Cultura è Cura Dell’Humanitas La questione inerente alla cultura come cura dei valori umani, dell’humanitas e del rapporto con gli altri (societas) ha catalizzato la mia attenzione fin dai tempi del liceo. La redazione dell’elaborato pluridisciplinare per l’Esame di Stato ha implicato un approfondimento specifico di questi temi, a dimostrazione del fatto che anche i giovani possono, anzi devono, interessarsi alle tematiche morali e sociali. Il concetto di humanitas propriamente detto è facilmente riassumibile in una massima contenuta nell’opera teatrale Heautontimorumenos del commediografo latino Publio Terenzio Afro: “Homo sum: humani nil a me alienum puto” (“Sono uomo: non reputo pertanto nulla di umano a me estraneo”). Emerge quindi un concetto di comunità non come semplice aggregazione di individui, ma come consesso di esseri che condividono un carattere comune universale: l’essere individui umani, l’humanitas, appunto. Da questo assunto derivano quindi tutti quegli atti di solidarietà, di spiccata filantropia e di aiuto vicendevole che contraddistinguono l’uomo civile, il cosiddetto civis, il quale proietta sé stesso, la propria essenza, la propria situazione verso il proprio simile. Parimenti, il filosofo settecentesco Immanuel Kant, autore di una visione etica imperniata fortemente sulla razionalità, ma non per questo priva di umanità, fornisce un principio di definizione morale assai esplicativo: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, né mai come semplice mezzo”. Secondo Kant, quindi, un’azione moralmente corretta deve prevedere necessariamente come obiettivo l’umanità stessa, presente, ovviamente, in ogni altro essere umano. L’umanità risulta come fine in sé, come obiettivo intrinseco dell’agire morale. Se l’azione dell’individuo si discosta da questo principio, ecco che viene aperta la strada a tutte quelle pratiche che si fondano, più o meno fittiziamente, su un abuso, uno sfruttamento dell’uomo nei confronti di altri uomini. Il senso di questa riflessione vuole risiedere nel fatto che discutere di etica, di moralità, di principi regolatori dell’agire umano non costituisce mero esercizio intellettuale, ma si configura come necessità impellente in una società sempre più amorfa e retriva a considerare e valtare la validità e l’opportunità di certi comportamenti. Tutto questo viene affermato alla luce di una considerazione incontrovertibile: l’uomo, agendo e vivendo insieme ad altri suoi simili, è di per sé stesso sostanza morale. Relegare il dibattito etico ad un ruolo marginale, considerarlo un impedimento allo sviluppo tecnologico e sociale, rifugiarsi in una dimensione relativistica per la quale tutti i principi morali sono negoziabili e validi unicamente per il singolo. Sono tutte modalità che alienano l’uomo da sé stesso; lo separano, in sostanza, dall’humanitas, dalla propria essenza. Jacopo Gatti