Realizzato con il contributo di RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Indice INDICE Prefazione Pagina 5 Coordinatore: Francesco Cognetti Direttore Dipartimento di Oncologia Medica - Direttore S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali Pagina 9 Coordinatore: Giulio Maira Professore Ordinario di Neurochirurgia Facoltà di Medicina e Chirurgia -Univ. Cattolica - Direttore S.C. Neurochirurgia, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale Pagina 21 Coordinatore: Emilio Balestrazzi Professore Ordinario di Clinica Oculistica - Univ. Cattolica Sacro Cuore Roma - Direttore Clinica Oculistica, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo Pagina 29 Coordinatore: Riccardo Maurizi Enrici Professore Ordinario di Radioterapia Oncologica II Facoltà di Medicina e Chirurgia Univ. La Sapienza - Direttore Radioterapia Oncologica, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide Pagina 53 Coordinatore: B. Bellanton Professore Chirurgia Generale e Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia Univ. Cattolica - Direttore S.C. Chirurgia Generale ed Endocrina, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Pagina 67 Coordinatore: Massimo Martelli Direttore del Dipartimento Malattie Polmonari e della UOC Chirurgia Toracica, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Pagina 87 Coordinatore: Francesco Cognetti Direttore Dipartimento di Oncologia Medica - Direttore S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto Pagina 117 Coordinatore: Carlo Barone Professore Ordinario Univ.Catt. Sacro Cuore - Direttore S.C. Oncologia Medica, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Pagina 133 Coordinatore: Vincenzo Valentini Professore Associato Cattedra Radioterapia Dipartimento di Bioimmagini e Scienze Radiologiche Univ. Cattolica Direttore S.C. di Radioterapia 1, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene Coordinatore: M. Milella Dirigente Medico I° liv. S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma Pagina 3 Pagina 151 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice Pagina 161 Prefazione Prefazione Coordinatore: Giovanni Scambia Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio L Pagina 173 Coordinatore: Giovanni Scambia Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva Pagina 183 Coordinatore: Giovanni Scambia Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli e neoplasie rappresentano la seconda causa di morte nel nostro Paese. In Italia, nel 2011, l’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), ha stimato un numero complessivo di circa 360.000 nuovi casi di tumore ed un numero di decessi pari a 174.000 casi. Circa 2.250.000 sono state le persone che avevano avuto una precedente diagnosi di tumore maligno. Nel Lazio, l’incidenza stimata pari a 34.000 nuovi casi, la mortalità pari a circa 16.000 decessi e la prevalenza di 216.000 casi. L’incredibile evoluzione degli ultimi anni nelle conoscenze biologiche ed in particolare genetiche e nelle innovazioni tecnologiche nel campo della diagnosi, caratterizzazione e trattamento dei tumori ha reso imperativo il trasferimento di questa enorme mole di informazioni in un sistema di conoscenze integrato e coerente e soprattutto applicabile a ogni singolo paziente ed in ogni singola condizione clinica. Ciò potrà rappresentare un contributo non trascurabile anche al fine di assicurare un eguale accesso di tutti i pazienti alla qualità ed innovazione nei sistemi di diagnosi e cura promuovendo anche gli approcci multidisciplinari, i cui modelli sono fortemente rappresentati nell’assistenza oncologica. Tutto ciò determina un rilevante impatto in termini di costi assistenziali e numero di ricoveri ospedalieri, con la conseguente necessità di un’adeguata programmazione sanitaria. Questo documento vuole costituire, appunto, una “riflessione” sull’utilizzo ottimale sia delle nuove metodiche diagnostiche, sia delle modalità terapeutiche innovative. Infatti, se è indubbio che negli ultimi due decenni si sia assistito a una rivoluzione nella terapia e nella prognosi dei pazienti oncologici, è anche vero che ciò ha comportato un incremento, talvolta incontrollato, della spesa sanitaria. Pagina 195 Il Decreto del Presidente, in qualità di Commissario Ad Acta, della Regione Lazio On. Renata Polverini, n° U0059/2010 del 13.07.2010, prevedeva tra l’altro l’istituzione nell’ambito della Rete Oncologica Regionale di un gruppo di Coordinamento per patologia affidato all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. Da questo gruppo sono generati trenta gruppi distinti per patologia ed altre tematiche che hanno coinvolto complessivamente circa 300 Professionisti di Roma e della Regione Lazio appartenenti a tutte le discipline, a vario titolo coinvolte nell’assistenza oncologica nella nostra Regione. Coordinatore: Franco Di Filippo Direttore S.C. Chirurgia Generale "A", Istituto Regina Elena, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali La definizione di criteri di appropriatezza sia di ordine diagnostico che terapeutico, che è l’oggetto del presente documento, persegue l’obiettivo di fornire raccomandazioni cliniche per la diagnosi, il trattamento ed il follow-up in relazione allo tipologia, sede ed allo stadio di malattia ed a tutte le variabili cliniche e biologiche rilevanti per la definizione del miglior standard diagnostico e terapeutico. Pagina 225 Coordinatore: A. Garofalo Direttore S.C. Chirurgia Generale "B", Istituto Regina Elena, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del fegato e delle vie biliari Pagina 253 Coordinatore: Gian Luca Grazi Nonostante tali risultati vengano di norma maggiormente prodotti dai cosiddetti centri di eccellenza, l’adeguamento ad essi deve diffondersi, pur in relazione alle potenzialità tecnologiche e strutturali e di qualificazione del personale delle singole istituzioni, a tutte le strutture del Servizio Sanitario Regionale nelle varie realtà regionali e locali, che in assenza di indicazioni e raccomandazioni da utilizzare nella pratica clinica, da parte delle autorità sanitarie centrali possono invece produrre prestazioni disomogenee e non in linea con i migliori standard riconosciuti a livello internazionale. Direttore UOC Chirurgia Epatobiliopancreatica, Istituto Regina Elena, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie di supporto dei pazienti neoplastici Pagina 263 Pertanto, la definizione di questi criteri di appropriatezza necessita di una accurata analisi della letteratura scientifica, nell’ottica di ricercare le migliori evidenze in termini di efficacia per ogni prestazione sanitaria da applicare ad ogni singola fattispecie clinica, ed anche allo scopo di individuare il profilo strutturale delle risorse e dell’organizzazione, nella delicata operazione di calare nelle realtà locali e regionali la possibilità di attuare tali provvedimenti. Coordinatore: Daniele Santini Professore Associato Docente di Patologia Generale Univ. Campus Bio-medico - Direttore DH Oncologico CO-Responsabile Unità di Ricerca in Oncologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Roma Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei pazienti anziani Il miglioramento della qualità delle prestazioni oncologiche erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale richiede l’adeguamento ove possibile a livelli standard dei servizi offerti alla comunità dei pazienti, laddove per standard si intendano quelle attività di tipo diagnostico e terapeutico in linea con i migliori risultati in termini di outcome prodotto. È infatti dimostrato che la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni mediche sia diagnostiche che terapeutiche possono significativamente influenzare i risultati dei trattamenti nel settore dei tumori, e quindi le possibilità stesse di sopravvivenza dei pazienti, nonché la loro qualità di vita. Pagina 301 Nell’ambito oncologico, tale processo richiede un’ampia analisi delle evidenze prodotte in ambito scientifico ed il trasferimento di esse in un contesto molto ampio che rivesta tutta la storia naturale di ogni singola patologia, partendo dalla sfera dello screening e della prevenzione fino alla gestione dell’assistenza del paziente terminale. Pagina 323 In considerazione della connotazione completamente interdisciplinare della patologia oncologica già prima richiamata, nella quale le competenze specialistiche dell’oncologia medica incontrano quelle delle chirurgie specialistiche e/o generali, delle altre specialità mediche, dell’imaging nel suo insieme (diagnostica per immagini e medicina nucleare), della radioterapia, e della più moderna integrazione di anatomia patologica e biologia molecolare, la riuscita di un processo di definizione di criteri di appropriatezza necessita di approfondite analisi scientifiche attraverso l’esame accurato degli studi clinici prodotti dalla letteratura internazionale ma soprattutto di fattibilità e riproducibilità. Inoltre, la marea montante di innovazioni tecnologiche restringe in modo significativo l’applicabilità di alcune prestazioni di particolare complessità ai soli centri che possono offrire tali prestazioni. Coordinatore: Lazzaro Repetto Direttore U.O.C. Oncologia Medica, Istituto Nazionale di Ricovero e Cura per Anziani, Roma Il supporto dell’informazioneper il paziente onocologico, percorsi riabilitativi e psicologici (Il ruolo delle Associazioni dei pazienti) Coordinatore: F. De Lorenzo Professore Ordinario di Chimica Biologica Univ di Napoli - Presidente AIMAC - Presidente FAVO, già Ministro della Salute Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologico Pagina 329 Coordinatore: Giuseppe Casale Coordinatore Sanitario U.O.C.P. Antea Associazione - Direttore Didattico ANTEA Formad Ringraziamenti Pagina 338 Pagina 4 Come già detto sopra, per perseguire gli obiettivi sopra menzionati, la Regione Lazio ha inteso promuovere la stesura di un apposito documento da parte di gruppi interdisciplinari di professionisti particolarmente esperti su tutte le patologie neoplastiche a più elevata incidenza e mortalità nonché di particolare interesse sotto il profilo dell’innovazione nelle tecniche di diagnosi e trattamento. Per ogni gruppo sono state selezionate professionalità di elevato spessore clinico e scientifico nel settore richiesto, tra le quali è stato nominato un coordinatore al quale è stato affidato il compito di concertare con gli esperti la stesura dei documenti in oggetto. Pagina 5 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici I documenti sono stati preparati seguendo una modalità omogenea, rispettando un ordine che prevede: nella prima parte, brevi cenni di incidenza/mortalità in Italia, diagnosi, stadiazione e ‘risk-assessment’, trattamento degli stadi iniziali, trattamento della malattia localmente avanzata, trattamento della malattia metastatica includente i trattamento di I linea e linee ulteriori, valutazione delle risposte e del follow-up, e, nella seconda parte, analisi delle dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività utilizzabili ai fini del semplice accreditamento e per la definizione di eccellenza nella diagnosi e cura delle patologie in questione. Sono stati finora portati a termine e considerati in linea con gli obiettivi e la metodologia richiesta, n°20 documenti che sono oggetto della presente pubblicazione. Tra di essi sono stati anche inseriti alcuni documenti su altre tematiche sempre relative al complesso mondo della organizzazione e gestione dell’assistenza nel settore oncologico. Gli altri documenti non ancora presentati dai gruppi multidisciplinari o giudicati tuttora immaturi e non perfettamente aderenti agli obiettivi ed alla metodologia proposta, saranno oggetto di una successiva pubblicazione. Prefazione ELENCO DEI DOCUMENTI OGGETTO DELLA PRESENTE PUBBLICAZIONE GRUPPI DI LAVORO PER PATOLOGIA COORDINATORE ISTITUZIONE Cerebrali G. Maira Policlinico Universitario "A.Gemelli" Tumori oculari E. Balestrazzi Policlinico Universitario "A.Gemelli" Testa-collo R. Maurizi-Enrici Policlinico Universitario "Sant'Andrea" Tiroide R. Bellantone Policlinico Universitario "A.Gemelli" Polmone M. Martelli Azienda Ospedaliera "S. Camillo-Forlanini" Sulla base delle considerazioni effettuate, l’obiettivo finale di tale pubblicazione è anche quello di produrre indicazioni per ogni singola patologia delle dotazioni strutturali, tecnologiche, di expertise ed organizzative che dovranno essere presenti in ogni singola unità ospedaliera ai fini dell’accreditamento della stessa ad eseguire diagnosi e terapia in quella determinata patologia. I documenti saranno quindi estremamente utili ai fini della stesura dei piani strutturali e dei percorsi terapeutici nell’ambito delle quattro Macroaree di cui si compone la Rete Oncologica Regionale. Mammella F. Cognetti Istituto Nazionale Tumori Regina Elena Colon - Retto C. Barone - V. Valentini Policlinico Universitario "A.Gemelli" Rene M. Milella Istituto Nazionale Tumori Regina Elena Ciò consentirà di uniformare gli standard diagnostico-terapeutici nell’ambito regionale per offrire le migliori opzioni al paziente nei centri che saranno in grado di produrre i criteri richiesti, e sarà anche possibile definire quei centri di eccellenza in grado di offrire un servizio sanitario certificato di particolare elevata qualità. Cervice - Endometrio - Vulva G. Scambia Policlinico Universitario "A.Gemelli" Sarcomi p. molli F. Di Filippo Istituto Nazionale Tumori Regina Elena Carcinosi Peritoneali A.Garofalo Istituto Nazionale Tumori Regina Elena In considerazione delle indicazioni proposte in tema di appropriatezza dei trattamenti, tale progetto verrà successivamente integrato con una ulteriore proposta di programmazione in tema di modelli organizzativi e sistemi di monitoraggio e di controllo. Fegato- V.Biliari G.L. Grazi Istituto Nazionale Tumori Regina Elena Terapie di supporto D. Santini Policlinico Universitario "Campus Biomedico" Sarà poi opportuno effettuare misure di verifica dell’appropriatezza, in modo da avere una mappa chiara anche delle liste di attesa e della loro evoluzione nel tempo, sia a livello delle singole Istituzioni ospedaliere sia a livello dell’intera Regione Lazio. In caso di riscontro di non appropriatezza (Commissioni di controllo), sarà potestà delle autorità politiche poter prevedere ulteriori meccanismi di controllo e verifica ed anche eventuali provvedimenti sanzionatori come l’abbattimento dei rimborsi mediante DRG, o la temporanea sospensione dell’accreditamento. Tumori negli anziani L. Repetto INRCA - "Istituto nazionale riposo e cura anziani" Associazioni pazienti F. De Lorenzo FAVO - "Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia" Terapie palliative G. Casale ANTEA -"Associazione ONLUS" Il raggiungimento di tali obiettivi sarà facilitato dall’implementazione della strutturazione della Rete Oncologica Regionale dei servizi clinico-assistenziali e dall’attività dei Dipartimenti Oncologici su base territoriale (e/o interaziendali). ELENCO DEI DOCUMENTI ANCORA IN FASE DI REVISIONE Le misure ed i provvedimenti descritti permetteranno di favorire un’attività assistenziale di più elevato livello maggiormente omogenea su tutto il territorio regionale, e garantire il contenimento dei tempi di attesa ed anche dei costi delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche nel settore dei tumori grazie al raggiungimento di una maggiore appropriatezza nelle indicazioni. Francesco Cognetti Coordinatore Scientifico del Progetto Pagina 6 GRUPPI DI LAVORO PER PATOLOGIA COORDINATORE ISTITUZIONE Esofago-Stomaco V. Ziparo Policlinico Universitario "Sant'Andrea" Neuroendocrini G. Delle Fave Policlinico Universitario "Sant'Andrea" Ossei R. Biagini Istituto Nazionale Tumori Regina Elena Ovaio P. Benedetti-Panici PolicIinico Universitario "Umberto I° " Prostata - Vescica - Testicolo C.N. Sternberg Azienda Ospedaliera "S. Camillo-Forlanini" Tumori ereditari P. Marchetti Policlinico Universitario "Sant'Andrea" Tumori rari S. Tomao Polo Oncologico Latina - Università "La Sapienza" Pagina 7 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali Coordinatore: Giulio Maira C.M. Carapella, C. Colosimo, U. De Paula, A. Fabi, F. Giangaspero, A. Pace, A. Turriziani con la collaborazione di: M. Antonelli, M. Balducci, G. Colicchio, G. Lanzetta, A. Mangiola, G. Mansueto, G. Minniti, A. Mirri, G. Moscati, I. Penco, M. Salvati, A. Scopa Pagina 8 Pagina 9 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Incidenza e Mortalità 1. Incidenza e Mortalità Pagina 11 2. Risk Assessment Pagina 11 3. Diagnosi Pagina 11 4. Esami Diagnostici 4.1 Diagnosi Neuroradiologica 4.2 Diagnosi Anatomo-Patologica Pagina 11 Terapia 5.1 Chirurgia 5.2 Terapie adiuvanti 5.3 Trattamento alla recidiva dei gliomi maligni Pagina 12 Prevenzione e Palliazione Dei Sintomi 6.1 Riabilitazione palliativa 6.2 Ipertensione endocranica, controllo dell’edema cerebrale 6.3 Epilessia Pagina 14 Dotazioni delle unità cliniche, volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza 7.1 Diagnostica per immagini 7.2 Diagnosi anatomo-patologica 7.3 Chirurgia 7.4 Radio-chemioterapia 7.5 Attività scientifica Pagina 16 Bibliografia Pagina 18 5. 6. 7. 8. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali Pagina 11 Pagina 12 Pagina 12 I gliomi rappresentano i tumori cerebrali primitivi più frequenti nella popolazione adulta e costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie per caratteristiche cliniche e biologiche, oltre che per sensibilità alle differenti strategie terapeutiche. Tra questi il glioblastoma (GBM) rappresenta da solo circa l’1% delle neoplasie dell’adulto, il 25% dei tumori primitivi cerebrali ed il 45-50% dei gliomi, con un incidenza di circa 5-6 casi per 100.000 persone adulte per anno. Il GBM è nella maggioranza dei casi una neoplasia degli adulti: i casi nella fascia d’età minore di 14 anni costituiscono lo 0.2% del totale. La frequenza aumenta con l’età, avendo un picco tra 65 e 75 anni. L’età media di insorgenza è tra i 50 ed i 60 anni ed esiste una differente distribuzione nei due sessi con un rapporto maschi/femmine di 1.6/1. La localizzazione sopratentoriale è la più frequente. Vi sono sindromi familiari tipo la sindrome di Turcot (poliposi familiare congenita), la S. di Li-Fraumeni (disordine autosomico dominante con alterazioni della P53), dove i GBM sono più frequenti. Il GBM è caratterizzato da una notevole varietà citologica, una alta invasività locale ed una scarsa tendenza a metastatizzare. Sebbene la malattia sia trattata con un’aggressiva strategia terapeutica multimodale quale chirurgia seguita da chemioterapia e radioterapia, la mediana di sopravvivenza è di circa 15 mesi. (Stupp et al., 2009) Esistono almeno due patterns di insorgenza: i GBM primari si verificano in pazienti più anziani (età media 55-60 anni) dopo una breve storia clinica e senza una identificabile lesione precedente, meno maligna. Al contrario, i GBM secondari insorgono in pazienti più giovani (età media 39 anni), hanno una storia clinica relativamente più lunga, e sono il risultato di una progressione da un glioma di basso grado. L’età d’insorgenza della neoplasia sembra essere un importante fattore prognostico: diversi studi hanno dimostrato un’associazione significativa tra l’avanzare dell’età ed il peggioramento della prognosi. Il sesso, invece, sembra non avere significato in termini di outcome. Pagina 13 Pagina 14 Pagina 14 Pagina 14 Pagina 15 2. Risk assessment I gliomi cerebrali sono patologie senza una chiara evidenza eziologica e con patogenesi complessa. Vi sono sindromi familiari, tipo quelle innanzi segnalate, ma tuttavia rappresentano una modesta percentuale rispetto alla stragrande maggioranza dei pazienti affetti da glioma cerebrale ed in cui, fino al momento attuale, non sono stati individuati specifici fattori di rischio. E’ noto che per i gliomi di basso grado (grado II WHO) il picco di incidenza è tra i 20 e i 40 anni, mentre i gliomi maligni (grado III e IV WHO) insorgono più tardivamente. I GBM primitivi (grado IV WHO) hanno un picco di insorgenza nella sesta e settima decade. 3. Diagnosi Pagina 16 Pagina 17 Pagina 17 Pagina 17 Pagina 18 Come in tutta la patologia oncologica anche nei gliomi cerebrali la diagnosi precoce condiziona, anche se in misura minore rispetto ad altre forme tumorali, l’efficacia delle strategie terapeutiche. La sintomatologia di esordio è condizionata dalla localizzazione della lesione che nel caso di coinvolgimento di aree eloquenti si manifesterà con deficit focali (linguaggio, motilità, funzione visiva, deficit di nervi cranici). Le localizzazioni nelle aree “mute” si manifesteranno con turbe dell’atten- zione, apatia e coinvolgimento delle funzioni nervose superiori fino a segni di ipertensione endocranica. Nei gliomi di basso grado il sintomo d’esordio è spesso rappresentato da una crisi epilettica. Comunque in un soggetto adulto che presenta una progressiva modificazione delle perfomances cognitive, anche in assenza di segni neurologici focali, è fortemente indicato uno studio neuro radiologico (RMN cerebrale). 4. Esami diagnostici 4.1 Diagnosi Neuroradiologica La diagnostica dei tumori cerebrali è prevalentemente basata sulle indagini neuroradiologiche ovvero sulla RMN. Gli obiettivi principali sono: 1) diagnosi differenziale 2) definizione della localizzazione e della estensione della patologia Pagina 10 Pagina 3) ipotesi di grading biologico. Lo stato dell’arte prevede in fase pre-chirurgica la implementazione dei dati morfologici con informazioni “funzionali” in grado di fornirci elementi sul metabolismo e sulla emodinamica del tumore. Inoltre in caso di tumori localizzati in prossimità di aree eloquenti è possibile ottenere una mappa di tali zone e del loro rapporto topografico con il tumore. 11 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Note tecniche Tecnica da utilizzare in fase pre-operatoria: • Magnete ≥1.5T • Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm • T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR assiali e TSE T2 su 3 piani) • T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE T1 assiale tardiva) • Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC) con o senza valutazione dell’“input arterioso” (AIF) • Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC • Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi) In caso di localizzazione in aree critiche utile la RM funzionale, con task di attivazione motoria e linguaggio e/o Trattografia (DTI) Tecnica da utilizzare in fase post-operatoria: • Magnete ≥1.5T • Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm • T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR assiali e TSE T2 su 3 piani) • Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC • T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE T1 assiale tardiva) • Solo in caso di dubbio diagnostico o di indicazione al re-intervento • Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC) con o senza valutazione dell’”input arterioso” (AIF) • Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi) Raccomandazioni: I controlli post-operatori sono consigliabili con scadenza trimestrale. In presenza di segni di recidiva del tumore in alcuni casi si pone la necessità di diagnosi differenziale fra ripresa di malattia e radionecrosi. In questi casi la RMN può essere implementata dalla Tomografia ad Emissione di Positroni (PET). L’assenza di captazione del tracciante può essere indicativa di radionecrosi. 4.2 Diagnosi Anatomo-Patologica Diagnosi istologica e grading: Inquadramento nosografico delle lesioni e definizione del grado di malignità, secondo la classificazione WHO 2007. Caratterizzazione molecolare: • Delezione cromosoma 1p e 19q (L’efficacia della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado dell’adulto è stata chiaramente dimostrata soprattutto negli oligodendrogliomi e nei tumori misti oligo-astrocitari in progressione, in particolare nei pazienti che presentano specifiche alterazioni genetiche con perdita di eterozigosi a carico dei cromosomi 1p e 19q) • Metilazione del promoter del gene per MGMT (La resistenza alla TMZ nei glioblastomi è mediata in parte dal gene MGMT. L’assenza di metilazione del gene sembra essere un fattore sia prognostico che predittivo, poiché si associa a una scarsa risposta alla Temozolomide e ad una peggior sopravvivenza rispetto ai pazienti metilati.) • Mutazione IDH1 mediante immunoistochimica (La presenza della mutazione di IDH1 è stata individuata come caratteristica dei gliomi maligni secondari, cioè frutto di progressione da un glioma di basso grado, mentre non è riscontrabile nei glioblastomi primari). 5. Terapia 5.1 Chirurgia La chirurgia rappresenta il primo atto terapeutico nel trattamento dei gliomi cerebrali. Gli obiettivi principali del trattamento chirurgico dei tumori cerebrali sono: ottenere una corretta diagnosi istologica; controllare rapidamente la sintomatologia ingravescente legata all’aumento della pressione endocranica ripristinando, ove indicato, una normale circolazione liquorale; ridurre l'edema perilesionale; migliorare la qualità di vita controllando i sintomi e segni neurologici focali determinati dalla neoplasia; ottenere la massima riduzione possibile del numero delle cellule neoplastiche, onde favorire l’efficacia delle successive terapie adiuvanti. Gliomi di alto grado (grado II WHO) Il trattamento ottimale (chirurgia, radioterapia, chemioterapia) è ancora molto controverso. L’indicazione al trattamento chirurgico è universalmente accettata nel caso di tumori che per sede e dimensioni possono essere asportati completamente, e nel caso di lesioni con effetto massa e sintomi neurologici in cui la riduzione del volume tumorale può portare un beneficio clinico. Purtroppo, nella maggioranza dei casi, i gliomi di basso grado dell’adulto si presentano come lesioni infiltranti con margini poco definiti rispetto al parenchima sano perilesionale, localizzate frequentemente in sedi “critiche” e Pagina spesso non associate a segni neurologici focali. In questi casi non è ben definito quale sia il beneficio clinico dell’asportazione chirurgica parziale e il suo impatto sulla prognosi. Nei pazienti con tumori giudicati non operabili perchè in sede critica o perchè estesamente infiltranti è consigliabile una biopsia stereotassica per la conferma diagnostica. Gliomi di alto grado (III-IV WHO) E’ ormai ampiamente accettato che la resezione macroscopicamente totale nei gliomi maligni rappresenti un fattore prognostico indipendente statisticamente significativo correlato con la maggiore sopravvivenza. Indicazione fondamentale alla chirurgia, oltre a quelle su indicate, è data dalla presenza di una lesione circoscritta senza coinvolgimento delle aree profonde. In presenza di lesione multifocale o coinvolgente strutture profonde (talamo, nuclei della base, corpo calloso) è indicata la biopsia stereotassica, quantomeno nei casi in cui la definizione del grading istologico possa influenzare la successiva condotta terapeutica. Requisiti e criteri di eccellenza dell’attrezzatura chirurgica • Sala operatoria (dedicata) • Coagulazione bipolare 12 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali • • • • • • • Aspiratore a ultrasuoni Ecografo intraoperatorio Neuronavigatore Microscopio operatorio (completo di filtro per fluorescenza e indocianina) Monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio Strumentario per biopsia con tecnica stereotassica Terapia intensiva post-operatoria Note tecniche Il filtro per fluorescenza è utilizzato nei casi in cui il paziente abbia assunto alcune ore prima dell’intervento una sostanza fluorescente, tipo l’acido amino-levulinico, in grado di penetrare selettivamente nelle cellule neoplastiche. In tal modo l’utilizzo del filtro permette di identificare aree di infiltrazione neoplastica non visibili alla luce normale. Il neuronavigatore permette al chirurgo di conoscere in ogni momento la sua posizione di lavoro rispetto sia alla lesione che ad eventuali aree eloquenti. Tale ausilio aiuta ad effettuare la resezione neoplastica nel rispetto di aree funzionali riducendo così i rischi di deficit neurologici post-operatori. Il monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio ha lo stesso scopo del neuronavigatore in termini di rispetto di aree funzionali. La possibilità di avere controlli intraoperatori con TC o RM è decisamente auspicata, ma attualmente ancora non validata da un punto di vista dell’impatto sull’efficacia della strategia terapeutica complessiva. 