da considerarsi alla stregua di una retribuzione differenziale. Secondo tale principio di diritto i lavoratori che non fruiscano del riposo settimanale dopo sei giorni di lavoro continuo hanno diritto ad un compenso specifico, ulteriore ed aggiuntivo rispetto a quello destinato a retribuire il lavoro prestato nella giornata di domenica; tale compenso o è previsto dal contratto collettivo o spetta comunque in base al principio di proporzionalità di cui all'art 36 Cost. Nel caso in cui tale maggiorazione non sia contrattualmente fissata, o la giornata di riposo compensativo non venga comunque assicurata, il supplemento retributivo dovuto potrà essere determinato dal giudice tenuto conto di quanto stabilito dalle norme collettive per il lavoro festivo o straordinario o comunque in via equitativa. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-06-2013, n. 15928 Ai sensi dell'art. 7, punto 4, parte speciale Alitalia del c.c.n.l. 4 maggio 1989, come recepito e modificato dal c.c.n.l. 5 febbraio 1992 degli assistenti di volo dipendenti da compagnia di 47 navigazione aerea a partecipazione statale, il superamento dell'impiego minimo di 40 ore di volo nel mese va retribuito, per le ore successiva alla quarantesima, con la maggiorazione oraria calcolata secondo i coefficienti previsti dallo stesso art. 7, punto 4, ma, ove ciò si verifichi per effetto del cumulo tra ore effettive di volo (in misura inferiore a tale limite) ed ore di addestramento o di godimento ferie, ciò deve avvenire con la riduzione di una unità, rispondendo tale interpretazione alle finalità della norma collettiva di tutela del personale esposto a situazioni di maggiore usura e di protratta esposizione al volo a seguito di impiego effettivo. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-06-2013, n. 15941 Lo stato di carcerazione preventiva (o di custodia cautelare) del lavoratore subordinato non rientra tra le ipotesi, tutelate dalla legge, di impossibilità temporanea della prestazione, quale la malattia e le altre situazioni contemplate dall'art. 2110 cod. civ., e comporta la perdita del diritto alla retribuzione per tutto il tempo in cui si protrae la carcerazione medesima, senza che - ove la detenzione concorra con il provvedimento di sospensione cautelare disposto dal datore di lavoro in pendenza del procedimento penale - possa essere invocato il principio della cosiddetta priorità della causa sospensiva della prestazione lavorativa, secondo il quale si considera prevalente ai fini del trattamento retributivo la causa verificatasi prima, atteso che esso si riferisce unicamente alle suddette cause legali di sospensione con diritto alla retribuzione. Cons. Giust. Amm. Sic., 05-06-2013, n. 561 In materia di pubblico impiego, il principio di onnicomprensività della retribuzione, introdotto dall'art. 19 del D.P.R. n. 191 del 1979, impedisce di rivendicare compensi aggiuntivi per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili all'assolvimento dei doveri istituzionali dei dipendenti. L'onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti regionali costituisce la regola posta dal legislatore, secondo la quale vanno assorbite nel complessivo trattamento economico tutte le indennità in precedenza prevista e concesse in relazione a peculiari funzioni, eventualmente svolte dai vari dirigenti nelle differenti branche dell'amministrazione regionale. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-05-2013, n. 10559 In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, gli artt. 10 e 11 del CCNL del Comparto RegioniAutonomie locali s'interpretano nel senso che la retribuzione, prevista dall'art. 10 predetto, richiamato dal successivo art.11 per il personale dei Comuni privi di posizione dirigenziale, non è parte irrinunciabile e necessaria del trattamento economico accessorio e, pertanto, il dipendente non vi ha diritto per il solo fatto che gli sia stata attribuita la responsabilità degli uffici e servizi individuati, ma la sua erogazione è subordinata alla valutazione positiva dell'Amministrazione circa il raggiungimento di obiettivi gestionali programmati o determinati livelli di prestazione, fermo restando che la facoltà di affidare funzioni direttive ai responsabili degli uffici è esercitabile 48 nell'ambito delle risorse finanziarie ivi previste a carico dei rispettivi bilanci, non essendo per siffatti Comuni contemplato un esonero dalla corresponsione della retribuzione di risultato. Cass. civ. Sez. lavoro, 30-04-2013, n. 10180 Qualora la domanda per congedo di maternità, con richiesta di congedo flessibile, e le relative certificazioni mediche, attestanti l'assenza di rischi per la gestante e per il nascituro, siano presentati oltre il settimo mese e la lavoratrice abbia continuato a lavorare, il datore di lavoro, salve le sue eventuali responsabilità di natura penale, dovrà corrisponderle la retribuzione, di guisa che la lavoratrice, avendo lavorato nell'ottavo mese, usufruirà dell'astensione sino al quarto mese successivo alla nascita, percependo dall'Inps la relativa indennità. Cons. Stato Sez. VI, 30-04-2013, n. 2352 Il credito di lavoro risulta credito di valuta, sicché la rivalutazione monetaria, la quale al pari degli interessi è un effetto del ritardo nel soddisfacimento del credito, non può essere inclusa ab origine nel contenuto del diritto, assolvendo invece, quale tecnica liquidatoria, ad una funzione accessoria parallela a quella degli interessi, con cui concorre alla complessiva riparazione del danno da inadempimento. Trib. Bari Sez. lavoro, 22-04-2013 Il dirigente, in ipotesi si passaggio a diverso incarico, non è titolare del diritto al mantenimento della pregressa retribuzione di posizione. In tal senso, invero, la norma di cui all'art. 19, comma primo, D.Lgs. n. 165 del 2001, prevede chiaramente la inapplicabilità dell'art. 2103 c.c. Cons. Stato Sez. V, 27-03-2013, n. 1780 In caso di instaurazione di rapporto di pubblico impiego nullo per violazione di norme imperative il trattamento economico va determinato ex art. 2126 c.c., non mediante paga oraria ma mediante stipendio mensile lordo iniziale rapportato alle funzioni svolte comprensivo della indennità integrativa speciale, della tredicesima mensilità e degli altri elementi accessori e continuativi della retribuzione (buoni pasto, premi di produzione), nonché della indennità di fine rapporto. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-03-2013, n. 6709 Il diritto all'alloggio gratuito od alla relativa indennità sostitutiva, così come configurati dalla contrattazione collettiva per gli autoferrotramvieri, non costituisce una componente 49 della retribuzione, ma una competenza accessoria che si aggiunge, come condizione di miglior favore, ai minimi tabellari e, pertanto, non può trovare tutela nell'art. 36 cost., che si riferisce ai minimi retributivi fissati dalla contrattazione collettiva ed idonei a garantire la proporzionalità della retribuzione stessa alla qualità e quantità del lavoro prestato, senza contenere un principio di comparazione intersoggettiva, implicante che ai lavoratori dipendenti di una stessa impresa debba essere attribuito, a parità di qualifica e di mansioni, un identico trattamento economico. Da ciò consegue la validità delle clausole della contrattazione collettiva o aziendale che prevedono il diritto all'alloggio gratuito o alla relativa indennità sostitutiva, fissandone presupposti ed elementi costitutivi al di fuori di ogni previsione legislativa, e la impossibilità per il giudice di sindacare le valutazioni dell'autonomia collettiva e di sostituirsi ad essa nella determinazione dell'indennità. Cass. civ. Sez. lavoro, 01-03-2013, n. 5147 Posto il divieto di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore fuori dalle ipotesi previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva o comunque fuori da circostanze eccezionali, spetta al lavoratore che abbia subìto un periodo di sospensione cautelare facoltativa eccedente rispetto a quello della sospensione irrogata a seguito di procedimento disciplinare la retribuzione maturata nel periodo eccedente, al netto degli assegni alimentari percepiti. Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 28-02-2013, n. 427/11 L'art. 141, Trattato 25 marzo 1957, e la Direttiva n. 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, devono essere interpretati nel senso che: a) dei lavoratori esercitano uno stesso lavoro o un lavoro di valore uguale se, tenuto conto di un complesso di fattori, quali la natura dell'attività lavorativa, le condizioni di formazione e le condizioni di lavoro, si può ritenere che essi si trovino in una situazione comparabile, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare; b) nell'ambito di una discriminazione salariale indiretta, spetta al datore di lavoro fornire una giustificazione oggettiva concernente la differenza di retribuzione accertata tra i lavoratori che si ritengono discriminati e le persone di riferimento; c) la giustificazione fornita dal datore di lavoro della differenza di retribuzione rivelatrice di una discriminazione apparente basata sul sesso deve ricollegarsi alle persone di riferimento che - in ragione del fatto che la loro situazione è caratterizzata da dati statistici attendibili riguardanti un numero sufficiente di persone, che non riflettono fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e che, in generale, appaiono significativi - sono state prese in considerazione dal giudice nazionale per accertare detta differenza, e d) l'interesse a mantenere buone relazioni sindacali può essere preso in considerazione dal giudice nazionale tra gli elementi che gli consentono di valutare se differenze tra le retribuzioni di due gruppi di lavoratori siano dovute a fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso e se siano conformi al principio di proporzionalità. 50 Trib. Perugia Sez. lavoro, 12-02-2013 In mancanza di pattuizioni contrattuali, la retribuzione, secondo il disposto di cui all'art. 2099 c.c., deve essere corrisposta con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito, anche in considerazione dell'oggetto disciplinato. Tale norma, pertanto, rimanda chiaramente all'uso locale, cui fare riferimento in mancanza di diverse previsioni pattizie. Sull'uso predetto, in ogni caso, in quanto fonte di diritto di rango inferiore, prevale la buona fede, quale espressione legislativa di inderogabili principi dell'ordinamento giuridico italiano. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-02-2013, n. 2941 L'art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010, di interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1 del d.l. n. 2 del 2004, convertito nella legge n. 63 del 2004, nel prevedere a favore dei collaboratori esperti linguistici, già assunti quali lettori di madre lingua straniera a norma dell'art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980, l'attribuzione del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato "in misura proporzionata all'impegno orario effettivamente assolto" con decorrenza dalla data di prima assunzione sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto e, successivamente, a tutela dei diritti maturati, la conservazione, quale trattamento retributivo individuale, dell'eventuale maggior importo percepito, ha disposto l'estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge. Ne consegue che, ove la controversia sia pendente in cassazione, va dichiarato estinto solo quest'ultimo giudizio con salvezza - in assenza di una espressa indicazione normativa volta a privare di effetto anche i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato - della sentenza di merito, dovendosi escludere, da un lato, l'applicazione della nuova disciplina sostanziale posto che il processo non può proseguire in quanto estinto, e, dall'altro, che la disposizione processuale di estinzione generi dubbi di legittimità costituzionale o di non conformità alle norme comunitarie o della CEDU ove la decisione di merito abbia accolto integralmente la domanda. Cass. civ. Sez. lavoro, 15-01-2013, n. 813 In tema di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc.dd. istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non esiste un principio generale ed inderogabile di omnicomprensività e, pertanto, nella quantificazione degli istituti indiretti il compenso per lavoro notturno o straordinario di turno può essere computato esclusivamente qualora ciò sia previsto da specifiche norme di legge o di contratto collettivo; tale disciplina collettiva, stabilendo un trattamento di maggior favore, può derogare, ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della legge 14 luglio 1959, n. 741, anche al criterio di computo della tredicesima mensilità dettato - richiamando la "retribuzione globale di fatto" - dall'accordo interconfederale per l'industria 27 ottobre 1946, esteso "erga omnes" con d.P.R. 28 luglio 1960, n. 1070, escludendo la computabilità dei compensi aggiuntivi nella tredicesima e prevedendo l'attribuzione di benefici diversi a favore del lavoratore. 51 (In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto del lavoratore al computo nella tredicesima mensilità del compenso per lavoro notturno prestato secondo turni ricorrenti e con cadenza programmata, in considerazione della idoneità derogatoria all'accordo confederale della previsione -contenuta nei contratti collettivi applicabili al rapporto- relativa alla corresponsione di una quattordicesima mensilità, essendo questa appartenente allo stesso istituto contrattuale delle mensilità aggiuntive). Cass. civ. Sez. lavoro, 07-01-2013, n. 176 La retribuzione contributiva, alla quale, per i dipendenti degli enti locali, si commisura, a norma dell'art. 4 legge 8 marzo 1968 n. 152, l'indennità premio di servizio, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma 5, della legge medesima, la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione "stipendio o salario" richiede un'interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici di anzianità, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura; ne consegue che non possono assumere rilievo, ai fini della determinazione della suindicata indennità, gli incrementi dell'indennità di qualificazione professionale e valorizzazione delle responsabilità (art. 45 c.c.n.l. Comparto Sanità 1994 - 1997), in quanto detta indennità non fa parte degli emolumenti specificamente indicati dalla norma e i relativi incrementi non possono considerarsi come componente dello stipendio. * * * 14. INQUADRAMENTO E MANSIONI DEL LAVORATORE Cass. civ. Sez. lavoro, 08-01-2014, n. 172 Il danno alla professionalità non può considerarsi in re ipsa nel semplice demansionamento, essendo onere del dipendente dimostrare tale danno, fornendo, ad esempio, la prova di un ostacolo alla progressione di carriera. Cons. Stato Sez. V, 29-11-2013, n. 5715 Nell'ambito del pubblico impiego lo svolgimento di fatto da parte del dipendente di mansioni superiori a quelle dovute in base all'inquadramento è del tutto irrilevante, sia ai fini economici, sia ai fini della progressione di carriera, salva l'esistenza di un'espressa disposizione che disponga diversamente; né la domanda del dipendente, tesa ad ottenere la retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile, per effetto dello svolgimento delle mansioni superiori, può fondarsi sull'art. 36 Cost. in quanto il principio della corrispondenza della retribuzione dei lavoratori 52 alla qualità e alla quantità del lavoro prestato non trova incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo con altri principi di pari rilievo costituzionale, quali quelli di cui agli artt. 97 e 98; ovvero sugli artt. 2126 c.c., concernente solo l'ipotesi della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato, e 2041 c.c. stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che abbia comunque percepito la retribuzione prevista per la qualifica rivestita (si veda oggi d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, art. 15). Cass. civ. Sez. lavoro, 15-11-2013, n. 25734 In merito alla richiesta di un'altezza minima per il lavoratore, si rileva come il giudice deve apprezzare incidentalmente la legittimità, ai fini della sua disapplicazione, della previsione di un'altezza minima. Il giudice deve, dunque, valutare in concreto la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni, mediante l'accertamento di quali siano le mansioni cui il lavoratore interessato potrebbe essere addetto e se le stesse potrebbero essere svolte anche con una statura inferiore a quella richiesta. (Nella fattispecie si è riconosciuta, in conformità a quanto sancito nella sentenza censurata, l'illegittimità della richiesta dell'altezza minima pari ad mt. 1,60 per il capo treno). Cass. civ. Sez. lavoro, 11-10-2013, n. 23170 L'art. 10, comma 2, della legge n. 68 del 1999, recante le "Norme per il diritto al lavoro dei disabili", prevede che il datore di lavoro non può richiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni. (Principio in base al quale, nella fattispecie, si è rilevato come l'azienda ricorrente non avrebbe dovuto eccepire l'incapacità del lavoratore a svolgere mansioni di concetto, ma avrebbe dovuto concordare con il medesimo un patto di demansionamento, cosa mai verificatasi). Cass. civ. Sez. lavoro, 08-10-2013, n. 22872 In materia di mansioni del lavoratore, qualora sia chiesto in giudizio il riconoscimento di una determinata qualifica- anche di carattere dirigenziale - superiore a quella di inquadramento formale, il giudice - senza con ciò incorrere nel vizio di ultrapetizione - può riconoscere l'inquadramento in una qualifica intermedia tra quella richiesta dal lavoratore e quella attribuita dal datore di lavoro purché il lavoratore prospetti adeguatamente gli elementi di fatto relativi allo svolgimento di mansioni della qualifica intermedia. Cass. civ. Sez. lavoro, 30-09-2013, n. 22324 53 In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'art. 30, comma 12, del contratto collettivo regionale di lavoro per il personale non dirigente degli enti locali del 1 agosto 2002, nel prevedere che "il personale dell'ex quinta qualifica funzionale viene convenzionalmente inquadrato ai soli fini dell'anzianità e senza alcun beneficio economico, nella sesta qualifica funzionale a decorrere dal 1 gennaio 1998 e a decorrere dal 1 gennaio 2001 ad ogni effetto di contratto" configura un nuovo inquadramento contrattuale, "ope contractus", che non richiede il previo esperimento delle attitudini alle nuove mansioni, esigibili all'intera categoria ai sensi dell'art. 25, comma 2, c.c.r.l. citato, essendo prevista una selezione secondo parametri attitudinali professionali solo per i passaggi successivi al trattamento tabellare iniziale. Né assume rilievo che la clausola contrattale comporti un aggravio economico per l'ente comunale, trattandosi di conseguenza imputabile alle parti contraenti. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-09-2013, n. 22242 In materia di incarichi dirigenziali per la regione Calabria, la legge reg. Calabria 13 maggio 1996, n. 7, pur avendo ordinato l'intera dirigenza regionale in un'unica qualifica, ha mantenuto un'articolazione gerarchica dei compiti e delle responsabilità, prevedendo che gli incarichi dirigenziali sono "attribuiti tenendo conto della professionalità e dell'esperienza acquisite nel corso della carriera e necessarie per il posto da ricoprire", a cui corrisponde una graduazione dei compensi, la cui conservazione a favore del personale che ne sia già titolare è comunque assicurata - ai sensi dell'art. 41 della legge regionale citata - nella fase di prima applicazione della legge. Ne consegue che il provvedimento di assegnazione di un dirigente, avente nel pregresso ordinamento la qualifica di dirigente superiore di secondo livello, di un "servizio" anziché di un "settore", con corrispondente diminuzione della retribuzione, integra una lesione delle posizioni acquisite, la cui ridefinizione è ammissibile solo in ragione di una motivata diversa attribuzione delle funzioni. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-09-2013, n. 21922 Non appare utilmente invocabile la giurisprudenza di questa Corte evocata dalla società ricorrente, secondo la quale l'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod.civ. da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l'art. 1460 del cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-09-2013, n. 21356 54 1. Lo ius variandi di cui gode il datore di lavoro ed espressione della tutela costituzionale della libertà d'impresa di cui all'art. 41 Cost. può essere esercitato solo nel rispetto dell'art. 2103 c.c. In definitiva, il datore di lavoro, a fronte di una ristrutturazione aziendale, può mutare le mansioni di un proprio dipendente che devono, tuttavia, essere compatibili con il livello di inquadramento e con la professionalità acquisita dal lavoratore medesimo. 