5.2 Radioterapia e chemioterapia Gliomi di basso grado Dati basati su studi prospettici randomizzati indicano che nei pazienti con fattori prognostici indicatori di lunga sopravvivenza e in particolare con età giovanile (<35 anni), assenza di deficit neurologici, epilessia come unico sintomo di malattia, il trattamento radioterapico può essere differito fino alla evidenza radiologica o clinica di progressione di malattia. I dati sul ruolo della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado sono ancora scarsi, ma un numero crescente di studi segnalano tassi di risposta al trattamento con temozolomide che variano dal 35 al 61%, con elevata incidenza di risposte minori e lunghe stabilizzazioni di malattia. L’efficacia della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado dell’adulto è stata chiaramente dimostrata soprattutto negli oligodendrogliomi e nei tumori misti oligo-astrocitari in progressione, in particolare nei pazienti che presentano specifiche alterazioni genetiche con perdita di eterozigosi a carico dei cromosomi 1p e 19q (10-13) e mutazione IDH1. Sulla base delle considerazioni precedenti (in attesa dei risultati dello studio EORTC che chiarirà la migliore sequenza terapeutica per questi tumori) l’algoritmo di trattamento è il seguente: Dopo resezione chirurgica totale non vi è indicazione a radioterapia adiuvante, ma va considerato un attento follow up clinico-strumentale (trimestrale per il primo anno, quadrimestrale per il secondo anno, semestrale per il terzo anno, annuale dopo il quarto anno per almeno 10 anni), per la possibilità di eventuali progressioni di malattia anche a distanza dalla sede iniziale della neoplasia. Dopo asportazione incompleta o Biopsia è indicata: • RADIOTERAPIA IMMEDIATA In pazienti con: Età > 40 anni, Istologia Astrocitaria, Chirurgia sub-totale, Deficit focali e/o Segni Compressivi, Epilessia resistente alle terapie mediche, Assenza di delezione 1p-19q, Assenza di mutazione IDH1-IDH2 Pagina Oppure: • RT DILAZIONATA con VIGILE ATTESA E/O CHEMIOTERAPIA In pazienti con: Età < 40 anni, Malattia limitata, Asportazione Chirurgica Ampia, Istologia Oligo-dendrogliale, Co-delezione 1p-19q, Mutazione IDH1- IDH2, Epilessia come unico segno clinico I tumori con istologia oligodendrogliale o mista oligo-astrocitaria presentano una maggiore chemiosensibilità rispetto ai tumori astrocitari. Pertanto la chemioterapia (temozolomide, PCV), sia come trattamento iniziale dopo una chirurgia parziale, che alla recidiva/progressione è frequentemente impiegata, specie in presenza di fattori prognostici clinici e bio-molecolari favorevoli. Le risposte cliniche e/o radiologiche si possono verificare anche dopo molti mesi di terapia. Non è ancora definita la durata ottimale della chemioterapia nei pazienti responsivi, così come non è dimostrato un vantaggio della polichemioterapia (es. PCV) a confronto con la monochemioterapia con temozolomide o nitrosouree. Gliomi III grado I dati in letteratura relativi ai soli gliomi anaplastici sono scarsi poichè, data la loro rarità, sono stati a lungo considerati e trattati insieme ai glioblastomi anche se la prognosi è significativamente migliore (mediana di sopravvivenza di 24-36 mesi). In generale i livelli di prove di efficacia sono di tipo II e III. L’asportazione chirurgica la più ampia possibile e la radioterapia adiuvante con tecnica conformazionale (54 Gy –60 Gy) sono il trattamento standard. Circa l’impiego dei wafers di Gliadel nei pazienti di nuova diagnosi valgono le considerazioni per il glioblastoma. La chemioterapia adiuvante a base di nitrosouree (BCNU, PCV) è stata considerata efficace in due metanalisi relative ai gliomi maligni (Fine et al, 1993; Stewart, 2002). Per quanto riguarda la temozolomide, sono in corso studi cooperativi di fase III per valutare la potenziale utilità del trattamento combinato di radioterapia/temozolomide concomitante ed adiuvante (cioè il trattamento standard del glioblastoma). Una chemioterapia post-radioterapia con temozolomide (fino a 12 mesi), specialmente in presenza di un residuo dopo radioterapia, è consigliabile. Nel caso di diagnosi istologica di astrocitoma anaplastico, se in presenza di un quadro radiologico altamente suggestivo per glioblastoma, specialmente in pazienti con età ≥60 e <70 anni, può essere ipotizzato un trattamento combinato di radioterapia e temozolomide concomitante ed adiuvante nella presunzione di un “sampling error” (errore di campionatura). Alla recidiva/progressione gli astrocitomi anaplastici sono sempre considerati unitamente ai glioblastomi, ma in genere presentano una maggior percentuale di risposte e più lunghi tempi alla progressione dopo le stesse opzioni terapeutiche. Le scelte terapeutiche in caso di componente oligoastrocitaria (oligo-astrocitoma) e oligodendroglioma puro vanno valutate sulla base dei fattori prognostici biologici (co-delezione 1p-19q, mutazione IDH1, stato di metilazione dell’enzima MGMT), e di quelli clinici (età del paziente, entità dell’asportazione chirurgica, presenza di segni neurologici, epilessia). Attualmente i markers biologici, incluso lo stato di metilazione dell’enzima MGMT, possono essere considerati fattori utili nella definizione diagnostica e come indicatori prognostici ma non sono ancora utilizzabili nella pratica clinica per indirizzare i trattamenti. Tuttavia, nel caso di tumori estesi, che richiedono un volume di trattamento ampio, soprattutto in presenza di codelezione 1p-19q, si può considerare l’opzione di una chemioterapia iniziale, ritardando la radioterapia. 13 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Gliomi IV grado L’asportazione chirurgica il più ampia possibile deve essere seguita da radioterapia conformazionale e chemioterapia; procedure da iniziare entro 30 - 40 giorni dall’intervento chirurgico nei soggetti con KPS ≥ 70. Il trattamento radioterapico standard dei tumori gliali prevede la erogazione di 59,4/60 Gy, in 33/30 frazioni giornaliere da 1,8-2 Gy ciascuna. Dal 2005 in poi la radioterapia concomitante a chemioterapia con temozolomide (TMZ) è diventato il nuovo standard terapeutico nel glioblastoma. La schedula di TMZ è 75 mg/mq/die per tutta la durata della radioterapia, seguiti da 6 cicli alla dose di 150-200 mg/mq/die x 5 giorni q28. In caso di risposta e di assenza di tossicità può essere preso in considerazione un prolungamento della fase “adiuvante” con TMZ anche fino a progressione. Anche in assenza di malattia valutabile, il trattamento con TMZ si può considerare fino a un massimo di 12 cicli. Il trattamento intraoperatorio con BCNU wafer intracerebrale (Gliadel) non deve essere considerato un’alternativa equiefficace rispetto allo standard con TMZ, ma può fornire una utile integrazione nei casi sottoposti a resezione chirurgica radicale o subtotale, ritardando la ripresa locale di malattia nella fase di attesa dell’inizio del trattamento chemio-radioterapico. La resistenza alla TMZ nei glioblastomi è mediata in parte dal gene MGMT. L’assenza di metilazione del gene sembra essere un fattore sia prognostico che predittivo, poiché si associa ad una scarsa risposta alla temozolomide e ad una peggior sopravvivenza rispetto ai pazienti metilati. Anche la radio-immunoterapia metabolica, che utilizza anticorpi radiomarcati iniettati per via sistemica o intratumorale, rimane tuttora da considerarsi sperimentale. 5.3 Trattamento alla recidiva dei gliomi maligni Alla comparsa di recidiva/progressione di malattia si può riconsiderare • la chirurgia per recidiva circoscritta e chirurgicamente accessibile • • la radioterapia (sulla base della dose già erogata) chemioterapia utilizzando uno dei seguenti protocolli: fotemustina 65-75 mg/mq 1,8,15 g (fase di induzione) seguiti dopo 5 settimane da 75-100 mg/mq q 21 (fase di mantenimento) oppure PC (CCNU 110 mg/m2 giorno 1 + procarbazina 60 mg/m2/die dal giorno 7 al 21) ogni 6-8 settimane senza la Vincristina per evidenze di difficile passaggio nella BBB. Alla comparsa di recidiva/progressione di malattia dopo chirurgia e radioterapia concomitante a temozolomide, le principali opzioni terapeutiche rimangono le stesse, con la possibilità di effettuare nuovamente trattamento con temozolomide secondo protocollo “3 weeks on e 1 week off” (75 mg/mq/die) o week on e week off (75 mg/mq/die) in considerazione della risposta ottenuta in prima linea, dal tempo di progressione e dalla tossicità, (schedula in off label). L’associazione di CPT11 e bevacizumab è una opzione terapeutica sulla base di uno studio di fase II in pazienti affetti da GBM recidivo (PFS-6: 46%, OS6: 77% (96% CI: 64-92%), Rr: 57%) (20) e da uno studio di fase II randomizzato in pazienti affetti da GBM recidivati in cui l’associazione di bevacizumab + CPT11 ha documentato un beneficio di efficacia confrontato con bevacizumab in monoterapia (Rr: 32.9% vs 20%, PFS-6 50% vs 42%, OS: 8.8 vs 9.3 mesi) (21) e i risultati a lungo termine che dimostrano un tasso di sopravvivenza a un anno del 38% (livello di evidenza IIIA). Ad oggi in Europa il trattamento con bevacizumab è fuori indicazione, in attesa dei risultati di studi di fase III attualmente in corso. Riguardo alla modalità di esecuzione della chemioterapia è importante considerare quanto segue: • Nessuno studio ha dimostrato un vantaggio della polichemioterapia rispetto alla monoterapia. • Non è stabilita una durata ottimale del trattamento dei pazienti responsivi o stabili durante chemioterapia. Le nitrosouree rimangono, dopo la temozolomide, i farmaci più attivi. 6. Prevenzione e palliazione dei sintomi 6.1 Riabilitazione palliativa L’efficacia della riabilitazione nei tumori cerebrali è documentata da numerosi studi che riportano un “guadagno funzionale” e un miglioramento dell’autonomia nei pazienti trattati sovrapponibile a quello ottenuto in pazienti affetti da patologie non oncologiche (esiti di ischemia cerebrale o di trauma cranico). In questo quadro l’intervento riabilitativo deve essere mirato al recupero dell’autonomia individuale e può utilizzare strumenti diversi (fisioterapia motoria, terapia del linguaggio, terapia occupazionale). In questo quadro, visto il forte coinvolgimento familiare, occorre anche porsi il problema di aiutare la famiglia del malato a convivere con la malattia e a gestire gli aspetti più importanti, prevedendo il suo addestramento al corretto posizionamento e alla mobilizzazione del paziente con autonomia limitata e l’educazione alle posture adeguate. I deficit cognitivi sono un sintomo comune nei pazienti con tumore cerebrale, presente spesso già alla diagnosi, con un impatto negativo sulla qualità della vita e sul tono dell’umore. Le funzioni cognitive sono considerate un fattore prognostico indipendente indicatore di sopravvivenza. Pagina 6.2 Ipertensione endocranica, controllo dell’edema cerebrale Il trattamento antiedemigeno cortisonico richiede una migliore definizione sia nel tipo di cortisonico utilizzato che nella posologia. Il desametasone ha mostrato in studi sperimentali la maggiore attività antiedemigena cerebrale con minori effetti collaterali di tipo mineralcorticoide. Nei trattamenti protratti è necessario conoscere i numerosi possibili effetti collaterali (diabete iatrogeno, ipertensione arteriosa, complicanze psichiatriche) che devono essere trattati tempestivamente e prevenuti con una riduzione delle dosi di steroidei alla dose minima efficace. Desametasone Ridotti effetti mineralcorticoidi, basso legame proteine plasmatiche, lunga emivita (36 h), ridotta migrazione leucocitaria, dose iniziale 16 mg al giorno in unica somministrazione, ridurre gradualmente alla dose minima efficace Mannitolo,Glicerolo Raccomandata solo in caso di ipertensione endocranica ingravescente 1 mg/Kg in infusione rapida ogni 4-6 ore per 48-72 ore, utile monitoraggio funzionalità renale per terapia protratta. 14 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali 6.3 Epilessia I pazienti con neoplasia cerebrale primitiva o secondaria presentano spesso crisi epilettiche parziali o secondariamente generalizzate. Gli istotipi a maggior rischio epilettogeno sono gli oligodendrogliomi (8090%), i gliomi anaplastici (70%) e le metastasi da melanoma (87%). Le localizzazioni più epilettogene sono quelle parieto-temporali e corticali; l’edema perilesionale rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo. In letteratura non esistono dati che indichino un beneficio nell’intraprendere una profilassi. Alcuni autori suggeriscono di intraprendere una profilassi solo nel caso di interessamento della corteccia motoria e/o in caso di metastasi da melanoma e/o in caso di intervento neurochirurgico nella prima settimana post-operatoria. Va sempre privilegiata, laddove possibile, la monoterapia. Le raccomandazioni sul trattamento dell’epilessia tumorale prodotte dall’Associazione Italiana di Neuro-Oncologia (2008) raccolgono le evidenze scientifiche disponibili. Dall’analisi dei dati disponibili sono state stilate le seguenti raccomandazioni: • nei pazienti con tumori cerebrali di nuova diagnosi, i farmaci antiepilettici non sono efficaci nel prevenire l’insorgenza di crisi epilettiche. In considerazione della assenza di efficacia della terapia profilattica e per i potenziali eventi avversi dei farmaci antiepilettici, la terapia profilattica anticonvulsiva non dovrebbe essere utilizzata di routine in questi pazienti (standard) • nei pazienti con tumori cerebrali che non abbiano presentato crisi, è appropriato sospendere i farmaci antiepilettici dopo la prima settimana successiva all’intervento chirurgico. (Livello B) • i farmaci di nuova generazione (LEV, GBP, LTG, OXC, TGB, TPM, ZNS) nel trattamento delle crisi epilettiche in pazienti con neoplasie primitive o metastasi cerebrali inducono minori eventi avversi e minori interazioni rispetto ai farmaci antiepilettici di vecchia generazione (CBZ, PB, PHT) che vengono oggi sconsigliati nella terapia di prima linea per l’elevata incidenza di effetti collaterali e per le importanti interazioni con le altre terapie di supporto e con alcuni farmaci chemioterapici utilizzati nel trattamento dei tumori cerebrali • riguardo alla profilassi antiepilettica nel periodo perioperatorio gli studi clinici presenti in letteratura non offrono dati univoci. Anche in questo ambito sono comunque da preferire, per le ragioni già riportate, i farmaci anicomiziali di nuova generazione dotati di minori interazioni farmacologici ed effetti collaterali. Recenti dati sull’incidenza di crisi comiziali alla fine della vita segnalano una elevata incidenza legata anche a difficoltà di proseguire le terapie anticonvulsive orali. Nei pazienti con disfagia iniziale viene suggerito il passaggio dalla terapia anticomiziale orale a quella parenterale con fenobarbital im o sc. Evitare l’uso di farmaci induttori enzimatici (citocromo P 450), Evitare le interazioni degli AED con la terapia steroidea e la chemioterapia, Iniziare con monoterapia e in caso di epilessia resistente raggiungere la massima dose ed eventualmente usare un secondo farmaco in ionoterapia e solo in casi resistenti iniziare una politerapia. Gliomi di basso grado Pazienti non in terapia antineoplastica • Prima scelta: Vecchi AED (VPA); Nuovi AED (LEV, LTG, OXC,TPM) • Seconda scelta/Add-on: (CBZ-PHT-GBP-ZNS-PGB-LCM) Pazienti in terapia antineoplastica • Prima scelta: Non Induttori (LEV); Deboli Induttori (LTG, OXC, TPM) • Seconda scelta/Add-on: (GBP-VPA, ZNS-PGB-LCM) Pagina Gliomi di alto grado (paz. comunemente in terapia antineoplastica) • Prima scelta: Non Induttori (LEV); Deboli Induttori (LTG, OXC, TPM) • Seconda scelta/Add-on: (GBP, VPA,ZNS-PGB-LCM) Trattamento in acuto In presenza di stato di male epilettico, il farmaco ideale è una benzodiazepina per la breve durata d’azione e l’effetto immediato. In caso di non risposta alla benzodiazepina: • fenitoina i.v. • levetiracetam i.v. • acido Valproico i.v. Trombosi venose ed embolie polmonari L’elevata incidenza di trombosi venose periferiche nei pazienti affetti da gliomi (10-20%), spesso complicate da embolia polmonare, ha spinto alcuni autori ad ipotizzare la necessità di una profilassi antitrombotica con eparina a basso peso molecolare in tutti i pazienti affetti da tumore cerebrale. Depressione, psicosi Incidenza variabile dal 15 al 50-80% (Litofsky Neurosurgery 2004). Recenti review sull’utilizzo di terapia farmacologica antidepressiva indicano una possibile efficacia sul miglioramento dei disturbi depressivi. Sintomi psichiatrici con agitazione, disturbi del comportamento, aggressività, disturbi del sonno, etc. sono molto frequenti nei pazienti con tumore cerebrale, sia come complicanza del trattamento cortisonico protratto che come sintomatologia psicoorganica legata alla progressione del tumore. Il trattamento farmacologico si avvale di neurolettici di nuova generazione (risperidone, olanzapina) dotati di scarsi effetti collaterali extrapiramidali e sedativi e di buona efficacia terapeutica. Nella fase terminale di malattia in presenza di delirium è indicata la riduzione della terapia steroidea e in caso di insuccesso la somministrazione di farmaci sedativi fino all’induzione della sedazione necessaria al contenimento del sintomo (benzodiazepine, neurolettici). Dolore Dopo un’attenta valutazione del dolore, la terapia con oppioidi è graduale, attentamente pesata per il singolo paziente e intrapresa impiegando la titolazione della dose necessaria al controllo del dolore utilizzando preparati di morfina a pronto rilascio, somministrati ogni 4 ore ed ad ogni episodio di dolore episodico intenso. Una volta definita la dose quotidiana necessaria per un buon controllo del dolore è possibile passare alla somministrazione di preparazioni a rilascio controllato, che vanno sempre somministrate ad orari regolari, quotidianamente e possibilmente per bocca (“by the mouth, by the clock, by the ladder”). Nausea e vomito Farmaci sintomatici (metoclopramide, agente pro cinetico molto efficace; aloperidolo è indicato nei casi di nausea causata dagli oppioidi) Indicazioni alla nutrizione artificiale e all’idratazione nel paziente terminale Supporto nutrizionale: ad oggi non vi sono evidenze definitive che attestino l’efficacia del supporto nutrizionale nel risolvere la malnutrizione e la perdita di massa magra nei pazienti neoplastici. Secondo la review della Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue 15 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 1, 2009, i medici dovranno prendere una decisione basata sui vantaggi e i rischi di una nutrizione medicalmente assistita valutando il caso del singolo paziente, senza il supporto di una evidenza scientifica di alta qualità. Idratazione: La gestione dell’idratazione parenterale nel paziente terminale rimane controversa e la questione assai più frequente in cure palliative è legata alla sua eventuale prosecuzione. Gli argomenti al centro del dibattito sono: se e/o quanto spesso i pazienti debbano essere idratati, il volume di idratazione ricevuto ed il bilancio tra i benefici e gli effetti collaterali della idratazione parenterale. Nei pazienti che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnare verso una fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicina oggi ci offre; nelle cure palliative la sospensione è lecita in caso di incapacità di assimilazione da parte dell’organismo o intolleranza clinicamente rilevabile. Rantolo terminale Respirazione rumorosa terminale causata dalla presenza di secrezioni nelle vie aeree (di solito quelle superiori) vie respiratorie ultime ore 24-36-78/h di vita. Richiede fondamentalmente solo l’uso di anticolinergici. La terapia appropriata ed efficace alla manifestazione del rantolo: la scopolamina butibromide è molto efficace nel rantolo terminale con proprietà di ridurre le secrezioni. Ioscina: 20-40 mg ogni 4-6h fino a max 120 mg in siringa sottocute. Gli effetti collaterali del farmaco diventano le indicazioni terapeutiche, viene sfruttato l’effetto collaterale di ridurre le secrezioni bronchiali (off-label). Sedazione palliativa La sedazione palliativa corrisponde all’uso specifico di farmaci sedativi per alleviare le sofferenze fisiche e/o psichiche. La benzodiazepina di prima scelta è il Midazolam. Le dosi di midazolam utili si situano in un ampio range: da 10 a 1200 mg/die. Mediamente 30-70 mg/die. Le dosi più alte sono associate a pazienti giovani, assenza di ittero, pregresso uso di midazolam (per pregressa comparsa di tolleranza), prolungata sedazione (per probabile comparsa di tolleranza). Continuità assistenziale e cure domiciliari La complessità del percorso di malattia e l’intensità dei bisogni assistenziali dei pazienti affetti da neoplasia cerebrale richiedono modelli di cure in grado di offrire l’integrazione tra i diversi operatori coinvolti e i diversi setting assistenziali (ospedale, territorio, domicilio). Le cure palliative devono essere avviate in tutte le fasi di malattia, secondo il modello di “simultaneous care”, utilizzando le strutture di cure palliative esistenti sul territorio regionale . La legge regionale 2010 promuove il modello neuro-oncologico di cure domiciliari integrate, già validato, per tutti i malati affetti da tumore cerebrale. 7. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza La patologia neoplastica cerebrale coinvolge un gruppo di professionisti di diverse specialità (chirurghi, anatomo-patologi, radiologi, neurologi, oncologi, radioterapisti, psicologi) accreditati come esperti della materia in funzione di: • comprovata esperienza in materia di patologia oncologica cerebrale • numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per questa patologia • regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici • regolare aggiornamento professionale specifico • adeguata e continua produzione scientifica specifica ed attività didattica. • • • • • T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE T1 assiale tardiva) Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC con o senza valutazione dell’input arterioso” (AIF) Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi) In caso di localizzazione in aree critiche RM funzionale, con task di attivazione motoria e linguaggio (i task saranno ottimizzati e standardizzati per tutti i centri) e/o Trattografia (DTI) Volume Pazienti affetti da glioma/anno: • 25 (minimo) (prima diagnosi + recidive) • 50 (eccellenza) (prima diagnosi + recidive). Nella successiva tabella vengono indicati Requisiti Minimi (normale) e Criteri di Eccellenza (grassetto) sulla base di Risorse/Procedure, Disponibilità, Numero pazienti trattati nel 2010 7.1 Diagnostica per immagini Aspetti tecnici: • Magnete ≥1.5T • Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm • T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR assiali e TSE T2 su 3 piani) Pagina Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali 7.3 Chirurgia Risorse tecniche: • sala operatoria (dedicata) • coagulazione bipolare • aspiratore a ultrasuoni • ecografo intraoperatorio • neuronavigatore • amplificatore di brillanza • microscopio operatorio (completo di filtro per fluorescenza e indocianina)* • monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio Risorse/Procedure • • • • • neuro-endoscopio* chirurgia stereotassica* TC o RM intraoperatori* terapia intensiva neurochirurgica* post-operatoria *Almeno 3 dei cinque criteri devono essere soddisfatti per l’eccellenza Volume pazienti/anno: 25 (minimo) 50 (eccellenza) 7.4 Radio-chemioterapia Disponibilità Numero pazienti trattati nel 2010 Per l’eccellenza è necessario soddisfare 3 degli 8 requisiti riportati nei riquadri grigi ≥10*+≥15** Trattamenti radioterapici con fasci esterni su tumori primitivi* e secondari** del SNC Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Simulazione con utilizzo di TC Idem Piano di trattamento basato su immagini TC Idem Immagini portali settimanali Idem Sistemi di immobilizzazione Idem DH per terapia di supporto Disponibilità di accesso Trattamenti radioterapici con tecniche focalizzate (3D-CRT o IMRT) su tumori primitivi del SNC Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa ≥15 Trattamenti radioterapici con tecniche focalizzate (3D-CRT o IMRT) su tumori metastatici del SNC Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa ≥15 Definizione dei volumi di trattamento e critici mediante Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa programma di fusione delle immagini SRS (radiochirurgia) Il trattamento può avvalersi di questa risorsa SRT (radioterapia stereotassica) Idem IMRT Idem IGRT Idem Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione 7.2 Diagnosi anatomo-patologica Diagnosi istologica e grading: Inquadramento nosografico delle lesione e definizione del grado di malignità, secondo la classificazione WHO 2007 Caratterizzazione molecolare: • delezione cromosoma 1p e 19q • metilazione del promoter del gene per MGMT • mutazione IDH1 mediante immunoistochimica • volume pazienti/anno: 25 (minimo) 50 (eccellenza) 16 Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita Inizio terapia 4 settimane dalla prescrizione nelle forme rapidamente evolutive Inizio terapia Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile compatibilmente con le condizioni cliniche del paziente e con i tempi di guarigione chirurgica Pagina 17 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 7.5 Attività scientifica Per l’eccellenza sono necessari 2 dei 4 requisiti Pubblicazioni • Pubblicazioni su riviste scientifiche: almeno una nell’anno • Abstracts a Congressi: idem. Presentazioni a Congressi, Corsi e Studi Nazionale ed Internazionali • Relazioni, comunicazioni: almeno una nell’anno • Partecipazione a studi multicentrici: almeno uno attivo. 7.6 Terapia di supporto e cure palliative (risorse che possono essere esterne al centro) Requisiti minimi • Volume di attività (minimo 20 casi/anno) • Risorse strutturali in grado di garantire l’accesso del paziente entro 2 settimane dalla richiesta • Terapia antiedemigena • • • • • • • Terapia antiepilettica Profilassi antitrombotica Terapia neurolettica Terapia antidepressiva Nutrizione idratazione Gestione del rantolo terminale Sedazione palliativa. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali • • • • Eccellenza Presenza di un team multidisciplinare dedicato alle cure palliative neurooncologiche in grado di garantire • Riabilitazione neuro-motoria e cognitiva • Riabilitazione palliativa • Supporto al care-giver • Supporto al lutto • Volume di attività (almeno 40 casi/anno) Per ottenere l’eccellenza un Centro deve soddisfare i criteri indicati in 5 dei 6 aspetti presi in considerazione. • • • • Westphal M, Hilt DC, Bortey E, et al. A phase 3 trial of local chemotherapy with biodegradable carmustine(BCNU) wafers (Gliadel wafers) in patients with primary malignant glioma. Neuro-Oncology 2003; 5: 79-88. Carapella CM, Telera S, Oppido PA. Surgery of malignant gliomas: advances and perspectives. Curr Opin Oncol. 2011; 23(6): 624-9. Brada M, Stenning S, Gabe R, et al. Temozolomide versus procarbazine, lomustine, and vincristine in recurrent high-grade glioma. 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Neurosurgery 2008; 62: 753-766. 18 Pagina 19 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale Coordinatore: Emilio Balestrazzi M.M. Pagliara, M.A. Blasi Pagina 20 Pagina 21 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Incidenza e mortalità 1. Incidenza e Mortalità Pagina 23 2. Diagnosi Pagina 23 3. Stadiazione e “Risk Assessment” 3.1. Tumore primitivo - T 3.2 Linfonodi – L 3.3 Presenza di metastasi – M 3.4 Linfonodi loco regionali 3.5 Metastasi 3.6 Risk assessment Pagina 23 4. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale Pagina 23 Pagina 24 Il melanoma uveale è il tumore primitivo intraoculare più frequente nell’adulto. La sua incidenza è di 2-8 casi per milione, per anno, nella popolazione caucasica. L’età media all’esordio è 55 anni, solo l’1% dei melanomi uveali vengono diagnosticati in pazienti con età inferiore a 20 anni. Circa l’80% dei melanomi si localizza nella coroide 12% nel corpo ciliare e 8% nell’iride. Studi condotti negli Stati Uniti hanno evidenziato un’incidenza stabile nelle ultime due decadi e lievemente più bassa nei soggetti di sesso femminile (4.9 per milione per gli uomini, 3,7 per milione nelle donne). La mortalità a 5 anni per il melanoma uveale è circa il 50%. La sopravvivenza è indipendente dal tipo di terapia locale effet- tuata, brachiterapia, terapia con protoni, resezione o enucleazione. Il miglioramento delle tecniche terapeutiche ha consentito di ridurre il numero dei pazienti sottoposti ad enucleazione, ma non ha migliorato la sopravvivenza. Il melanoma irideo è raro, e comprende solo il 3% dei tumori uveali. Il rischio di metastasi a distanza da melanoma irideo è del 5% a 10 anni e del 10% a 20 anni. Fattori di rischio per una prognosi peggiore sono rappresentati da età di insorgenza, interessamento dell’angolo camerulare, glaucoma secondario, estensione extrasclerale,conformazione anulare della lesione ed interventi chirurgici precedenti alla diagnosi. Il tipo di trattamento non influenza la sopravvivenza. Pagina 25 Pagina 25 Pagina 25 2. Diagnosi Pagina 25 Trattamento degli stadi iniziali 4.1 Trattamento della malattia localmente avanzata Pagina 25 Pagina 25 5. Trattamento della malattia metastatica Pagina 26 6. Valutazione delle risposte e follow-up Pagina 26 7. Dotazioni delle unità cliniche, volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza Pagina 27 8. Bibliografia Pagina 27 L’oftalmoscopia indiretta a pupilla dilatata è l’esame più importante nella diagnosi dei melanomi della coroide; se associata ad un’attenta anamnesi e ad esame ecografico permette un’accuratezza diagnostica nel 99% dei casi. Ecografia A/B scan, esame ultrabiomicroscopico (UBM): è l’indagine strumentale d’elezione nella diagnosi di melanoma uveale, permette, inoltre, un’accurata misurazione delle dimensioni del tumore utili per la programmazione del trattamento, per il monitoraggio della crescita o della regressione, ed una precisa valutazione della presenza di estensione extrasclerale.Tale indagine è, inoltre, di fondamentale importanza in presenza di opacità dei mezzi diottrici (leucomi corneali, cataratta, emovitreo, distacco di retina), poiché il fondo è mal esplorabile e non ci si può basare in prima istanza sulla diagnosi oftalmoscopica. Fotografia del segmento anteriore: è utilizzata per documentare le dimensioni, la forma, la superficie delle lesioni iridee ed estesi melanomi del corpo ciliare visibili attraverso il forame pupillare. Fotografia del fondo oculare: è indispensabile per documentare la crescita, la risposta alla terapia e la presenza di recidive. Transilluminazione: necessaria per localizzare e misurare la base del tumore, indispensabile nel delimitare il perimetro del melanoma da sottoporre a rese- zione transsclerale, ad applicazione di placche radioattive o di anelli di tantalio per il trattamento con protoni. Angiografia con fluoresceina: ha un’utilità limitata nella diagnosi dei melanomi coroideali, il maggior contributo si osserva nella diagnosi differenziale con lesioni disciformi, emangioma coroideale, distacco di coroide e lesioni emorragiche. Angiografia al verde indocianina: permette la visualizzazione della rete vascolare tumorale. Altre procedure strumentali non apportano un contributo rilevante alla diagnosi di melanoma uveale. • OCT (Tomografia a coerenza ottica): utile nel documentare modificazioni retiniche secondarie come piccoli sollevamenti retinici associati a melanomi della coroide e a nevi. La tomografia computerizzata ad alta risoluzione è meno accurata dell’ecografia nella diagnosi di masse uveali. • RMN: non è un’indagine strumentale specifica per il melanoma uveale; è più costosa e non superiore all’ecografia e non viene usata nella pratica clinica. • PET (tomografia ad emissione di positroni): le cellule tumorali hanno elevati livelli di uptake di 18F-Fluorodeossiglucosio; studi preliminari hanno evidenziato che con questa metodica il melanoma primario dell’uvea può essere diagnosticato con un’accuratezza del 66%. 3. Stadiazione e “risk assessment” La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è strutturata come segue. 3.1 Tumore primitivo – T Melanomi uveali • Tx: tumore primitivo non definibile. • T0: tumore primitivo non evidenziabile. Pagina 22 Pagina Melanomi dell’iride • T1: tumore limitato all’iride - T1a: tumore limitato all’iride con estensione non superiore a 3 ore di orologio - T1b: tumore limitato all’iride con estensione superiore a 3 ore di orologio - T1c: tumore limitato all’iride con glaucoma secondario. • T2: tumore con estensione al corpo ciliare, alla coroide, o ad entrambi, con 23 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici glaucoma secondario. T3: tumore con estensione al corpo ciliare, alla coroide, o ad entrambi, con estensione sclerale. - T3a: tumore con estensione al corpo ciliare , alla coroide, o ad entrambi, con estensione sclerale e glaucoma secondario. T4: tumore con estensione extrasclerale. - T4a: tumore con estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. - T4b: tumore con estensione extrasclerale di diametro superiore a 5mm. Melanomi del corpo ciliare e della coroide I melanomi primari del corpo ciliare e della coroide sono classificati in quattro categorie in base allo spessore e ai diametri basali come in figura 1. • T1: tumore con dimensioni categoria 1 - T1a: tumore con dimensioni categoria 1 senza coinvolgimento del corpo ciliare ed estensione extrasclerale - T1b: tumore con dimensioni categoria 1 con coinvolgimento del corpo ciliare - T1c: tumore con dimensioni categoria 1 senza coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. - T1d: tumore con dimensioni categoria 1 con coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. • T2: tumore con dimensioni categoria 2 - T2a: tumore con dimensioni categoria 2 senza coinvolgimento del corpo ciliare ed estensione extrasclerale - T2b: tumore con dimensioni categoria 2 con coinvolgimento del corpo ciliare - T2c: tumore con dimensioni categoria 2 senza coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. • • - T2d: tumore con dimensioni categoria 2 con coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. T3: tumore con dimensioni categoria 3 - T3a: tumore con dimensioni categoria 3 senza coinvolgimento del corpo ciliare ed estensione extrasclerale - T3b: tumore con dimensioni categoria 3 con coinvolgimento del corpo ciliare - T3c: tumore con dimensioni categoria 3 senza coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. - T3d: tumore con dimensioni categoria 3 con coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. T4: tumore con dimensioni categoria 4 - T4a: tumore con dimensioni categoria 4 senza coinvolgimento del corpo ciliare ed estensione extrasclerale - T4b: tumore con dimensioni categoria 4 con coinvolgimento del corpo ciliare - T4c: tumore con dimensioni categoria 4 senza coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. - T4d: tumore con dimensioni categoria 4 con coinvolgimento del corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale a 5 mm. - T4e: tumore con dimensioni di qualsiasi categoria con estensione extrasclerale di diametro superiore a 5 mm. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale Tabella 1. Classificazione in categorie in base allo spessore e al diametro basale Spessore >15.0 12.1-15.0 9.1-12.0 NX: i linfonodi regionali non sono stati valutati. N0: non metastasi nei linfonodi regionali. N1: metastasi in linfonodo/i regionale/i. 3 3 4 4 3 3 3 4 6.1-9.0 2 2 2 2 3 3 4 3.1-6.0 1 1 1 2 2 3 4 1 1 1 1 2 2 4 3.1-6.0 6.1-9.0 9.1-12.0 12.1-15.0 15.1-18.0 >18.0 ≤ 3.0 ≤3.0 Diametro basale (mm) 3.3 Presenza di metastasi – M • • M0: assenza di metastasi. M1: presenza di metastasi a distanza. - M1a: metastasi più grande con diametro inferiore o uguale a 3 cm. - M1b: metastasi più grande con diametro compreso tra 3.1 e 8.0 cm. - M1c: metastasi più grande con diametro uguale o superiore a 8.1 cm. Lenta crescita Osservazione Rapida crescita Biopsia escissionale per lesioni piccole 24 N0 M0 T1b-d N0 M0 T2a N0 M0 T2b N0 M0 T3a N0 M0 T2c-d N0 M0 T3b-c N0 M0 T4a N0 M0 T3d N0 M0 T4b-c N0 M0 Ogni T N1 M0 Ogni T Ogni N M1a-c Stage IIB Il melanoma uveale metastatizza esclusivamente per via ematica poiché l’uvea è sprovvista di vasi linfatici. I rari casi in cui dà metatasi linfonodali è in seguito ad estensione extrasclerale ed infiltrazione della congiuntiva. I linfonodi regionali interessati sono: preauricolari(parotidei), sottomandibolari, laterocervicali. 3.5 Metastasi Il melanoma uveale metastatizza per via ematica. Il fegato è la prima sede di metastasi nel 90% dei casi, altre sedi sono i polmoni, il tessuto sottocutaneo e l’apparato scheletrico. Stage IIIB Stage IV denza di metastasi a distanza in base ad esami clinici, radiologici ed esami di laboratorio. I pazienti con melanoma in stadio IV presentano metastasi a distanza (tabella 1). La sopravvivenza a dieci anni per gli stadi I, IIA-B, IIIA-C, e IV è rispettivamente 88%, 80%, 68%, 45%, 26%, 21% e 0%. Vi sono una serie di fattori prognostici che , sebbene non siano inclusi negli algoritmi di stadiazione, è importante tenere in considerazione: • Alterazioni cromosomiche: Monosomia 3 • Profilo di espressione genica: classe1 o 2. • Tomografia ad emissione di positroni/tomografia computerizzata (PET/ TAC): (elevati livelli di uptake di 18F-Fluorodeossiglucosio sono associati a più breve sopravvivenza) • Angiografia al verde indocianina • Indice mitotico • Diametro medio dei 10 nucleoli più grandi • Presenza di pattern di matrice extravascolare • Densità micro vascolare. Biopsia con ago sottile per lesioni grandi Fusato B o a cellule epitelioidi Fusato A o a cellule neviche Resecabile Osservazione Resezione Pagina T1a Stage IIA 3.4 Linfonodi loco regionali 3.6 Risk assessment Fotografia della lesione Stage I Stage IIIA Le dimensioni del melanoma uveale e la presenza di estensione extrasclerale sono fortemente associate con il rischio di metastasi. Infatti, fattori prognostici quali il diametro basale massimo, lo spessore e la sede ciliare sono particolarmente indicativi della aggressività del tumore. Metastasi sistemiche sono presenti nell’1-4% dei pazienti con melanoma uveale al momento della diagnosi. L’ecografia epatica ed il dosaggio degli enzimi sierici epatici sono raccomandati per escludere una malattia sistemica. Gli stadi I-III comprendono i pazienti con melanoma uveale in cui non vi è evi- Escludere il coinvolgimento di strutture adiacenti 4 3 Figura 1. Flow chart per il trattamento delle lesioni iridee sospette Lesione iridea con segni clinici di malignità 4 3 3.2 Linfonodi – L • • • 4 Brachiterapia o enucleazione 4. Trattamento degli stadi iniziali 4.1 Trattamento della malattia localmente avanzata Melanoma dell’iride In considerazione del basso grado di malignità delle lesioni iridee, il loro trattamento si è evoluto verso modalità più conservative. Nelle forme localizzate è raccomandata, l’osservazione con documentazione fotografica. Se vi è Pagina documentata crescita della lesione, si pone l’indicazione all’escissione chirugica (iridectomia o iridociclectomia). La biopsia escissionale e la biopsia con ago sottile permettono la diagnosi istopatologica del tumore. Le lesioni diffuse, anulari o a rapida crescita richiedono multiple biopsie con ago sottile per la diagnosi; se la biopisia evidenzia la presenza di cellule neviche o fusiformi A è indicata la 25 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici sola terapia medica per il glaucoma. Se la diagnosi istologica è di melanoma a cellule fusate B è indicata l’escissione mediante iridociclectomia seguita da frequenti controlli postoperatori per rischio di recidiva. Se la diagnosi è di melanoma a cellule epitelioidi, poiché le cellule epitelioidi possono crescere in modo non coesivo, in camera anteriore e nelle struttura angolari senza che possano essere clinicamente evidenti, è consigliato procedere ad intervento di enucleazione, eccetto nei casi di pazienti monocoli. La brachiterapia oculare è riservata ai casi non suscettibili di escissione chirurgica o, come terapia adiuvante post-chirurgica, quando sia documentata la malignità istologicamente. Melanoma della coroide e del corpo ciliare I tumori dell’uvea si osservano con cadenze periodiche semestrali, se si tratta di nevi. Nel melanoma ciliare e coroideale, la semplice osservazione clinica a stretti intervalli di tempo viene indicata per lesioni pianeggianti, con spessore inferiore ai 2 mm e diametro basale inferiore agli 8 mm, ovvero per lesioni con spessore compreso tra i 2 mm ed i 3.5 mm qualora non vi siano fattori di rischio per la crescita tumorale (fluido sottoretinico, sintomi, pigmento arancio epilesionale, localizzazione entro 2 diametri papillari dal disco ottico). I piccoli melanomi pigmentati (spessore inferiore a 3.5 mm, base inferiore a 10 mm) situati al polo posteriore non a contatto con la papilla possono essere trattati con la termoterapia transpupillare (TTT), metodica di recente introduzione che, attraverso un laser a diodi, determina un aumento di temperatura entro il tumore provocandone la necrosi non coagulativa. Questa tecnica può essere impiegata anche per melanomi di maggiori dimensioni o localizzati in sede juxtapapillare qualora venga associata alla radioterapia con placche episclerali (terapia sandwich). La radioterapia con placche radioattive (brachiterapia) rappresenta il trattamento radiante più diffusamente utilizzato. Con questa tecnica possono essere trattati i melanomi ovunque localizzati e di spessore non superiore ai 9 mm per lo Iodio ed ai 5 mm per il Rutenio (12.5 mm e 8.5 mm se associata a TTT). E’ racco- mandata una dose totale ottimale all’apice del tumore di 85 Gy per le placche di Iodio e 100 Gy per le placche di Rutenio. Una dose maggiore determina un aumento della morbidità, mentre una dose inferiore può causare un inadeguato controllo locale del tumore. I diametri basali e lo spessore del melanoma sono individuati attraverso l’ecografia standardizzata, l’esame del fondo oculare e la transilluminazione. Una precisa stima dei diametri basali del tumore è importante per la scelta della placca da utilizzare, un margine di sicurezza di 2 mm viene aggiunto ai diametri basali del tumore per garantire un adeguato trattamento. Lo spessore del tumore, misurato con tecnica ecografia A e B scan, permette di calcolare la durata del trattamento e la dose di radiazioni. L’applicazione della placca episclerale, eseguita in sala operatoria, in anestesia locale, prevede i seguenti tempi chirurgici: peritomia congiuntivale al limbus, determinazione dei margini della neoformazione mediante transilluminazione e/o indentazione; applicazione della placca di simulazione (Dummy) sulla sclera nell’area corrispondente al tumore, posizionamento delle suture in modo da ridurre i tempi di esposizione dell’operatore, sostituzione del dummy con placca episclerale che viene fissata alla sclera con fili di sutura, sutura della congiuntiva. Viene effettuato un controllo ecografico del corretto posizionamento della placca entro 24 ore dall’applicazione. Raggiunta la dose prescritta, la placca viene rimossa in sala operatoria in anestesia locale. Nella radioterapia con particelle accelerate il fascio radiante provoca il suo effetto fino a 14 mm di profondità, tale metodica, pertanto, risulta particolarmente indicata in pazienti monocoli con tumori di spessore superiore a quello consentito per il trattamento con brachiterapia o con terapia sandwich. La resezione chirurgica del melanoma della coroide tramite resezione transsclerale, infine, puó essere impiegata per tumori di qualsiasi spessore con un diametro basale inferiore ai 15 mm il cui margine posteriore disti almeno 4 mm dalla fovea e 3 mm dal disco ottico. L’enucleazione viene riservata a tumori di grandi dimensioni, specie se multilobulari, associati a glaucoma secondario o ampia estensione extrasclerale. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale 7. Dotazione delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza Il Centro di Oncologia Oculare richiede la presenza di personale dedicato e altamente specializzato, con una esperienza consolidata nel settore specifico. Deve possedere tutti gli strumenti necessari per la diagnosi e, poiché l’attuale tendenza in Oncologia è quella di un approccio multimodale alla malattia, è necessario disporre di modalità terapeutiche diverse, da associare, a garanzia di una maggiore radicalità: • Lampada a fessura (archiviazione immagini) • Oftalmoscopio binoculare, lenti • Apparecchiature per panfundoscopia (Panoret, Retcam) • Ecografo (hi-res, UBM, A scan standardizzato) • Fluorangiografia (FAG), Angiografia al verde indocianina (ICG) • Tomografia a coerenza ottica (OCT) • Visante (OCT camera anteriore) • Transilluminatore • Microscopio confocale • Laser per fotocoagulazione retinica (Argon/Krypton) • Laser per Termoterapia transpupillare (TTT) • Laser per terapia fotodinamica (PDT) • Sala operatoria completa di microscopio operatorio e strumentazione chirurgica • Chemioterapici topici (Mitomicina C, Imiquimod, Interferone alfa) • Brachiterapia co Ru106 e I125 (Nella seduta del 9 novembre 2005, dopo un lungo e faticoso iter, la Commissione regionale per la Radioprotezione ha autorizzato la pratica della brachiterapia oculare). Le stime effettuate sull’attività clinica nell’ambito di tutta l’oncologia oculare, svolta presso il Centro di Oncologia Oculare, hanno registrato un numero medio di 120 prestazioni ambulatoriali settimanali, in particolare 70 visite e 50 ecografie settimanali. Relativamente al melanoma uveale, considerando che, in Italia, il numero di nuovi casi, ogni anno, si attesta intorno ai 350, presso il Centro di Oncologia Oculare ne vengono osservati e trattati oltre un terzo. L’analisi dell’attività chirurgica globale svolta dal suddetto Centro di Oncologia Oculare ha evidenziato un numero complessivo di circa 300 interventi chirurgici/anno. In particolare vengono eseguiti interventi per applicazioni di Placche radioattive di Rutenio e di Iodio (brachiterapia), enucleazioni del bulbo oculare, resezioni transclerali, asportazioni di neoformazioni epibulbari e ricostruzione della superficie oculare con membrana amniotica, revisioni di cavità anoftalmica, biopsie escissionali od incisionali di neoformazioni palpebrali ed orbitarie, fotocoagulazioni, termoterapie transpupillare e criotrattamenti per retinoblastomi. Inoltre vengono effettuati trattamenti con termoterapia transpupillare e trattamenti con terapia fotodinamica in Regime Ambulatoriale. 8. Bibliografia 5. Trattamento della malattia metastatica • In genere la sopravvivenza media dei pazienti con diagnosi di metastasi da melanoma uveale è inferiore a sei mesi. Numerosi trials clinici sono stati proposti per il trattamento del melanoma uveale metastatico: chemioterapia, chemioterapia intraarteriosa epatica, chemioembolizzazione, immunoterapia, chirurgia e terapie combinate. La chemioterapia con l’associazione di (dacarbazina, carmustina, cispaltino e tamoxifene) usato nel trattamento dei melanomi cutanei è inefficace nel trattamento dei melanomi uveali metastatici (la frequenza di risposta nel melanoma uveale è del 10% dei casi contro il 30% nei melanomi cutanei). La sopravvivenza media nei pazienti trattati con chemioterapia intrarteriosa epatica è di 12-14 mesi; più lunga è la sopravvivenza nei pazienti elegibili a resezione chirurgica di metastasi solitaria epa- tica o in altri distretti. Sfortunamente solo il 10% dei pazienti con metastasi da melanoma uveale presentano metastasi solitarie aggredibili chirurgicamente. Nei casi in cui l’escissione chirurgica di metastasi epatica è seguita da infusione intraarteriosa epatica di fotoemustina e/o dacarbazina+cisplatino è stata documentata una sopravvivenza media di 22 mesi. La comparsa di metastasi in distretti extraepatici (polmoni,scheletro, tessuti molli), età inferiore a 60 anni, sesso femminile, ed un più lungo intervallo fra la diagnosi di melanoma e la comparsa di metastasi sono fattori associati ad una migliore prognosi. Accertata la diagnosi di melanoma uveale metastatico, il paziente viene inviato all’oncologo medico, il quale lo prenderà in carico, prescrivendo le indagini necessarie per l’approfondimento diagnostico e le possibili terapie. • • • • • • • 6. Valutazione delle risposte e follow-up • Il paziente viene poi inquadrato in una puntuale attività di follow-up. Dopo la terapia, si effettuano controlli oftalmoscopici, ecografici ogni 4 mesi, per i primi 5 anni. A partire dal 6°, i controlli diventano annuali. Pagina Con la stessa cadenza temporale, il paziente si sottopone ad ecografia epatica e dosaggio degli enzimi sierici epatici per evidenziare la comparsa della malattia metastatica. 26 • Singh AD,Topham BA. Incidence of Uveal Melanoma in the United States: 1973-1997. Ophthalmology 2003; 110: 956-61. Scotto J, Fraumeni JF, Lee JAH. Melanomas of the eye and other noncutaneous sites. Epidemiologic aspects. J Natl Cancer Inst 1976; 56: 489-91. Collaborative Ocular Melanoma Study Group. Design and methods of a clinical trial of a rare conditions: The Collaborative Ocular Melanoma Study. COMS report n°3. Control Clin Trials 1993; 14: 362-391. Virgili G, Gatta G, et al. Incidence of Uveal Melanoma in Europe. Ophthalmology 2007; 114: 2309-2315. Strikland D, Lee JA. Melanoma of the eye:stability of rates. Am J Epidemiol 1981; 113: 700-2. Seddon JM, Gragoudas ES, Egan KM, et al. relative survival rates after alternative therapies for uveal melanoma. Ophthalmology 1990; 97: 769-96. 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Metastatic ocular and cutaneous melanoma:a comparison of patients characteristics and prognosis. Arch Ophthalmol 1996; 114: 107108. 27 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Salmon RJ, Levy C, Plancher C, et al. Treatment of liver metastases from uveal melanoma by combine surgery-chemioterapy. Eur J Surg Oncol 1998; 24: 127-130. Rietschel P, Panageas KS, Hanlon C, et al. Variates of survival in metastatic uveal • Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo melanoma. J Clin Oncol 2005; 23: 8076-8080. AJCC, Cancer Staging Manual. Seventh Edition. Melanoma of the uvea. 2010; 547559. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo Coordinatore: Riccardo Maurizi Enrici F. Amelia, A. Camaioni, E. Cortesi, M. De Vincentiis, V. Donato, T. Gamucci, L. Marmiroli, L. Pompei, V. Tombolini, V. Valentini, P. Marchetti, S. Mezzi, D. Musio, G. Paludetti, M. Radici, R. Santoni, M. Ruggeri, M. Santarelli, G. Spriano, M. Valeriani, A. Vidiri, M. Vigili Pagina 28 Pagina 29 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. 2. 3. 4. 5. 6. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo 7 Aspetti generali 1.1 Incidenza e mortalità 1.2 Diagnosi 1.3 Imaging delle neoplasie della testa e del collo 1.4 Modalità di diffusione 1.5 Stadiazione 1.6 Prognosi 1.7 Stadiazione Sec. Classificazione TMN 1.8 Terapia Pagina 45 Carcinomi delle ghiandole salivari 8.1 Introduzione 8.2 Indicazioni terapeutiche generali 8.3 Follow-up Pagina 46 Dotazioni strumentali e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza 9.1 Chirurgia 9.2 Radioterapia 9.3 Oncologia 9.4 Diagnostica per immagini 9.5 Anatomia Patologica Pagina 46 10. Bibliografia Pagina 48 11. Appendice Pagina 49 Pagina 32 Pagina 32 Pagina 32 8 Pagina 33 Pagina 33 Pagina 34 Pagina 45 Pagina 45 Pagina 45 Pagina 46 Pagina 46 Pagina 46 Pagina 34 Pagina 34 9 Pagina 37 Carcinomi del cavo orale 2.1 Introduzione 2.2 Indicazioni terapeutiche generali 2.3 Follow-up Pagina 40 Carcinomi del rinofaringe 3.1 Introduzione 3.2 Indicazioni terapeutiche generali 3.3 Follow-up Pagina 42 Carcinomi dell’orofaringe 4.1 Introduzione 4.2 Indicazioni terapeutiche generali 4.3 Follow-up Pagina 42 Carcinomi dell’ipofaringe 5.1 Introduzione 5.2 Indicazioni terapeutiche generali 5.3 Follow-up Pagina 43 Carcinoma della laringe 6.1 Introduzione 6.2 Indicazioni terapeutiche generali 6.3 Follow-up Pagina 44 Pagina Carcinomi delle cavità nasali e dei seni paranasali 7.1 Introduzione 7.2 Indicazioni terapeutiche generali 7.3 Follow-up Pagina 40 Pagina 40 Pagina 41 Pagina 46 Pagina 47 Pagina 47 Pagina 48 Pagina 48 Pagina 42 Pagina 42 Pagina 42 Pagina 42 Pagina 42 Pagina 43 Pagina 43 Pagina 43 Pagina 43 Pagina 44 Pagina 44 Pagina 45 30 Pagina 31 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo 1.3 Imaging delle Neoplasie della Testa e del Collo 1. Aspetti generali 1.1 Incidenza e Mortalità Le neoplasie del distretto testa-collo sono tra tutti i tumori maligni al 5° posto per frequenza e in Italia rappresentano circa il 5% di tutti i tumori maligni. Nel biennio 2003-2005, in Italia, hanno provocato tra gli uomini il 4,1% di tutti i decessi per cancro (8a causa di morte tumorale), mentre nella popolazione femminile hanno rappresentato l’1,5% del totale dei decessi per cancro. Il tasso d’incidenza in Europa è di 18 casi ogni 100.000 abitanti/anno mentre in Italia è di 16 casi ogni 100.000 abitanti/anno. Ogni anno in Italia si diagnosticano circa 12.000 nuovi casi. Tra il 2003 e il 2005 sono stati registrati in media 29,2 casi all’anno ogni 100.000 uomini e 6,9 casi ogni 100.000 donne. In Italia nel 2006 i tumori del distretto testa-collo hanno causato 1.986 decessi per tra gli uomini e 759 tra le donne. Negli ultimi anni, nel sesso maschile si è evidenziata una progressiva diminuzione dell'incidenza dei tumori della laringe, della faringe e del cavo orale. Nel sesso femminile, invece, si è registrato un aumento delle diagnosi per questi tumori in quanto sono aumentate le donne fumatrici rispetto al passato. I tassi di incidenza e di mortalità sono più alti nei maschi al Nord che al Centro e al Sud. Anche tra la popolazione femminile, si osserva una più alta incidenza e mortalità al Nord rispetto al Centro e al Sud. Il 90% dei tumori maligni della testa e del collo è rappresentato da carcinomi spino cellulari, mentre il restante 10% è rappresentato da melanomi, linfomi, sarcomi e tumori con diversa istologia, tra i quali i tumori delle ghiandole salivari. La fascia di età più colpita è quella compresa tra i 50 ad i 70 anni tranne per i tumori delle ghiandole salivari, della tiroide ed i sarcomi che compaiono in età più precoce. L’uso del tabacco è il fattore di rischio più importante per i tumori della testa e del collo. L’aumento di rischio è direttamente proporzionale al numero di sigarette fumate al giorno ed al tempo di esposizione (numero totale di anni di fumo). Il rischio è aggravato in maniera esponenziale dalla contemporanea esposizione all’alcol (soggetti fumatori e bevitori rischio di sviluppare questo tumore 30 volte maggiore rispetto ai soggetti non fumatori e non bevitori). Il rischio di tumore è proporzionale alla quantità di alcol assunta ed è indipendente dal tipo di bevanda alcolica assunta. L’esposizione prolungata e ripetuta della mucosa delle vie aree e digestive a queste sostanza porta ad un aumento del rischio di sviluppare tumori, per cui è facile riscontrare multipli tumori epiteliali che possono svilupparsi simultaneamente o in sequenza. Altri fattori di rischio oltre all’alcol e al fumo sono rappresentati dal Virus di Epstein-Barr, dal Papilloma virus in paticolare il sottotipo 16, da alcune abitudini alimentari (consumo pesce e cibi in salamoia, carenza di frutta e verdura con conseguente scarso apporto di vitamina A), da fattori cronici (cattivo stato della dentizione o protesi non corrette). 1.2 Diagnosi Poiché i tumori del distretto cervico-facciale hanno una spiccata tendenza all’invasione locale per via linfatica e per contiguità (tardiva è la diffusione per via ematica), particolarmente accurata deve essere la valutazione dell’estensione locale della neoplasia mediante esame obiettivo ed eventuale endoscopia. Pagina Pertanto nell’esame obiettivo loco-regionale vanno segnalate l’estensione della neoplasia, le eventuali limitazioni funzionali (alterazione della motilità laringea, della deglutizione) ad essa correlate, le sedi e sottosedi interessate, il numero, il livello, le dimensioni e le caratteristiche dei linfonodi. La sintomatologia varia considerevolmente in funzione della sede di insorgenza della malattia. E’ comunque usualmente tardiva. Nei casi precoci la diagnosi è quasi sempre del tutto occasionale, nel corso di esami clinici richiesti per altre finalità. La Fibroscopia faringo-laringea è un esame indispensabile e routinario: deve essere eseguito in tutti i pazienti. Nei tumori allo stadio iniziale si può eseguire una biopsia escissionale a scopo diagnostico curativo, mentre negli stadi intermedi-avanzati, viene eseguita una biopsia incisionale. La RM con mdc è oggi da ritenersi l’esame di prima scelta nella maggior parte dei tumori della testa e del collo, perché in genere fornisce maggiori informazioni sulla reale estensione della malattia, sull’eventuale interessamento della base del cranio, sull’interessamento perineurale, sulla infiltrazione muscolare, sulla diffusione perilinfonodale e sulla estensione endocranica. Alcune di queste caratteristiche evidenziabili alla RM possono modificare lo stadio clinico della malattia ed il prevedibile comportamento terapeutico. L’esame “standard” comprenderà acquisizioni estese dal basicranio sino allo stretto toracico superiore, con sezioni parallele al palato duro per il massiccio facciale e parallele al piano cordale per il collo. La TC con mdc è particolarmente utile per documentare l’interessamento osseo della neoplasia, per lo studio della laringe (brevi tempi di acquisizione) e per lo studio delle stazioni linfonodali. Inoltre è indicata in caso di controindicazione alla RM o in pazienti poco collaboranti nei quali un esame di RM sarebbe difficilmente effettuabile o poco attendibile per artefatti da movimento. Il ruolo principale della PET-FDG è nella ricerca di un tumore primitivo ignoto in paziente che si presenta con metastasi linfonodali del collo; oppure nell’identificazione di malattia residua o recidiva dopo trattamento primario; oppure nell’individuazione di lesioni primitive sincrone o metacrone, ovvero di metastasi a distanza, e, infine, per la stadiazione del collo (particolarmente utile, nei casi dubbi, nella discriminazione tra linfonodi interessati omolateralmente o anche controlateralmente) Gli ultrasuoni rivestono un ruolo importante nella diagnostica delle tumefazioni delle ghiandole salivari, sia di per sé, sia come guida all’agobiopsia. Anche a livello dei linfonodi del collo l’ecografia ha una elevata sensibilità, ma una bassa specificità, che migliora con lo studio eco-doppler e che diventa molto alta quando la ecografia si associa a biopsia con ago sottile. Esami utili per l’identificazione di metastasi a distanza (a parte la PET) sono la radiografia o la TC del torace, l’ecografia addominale (anche se la frequenza di metastatizzazione epatica è decisamente bassa) e la scintigrafia ossea; questi ultimi due esami trovano indicazione soprattutto in situazioni ad alto rischio di metastatizzazione a distanza (carcinomi indifferenziati, tumori rinofaringei in generale, casi con elevato interessamento metastatico linfonodale all’esordio). Nei pazienti con fattori di rischio particolarmente accentuati per la presenza di tumori multipli sincroni è opportuno eseguire una panendoscopia delle vie aereo-digestive superiori (esofagogastroscopia, broncoscopia) con accertamento bioptico delle eventuali lesioni sospette riscontrate. 