2. È illegittimo il demansionamento disposto da parte del datore di lavoro, senza il consenso del dipendente, al solo fine dichiarato di evitare il licenziamento. Una volta accertato il demansionamento, onde determinare il risarcimento del danno, è possibile fare ricorso al criterio equitativo. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-08-2013, n. 18808 In materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica - anche non immediatamente - superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto dell'art. 52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore - e tale diritto non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all'operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all'art. 36 Cost. Cass. civ. Sez. lavoro, 14-06-2013, n. 15010 Ai fini della verifica del legittimo esercizio dello "ius variandi" da parte del datore di lavoro, deve essere valutata, dal giudice di merito - con giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato - la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente, senza che assuma rilievo che, sul piano formale, entrambe le tipologie di mansioni rientrino nella medesima area operativa. (Nella specie, il c.c.n.l. per i dipendenti postali del 26 novembre 1994, nell'introdurre le nuove classificazioni per il personale aveva accorpato in un'unica area operativa mansioni in precedenza diversificate, prevedendo la fungibilità tra i diversi settori operativi; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha rilevato che, correttamente, la corte territoriale aveva ritenuto vi fosse stata una concreta dequalificazione attesa la destinazione del lavoratore allo svolgimento di semplici compiti di sportello con sottrazione delle funzioni di coordinamento e controllo di altro personale precedentemente spiegate, con impossibilità di utilizzare le pregresse capacità professionali, destinate alla progressiva scomparsa). 55 Cass. civ. Sez. lavoro, 03-06-2013, n. 13918 In merito al risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell'esistenza di un pregiudizio che alteri le abitudini del lavoratore, gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Non è, in tal senso, sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno e del nesso eziologico con l'inadempimento datoriale. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-06-2013, n. 13921 Il principio secondo cui, qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto preclude il riesame dello stesso punto in fatto e in diritto accertato e risolto, non è applicabile al caso in cui, accertato con sentenza irrevocabile il demansionamento per un determinato periodo, il lavoratore sia stato adibito, in periodo successivo, alle medesime mansioni inferiori, quale alternativa al licenziamento, che sarebbe altrimenti derivato in ragione della soppressione del ruolo tecnico (in precedenza ricoperto dal lavoratore) per effetto di una ristrutturazione organizzativa aziendale. Cass. civ. Sez. lavoro, 24-01-2013, n. 1693 In base al principio di autotutela di cui all'art. 1460 c.c., il rifiuto del lavoratore di svolgere la prestazione può essere legittimo, e quindi inidoneo a giustificare il licenziamento, a condizione che sia proporzionato all'illegittimo comportamento datoriale (nella specie, la Corte ha ritenuto che il prolungato demansionamento operato dalla società datrice - pur senza giustificare un totale rifiuto del lavoratore a svolgere le proprie mansioni - poteva essere preso in considerazione per inferirne un ridimensionamento della gravità dell'inadempimento del lavoratore, licenziato per giusta causa in ragione dalla ripetuta inosservanza dell'orario di lavoro). * * * 15. POTERE DIRETTIVO E MODIFICAZIONE DEL LUOGO DI LAVORO Cass. civ. Sez. lavoro, 05-11-2013, n. 24775 56 Il diritto del lavoratore portatore di handicap a non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, previsto dall'art. 33, comma 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell'azienda, non è, invece, attuabile ove sia accertata l'incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro. (Nella specie, la permanenza del dipendente - addetto alla reception di uno stabile dell'Ente per il Diritto allo Studio Universitario di Pavia - nella sede di lavoro non poteva ulteriormente protrarsi in ragione delle tensioni personali e dei contrasti insorti con gli altri colleghi, tali da provocare rilevanti ripercussioni sul regolare svolgimento dell'attività lavorativa e da giustificare, quindi, il provvedimento di trasferimento). L'art. 2103 c.c., nel subordinare la legittimità del trasferimento del lavoratore alla sussistenza di comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive, non fa riferimento solo a situazioni oggettive, ma consente la valutazione anche di situazioni soggettive. È, tuttavia, necessario che queste ultime siano valutate secondo un criterio obiettivo, quale è quella delle ragioni di incompatibilità createsi tra un dipendente ed i suoi diretti collaboratori che si riflettano sul normale e regolare espletamento dell'attività di impresa. Cass. civ. Sez. lavoro, 05-11-2013, n. 24770 Nel caso di collegamento economico tra società datrici di lavoro, l'art. 2094 cod. civ., nel prevedere il rapporto di lavoro subordinato, non definisce altresì l'impresa quale datrice di lavoro ma ne presuppone la nozione, caratterizzata dalla soggettività giuridica, con la conseguenza che, salve le ipotesi simulatorie, ad una pluralità di soggetti societari esercitanti i poteri del datore corrisponde una pluralità di rapporti. Pertanto ove le parti abbiano pattuito un "distacco" del lavoratore che, fermo il perdurare del vincolo con il datore di lavoro distaccante, faccia sorgere un distinto rapporto con altro imprenditore, anche all'estero, con sospensione del rapporto originario, i due rapporti restano separati, anche se le due società sono gestite da società collegate, senza che si possano imputare, se non diversamente pattuito, alla società distaccante le obbligazioni relative al secondo rapporto. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-10-2013, n. 24260 Ai fini dell'efficacia del provvedimento di trasferimento del lavoratore, non è necessario che vengano contestualmente enunciate le ragioni del trasferimento stesso, atteso che l'art. 2103 c.c., nella parte in cui dispone che le ragioni tecniche, organizzative e produttive del provvedimento suddetto siano comprovate, richiede soltanto che tali ragioni, ove contestate, risultino effettive e di esse il datore di lavoro fornisca la prova; pertanto, l'onere dell'indicazione delle ragioni del trasferimento, che in caso di mancato adempimento determina l'inefficacia sopravvenuta del provvedimento, sorge a carico del datore di lavoro soltanto nel caso in cui il lavoratore ne faccia richiesta - dovendosi applicare per analogia la disposizione di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2, sul licenziamento (Cass. n. n. 8628 del 2004, n.1912 del 1998). In ragione della applicazione analogica della richiamata disciplina in tema di licenziamento, ove accertata la inosservanza del termine per la comunicazione dei motivi del trasferimento, il trasferimento dall'appalto …omissis… deve 57 considerarsi illegittimo; in conseguenza anche la condotta della lavoratrice ritenuta dalla sentenza impugnata integrare la giusta causa di licenziamento deve essere riesaminata alla luce di tale accertamento. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-09-2013, n. 20611 In tema di sede di lavoro, la disciplina limitativa del trasferimento del lavoratore di cui all'art.2103 cod. civ. , che condiziona la legittimità del trasferimento alla ricorrenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, è applicabile soltanto con riferimento al medesimo rapporto di lavoro e non ad altro successivo rapporto, salvo che non ricorrono le condizioni previste dall'art. 2112 cod. civ. (fattispecie relativa a lavoratore dipendente di impresa assicuratrice posta in liquidazione coatta amministrativa, riassunto dal commissario liquidatore e quindi da un'impresa cessionaria del portafoglio della suddetta impresa). Cass. civ. Sez. lavoro, 22-08-2013, n. 19425 In materia di trasferimento del lavoratore vige il principio generale di libertà delle forme: pertanto qualora il datore di lavoro abbia indicato i motivi del disposto mutamento di sede di lavoro contestualmente all'adozione dell'atto di trasferimento egli non è soggetto ad un alcun obbligo di ulteriore precisazione dei motivi anche in caso di specifica richiesta dei motivi - in applicazione analogica dell'art. 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604 - da parte del lavoratore trasferito. Nel pubblico impiego contrattualizzato, la sussistenza di una situazione di incompatibilità tra il lavoratore ed i suoi colleghi o collaboratori diretti, che importi tensioni personali o anche contrasti nell'ambiente di lavoro comportanti disorganizzazione e disfunzione nell'unità produttiva, concretizza un'oggettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro - non potendo normalmente essere ricondotta a profili di carattere disciplinare - e va valutata in base al disposto dell'art. 2103 cod. civ., con conseguenza possibilità di trasferimento del lavoratore, sulla base di comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive. In materia di trasferimento del pubblico dipendente l'individuazione della sede di lavoro a seguito dell'esercizio del potere datoriale deve essere effettuata in applicazione dei principi di buon andamento della P.A. (art. 97 Costituzione) e di buona fede e correttezza (art. 1175 ed art. 1375 cod. civ.) e pertanto non deve determinare oneri ingiustificati a carico del lavoratore trasferito essendo necessario tenere conto anche della situazione logistica in cui verrà a trovarsi il lavoratore salva l'impossibilità di reperire sedi lavorative che in concreto possano rispettare esigenze connesse con la situazione soggettiva del lavoratore - con la conseguente finalità di individuare una sede di servizio non eccessivamente distante dal luogo di dimora abituale del lavoratore ma senza che sia configurabile un obbligo di rispetto di un rigido criterio chilometrico nell'individuazione. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-08-2013, n. 18827 58 Il trasferimento del lavoratore giustificato da esigenze relative ad una riorganizzazione aziendale finalizzata ad una più economica gestione (nella specie, la perdita di una gara d'appalto e il conseguente smobilizzo del cantiere) si pone come momento inevitabile nel processo di riorganizzazione, che deve necessariamente precedere, e non seguire, il nuovo assetto finale dell'impresa; di conseguenza, non è necessario che l'avvenimento giustificativo del provvedimento di trasferimento - ossia l'inutilizzabilità della prestazione nella sede di provenienza - sussista al momento dell'adozione della misura, mentre deve ritenersi legittimo e giustificato il trasferimento disposto in vista del futuro riassetto aziendale anche se tale riassetto sopravvenga in un momento successivo. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-06-2013, n. 14314 La figura del "distacco" o "comando" del lavoratore comporta un cambio nell'esercizio del potere direttivo - perché il dipendente viene dislocato presso altro datore di lavoro, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest'ultimo - ma non incide sulla titolarità del rapporto, in quanto il datore di lavoro distaccante continua ad essere titolare del rapporto di lavoro, con la conseguenza che il rapporto di lavoro resta disciplinato ai fini economici dalle regole applicabili al datore distaccante. (Nella specie, precedente l'entrata in vigore dell'art. 30 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, interpretando le norme collettive che prevedevano il riconoscimento della P.E.D. in favore dei dipendenti di Poste s.p.a. "in servizio" ad una certa data, aveva rilevato che la posizione di comando presso altro ente non escludeva il dipendente comandato dalla platea dei possibili beneficiari della prestazione). Cass. civ. Sez. lavoro, 03-05-2013, n. 10338 Il diritto del lavoratore disabile a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso non può prescindere dall'accertamento della gravità della disabilità di cui il medesimo è affetto. Pertanto, l'inamovibilità del lavoratore è connessa alla gravità dell'handicap dello stesso e si giustifica per la particolare gravosità che lo spostamento, imposto, potrebbe generare in un lavoratore proprio a cagione della rilevante incidenza del suo handicap con riguardo, ad esempio, alla sua autonomia, alla necessità di avvalersi di particolari presidi sanitari non reperibili in ogni sede ovvero di ausili da parte di terzi che un trasferimento imposto potrebbe compromettere. Cass. pen. Sez. IV, 19-04-2013, n. 31300 In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma sesto, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore 59 di lavoro distaccante. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto sussistente la responsabilità del datore di lavoro distaccante, il quale aveva dato corso al distacco senza essersi accertato della sussistenza delle condizioni di sicurezza del cantiere ove il dipendente avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa). Cass. civ. Sez. lavoro, 21-03-2013, n. 7143 In caso di distacco di personale dipendente dalle Ferrovie dello Stato presso una amministrazione provinciale, il rimborso per il trattamento economico durante il periodo di distacco comprende tutte le retribuzioni dovute in applicazione di legge o di contratto collettivo, ivi comprese quelle maturate durante i periodi di malattia. Cons. Giust. Amm. Sic., 12-03-2013, n. 332 In merito alla previsione normativa contenuta nell'art. 33 della legge n. 104 del 1992, a norma del quale, il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado, portatore di handicap, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, il legislatore ha attribuito all'inciso "ove possibile", il valore di strumento di essenziale contemperamento tra le esigenze in conflitto. Detto inciso configura in sostanza, una gerarchia nella quale l'esigenza del lavoratore appare prevalere solo ove il suo soddisfacimento non comporti un sacrificio delle ragioni contrapposte, così grave da determinare uno squilibrio insostenibile, che, in caso di lavoro alle dipendenze della P.A., vorrebbe dire compromissione del buon andamento e dell'efficienza della sua azione. Cass. civ. Sez. lavoro, 28-02-2013, n. 5011 In materia di pubblico impiego contrattualizzato, la protrazione dell'assegnazione temporanea per una durata assolutamente esorbitante l'originario provvedimento (nella specie, per dodici anni) radica una situazione di fatto di concreta individuazione della sede di lavoro. Ne consegue che trova applicazione l'art. 2103 cod. civ. e la cessazione dell'assegnazione temporanea può essere disposta solo in presenza di ragioni giustificatrici, equivalendo sostanzialmente ad un trasferimento del lavoratore. Cons. Stato Sez. IV, 28-01-2013, n. 518 È annullato il provvedimento con il quale il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha rigettato la richiesta di trasferimento per motivi di assistenza familiare formulata dal dipendente, per presunta carenza del requisito dell'esclusività dell'assistenza, atteso che, a seguito delle modifiche 60 normative introdotte dall'art. 24, comma 30, legge n. 183 del 2010 (c.d. "collegato lavoro"), l'amministrazione non può più motivare su tale fondamento il diniego di trasferimento ex art. 33, comma 5, legge n. 104 del 1992. * * * 16. SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO Cass. civ. Sez. lavoro, 04-02-2014, n. 2455 Deve ascriversi all'esclusiva responsabilità del datore di lavoro l'infortunio occorso ad un lavoratore precipitato al suolo mentre era intento alla realizzazione di un ponteggio all'altezza di circa sei metri da terra ove, benché in assenza di una precisa ricostruzione della dinamica del fatto in tutti i suoi aspetti, sia stato accertato, alla luce anche del decreto penale di condanna emesso nei confronti del datore di lavoro, che il lavoratore non aveva utilizzato le cinture di sicurezza, perché quelle in dotazione erano munite di una catena troppo corta per l'esecuzione del lavoro di montaggio del ponteggio; che le tavole costituenti il piano di calpestio del ponteggio non erano fissate o comunque tenute ferme onde evitare la caduta del lavoratore stesso; che tali tavole non erano in perfetto stato di conservazione e che i lavori di realizzazione del ponteggio venivano svolti, in assenza della prescritta vigilanza, dal lavoratore infortunatosi da solo nonostante la precarietà delle strutture man mano montate e la pericolosità del lavoro dovuta anche all'altezza in cui veniva espletato. Cass. civ. Sez. lavoro, 24-01-2014, n. 1477 Qualora venga accertato che il danno patito da un lavoratore è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia. Cass. civ. Sez. lavoro, 12-11-2013, n. 25392 Il datore di lavoro è chiamato a rispondere non solo per l'omissione di misure di sicurezza espressamente e specificamente definite dalla legge, ma anche per l'omissione di quelle che siano suggerite da conoscenze sperimentali e tecniche e che, in concreto, si rendano necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro. La parte datoriale è, altresì, responsabile, non solo quando ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso. 61 Cass. civ. Sez. lavoro, 09-10-2013, n. 22974 Il requisito della inscindibile connessione tra rendita ed attività lavorativa caratterizza anche la differenza tra malattia professionale ed infortunio sul lavoro. Solo in relazione a quest'ultimo la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa (cassata, nella specie, la decisione dei giudici di appello che avevano riconosciuto il diritto all'indennità nei confronti di un lavoratore ritenendo sussistente il nesso causale tra la patologia - ernia discale - denunciata dal lavoratore e il prolungato tragitto giornaliero andata e ritorno, protrattosi per diciannove anni attraverso l'utilizzo del proprio autoveicolo). Cass. civ. Sez. lavoro, 02-10-2013, n. 22538 E' illegittimo il licenziamento del dipendente assente per malattia provocata dall'azione di mobbing che il datore di lavoro esercita su di lui con sanzioni disciplinari spropositate, richiami ingiustificati e visite fiscali a raffica. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-09-2013, n. 22262 In materia di infortunio o malattia professionale, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nel testo risultante all'esito di Corte cost. n. 318 del 1989, nella parte in cui prevede che, ove al lavoratore, già titolare di rendita per un pregresso infortunio, sia occorso un nuovo infortunio od una nuova malattia professionale e sia trascorso più di un decennio dal precedente evento, l'INAIL non possa costituire una rendita unica in misura inferiore a quella erogata e già consolidata, non essendovi disparità di trattamento rispetto al caso in cui il lavoratore, titolare di rendita da infortunio, diventi, in ragione di un nuovo evento lesivo infradecennale, beneficiario di una rendita unica suscettibile di successiva revisione ancorché siano decorsi più di dieci anni dal primo infortunio, trattandosi di benefici fondati su presupposti di fatto diversi, per cui resta giustificato il diverso trattamento giuridico. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-09-2013, n. 21360 La presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell'esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene (anch'esse tabellate) e non può esplicare la sua efficacia nell'ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione quanto meno in via di probabilità - in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell'evento morboso. 