32 Raccomandazioni • RM: apparecchiatura ad elevata intensità di campo preferibilmente 1.5 T • TC: apparecchiatura multistrato L’esame deve comprendere un campo di vista che parte dalla base del cranio alla regione sovraclaveare per una corretta valutazione sia del tumore primitivo (T) che dei linfonodi (N). RM Tecnica di studio • Sequenze SE T2 coronale 4 mm. • Sequenze SE T1 - T2 - fat suppressed T2 assiale 3-4 mm. • Sequenze pesate in Diffusione (almeno con 3 fattori di b 0-500-800 o 1000; mappe di ADC). Dopo somministrazione endovenosa di gadolinio: • Per lo studio delle neoplasie del Cavo Orale - Orofaringe ed Ipofaringe , sequenze T1 fat-suppressed con tempi di acquisizione brevi (35-40 sec.); almeno 2 acquisizioni secondo piani assiali seguite da sequenze fat-supppresed sagittali o coronali con tempi di acquisizione di 3-4 minuti. • Per neoplasie del rinofaringe, dei seni paranasali, delle ghiandole salivari, sequenze fat-suppressed T1 dopo somministrazione endovenosa di gadolinio assiale - sagittale e coronale senza sequenze brevi. TC tecnica di studio • Esame con mdc e ricostruzioni multiplanari. • Per neoplasie dell’Ipofaringe e Laringe potrebbe essere utile una ulteriore acquisizione con manovra di Valsava o in Fonazione. STADIAZIONE Rinofaringe • RM come imaging di I scelta per la definizione della estensione del T, la diffusione agli spazi parafaringei, alla base cranica, per valutazione dell’eventuale diffusione perineurale (cisterna del ganglio di Gasser - seni cavernosi - orbita). • TC con mdc nessun ruolo se non per pazienti con controindicazione alla RM. STADIAZIONE Seni Paranasali • RM come imaging di I scelta perché permette di ottenere una ottimale differenziazione tra neoplasia e flogosi, in particolare utilizzando sequenze T2. • TC senza mdc per valutazione ossea (studio della lamina cribrosa e del planum sfeno-etmoidale o della parete dell’orbita). • TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM con ricostruzioni multiplanari. STADIAZIONE Ghiandole Salivari • Ecotomografia. Esame di I scelta per lesioni del lobo superficiale della parotide o per lo studio della ghiandola sottomandibolare eventualmente integrata con FNAC. • RM come imaging di II scelta per lo studio di neoplasie maligne in generale e di neoplasie benigne o maligne del lobo profondo della parotide o delle ghiandole salivari minori (palato duro, pavimento orale parafaringe). Necessario uno studio RM per i carcinomi adenoidocistici per la valutazione di una eventuale diffusione perineurale. • TC con mdc nessun ruolo se non per pazienti con controindicazione alla RM. STADIAZIONE Cavo Orale ed Orofaringe • RM come imaging di I scelta • TC senza mdc per valutazione ossea (corticale della mandibola) Pagina • TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM; ricostruzioni multiplanari. STADIAZIONE Ipofaringe • RM come imaging di I scelta. • TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM; ricostruzioni multiplanari. STADIAZIONE Laringe • TC con mdc esame di I scelta; ricostruzioni multiplanari. • RM esame II scelta per valutazione della infiltrazione della cartilagine. STADIAZIONE Linfonodale • Valutazione con la tecnica di studio scelta per la stadiazione del T • Ecotomografia con FNAC II scelta per linfonodi sospetti in livelli non congrui rispetto al T, per linfonodi controlaterali al T per esigenze chirurgiche (svuotamento omolaterale o bilaterale) o per planning radioterapico. STADIAZIONE • PET-TC. Non ha un ruolo della stadiazione locoregionale. Può essere utilizzata nei casi di N positivo e TX per ricerca di primitivo. • TC del torace per neoplasie polmonari sincrone. FOLLOW-UP dopo Chemio-Radioterapia • RM esame di I scelta. Esame di base tra 6-8 settimane se possibile con sequenze pesate in Diffusione • PET-TC non prima di 12 settimane. Valutazione loco-regionale ed a distanza. FOLLOW-UP dopo Chemioterapia di Induzione (3 cicli) • RM esame di I scelta. Circa 3 settimane dalla fine dei 3 cicli. FOLLOW-UP dopo Chirurgia • RM esame I scelta. Esame di baseline a circa 3-4 mesi. • PET-TC per stadiazione a distanza o per neoplasie sincrone o nei casi di dubbi (recidiva-fibrosi) con imaging morfologico. 1.4 Modalità di diffusione Metastasi laterocervicali Il collo rappresenta il punto centrale della programmazione terapeutica di queste neoplasie perché le metastasi linfonodali regionali, che sono particolarmente frequenti negli stadi avanzati, condizionano la prognosi riducendo di oltre il 50% la probabilità di guarigione della neoplasia. I tumori sovraglottici grazie ad una ricca rete linfatica bilaterale hanno maggiore probabilità di metastatizzare mentre i tumori glottici soprattutto nelle fasi precoci (T1-2) metastatizzano raramente. Diagnosticare la presenza di metastasi linfonodali è fondamentale in quanto anche piccoli focolai metastatici (micrometastasi: cN0pN1) presentano rottura della capsula linfonodale con invasione dei tessuti molli perilinfonodali nel 20% - 35% dei casi. Anche se i tumori della testa e del collo hanno caratteristiche diverse e differenti modalità di diffusione, la probabilità di interessamento linfonodale, tranne poche eccezioni (neoplasie laringee cordali limitate, neoplasie dei seni paranasali), è sempre elevata. Le stazioni linfonodali tributarie delle varie sedi sono classificate, nei seguenti livelli: • Livello IA = linfonodi sottomentonieri 33 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici • • • • • • • • • • cifiche. Riguardo la diffusione linfonodale, le informazioni patologiche dovranno definire oltre alle dimensioni, al numero dei linfonodi interessati e al livello, anche l’eventuale infiltrazione capsulare. La stadiazione post-operatoria deve inoltre fornire informazioni riguardo i margini di resezione (infiltrazione e adeguatezza) e la presenza di infiltrazione vascolare, embolizzazione linfatica ed interessamento perineurale. Limitatamente alla laringe vengono ritenuti adeguati anche margini inferiori ai 5 mm a causa delle specificità dell’organo. Solo la stadiazione patologica può quindi fornire informazioni riguardo la radicalità oncologica (R0) dell’intervento. Metastasi a distanza L'incidenza di metastasi a distanza globalmente è tra 11-14% e i tumori più metastatizzanti della laringe sono quelli sovraglottici. Le sedi più frequenti sono polmone (45%), ossa (27%), fegato (11%). Come già sottolineato, la presenza di linfonodi cervicali metastatici è il fattore critico per la comparsa di metastasi a distanza. I fattori prognostici più importanti sono lo stadio di malattia e la sede di insorgenza della neoplasia primitiva. Per lo stadio I e II la sopravvivenza a 5 anni è circa dell’80 - 90%, mentre scende drammaticamente per gli stadi successivi (intorno al 30%). All’interno dei singoli stadi, l’interessamento linfonodale rappresenta un fattore di primaria importanza: a parità di stadio la prognosi è sensibilmente aggravata dalla presenza di linfonodi metastatici. Per quanto riguarda la sede, la prognosi è peggiore per le lesioni insorte nell’ipofaringe. In assoluto la prognosi migliore è legata alla partenza dalla regione glottica, per la scarsità di vie linfatiche della stessa. Livello IB = linfonodi sottomandibolari Livello II A = linfonodi giugulari superiori anteriori Livello II B = linfonodi giugulari superiori posteriori Livello III = linfonodi giugulari medi Livello IV = linfonodi giugulari inferiori/sovraclaveari Livello VA = linfonodi cervicali posteriori alti Livello VB = linfonodi cervicali posteriori bassi Livello VI = linfonodi prelaringei, pre- e paratracheali Livello VII = linfonodi mediastinici superiori Altre stazioni: linfonodi retrofaringei, parafaringei, parotidei, facciali, retroauricolari e occipitali Questa classificazione, originariamente proposta in ambito chirurgico e successivamente adottata anche in ambito radioterapico, è stata rielaborata per facilitarne l’impiego e l’applicazione su immagini radiologiche assiali nell’ambito della pianificazione radioterapica. La probabilità di interessamento dei vari livelli è molto diversa a seconda della sede e dello stadio della neoplasia primitiva. 1.6 Prognosi 1.5 Stadiazione 1.7 Stadiazione secondo classificazione TNM La classificazione viene comunemente effettuata utilizzando il sistema TNM, in cui il fattore T rappresenta il tumore primitivo, l’N i linfonodi regionali e l’M le metastasi extra-regionali. Per molte sedi anatomiche la suddivisione per categorie di T viene effettuata sulla base della dimensione massima in cm fino al T3 (T1 = fino a 2 cm; T2 >2-4 cm; T3 > 4 cm) e il T4 in genere è caratterizzato dall’estensione diretta ad altri organi o dall’interessamento di specifiche strutture anatomiche o di sedi diverse dalla sottosede di insorgenza della neoplasia. Inoltre il T4 è suddiviso in T4a definito resecabile e T4b non resecabile. Ovviamente il criterio di resecabilità espresso nel TNM si riferisce non ad una resecabilità tecnica ma piuttosto ne indica un’opportunità oncologica. La suddivisione per categorie di N segue gli stessi criteri in tutte le sedi (con la sola eccezione del rinofaringe); N1 identifica un solo linfonodo omolaterale di meno di 3 cm; N2 o un solo linfonodo omolaterale di 3-6 cm (N2a), oppure più linfonodi omolaterali, nessuno sopra 6 cm (N2b), oppure linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno sopra 6cm (N2c); infine N3 identifica linfonodi sopra 6 cm. La suddivisione per categoria M è identica per tutte le sedi: M0= non metastasi a distanza, M1= metastasi a distanza. Anche il raggruppamento in stadi è uguale per tutte le sedi anatomiche, con l’eccezione della rinofaringe e delle ghiandole salivari: lo stadio I corrisponde al T1 N0, lo stadio II al T2 N0, lo stadio III corrisponde alle classi T1 N1, T2 N1 o T3 N0-1; lo stadio IV viene suddiviso in stadio IVA (che corrisponde alle classi T1-3 N2 e T4a N0-2), stadio IVB (che corrisponde alle classi T4b ogni N M0 oppure N3 ogni T M0) e stadio IVC (che si identifica con la classe M1 ogni T ogni N). La stadiazione patologica, dopo intervento chirurgico, aggiunge informazioni riguardo la prognosi ed è importante ai fini della scelta del trattamento postoperatorio. Mentre gli stadi pT1-T3 sono definiti solo da criteri dimensionali, lo stadio pT4 è definito in base alla presenza d’infiltrazione di strutture anatomiche spe- Classificazione TNM dei tumori del cavo orale (7a ed., 2010) Tumore primitivo • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore la cui dimensione massima non supera i 2 cm • T2 Tumore la cui dimensione massima è superiore a 2 cm ma non superiore a 4 cm • T3 Tumore la cui dimensione massima è superiore a 4 cm • T4a Labbro: tumore che invade la corticale ossea, il nervo alveolare inferiore, il pavimento della bocca o la cute (mento o naso). Cavità orale: tumore che invade la corticale ossea, la muscolatura profonda/estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glosso palatino, stilo glosso), il seno mascellare o la cute del volto. • T4b Tumore che invade lo spazio masticatorio, le lamine pterigoidee o la base cranica o avvolge l’arteria carotide interna. Note: la sola erosione superficiale dell’osso dell’alveolo dentario da parte di un tumore gengivale non è sufficiente per classificarlo come T4. Linfonodi regionali • N0 assenza di metastasi linfonodali regionali; • N1 metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm; • N2a metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm; • N2b metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm; • N2c metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm; • N3 metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm. Metastasi a distanza • M0 non metastasi a distanza • M1 metastasi a distanza Pagina 34 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo • Raggruppamento in stadi • Stadio I: T1 N0 • Stadio II: T2 N0 • Stadio III: T3 N0, T1-3 N1 • Stadio IVA: T4a N0-1, T1-4a N2 • Stadio IVB: T4b ogniN, ogniT N3 • Stadio IVC: ogni T, ogni N, M1 Classificazione TNM dei tumori del rinofaringe (7a edizione, 2010) Tumore primitivo • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore limitato al rinofaringe o che si estende all'orofaringe, alle cavità nasali senza estensione alla parafaringe • T2 Tumore che si estende al parafaringe • T3 Tumore che interessa strutture ossee della base del cranio e/o i seni paranasali • T4 Tumore con estensione intracranica e/o interessamento dei nervi cranici, della fossa infratemporale/spazio masticatorio, dell'ipofaringe o dell'orbita Linfonodi regionali • N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali • N1 Metastasi linfonodali monolaterali, di dimensioni non >6 cm e al di sopra delle logge sovraclaveari e/o linfonodi retro-faringei monolaterali o bilaterali di dimensioni non >6 cm • N2 Metastasi linfonodali bilaterali, di dimensioni non >6 cm e al di sopra delle logge sovraclaveari • N3a Metastasi linfonodali di dimensioni >6 cm • N3b Metastasi linfonodali estese alle logge sovraclaveari Metastasi a distanza • M0 Non metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza Raggruppamento in stadi • Stadio I T1 N0 • Stadio II T2 N0-1, T1 N1 • Stadio III T1-2 N2, T3 N0-2 • Stadio IVA T4 N0-2 • Stadio IVB ogni T, N3 • Stadio IVC ogni T, ogni N, M1 Classificazione TNM dei tumori dell’orofaringe (7^ed., 2010) Tumore primitivo • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore di dimensione massima non superiore a 2 cm • T2 Tumore di dimensione massima superiore a 2 cm ma non superiore a 4 cm • T3 Tumore di dimensione massima superiore a 4 cm o estensione alla superficie linguale dell’epiglottide • T4a Tumore che invade strutture adiacenti quali i muscoli pterigoidei mediali, la mandibola, il palato duro, i muscoli estrinseci della lingua, la laringe • T4b Tumore che invade strutture quali i muscoli pterigoidei laterali, il nasofaringe laterale, le laminee pterigoidee o la base cranica o avvolge l’arteria carotide interna. Linfonodi regionali • N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali • N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm Pagina N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm • N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm. Metastasi a distanza • M0 Non metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza Raggruppamento in stadi • Stadio I T1 N0 • Stadio II T2 N0 • Stadio III T3 N0, T1-3 N1 • Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2 • Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3 • Stadio IVC ogni T, ogni N, M1 Classificazione TNM dei tumori dell’ipofaringe (7^ ed., 2010) Tumore primitivo • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore limitato a una sottosede dell'ipofaringe e/o di dimensioni non > 2 cm • T2 Tumore che coinvolge più di una sottosede dell'ipofaringe oppure una sede adiacente, oppure di dimensioni > 2 cm ma non > 4 cm, in ogni caso senza fissazione dell'emilaringe • T3 Tumore di dimensioni > 4 cm, oppure con fissazione dell'emilaringe, oppure con estensione all’esofago • T4a Tumore che invade le cartilagini tiroidea/cricoidea, l’osso ioide, la ghiandola tiroide tessuti molli del collo. • T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale, avvolge l’arteria carotide o coinvolge le strutture mediastiniche. Linfonodi regionali • N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali • N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm • N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm • N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm. Metastasi a distanza • M0 Non metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza Raggruppamento in stadi • Stadio I T1 N0 • Stadio II T2 N0 • Stadio III T3 N0, T1-3 N1 • Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2 • Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3 • Stadio IVC ogni T, ogni N, M1 Classificazione TNM dei tumori della laringe (7^ ed., 2010) Regione sovraglottica • Tis Carcinoma in situ 35 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • T1 • T2 • T3 • • T4 T4a • T4b Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tumore limitato a una sola sottosede della sovraglottide, con mobilità normale delle corde vocali Il tumore invade la mucosa di più di una delle sottosedi adiacenti della sovraglottide o della glottide o regioni esterne alla sovraglottide (per esempio base lingua, vallecula, parete mediale seno piriforme) senza fissazione della laringe Tumore limitato alla laringe con fissazione della corda vocale e/o invasione di una qualsiasi delle seguenti strutture: area postcricoidea, tessuti pre-epiglottici, spazio paraglottico e/o con minima erosione del versante interno della cartilagine tiroidea Estensione extralaringea Il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti oltre la laringe, per esempio, nella trachea, nei tessuti molli del collo inclusa la muscolatura profonda/estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glossopalatino e stiloglosso), nei muscoli infraioidei, nella tiroide, nell'esofago Tumore che invade lo spazio prevertebrale,le strutture del mediastino o ingloba l'arteria carotide. Glottide • Tis • T1 Carcinoma in situ Tumore limitato alla/e corda/e vocale/i (può coinvolgere la commissura anteriore o quella posteriore) con normale mobilità • T1a Lesione di una sola corda vocale • T1b Lesione di entrambe le corde vocali • T2 Il tumore si estende alla sovraglottide e/o alla sottoglottide, e/o con compromissione della mobilità cordale • T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali e/o che invade lo spazio paraglottico e/o con minima erosione del versante interno della cartilagine tiroidea • T4 Estensione extralaringea • T4a Tumore che invade la cartilagine tiroidea e/o che si estende in altri tessuti oltre alla laringe, ad esempio trachea, tessuti molli del collo, muscolatura profonda o estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glossopalatino e stiloglosso), tiroide, esofago • T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale,le strutture del mediastino o ingloba l'arteria carotide. Regione sottoglottica • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore limitato alla sottoglottide • T2 Il tumore si estende a una o entrambe le corde vocali, con mobilità normale o compromessa • T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali • T4 Estensione extralaringea • T4a Il tumore invade la cartilagine cricoidea o tiroidea e/o si estende in altri tessuti oltre la laringe, per esempio trachea, tessuti molli del collo inclusa la muscolatura profonda/estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glossopalatino, stiloglosso), muscoli infraioidei, tiroide, esofago • T4b Tumore che invade la spazio prevertebrale,le strutture del mediastino o ingloba l'arteria carotide. Linfonodi regionali • N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali • N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore a 3 cm • N2 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm; in più linfonodi omolaterali, bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali abbia dimensione massima Pagina superiore a 6 cm Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm • N2b Metastasi in linfonodi omolaterali, nessuno dei quali abbia dimensione massima > 6 cm • N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno di dimensione massima > 6 cm • N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm. Metastasi a distanza • M0 Non metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza Raggruppamento in stadi • Stadio I T1 N0 • Stadio II T2 N0 • Stadio III T1-2 N1, T3 N0-1 • Stadio IV a T1-3 N2, T4a N0-2 • Stadio IV b T1-4a N3, T4b N0-3 • Stadio IV c ogni T, ogni N, M1 • N2a Classificazione TNM dei tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali (7a edizione, 2010) Seno mascellare • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore limitato alla mucosa del seno mascellare, senza erosione o distruzione dell’osso • T2 Tumore che provoca erosione o distruzione ossea, compresa l’estensione al palato duro e/o al meato nasale medio, ma escludendo l’estensione alla parete posteriore del seno mascellare e quella alle lamine pterigoidee • T3 Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: osso della parete posteriore del seno mascellare, sottocute, pavimento o parete mediale dell’orbita, fossa pterigoidea, seni etmoidali; • T4a Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: contenuto anteriore dell’orbita, cute della guancia, lamine pterigoidee, fossa infratemporale, lamina cribrosa, seno sfenoidale o frontale • T4b Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: apice dell’orbita, dura madre, encefalo, fossa cranica media, nervi cranici tranne la branca mascellare del trigemino, rinofaringe, clivus. Cavità nasali e seno etmoidale Sottosedi: setto, pavimento, parete laterale e vestibolo della cavità nasale; lato destro e sinistro del seno etmoidale. • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore limitato a una sola sottosede con o senza erosione ossea • T2 Tumore che interessa 2 sottosedi di un’unica regione (cavitànasale/seno etmoidale) o esteso ad una regione adiacente nell’ambito del complesso naso-etmoidale, con o senza invasione ossea • T3 Tumore che invade la parete mediale o il pavimento dell’orbita, il seno mascellare, il palato o la lamina cribrosa • T4a Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: contenuto anteriore dell’orbita, cute del naso o della guancia, lamine pterigoidee, seno sfenoidale, seno frontale, o con minima estensione alla fossa cranica anteriore • T4b Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: apice dell’orbita, dura madre, encefalo, fossa cranica media, nervi cranici tranne la branca mascellare del trigemino, rinofaringe, clivus. 36 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo Linfonodi regionali • N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali; • N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm • N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm • N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm. Metastasi a distanza • M0 Non metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza Raggruppamento in stadi • Stadio I T1 N0 • Stadio II T2 N0 • Stadio III T3 N0, T1-3 N1 • Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2 • Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3 • Stadio IVC M1 Classificazione TNM dei carcinomi delle ghiandole salivari maggiori (7a edizione, 2010) Tumore primitivo • Tis Carcinoma in situ • T1 Tumore di dimensione maggiore fino a 2 cm, senza estensione extraparenchimale • T2 Tumore di dimensione maggiore superiore a 2 cm ma non oltre 4 cm, senza estensione extraparenchimale • T3 Tumore con estensione extraparenchimale, e/o di dimensione maggiore superiore a 4 cm • T4a Tumore che coinvolge la cute, la mandibola, il canale uditivo e/o il nervo facciale • T4b Tumore che invade la base del cranio e/o le lamine pterigoidee e/o avvolge l’arteria carotide. Linfonodi regionali • N0 Assenza di metastasi linfonodali regionali • N1 Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm • N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm • N2b Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm • N3 Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm. Metastasi a distanza • M0 Non metastasi a distanza • M1 Metastasi a distanza Raggruppamento in stadi • Stadio I T1 N0 • Stadio II T2 N0 • Stadio III T3 N0, T1-3 N1 • Stadio IVA T4a N0-1, T1-4a N2 • Stadio IVB T4b ogniN, ogniT N3 • Stadio IVC M1 Pagina 1.8 Terapia Indicazioni generali Negli stadi iniziali (I e II) la terapia di scelta è quella chirurgica, ma sulla base delle caratteristiche complessive della malattia e sulla base delle condizioni generali e delle esigenze del paziente si può, in alternativa, prendere in considerazione l’utilizzo della radioterapia associata o meno alla chemioterapia. Infatti, nei tumori della testa e del collo la radioterapia, trova indicazione sia come trattamento d’elezione, per esempio nei tumori rinofaringei, che come trattamento radicale alternativo alla chirurgia. Nei pazienti con malattia in stadio avanzato (III e IV) ove possibile può essere indicata una resezione chirurgica della malattia, ma nella maggior parte dei casi ciò non è possibile. Pertanto spesso si ricorre alla Radioterapia associata alla chemioterapia con finalità diverse in base alle caratteristiche della malattia e del paziente: curativa, neoadiuvante alla chirurgia, palliativa. Negli ultimi 25 anni, allo scopo di aumentare l’efficacia della radioterapia in termini di controllo locale ed eventualmente di sopravvivenza, sono stati realizzati numerosi studi per verificare l’efficacia della associazione fra radioterapia e chemioterapia. I risultati pubblicati fino ad ora hanno permesso di definire il ruolo dell’integrazione radio-chemioterapica nei carcinomi squamosi di cavo orale, oro-ipofaringe e laringe (nel loro insieme definiti come carcinomi squamosi cervico-cefalici) e nei carcinomi della rinofaringe: in entrambi questi contesti, e limitatamente ai casi a più alto rischio di insuccesso terapeutico con la sola RT (generalmente negli stadi III e IV), il trattamento chemioradioterapico concomitante è sostenuto da un livello di evidenza di tipo Ia (evidenza ottenuta da più studi clinici controllati e da revisioni sistematiche di studi controllati) e da una forza delle raccomandazioni di tipo A (fortemente raccomandata). Riguardo il ruolo della chemioterapia di induzione, somministrata cioè prima del trattamento locoregionale non chirurgico, la metanalisi del 2000 ha rivelato solo un trend a favore di questo trattamento senza però raggiungere la significatività statistica. Due recenti studi di fase III hanno messo a confronto due diversi regimi di chemioterapia di induzione, cisplatino+ 5-fluorouracile (PF) e docetaxel/cisplatino/5-fluorouracile (TPF) dimostrando un significativo vantaggio di sopravvivenza per i pazienti che ricevevano la combinazione TPF. Il problema di questi studi è che in nessuno dei due viene utilizzato un braccio di controllo di sola chemioradioterapia concomitante che ad oggi rappresenta la terapia di riferimento. Pertanto, la chemioterapia di induzione, somministrata prima del trattamento chemio radioterapico definitivo, offre risultati promettenti ma è tutt’ora in corso di validazione e deve essere considerata sperimentale finchè non verranno conclusi gli studi di fase III in corso (Dana Farber, Boston; SWOG; Chicago University; GSTTC Italian study; Spanish trial) che risponderanno al quesito circa l’utilità della terapia di induzione seguita dalla chemioradioterapia concomitante rispetto alla terapia chemioradiante esclusiva. La radioterapia postoperatoria, dopo intervento chirurgico radicale, ha dimostrato, in confronti storici, di ridurre significativamente il rischio di recidiva locale. I fattori di rischio più largamente riconosciuti per recidiva locale sono i margini di resezioni positivi o “close” (inferiori a 5 mm), l’estensione extracapsulare delle localizzazioni linfonodali e l’interessamento linfonodale multiplo. Fattori di rischio meno significativi ma potenzialmente importanti sono lo stadio pT3-pT4 (escluso il pT3N0 della laringe), l’infiltrazione perineurale, l’invasione vascolare, il coinvolgimento del IV e V livello linfonodale per cavo orale ed orofaringe. In generale dovrebbe essere applicata, per la definizione dei volumi di trattamento delle stazioni linfonodali, una filosofia identica a quella utilizzata per la irradiazione esclusiva a scopo radicale, che verrà poi analizzata nei singoli capitoli. L’associazione chemioradioterapia concomitante è attualmente considerata 37 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici il trattamento standard negli stadi III e IV, operati, ad alto rischio di ricaduta loco-regionale (margini di resezione positivi e/o estensione linfonodale extracapsulare). Il cisplatino in monoterapia (giorni 1,22,43 della radioterapia) e l’associazione tra cisplatino (20 mg/mq giorni 1-5 e 29-33) e 5-fluorouracile (600 mg/mq giorni 1-5 e 29-33) sono due opzioni ugualmente valide, anche se l’uso del solo platino, al momento, è più consolidato. Indicazioni generali ai ritrattamenti con radioterapia Nei tumori della testa e del collo non è raro il riscontro di mancato controllo locale (persistenza o recidiva) senza metastasi a distanza, oppure l’insorgenza di una seconda neoplasia nello stesso distretto. In questi casi, se non esistono possibilità di recupero chirurgico, si può porre indicazione alla reirradiazione in zona già trattata a dosi elevate. Non esistono criteri ben codificati per identificare pazienti candidabili a reirradiazione, ma vi sono evidenze che indicano nei pazienti con intervallo uguale o superiore ai 24 mesi rispetto alla prima irradiazione quelli arruolabili (sopravvivenza media di 15 mesi rispetto ai 6.5 dei pazienti ricaduti prima dell’anno). Sono state sperimentate diverse modalità: trattamenti con iperfrazionamento per ridurre la probabilità di danni tardivi, associazioni con chemioterapia, utilizzo di brachiterapia o di radioterapia stereotassica, se la sede e le dimensioni della malattia lo consentono. Le dosi somministrate sono state di varia entità, ma le maggiori probabilità di controllo locale di malattia si hanno quando è possibile somministrare, come ritrattamento, dosi intorno ai 60 Gy. La probabilità di danni tardivi è comunque non trascurabile e i più frequenti sono: trisma, xerostomia, sclerosi del collo, danno ai lobi temporali, necrosi della mucosa, necrosi delle car tilagini, trombosi e rottura dei grossi vasi del collo. Sono riportati anche casi di morte per episodi emorragici in assenza di trombocitopenia. Indicazioni generali ai ritrattamenti con chemio radioterapia Esistono diversi studi di fase II che valutano questa opzione terapeutica nelle neoplasie recidivate e non più suscettibili di chirurgia. Tali studi riportano dati interessanti di efficacia ma anche una tossicità non trascurabile. Esiste solo uno studio randomizzato di fase III, peraltro limitato a pazienti radicalmente operati dopo recidiva di malattia, i cui dati preliminari sono stati presentati all’ASCO 06. Nei pazienti re-irradiati (almeno 45Gy) in concomitanza con chemioterapia (Idrossiurea+5-fluorouracile) si è registrato un aumento della progression free survival senza tuttavia un significativo impatto sulla sopravvivenza. Quindi, al momento, non si può dare alcuna specifica indicazione al ritrattamento con chemioradioterapia che rimane una opzione sperimentale. Fattori prognostici e predittivi di risposta e tossicità I fattori prognostici in grado di dare indicazioni su quella che sarà l’aggressività biologica della malattia tumorale possono essere identificati in fattori dipendenti dal paziente, dipendenti dal tumore e dipendenti dal trattamento e verranno ripresi nelle singole sezioni. Del tutto recentemente è stato riportato il valore prognostico dello stato mutazionale di TP53 dopo chirurgia. Infatti non solo l’assenza di una mutazione del gene costituisce un fattore prognostico favorevole, ma anche il tipo di mutazione (funzionale vs non funzionale) può condizionare la prognosi. È ancora allo studio il valore dello stato mutazionale sui margini di resezione. I fattori predittivi di risposta al trattamento fino a questo momento noti non sono tanti. L’eziologia virale, sia l’HPV per i tumori dell’orofaringe che il livello sierico di EBV per il rinofaringe, sono oggi riconosciuti come fattori prognostici e predittivi di risposta al trattamento. La risposta ad un trattamento chemioterapico di induzione è ormai validata e accettata come elemento Pagina predittivo di risposta anche al successivo trattamento radiante. Questo elemento è stato infatti sfruttato nell’ambito degli studi di preservazione d’organo per le neoplasie ipofaringolaringee in cui viene programmato un trattamento conservativo il cui successo è legato alla predizione di radioresponsività indotta da una buona riposta alla chemioterapia di induzione. Da non trascurare l’osservazione che i pazienti che continuano a fumare e ad abusare di alcolici sia durante che dopo il trattamento, presentano un più elevato profilo di tossicità acuta, una riduzione delle probabilità di cura e un aumento di comorbidità. Tutto questo si traduce in una minore sopravvivenza globale, da qui la necessità di intervenire attivamente al fine di modificare questi stili di vita. Indicazioni generali al trattamento palliativo In situazioni non più suscettibili di trattamento avente finalità curative, la terapia medica e la radioterapia possono essere utilizzate con l’unico scopo di ottenere una palliazione dei sintomi. Trattandosi in ogni caso di trattamenti potenzialmente tossici il loro impiego deve essere ben valutato in relazione alle condizioni generali del paziente. In particolari condizioni può essere indicato prescrivere un trattamento radioterapico con finalità palliativa per un tumore del distretto testa-collo. I criteri di selezione per questi pazienti devono essere ancora precisamente definiti in quanto oggi le nuove opzioni delle associazioni radioterapiche (chemio o farmaci biologici) possono rendere candidabile un paziente prima non proponibile. I parametri di giudizio devono tenere conto del performance status, dell’età, delle comorbidità e dell’aspettativa di sopravvivenza non superiore a 6-9 mesi. In definitiva è necessario determinare se il paziente ha possibilità o meno di affrontare un trattamento aggressivo. A questo si aggiungono ovviamente le indicazioni classiche della radioterapia palliativa su localizzazioni metastatiche a distanza. La radioterapia palliativa sul distretto testa-collo ha caratteristiche peculiari che riguardano i volumi da trattare e le dosi da erogare. Per quanto riguarda i volumi, non sussiste la necessità, tipica della maggior parte dei trattamenti curativi, di definire più di un volume: il volume da trattare è in genere limitato alla malattia clinicamente rilevabile, trascurando qualsiasi irradiazione “precauzionale”. Per quanto riguarda le dosi, si può ricorrere ad un trattamento ipofrazionato; può però essere opportuno, in casi selezionati, prescrivere una dose anche elevata e con frazionamento convenzionale (trattamento “a tolleranza”): ciò è giustificato dalla possibilità di ottenere un controllo locale più duraturo, anche in un’ottica palliativa. L’esigenza primaria di una malattia recidivata o metastatica è rappresentata da una adeguata terapia palliativa e di supporto; qualsiasi terapia deve essere accuratamente valutata in base ai risultati, alla tossicità e alla qualità di vita attesi. Il trattamento medico palliativo va riservato a paziente selezionati, con buon performance status, sintomatici e con aspettativa di vita adeguata. In passato la chemioterapia da sola non si è mai dimostrata capace di aumentare la sopravvivenza globale nei casi di malattia recidivata o metastatica. Un recente studio di fase III, pubblicato sul New England Medical Journal del settembre 2008, ha dimostrato per la prima volta che il cetuximab aggiunto ad una chemioterapia contenente cisplatino o carboplatino + 5-fluorouracile aumenta significativamente la sopravvivenza mediana rispetto alla combinazione platino/5-fluorouracile da sola (10.1 vs 7.4 mesi; P=0.04). Si è registrato anche un miglioramento della PFS (5.6 vs 3.3 mesi, P=0.001) e la percentuale delle risposte obbiettive (36% vs 20%, P=0.001); è da rilevare che vi è un modesto aumento delle sepsi di grado 3-4 (4% vs 1%) e delle reazione cutanee sempre di grado 3-4 (9% vs 1%), senza tuttavia un deterioramento della qualità della vita. 38 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo Valutazione della tossicità La tossicità può essere acuta o tardiva e si manifesta con modalità diverse a seconda del tipo di trattamento (radioterapia da sola o chemioradioterapia concomitante) e della regione irradiata. Si possono però identificare alcune problematiche comuni a tutti i trattamenti della testa e del collo. L’adeguata registrazione delle tossicità acute e tardive è un requisito particolarmente importante. Si consiglia pertanto che i vari specialisti registrino singolarmente la tossicità acuta e tardiva facendo riferimento ad una comune scala di tossicità; a tale scopo è consigliabile l’utilizzo della scala CTCAE versione 3.0, che riunisce in un’unica classificazione sia gli effetti acuti che quelli tardivi. Tossicità acuta Il profilo di tossicità acuta dipende dal tipo di farmaci utilizzati (chemioterapici o farmaci biologici) e dalla eventuale combinazione con il trattamento radiante concomitante. Le problematiche del trattamento radiante sono solitamente legate all’insorgenza di mucosite, dermatite da raggi ed edema, con i sintomi correlati (disfagia, faringodinia, disfonia, talvolta dispnea ecc), più o meno estesi e gravi a seconda del tipo di trattamento, della zona irradiata e delle condizioni del paziente, e che risultano più marcati in corso di trattamento chemioradioterapico concomitante. Alla tossicità che riguarda il distretto irradiato va ad aggiungersi la tossicità sistemica del trattamento chemioterapico: tossicità gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea), ematologica (anemia, neutropenia, piastrinopenia) e la tossicità organo specifica (renale, neurologica ecc) in base ai farmaci chemioterapici utilizzati. Riguardo la tossicità acuta derivata dall’associazione radioterapia e cetuximab, l’unico studio randomizzato fino ad ora pubblicato riporta in aggiunta alla tossicità acuta da sola radioterapia, solo il rash cutaneo di tipo vescicolare (tossicità tipica del cetuximab) peraltro limitato al viso e alla parte superiore del tronco, la cui comparsa è stato identificata come elemento predittivo di risposta al trattamento. Per controllare o prevenire la tossicità cutanea sono state recentemente pubblicate delle “linee guida” cui si consiglia di fare riferimento. Vengono riportati anche singoli casi di tossicità cutanea inattesa ed imprevedibile che può compromettere la prosecuzione del trattamento. Un particolare tipo di tossicità cutanea definita come epidermiolisi umida, è stata segnalata in alcuni casi trattati con la triplice associazione concomitante di Radioterapia alternante, polichemiochemioterapia e cetuximab. In uno studio pubblicato di fase I-II, la stessa triplice combinazione con radiochemioterapia concomitante e cetuximab ha fatto registrare un eccesso di morti tossiche, pertanto la combinazione di radioterapia, con chemioterapia e cetuximab non è consigliata al di fuori di studi clinici controllati. Poiché la tossicità del trattamento può comportare difficoltà della nutrizione e importante perdita di peso, si consiglia una valutazione preliminare dello stato di nutrizione per eventuali provvedimenti preventivi, fino al posizionamento di un sondino nasogastrico o di una gastrostomia (endoscopica, percutanea, chirurgica) nei trattamenti più impegnativi. Nell’ambito di un team multidisciplinare è quindi consigliabile la presenza di un nutrizionista. Per quanto riguarda il trattamento delle mucositi vengono utilizzati vari farmaci (antiflogistici non steroidei, analgesici, steroidi, sucralfato, fitoterapici, antifungini e antibiotici per le sovrapposizioni infettive, ecc.), ma nessun trattamento preventivo ha dimostrato di essere superiore ad un altro con sufficiente livello di evidenza. Nell’ambito di un intervento volto alla prevenzione/riduzione della tossicità, è consigliabile una precoce valutazione odontostomatologica con eventuale bonifica dentaria. Tossicità tardiva La tossicità tardiva, più frequentemente indotta dalla radioterapia, è un fattore cruciale nei tumori della testa e del collo, perché può essere il fattore limitante del successo del trattamento e, comunque, deve essere tenuta ben Pagina presente nella programmazione terapeutica rispettando accuratamente i limiti di dose dei vari organi a rischio. D’altronde le moderne tecniche radioterapiche sono destinate a ridurre le tossicità tradizionalmente associate alla radioterapia. La chemioterapia può talvolta indurre tossicità prolungata, a volte irreversibile, come per esempio la tossicità neurologica indotta da cisplatino (compresa l’ototossicità). Elenchiamo le tossicità tardive più importanti dovute alla radioterapia e le possibili modalità di prevenzione e di trattamento delle stesse: • xerostomia: è possibile una prevenzione efficace solo cercando, quando possibile, di rispettare i limiti di dose/volume a livello delle parotidi con opportune tecniche; i dati in letteratura sono ormai abbondanti a questo riguardo, e da un punto di vista pratico si può considerare una dose media di 30 Gy come punto di riferimento da non superare per ridurre il rischio di xerostomia permanente significativa • danni dentari e necrosi mandibolare: legati sia al danno diretto sia alla xerostomia, possono essere in parte prevenuti attraverso una visita odontoiatrica con toilette dentaria, se necessaria, prima di iniziare il trattamento radioterapico (procedura fortemente consigliata in tutti i casi di radioterapia sul distretto testa-collo), e attraverso l’invito ad una accurata igiene orale e all’uso di collutorio ad alto tenore di fluoro. La necrosi mandibolare può essere causata da una incongrua estrazione dentaria (temporalmente troppo vicina alla conclusone della radioterapia) e può essere trattata con toilette chirurgica, terapia antibiotica e ossigeno iperbarico • danni alla masticazione e trisma: dovuti alla sclerosi dei tessuti molli e dei muscoli della masticazione oltre che al danno alla articolazione temporo-mandibolare • danni oculari: l’unica prevenzione possibile è il rispetto dei limiti di dose. Per quanto riguarda il cristallino, considerando che la dose di tolleranza minima (TD5/5) è variabile da 2 a 10 Gy in funzione del frazionamento, in certi trattamenti è impossibile evitare che si formi una cataratta radioindotta correggibile chirurgicamente; per dosi significativamente più elevate (superiori ai 45-50 Gy) è possibile osservare una neurite ottica o una retinopatia • danni uditivi: piuttosto frequenti in relazione alla dose somministrata e alla irradiazione delle strutture uditive, che deve essere il più possibile evitata. Il danno uditivo può essere ulteriormente aggravato dall’associazione con farmaci ototossici. Le otiti medie croniche e i danni tubarici possono richiedere una miringotomia con applicazione di un drenaggio • danni neurologici: assolutamente da prevenire mediante una ottimale conformazione della dose che consenta il rispetto dei limiti di dose, perché non sono disponibili terapie efficaci. Questo vale soprattutto per le lesioni dei seni paranasali e del rinofaringe in cui si può avere il coinvolgimento delle strutture cerebrali • disfagia e aspirazione: danno grave che può rendere necessaria l’alimentazione attraverso una gastrostomia e che si può in parte prevenire attraverso il contornamento e la adeguata valutazione delle dose a livello dei muscoli costrittori del faringe, della laringe sopraglottica e delle laringe glottica, quando queste strutture siano comprese nel volume di trattamento. In casi estremi è necessario comunque ricorrere ad una laringectomia totale per ripristinare la corretta canalizzazione. Per ridurre il rischio di simili danni è anche necessaria un’attenta selezione dei pazienti da sottoporre ai trattamenti più impegnativi (tipo radio-chemioterapia) • edema laringeo persistente: sintomo da seguire accuratamente nel tempo, inizialmente con atteggiamento conservativo (uso di antiflogi- 39 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici stici e/o cortisonici, astensione da fumo e alcol), in seguito eventualmente da verificare con laringoscopia diretta (diagnosi differenziale con persistenza di malattia); nei casi estremi può richiedere la tracheotomia necrosi delle cartilagini laringa: a rischio nei pazienti con neoplasia che interessa le cartilagini stesse e in relazione alla dose somministrata. Eventuale terapia con antibiotici e ossigenoterapia iperbarica e, nei casi più estremi, laringectomia totale danni tiroidei: in particolare ipotiroidismo, che può presentarsi fino al 20-30% dei pazienti irradiati sul collo. Sono importanti sia la prevenzione, riducendo la dose alla tiroide, che il dosaggio degli ormoni tiroidei nel corso del follow up, in vista di eventuale terapia sostitutiva. Indicazioni generali alla terapia di supporto È auspicabile che la terapia di supporto venga pianificata ed eventualmente attivata già prima dell’inizio del trattamento per essere proseguita durante e dopo la conclusione della cura. Prima di iniziare il trattamento, è consigliabile che il paziente esegua una accurata valutazione dello status nutrizionale e dentale. Durante e subito dopo la fine del trattamento, soprattutto quando sussiste l’indicazione ad eseguire un trattamento chemioradioterapico concomitante, è importante che il paziente venga nutrito artificialmente, preferibilmente per via enterale, tramite sondino naso gastrico o gastrostomia. Il posizionamento di un catetere venoso centrale è utile soprattutto nelle situazioni in cui è indicato eseguire un trattamento chemioterapico che prevede la somministrazione di 5-fluorouracile in infusione continua e consente una più agevole somministrazione della terapia di supporto. Per quanto riguarda la terapia antimicrobica, sebbene non esistano linee guida specifiche e gli studi eseguiti non abbiano dimostrato la reale efficacia di un trattamento profilattico, è consigliabile una terapia antibiotica preventiva quando si eseguono trattamenti con combinazioni chemioterapiche che hanno un’elevato rischio di incidenza di neutropenia febbrile come il TPF. L’uso profilattico di fattori di crescita granulocitari e di eritropoietina è sconsigliato in concomitanza alla chemioterapia e radioterapia mentre, per l’uso terapeutico, si consiglia di attenersi alle linee guida ASCO. 2. Carcinomi del cavo orale 2.1 Introduzione Il carcinoma del cavo orale rappresenta una patologia frequente in alcuni paesi dell’Asia quali l’India in particolar modo nel sesso maschile. In Italia, dove la sede più colpita è rappresentata dal labbro inferiore (30%), dalla lingua (30%) e dal pavimento orale (16%), il carcinoma del cavo orale ha una incidenza dello 0.4/100000 per anno. Il cavo orale viene abitualmente suddiviso nelle seguenti sedi anatomiche: labbro inferiore e superiore, gengive inferiore e superiore, pavimento orale anteriore e laterale, 2/3 anteriori della lingua, guance compreso il trigono retro molare e palato duro. La mucosa con epitelio squamoso stratificato che riveste il cavo orale, rappresenta la sede di origine del 90% dei tumori maligni di questa regione. Una percentuale variabile dal 15 al 40% di questi tumori insorge su lesioni precancerose (leucoplachie, eritroplasia, lichen, fibrosi sottomucosa) e la trasformazione maligna può avvenire anche dopo molti anni. Altri fattori patogenetici importanti per lo sviluppo di queste neoplasie sono l’alcolismo, il tabagismo e la presenza di microtraumi dovuti a malformazioni dentarie o a protesi alterate. Il carcinoma del cavo orale esordisce frequentemente come papule superficiali, che tendono rapidamente ad ulcerarsi e ad infiltrare le strutture sottostanti. L'invasione della rete linfatica è piuttosto precoce con secondaria diffusione ai linfonodi del collo, che avviene con frequenza variabile in base alla sottosede, alle dimensioni e alle caratteristiche istologiche della lesione primitiva (spessore, grado di malignità, invasione perineurale). La diffusione per via linfatica avviene generalmente a partire dai linfonodi più prossimi al tumore primitivo (livelli IA, IB e IIA) per continuare nelle sedi più distanti (II e IV livello). Non sono rare però le localizzazioni isolate in questi ultimi linfonodi (“skip metastases”). 2.2 Indicazioni terapeutiche generali Nel trattamento dei tumori del cavo orale la chirurgia e la radioterapia, in alternativa o in associazione, rappresentano le due opzioni terapeutiche locoregionali principali. La scelta terapeutica dipende da numerosi fattori sia correlati al paziente (comorbidità, performance status), sia alle caratteristi- Pagina che del tumore (T e N). Un’ulteriore opzione terapeutica per i tumori di questo distretto anatomico è rappresentata dalla brachiterapia interstiziale (BRT), in particolare nel trattamento dei tumori in stadio iniziale. Questa metodica è però relativamente poco diffusa in Italia, cosicché la possibilità di scelta fra chirurgia e BRT di fatto esiste solo in pochi Centri specializzati. Trattamento del tumore primitivo Neoplasie di limitata estensione (T1) Le due opzioni terapeutiche sono la chirurgia e la BRT. La probabilità di guarigione sono sovrapponibili per le due modalità di trattamento e la scelta dipende dalla sede e dal volume della lesione, dall'estensione della componente infiltrante e dai rapporti della lesione con l'osso. La chirurgia è generalmente preferita quando è possibile una resezione senza conseguenze funzionali invalidanti. In presenza di margini di resezione “close” o interessati dalla neoplasia si associa una RT post-operatoria sul letto chirurgico. Neoplasie ad estensione intermedia (T2) I T2 si distinguono in forme “favorevoli” o “sfavorevoli”. Nel primo caso (diametro massimo < 3 cm, componente infiltrante < 1 cm) il trattamento di scelta è rappresentato dalla chirurgia, ma in caso di lesione localizzata ad una adeguata distanza da strutture ossee la BRT rappresenta una valida alternativa con buoni risultati oncologici e funzionali. Nel secondo caso (diametro massimo > 3 cm, componente infiltrante > 1 cm) la chirurgia è il trattamento di scelta in associazione alla RT eventualmente associata a CHT concomitante sulla base della presenza o meno di fattori di rischio maggiori, quali la presenza di margini di resezione positivi o “close” e/o diffusione extracapsulare. Il trattamento associato chemioradioterapico dopo chirurgia è indicato nei pazienti ad alto rischio in condizioni generali buone e discrete. Due studi randomizzati di fase III (RTOG 95-01 LEORTC 22931) hanno consentito di definire i pazienti ad alto rischio di recidiva (diffusione di malattia extracapsulare, interessamento linfonodale multiplo, invasione vascolare, linfatica e/o perineurale) e di dimostrare un significativo vantaggio nella sopravvivenza senza recidive (DFS), controllo locale e nella metanalisi di Bernier confermare il vantaggio in sopravvivenza mediante trattamento integrato 40 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo radio-chemioterapico adiuvante con CDDP 100 mg/mq, q 21x3 vs la sola RT. Neoplasie avanzate (T3-T4) La chirurgia è il trattamento di scelta nei pazienti operabili, in quanto è l’unica opzione che garantisce le maggiori probabilità di cura. Nella maggior parte dei casi dovrà essere seguito da RT adiuvante eventualmente associato a chemioterapia con le stesse modalità degli Stadi precoci ad alto rischio. In caso di pazienti non operabili un trattamento RT in associazione a CHT concomitante rappresenta l’opzione di scelta. Numerosi studi sono stati realizzati al fine di verificare e confermare l’efficacia (in termini di controllo locale e sopravvivenza) del trattamento chemio-radioterapico concomitante e di definirne il ruolo nei carcinomi squamosi del cavo orale, orofaringe, ipofaringe, laringe e rinofaringe. La chemioradioterapia è un trattamento integrato in cui entrambe le metodiche svolgono un importante effetto citocida indipendente a cui si somma l’effetto addizionale legato al sinergismo terapeutico;questi fattori rendono critica la scelta del numero di somministrazioni e del loro dosaggio anche in considerazione della ricerca del miglior compromesso tra tossicità ed efficacia. Non esistono dati comparativi tra i diversi regimi d’integrazione di chemio e radioterapia. Tuttavia la combinazione con cisplatino può essere considerata uno standard adeguato e rappresenta l'opzione di prima scelta. Anche ‘associazione concetuximab è da considerarsi un trattamento adeguato soprattutto in relazione al buon profilo di tossicità in mancanza comunque di un confronto diretto verso il regime di associazione standard con il cisplatino. Il trattamento chemioradioterapico è una terapia a elevata complessità per l’insorgenza di effetti tossici acuti tipici di entrambe le metodiche, come le stomatiti e la depressione midollare che devono essere affrontate con competenza specifica al fine di minimizzare la riduzione dei dosaggi e la dilazione delle somministrazioni che sono in grado di ridurre significativamente l’efficacia del trattamento. Non vi è un consenso generale sulla migliore dose e schema di frazionamento della radioterapia in associazione alla chemioterapia. La maggior parte degli studi ha valutato frazionamenti convenzionali per una dose totale di 70 Gy in associazione al cisplatino in monochemioterapia somministrato ogni 21 gg al dosaggio di 100mg/m2. L’efficacia del trattamento combinato diminuisce all’aumentare dell’età e, dopo i 70 anni, non è provato alcun beneficio con l’aggiunta di un farmaco chemioterapico al trattamento radioterapico standard. Il trattamento radiochemioterapico integrato concomitante è da considerarsi l’approccio non chirurgico standard nella terapia dei tumori avanzati testa-collo, in stadio T3 e T4 di malattia in pazienti con adeguato PS. Per quanto riguarda la chemioterapia neoadiuvante, gli studi pubblicati negli anni ’80 e ’90 sulla chemioterapia d’induzione seguiti da radioterapia e/o chirurgia nei tumori testa-collo non hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza con l’aggiunta della chemioterapia. Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti nel controllo locale di malattia con la radioterapia, la chirurgia e il trattamento concomitante chemio-radioterapico, e grazie all’introduzione di nuovi farmaci, è stato rivalutato il ruolo della chemioterapia d’induzione. La chemioterapia a 3 farmaci (TPF, docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75 mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) ha dimostrato di essere superiore allo schema a 2 farmaci (PF, cisplatino 100 mg/mq g1, 5-fluorouracile 1000 mg/mq/die gg1-5, q21) nella malattia localmente avanzata. Studi di fase III che hanno comparato la terapia d’induzione con cisplatino e 5-fluorouracile con o senza taxani seguita dallo stesso trattamento locoregionale, hanno dimostrato maggiori tassi di risposta e di preservazione d’organo, un aumento della DFS e in alcuni casi della sopravvivenza globale (OS) per i pazienti trattati con il regime a 3 farmaci. L’aggiunta dei taxani non peggiora la tossicità dell’intero trattamento. Nonostante ciò, un chiaro vantaggio in OS dall’aggiunta della terapia d’induzione alla CHT-RT non è stato ancora dimostrato. Uno studio a 3 bracci che comparava cisplatino-radioterapia con- Pagina comitante alla terapia d’induzione con TPF o PF seguiti da cisplatino-radioterapia ha riportato una diminuzione del tempo a progressione ma nessuna differenza in OS. Pertanto il trattamento d’induzione è ancora da considerarsi “sperimentale”. Nella pratica clinica, la chemioterapia d’induzione è fortemente raccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata con esteso interessamento linfonodale (N3) e nei pazienti ad alto rischio di metastasi a distanza. Attualmente non sono disponibili studi di fase III che confrontino cisplatino e cetuximab in associazione alla radioterapia, pertanto al termine del trattamento di induzione non esiste un regime radiochemioterapico standard. Cetuximab è considerato una valida alternativa terapeutica nei pazienti “unfit” per un trattamento radio-chemioterapico con cisplatino ad alte dosi. Trattamento del collo Assenza di adenopatie (cNO) In assenza di adenopatie clinicamente apprezzabili (cN0), il trattamento del collo può essere evitato in caso di T1-T2 del labbro, della gengiva superiore e del palato duro; T1 della gengiva inferiore, del pavimento orale e della lingua, a patto che sia possibile effettuare uno stretto follow-up in assenza di ulteriori fattori di rischio. Nel caso in cui si prevede un rischio di metastasi linfonodali è, invece, necessario effettuare il trattamento precauzionale del collo con le seguenti modalità: I, II e III livello in tutti i casi e nel caso dei tumori della porzione posteriore del corpo linguale anche IV livello, attraverso l’utilizzo della chirurgia o della RT esterna. In particolare, la chirurgia viene preferita se è stata impiegata la BRT o nel caso in cui il T sia stato trattato con intervento chirurgico attraverso l’accesso transcervicale; viene, invece, preferita la RT esterna nel caso di trattamento del tumore primitivo con RT o a seguito di un intervento chirurgico transorale. Presenza di adenopatie In presenza di adenopatie è necessario un trattamento con scopo curativo del collo, comprendendo generalmente i livelli I-V in realzione alla sede del tumore primitivo. Se il tumore è operabile in monoblocco con i linfonodi può essere utilizzata la chirurgia con eventuale RT adiuvante o RT + CHT concomitante. Radioterapia Le neoplasie del cavo orale sono tra le neoplasie del distretto cervico-facciale quelle che si giovano maggiormente dell’impiego della BRT interstiziale. La BRT a basso (LDR) o ad alto (HDR) rate di dose (con sorgenti di Iridio 192) è generalmente applicata alle neoplasie di dimensioni limitate e con distanza dall'osso mandibolare superiore a 0.5 cm. In caso di neoplasie estese, profondamente infiltranti e/o contigue all'osso, il trattamento radiante viene realizzato o con fasci esterni di fotoni ad alta energia o combinando la RT esterna e la BRT come sovradosaggio finale. L'irradiazione con fasci esterni comporta però il coinvolgimento di strutture ossee e dentarie. Le dosi totali erogate devono essere di 70 Gy in caso di RT eclusiva e di 60-66 Gy in caso di RT adiuvante con una frazione al giorno, per cinque giorni alla settimana per sette-otto settimane complessive e continuative. Alla radioterapia si associano effetti collaterali acuti quali mucosite, disfagia e tardivi quali xerostomia. 3.3 Follow-up Un programma di controlli ravvicinati con intervalli variabili da 1 a 3 mesi durante i primi 5 anni si rende indispensabile. Le visite di controllo dovrebbero comprendere l’esame clinico (visita ORL con fibroscopia) eventualmente associato ad un’ecografia del collo. Lo studio del torace è inoltre consigliato ogni 6-12 mesi, preferibilmente con esame TC. 41 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo mini di guarigione, sono abbastanza soddisfacenti, mentre la qualità di vita risulta spesso ridotta a causa di deficit funzionali eventualmente causati da approcci chirurgici demolitivi nonostante il miglioramento delle procedure ricostruttive. 