62 Cass. civ. Sez. lavoro, 16-09-2013, n. 21082 In tema di modificazione, totale o parziale, della rendita per inabilità conseguente a infortunio o malattia professionale, la qualificazione della modificazione operata dall'INAIL quale rettifica o revisione non è determinata dal "nomen juris" imposto dal provvedimento amministrativo, né dal risultato dell'accertamento emerso dal giudizio su di esso, ma deve essere preminentemente fondata sull'effettiva volontà che sorregge l'atto, distinguendo se sia finalizzato a correggere l'iniziale riconoscimento per emendarlo dall'errore da cui era affetto (nel qual caso si ha rettifica), ovvero ad adeguarlo all'intervenuto mutamento delle condizioni dell'attitudine lavorativa (ove si ha revisione), restando sottoposte le due fattispecie a differente disciplina relativa a criteri, metodi e strumenti del suo accertamento e a decorrenza del termine di esercizio della relativa facoltà. Cass. civ. Sez. lavoro, 04-09-2013, n. 20318 E' priva di intima coerenza e di logicità la motivazione della sentenza di appello che, nel confermare la pronuncia di primo grado di reiezione della domanda diretta alla condanna della parte datoriale al risarcimento del danno sofferto per la morte del dante causa dei ricorrenti conseguita a malattia professionale, da un lato esige il massimo livello di certezza ai fini della dimostrazione della sussistenza del nesso di causalità tra le condizioni lavorative in cui operava il prestatore e l'insorgenza della malattia letale, e dall'altro ritiene che la scarsa probabilità che i presidi esistenti all'epoca dei fatti potessero impedire l'insorgenza della malattia rappresenta, di per sé, elemento sufficiente ad escludere una responsabilità omissiva della parte datoriale, quand'anche accertata. Cass. civ. Sez. lavoro, 05-08-2013, n. 18626 La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. 63 Cass. civ. Sez. lavoro, 25-07-2013, n. 18093 Integra la nozione di "mobbing" la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali ed, eventualmente, anche leciti), diretti alla persecuzione o all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cod. civ. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica); né la circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente, posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro - su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 cod. civ. - ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo. (Nella specie, la S.C. ha reputato corretta la valutazione del giudice di merito che, nel condannare la società datrice di lavoro al risarcimento del danno morale, aveva valorizzato le risultanze del processo penale a carico di altro dipendente, gerarchicamente sovraordinato, il quale, per lungo tempo - nella sostanziale inerzia del datore di lavoro - si era rivolto alla vittima con espressioni ingiuriose). Cass. civ. Sez. lavoro, 18-07-2013, n. 17585 L'obbligo di sicurezza, posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore, è previsto in via generale, con carattere atipico e residuale, dall'art. 2087 c.c. Orbene, la responsabilità del datore di lavoro è di carattere contrattuale, dal momento che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 c.c., dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Cass. pen. Sez. IV, 27-06-2013, n. 35827 Il datore di lavoro, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, è costituito garante della incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con la conseguenza che ove non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo retroattivo previsto dall'art. 40, comma secondo, c.p. Consegue a quanto innanzi che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando, altresì, che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui l'opera è prestata. Cass. pen. Sez. IV, 25-06-2013, n. 42503 In caso di applicazione della sanzione su richiesta della società datrice di lavoro in relazione al delitto di cui all'articolo 590, comma 3, c.p. commesso in danno di un lavoratore dipendente con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, le sanzioni interdittive di cui 64 all'art. 9, comma 2,D.Lgs. n. 231/2001 devono essere applicate obbligatoriamente, e non è applicabile il beneficio della sospensione condizionale della pena. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-06-2013, n. 14468 L'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 cod. civ. impone all'imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all'impiego di attrezzi e macchinari, quanto all'ambiente di lavoro, dovendosi verificare, in caso di malattia derivante dall'attività lavorativa, le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per evitare l'insorgenza della malattia. (Nella specie la S.C., in relazione ad azione risarcitoria proposta da tecnico di reparto di radiologia di una struttura ospedaliera per malattia tumorale contratta a causa di guasti ed eccessiva emissione di radiazioni dei macchinari, ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la decisione di merito che ne aveva affermato la responsabilità, non avendo egli fornito la prova di avere adottato tutte le misure utili a prevenire i rischi legati alla prestazione lavorativa). Cass. pen. Sez. IV, 06-06-2013, n. 28808 La delega rilasciata dal datore di lavoro nei confronti del direttore di cantiere, avente carattere generale e riferita in via esclusiva all'obiettivo della migliore conduzione dell'attività produttiva, tale da assorbire in sé anche la gestione di compiti in tema di sicurezza, genericamente contemplati, nel quadro di detta delega, al solo fine di rendere possibile quella preminente finalità di efficienza produttiva, non può ritenersi idonea al trasferimento di poteri e responsabilità in tema di sicurezza suscettibile di escludere la posizione di garanzia del datore di lavoro. In tal senso, invero, al fine di ritenere compiuto il trasferimento della posizione di garanzia del datore di lavoro, è necessario che il trasferimento, attuato mediante la delega, valga ad individuare in modo preciso e determinato gli specifici poteri attribuiti al delegato, a sua volta da individuare, soggettivamente, in persone dotate della necessaria competenza a darvi attuazione. Cass. pen. Sez. IV, 06-06-2013, n. 35115 In tema di infortuni sul lavoro, la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalla proprie responsabilità, in quanto l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito, può essere esclusa unicamente nei casi in cui risulti provato che il comportamento del lavoratore sia stato abnorme e 65 che proprio a causa di tale abnormità, sia stato causato l'evento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti della sicurezza sul lavoro. Ove l'infortunio sul lavoro si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza ricadrà, a titolo di colpa specifica, ai sensi dell'art. 43 c.p., su colui il quale detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, a nulla rilevando la qualifica del soggetto che abbia subito l'infortunio e fermo restando il nesso causale con l'accertata violazione. Cass. civ. Sez. VI - 5 Ordinanza, 04-06-2013, n. 14071 Non hanno diritto alle agevolazioni fiscali e agli incentivi all'occupazione le imprese che sono state sanzionate per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Cass. pen. Sez. IV, 30-05-2013, n. 26247 In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità). Cass. civ. Sez. lavoro, 07-05-2013, n. 10553 Al fine di verificare se l'inadempimento dell'obbligo del lavoratore di utilizzare le misure apprestate per la sua sicurezza dal datore di lavoro integri giusta causa di recesso, occorre accertare se il lavoratore abbia previamente informato il datore in ordine alla macchinosità di tali misure e se il datore di lavoro sia rimasto inerte nonostante le informazioni ricevute. Cass. pen. Sez. IV, 23-04-2013, n. 35295 66 In tema di infortuni sul lavoro, è configurabile la responsabilità del venditore allorquando, pur essendo conoscibile la non conformità del macchinario alle prescrizioni in tema di sicurezza, egli non si sia attivato per eliminare la difformità prima della vendita. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità per omicidio colposo del venditore di una minipala in abbinamento con una benna miscelatrice, capovoltasi addosso ad un operaio per l'eccessivo carico, in assenza di adeguate indicazioni, con tacche o segni nella benna, dei livelli massimi di possibile riempimento). Cass. pen. Sez. IV, 19-04-2013, n. 31304 In materia di sicurezza nei cantieri edili, la responsabilità penale del committente deriva dalla violazione degli obblighi di informazione sui rischi dell'ambiente di lavoro, di cooperazione nell'apprestamento delle misure di prevenzione e protezione del cantiere, nella scelta degli appaltatori, tenuto conto della specificità dei lavoro da eseguire. Al contrario, con riferimento alle responsabilità in ordine all'osservanza degli obblighi prevenzionali relativi alle attività svolte dagli appaltatori, non si può esigere dal committente un controllo pressante continuo e capillare nell'andamento dei lavori. Cass. pen. Sez. IV, 18-04-2013, n. 31296 In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, quale titolare di una specifica posizione di garanzia, risponde dell'infortunio subito dai lavoratori per non aver nominato il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, che è tenuto a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza, a vigilare sul rispetto delle misure precauzionali ivi indicate e a sospendere le attività in caso di grave ed imminente pericolo. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del committente per lesioni colpose di un lavoratore, caduto mentre posizionava pannelli su un tetto di un edificio sul presupposto che la nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori avrebbe potuto impedire l'evento). Cass. civ. Sez. lavoro, 11-04-2013, n. 8855 In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art. 2087 cod. civ., la parte che subisce l'inadempimento non deve dimostrare la colpa dell'altra parte - dato che ai sensi dell'art. 1218 cod. civ. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile - ma è comunque soggetta all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l'asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell'esercizio dell'impresa, debbono essere adottate per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. (Nella specie, 67 relativa alla pretesa del dipendente di un istituto di credito di ottenere il risarcimento dei danni permanenti alla salute derivati da una serie di rapine compiute presso l'agenzia ove egli aveva prestato attività di addetto allo sportello bancario e dal trasferimento disposto dall'istituto in altra sede "notoriamente" soggetta a rapine, la sentenza di merito aveva respinto la domanda, sul presupposto che il lavoratore si fosse limitato ad allegare l'esistenza e l'entità del danno e il nesso causale fra questo e i fatti dedotti, senza porre a fondamento della domanda né la negligenza della banca circa la mancata adozione di misure di sicurezza idonee ad evitare le rapine, né l'illegittimità del trasferimento; la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha affermato il principio su esteso). Cass. civ. Sez. lavoro, 11-04-2013, n. 8861 Sebbene il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro, a norma dell'art. 2087 cod. civ., si atteggi in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, va esclusa la responsabilità datoriale per l'infortunio occorso al lavoratore, allorquando l'infortunio si verifichi per un comportamento del dipendente che presenti i caratteri dell'abnormità e dell'assoluta inopinabilità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità datoriale per il carattere imprevedibile ed assolutamente anomalo della condotta del giovane lavoratore, il quale, dopo aver iniziato le ordinarie mansioni affidategli munito dei prescritti dispositivi di protezione individuale, se ne era privato non appena sfuggito alla sorveglianza del capo officina). Cass. pen. Sez. IV, 05-04-2013, n. 50605 In materia di infortuni sul lavoro, la parte datoriale non può andare esente da responsabilità sostenendo la sussistenza di una delega di funzioni a tal fine utile, per il solo fatto che abbia provveduto a designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione. La presenza di RSPP è, invero, obbligatoria exart. 8, D.Lgs. n. 626 del 1994 per l'osservanza di quanto previsto dal successivo art. 9, ma tale figura non coincide con quella, peraltro facoltativa, del dirigente delegato all'osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori. In particolare, il RSPP non può incidere in via diretta sulla struttura aziendale, ma ha solo una funzione di ausilio finalizzata a supportare il datore di lavoro nella individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti. Nonostante, dunque, si proceda alla nomina di un RSPP, il datore di lavoro conserva l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi di elaborare il documento relativo alle misure di prevenzione e protezione. Cass. pen. Sez. VI, 28-03-2013, n. 28603 68 Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. "mobbing") possono integrare il delitto di cui all'art. 572 cod. pen., anche nel testo modificato dalla l. n. 172 del 2012 esclusivamente se, il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assume natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia. (Nella specie, la Corte pur escludendo la configurabilità del delitto di maltrattamenti, ha annullato con rinvio la sentenza assolutoria perché il giudice valutasse se i disturbi ansioso-depressivi lamentati dalla vittima potessero integrare il delitto di lesioni personali). Cass. pen. Sez. IV, 26-03-2013, n. 21628 L'intero Consiglio di amministrazione è responsabile per le società in materia di sicurezza sul lavoro, salvo il caso in cui, con apposita delibera, sia stata conferita la competenza ad un singolo consigliere. Cass. pen. Sez. IV, 21-03-2013, n. 28167 In materia di sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro, si evidenzia come per ambiente di lavoro deve intendersi tutto lo spazio in cui l'attività lavorativa si sviluppa ed in cui coloro che sono autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedono per ragioni connesse all'attività lavorativa possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro, 29-01-2013, n. 2038 L'art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. Né la riconosciuta dipendenza delle malattie da una "causa di servizio" implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell'ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell'organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall'ambito dell'art. 2087 cod. civ., che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. (Nella specie, in sede di merito era stata 69 accertata la dipendenza da causa di servizio di talune infermità contratte da un dipendente, e lo stesso aveva successivamente invocato la responsabilità risarcitoria del datore per "mobbing" in relazione alle medesime patologie; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva respinto per difetto di prova la domanda, ed ha affermato il principio su esteso). Cass. civ. Sez. lavoro, 22-01-2013, n. 1471 Il datore di lavoro risponde, per la mancata adozione di misure di prevenzione e di controllo, anche delle lesioni prodotte all'integrità psico-fisica del dipendente da condotte di dileggio, integranti mobbing, realizzate da colleghi di lavoro ed illegittimamente commina al dipendente in questione sanzione disciplinare per avere diffuso all'esterno notizie concernenti le condotte delle quali il lavoratore è stato vittima. Cass. civ. Sez. lavoro, 10-01-2013, n. 536 Il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 c.c., si atteggia in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, esaltandosi in presenza di apprendisti nei cui confronti la legge pone precisi obblighi di formazione e addestramento, senza che in contrario possa assumere rilievo l'imprudenza dell'infortunato nell'assumere un'iniziativa di collaborazione nel cui ambito l'infortunio si sia verificato (nella specie, relativa ad un infortunio occorso ad un lavoratore che, nel piegare un tondino di ferro, era stato attinto ad un occhio da una scheggia, la Corte ha sottolineato che il datore di lavoro o un suo preposto non solo avrebbe dovuto mettere a disposizione dell'apprendista gli occhiali protettivi ed istruire il medesimo sull'esatto svolgimento della prestazione, ma avrebbe dovuto vigilare affinché venisse fatto effettivamente uso di tali occhiali e la prestazione venisse eseguita in conformità alle istruzioni impartitegli, tanto più che il lavoratore di giovane età ed assunto da meno di venti giorni era totalmente privo di esperienza). * * * 17. MALATTIA Cons. Stato Sez. IV, 29-01-2014, n. 449 I giudizi resi dagli organi medico legali ai fini dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio hanno connotati di discrezionalità tecnica, sottratta al sindacato di legittimità, salvo che per valutazioni che attengano alla irragionevolezza, incongruità o carenza di esaustività. Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una malattia deve essere effettuato con un grado di consistente certezza e non sulla base di mere probabilità dell'esistenza di un nesso 70 eziologico con la prestazione espletata secondo l'esperienza. Non può quindi annettersi valore determinante all'elaborato peritale prodotto dall'interessato che, in disparte la sua provenienza, annovera una serie di cause tra quella possibili, con un grado che va considerato di generica probabilità. Cass. civ. Sez. lavoro, 13-01-2014, n. 471 L'atto di intimazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto, che non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, attribuisce al lavoratore, il quale ha l'esigenza di poter opporre propri rilievi specifici, la facoltà di chiedere alla parte datoriale la specificazione di tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento. Ove, invece, il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare in giudizio i motivi di esso ed i fatti che hanno determinato il superamento del periodo di comporto, non essendo in ciò ravvisabile una integrazione o modificazione della motivazione del recesso. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-11-2013, n. 26290 Anche il mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, può configurare un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all'interesse del datore di lavoro, risultando violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro allorchè la natura dell'infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante, incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente - cfr. in tal senso Cass. 19 dicembre 2006, n. 27104 -. Il suddetto principio rende tanto più corretto un giudizio espresso sulla base del prolungamento dell'assenza oltre la iniziale prognosi della certificazione medica. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-11-2013, n. 25308 In seguito alla sentenza della Corte costituzionale n.82/2013, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.20, c.1, 2° periodo, d.l. 112/2008, nel testo antecedente e susseguente alla legge di conversione n.133/2008, il datore di lavoro che abbia applicato il CCNL, tanto più se di diritto corporativo e reso erga omnes ex l. 741/1959, che pone a carico dell'azienda l'indennità di malattia, è esonerato dal versamento del relativo contributo all'INPS. Cass. civ. Sez. lavoro, 04-11-2013, n. 24709 Il principio secondo cui lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificarne il licenziamento trova il suo presupposto o nella circostanza che l'attività esterna sia di per se sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, o anche che la 71 medesima attività, misurata con riferimento alle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio. Cass. civ. Sez. lavoro, 10-10-2013, n. 23063 Lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l'esercizio del potere di recesso quando si tratti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che, tuttavia, ove intimato, non è invalido ma solo inefficace e produce i suoi effetti dal momento della cessazione della malattia. Cass. civ. Sez. I, 08-08-2013, n. 18980 In tema di trattamento dei dati personali, costituisce diffusione di un dato sensibile quella relativa all'assenza dal lavoro di un dipendente per malattia, in quanto tale informazione, pur non facendo riferimento a specifiche patologie, è comunque suscettibile di rivelare lo stato di salute dell'interessato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto illecita la pubblicazione, da parte di un'amministrazione comunale, nell'albo pretorio nonché sul sito internet istituzionale, dei dati personali di un proprio dipendente, assente "per malattia"). Cass. civ. Sez. lavoro, 12-06-2013, n. 14756 In tema di eccessiva morbilità del lavoratore, l'art. 46 del C.C.N.L. 22 agosto 2003 Panificazione Industria - che prevede la conservazione del posto in caso di malattia professionale per il periodo di corresponsione dell'indennità di inabilità temporanea assoluta da parte dell'INAIL - va interpretato nel senso che le disposizioni in materia di comporto dettate per la malattia professionale debbano essere estese anche all'infortunio in itinere, atteso che non possono porsi a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell'attività lavorativa espletata. A tal fine la certificazione INAIL non costituisce prova legale del carattere lavorativo dell'infortunio, ma un dato valutativo idoneo, in mancanza di elementi probatori di segno opposto, ai fini del riconoscimento dell'infortunio in itinere e per l'applicabilità della speciale disciplina del comporto prevista dalla disposizione contrattuale. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-06-2013, n. 14471 È illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto allorché il lavoratore abbia tempestivamente richiesto al datore di lavoro di fruire, in luogo dell'assenza per malattia, di un periodo di ferie maturate e non godute, al fine di sospendere il decorso del termine di comporto, ricevendone immotivato diniego. 72 Cass. civ. Sez. lavoro, 20-05-2013, n. 12233 Le regole sancite nell'art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c. Siffatte regole sono finalizzate ad impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza, il cd. comporto, predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, il cui superamento è l'unica condizione di legittimità del recesso. Corte cost., 16-05-2013, n. 87 Dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 2110 cod. civ. e 3 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 31 ottobre 1947, n. 1304, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 32 e 38 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Arezzo. La questione - sollevata al dichiarato fine di colmare il vuoto normativo conseguente all'assenza di specifiche previsioni legislative in materia di tutela dei lavoratori che necessitano di trattamenti emodialitici - è inammissibile in ragione della natura dell'intervento che viene richiesto a questa Corte, che è di tipo additivo ma non costituzionalmente obbligato. Lo stesso remittente prospetta diverse soluzioni, che si pongono in un nesso di irrisolta alternatività, sì che la questione risulta ancipite ed è evidente che la scelta tra la pluralità di soluzioni nella specie possibili non può che essere riservata al legislatore. Ciò risulta confermato dal fatto che, con riferimento alla tutela del lavoratore affetto da malattia nell'ambito del rapporto di lavoro è necessario trovare un punto di equilibrio tra opposti interessi, in quanto oltre alla esigenza di tutela della salute del lavoratore (in correlazione anche alla sua capacità reddituale), come ragione che giustifica entro certi limiti la conservazione del posto di lavoro nonostante la sua incapacità di fornire la sua prestazione, viene in rilievo l'esigenza, contrapposta, di garanzia economica dell'imprenditore - per il profilo della misura dei limiti, economici e temporali, entro cui possa su di lui riversarsi il rischio di una malattia cronica o recidivante del dipendente - e, parallelamente, per il profilo del concorso pubblico al finanziamento del trattamento indennitario, il limite delle risorse disponibili. Cass. civ. Sez. lavoro, 12-03-2013, n. 6130 Nel caso in cui il contratto collettivo preveda che al termine del periodo di comporto, al fine di evitare il licenziamento, il lavoratore possa chiedere un periodo di aspettativa, il datore di lavoro che neghi la fruizione di tale periodo ha l'onere di indicare le ragioni poste a base del proprio rifiuto. Tribunale di Milano, Ord., 9-03-2013 Nella motivazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto non debbono necessariamente essere indicati tutti i giorni di assenza per malattia in quanto già conosciuti dal 73 lavoratore, essendo sufficiente evidenziare il superamento ed il numero totale delle assenze verificatesi nel periodo preso in considerazione, fermo restando nell’eventuale giudizio successivo l’onere per il datore di provare compiutamente i fatti costitutivi. Una comunicazione di recesso, tuttavia, estremamente stringata che fa riferimento al superamento del periodo di comporto senza alcun riferimento temporale alla durata delle assenze, appare priva di specifica motivazione, perché inidonea a rendere il prestatore consapevole della sussistenza del giustificato motivo di recesso. Il licenziamento non essendo accompagnato da una specifica motivazione, come richiesto dall’art. 2 della legge n. 604/1966 (riformato dalla legge n. 92/2012), è inefficace ma il rapporto si risolve, comunque, dalla data del licenziamento ed il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 18, comma 6, della legge n. 300/1970, viene condannato a pagare una indennità risarcitoria "depotenziata", compresa tra le 6 e le 12 mensilità di retribuzione. T.A.R. Puglia Bari Sez. II, 01-03-2013, n. 309 L'assenza del lavoratore ad una visita di controllo domiciliare, per non comportare la perdita del trattamento economico di malattia (art. 5, comma 14, della legge n. 638 del 1983), deve essere giustificata da un caso di forza maggiore o da una situazione che, per quanto non insuperabile o tale da comportare, se non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale del lavoratore in un orario compreso nelle fasce di reperibilità. Corte giustizia Unione Europea Sez. VI Ordinanza, 21-02-2013, n. 194/12 L'art. 7, par. 1, della Direttiva n. 2003/88/CE, del parlamento europeo e del consiglio, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad un'interpretazione della normativa nazionale secondo la quale un lavoratore che si trovi in congedo per malattia nel periodo delle ferie annuali fissato unilateralmente nel calendario delle ferie dell'impresa in cui lavora, non ha il diritto, al termine del suo congedo per malattia, di godere delle ferie annuali in un periodo diverso da quello stabilito inizialmente, eventualmente al di fuori del corrispondente periodo di riferimento, per ragioni di ordine produttivo od organizzativo dell'impresa. Cass. civ. Sez. lavoro, 23-01-2013, n. 1585 In tema di reperibilità del lavoratore assente per malattia, l'art. 40, comma 7, del c.c.n.l. per il personale dipendente di Poste Italiane del 2001 - che prevede che "Qualora il lavoratore durante l'assenza debba, per particolari motivi, risiedere in luogo diverso da quello reso noto alla società, ne dovrà dare preventiva comunicazione scritta, precisando l'indirizzo di temporanea reperibilità" - va inteso nel senso che esso impone al lavoratore l'onere di indicare, esplicitandolo con preventiva comunicazione scritta, lo specifico motivo per il quale si trova nelle condizioni di risiedere in un luogo diverso da quello reso precedentemente noto alla società, assolvendo tale adempimento 74 all'esigenza di garantire al datore di lavoro la possibilità di disporre visite mediche, come è suo diritto, e di evitare un uso elusivo della facoltà concessa ai lavoratore, anche in relazione all'osservanza dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione dei contratto. * * * 18. L’APPALTO Cass. pen. Sez. III, 14-11-2013, n. 1471 La qualifica di direttore dei lavori non implica automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-08-2013, n. 19579 In materia di servizio mensa, la previsione del contratto di appalto tra appaltante ed appaltatore relativa all'obbligo, posto a carico di questi, di fornire ai lavoratori le divise di lavoro sempre pulite rientra nella fattispecie codicistica del contratto a favore di terzo, di cui all'art. 1411 cod. civ., ed è quindi pienamente valida; ne consegue che detto obbligo sussiste quando risulta dal testo contrattuale che l'appaltante ha interesse all'adempimento. (Nella specie, la S. C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente in capo all'appaltatore del servizio mensa l'obbligo di provvedere alla pulizia delle divise dei propri dipendenti o di corrispondere ai lavoratori stessi il rimborso delle spese sostenute per provvedere al lavaggio delle divise, in quanto il testo del contratto di appalto prevedeva che i lavoratori addetti alla mensa indossassero una divisa di lavoro "sempre pulita"). Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 31-07-2013, n. 18384 In tema di appalto di opere e servizi, il lavoratore che, deducendo l'illegittimità della trattenuta sulla retribuzione effettuata a titolo di TFR e di indennità di mancato preavviso, agisca contro l'appaltatore e il committente, facendo valere nei confronti di quest'ultimo la responsabilità solidale con il primo ai sensi dell'art.29, secondo comma, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, può adire il giudice del luogo ove si trova la dipendenza aziendale a cui è addetto anche per la domanda proposta nei confronti del committente, dovendosi ritenere che tra questa e quella proposta nei confronti dell'appaltatore ricorra una particolare connessione, che, in analogia con le ipotesi più intense di connessione ex art.31 e ss. cod. proc. civ. , consente di instaurare, anche in deroga ai fori speciali inderogabili di cui all'art.413 cod. proc. civ., un unico giudizio davanti al giudice territorialmente competente per l'una o l'altra delle cause connesse. 75 Cass. civ. Sez. lavoro, 11-04-2013, n. 8863 L'art. 1 legge n. 1369 del 1960 prevede che certe prestazioni di lavoro, possibili nell'ambito organizzativo dell'impresa pseudo-appaltante, vengano affidate all'impresa pseudo-appaltatrice. Esula dalla previsione normativa il caso in cui l'impresa appaltatrice di certe prestazioni (pulizia) tolleri che i suoi dipendenti eseguano prestazioni d'altro genere (archivistiche) a vantaggio dell'appaltante, ma senza manifestazioni di volontà dei suoi organi competenti. In tal caso, verificata l'utilità effettiva per l'impresa cosiddetta appaltante, questa sarà tenuta alla remunerazione ai sensi dell'art. 2126 Cod. Civ. Cass. civ. Sez. V, 15-02-2013, n. 3795 Nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono - prima dell'intervenuta abrogazione ad opera dell'art. 85, comma primo, lett. c), del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 - i primi tre commi dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego della manodopera negli appalti di opere e di servizi), la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e la previsione dell'ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - comportano che solo sull'appaltante (o interponente) gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell'appaltatore (o interposto) in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi. Ne consegue che, per tali ipotesi, non è configurabile alcuna violazione del principio di doppia imposizione, sussistendo anche gli obblighi propri del sostituto di imposta e di cui agli artt. 23 del d.P.R n. 600 del 1973 e del d.P.R. n. 602 del 1973 in capo al solo soggetto che si considera appaltante. Cass. pen. Sez. III, 23-01-2013, n. 7070 In tema di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, la distinzione tra contratto di appalto e quello di somministrazione di manodopera va operata non soltanto con riferimento alla proprietà dei fattori di produzione ma altresì alla verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio d'impresa, in assenza dei quali si configura una mera fornitura di prestazione lavorativa che, se effettuata da soggetti non autorizzati, configura il reato di cui all'art. 18 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Corte cost. Ordinanza, 18-01-2013, n. 5 76 È manifestamente inammissibile sotto un duplice profilo la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 76 Cost., avente ad oggetto l'art.29, comma 2, del D.Lgs. n. 276 del 2003, censurato nella formulazione che recita: "in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti". Innanzitutto, il rimettente omette di motivare in ordine alla ritenuta applicabilità al caso di specie della disposizione censurata proprio nella versione specificamente sottoposta allo scrutinio della Corte, come novellata dall'art. 1, comma 911, della legge n. 296 del 2006. In secondo luogo, tale ultima disposizione, sostituendo il testo del citato art. 29, comma 2, nei termini in cui esso forma oggetto di censura, all'interno del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, ha trasformato la natura della norma in questione da legge in senso materiale a legge in senso formale, così affrancandola dal vizio di eccesso di delega. * * * 19. TRASFERIMENTO D’AZIENDA E DIRITTI DEL LAVORATORE Corte giustizia Unione Europea Sez. IX, 06-03-2014, n. 458/12 L'art. 1, par. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell'ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un'entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-09-2013, n. 21917 Il ramo d'azienda suscettibile di autonomo trasferimento postula una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma e funzionalmente esistente, di guisa che esso non è compatibile con una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento e come tale identificata dalle parti del negozio traslativo. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-09-2013, n. 20554 Il trasferimento di personale dei centri trasfusionali alle Unità sanitarie locali ai sensi dell'articolo 19, comma 4, della legge 4 maggio 1990 n. 107 non integra una ipotesi di successione 77 del cessionario nel rapporto di lavoro ma realizza una nuova assunzione, la cui instaurazione resta subordinata all'esito (favorevole) di concorso riservato esterno, senza che sia applicabile la disciplina comunitaria (direttiva Cee del Consiglio n. 77/87 del 14 febbraio 1977 e successive modifiche) e nazionale (art. 2112 cod. civ.) diretta a garantire il "mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti" in quanto i rapporti di lavoro alle dipendenze delle Unità sanitarie locali - all'atto di quel trasferimento di personale - erano soggetti ad uno statuto di diritto pubblico e non al diritto del lavoro. Trib. Milano Sez. lavoro, 27-08-2013 In ipotesi di cambio di gestione di un appalto, non costituisce trasferimento d'azienda la riassunzione da parte di un nuovo imprenditore di una quota non sostanziale del personale impiegato dell'appalto; al contrario costituisce trasferimento d'azienda la riassunzione di un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati a un compito comune in un settore in cui l'attività si fonda essenzialmente sulla manodopera anche in assenza di cessione di elementi materiali. Cass. civ. Sez. lavoro, 05-06-2013, n. 14208 Nel caso di trasferimento di azienda, il riconoscimento, in favore dei lavoratori dell'azienda ceduta, dell'anzianità maturata presso il cedente non implica che il cessionario debba corrispondere gli scatti in riferimento a tale anzianità, ove presso il datore di lavoro precedente non esistesse il diritto a percepire gli scatti periodici di anzianità, essendo questi dovuti solo a partire dal periodo lavorativo regolato dalla contrattazione applicata presso il cessionario. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-05-2013, n. 11918 Ai fini del trasferimento d'azienda, la disciplina di cui all'art. 2112 cod. civ. postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell'impresa - nella sua identità obiettiva - sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, potendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Tuttavia, non può ravvisarsi un trasferimento d'azienda in ipotesi di successione nell'appalto di un servizio, ove non sia dimostrato un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa. Cass. civ. Sez. VI - 1 Ordinanza, 14-05-2013, n. 11479 In caso di cessione d'azienda assoggettata al regime di cui all'art. 2112 cod. civ., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di 78 retribuzione differita, il datore di lavoro cessionario è obbligato nei confronti del lavoratore, il cui rapporto sia con lui proseguito quanto alla quota maturata nel periodo anteriore alla cessione in ragione del vincolo di solidarietà e resta l'unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione, mentre il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale. Ne consegue che il lavoratore è legittimato a proporre istanza di fallimento del datore di lavoro che abbia ceduto l'azienda, essendo creditore del medesimo. Cons. Stato Sez. III, 30-04-2013, n. 2368 Il trasferimento dell'azienda, o di un ramo di azienda, comporta la (o consiste nella) cessione di tutti gli inerenti rapporti giuridici (art. 2558 c.c.), compresi i contratti di lavoro e d'opera. L'art. 2112 c.c. ribadisce la regola che il rapporto di lavoro prosegue con il nuovo titolare dell'azienda, e dispone ciò, essenzialmente, a tutela dei lavoratori: l'alternativa, invero, sarebbe il licenziamento e non già la prosecuzione del rapporto con il vecchio imprenditore, in quanto è ovvio che costui, non essendo più titolare dell'azienda, non avrebbe più alcuna ragione di stipendiare il relativo personale, né si potrebbe esigere che lo facesse. Trattandosi di una norma a tutela dei lavoratori, il subentro del nuovo imprenditore nella posizione di datore di lavoro avviene ope legis, e non richiede particolari formalità o dichiarazioni negoziali espresse, né, comunque, il consenso del lavoratore interessato, salva ovviamente la sua facoltà di licenziarsi. Cass. civ. Sez. lavoro, 12-03-2013, n. 6131 Il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali non integra gli estremi del trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., in quanto non determina la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi, ma solo modifica gli assetti azionari interni sotto il profilo della loro titolarità, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se totalmente eterodiretta. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-03-2013, n. 5678 È configurabile il trasferimento di un ramo di azienda nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare "know how" (o, comunque, dall'utilizzo di "copyright", brevetti, marchi, etc.), con la conseguenza che la cessione realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno di consenso dei contraenti ceduti. 79 Cass. civ. Sez. lavoro, 13-02-2013, n. 3537 In materia di trasferimento d'azienda, l'art. 47 della legge n. 428 del 1990 (nel testo applicabile "ratione temporis"), nel prevedere l'obbligo del cedente e del cessionario di comunicare, tempestivamente e per iscritto, alle organizzazioni sindacali - oltre alla data del trasferimento, alle conseguenze per i lavoratori e alle eventuali misure nei confronti degli stessi - i motivi della cessione, non impone anche di indicare, nell'atto, le ragioni giustificatrici della decisione, assolvendo la suddetta comunicazione a sole finalità informative, allo scopo di consentire alle organizzazioni sindacali di scegliere se richiedere o meno l'esame congiunto e, in caso positivo, di parteciparvi in modo informato. Cass. civ. Sez. lavoro, 31-01-2013, n. 2281 In tema di pubblico impiego, i due termini utilizzati dall'art. 31 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (disciplinante il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse) ai fini dell'applicazione dell'art. 2112 cod. civ., cioè quelli di trasferimento o di conferimento di attività, esprimono, attraverso la loro ampia valenza semantica, la volontà del legislatore di comprendere nello spettro applicativo della suddetta disposizione - in funzione della tutela dei dipendenti pubblici addetti all'attività trasferite - ogni vicenda traslativa riguardante un'attività svolta dal soggetto pubblico a prescindere dallo strumento tecnico adoperato. (Nella specie, attraverso lo strumento della concessione erano state affidate attività del CONI all'Azienda autonoma dei Monopoli di Stato; in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto ininfluente lo strumento prescelto, operando in ogni caso il trasferimento del personale). * * * 20. IL POTERE DISCIPLINARE DEL DATORE DI LAVORO Cons. Stato Sez. III, 22-01-2014, n. 339 Le garanzie del lavoratore previste dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) non implicano per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocare il dipendente per l'audizione orale, essendo tale obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere sentito di persona; ne consegue che le discolpe fornite dall'interessato per iscritto consumano il suo diritto di difesa se nel suo scritto non sia manifestata la volontà di essere sentito di persona, ovvero emerga la rinuncia a tale facoltà o la richiesta appaia ambigua e priva di univocità. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-11-2013, n. 25824 80 Al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed, in particolare di quello fiduciario, e la cui prova grava sul datore di lavoro, è necessario valutare la gravità dei fatti ascritti al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati posti in essere ed all'intensità dell'elemento intenzionale. Altresì, occorre valutare la proporzionalità fra tali atti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-10-2013, n. 23528 In tema di procedimento disciplinare a carico del lavoratore, ove quest'ultimo eserciti il proprio diritto di difesa chiedendo espressamente di essere sentito nei termini di legge, il datore di lavoro ha l'obbligo della sua audizione e l'accertamento che le modalità di convocazione del lavoratore non siano contrarie a buona fede o alla lealtà contrattuale è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile se congruamente motivata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto priva di vizi logici o giuridici la decisione del giudice di merito che aveva escluso la lesione del diritto di difesa nel caso di dipendente postale in servizio a Cremona, convocato per l'audizione presso la direzione regionale risorse umane di Milano, ove aveva sede l'organo preposto alla gestione dell'intero procedimento disciplinare). Cass. civ. Sez. lavoro, 11-10-2013, n. 23172 In materia disciplinare, la comunicazione dei giorni nei quali la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione deve essere scontata non è vincolata, in mancanza di diversa indicazione contrattuale, ad alcuna formalità. Ne consegue che, comunicata per iscritto l'irrogazione della sanzione della sospensione dal lavoro, l'indicazione dei giorni in cui essa dovrà essere applicata può essere fatta verbalmente dal datore di lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-09-2013, n. 21349 In materia di pubblico impiego privatizzato, nel caso di impugnativa di sanzione disciplinare innanzi al collegio arbitrale di disciplina, ai sensi dell'art. 59 deld.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (come modificato dall'art. 27 del d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546 ed applicabile "ratione temporis"), la decisione ha natura rituale, come tale disciplinata dagli artt. 827 e ss. cod. proc. civ., sicché competente sull'impugnativa del lodo non è il tribunale, nella cui circoscrizione l'arbitrato ha avuto sede, ma la corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitro. Cass. civ. Sez. lavoro, 10-07-2013, n. 17130 81 In tema di sospensione cautelare dal servizio nell'impiego pubblico, l'art. 40 del c.c.n.l. 1994 - 1997 per le amministrazioni autonome dello Stato, nel prevedere che quanto corrisposto a titolo d'indennità al dipendente (nella specie, vigile del fuoco) nel periodo della suddetta sospensione dev'essere conguagliato con quanto dovuto se il lavoratore fosse restato in servizio solo in caso di proscioglimento con formula piena, ha innovato rispetto alla previgente disciplina di cui all'art. 96, d.P.R. n. 3 del 1957, che permetteva il conguaglio in tutte le ipotesi di proscioglimento disciplinare. Ne consegue che le nuove disposizioni, trasformando la sospensione cautelare della retribuzione in provvedimento definitivo, ossia in pena disciplinare, non si applicano agli illeciti disciplinari commessi - come nella specie - anteriormente alla sua entrata in vigore. Cass. civ. Sez. lavoro, 14-03-2013, n. 6501 In materia disciplinare, poiché gli artt. 240 e 333 cod. proc. pen. riguardano esclusivamente la materia penale, nessuna norma di legge vieta che l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell'illecito, né un simile divieto può desumersi dal generale principio di correttezza e buona fede, che costituisce un metro di valutazione dell'adempimento degli obblighi contrattuali e non anche una loro autonoma fonte. Cass. civ. Sez. lavoro, 13-03-2013, n. 6337 Nel procedimento disciplinare, sebbene l'art. 7 della legge 25 maggio 1970, n. 300, non preveda un obbligo per il datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione, la documentazione su cui essa si basa, egli è però tenuto, in base ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, ad offrire in consultazione i documenti aziendali all'incolpato che ne faccia richiesta, laddove l'esame degli stessi sia necessario per predisporre un'adeguata difesa. Cass. civ. Sez. Unite, 11-03-2013, n. 5942 L'art. 13, comma secondo, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, nel prevedere la possibilità del trasferimento d'ufficio di un magistrato ad altra sede o la destinazione dello stesso ad altre funzioni, non contempla l'irrogazione di una sanzione, a titolo definitivo, bensì l'applicazione di una misura cautelare, per sua natura provvisoria e destinata ad operare fino alla definizione del giudizio di merito, sicché tale norma non pone alcuna necessaria correlazione tra la misura "de qua" e la sanzione disciplinare di cui l'incolpato risulti astrattamente passibile (salva la condizione che quella irrogabile nel caso di specie risulti diversa sia dall'ammonimento che dalla rimozione), non configurando, pertanto, la prima una sorta di espiazione anticipata della seconda, con conseguente necessità di una loro corrispondenza. Ne deriva che non integra alcun "demansionamento" del magistrato incolpato la decisione adottata - in sede cautelare - dal giudice disciplinare, allorché 82 esso, pur optando per la misura del trasferimento ad altra sede con conservazione delle precedenti funzioni, abbia privato temporaneamente l'incolpato, presso il nuovo ufficio, dell'esercizio delle funzioni direttive o semidirettive precedentemente espletate. Cass. civ. Sez. lavoro, 01-03-2013, n. 5147 Posto il divieto di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore fuori dalle ipotesi previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva o comunque fuori da circostanze eccezionali, spetta al lavoratore che abbia subìto un periodo di sospensione cautelare facoltativa eccedente rispetto a quello della sospensione irrogata a seguito di procedimento disciplinare la retribuzione maturata nel periodo eccedente, al netto degli assegni alimentari percepiti. * * * 21. I LICENZIAMENTI INDIVIDUALI a) Licenziamento per giusta causa Cass. civ. Sez. lavoro, 06-12-2013, n. 27390 In merito al rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro, allorché abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest'ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo. Ne deriva che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nell'ipotesi cui venga riconosciuto invalido od inefficace il precedente. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-12-2013, n. 27057 In materia di licenziamento per assenza ingiustificata. Il dipendente in ferie non è tenuto a comunicare la sua dimora temporanea ed i successivi eventuali mutamenti. La norma contrattuale (art. 23 ccnl per il personale dipendente dalle amministrazioni del Comparto Regioni - Autonomie locali) invocata tutela il diritto del datore di lavoro di conoscere il luogo ove inviare comunicazioni al dipendente nel corso del rapporto di lavoro e non già, stante la natura costituzionalmente tutelata del bene, ivi comprese le connesse esigenze di privacy, durante il legittimo godimento delle ferie (che il lavoratore è libero, salvo diverse pattuizioni, di godere secondo le modalità e nelle località che ritenga più congeniali al recupero delle sue energie psicofisiche), risolvendosi l'opposta interpretazione in una compressione del diritto alle ferie, costringendo il lavoratore in viaggio non 83 solo a far conoscere al datore di lavoro i luoghi e tempi dei suoi spostamenti, ma anche ad una inammissibile e gravosa attività di comunicazione formale, magari giornaliera, dei suoi spostamenti. Il lavoratore è infatti libero di scegliere le modalità (e località) di godimento delle ferie che ritenga più utili (salva la diversa questione dell'obbligo di preservare la sua idoneità fisica, Cass. sez. un. n. 1892/82), mentre la reperibilità del lavoratore può essere oggetto di specifico obbligo disciplinato dal contratto individuale o collettivo del lavoratore in servizio ma non già del lavoratore in ferie, salvo specifiche difformi pattuizioni individuali o collettive. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-11-2013, n. 26290 Il lavoratore al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un'assenza per malattia ha l'onere di dimostrare la compatibilità dell'attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, restando peraltro le relative valutazioni riservate al giudice del merito all'esito di un accertamento da svolgersi non in astratto ma in concreto (così Cass. 19 dicembre 2000, n. 15916 ed in senso conforme Cass. 13 aprile 1999, n. 3647). Cass. civ. Sez. lavoro, 31-10-2013, n. 24574 Nell'ipotesi in cui al lavoratore siano state contestate più infrazioni, alcune delle quali siano di per sè sole sufficienti a giustificare la sanzione irrogata, la validità del provvedimento sanzionatorio non è inficiata dal fatto che determinate infrazioni, fra quelle contestate dal datore di lavoro, non risultino provate in giudizio, ove lo stesso giudice - al quale compete ogni valutazione circa la proporzionalità della sanzione inflitta - fornisca logica spiegazione della ritenuta proporzionalità fra la sanzione in concreto irrogata dal datore di lavoro e la violazione dei doveri del lavoratore della quale sia stata fornita prova certa. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-10-2013, n. 23172 La costante, ingiustificata e rilevante prestazione inferiore rispetto a quella dei colleghi e il rifiuto di abbandonare il posto di lavoro nonostante la preventiva notificazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione costituiscono condotte idonee a legittimare il recesso per giusta causa. Cass. civ. Sez. lavoro, 30-09-2013, n. 22322 84 In tema di licenziamento per giusta causa e di indennità sostitutiva del preavviso. Alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 2118 cod. civ.. nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale - che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine - ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso. Da tanto consegue anche che l'indennità sostitutiva del preavviso, per le ragioni sottese a tale istituto, non assume portata compensativa delle retribuzioni perdute per effetto del recesso, ma costituisce un'indennità di natura retributiva contrattualmente determinata, come tale non suscettibile di riduzione in costanza di un aliunde perceptum. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-09-2013, n. 21362 L'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro, con modalità tali che, superando i limiti della continenza sostanziale (nel senso di corrispondenza dei fatti alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva) e formale (nel senso di misura nell'esposizione dei fatti), si traducano in una condotta lesiva del decoro dell'impresa datoriale - suscettibile di provocare, con la caduta della sua immagine, anche un danno economico in termini di perdita di commesse e di occasioni di lavoro - è comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, integrando la violazione del dovere scaturente dall'art. 2105 cod. civ., e può costituire giusta causa di licenziamento. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-09-2013, n. 20158 In tema di licenziamento per giusta causa, è infondato il motivo di ricorso in forza del quale il lavoratore si dolga dell'illegittimità della sospensione cautelare dal servizio, disposta ai sensi dell'art. 41 del CCNL della sanità, in conseguenza della sentenza di condanna dello per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti. Invero, l'art. 41 CCNL della sanità contiene un'elencazione delle condotte legittimanti l'irrogazione della sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa, avente valore puramente indicativo e certamente non tassativo, laddove, il fondamento del recesso possa individuarsi in un comportamento di gravità tale da ledere il vincolo fiduciario tra le parti. Invero, la circostanza per la quale il datore di lavoro sappia che un proprio dipendente, addetto a mansioni così delicate, come quelle che riguardano una casa di cura per anziani e soggetti non autosufficienti, sia stato condannato per spaccio di stupefacenti, appare certamente idonea a rompere il vincolo fiduciario tra le parti, esponendo l'ambiente di lavoro ad eventuali danni e ripercussioni, potenzialmente molto negative, qualora l'anzidetta circostanza giungesse a 85 conoscenza dei pazienti o dei parenti degli stessi, che contano sull'affidabilità del personale della struttura per garantire la salvaguardia ed il benessere dei ricoverati. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-02-2013, n. 3058 In tema di malattia e licenziamento disciplinare, è legittimo il licenziamento disciplinare emesso senza la preventiva audizione del lavoratore, il quale per motivi "depressivi" aveva più volte procrastinato l'incontro. L'indisponibilità ripetuta per motivi di salute non deve essere usata dal lavoratore come mezzo dilatorio per rimandare sistematicamente il provvedimento disciplinare e paralizzare, così, il potere disciplinare del datore di lavoro. Infatti, "nulla si poteva obiettare alla Società appellante che si era mostrata sempre disponibile (per ben quattro volte) affinché l’appellato potesse esercitare il diritto di difesa"; inoltre, la malattia (stato depressivo) "non appariva, in concreto, aver impedito fisicamente al lavoratore di effettuare il colloquio, né di ragguagliare adeguatamente il rappresentante sindacale sulle giustificazioni da fornire rispetto ai fatti contestati". Trib. Milano Sez. lavoro, 18-07-2013 Il principio della immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7, legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-07-2013, n. 17370 La previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo, non vincola il Giudice, il quale deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, la conformità di quella previsione alla nozione di giusta causa ex art. 2119 c.c. e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo conto, altresì, dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore, salvo il caso in cui il trattamento contrattuale sia a questo più favorevole. Cass. civ. Sez. lavoro, 07-05-2013, n. 10552 86 Rientra tra i normali obblighi di correttezza e diligenza nello svolgimento del rapporto di lavoro anche quello che fa carico al lavoratore di assicurarsi che impedimenti nell'espletamento della prestazione, seppure legittimi, non arrechino alla controparte datoriale un pregiudizio ulteriore, per effetto di inesatte comunicazioni che generino un legittimo affidamento in ordine alla effettiva ripresa della prestazione lavorativa. (In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata dal lavoro per il tempo previsto dal contratto collettivo, nei confronti di un lavoratore che, pur temporaneamente impossibilitato per ragioni di salute all'espletamento della prestazione, non aveva rispettato il termine di ripresa del lavoro indicato nel certificato di malattia inviato al datore, ma quello indicato in altro certificato non inviato). Cass. civ. Sez. lavoro, 28-03-2013, n. 7819 La giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, dev'essere apprezzata con riguardo non soltanto all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell'interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Priva di rilievo risulta la deduzione del ricorrente in ordine alla esistenza ed alla efficacia scriminante della prassi aziendale invocata dal lavoratore. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-03-2013, n. 7499 L'invio di un esposto-denuncia ad enti preposti alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori da parte di un dipendente addetto al controllo ed al collaudo di una caldaia oggetto di interventi di riparazione, dei quali nell'esposto si denunciava l'inadeguatezza, integra giusta causa di recesso, nel caso in cui i fatti denunciati si rivelino infondati in esito ad un'ispezione dell'ente competente alla verifica dell'impianto. Cass. civ. Sez. lavoro, 22-03-2013, n. 7311 L'assoggettamento del licenziamento per motivi disciplinari alle garanzie procedimentali previste dai primi tre commi dell'art. 7 Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) non trova deroga nel contratto di lavoro a tempo determinato, nemmeno per quanto riguarda la forma scritta della contestazione delle infrazioni, salva restando la rilevanza dell'apposizione del termine al relativo rapporto, al diverso fine di escludere, in caso d'illegittimità del licenziamento, l'esigenza di una tutela reale del lavoratore mediante reintegrazione nel posto di lavoro. Cass. civ. Sez. lavoro, 14-03-2013, n. 6501 87 Non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento l'avere il dipendente allegato alla denuncia o all'esposto presentati all'Autorità Giudiziaria documenti aziendali, aventi ad oggetto fatti di potenziale rilevanza penale accaduti presso l'azienda. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-02-2013, n. 3912 Ove una disposizione del contratto collettivo faccia riferimento alla sentenza penale di condanna passata in giudicato, come atto idoneo a consentire il licenziamento senza preavviso, il giudice di merito può, nell'interpretare la volontà delle parti collettive espressa nella clausola contrattuale, ritenere che gli agenti contrattuali, nell'usare l'espressione "sentenza di condanna", si siano ispirati al comune sentire che a questa associa la sentenza c.c. "di patteggiamento" ex art. 444 c.p.p. Tale equiparazione non esonera dall'ulteriore indagine della idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il lavoratore. Cass. civ. Sez. lavoro, 30-01-2013, n. 2168 I comportamenti tenuti dal lavoratore nella vita privata ed estranei perciò all'esecuzione della prestazione lavorativa, se, in genere, sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da compromettere la fiducia del datore di lavoro nel corretto espletamento del rapporto, in relazione alle modalità concrete del fatto e ad ogni altra circostanza rilevante in relazione alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente postale che aveva patteggiato una pena per il reato di violenza sessuale, attribuendo rilevanza al "forte disvalore sociale" dei fatti e all'eco avutane nella stampa, nonché alla posizione del dipendente, quale coordinatore di circa trenta unità addette al recapito, in ragione della responsabilità e preminenza rispetto ai componenti della squadra, attribuendo rilievo al fatto che le condotte poste in essere fossero connotate da un "abuso delle funzioni di guida e responsabilità connesse alla veste di capo della comunità religiosa"). b) Licenziamento per giustificato motivo Cass. civ. Sez. lavoro, 08-11-2013, n. 25197 Il Giudice del merito, adito per la declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato al prestatore per soppressione delle mansioni cui il medesimo era addetto, è tenuto al controllo della effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del recesso datoriale, mentre non può sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, in quanto espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione. Il datore di lavoro, in ogni caso, ha l'onere di provare l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle 88 precedentemente svolte, pur esigendosi dallo stesso lavoratore una collaborazione nell'accertamento di un suo possibile reimpiego nel contesto lavorativo, mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali poteva essere utilmente collocato, conseguendo a tale allegazione l'onere della parte datoriale di provare la non utilizzabilità dei posti predetti. Cass. civ. Sez. lavoro, 28-10-2013, n. 24259 E' legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del dipendente distaccato presso l'azienda dove è stato esternalizzato il servizio a cui era adibito, in assenza di alternative. Cass. civ. Sez. lavoro, 23-10-2013, n. 24037 Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva è una scelta riservata all'imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell'azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo. Ne discende che una siffatta scelta, quando risulti effettiva e non simulata o pretestuosa, non è assoggettabile al sindacato del giudice al fine di verificarne la congruità e l'opportunità. La ricorrenza del giusto motivo di licenziamento deve ritenersi sussistente anche nell'ipotesi di riassetto organizzativo dell'azienda, posto in essere dall'imprenditore al fine di una gestione più economica della stessa. L'impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni, compatibili con la qualifica rivestita, deve essere provata dal datore di lavoro, con riferimento all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento ed anche attraverso fatti positivi tali da determinare presunzioni semplici. Per mansioni equivalenti a quelle espletate devono intendersi quelle oggettivamente comprese nella stessa area professionale e salariale e che, soggettivamente, si armonizzano con la professionalità già acquisita dal lavoratore nel corso del rapporto, in modo da impedirne la dequalificazione. In applicazione dell'art. 2103 c.c., è illegittima la modifica in peius della mansioni del lavoratore, salvo che sia stata disposta con il consenso dello stesso al fine di evitare il licenziamento o la messa in cassa integrazione. In tal caso, infatti, la diversa utilizzazione del lavoratore non contrasta con l'esigenza di dignità e libertà della persona, configurando una soluzione più favorevole per il dipendente. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-10-2013, n. 23068 In tema di licenziamento per inidoneità fisica del dipendente a svolgere le mansioni assegnategli, è pacifico in giurisprudenza che la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure di cui all'art. 5 dello Statuto dei lavoratori non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia pervenire a diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica d'ufficio disposta nel giudizio di merito, il datore di lavoro, nel momento in cui opta per l'immediato licenziamento del dipendente, anzichè chiedere, secondo le normali regole contrattuali, la risoluzione giudiziaria del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione, agisce a suo rischio, che 89 rientra nel principio del "rischio d'impresa", secondo una scelta del legislatore chiaramente rivolta a tutela del soggetto più debole. Inoltre, questa Corte ha ribadito (Cass. Sez. lav. n. 2953 del 4/4/1997) che "nel caso di contrasto tra il contenuto del certificato del medico curante e gli accertamenti compiuti dal medico di controllo, il giudice del merito deve procedere alla loro valutazione comparativa al fine di stabilire (con giudizio che è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato) quale delle contrastanti motivazioni sia maggiormente attendibile, atteso che le norme che prevedono la possibilità di controllo della malattia, nell'affidare la relativa indagine ad organi pubblici per garantirne l'imparzialità, non hanno inteso attribuire agli atti di accertamento compiuti da tali organi una particolare ed insindacabile efficacia probatoria che escluda il generale potere di controllo del giudice". Cass. civ. Sez. lavoro, 06-06-2013, n. 14319 La netta riduzione dell'attività amministrativa cui sia addetta una dipendente, provata dalla società datrice di lavoro e accompagnata dal rifiuto della lavoratrice di accettare l'offerta di un impiego a tempo parziale, costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento nel caso in cui sia accertata l'impossibilità di adibirla ad altre mansioni equivalenti. Cass. civ. Sez. lavoro, 03-06-2013, n. 13918 La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo e, conseguentemente, fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato ben possono giustificare il licenziamento del dirigente. Ne deriva che, ai fini della giustificatezza del licenziamento in parola, può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuito al dirigente. Cass. civ. Sez. lavoro, 20-05-2013, n. 12233 Il superamento dei termini previsti per il comporto e l'aspettativa rappresenta la condizione sufficiente a legittimare il recesso datoriale, escludendo ogni necessità di prova, da parte del datore di lavoro, sia in ordine al giustificato motivo oggettivo, sia in relazione all'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa che a quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. 90 Cass. civ. Sez. lavoro, 05-04-2013, n. 8440 Nel caso di licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto, che è assimilabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, poiché il dipendente ha diretta conoscenza degli eventi che legittimano il potere del datore di lavoro di risolvere il contratto, non è necessario che l'atto di recesso indichi in maniera analitica i singoli giorni di assenza. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-03-2013, n. 5963 L'obbligo di ripescaggio gravante sul datore di lavoro in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo va riferito esclusivamente alle attitudini ed alla formazione di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento, con esclusione, in capo al datore, dell'obbligo di fornire tale lavoratore di un'ulteriore o diversa formazione per salvaguardare il suo posto di lavoro (nella specie, è stato reputato legittimo il licenziamento irrogato al dipendente, addetto al reparto manutenzione carrozzeria dei veicoli della società, benché egli fosse in possesso della patente K, necessaria per la guida di tutti i veicoli in dotazione alla società). Trib. Bologna Sez. lavoro, 18-02-2013 Nel licenziamento individuale deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo quando, al di là di ogni eventuale riferimento a ragioni relative all'impresa, il recesso datoriale sia fondato su un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore, lesivo dei suoi doveri contrattuali, ed esprima, pertanto, un giudizio negativo nei suoi confronti, tale da esigere il rispetto dell'iter prescritto dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori). In tale contesto non assume alcun rilievo la circostanza che la valutazione sfavorevole non abbia ad oggetto le qualità strettamente tecniche del lavoratore, ma investa altri aspetti dell'attività professionale o della sua personalità, concorrenti ad integrarne il patrimonio professionale. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-02-2013, n. 3175 Per licenziare un dirigente in tempo di crisi è sufficiente il criterio della giustificatezza, anche in mancanza del giustificato motivo oggettivo. Inoltre, il principio di libera recedibilità del rapporto con le figure dirigenziali non è intaccato dall'accenno all'impossibilità di trovare una diversa collocazione al manager fatto dall'azienda nella comunicazione di recesso, in quanto l'obbligo di "repechage" non trova applicazione per i dirigenti. 91 Cass. civ. Sez. lavoro, 02-01-2013, n. 6 È illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora il datore di lavoro non provi l'impossibilità di utilizzare la lavoratrice adibendola ad altre mansioni, a nulla rilevando il rifiuto da questa opposto ad essere licenziata e poi assunta da altra impresa. * * * 22. I LICENZIAMENTI COLLETTIVI Cass. civ. Sez. lavoro, 03-02-2014, n. 2298 La comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, L. n. 223 del 1991, nella parte in cui fa obbligo al datore di lavoro di indicare puntualmente le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, intende consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell'operazione di collocamento in mobilità e la rispondenza agli accordi raggiunti. A tal fine, dunque, non è sufficiente la trasmissione dell'elenco dei lavoratori licenziati e la comunicazione dei criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali, né la predisposizione di un meccanismo di applicazione in via successiva dei vari criteri, in quanto necessario controllare se tutti i dipendenti in possesso dei requisiti previsti siano stati inseriti nella categoria da scrutinare, nonché, qualora i dipendenti siano in numero superiore ai previsti licenziamenti, se siano stati correttamente applicati i criteri di valutazione comparativa per la individuazione dei dipendenti da licenziare. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-10-2013, n. 23183 In occasione del collocamento del lavoratore in mobilità, ai sensi dell'art. 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, nel testo vigente "ratione temporis", il mancato rispetto dei termini di preavviso di cui al comma nono (con il riconoscimento invece della corrispondente indennità) non determina l'illegittimità del licenziamento, perché tale preavviso, avente la medesima funzione di quello previsto dall'art. 2118 cod. civ., non può essere ricompreso nell'ambito delle norme procedurali, alla cui violazione fanno riferimento gli artt. 4, comma 12, e 5, comma 3, della legge 223 cit. nel comminare l'inefficacia del licenziamento. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-09-2013, n. 21076 92 Per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione, la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle OO.SS. i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in relazione a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975, art. 5. Tale disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle OO.SS. anche dopo l'entrata in vigore della disciplina del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, la quale non abroga o modifica le suddette disposizioni ma solo regola diversamente il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di concessione di integrazione salariale. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-08-2013, n. 19576 In tema di licenziamenti collettivi, nella comunicazione scritta di cui all'art.4, comma 9, legge 23 luglio 1991, n. 223, il datore di lavoro deve indicare puntualmente i criteri di scelta dei lavoratori licenziati o posti in mobilità e le modalità applicative dei criteri stessi e, quando il criterio di scelta sia unico, il datore di lavoro deve in ogni caso specificarne le modalità di applicazione affinché la comunicazione raggiunga un livello di adeguatezza idoneo a mettere in grado il lavoratore di comprendere per quale ragione lui, e non altri colleghi, sia stato posto in mobilità o licenziato e quindi di poter contestare il recesso datoriale; a tal fine, può essere idonea anche la comunicazione dell'elenco dei lavoratori licenziati e del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia, in quanto la natura oggettiva del criterio rende superflua la comparazione con i lavoratori privi del detto requisito. Cons. Stato Sez. VI, 05-08-2013, n. 4084 Il sindacato del Giudice Amministrativo sul provvedimento di diniego dell'ammissione alla Cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi con l'ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell'Ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale ai sensi dell'art. 1 della legge n. 164 del 1975 e, pertanto, le scelte dell'Ente sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti o inattendibili ovvero viziate per palesi travisamenti in fatto. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-07-2013, n. 17177 In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell'esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l'azienda e interferenza sull'assetto organizzativo, atteso che, ove sia mancato l'accordo sui criteri di scelta con le organizzazioni sindacali, operano i criteri legali sussidiari previsti dall'art. 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, che non contempla tra i suoi parametri la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la 93 dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all'esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro. Trib. Padova Sez. I, 17-06-2013 Il datore di lavoro che ricorre alla cassa integrazione guadagni straordinaria è gravato dall'onere di provare il nesso di causalità fra la sospensione del singolo lavoratore e le ragioni per le quali la legge gli riconosce il relativo potere di sospensione. Grava, invece, sul dipendente interessato dalla procedura l'onere di provare il mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, dei principi generali di correttezza e buona fede nella scelta delle unità da sospendere, essendo a tal fine necessario dimostrare non solo l'esistenza di diversi criteri di selezione, ma anche che la loro applicazione avrebbe comportato la sospensione di altro dipendente, ovvero che la propria sospensione è stata determinata da motivi discriminatori. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-05-2013, n. 13112 In caso di licenziamento collettivo per cessazione dell'attività, la circostanza che il licenziamento di un lavoratore intervenga oltre la scadenza del termine di centoventi giorni dalla conclusione della procedura di mobilità non impedisce al dipendente l'esercizio della facoltà di chiedere direttamente all'ufficio del lavoro competente l'iscrizione nelle liste di mobilità, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a fatto imputabile al datore di lavoro, avendo, il termine assegnato al lavoratore per formulare la richiesta d'iscrizione, natura ordinatoria, in quanto tale prorogabile, al cospetto di adeguate giustificazioni del ritardo. Cass. civ. Sez. lavoro, 15-05-2013, n. 11720 In tema di cassa integrazione guadagni, nel caso in cui il datore di lavoro abbia provveduto, in favore dei lavoratori, all'anticipazione delle relative somme e l'INPS non abbia provveduto, nonostante la domanda avanzata dall'avente diritto, al rimborso ai sensi dell'art. 12 del d.lgs.lgt. 9 novembre 1945, n. 788, ossia con il sistema del conguaglio tra i contributi dovuti e le prestazioni corrisposte, ma abbia corrisposto direttamente le somme dovute, spettano su tale somma gli interessi legali sin dalla data della domanda di rimborso. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-05-2013, n. 10985 94 In caso di progetto imprenditoriale volto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, il datore si può limitare ad indicare, nella comunicazione di avvio della procedura di mobilità, il numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell'azienda, soprattutto al cospetto di un accordo con i sindacati che adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione. Cass. civ. Sez. lavoro, 20-03-2013, n. 6959 In tema di collocamento in mobilità e licenziamento collettivo, la comunicazione di avvio della procedura ex art. 4, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223rappresenta una cadenza essenziale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro; ne consegue che il lavoratore è legittimato a far valere l'incompletezza dell'informazione, in quanto la comunicazione rituale e completa della mancanza di alternative ai licenziamenti rappresenta, nell'ambito della procedura, una cadenza legale che, se mancante, risulta ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. Cass. civ. Sez. lavoro, 20-02-2013, n. 4186 In materia di licenziamenti collettivi, tra imprenditore e sindacati può intercorrere, secondo quanto indicato dall'art. 5 della legge 23 Luglio 1991, n. 223, un accordo inteso a disciplinare l'esercizio del potere di collocare in mobilità i lavoratori in esubero, stabilendo criteri di scelta anche difformi da quelli legali, purché rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità; in tale ottica, deve ritenersi razionalmente giustificato il ricorso al criterio della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità, trattandosi di un criterio oggettivo che permette di scegliere, a parità di condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione. Cass. civ. Sez. lavoro, 21-01-2013, n. 1315 In tema di licenziamenti collettivi, la disciplina dettata dall'art. 4 della legge n. 223 del 1991 prevede un'articolata procedimentalizzazione dei licenziamenti per riduzione di personale, che ricomprende gli adempimenti informativi (relativi, tra l'altro, ai nominativi ed ai requisiti dei lavoratori licenziati, ed alle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta) previsti nei confronti delle sole associazioni sindacali di categoria e della P.A.; ne consegue che, per la compiutezza e autosufficienza del meccanismo descritto, deve escludersi l'applicazione analogica, alla materia dei licenziamenti collettivi, dell'onere di comunicazione dei motivi, ai sensi dell'art. 2 legge n. 604 del 1996, al singolo lavoratore che ne faccia richiesta, mentre questi, quando non sia aderente alle organizzazioni sindacali, può ottenere tali informazioni quanto meno dagli uffici 95 pubblici destinatari della comunicazione e, ove essi non vi provvedano, attraverso l'ordine del giudice emesso ex artt. 210 e 213 cod. proc. civ. nel corso del processo, senza che, pertanto, ne resti leso il diritto del singolo lavoratore di non aderire ad associazioni sindacali. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-01-2013, n. 880 Nella comunicazione di apertura della mobilità l'impresa ha l'onere di specificare ogni elemento idoneo ad incidere sull'assetto occupazionale e sulla effettiva necessità della procedura nonché a garantire la certezza e la trasparenza delle scelte aziendali e la effettività del ruolo svolto dal sindacato attraverso una completa e trasparente informazione preventiva. L'inosservanza di tale onere si risolve in un inadempimento essenziale che non può esser sanato nei successivi incontri sindacali né con le informazioni rese in tali contesti ed invalida la procedura. * * * 23. LE DIMISSIONI DEL LAVORATORE Cass. civ. Sez. lavoro, 19-09-2013, n. 21454 In tema di danno da errate informazioni della P.A., con riferimento al risarcimento del danno subito dal lavoratore che si sia dimesso anticipatamente nella convinzione, derivante da erronea informazione dell'INPS circa la congruità della sua posizione contributiva utile, di avere maturato il diritto alla pensione di anzianità, benché sia da escludersi in via generale che l'ordinamento imponga all'assicurato l'obbligo di verificare l'esattezza dei dati forniti dall'I.N.P.S., può trovare applicazione il principio di cui all'art. 1227, comma secondo, cod. civ., che impone l'onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per evitare l'aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore, sicché l'assicurato deve essere risarcito in misura diminuita, qualora abbia trascurato le espressioni cautelative usate dalla pubblica amministrazione e idonee a far dubitare dell'esattezza dei dati esposti. Cass. civ. Sez. V, 24-07-2013, n. 17986 Le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetti incentivi all'esodo) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e rimunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. La causa di siffatte prestazioni, pertanto, presupponendo una pattuizione, esclude che dette somme possano essere esentate dall'imposta, quali "sussidi occasionali" che, a differenza degli incentivi programmati, sono concessi 96 estemporaneamente e graziosamente, in coincidenza con rilevanti esigenze personali e familiari del lavoratore. Tali somme, pertanto, saranno assoggettate alla tassazione separata di cui all'art. 16, comma primo, lettera a), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non rientrando nell'esenzione di cui all'art. 48, comma secondo, del medesimo d.P.R. Cass. civ. Sez. lavoro, 02-07-2013, n. 16507 La clausola del contratto collettivo, la quale stabilisce che il lavoratore che al termine del periodo di aspettativa non riprenda servizio senza giustificato motivo sia considerato dimissionario, è nulla, in quanto stabilisce una causa di risoluzione del rapporto non prevista dalla legge. App. Bologna Sez. lavoro, 14-06-2013 Accolta la domanda di annullamento delle dimissioni rassegnate dal lavoratore subordinato, deve ritenersi legittima la determinazione in via equitativa del pregiudizio dal medesimo subito qualora quantificato in una somma parametrata alla metà della retribuzione netta che avrebbe percepito nel periodo di validità delle dimissioni, detratto l'importo erogato quale incentivo all'esodo. In tale ipotesi, invero, il principio secondo cui l'annullamento di un negozio giuridico ha efficacia retroattiva, non comporta il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al lavoro, spettando esse solo dalla data della sentenza che dichiara la illegittimità delle dimissioni. Cass. civ. Sez. lavoro, 05-03-2013, n. 5413 A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 29 del 1993, essendo il cd. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonché dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo di accettarle, sicché non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione. * * 24. L’ATTIVITA’ SINDACALE Cons. Stato Sez. III, 13-01-2014, n. 97 97 * Un sindacato è legittimato a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui ha la rappresentanza istituzionale o di fatto, solo quando venga invocata la violazione di norme poste a tutela della intera categoria, non anche quando si verta su questioni concernenti singoli iscritti ovvero su questioni capaci di dividere la categoria in posizioni contrastanti. Ciò in quanto l'interesse collettivo della associazione sindacale deve identificarsi con l'interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli associati o di gruppi di associati; se difatti si riconoscesse all'associazione di categoria la legittimazione ad agire anche in questi ultimi casi, si avrebbe una vera e propria sostituzione processuale in violazione dell'art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può fare valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Cass. civ. Sez. lavoro, 25-11-2013, n. 26286 E' antisindacale la condotta della parte datoriale che ometta di richiedere il nulla osta per il licenziamento del lavoratore ai sensi della normativa di cui alla contrattazione collettiva nazionale di categoria (nella specie CNLG), nella parte in cui prevede una procedura a garanzia dei lavoratori per i casi di licenziamento. Ai fini della integrazione degli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300 del 1970) è, invero, sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo all'uopo necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro. Ciò che il giudice deve accertare è, dunque, la obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l'effetto che la citata diposizione intende impedire, ovvero la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero. Cass. civ. Sez. lavoro, 20-08-2013, n. 19252 Lo strumento processuale di cui all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori è finalizzato a realizzare in tempi rapidi il ripristino delle situazioni di violazione dei diritti di libertà e di attività sindacale, al precipuo fine di favorire l'ordinato svolgimento del conflitto sociale, il che presuppone che le organizzazioni sindacali ricorrano a tale strumento sulla base di scelte conformi ai generali canoni della buona fede e della correttezza, che sono alla base dell'esecuzione dei contratti collettivi. Ne consegue che non è conforme ai suddetti canoni la proposizione dell'azione ex art. 28 dello Statuto prospettando come antisindacale il comportamento del datore di lavoro - nella specie consistito nella predisposizione del periodo delle ferie annuali, senza la preventiva convocazione delle organizzazioni sindacali - analogo a quello tenuto in precedenza (per circa venti anni), in assenza di reazioni dei sindacati, assumendone il contrasto con una norma del contratto collettivo provinciale applicabile nella specie, ma in concreto mai applicata nell'ambito dell'azienda interessata. Cass. civ. Sez. lavoro, 31-07-2013, n. 18368 98 Costituisce comportamento antisindacale la condotta del datore di lavoro che, in occasione di uno sciopero, abbia sanzionato con il licenziamento senza preavviso il comportamento di tre lavoratori due dei quali rappresentanti sindacali - che si siano trattenuti, nella zona di passaggio dei carrelli, cinque-sei minuti in più degli altri aderenti all'astensione dal lavoro, ove la maggior permanenza sia imputabile alla discussione avviata con i rappresentanti dell'azienda (che avevano scelto detti lavoratori come loro interlocutori) e nessun altro manifestante sia stato attinto da misure disciplinari, neppure di tipo conservativo, sussistendo una sicura sproporzione, sia sul piano oggettivo che soggettivo, tra l'addebito e la misura irrogata. Corte cost., 23-07-2013, n. 231 È costituzionalmente illegittimo, per violazione agli artt. 2, 3 e 39 Cost., l'art. 19, comma 1, lett. b), dello Statuto dei lavoratori, (legge n. 300 del 1970), recante le "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, quantunque non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda. Siffatta declaratoria di incostituzionalità è finalizzata ad eliminare l'aporia indotta dall'esclusione dal godimento dei diritti in azienda del sindacato non firmatario di alcun contratto collettivo, ma dotato dell'effettivo consenso da parte dei lavoratori. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-07-2013, n. 16981 In tema di trasferimento del dirigente sindacale aziendale, l'art. 14 dell'accordo interconfederale del 18 aprile 1966, la cui disciplina è stata estesa ai trasferimenti dei componenti delle r.s.u. dall'art. 5 del c.c.n.l. 7 maggio 2003 per l'industria metalmeccanica, disciplina generale, sezione 2, secondo il quale, in caso di trasferimento, va avviata su richiesta dell'organizzazione dei lavoratori, una procedura conciliativa entro sei giorni dalla notifica del provvedimento effettuata dall'associazione datoriale, si interpreta nel senso che la mancata richiesta dell'esame conciliativo da parte del sindacato dei lavoratori non rende operante, per l'inutile decorso del termine, il trasferimento del dirigente r.s.u. ove sia intervenuto il preventivo diniego di nulla osta da parte del medesimo sindacato, dovendosi ritenere una diversa interpretazione, che imponga di attivare in ogni caso - e, dunque, anche in caso di diniego espresso - la procedura conciliativa a pena di operatività del provvedimento datoriale, lesiva della tutela dell'inamovibilità sancita dall'art. 22 statuto dei lavoratori, che non può essere derogato da una disciplina contrattuale peggiorativa. Cass. civ. Sez. lavoro, 08-07-2013, n. 16930 99 In tema di condotta antisindacale, l'eventuale natura plurioffensiva del comportamento datoriale, che abbia dato luogo anche ad una lesione dell'interesse individuale del lavoratore, comporta l'insorgere di due azioni - quella collettiva e quella individuale - distinte, autonome e senza interferenze. Ne consegue che l'attualità della condotta antisindacale e la permanenza dei suoi effetti - alla cui esistenza è subordinata la concessione del provvedimento repressivo - vanno accertate con riferimento agli interessi di cui il sindacato è portatore esclusivo, senza che possano essere condizionate dalle vicende dell'azione individuale eventualmente intrapresa. Cass. civ. Sez. lavoro, 10-06-2013, n. 14511 Il datore di lavoro non è obbligato a trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali, rientrando nella propria autonomia negoziale la possibilità di sottoscrivere un nuovo contratto con organizzazioni sindacali anche diverse da quelle che hanno trattato e sottoscritto il precedente, ancora in corso. Costituisce, pertanto, condotta antisindacale solo l'uso distorto della libertà negoziale della parte datoriale, qualora produttivo di un'apprezzabile lesione della libertà sindacale dell'organizzazione esclusa. * * * 25. IL RAPPORTO PREVIDENZIALE Cass. civ. Sez. lavoro, 27-01-2014, n. 1659 L'esclusione dall'iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti per il professionista, in relazione al periodo in cui questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria, non opera per il solo fatto dell'iscrizione dell'ingegnere od architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell'esclusione, che il professionista abbia effettivamente svolto l'attività professionale tutelata dall'altra Cassa ovvero il lavoro subordinato tutelato dall'INPS o da altre ente analogo. Cass. pen. Sez. III, 19-12-2013, n. 3705 La punibilità della condotta prevista dal reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali deve essere individuato nel mancato accantonamento delle somme dovute all'Istituto (in nome e per conto del quale tali somme sono state trattenute) di modo che non puoi ipotizzarsi l'impossibilità di versamento per fatti sopravvenuti, quali potrebbe essere la situazione di illiquidità della società rappresentata. Cass. civ. Sez. lavoro, 02-12-2013, n. 26962 100 In materia di previdenza forense, il parziale adempimento dell'obbligo contributivo e, dunque, il versamento di una contribuzione inferiore al dovuto, influisce certamente sulla misura della pensione, atteso che la inadempienza, se riferita agli anni utili per la determinazione della base pensionistica, abbassa la media del reddito professionale su cui si calcola la pensione. Cass. civ. Sez. lavoro, 26-11-2013, n. 26411 La previsione normativa di cui all'art. 19, L. n. 576 del 1980, in materia di prescrizione dei contributi, dei relativi accessori e dei crediti conseguenti a sanzioni dovuti in favore della Cassa Nazionale Forense, individua un distinto regime della prescrizione medesima, a seconda che la comunicazione dovuta da parte dell'obbligato, in relazione alla dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23 della medesima legge, sia stata omessa o sia stata resa in modo non conforme al vero. L'ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale decennale, invero, si riferisce solo al primo caso, mentre in ordine alla seconda fattispecie il decorso di siffatto termine è da intendersi riconducibile al momento della data di trasmissione della menzionata dichiarazione alla Cassa. Cons. Stato Sez. V, 20-11-2013, n. 5480 Il lavoratore gode di un vero e proprio diritto soggettivo al versamento dei contributi previdenziali in proprio favore in conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa, costituendo questa un bene suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di lavoro che lo ha pregiudicato, con la conseguenza che, in caso di omesso o tardivo versamento dei contributi, esso lavoratore può agire in giudizio anche prima che si sia concluso il rapporto giuridico previdenziale, per ottenere la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione della posizione assicurativa mediante il versamento all'Ente previdenziale dei contributi omessi e non prescritti, mentre, per i contributi prescritti, può avvalersi del rimedio previsto dall'art. 13, l. 12 agosto 1962 n. 1338, che gli consente di ottenere in contraddittorio necessario con l'Ente, la condanna del datore di lavoro alla costituzione di una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o alla quota di pensione corrispondente ai contributi omessi. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-11-2013, n. 24997 In tema di contribuzione per malattia, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 20, comma 1, del d.l. 25 giugno 2008, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, di interpretazione autentica dell'art. 6, secondo comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, non è più dovuto dai datori di lavoro il versamento della contribuzione INPS per il trattamento economico di malattia, senza che - a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale (sent. n. 82 del 2013) della norma per violazione del principio di uguaglianza, nonché, in via conseguenziale ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 101 1953, n. 87, dell'art. 16, lett. b) del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha differito al 30 aprile 2011 il termine finale del periodo di tempo al quale si riferivano i contributi i cui versamenti erano comunque acquisiti all'INPS - operi la regola dell'irripetibilità delle contribuzioni anteriormente versate che non restano, pertanto, acquisite alla gestione previdenziale. Trib. di Roma, Sez. lavoro, 5-11-2013 Il tenore letterale della art. 24, comma 4, della legge n. 214/2011 non giustifica l’esistenza di un diritto potestativo in favore del lavoratore che sarebbe libero di scegliere se rimanere fino all’età di 70 anni o meno, diritto di fronte al quale sussisterebbe soltanto un obbligo del datore di lavoro di acconsentire alla prosecuzione del rapporto fino all’età richiesta dal lavoratore. L’utilizzazione del termine “incentivato”, in assenza di altre indicazioni che consentano di affermare sia il diritto del lavoratore che la disciplina dell’esercizio di tale diritto, porta ad affermare che la disposizione abbia un valore prettamente programmatico: ciò significa che l’art. 24, comma 4, è, in sostanza, un invito alle parti finalizzato ad una eventuale prosecuzione fino al limite massimo dei 70 anni, in coerenza con l’impianto complessivo della riforma del sistema pensionistico che porta all’innalzamento dell’età pensionabile. La norma, non prevede alcun diritto potestativo ma incentiva la permanenza in servizio con coefficienti di trasformazione favorevoli e attraverso la tutela dell’art. 18 della legge n. 300/1970 che va a sostituire la disposizione attraverso la quale per i lavoratori che raggiungevano l’età pensionabile esisteva soltanto il recesso “ad nutum”. Tuttavia, la possibilità di rimanere in servizio dopo il compimento dei 66 anni e 3 mesi e fino ai 70 anni con la fruizione degli incentivi previsti dalla legge, è subordinata, in assenza di un diritto potestativo, al consenso di entrambe le parti, cosa che nella fattispecie considerata non si è verificata. Cass. civ. Sez. lavoro, 30-10-2013, n. 24534 Il principio pro rata è stato posto, per le Casse privatizzate, dall'art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995 ed opera solo dall'entrata in vigore di tale legge di riforma ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto all'introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della quota pensionistica e, quindi, con riferimenti ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità. Successivamente, in base all'art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006, è stato introdotto un principio similare, ma meno rigido di quello sancito dall'art. 3, comma 12, della citata legge n. 335. Ed infatti, non è stato più previsto il principio del pro quota, imponendo tuttavia alle Casse privatizzate nell'esercizio del loro potere regolamentare di tenere presente tale principio, nonché i criteri di gradualità e di equità fra generazioni a partire dal 1° gennaio 2007. Cass. civ. Sez. lavoro, 22-10-2013, n. 23943 102 Sussiste l'obbligo del pagamento dei contributi IVS - secondo l'interpretazione autentica e conforme al dettato costituzionale del comma 208, art. 1, L. n. 662/1996 - da parte dei soci di società a responsabilità limitata. Infatti non rientrano nella previsione legislativa i rapporti di lavoro per i quali è prevista l'iscrizione alla gestione previdenziale di cui all'art. 2 della legge 335 del 1995. In questi casi vi è un regime di doppia contribuzione. L'applicazione di questi principi comporta che sono dovuti sia i contributi, a carico della società, relativi alla loro attività di amministratori (da versare alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335), sia i contributi dovuti, personalmente, quale soci che svolgono l'attività nella società, alla gestione commercianti. Cass. civ. Sez. lavoro, 17-10-2013, n. 23614 In tema di fondi previdenziali integrativi, devono considerarsi ammessi il riscatto o, in alternativa, la portabilità della posizione previdenziale, in base all'art. 10 delD.Lgs. n. 124 del 1993, da un fondo cd. a prestazione definita, ad un fondo di capitalizzazione individuale, posto che anche nell'ambito dei fondi a ripartizione è enucleabile e quantificabile una posizione individuale, secondo le metodologie di calcolo elaborate dalla statistica e dalla matematica attuariale. Cass. civ. Sez. lavoro, 08-10-2013, n. 22876 In tema di riliquidazione di trattamento pensionistico dei dirigenti degli enti pubblici del parastato, l'art. 59, comma 4, della legge n. 449 del 1997, nel prevedere la soppressione, a decorrere dal 1 gennaio 1998, di meccanismi di adeguamento dei trattamenti pensionistici diversi da quello di cui all'art. 11 del d. lgs. n. 503 del 1992, pure se collegati all'evoluzione retributiva del personale in servizio (cd. "clausole oro"), ha precluso -anche nei confronti del personale già in quiescenza alla data dell'entrata in vigore della legge- la rivalutazione automatica del trattamento pensionistico integrativo mediante computo nella base di calcolo della retribuzione di posizione riconosciuta ai dirigenti Enasarco con delibera n. 23 del 23.3.1998, - e con effetti retributivi per tutto il 1997 -, posto che per i lavoratori già pensionati il divieto di adeguamento dei trattamenti pensionistici era ormai operante al momento in cui, con la su richiamata delibera, i miglioramenti retributivi e la loro applicazione retroattiva erano stati decisi. Cass. civ. Sez. lavoro, 08-10-2013, n. 22874 In tema di ricongiunzione di periodi assicurativi, la clausola di salvezza di cui all'art. 1, co. 777, legge 27 dicembre 2006, n. 296, non è applicabile nel caso in cui l'INPS proceda all'erogazione di trattamenti pensionistici maturati, anche grazie al versamento di contributi all'estero, in forza di provvedimento giudiziale provvisoriamente esecutivo ma non definitivo e proponga impugnazione avverso lo stesso, in quanto detta clausola si riferisce all'ipotesi della liquidazione di trattamenti 103 pensionistici più favorevoli in forza di sentenze già passate in giudicato al momento dell'entrata in vigore della legge stessa e non può essere riferita a sentenze suscettibili di essere ancora impugnate. Cass. civ. Sez. lavoro, 04-10-2013, n. 22724 L'atto di accertamento amministrativo (nella specie, verbale ispettivo INAIL) di un Istituto previdenziale, relativo a contributi o premi non versati, è un provvedimento amministrativo a tutti gli effetti, che pertanto deve essere motivato -al pari di tutti gli atti amministrativi esplicanti direttamente efficacia nei confronti dei terzi (ai sensi dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990)- in modo adeguato a consentire al destinatario dell'atto di ricostruire esattamente l'iter logico seguito dall'ente previdenziale al fine di garantirgli l'esercizio del proprio diritto di difesa, anche nella eventuale fase di immediata impugnazione dell'atto, di cui all'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 46 del 1999, essendo irrilevante - ai suddetti fini - che si tratti di una impugnativa facoltativa. Cass. civ. Sez. lavoro, 01-10-2013, n. 22403 In tema di previdenza complementare dei dipendenti ex INAM, l'errata iscrizione del lavoratore, assunto stabilmente dopo l'entrata in vigore della legge 20 marzo 1975, n. 70 (3 aprile 1975), al fondo previdenziale integrativo (prima dell'INAM e poi dell'INPS), con effettuazione delle relative trattenute, ove sia intervenuta in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'art. 18, comma 9, del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, è sanata per effetto del disposto del primo periodo del medesimo comma 9, che consente il riscatto dei periodi pregressi, rispondendo ad un criterio di ragionevolezza, e ad una interpretazione costituzionalmente orientata ex art. 38, secondo comma Cost., che l'iscrizione effettuata erroneamente, ma successivamente consentita, anche con riguardo al passato, dal legislatore, non sia posta nel nulla, dovendosi ritenere chiara la volontà negoziale del lavoratore di essere iscritto al fondo. Cass. civ. Sez. lavoro, 19-09-2013, n. 21453 In tema di pensione indebitamente corrisposta, trova applicazione non già la speciale disciplina dell'indebito previdenziale, bensì l'ordinaria disciplina dell'indebito civile, nell'ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia continuato ad erogare i ratei della pensione di invalidità, pur dopo il decesso del beneficiario, accreditandoli sul conto corrente cointestato al coniuge superstite, trattandosi di erogazione di somme estranee ad un rapporto previdenziale facente capo al percettore. Cass. civ. Sez. lavoro, 19-09-2013, n. 21454 Nell'ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia fornito all'assicurato, mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea 104 indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, il danno sofferto dall'interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull'inadempimento dell'obbligo legale gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cuiall'art. 97 Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall'art. 38 Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo. Cass. civ. Sez. lavoro, 18-09-2013, n. 21355 La somma ottenuta giudizialmente dal lavoratore a titolo di riserva matematica, nel caso di omissioni contributive, costituisce una provvista - necessaria ad ottenere un beneficio corrispondente alla pensione, attraverso una previdenza sostitutiva ed eventualmente tramite il pagamento di quanto è necessario per costituire la rendita di cui all'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 - non assimilabile in alcun modo ad un trattamento pensionistico e retributivo del lavoratore e, dunque, non soggetta a tassazione. Cass. civ. Sez. lavoro, 16-09-2013, n. 21082 In tema di modificazione, totale o parziale, della rendita per inabilità conseguente a infortunio o malattia professionale, la qualificazione della modificazione operata dall'INAIL quale rettifica o revisione non è determinata dal "nomen juris" imposto dal provvedimento amministrativo, né dal risultato dell'accertamento emerso dal giudizio su di esso, ma deve essere preminentemente fondata sull'effettiva volontà che sorregge l'atto, distinguendo se sia finalizzato a correggere l'iniziale riconoscimento per emendarlo dall'errore da cui era affetto (nel qual caso si ha rettifica), ovvero ad adeguarlo all'intervenuto mutamento delle condizioni dell'attitudine lavorativa (ove si ha revisione), restando sottoposte le due fattispecie a differente disciplina relativa a criteri, metodi e strumenti del suo accertamento e a decorrenza del termine di esercizio della relativa facoltà. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-09-2013, n. 20818 In tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l'esercizio di attività industriali (nella specie, una società per la gestione e la fornitura di servizi agli enti locali in materia di fornitura di acqua, gas ed elettricità) sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l'esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, 105 finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione - pur maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico. Cass. civ. Sez. lavoro, 22-08-2013, n. 19423 In materia di contributi figurativi, il diritto al loro accredito per il periodo di maternità in forza del disposto dell'art. 25, comma 2, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 - come interpretato autenticamente dall'art.2, comma 504, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 - è consentito in favore della lavoratrice in maternità nell'intervallo tra un rapporto di lavoro subordinato ed un altro purché al momento dell'entrata in vigore dello stesso d.lgs. n. 151 del 2001 - ossia al 27 aprile 2001 - la lavoratrice non fosse titolare di un trattamento pensionistico, risultasse iscritta ad un'assicurazione di lavoro dipendente ordinaria o sostitutiva od esclusiva ed avesse versato i contributi per almeno cinque anni in costanza di rapporto di lavoro, restando per converso irrilevante che nel relativo periodo la lavoratrice fosse disoccupata o svolgesse attività lavorativa autonoma ed a prescindere dalla collocazione temporale del quinquennio di versamenti; viceversa il diritto all'accredito dei contributi figurativi non spetta in favore di lavoratrice dipendente che dopo la maternità abbia ripreso a lavorare in condizione di autonomia senza più tornare a svolgere attività di lavoro dipendente né prima né dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 151/2001. Cass. civ. Sez. lavoro, 20-08-2013, n. 19261 In materia di assegni familiari, il datore di lavoro ha una generale funzione sostitutiva dell'ente previdenziale, per conto del quale anticipa gli assegni ai propri dipendenti (compensando i relativi importi sulla misura globale dei contributi dovuti all'I.N.P.S. e versando cosi la sola eccedenza); ne deriva che, in caso di prestazioni indebitamente erogate al lavoratore e poste a conguaglio, il datore di lavoro è tenuto a recuperare le relative somme, trattenendole su quelle da lui dovute al lavoratore medesimo a qualsiasi titolo in dipendenza del rapporto di lavoro, giusta la previsione dell'art. 24 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-08-2013, n. 18710 In tema di sgravi contributivi di cui all'art. 8, comma 9 seconda parte, legge 29 dicembre 1990, n. 407, previsti in caso di nuove assunzioni di lavoratori iscritti nelle liste di disoccupazione ordinaria da almeno ventiquattro mesi, non compete al libero professionista il riconoscimento dello sgravio totale, in quanto la nozione di impresa cui fa riferimento la disciplina non può essere intesa sulla base dell'elaborazione della giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia - ossia come "attività che consiste nel'offrire beni o servizi su un determinato mercato a prescindere dallo status giuridico 106 di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento" -, poiché la normativa nazionale sugli sgravi contributivi è da considerarsi di stretta interpretazione in quanto derogatoria rispetto alla sottoposizione generale agli obblighi contributivi e dovendosi tenere conto del fatto che il mancato riconoscimento degli sgravi al libero professionista può alterare la concorrenza solo ove questi abbia organizzato la propria attività in modo tale che l'entità dei mezzi impiegati sovrasti l'apporto consistente nell'attività propria del professionista. Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 06-08-2013, n. 18744 In tema di trattamento previdenziale, ove la pensione (nella specie di reversibilità) sia stata conseguita con la totalizzazione dei periodi lavorativi prestati presso diversi Stati membri della Comunità Europea, le quote aggiuntive previste dall'art. 10, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, spettano solo se il "pro rata" italiano sia superiore al trattamento minimo, senza che rilevi il diverso regime previsto per la perequazione automatica di cui al primo comma della medesima norma, il cui riconoscimento alle pensioni inferiori al trattamento minimo è stato esteso dal successivo art. 14 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito nella legge 29 febbraio 1980 n. 33. Cass. civ. Sez. lavoro, 02-08-2013, n. 18527 Nella base imponibile, sulla quale calcolare l'entità del contributo di solidarietà a carico del datore di lavoro, da versare a titolo di finanziamento dei fondi di previdenza integrativi costituiti al fine di erogare prestazioni previdenziali o assistenziali in favore del lavoratore e dei suoi familiari, rientrano anche le somme erogate dal datore di lavoro per il pagamento dei premi assicurativi ove la polizza sia stata stipulata contro i rischi extraprofessionali e non quando l'assicurazione abbia ad oggetto la copertura dei rischi da infortuni professionali, trattandosi, in tal caso, di pagamento effettuato per soddisfare l'interesse del datore di lavoro di cautelarsi dagli eventuali effetti della propria responsabilità ex art. 2087 cod. civ. o per il fatto dei dipendenti e non di una integrazione della retribuzione. Cass. civ. Sez. VI - 5 Ordinanza, 20-06-2013, n. 15498 Le leggi di previdenza di categoria, come la legge del 13 luglio 1965, n. 859, istitutiva del Fondo di previdenza per il personale di volo presso l'INPS (modificata dalla legge 31 ottobre 1988, n. 480, e quindi integrata dal d.lgs. 24 aprile 1997, n. 164), alle quali corrisponde in generale un più vantaggioso sistema di tutela e di prestazioni, costituendo deroga alle leggi sulla previdenza generale, e comportando regole contributive conseguenziali, non sono suscettibili di interpretazione analogica; pertanto, non è sufficiente l'esposizione al medesimo rischio per attrarre altri soggetti non contemplati, e sottoposti ad apposita disciplina previdenziale, nello stesso fondo categoriale. 107 Cass. civ. Sez. lavoro, 11-06-2013, n. 14640 Il riconoscimento degli sgravi contributivi ex art. 3, comma 5, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, presuppone una comunicazione circostanziata all'ente previdenziale da parte dell'interessato, quale quella prescritta dalle denunce mensili attraverso i modelli DM10, che non può a tal fine essere surrogata da registrazioni operate dal datore di lavoro per le diverse finalità contabili, fiscali ed amministrative. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della Corte territoriale che, in materia di opposizione a cartella esattoriale a titolo di omissione contributiva, aveva ritenuto inidonea per il riconoscimento dei benefici in questione l'iscrizione nel libro matricola dei nuovi lavoratori assunti a tempo indeterminato e l'indicazione della relativa retribuzione). Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 11-06-2013, n. 14674 L'esercizio di attività di lavoro autonomo, soggetta a contribuzione nella Gestione Separata I.N.P.S., che si accompagni all'esercizio di un'attività di impresa commerciale, artigiana o agricola, la quale di per sé comporti l'obbligo dell'iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l'I.N.P.S., non fa scattare il criterio dell'attività prevalente, secondo la regola espressa dalla norma risultante dall'art. 1, comma 208, L. n. 662 del 1996, come interpretata in via di interpretazione autentica dall'art. 12, comma 11, D.L. n. 78 del 2010. Le attività predette rimangono, quindi, distinte e, sotto il citato profilo, autonome, sicché parimenti distinto ed autonomo resta l'obbligo assicurativo nella rispettiva gestione. Non opera, dunque, il criterio semplificante e derogatorio della unificazione della posizione previdenziale in un'unica gestione con una sorta di fictio juris, per cui chi è ad un tempo commerciante ed artigiano, con caratteristiche tali da comportare l'iscrizione alle relative gestioni assicurative, è come se svolgesse un'unica attività di impresa, quella appunto prevalente, con la conseguenza che unica è la posizione previdenziale. Cass. civ. Sez. lavoro, 29-05-2013, n. 13399 I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa, con la conseguenza che l'autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del "quantum" dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni, potendo determinare altresì le condizioni della reversibilità delle prestazioni in favore del coniuge e dei figli del pensionato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la reversione della pensione in favore del coniuge del pensionato - nel caso, separato giudizialmente alla data di risoluzione del rapporto di lavoro - in quanto la contrattazione collettiva limitava la reversibilità al coniuge convivente). 108 Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 24-05-2013, n. 13053 Il principio del pro rata è stato posto, per le casse privatizzate, dalla legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ed opera solo dall'entrata in vigore di tale legge di riforma ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della pensione e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità. Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 21-05-2013, n. 12439 Nei giudizi per prestazioni previdenziali, l'onere di dichiarare l'esatto valore della prestazione dedotta in giudizio, previsto a pena di inammissibilità dall'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo novellato dal d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in legge 15 luglio 2011, n. 111, sussiste solo per il ricorso introduttivo del giudizio e non anche per quelli concernenti i gradi successivi al primo. Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 16-05-2013, n. 589/10 L'articolo 45, Trattato 25 marzo 1957, deve essere interpretato nel senso che non osta, in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, a una decisione che disponga la riduzione dell'importo della pensione di vecchiaia percepita nel primo Stato membro nel limite dell'importo delle prestazioni corrisposte nell'altro Stato membro in forza dell'applicazione di un'eventuale norma anticumulo, purché tale decisione non determini, in capo al beneficiario di tali prestazioni, una situazione sfavorevole rispetto a quella in cui si trova una persona la cui situazione non presenta alcun elemento transnazionale e purché, nel caso in cui l'esistenza di un tale svantaggio fosse accertata, essa sia giustificata da considerazioni oggettive e sia proporzionata rispetto all'obiettivo legittimamente perseguito dal diritto nazionale, aspetto che incombe al giudice del rinvio verificare. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-05-2013, n. 10972 In tema di determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, in applicazione dell'art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, precedente l'entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, è corretta ed immune da vizi logici o violazioni di legge la sentenza di merito che escluda che le agevolazioni di viaggio fruite dai dipendenti di una società, svolgente attività di "tour operator", sotto forma di sconti per viaggivacanza organizzati e rimasti invenduti, trovino la propria ragion d'essere nella esistenza del rapporto di lavoro, venendo in rilievo, piuttosto, oltre che il carattere occasionale dell'offerta e la sua facoltatività, il carattere commerciale dell'iniziativa, svincolata dalle previsioni del contratto collettivo e volta alla copertura dei costi aziendali necessari per l'organizzazione del viaggio. 109 Cass. civ. Sez. lavoro, 09-05-2013, n. 10982 In tema di requisiti per l'accesso alla pensione di anzianità, l'art. 59, comma settimo, lett. a), della legge 27 dicembre 1997, n. 449, nell'indicare, tra i destinatari della disposizione, non soltanto "i lavoratori dipendenti pubblici e privati qualificati dai contratti collettivi come operai", ma anche "i lavoratori ad essi equivalenti, come individuati ai sensi del comma 10", si riferisce anche ai lavoratori che, seppure non specificamente qualificati come operai dai contratti collettivi, esplicano attività riconducibili a quelle proprie degli operai, che sono caratterizzate da lavoro manuale o, comunque, che si mantengano nella sfera della semplice esecuzione, senza involgere alcuna discrezionalità, non essendo d'ostacolo all'operatività della disposizione suddetta la mancata emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, cui la norma aveva demandato la concreta individuazione dei lavoratori da considerare equivalenti agli operai. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale i giudici di merito avevano riconosciuto ad un lavoratore domestico, ai sensi della norma citata, il diritto di usufruire della cd. finestra al marzo 2005). Cass. civ. Sez. lavoro, 07-05-2013, n. 10556 La norma dell'art. 59, tredicesimo comma, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che prevede la sospensione della perequazione automatica al costo della vita, concerne solo i trattamenti previdenziali obbligatori e quelli specificamente contemplati da tale disposizione, e non si applica alla pensione integrativa a carico del fondo aziendale, che ha natura retributiva (e non previdenziale). Conseguentemente, con riferimento ai titolari di pensione costituita dal trattamento previdenziale obbligatorio e da pensione integrativa a carico di apposito Fondo aziendale, l'adeguamento della pensione spettante non si applica sull'intero importo ma solo sulla quota parte relativa al trattamento integrativo, restando escluso invece l'adeguamento della quota di pensione relativa al trattamento obbligatorio. Cass. civ. Sez. lavoro, 30-04-2013, n. 10174 In tema di divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensioni di anzianità, la disciplina di emersione prevista dall'art. 44, terzo comma, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, non si applica agli illeciti già accertati e contestati dall'I.N.P.S., prima dell'entrata in vigore della predetta disposizione, sia perché il legislatore del 2002 non ha introdotto una generale sanatoria di tutti i comportamenti elusivi, sia perché mancherebbe, in radice, la spontanea iniziativa del pensionato che ha posto l'ente previdenziale al corrente della propria situazione di inadempimento e richiede, pertanto, di giovarsi delle norme agevolative. Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 25-04-2013, n. 398/11 110 L'articolo 8 della Direttiva n. 2008/94/CE deve essere interpretato nel senso che, affinché esso trovi applicazione, è sufficiente che il regime complementare di previdenza professionale non goda di una copertura finanziaria sufficiente alla data in cui il datore di lavoro si trova in stato di insolvenza e che, a causa della sua insolvenza, il datore di lavoro non disponga delle risorse necessarie per versare a tale regime contributi sufficienti per consentire l'erogazione integrale delle prestazioni dovute ai beneficiari. Non è necessario che questi ultimi dimostrino la sussistenza di altri fattori all'origine della perdita dei propri diritti a prestazioni di vecchiaia. Cass. civ. Sez. lavoro, 24-04-2013, n. 10009 In materia pensionistica, l'art. 3, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335 estende ai regimi integrativi le norme restrittive in materia pensionistica, relative all'assicurazione generale obbligatoria (AGO), mentre l'art. 15 della medesima legge (che ha aggiunto il comma 8-quinquies all'art. 18 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, recante la disciplina delle forme pensionistiche complementari) ha introdotto il divieto di percepire la pensione integrativa prima della maturazione della pensione a carico dell'AGO, per cui l'accesso alle prestazioni di anzianità e di vecchiaia assicurate dalle forme di previdenza complementare è subordinato al possesso dei requisiti per fruire del trattamento pensionistico obbligatorio, senza che rilevino eventuali disposizioni più favorevoli previste dalla disciplina del Fondo integrativo, non essendo queste fatte salve dalla legge. Ne deriva che la fruizione del trattamento pensionistico integrativo per coloro che siano andati in pensione il 31 agosto 1995, data di entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, presuppone sia la cessazione del rapporto di lavoro, sia la maturazione di trentacinque anni di anzianità contributiva, non essendo sufficienti i minori anni di contribuzione previsti dal regolamento del fondo. Cass. civ. Sez. lavoro, 09-04-2013, n. 8608 Nel condono previsto dall'art. 1, comma 230, della legge n. 662 del 1996 devono ritenersi incluse le sanzioni previste per la violazione di norme che siano connesse con la violazione delle norme sul collocamento, nonché con la denuncia e con il versamento dei contributi e dei premi. E con riferimento a fattispecie in tutto analoghe a quella in esame "trattasi di norma indubbiamente connessa con la denuncia ed il versamento dei contributi, in quanto intesa a rendere edotto il lavoratore, e di riflesso anche l'ente previdenziale, di tutti gli elementi retributivi che costituiscono la base imponibile della contribuzione previdenziale". L'art. 1 comma 230 della menzionata legge n. 662 del 1996 dispone che "la regolarizzazione estingue ... le obbligazioni per sanzioni amministrative e per ogni altro onere accessorio connessi con la violazione delle norme sul collocamento nonché con la denuncia e con il versamento dei contributi o dei premi medesimi. Cass. civ. Sez. VI - Lavoro Ordinanza, 04-04-2013, n. 8228 111 Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare - quale che sia il soggetto tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti - non si computano né nella indennità di anzianità (maturata fino al 31 maggio 1982) né nel trattamento di fine rapporto. Cass. civ. Sez. lavoro, 08-03-2013, n. 5827 In merito alle professioni intellettuali (nella fattispecie la professione di ingegnere), l'imponibile contributivo va determinato alla stregua dell'oggettiva riconducibilità alla professione dell'attività concretamente svolta, quantunque questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando la circostanza che la competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull'esercizio dell'attività espletata, con la conseguenza che deve ritenersi che le prestazioni siano state rese anche in virtù dell'impiego di esse. Cass. civ. Sez. lavoro, 22-01-2013, n. 1473 In tema di previdenza integrativa, il Fondo gas, costituito presso l'INPS con gestione autonoma e con funzione integrativa del trattamento A.G.O., è un fondo obbligatorio, atteso che la sua istituzione è stata operata direttamente dalla legge n. 1084 del 1971, non è rimessa all'autonomia contrattuale e ne è prescritta l'obbligatoria iscrizione degli impiegati ed operai in possesso dei requisiti previsti dalla citata normativa. Ne deriva l'obbligo per l'impresa di denuncia dei lavoratori operanti nello specifico settore, con indicazione dell'esatta categoria di appartenenza, la cui violazione importa non solo il recupero dei contributi non versati al Fondo, maggiorati di interessi e sanzioni, ma anche la decadenza dal beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali eventualmente fruita. * * * 26. RINUNZIE E TRANSAZIONI Cass. civ. Sez. lavoro, 23-10-2013, n. 24024 In materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali - della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale - sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che 112 dall'atto stesso si evinca la questione controversa oggetto della lite e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 cod. civ. Cass. civ. Sez. lavoro, 28-08-2013, n. 19831 La dichiarazione sottoscritta dal lavoratore può assumere valore di rinuncia o di transazione, con riferimento alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto, sempre che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati ovvero obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi. Il relativo accertamento costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione. Cons. Stato Sez. III, 05-03-2013, n. 1330 Il regime delle transazioni in materia di diritti derivanti da un rapporto di lavoro subordinato trova la sua regolamentazione nell'art. 2113 c.c. che prevede, non la nullità ma l'annullabilità del negozio transattivo, subordinandola all'esito di una impugnazione in termini di decadenza; da tale previsione si evince che la pubblica amministrazione, nella qualità di datore di lavoro, è assoggettata ad obblighi e doveri vincolanti che escludono l'esercizio di poteri discrezionali, mentre viene accentuata la protezione della parte debole del rapporto alla quale è riservata una tutela privilegiata nei confronti del datore di lavoro. 113