3. Carcinomi del rinofaringe 3.1 Introduzione I tumori del rinofaringe presentano un picco di incidenza tra la quarta e la quinta decade di vita, la comparsa è correlata all’infezione da virus di Epstein-Barr, mentre non vi è correlazione con altri fattori di rischio propri degli altri tumori del distretto testa-collo (etilismo, tabagismo). Si tratta di una malattia caratterizzata da una marcata tendenza alla progressione locale (parafaringe, fosse nasali, base cranica), regionale (linfonodale cervicale) e a distanza (metastasi ematogene prevalentemente allo scheletro, al fegato e al polmone). L'esordio clinico è generalmente caratterizzato da tipici sintomi locali (ipoacusia, ostruzione nasale, deficit dei nervi cranici), oppure dalla comparsa di adenopatie al collo in accrescimento relativamente rapido. Dal punto di vista istopatologico vengono classificati in tre tipi istologici: carcinoma non cheratinizzante (differenziato o indifferenziato), carcinoma spinocellulare cheratinizzante, carcinoma spinocellulare basaloide. I fattori prognostici principali sono lo stadio di N e di T e l’istologia (prognosi migliore per gli stadi iniziali e per le forme non cheratinizzanti). avanzato, la chemioterapia viene utilizzata o in associazione alla radioterapia o come trattamento di induzione o adiuvante. I farmaci utilizzati sono i derivati del platino nei regimi concomitanti (Cisplatino 100 mg/m2 nei giorni 1-22-43 o Cisplatino 40 mg/m2 settimanale), e le associazioni comprendenti un derivato del platino ed il 5-fluorouracile come trattamento adiuvante. In presenza di malattia metastatica il trattamento di scelta è rappresentato dalla sola chemioterapia, utilizzando regimi a base di cisplatino. In caso di risposta clinica completa è possibile effettuare radioterapia esclusiva o in associazione a chemioterapia. Una caratteristica del carcinoma rinofaringeo è quella di poter recidivare localmente dopo il trattamento radiante, in assenza di altre localizzazioni di malattia; in questi casi, è possibile ricorrere ad un secondo trattamento radioterapico di salvataggio sulla regione del rinofaringe e/o della base cranica, con risposta completa in una percentuale limitata ma significativa di casi. La re-irradiazione può essere effettuata con brachiterapia HDR oppure con radioterapia a fasci esterni, con eventuale associazione di chemioterapia concomitante. 3.2 Indicazioni terapeutiche generali 3.3 Follow-up Il trattamento di scelta per i carcinomi del rinofaringe per gli stadi iniziali (T1, N0) è rappresentato dalla radioterapia esclusiva. La chirurgia trova limitate applicazioni ed è utilizzata solo in presenza di residui linfonodali dopo radioterapia o come opzione terapeutica di salvataggio in caso di ricadute locoregionali. La dose da erogare a livello della lesione è di 66-70 Gy con frazioni giornaliere da 2 Gy. Tutti i pazienti con tumori del rinofaringe richiedono inoltre il trattamento radioterapico esteso ad entrambi i lati del collo (44-64 Gy con frazioni di 1,6-2,0 Gy), in quanto la maggior parte di essi si presenta con interessamento linfonodale bilaterale. Nei tumori allo stadio intermedio e Al termine del trattamento è necessario controllare il paziente a breve termine con visite settimanali per valutare l’eventuale comparsa di tossicità acuta. Successivamente andrà valutata la risposta al trattamento entro 2-3 mesi dal termine dello stesso mediante le tecniche di imaging utilizzate per la diagnosi e mediante una visita ORL con fibre ottiche. In caso di sospetto di lesioni residue, può essere utile l’esecuzione di un esame PET. In presenza di remissione clinica completa il follow-up comprenderà valutazioni ORL ripetute ogni 3 mesi nei primi 2 anni, ogni 4-6 mesi nei 3 anni successivi e ogni 12 mesi dopo il quinto anno. 4. Carcinomi dell’orofaringe 4.1 Introduzione I carcinomi dell’orofaringe sono tumori relativamente frequenti per quanto riguarda il distretto testa-collo e la loro incidenza, in Italia, è di 10 casi per 100.000 abitanti/anno. I principali fattori di rischio sono rappresentati dall’abuso di alcol e di tabacco mentre recentemente è stata dimostrata una correlazione eziopatogenetica tra l’infezione da Papilloma Virus Umano (HPV) e la comparsa di carcinomi spinocellulari dell’orofaringe. L’orofaringe è compreso tra il rinofaringe superiormente, l’ipofaringe inferiormente e la cavità orale anteriormente ed è suddiviso in 4 sottosedi: palato molle, regione tonsillare, base della lingua e parete posteriore. I linfonodi che drenano l’orofaringe sono i linfonodi giugulodigastrici del livello II, i linfonodi retrofaringei e quelli dello spazio parafaringeo. L’interessamento linfonodale avviene generalmente dall’alto in basso (dal livello II al IV) e raramente viene saltato un livello. Le lesioni che si trovano sulla linea mediana (base lingua, palato molle, parete posteriore) tendono a dare metastasi linfonodali bilaterali. La maggior parte dei tumori (90%) è rappresentata dai carcinomi spinocellulari, mentre il restante 10% è costituito da tumori a istologia inusuale quale Pagina i carcinomi delle ghiandole salivari minori, i linfomi e i melanomi. La diffusione per via linfatica è molto frequente nei carcinomi squamosi e la presenza di un’adenopatia rappresenta a volte l'unico sintomo di malattia. 4.2 Indicazioni terapeutiche generali Le terapie di scelta sono rappresentate dalla chirurgia e dalla radioterapia, da sole o combinate, e dalla chemioterapia che generalmente è utilizzata in combinazione con le precedenti. Chirurgia In caso di lesioni di piccole dimensioni (T1) sono spesso possibili interventi chirurgici conservativi; nel caso di neoplasie più estese gli interventi sono invece più demolitivi, con conseguenze funzionali di entità più o meno importanti e di tipo diverso a seconda della sede del tumore e della sua estensione. Poiché l’interessamento linfonodale è spesso presente, si rendono frequentemente necessari svuotamenti delle logge linfatiche cervicali, da eseguirsi mono o bilateralmente in base alla sede del tumore primitivo. I risultati, in ter- 42 Radioterapia La radioterapia a scopo curativo è indicata per neoplasie di dimensioni piccole (T1) o intermedie (T2). In questi casi il controllo locale è equivalente a quello ottenuto con la sola chirurgia (80-90%), ma la RT comporta una riduzione di deficit funzionali con maggiori benefici in termini di qualità di vita da parte del paziente. In alcune localizzazioni, come nei carcinomi della parete posteriore, la RT rappresenta la terapia di elezione. Negli stadi più avanzati (III-IV) la RT ha un ruolo fondamentale in termini di preservazione dell’organo, in particolare in tutti quei casi in cui la chirurgia comporterebbe danni funzionali di elevata entità. In questi casi andrebbe associati al trattamento radioterapico la CHT o i farmaci biologici. La radioterapia trova inoltre frequente indicazione in ambito post-operatorio. Poiché i carcinomi dell’orofaringe hanno tipicamente la tendenza a dare metastasi per via linfonodale, in quei casi in cui la RT è la modalità primaria di trattamento, il volume da irradiare deve comprendere la maggior parte dei livelli del collo bilateralmente. I livelli da includere nelle singole presentazioni cliniche variano in relazione alla sottosede e allo stadio di T e di N. In considerazione della ampiezza dei volumi da trattare e dalla stretta vicinanza delle parotidi, i carcinomi dell’orofaringe rappresentano una delle indi- cazioni principali all’impiego di tecniche conformazionali evolute e della IMRT. Le dosi prescritte sono quelle consuete per trattamenti con intento curativo e frazionamento convenzionale (70 Gy con frazioni giornaliere da 2Gy), mentre in caso di RT postoperatoria le dosi da erogare saranno minori (60-66 Gy). Chemioterapia In caso di carcinomi squamocellulari dell’orofaringe in stadio avanzato (IIIIV stadio) il trattamento di scelta è rappresentato dall’associazione di RT + CHT con le stesse modalità e con le problematiche già esposte nel paragrafo del cavo orale. In alcuni casi la CHT può essere sostituita con cetuximab. L’utilizzo di CHT adiuvante deve essere utilizzata solamente in associazione con la RT postoperatoria. 4.3 Follow-up Le possibilità reali di recupero delle mancate guarigioni o delle recidive locali e regionali rendono indispensabile un programma di controlli clinici sistematici, da effettuarsi ad intervalli di 1-3 mesi durante i primi 3 anni, di 4-6 mesi fino al quinto anno e annuali successivamente. La prima visita di controllo dovrebbe comprendere sempre l’esame clinico (visita ORL con fibroscopia) e, nei casi trattati con RT, la RM del massiccio facciale e collo. Nei casi di trattamento radioterapico esclusivo, la valutazione radiologica (RM) deve essere effettuata non prima di 2-3 mesi dalla fine della terapia. 5. Carcinomi dell’ipofaringe 5.1 Introduzione I tumori dell’ipofaringe sono molto frequenti in Asia e in particolar modo in India, mentre in Italia hanno un’incidenza di 0,4 casi ogni 100.000 abitanti/anno con un rapporto maschi/femmine di 9:1. L’insorgenza dei tumore dell’ipofaringe è correlata all’abuso di tabacco e alcool e inoltre si è osservata una correlazione con alcuni deficit dietetici, in particolare di ferro, come si manifesta nella sindrome di Plummer-Vinson (disfagia, anemia microcitica ipocromica e atrofia della mucosa gastrica). L’ipofaringe è diviso in seni piriformi, parete faringea posteriore e regione retro-cricoidea e si estende dall’osso ioide fino al limite inferiore della cartilagine cricoidea, abbracciando la laringe che si trova anteriormente e medialmente. Nel 75% dei casi il tumore origina dai seni piriformi e nel 15-20% dalla parete faringea posteriore, mentre i tumori della regione retrocricoidea rappresentano circa il 5% dei casi e sono prevalenti nel sesso femminile. Il drenaggio linfatico dell’ipofaringe è prevalentemente diretto verso i linfonodi del II e III livello, ma può anche estendersi fino ai linfonodi del IV livello e ai linfonodi mediastinici anteriori. Quando è invaso lo spazio retro-faringeo, possono essere interessati i linfonodi retrofaringei. La variante istologica più frequente (95% dei casi) è il carcinoma squamocellulare. 5.2 Indicazioni terapeutiche generali In caso di neoplasie agli stadi iniziali (T1-2 N0-1), peraltro non frequenti i risultati della radioterapia e della chirurgia sono sovrapponibili. Per i migliori risultati funzionali, la radioterapia è da preferirsi ogniqualvolta una chirurgia conservativa non è fattibile. In caso contrario, la chirurgia è da considerarsi una valida alternativa alla terapia radiante. Nei tumori localmente avanzati (T3-4) Pagina operabili la chirurgia demolitiva associata a radioterapia adiuvante rappresenta il trattamento di scelta, anche se dati recenti indicano l’associazione radio-chemioterapica come una valida alternativa alla chirurgia in grado di controllare con probabilità significative la malattia a livello locale e di conservare la funzione dell’organo. In caso di inoperabilità la radioterapia, specialmente se associata a chemioterapia, rappresenta il trattamento di scelta. La RT + CHT concomitante rappresenta il trattamento d’elezione in caso di malattia al III-IV stadio. Anche in questo caso sono valide le considerazioni espresse nel paragrafo dei tumori del cavo orale. L’utilizzo di cetuximab può essere considerata un’alternativa alla CHT. 5.3 Follow-up A causa del rischio significativo di fallimenti loco-regionali il follow-up in questi pazienti è particolarmente critico, soprattutto nei primi due anni dalla terapia, anche al fine di eventuali trattamenti di salvataggio a scopo curativo. La difficoltà principale, in particolar modo nei casi di stadio avanzato trattato con approccio multimodale, è la distinzione fra gli esiti dovuti al trattamento e l’eventuale presenza di malattia. Nella maggior parte dei casi è consigliata, dopo almeno 2-3 mesi dal termine della RT, l’esecuzione di una fibroscopia con eventuali biopsie e di metodiche di imaging quali RM, TC, ecografia ed eventualmente di PET nei casi dubbi. Questo tipo di valutazione deve essere ripetuta nei primi 2-3 anni di follow-up per ogni 3-6 mesi. Al termine di questo periodo ed in assenza di dubbi interpretativi, è sufficiente la sola valutazione fibroscopica. Una radiografia del torace ogni anno è inoltre raccomandato. 43 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 6. Carcinoma della laringe 6.1 Introduzione Il carcinoma della laringe è la più frequente neoplasia del tratto aero-digestivo superiore e costituisce il 2% di tutti i tumori maligni. I fattori di rischio riconosciuti sono: il fumo di sigaretta, l’uso intenso della voce per motivi professionali e l’alcol nelle forme a localizzazione sopraglottica. La laringe viene suddivisa in tre regioni anatomiche: regione sopraglottica, regione glottica e regione sottoglottica. Le strutture sopraglottiche hanno una ricca rete linfatica e drenano nei livelli II, III e IV, mentre la rete linfatica è meno sviluppata nella regione sottoglottica e il drenaggio è prevalentemente verso i linfonodi dei livelli III e IV e verso i linfonodi paratracheali. Le corde vocali vere (glottide) sono prive di capillari linfatici, quindi la diffusione metastatica linfonodale avviene solo in caso di estensione sopra- o sottoglottica. Circa il 95% dei tumori maligni laringei sono carcinomi squamo cellulari. Le corde vocali sono la sede più frequente del carcinoma in situ, mentre la regione sopraglottica è una localizzazione rara. Il carcinoma verrucoso rappresentata una variante distinta (1-2% dei carcinomi delle corde vocali): si tratta di un carcinoma squamocellulare di basso grado con aspetto papillomatoso, cheratinizzante in superficie e con margini ben delimitati. I fattori prognostici più rilevanti sono lo stadio del tumore primitivo e dei linfonodi loco-regionali. Altri fattori prognostici sono il sesso, l’età, il performance status del paziente e la sottosede della malattia. La sopravvivenza dei pazienti con neoplasia cordale varia dal 75 al 95% in funzione della sede, delle dimensioni, dal grado di infiltrazione, dell’interessamento delle commissure o degli spazi paraglottici. Le lesioni che originano dalla porzione sottoglottica rimangono a lungo paucisintomatiche e la diagnosi viene posta tardivamente. Per tale motivo, presentano una prognosi nettamente più sfavorevole. Nei tumori avanzati extracordali non è infrequente la comparsa di metastasi a distanza, soprattutto nei primi due anni dalla diagnosi, ciò anche in caso di risposta completa loco-regionale posttrattamento di prima istanza. La diagnosi differenziale tra lesioni secondarie e secondi tumori potrebbe essere difficile. Uno stretto follow up è necessario, principalmente nel primo biennio per consentire trattamenti di seconda linea. L’importanza del ruolo funzionale della regione laringo-ipofaringea, ha condotto ad un atteggiamento terapeutico di carattere conservativo nei confronti di tale regione anatomica: negli stadi iniziali i trattamenti di scelta sono la radioterapia e la chirurgia conservativa (laser, laringectomie parziali). Nelle forme localmente avanzate è preferibile un trattamento radio-chemioterapico, come alternativa alla chirurgia demolitiva standard, che potrebbe essere applicata in caso di mancato controllo locale. 6.2 Indicazioni terapeutiche generali Gli stadi iniziali (T1-T2) possono essere trattati indifferentemente con la chirurgia o con la radioterapia, ottenendo un buon controllo della malattia e conservando la funzione dell’organo. Le forme avanzate vengono trattate con la chirurgia, che prevede nella maggior parte dei casi una laringectomia totale; il trattamento radioterapico può rappresentare un’alternativa altrettanto efficace. Anche le indicazioni alla radioterapia adiuvante dopo chirurgia demolitiva sono piuttosto frequenti. Note di tecnica radioterapica Le dosi indicate sono 50-54 Gy per l’irradiazione dei volumi linfonodali a rischio, 60-66 Gy sulle aree a maggior rischio dopo trattamento chirurgico, 66-70 Gy sul GTV laringeo e linfonodale. Pagina Tumori limitati della laringe sovraglottica (T1-2, N0) Gli stadi iniziali possono essere trattati con chirurgia conservativa o con radioterapia esclusiva. Le casistiche e i risultati ottenuti sembrano rilevare individuare un controllo locale nei casi T1 variabile dal 90 al 100% e nei casi T2 (40-70%). In caso di fallimento del trattamento radiante è possibile procedere con il trattamento chirurgico, a volte anche conservativo. Tumori avanzati della laringe sovraglottica (T3-4 N0 e T1-4, N1-3) I tumori in stadio avanzato (localmente e/o regionalmente) della laringe sovraglottica vengono generalmente trattati con chirurgia (laringectomia totale nei T3-T4) e radioterapia adiuvante. È giustificato ricorrere alla radioterapia come trattamento iniziale (possibilmente associata a chemioterapia) e adoperare la chirurgia di salvataggio in caso di fallimento. Nei pazienti inoperabili per comorbilità, non resecabilità o rifiuto della laringectomia, la radioterapia rimane l’unica opzione terapeutica applicabile. Nei casi T3-4, N0 si può stimare un tasso di controllo loco-regionale iniziale dopo radioterapia esclusiva, del 30-50%, valore che decresce ulteriormente in caso di positività linfonodale. Tumori limitati della laringe glottica (Tis-T2 N0) La radioterapia esclusiva ottiene gli stessi risultati terapeutici della chirurgia (cordectomia, emilaringectomia), con un migliore esito funzionale sulla qualità della voce. In casi selezionati, come per esempio nei volumi tumorali relativamente limitati o a crescita superficiale, la chirurgia laser garantisce una probabilità di controllo locale e una qualità di voce paragonabili alla radioterapia. In letteratura, i tassi di controllo locale a 5 anni sono di circa 70-95% (escludendo la chirurgia di salvataggio, che consente di raggiungere un tasso di controllo locale definitivo del 95-100%). Il rischio di recidiva a livello linfonodale o a distanza è <5%. Tumori della laringe glottica localmente avanzati (T3-T4 N0) I dati della letteratura che riguardano gli stadi T3-T4 N0, sono limitati. La probabilità di controllo loco-regionale iniziale con la radioterapia esclusiva (escludendo il salvataggio chirurgico) può essere in ogni modo stimata intorno al 50%; la chirurgia di salvataggio consente di ottenere valori di controllo loco-regionale definitivo intorno al 70-80%. Si può stimare approssimativamente una probabilità di controllo locale iniziale, dopo sola radioterapia, intorno al 20-30%, con valori di controllo definitivo dopo chirurgia di salvataggio del 50%. Tumori della laringe glottica con estensione linfonodale (T1-4 N1-3) Il carcinoma glottico ha una scarsa diffusione per via linfatica; i linfonodi risultano positivi solo nei casi più avanzati. Nella manifestazione clinica iniziale della malattia, le adenopatie sono presenti nello 0-2% dei casi T1-T2 e circa nel 30-40% dei casi T3-T4. I pazienti con invasione linfonodale all’esordio hanno generalmente una lesione primaria avanzata che viene preferibilmente trattata con la chirurgia seguita da radioterapia adiuvante. In caso non sia possibile procedere all’intervento chirurgico, è indicato un trattamento radiante possibilmente associato a chemioterapia. In casi selezionati (T3 N12) è possibile preservare l'organo, intraprendendo un trattamento chemio-radioterapico (sequenziale o concomitante) ed eventuale chirurgia su residuo linfonodale, riservando la laringectomia ai fallimenti locali. Esistono infatti dati ormai consolidati che indicano la possibilità di effettuare un trat- 44 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo tamento radio-chemioterapico con possibilità equivalenti di controllo locale di malattia e di sopravvivenza rispetto alla chirurgia, ma con conservazione dell’organo e della sua funzione. In questi casi, la chirurgia è riservata ai pazienti con residuo di malattia al termine del trattamento chemio-radioterapico o nel caso di recidiva di malattia. Gli studi fino ad ora eseguiti hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile in termini di preservazione d’organo tra chemioterapia d’induzione seguita da radioterapia e chemioradioterapia concomitante in confronto alla radioterapia da sola, mentre la sopravvivenza globale a 5 anni è simile per tutte le modalità di trattamento. Al fine di preservare l’organo, il trattamento di scelta è la chemioterapia d’induzione secondo lo schema TPF (docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75 mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) per 3 cicli, seguito da rivalutazione strumentale: in caso di risposta parziale viene eseguito il trattamento chemio-radioterapico, altrimenti è raccomandata la chirurgia. Tumori della laringe sottoglottica. I tumori della laringe sottoglottica sono rari. Negli stadi iniziali (T1-T2), il trattamento è di pertinenza radioterapica. Nei tumori avanzati, si ricorrere preferibilmente all'associazione chirurgia-radioterapia adiuvante. Negli stadi intermedi (T3N0) può essere impiegata l'associazione chemioterapia-radioterapia nella possibilità di preservare l'organo. In caso di inoperabilità o di rifiuto della chirurgia da parte del paziente, la radioterapia (possibilmente associata alla chemioterapia) è l'unico trattamento potenzialmente curativo anche negli stadi avanzati. L’estensione della malattia a livello delle stazioni linfonodali del mediastino superiore, condiziona le strategie chirurgiche e radioterapiche. Nelle forme iniziali si può attende una probabilità di controllo locale del 60 - 70% con una sopravvivenza a 5 anni tra il 50 e il 60%. 6.3 Follow-up I pazienti trattati per un carcinoma della laringe devono eseguire uno stretto follow-up, soprattutto nei primi due anni successivi alla terapia, per il rischio significativo di fallimenti loco-regionali e per la valutare la possibilità di trattamenti di salvataggio con intento curativo. L’introduzione dei trattamenti integrati radiochemioterapici ha aggiunto maggiore complessità alle scelte terapeutiche. L’obiettivo principale del follow-up nei pazienti già sottoposti alle terapie di prima istanza, è quello riuscire ad effettuare diagnosi precoce di persistenza o di recidiva locale di malattia, per dare spazio ad un trattamento di salvataggio. In alcuni casi di fallimento, come nei tumori limitati trattati con radioterapia esclusiva, è possibile procedere alla chirurgia conservativa (laser, laringectomia parziale). In altri tipi di fallimento, come nei tumori in stadi avanzati e trattati con radiochemioterapia, il passo successivo è inevitabilmente la chirurgia demolitiva. La diagnosi differenziale fra gli esiti terapeutici e la persistenza/recidiva di malattia, è la difficoltà principale, soprattutto nei casi di tumore avanzato trattato con terapia integrata. Nella maggior parte dei casi è consigliabile la valutazione non troppo precoce del risultato terapeutico, almeno 2-3 mesi dalla fine del trattamento radiante, attraverso fibroscopia con eventuali biopsie. Anche l’imaging radiologico (RM, TC, ecografia) è utile nella valutazione della risposta alle terapie, con eventuale impiego della PET nei casi dubbi. Questo tipo di valutazione, che può risultare anche molto complessa dal punto di vista interpretativo, deve essere ripetuta sistematicamente fino a stabilizzazione del quadro clinico radiologico e in assenza di sospetti di ripresa o persistenza di malattia locale; successivamente è sufficiente la sola valutazione fibroscopica. Infine, una radiografia del torace ogni anno è consigliabile. 7. Carcinomi delle cavità nasali e dei seni paranasali 7.1 Introduzione Si tratta di un gruppo di neoplasie piuttosto rare ed eterogenee per sede anatomica e istologia comprendenti tutti i tumori epiteliali a partenza dalle fosse nasali, dal seno mascellare, dal seno etmoidale e dai seni sfenoidale e frontale. La forma istologica più frequente è il carcinoma squamoso, ma sono frequenti anche altri tipi istologici come l’adenocarcinoma, il carcinoma adenoido-cistico, il carcinoma NAS, il carcinoma indifferenziato e il carcinoma mucoepidermoidale. La storia naturale di queste malattie mostra generalmente una crescita locale lenta, con progressivo coinvolgimento delle strutture anatomiche circostanti (es. orbita, cavo orale, rinofaringe, base cranica), e un interessamento abbastanza raro e tardivo dei linfonodi regionali (sottomandibolari, laterocervicali). Rara è la comparsa di metastasi a distanza, tranne che nei tipi istologici meno differenziati, in cui elevato è il rischio di estensione regionale e a distanza. 7.2 Indicazioni terapeutiche generali Il trattamento di scelta è rappresentato dalla chirurgia. La radioterapia (66-74 Gy con frazioni giornaliere da 2 Gy) può rappresentare una valida alternativa all’intervento chirurgico in caso di istologie ra- Pagina diosensibili (es. carcinoma indifferenziato) o in presenza di tumori non resecabili. La radioterapia inoltre rappresenta un efficace trattamento postoperatorio (60-66 Gy in frazioni da 2 Gy) in presenza di margini chirurgici positivi o “close”, di tumore localmente avanzato (T3 e T4), di estensione extracapsulare delle metastasi linfonodali, di localizzazioni linfonodali multiple. Nelle neoplasie etmoidali vi è sempre indicazione alla radioterapia adiuvante a causa dell’elevato rischio di recidiva locale di questi tumori. In casi selezionati è possibile ottenere beneficio dalla somministrazione della chemioterapia in concomitanza al trattamento radioterapico. 7.3 Follow-up Al termine del trattamento è necessario controllare il paziente a breve termine con visite settimanali per valutare l’eventuale comparsa di tossicità acuta. Successivamente andrà valutata la risposta al trattamento entro 23 mesi dal termine dello stesso mediante le tecniche di imaging utilizzate per la diagnosi e mediante una visita ORL con fibre ottiche. In caso di sospetto di lesioni residue, può essere utile l’esecuzione di un esame PET. In presenza di remissione clinica completa il follow-up comprenderà valutazioni ORL ripetute ogni 3 mesi nei primi 2 anni, ogni 4-6 mesi nei 3 anni successivi e ogni 12 mesi dopo il quinto anno. 45 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 8. Carcinomi delle ghiandole salivari 8.1 Introduzione I tumori delle ghiandole salivari rappresentano circa il 5% di tutte le neoplasie del distretto cervico-facciale. La ghiandola più colpita è la parotide (80%) di cui più del 60% sono tumori benigni. Considerando solo i tumori maligni, il 4060% dei casi è localizzato alla parotide, il 10% dei casi alla ghiandola sottomandibolare, ed il 30-50% dei casi alle ghiandole salivari minori. Tra i tumori maligni i più comuni sono il carcinoma mucoepidermoide, il carcinoma adenoido-cistico, il carcinoma a cellule aciniche, l’adenocarcinoma e il carcinoma spinocellulare; meno frequenti sono il carcinoma ex-adenoma pleiomorfo, il carcinoma duttale, l’adenocarcinoma polimorfo a basso grado di malignità e il carcinoma mio-epiteliale. I tumori maligni, inoltre vengono suddivisi in carcinomi a basso, intermedio o alto grado di malignità a seconda del grading istologico. Nei tumori salivari i fattori prognostici che devono essere presi in considerazione sono: lo stadio, l’istotipo, il Grading, l’età (prognosi peggiore se > 60 anni), la sede di insorgenza (la prognosi è migliore per i tumori insorti nella ghiandola parotide) e la presenza di paralisi del nervo facciale per le neoplasie parotidee. I tumori maligni delle ghiandole salivari generalmente si presentano come un nodulo asintomatico. I sintomi si manifestano solo in seguito all’infiltrazione delle strutture adiacenti (n. facciale, osso, cute). Solo nel 25% dei casi, alla diagnosi, sono presenti metastasi linfonodali latero-cervicali, mentre le metastasi a distanza, più frequentemente a carico del polmone, sono molto rare all’esordio della malattia. 8.2 Indicazioni terapeutiche generali Nei tumori delle ghiandole salivari, il trattamento di scelta è la chirurgia. Nei tumori in stadio iniziale (T1-T2) e a basso grado è indicata la parotidectomia superficiale o totale; mentre nei tumori ad alto grado o profondi è indicata la parotidectomia totale con preservazione del nervo facciale quando non è presente infiltrazione macroscopica dello stesso. In caso di infiltrazione ossea può essere necessaria una resezione più o meno importante dell’osso temporale o una mandibolectomia. Nel caso in cui all’esordio siano presenti metastasi linfonodali è previsto lo svuotamento del collo omolaterale. Metastasi linfonodali laterocervicali occulte possono essere presenti nel 48% dei pazienti con collo clinicamente negativo. Lo svuotamento linfonodale selettivo o il trattamento radioterapico sull’emicollo omolaterale dovrebbero essere eseguiti in caso di tumori ad alto grado o nel caso di tumori a basso grado che abbiano un diametro superiore o uguale a 4 cm. Il ruolo della radioterapia è quindi complementare alla chirurgia essendo quest’ultima il trattamento di scelta per il T. Le principali indicazioni alla radioterapia post-operatoria sono le seguenti: • exeresi di recidiva locale dopo pregressa chirurgia • tumori del lobo profondo della parotide • lesioni avanzate (T3-T4) • residuo microscopico (R1) o macroscopico (R2) dopo chirurgia • alto grading (G3-G4) • infiltrazione ossea o del tessuto connettivo • diffusione perineurale • metastasi linfonodali • rottura capsulare. Pertanto, le lesioni iniziali (T1-T2) e a basso grado sono trattate in modo adeguato con la sola chirurgia, con l’eccezione del carcinoma adenoideo-cistico per il quale viene raccomandata la RT postoperatoria per la sua estrema propensione alla diffusione perineurale. Nel caso dell’adenoma pleomorfo può essere indicata la radioterapia postoperatoria nei casi di recidiva dopo chirurgia adeguata. Radioterapia postoperatoria Le dosi totali da prescrivere (con frazionamento convenzionale) sono le seguenti: sulla sede primaria, 50-60 Gy in caso di tumori a rischio basso o medio (R0), 66 Gy in caso di alto rischio (residuo microscopico, R1). Sulle regioni linfonodali (emicollo omolaterale: livelli II e III in tutti i casi, livelli IV e V in casi selezionati), 50 Gy a titolo precauzionale nei pazienti N0 ma con tumore ad alto rischio o con tumore a basso rischio ma di dimensioni superiori a 4 cm. Nei pazienti pN+ a seconda dei fattori di rischio l’emicollo può essere irradiato con una dose variabile tra 50 e 60-66 Gy. Radioterapia esclusiva La RT esclusiva può essere proposta a pazienti giudicati oltre i limiti della chirurgia o a pazienti con metastasi a distanza dall’esordio. Il volume bersaglio, rappresentato dalla ghiandola parotide ed eventualmente dall’emicollo omolaterale, dovrebbe essere irradiato evitando l’irradiazione della parotide contro laterale. La dose totale può variare da 30 Gy nei trattamenti con intento palliativo a 66-70 Gy nei pazienti che per performance status ed estensione di T meritano un trattamento con dosi di radicalità. 8.3 Follow-up Più del 20% delle ricadute compaiono dopo 5 anni, più raramente dopo 10-20 anni, per tale motivo i pazienti con carcinoma della parotide devono essere seguiti per molti anni. Nei primi 3 anni il controllo clinico va effettuato ogni 2-3 mesi, quindi ogni 6-12 mesi, associato, specialmente subito dopo la fine della terapia, a valutazione radiologica con ecografia e/o TC o RM (in casi selezionati). E’ indicato richiedere una radiografia del torace di controllo una volta all’anno. 9. Dotazioni strumentali Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo dure chirurgiche all’anno a livello della testa e del collo tra le seguenti: • procedure ricostruttive mediante lembi liberi rivascolarizzati • lembi regionali (pectoralis major, temporalis, latissimus dorsi) • mandibulectomie segmentali o marginali • resezioni per via trans mandibolare (mandibulotomica) • maxillectomie totali o subtotali • emiglossectomie o glossectomie totali • laringectomie totali, sopraglottiche o ricostruttive (sopracricoidee o tracheoioidopessie) • cordectomie endoscopiche • parotidectomie esofacciali/subtotali/totali per neoplasie maligne • svuotamenti laterocervicali. Nella struttura deve operare un gruppo multidisciplinare per le neoplasie della testa e del collo strutturato e formalizzato che gestisca tutte le fasi dell’iter diagnostico terapeutico, ed in particolare stadiazione, impostazione terapeutica e follow-up. Devono inoltre essere presenti apparecchiature per la TC, per la RMN e per l’ecografia ed un reparto per la terapia intensiva postoperatoria. Devono infine essere previsti una presenza o un accesso facilitato alla radioterapia,alla oncologia medica ed a strutture in grado di erogare terapie palliative ed assistenza al malato terminale sia a domicilio che tramite ricovero. E’ inoltre richiesta almeno 1 pubblicazione scientifica di oncologia testa e collo su riviste indicizzate negli ultimi 3 anni. Criteri per l’eccellenza I criteri per raggiungere l’eccellenza prevedono la valutazione di almeno 60 casi l’anno di neoplasie maligne della laringe (ICD9-CM 160 e 161 età >14 anni in diagnosi principale alla dimissione) e/o di neoplasie maligne delle altre sedi (ICD9-CM 140-149 età >14 anni in diagnosi principale alla dimissione) comprese le neoplasie maligne della cute della testa e del collo con metastasi linfonodali laterocervicali. In questo ambito di attività clinico la UOC deve aver eseguito. Almeno 60 procedure chirurgiche maggiori all’anno a livello della testa e del collo, incluse: • procedure ricostruttive mediante lembi liberi rivascolarizzati (almeno 10) • lembi regionali (pectoralis major, temporalis, latissimus dorsi) • mandibulectomie segmentali o marginali • resezioni per via trans mandibolare (mandibulotomica) • maxillectomie totali o subtotali • emiglossectomie o glossectomie totali • laringectomie totali, sopraglottiche o ricostruttive (sopracricoidee o tracheoioidopessie) • parotidectomie esofacciali/subtotali/totali per neoplasie maligne • svuotamenti laterocervicali. Inoltre deve essere possibile di ottenere degli esami istologici estemporanei nel corso della chirurgia. Deve essere disponibile la tecnologia laser per la chirurgia endoscopica della laringe. Devono inoltre esistere nella struttura una UO di Radioterapia, una UO di Oncologia medica, una UO di Medicina Nucleare dotata di PET-TC ed un database di archiviazione dei dati oncologici sensibili condiviso all’interno del gruppo multidisciplinare. E’ infine richiesta una media di almeno 1 pubblicazione scientifica all’anno di oncologia testa e collo su riviste impattate negli ultimi 3 anni. 9.2 Radioterapia 9.1 Chirurgia Criteri di minima I criteri minimi per una UO di Chirurgia prevedono la valutazione di almeno 25 casi l’anno di neoplasie maligne della laringe (ICD9-CM 160 e 161 età Pagina >14 anni in diagnosi principale alla dimissione) e/o di neoplasie maligne delle altre sedi (ICD9-CM 140-149 età >14 anni in diagnosi principale alla dimissione) comprese le neoplasie maligne della cute della testa e del collo con metastasi linfonodali laterocervicali e l’esecuzione di almeno 25 proce- 46 Criteri di minima La struttura deve disporre di ambienti clinici (radioterapico e/o oncologico) presso i quali effettuare trattamenti combinati, quando necessari, e per l’assistenza (terapie di supporto, terapia nutrizionale) durante e dopo il tratta- Pagina mento. I requisiti minimi prevedono l’esecuzione di almeno 10 trattamenti all’anno, curativi o palliativi, l’utilizzazione di un acceleratore lineare, l’esistenza di una simulazione TC, l’uso di sistemi di immobilizzazione e l’esecuzione di almeno una immagine portale settimanale. Per quanto riguarda i tempi di esecuzione della terapia deve essere assicurata la prima visita entro 1 settimana, la stadiazione deve essere completata entro le 3 settimane e l’inizio del trattamento entro le 4 settimane dalla prescrizione. Criteri per l’eccellenza Per raggiungere l’eccellenza il centro deve possedere almeno 3 dei seguenti 5 requisiti: • esecuzione di almeno 25 trattamenti all’anno,curativi o palliativi • attuare un trattamento conformazionale con collimatore multi lamellare • utilizzare una tecnica a modulazione del fascio (IMRT) • utilizzare sistemi per radioterapia guidata dalle immagini (IGRT) • disponibilità di posti letto dedicata alla radioterapia, dipartimentali o “tecnici”. E’ inoltre necessario che le UOC di Radioterapia sia in grado, nei trattamenti curativi, di mettere in atto nell’ambito della struttura le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, evitando l’immissione in liste di attesa,programmando l’inizio della terapia esclusivamente in rapporto ai tempi tecnici necessari ad attuare le idonee procedure. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo dovrà essere il più breve possibile compatibilmente con le condizioni cliniche del paziente e con i tempi di guarigione della ferita chirurgica. E’ inoltre necessario che esista un gruppo oncologico multidisciplinare nell’ambito del quale i vari specialisti (chirurgo, oncologo, radiodiagnosta, radioterapista, anestesista, anatomopatologo, nutrizionista) si consultano per pianificare la programmazione terapeutica sulla base delle condizioni cliniche del paziente e dell’estensione della malattia valutando rischi e benefici delle varie opzioni terapeutiche. Per la verifica degli altri parametri di qualità del trattamento radioterapico si rimanda al rapporto ISTISAN 04-34 sull’“Indicazione per l’assicurazione di qualità nella radioterapia conformazionale”. 9.3 Oncologia Criteri di minima Sono richiesti i seguenti requisiti minimi: > di 20 nuovi casi osservati all’anno, > di 10 nuovi casi trattati l’anno, > 8 poltrone in DH, disponibilità di degenza non specialistica, eseguire la prima visita a più di 1 settimana dalla richiesta, completare la stadiazione in più di 2 settimane dalla prima visita ed iniziare la terapia entro 4 settimane dalla decisione terapeutica. Presenza di una pubblicazione nell’anno. Criteri per l’eccellenza Sono previsti i seguenti requisiti: • > di 40 nuovi casi osservati l’anno • >20 nuovi casi trattati l’anno • > 12 poltrone in DH • almeno 4 dei seguenti 7 requisiti: degenza specialistica, disponibilità degenza specialistica, gestione in ambito di Continuous Care, DEA, UFA, Disponibilità di caratterizzazione biomolecolare, Disponbilità di farmaci target. Uso di archivio/cartella in formato elettronico. Devono inoltre essere soddisfatti almeno 3 dei seguenti requisiti organizzativi: • eseguire la prima visita in meno di una settimana dalla richiesta • completare la stadiazione in di due settimane • iniziare la terapia entro due settimane dalla prescrizione • programmare settimanalmente una riunione multidisciplinare (Oncologo, 47 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Patologo, Radioterapista, Radiodiagnosta, Chirugo, Palliativista), disporre almeno settimanalmente di ambulatorio per impianti CVC e di ambulatorio per terapia nutrizionale, per terapia del dolore, consulenza psicologica e psichiatrica. Per quantto riguarda la attività di ricerca deve essere soddisfatto 1 dei 3 seguenti: • adesione a protocolli nazionali ed internazionali • più di 3 pubblicazioni anno • partecipazione a studi multicentrici. Criteri per l’eccellenza Per raggiungere l’eccellenza il numero di ecografie,TC e RM in pazienti con neoplasie della testa e del collo deve essere di 50 in almeno due delle tre metodiche. Deve essere inoltre essere presente uno dei due seguenti requisiti: TC-PET, RM > 3 tesla. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo • • 9.5 Anatomia Patologica Criteri di minima Si richiede la refertazione secondo linee guida validate in almeno 20 pazienti e la possibilità di eseguire indagini di tipo immunoistochimico. • 9.4 Diagnostica per immagini Criteri di minima I criteri di minima prevedono l’esecuzione di almeno 20 ecografie, 20 TC e 20 RM in pazienti con neoplasie della testa e del collo per studio del tumore primitivo e dei linfonodi del collo. Criteri per l’eccellenza Il numero di refertazioni secondo linee guida validate deve essere almeno di 50 e deve esistere oltre alla possibilità di eseguire indagini di tipo immunoistochimico in un laboratorio di biologia molecolare. • • 10. Bibliografia Macmillan et al. (Int J Radiat Oncol Biol Phys 2007;68:864-872). Int J Radiat Oncol Biol Phys. 2007; 68(3): 864-72. Pfister DG, Su YB, Kraus DH, et al. Concurrent Cetuximab, Cisplatin, and Concomitant Boost Radiotherapy for Locoregionally Advanced, Squamous Cell Head and Neck Cancer: A Pilot Phase II Study of a New Combined-Modality Paradigm. J Clin Oncol 2006; 24:1074-1078. Rosenthal DI, Lewin JS, Eisbruch A. Prevention and treatment of dysphagia and aspiration after chemoradiation for head and neck cancer. J Clin Oncol 2006; 24: 2636-2643. Eisbruch A, Ten Haken RK, Kim HM, et al. Dose, volume and function relationships in parotid salivary glands following conformal and intensity-modulated irradiation of head and neck cancer. 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In considerazione dell’alto tasso di tumori metacroni potrebbero essere presi in considerazione per i tumori early testa collo protocolli di chemioprevenzione. Bibliografia • Mesic JB, Fletcher GH, Goepfert H et al. “Irradiation of epithelial tumors of the nasopharynx”. Int J radiat Bio Phys 1981: 7: 447-453. Malattia moderatamente avanzata e resecabile stadio III e IVa Il trattamento integrato con cisplatino in monochemioterapia deve essere considerato il trattamento standard nei pazienti ad alto rischio in setting adiuvante. Bibliografia • Bernier J, Domengue C, Ozsahin M, et al. Postoperative irradiation with or wi- • • thout concomitant chemotherapy for locally advanced head and neck cancer. N Engl J Med 2004; 350: 1945-1952. Cooper JS, PajakTF, Forastieere AA, et al. Postoperative concurrent radiotherapy and chemotherapy for high risk squamous-cell carcinoma of the head and neck. N Engl J Med 2004; 350: 1937-1944. Bernier J. Cooper JS, PajakTF, et al. Defining risk level in locally advanced head and neck cancer: a comparative analysis of concurrent postoperative radiation plus chemotherapy trials of the EORTC and RTOG. Head and Neck 2005; 27: 843-850. Tumori “moderatamente” avanzati stadio III e IV Setting adiuvante La valutazione del paziente è critica e fondamentale per la programmazione terapeutica dei tumori avanzati testa-collo e deve considerare le condizioni generali (PS), l'età, la presenza di patologie concomitanti, lo stile di vita, abuso di alcool ed esposizione al fumo di tabacco, la situazione socioeconomica del paziente, i sintomi all’esordio, la presenza di sintomi funzionali e l’eventuale perdita di peso. La chemioterapia trova indicazione in associazione alla radioterapia dopo chirurgia nei pazienti ad alto rischio in condizioni generali buone e discrete. Due studi randomizzati di fase III (RTOG 95-01 LEORTC 22931) hanno consentito di definire i pazienti ad alto rischio di recidiva (diffusione di malattia extracapsulare, interessamento linfonodale multiplo, invasione vascolare, linfatica e/o perineurale) e di dimostrare un significativo vantaggio in DFS, controllo locale e nella metanalisi di Bernier confermare il vantaggio in sopravvivenza mediante trattamento integrato radio-chemioterapico con CDDP 100 mg/mq, q 21x3 vs la sola RT. Pagina Il trattamento dei tumori avanzati testa-collo (HNSCC), stadio III e IV di malattia, è necessariamente multidisciplinare. La gestione del paziente affetto da neoplasia del distretto cervico-facciale è estremamente complessa e richiede la presenza non solo del Chirurgo Otorinolaringoiatra, del Radioterapista e dell’Oncologo, ma anche del Patologo, del Chirurgo Plastico, del Radiologo, del Nutrizionista e del Foniatra. Nei pazienti non chirurgici in prima battuta, la chirurgia mantiene un ruolo importante per l’asportazione di eventuali residui di malattia dopo il trattamento radio-chemioterapico, dissezione linfonodale profilattica del collo nei casi con coinvolgimento massivo linfonodale alla presentazione. Numerosi studi sono stati realizzati al fine di verificare e confermare l’efficacia (in termini di controllo locale e sopravvivenza) del trattamento chemio-radioterapico concomitante e di definirne il ruolo nei carcinomi squamosi del cavo orale, orofaringe, ipofaringe, laringe e rinofaringe. La chemio-radioterapia è un trattamento integrato in cui entrambe le metodiche svolgono un importante effetto citocida indipendente a cui si somma 49 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici l’effetto addizionale legato al sinergismo terapeutico pertanto il numero somministrazioni e il loro dosaggio è critico, anche in considerazione del miglior compromesso tra tossicità ed efficacia. Non esistono dati comparativi tra i diversi regimi d’integrazione di chemio e radioterapia. Tuttavia la combinazione con cisplatino può essere considerata uno standard adeguato e rappresenta l'opzione di prima scelta. Anche l'associazione con il cetuximab è da considerarsi un trattamento adeguato soprattutto in relazione al buon profilo di tossicità in mancanza di un confronto diretto verso il regime di associazione standard con il cisplatino. Infatti, il trattamento chemio-radioterapico è una terapia a elevata complessità per l’insorgenza di effetti tossici acuti tipici di entrambe le metodiche, come le stomatiti e la depressione midollare che devono essere affrontate con competenza specifica al fine di minimizzare riduzioni dei dosaggi, dilazioni delle somministrazioni, omissioni, in grado di ridurre significativamente l’efficacia del trattamento. Non vi è un consenso generale sulla migliore dose e schema di frazionamento della radioterapia in associazione alla chemioterapia. La maggior parte degli studi ha valutato frazionamenti convenzionali per una dose totale di 70 Gy in associazione al cisplatino in monochemioterapia somministrato ogni 21 gg al dosaggio di 100mg/m2. L’efficacia del trattamento combinato diminuisce all’aumentare dell’età e, dopo i 70 anni, non è provato alcun beneficio con l’aggiunta di un farmaco chemioterapico al trattamento radioterapico standard. Il trattamento radio-chemioterapico integrato concomitante è da considerarsi l’approccio non chirurgico standard nel trattamento dei tumori avanzati testa-collo (HNSCC), stadio III e IV di malattia. In pazienti con adeguato PS. Bibliografia • Pignon JP, Bourhis J, Domenge C, Designé L. Chemotherapy added to locore- • • • • • • gional treatment for head and neck squamous-cell carcinoma: three meta-analyses of updated individual data. MACH-NC Collaborative Group. Meta-Analysis of Chemotherapy on Head and Neck Cancer. Lancet. 2000; 355(9208): 949-55. Pignon JP, le Maître A, Bourhis J. MACH-NC Collaborative Group. Meta-Analyses of Chemotherapy in Head and Neck Cancer (MACH-NC): an update. Int J Radiat Oncol Biol Phys. 2007; 69(2 Suppl): S112-4. Bonner JA, Harari PM, Giralt J, et al. Radiotherapy plus cetuximab for squamouscell carcinoma of the head and neck. N Engl J Med. 2006; 354(6): 567-78. Forastiere AA, Trotti A, Pfister DG, Grandis JR. 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Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti nel controllo locale di malattia con la radioterapia, la chirurgia e il trattamento concomitante chemio-radioterapico, e grazie all’introduzione di nuovi farmaci, è stato rivalutato il ruolo della chemioterapia d’induzione. La chemioterapia a 3 farmaci (TPF, docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75 mg/mq g1, 5fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) ha dimostrato di essere superiore allo schema a 2 farmaci (PF, cisplatino 100 mg/mq g1, 5fluorouracile 1000 mg/mq/die gg1-5, q21) nella malattia localmente avanzata. Studi di fase III, che hanno comparato la terapia d’induzione con cisplatino e 5-fluorouracile con o senza taxani seguita dallo stesso trattamento locoregionale, hanno dimostrato maggiori tassi di risposta e di preservazione d’organo, un aumento della DFS e in alcuni casi della OS per i pazienti trattati con il regime a 3 farmaci. L’aggiunta dei taxani non peggiora la tossicità dell’intero trattamento. Nonostante ciò, un chiaro vantaggio in OS dall’aggiunta della terapia d’induzione alla CHT-RT non è stato ancora dimostrato. Uno studio a 3 bracci che comparava cisplatino-radioterapia concomitante alla terapia d’induzione con TPF o PF seguiti da cisplatino-radioterapia ha riportato una diminuzione del tempo a progressione ma nessuna differenza in OS. Pertanto il trattamento d’induzione è ancora da considerarsi “sperimentale”. Nella pratica clinica, la chemioterapia d’induzione è fortemente raccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata con importante interessamento linfonodale (N3) e nei pazienti ad alto rischio di metastasi a distanza. Attualmente non sono disponibili studi di fase III che confrontino il cisplatino e il cetuximab in associazione alla radioterapia, pertanto al termine del trattamento d’induzione non esiste un regime radio-chemioterapico standard7. Il cetuximab è considerato una valida alternativa terapeutica nei pazienti unfit per un trattamento radio-chemioterapico con cisplatino ad alte dosi. Bibliografia • Pignon JP, Bourhis J, Domenge C, Designé L. Chemotherapy added to locore- • • • • • • Chemioterapia di induzione Gli studi pubblicati negli anni ’80 e ’90 sulla chemioterapia d’induzione seguiti da radioterapia e/o chirurgia nei tumori testa-collo non hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza con l’aggiunta della chemioterapia. Pagina gional treatment for head and neck squamous-cell carcinoma: three meta-analyses of updated individual data. MACH-NC Collaborative Group. Meta-Analysis of Chemotherapy on Head and Neck Cancer. Lancet. 2000; 355(9208): 949-55. Hitt R, López-Pousa A, Martínez-Trufero J, et al. Phase III study comparing cisplatin plus fluorouracil to paclitaxel, cisplatin, and fluorouracil induction chemotherapy followed by chemoradiotherapy in locally advanced head and neck cancer. 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Gli studi fino ad ora eseguiti hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile in termini di preservazione d’organo tra chemioterapia d’induzione seguita da radioterapia e chemioradioterapia concomitante in confronto alla radioterapia da sola, mentre la sopravvivenza globale a 5 anni è simile per tutte le modalità di trattamento. Al fine di preservare l’organo, il trattamento di scelta è la chemioterapia d’induzione secondo lo schema TPF (docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75 mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) per 3 cicli, seguito da rivalutazione strumentale: in caso di risposta parziale viene eseguito il trattamento chemio-radioterapico, altrimenti è raccomandata la chirurgia. Uno studio di fase III randomizzato che arruolava pazienti con tumori della testa e del collo in fase avanzata non ha registrato nessuna differenza tra CDDP-5FU vs CDDP-TAX. L’iperespressione di EGFR è stata evidenziata in oltre il 90% dei carcinomi squamosi della testa e del collo. Questa scoperta ha aperto la strada all’utilizzo degli inibitori di EGFR, come l’anticorpo monoclonale cetuximab. Degno di nota è lo studio EXTREME, uno studio randomizzato di fase III che ha arruolato 442 pazienti con carcinoma squamoso ricorrente o metastatico. Tale studio ha mostrato come l’aggiunta del cetuximab ad un regime con CDDP/5FU o carboplatino/5FU ha migliorato la sopravvivenza mediana rispetto alla chemioterapia standard (10.1 mesi vs 7.4, P=.04). Anche i tassi di risposta sono aumentati con la terapia con cetuximab (20% fino a 35%). Vermorken et al, hanno inoltre dimostrato che i pazienti con stabilità di malattia che hanno ricevuto chemioterapia con cetuximab possono continuare la terapia con biologico fino a tolleranza o progressione. Bibliografia • Vermorken JB, Trigo J, Hitt R, et al. Open-label, uncontroller, multicenter phase II Bibliografia • Lefebvre JL, Chevalier D, Luboinski B, Kirkpatrick A, Collette L, Sahmoud T. La- • • rynx preservation in pyriform sinus cancer: preliminary results of a European Organization for Research and Treatment of Cancer phase III trial. EORTC Head and Neck Cancer Cooperative Group. J Natl Cancer Inst. 1996; 88(13): 890-9. Forastiere AA, Goepfert H, Maor M, et al. Concurrent chemotherapy and radiotherapy for organ preservation in advanced laryngeal cancer. N Engl J Med. 2003; 349(22): 2091-8. Forastiere AA, et al. Induction chemotherapy plus radiation compared with surgery plus radiation in patients with advanced laryngeal cancer. The Department of Veterans Affairs Laryngeal Cancer Study Group. N Engl J Med. 1991; 324(24): 1685-90. • • • • Malattia metastatica L’obiettivo del trattamento nei pazienti con malattia metastatica è la palliazione o il prolungamento della sopravvivenza. Le misure di palliazione si estrinsecano in trattamenti radioterapici di regioni sintomatiche, radioterapia antalgica e trattamento locale di alcuni aspetti della malattia. Ma per la maggior parte dei pazienti con malattia metastatica l’esclusivo trattamento chemioterapico rappresenta il trattamento standard. In ogni caso il trattamento standard del paziente metastatico dovrebbe essere dettato da attenta valutazione del PS, tossicità legate al trattamento ed aspettativa di vita. Sia la mono che la polichemioterapia sono ampiamente utilizzate. I tassi di risposta relativi ad un trattamento con singolo agente vanno dal 15 al 35%. Gli agenti chemioterapici che risultano attivi in monoterapia sono cisplatino, carboplatino, taxol, taxotere, 5FU, methotrexate, ifosfamide, bleomicina, gemcitabina (per il carcinoma del rinofaringe) e cetuximab. Schemi attivi di polichemioterapia includono: • cisplatino o carboplatino, più 5FU e cetuximab • cisplatino o carboplatino più taxano • cisplatino con cetuximab • cisplatino con 5FU. Questi regimi raddoppiano la risposta rispetto alla monochemioterapia. Trials randomizzati che mettevano a confronto regimi contenti cisplatino con monochemiterapie hanno dimostrano tassi significativamente maggiori di risposta nei bracci trattati con polichemioterapia platino-basate. Tuttavia non si sono registrate differenze in termini di sopravvivenza globale. Pagina • • • • • • study to evaluate the efficacy and toxicity of cetuxiamb as a single angent in patients with recurrent and/or metastatic squamous cell cardinoma of the head and neck who failed to respond to platinum-based therapy. JCO 2007; 25: 2171-2177. Colevas AD. Chemotherapy options for patients with metastatic or recurrent squamous cell carcinoma of the heaf and neck. JCO 2006; 24: 2644-2652. Forastiere AA, Shank D, Neuberg D, et al. Final report of a phase II evaluation of paclitaxel in patients with advanced squamous cell carcinoma of the head and neck: an Eastern Cooperative Oncology Group trial (PA390). Cancer 1998; 82: 2270-2274. Gibson MK, Li Y, Murphy B, et al. 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A phase III study of the EORTC Head and Neck Cancer Cooperative Group. Ann Oncol. 1994; 5(6): 521-6. 51 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide Coordinatore: R. Bellantone Linee guida SIE-AIMN-AIFM, 2004 Consensus statement European Thyroid Cancer Taskforce, 2006 Linee guida British Thyroid Association, 2007 Nodulo Tiroideo “Consensus Citologico” SIAPEC-IAP, 2007 2a Consensus Conference dell’Associazione delle Unità di Endocrinochirurgia Italiane (CLUB delle U.E.C.), 2002 aggiornato 2008 Linee guida American Thyroid Association, 2009 Thyroid nodule guideline AACE-AME-ETA, 2010 Hanno collaborato alla stesura del manoscritto: R. Bellantone, A. Pontecorvi, A. Giordano, M. Salvatori, G. Fadda, S. Filetti, M. D’Armiento, G. De Toma, A. Redler, E.o De Antoni, F. Nardi, M. Appetecchia, V. Toscano, F. Scopinaro, C. Bellotti, P. Grilli, E. Papini, D. Lauro, A. Bellia, L.Gaspari, P. Marini, G.B. Grassi G. Longo, M. Centanni, M. Sacchi, V. Rossi, E. Nanni, G. Argirò, C. Rabitti, A. Camaioni, D. Alberti Pagina 52 Pagina 53 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. 2. 3. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide 1. Carcinomi differenziati della tiroide Carcinomi differenziati della tiroide 1.1 Introduzione 1.2 Percorso diagnostico 1.3 Intervento chirurgico 1.4 Valutazione postoperatoria 1.5 Fattori prognostici e sistemi di stadiazione 1.6 Trattamento con radioiodio 1.7 Terapia ormonale e trattamento con levotiroxina (LT4) 1.8 Terapia radiante esterna 1.9 Chemioterapia 1.10 Follow-up 1.11 Bibliografia Pagina 55 Carcinoma midollare della tiroide 2.1 Introduzione 2.2 Percorso diagnostico 2.3 Trattamento chirurgico del CMT sporadico (SCMT) 2.4 Terapia radiante esterna e chemioterapia 2.5 Prognosi 2.6 Bibliografia Pagina 60 Carcinoma anaplastico della tiroide 3.1 Terapia radiante esterna e chemioterapia 3.2 Bibliografia Pagina 62 Pagina 55 Pagina 55 Pagina 56 Pagina 56 Pagina 56 Pagina 58 Pagina 58 Pagina 58 Pagina 59 Pagina 59 Pagina 59 Pagina 60 Pagina 60 Pagina 61 Pagina 61 Pagina 61 Pagina 62 Pagina 63 Pagina 63 1.1 Introduzione Il carcinoma della tiroide è la forma tumorale più frequente tra le neoplasie endocrine e rappresenta circa il 2% di tutti i tumori maligni. L’incidenza del tumore della tiroide è in progressivo e significativo aumento: in Italia vengono diagnosticati 2579 nuovi casi/anno tra le donne e 675 nuovi casi/anno tra gli uomini. Da un punto di vista anatomo-patologico, il carcinoma tiroideo viene classificato in diversi istotipi a seconda dell’epitelio di origine. I carcinomi tiroidei differenziati (CTD), ovvero il carcinoma papillare e follicolare con i loro sottotipi, rappresentano gli istotipi più frequenti e originano dall’epitelio follicolare. Altri sottotipi, includono il carcinoma midollare, derivante dalle cellule parafollicolari, e i carcinomi non differenziati come il carcinoma anaplastico, che si ipotizza derivi dalla progressiva sdifferenziazione di carcinomi inizialmente a partenza dall’epitelio follicolare. Il carcinoma papillare, sia nella sua variante follicolare che in quella papillare pura, è l’istotipo più frequente ed infatti rappresenta oltre l’80% delle neoplasie maligne della tiroide. Benché i CTD siano efficacemente curabili, il loro trattamento e follow-up rimangono oggetto di controversia. Ciò è in parte dovuto all’assenza di evidenze cliniche di livello I o II (trials clinici prospettici randomizzati o controllati), rese difficoltose dal protratto rischio di recidiva della neoplasia e dalla sua bassa aggressività biologica. Infatti la maggior parte dei dati clinici riguardanti i CTD sono basati su evidenze di III e IV livello e, pertanto, desunte da ampi studi retrospettivi. Al fine di perseguire un ottimale inquadramento diagnostico terapeutico dei carcinomi tiroidei sarebbe auspicabile la costituzione di un team multidisciplinare di base costituito da un endocrinologo, un chirurgo endocrino, un medico nucleare e un anatomo-patologo, cui dovrebbero inoltre afferire anche altri specialisti in diagnostica per immagini e personale infermieristico dedicato. Obiettivi delle Linee Guida per il trattamento del CTD sono: • stabilire dei criteri di appropriatezza diagnostica • fornire criteri razionali e condivisi per migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti • rendere più efficiente ed efficace l’iter diagnostico-terapeutico della malattia. 1.2 Percorso diagnostico 4. Sistema di qualità della rete oncologica regionale per i tumori della tiroide - maggio 2011 4.1 Sistema di qualità in chirurgia della tiroide 4.2 Sistema di qualità in endocrinologia 4.3 Sistema di qualità in medicina nucleare Pagina 54 Pagina 63 Pagina 63 Pagina 64 Pagina 65 La diagnostica della patologia nodulare tiroidea deve essere essenziale e mirata non solo alla definizione della malattia oggetto di studio, ma anche all’indicazione terapeutica. Può essere eseguita in regime ambulatoriale e prevede: Esami di livello Ecografia/Eco-color-doppler al fine di valutare: • presenza, caratterizzazione morfologica e sede di noduli con caratteri ecografici sospetti per malignità (pattern nodulare ipoecogeno, presenza di microcalcificazioni intranodulari, assenza o interruzione della continuità dell’alone periferico di demarcazione, margini irregolari, pattern vascolare sospetto, rapporto tra nodulo e capsula tiroidea) e pertanto meritevoli di ulteriore approfondimento diagnostico con agoaspirato eco- Pagina guidato per esame citologico • presenza di linfonodi locoregionali con caratteristiche sospette. Esami ematochimici: • TSH, fT4, Calcitonina, Ab-TG, Ab-TPO, Calcemia. Esami di II livello Esami ematochimici: • fosforemia e PTH se presente ipercalcemia • Ab r- TSH (in caso di sospetta patologia autoimmune e/o ipertiroidismo funzionale). Scintigrafia tiroidea: • in presenza di tireotossicosi sub-clinica o clinica in pazienti con gozzo nodulare all’ecografia • on caso di sospetta ectopia o gozzo mediastinico, a fini di caratterizzazione tessutale • on caso di nodulo con diagnosi di proliferazione follicolare all’esame citologico e TSH normale. Esame citologico su Agoaspirato ecoguidato (FNAC): • generalmente indicato in tutti i noduli solidi e “misti” ≥ 1.0 cm. In caso di gozzo plurinodulare l’indicazione all’agoaspirato deve essere posta non necessariamente per il nodulo dominante bensì per il nodulo con caratteri ecografici più significativi ovvero sospetti (ipoecogeni, con microcalcificazioni interne e margini non definiti) • nel caso di noduli con diametro ecografico compreso tra 0.5 ed 1.0 cm, l’indicazione all’agoaspirato eco-guidato può essere posta nei seguenti casi: - in età pediatrica - in soggetti con familiarità per carcinoma tiroideo - in presenza di segni ecografici sospetti per malignità - in caso di adenopatia loco-regionale sospetta per malattia metastatica - in presenza di storia di pregressa irradiazione della regione cervicale. In presenza di sospette metastasi linfonodali locoregionali, può essere eseguito il dosaggio della tireoglobulina nel liquido di lavaggio ottenuto dopo FNAC. E’ opportuno che l’agoaspirato sia eco-guidato e che l’adeguatezza del campione sia certificata nel referto. Il referto citologico deve essere descrittivo e, ove possibile, porre una conclusione diagnostica inequivocabile, preferibilmente corredata da un codice numerico che indica una categoria di lesioni omogenee per rischio di malignità ed opzione terapeutica (tabella 1). Tabella 1. Nodulo tiroideo: “Consensus Citologico” SIAPEC-IAP, 2007 Classificazione italiana - TIR TIR 1 Non diagnostico <15% TIR 2 Negativo per cellule maligne 60-75% TIR 3 Indeterminato (Proliferazione Follicolare) Rischio di malignità 20 % 20% TIR 4 Sospetto di malignità 5% TIR 5 Positivo per cellule maligne 5-15% 55 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Esami di III livello Fibroscopia laringea: E’ consigliabile l’esecuzione preoperatoria routinaria della fibroscopia laringea al fine di valutare l’integrità delle corde vocali e della loro motilità. Tale indagine è indispensabile nelle seguenti situazioni cliniche: • in presenza di disfonia; • nei casi di reintervento per recidiva benigna o maligna; • nel caso di voluminoso gozzo mediastinico; • nel carcinoma tiroideo localmente avanzato. TC/RM: • gozzo intratoracico o con importante componente retrosternale; • in caso di CTD localmente avanzato è preferibile utlizzare la RM al fine di prevenire interferenze da m.d.c organoiodato nel caso di successiva terapia con radioiodio. 1.3 Intervento chirurgico Consenso Informato E’ necessario che il chirurgo informi adeguatamente il paziente sulle indicazioni al trattamento chirurgico, le eventuali terapie alternative, i vantaggi attesi dall’intervento, i possibili rischi e complicanze, le eventuali terapie riabilitative e sull’eventuale condizione clinica in caso di lesioni permanenti postoperatorie. L’informazione fornita deve avere i requisiti della chiarezza espositiva e della esaustività delle notizie fornite. E’ opportuno che le fasi dell’informazione e del consenso si svolgano già al momento della prima visita e nuovamente in occasione del ricovero, al fine di consentire al paziente un approfondimento delle informazioni ricevute e l’eventuale acquisizione di referenze sulla struttura ospedaliera che dovrà accoglierlo o sul chirurgo che dovrà operarlo. E’ necessario che il consenso informato sia redatto per iscritto e ne rimanga traccia in cartella clinica. Chirurgia del tumore primitivo Il trattamento chirurgico deve soddisfare i seguenti requisiti: • maggiore radicalità possibile al fine di eliminare tutti i focolai tumorali • tendere ad ottenere una guarigione chirurgica definitiva con bassa incidenza di recidive locali • essere associato ad una bassa incidenza di complicanze postoperatorie. Il trattamento chirurgico del carcinoma differenziato tiroideo si basa sulla tiroidectomia totale. Un intervento chirurgico conservativo (lobo-istmectomia) può trovare una sua limitata indicazione nei casi di carcinoma papillare unifocale di diametro <1.0 cm diagnosticato in maniera incidentale, dopo completa informazione e consenso del paziente. Il ricorso alla tiroidectomia totale è giustificato dall’elevata frequenza della multifocalità e dalla possibilità di facilitare in tale maniera sia l’eventuale terapia con radioiodio che il successivo follow-up attraverso il dosaggio della tireoglobulina. Chirurgia delle metastasi linfonodali Metastasi linfonodali loco-regionali alla diagnosi sono state documentate nel 20-90% dei pazienti affetti da carcinoma papillare della tiroide. L’impatto prognostico del coinvolgimento metastatico del compartimento centrale (livelli VI-VII) nei casi a basso rischio viene ritenuto trascurabile, mentre nei casi ad alto rischio recenti evidenze della letteratura sembrano dimostrare che tale situazione rappresenti un fattore indipendente di rischio prognostico predittivo di recidiva locale e di diminuita sopravvivenza (cfr paragrafo 5). Pagina A causa della bassa sensibilità e specificità delle tecniche di imaging oggi disponibili lo status linfonodale del compartimento centrale non sempre è correttamente stadiato in fase pre-operatoria. Inoltre anche la valutazione intraoperatoria del compartimento centrale non sempre è in grado di escludere con certezza la presenza di metastasi linfonodali. Alla luce di questi dati alcuni autori consigliano l’esecuzione routinaria, in molti casi profilattica, della linfoadenectomia del compartimento centrale al fine di migliorarne la stadiazione (N0 vs N1) ed il successivo iter terapeutico soprattutto in termini di indicazione al trattamento con radioiodio. La mancanza di studi prospettici randomizzati in grado di dimostrare un significativo vantaggio in termini di riduzione delle recidive locali e di aumento della sopravvivenza assoluta nei pazienti sottoposti a linfoadenectomia profilattica del compartimento centrale, non permette di raccomandare l’esecuzione routinaria di tale trattamento, anche in considerazione dell’aumentato rischio di ipoparatiroidismo e di lesioni ricorrenziali postoperatorie. La linfadenectomia profilattica del compartimento centrale deve comunque essere presa in considerazione nei pazienti considerati ad alto rischio e nei casi di tumori localmente avanzati. Nella grande maggioranza dei casi la linfoadenectomia del compartimento centrale deve essere quindi terapeutica. La linfadenectomia del compartimento latero-cervicale (livelli II-III-IV-V) omolaterale e/o controlaterale alla lesione deve essere eseguita solo in caso di metastasi linfonodali documentate all’ecografia e/o con esame citologico e/o con dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio dell’agospirato e/o in caso di metastasi linfonodali dimostrate dall’esame istologico estemporaneo nel corso dell’esplorazione chirurgica. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide Tabella 2. Stadiazione TNM 7^ edizione (2010), Carcinoma Papillare e Follicolare della Tiroide T1 Diametro del tumore ≤ 2cm, nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide. (T 1a ≤ 1 cm, T1b > 1 cm) T2 Diametro del tumore superiore a 2 cm ma inferiore a 4 cm, nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide T3 Tumore superiore a 4 cm nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide o con minima estensione extratiroidea (p.e. estensione al muscolo sternotiroideo o ai tessuti molli peritiroidei) T4a Tumore di qualsiasi diametro esteso oltre la capsula tiroidea con invasione dei tessuti molli sottocutanei, laringe, trachea, esofago, nervo laringeo ricorrente T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale, i vasi mediastinici o infiltra l’arteria carotide Tx Diametro del tumore non noto, ma senza invasione extratiroidea Nota: le categorie T1, T2 e T3 devono essere suddivise in (s) tumore singolo e (m) tumore multifocale. La lesione più grande determina la classificazione T. Tutti i carcinomi anaplastici sono considerati tumori T4. Linfonodi regionali N0 Non metastasi nei linfonodi regionali N1a Metastasi linfonodali del compartimento centrale (VI livello) (pretracheali, paratracheali inclusi i prelaringei e i linfonodi Delfici) N1b Metastasi linfonodali latero-cervicali (II-III-IV-V livello) omolaterali, bilaterali o controlaterali o mediastinici superiori (VII livello) Nx I linfonodi regionali non possono essere valutati Metastasi a distanza M0 Non metastasi a distanza M1 Metastasi a distanza Mx Le metastasi a distanza non possono essere valutate 1.4 Valutazione postoperatoria Nell’immediato post-operatorio tutti i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico devono essere adeguatamente monitorati allo scopo di accertare l’eventuale presenza di complicanze chirurgiche, come ad esempio ematoma cervicale, deficit ricorrenziali ed ipoparatiroidismo. Il referto istologico deve essere valutato facendo particolare riferimento alle dimensioni della neoplasia, all’istotipo e variante istologica, al grado di differenziazione, all’uni o multifocalità delle lesioni, alla monolateralità o bilateralità dei foci tumorali, alla presenza di angioinvasività, al superamento della capsula tiroidea, all’infiltrazione delle strutture adiacenti, alla presenza, sede e numero di metastasi linfonodali. Tale valutazione deve consentire una stadiazione post-operatoria elaborata utilizzando la classificazione TNM, successivamente integrata con il risultato della eventuale scintigrafia corporea globale post-dose ablazione con 131I. 1.5 Fattori prognostici e sistemi di stadiazione Nella gestione del CDT viene raccomandato di utilizzare sistemi di stratificazione del rischio a fini prognostici, allo scopo sia di decidere le strategie terapeutiche post-chirurgiche, inclusa la terapia ablativa con 131I ed il grado di terapia soppressiva con LT4, sia per definire modalità e frequenza del follow-up. I principali fattori prognostici utilizzati nel management del CDT sono l’età, l’istotipo e l’estensione del tumore. L’età al momento della diagnosi è uno dei fattori prognostici più importanti nei pazienti con CDT. Il rischio di recidiva si correla con l’età, aumentando in età adolescenziale e dopo i 45 anni. Tuttavia in età pediatrica il CDT, pur essendo caratterizzato da un’aggressività più elevata con frequenti metastasi locoregionali e polmonari alla dia- 56 gnosi, mostra una prognosi ancora più favorevole di quella dell’adulto. Per quanto riguarda l’istotipo, il carcinoma papillare mostra una prognosi complessivamente migliore di quella del carcinoma follicolare. Tuttavia, se gli effetti confondenti legati all’età ed all’estensione della neoplasia vengono eliminati, la sopravvivenza del carcinoma papillare e quella del carcinoma follicolare minimamente invasivo appaiono analoghe. Nell’ambito del carcinoma papillare alcune varianti istologiche, come quella a cellule alte, la variante colonnare e la sclerosante diffusa, sono associate ad una prognosi più sfavorevole. In maniera analoga anche il carcinoma follicolare presenta prognosi peggiore in caso di estesa invasività locale ed in presenza di varianti istologiche scarsamente differenziate. Il rischio di recidiva e quello di mortalità tumore-specifica sono correlati in maniera significativa con le dimensioni del tumore, l’invasione extratiroidea, la presenza di metastasi linfonodali e la presenza di metastasi a distanza. L’importanza del fattore prognostico relativo all’estensione iniziale della neoplasia è sottolineato dal fatto che l’Unione Internazionale contro il Cancro (UICC) e la American Joint Committee on Cancer (AJCC) hanno messo a punto un sistema di stadiazione del carcinoma tiroideo basato sul sistema TNM (tabella 2 e 3). Tuttavia, mentre il sistema TNM si dimostra accurato nella previsione del rischio di recidiva nei pazienti con età superiore a 45 anni, nei soggetti di età inferiore a 45 anni la suddivisione in due sole classi (stadio I e II) non fornisce uno strumento adeguato a tale scopo. Per tale motivo, alcuni Autori hanno proposto sistemi di classificazione del rischio alternativi al TNM, come ad esempio quello riportato in tabella 4, che generalmente stratificano i pazienti con CDT in alto, medio e basso rischio di recidiva. Pagina Tabella 3. Stadiazione TNM 7^ edizione (2010), Carcinoma Papillare e Follicolare della Tiroide Stadio I Qualsiasi T Qualsiasi N M0 Stadio II Qualsiasi T Qualsiasi N M1 Stadio I T1, N0, M0 Stadio II T2, N0, M0 Stadio III T3, N0, M0 T1-T3, N1a, M0 Stadio IVA T4a, N0, M0 T4a, N1a, M0 T1-T3, N1b, M0 T4a, N1b, M0 Stadio IVB T4b Qualsiasi N M0 Stadio IVC Qualsiasi T Qualsiasi N, M1 Sotto i 45 anni Oltre i 45 anni 57 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 4. Classificazione del rischio di recidiva nel CDT Risk group definitions in differentiated carcinoma of the thyroid Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide zione a chemioterapia con Doxorubicina a basse dosi, a scopo radiosensibilizzante e con finalità palliativa. Nei soggetti non candidati all’intervento di asportazione chirurgica della metastasi o di stabilizzazione, la radioterapia esterna può essere utilizzata in alternativa o in associazione alla terapia con radioiodio. Low risk Intermediate risk Intermediate risk High risk Age (years) <45 <45 >45 >45 Distant metastasis M0 M+ M0 M+ 1.9 Chemioterapia T1, T2 (<4 cm) T3, T4 (>4 cm) T1, T2 (<4 cm) T3, T4 (>4 cm) Histology abd grade Papillary Follicular and/or high grade Papillary Follicular and/or high grade 5-year survival (%) 100 96 96 72 20-year survival (%) 99 85 85 57 L’uso aggiuntivo routinario della chemioterapia non ha alcun ruolo nella gestione dei pazienti con CDT. A tutt’oggi, non vi sono chiare e provate evidenze scientifiche che supportino l’impiego della chemioterapia somministrata a fini adiuvanti nel trattamento del CDT. La Doxorubicina potrebbe agire da agente radiosensibilizzante in alcuni casi di CDT e il suo uso potrebbe essere preso in considerazione per i pazienti con malattia localmente avanzata sottoposti a radioterapia esterna (cfr. paragrafo 8). La maggior parte degli studi che hanno valutato l’impatto della terapia sistemica nel CDT riguardano il trattamento della malattia metastatica polmonare non captante il radioiodio. Gli agenti citotossici tradizionali, quali la Doxorubicina e il Cisplatino, sono in genere associati a risposte parziali in meno del 25% dei casi; le remissioni complete sono osservate raramente e la tossicità associata a questi farmaci è rilevante. La Doxorubicina in monoterapia, unico trattamento approvato dalla US Food and Drug Administration per il CDT metastatico, è solo occasionalmente efficace quando si utilizzano dosi appropriate (60-75 mg/m2 ogni 3 settimane), sebbene le risposte durevoli siano rare. La maggior parte degli studi che utilizzano una combinazione di farmaci non dimostrano un aumento delle risposte rispetto alla monoterapia, ma dimostrano un aumento della tossicità. Un recente studio ha valutato l’effetto della chemioterapia di combinazione (Carboplatino ed Epirubicina), sotto stimolo del TSH (endogeno o rhTSH), dimostrando un tasso complessivo di risposta completa e parziale del 37%. Recentemente, studi clinici di fase II suggeriscono che la terapia antiangiogenica possa produrre tassi di risposta parziale fino al 31% e percentuali di stabilizzazione in un altro 40-50% dei pazienti con malattia metastatica progressiva. Benefici clinici della durata di almeno 24 settimane sono stati osservati in circa la metà dei pazienti. Questi dati devono essere confermati prima di poterne raccomandare l’uso routinario. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da poterli includere in un protocollo terapeutico. Tumor size 1.6 Trattamento con radioiodio Trattamento ablativo Con il termine trattamento ablativo con radioiodio (131I) si definisce la distruzione del tessuto tiroideo normale residuo dopo intervento chirurgico di tiroidectomia. Scopi del trattamento ablativo sono i seguenti: • distruggere eventuali microfocolai tumorali presenti nel tessuto tiroideo residuo, in maniera da ridurre il rischio di ripresa di malattia nella loggia tiroidea • possibilità di eseguire una TxWBS • facilitare il successivo follow-up aumentando l’accuratezza diagnostica del dosaggio della Tg e della DxWBS. L’indicazione al trattamento ablativo con radioiodio è argomento molto controverso. La bassa aggressività biologica, il lento decorso clinico della malattia e la conseguente assenza di studi prospettici randomizzati determinano la mancanza di evidenze di I o II livello sulla capacità del trattamento con 131I di ridurre, in tutti i casi, le recidive e di migliorare la sopravvivenza. Per tali motivi l’indicazione al trattamento ablativo viene posta in base a determinati fattori prognostici, classificando i pazienti in due categorie di rischio, ovvero basso e medio-alto rischio di recidiva. Pazienti a basso rischio Sono considerati a basso rischio i carcinomi papillari monofocali ed i carcinomi follicolari minimamente invasivi senza invasione vascolare, di dimensioni uguali o inferiori ad 1.0 cm, senza metastasi linfonodali o a distanza. Vengono considerati tali anche i pazienti con multifocalità quando la somma delle dimensioni dei singoli foci tumorali risulta inferiore ad 1.0 cm. In questi pazienti la prognosi dopo intervento chirurgico è cosi favorevole che ulteriori trattamenti non possono migliorarla in maniera significativa. In questi casi il trattamento ablativo con 131I di routine non è indicato, considerando gli inconvenienti di tipo pratico e psicologico per il paziente, il costo elevato ed i rischi, rari ma non assenti, legati al trattamento. Pazienti a rischio medio-alto Vengono considerati a rischio medio-elevato i pazienti con CDT con stadiazione superiore al pT1aN0M0, le varianti aggressive del carcinoma papillare e le neoplasie scarsamente differenziate in tutti gli stadi. In questi pazienti i vantaggi del trattamento sono dimostrati ed è indicato il trattamento ablativo. Sebbene la scelta dell’attività di 131I da somministrare per l’ablazione dei residui tiroidei sia argomento ancora controverso, la tendenza attuale è quella di modulare l’attività da somministrare in base alla classe di rischio di appartenenza. E’ sconsigliato il frazionamento dell’attività in somministrazioni multiple effettuate a distanza di pochi giorni l’una dall’altra. Pagina La verifica dell’efficacia ablativa (follow-up a breve termine) deve essere effettuata a distanza di 6-12 mesi dal trattamento con 131I attraverso DxWBS e dosaggio della Tg dopo stimolazione esogena o endogena del TSH. Trattamento delle metastasi Il trattamento con radioiodio è indicato in tutti i pazienti con metastasi iodocaptanti a distanza, polmonari, ossee o localizzate in altre sedi. Il trattamento risulta particolarmente efficace in caso di intensa capacità captante il radioiodio e per lesioni di piccole dimensioni. In caso di lesioni secondarie di grandi dimensioni e scarsamente captanti il radioiodio vanno presi in considerazioni trattamenti alternativi, come ad esempio quello chirurgico o la radioterapia a fasci esterni. 1.7 Terapia ormonale e trattamento con levotiroxina (LT4) I CDT esprimono il recettore del TSH sulla superficie cellulare e rispondono alla stimolazione con TSH aumentando la produzione di molte proteine tiroide-specifiche e incrementando la velocità di crescita cellulare. Per tale motivo la soppressione del TSH con ormoni tiroidei esogeni viene utilizzata per ridurre la progressione dei tumori e delle metastasi, diminuendo la prevalenza di recidive e di mortalità tumore-specifica. Si raccomanda di mantenere un valore di TSH inferiore a 0.1 mUI/ml nei pazienti a rischio medio o elevato, mentre nei pazienti a basso rischio, sottoposti o meno a trattamento ablativo, è sufficiente un valore di TSH pari o solo lievemente inferiore al range di normalità (0.1- 0.5 mUI/ml). 1.8 Terapia radiante esterna Nel trattamento del CDT il ruolo della radioterapia esterna è riservato soltanto a casi particolari, con finalità palliativa o per malattia localmente avanzata o non operabile. Il trattamento radiante è indicato in soggetti di età superiore a 45 anni, sottoposti ad intervento chirurgico incompleto o con recidiva locale o nei casi con documentata infiltrazione delle vie aeree superiori, digestive o dei tessuti molli per i quali il trattamento con radioiodio risulta inefficace. Benché l’efficacia della radioterapia esterna risulti controversa e non sia stato documentato un vantaggio in termini di sopravvivenza assoluta, in pazienti selezionati sottoposti a trattamento con dosi e modalità adeguate, questo trattamento può rappresentare un buon metodo per il controllo locale della malattia con bassa incidenza di recidive locali. Nei casi con estese recidive locali in cui non è possibile l’intervento chirurgico deve essere valutata l’opportunità di radioterapia esterna in associa- 58 un elevato grado di sorveglianza senza la necessità di eseguire una DxWBS. Nei pazienti a basso rischio, eventualmente sottoposti a trattamento ablativo e per i quali sia stata già verificata l’efficacia ablativa, si raccomanda di eseguire ecografia del collo e dosaggio della Tg a TSH soppresso a cadenza annuale. Nei pazienti a rischio medio o alto, sottoposti a trattamento ablativo e per i quali è stata già verificata l’efficacia ablativa, si raccomanda di eseguire nei primi anni di follow-up ecografia del collo in associazione al dosaggio della Tg dopo stimolo esogeno con rhTSH. In presenza di negatività del quadro ecografico e di valori indosabili di Tg stimolata negli anni successivi sarà sufficiente associare all’ecografia il dosaggio della Tg sierica basale. Nel follow-up a lungo termine della maggior parte dei pazienti a medio-basso rischio di recidiva si ricorre raramente all’uso di diagnostica strumentale come TC, RM, DxWBS e PET. La PET con 18 F-FDG può essere utilizzata nel follow-up dei pazienti che presentano elevati valori di Tg e DxWBS / TxWBS negativi allo scopo di evidenziare la sorgente di Tg. 1.11 Bibliografia • • • • • • • • • 1.10 FOLLOW-UP Scopo del follow-up è quello di verificare il mantenimento di una terapia ormonale adeguata alle caratteristiche del paziente, di identificare precocemente la comparsa di recidive e/o metastasi della malattia e di rilevare gli eventuali effetti indesiderati tardivi della terapia con radioiodio. Il follow-up deve essere diversificato in base alla categoria di rischio di appartenenza ed è distinto in follow-up a breve (verifica dell’efficacia ablativa) e lungo termine. In tutti i pazienti il controllo deve essere continuato a vita perché le recidive, anche se generalmente presenti nei primi anni del follow-up, possono comparire in tempi anche molto tardivi. Il valore del TSH e dell’FT4 devono essere verificati a cadenza annuale o tutte le volte che viene modificata la posologia della terapia ormonale. Il dosaggio della Tg deve essere effettuato secondo modalità indicate dalla relativa categoria di rischio, deve sempre essere associato al dosaggio degli AbTg ed essere eseguito sempre nello stesso centro. Nella maggioranza dei pazienti a basso rischio, che non vengono sottoposti a trattamento ablativo, l'ecografia del collo eseguita da operatori esperti ed il dosaggio della Tg sierica basale assicurano Pagina • • • • • AJCC Cancer Staging Manual, 6th edition. New York: Springer-Verlag, 2002. Asklen LA, Haldorsen T, Thoresen SO, Glattre E. Survival and causes of death in thyroid cancer: a population based study of 2479 cases from Norway. Cancer Res 1991; 51: 1234-1241. Benua RS, Leeper RD. A method and rationale for treating metastatic thyroid carcinoma with the largest safe dose of I-131. In: Medeiros-Neto G e Gaitan E (edit.) 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Genetica Sono state individuate talune mutazioni specifiche coinvolgenti il protoncogene RET, responsabili dello sviluppo del CMT. Il test genetico del protoncogene RET riveste, evidentemente, un ruolo primario nella diagnosi differenziale del CMT sporadico dalle forme familiari. Le forme sporadiche di CMT sono caratterizzate dalla presenza di mutazioni del protoncogene RET a livello delle cellule somatiche che coinvolgono prevalentemente i codoni 918 e 768. Nelle forme ereditarie di CMT sono note le seguenti mutazioni del gene RET a carico della linea germinale: • MEN2A: mutazioni del dominio extracellulare di RET a carico degli esoni 10 e 11, coinvolgenti i seguenti codoni: 609, 611, 618 e 620 di pertinenza dell’esone 10, ed il codone 630 e 634 a carico dell’esone 11 • MEN2B: soprattutto mutazioni a carico del codone 918 (in circa il 90% dei casi) dell’esone 16; tuttavia, sono state descritte altre mutazioni a carico dei codoni 604, 806, 883, 922 dell’esone 15 • fCMT: sono presenti in circa il 50% dei casi mutazioni a carico dei codoni 618 o 620 dell’esone 10; sono state anche descritte mutazioni a carico dei codoni 790, 791, 768, 804, 891 degli esoni 13-15. E’ stata descritta una buona correlazione genotipo-fenotipo caratteristica di ogni variante delle forme familiari di CMT derivante da mutazioni diverse del gene RET, per quanto riguarda l'aggressività ed il tempo di insorgenza del carcinoma midollare della tiroide. Le diverse mutazioni, infatti, sono state classificate in quattro classi di rischio crescente sulla base dell’aggressività del MTC: livello A, pazienti affetti principalmente da MTC familiare (mutazioni dell’esone Pagina 13 [codoni 768, 790], esone 14 [codone 804] ed esone 15 [codone 891]), considerati a basso rischio, con comparsa della neoplasia in età adulta; livello B, pazienti affetti da MTC principalmente nell’ambito di MEN2A (mutazioni dell’esone 10 [codoni 609, 611, 618, 620 ] ed esone 11 [codone 630]), considerati a rischio intermedio con esordio precoce della malattia ed indicazione ad eseguire una tiroidectomia profilattica all’età di 5 anni; livello C, pazienti affetti da MTC esclusivamente nell’ambito di MEN2A, con mutazione dell’esone 11 [codone 634], che condiziona l’insorgenza di forme più aggressive del MTC rispetto alle altre mutazioni delle MEN2A, con esordio prima dei 5 anni di vita (tiroidectomia profilattica entro il quinto anno di vita); livello D, pazienti con presentano tipicamente la MEN2B (mutazioni dell’esone 15 [codone 883] ed esone 16 [codone 918]) a più alto rischio di sviluppo precoce della neoplasia, di evoluzione aggressiva del MTC con malattia metastatica anche alla diagnosi (tiroidectomia profilattica entro il primo mese di vita). Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide Test di stimolo della CT Il test consiste nella somministrazione di sostanze stimolanti la secrezione della calcitonina e nella successiva misurazione dei valori plasmatici di tale ormone. I prelievi di sangue per dosare la CT vengono eseguiti 5 minuti prima (prelievo basale di CT) e a 1, 2, 3, 5,10 minuti dopo l’iniezione di pentagastrina (0,5 mg/kg). Il test può essere eseguito anche con iniezione di calcio gluconato (2mg/kg/min), oppure con iniezione di entrambe le sostanze contemporaneamente. Il risultato viene valutato in base al picco massimo nei prelievi successivi all’inizio del test. In accordo con il “Groupe d’etude des tumeurs” il valore della calcitonina dopo stimolazione alla pentagastrina (sCT) viene definito normale, quando il picco massimo risulti essere inferiore a 30 pg/ml, mentre viene considerato patologico quando il picco massimo è ≥ 100 pg/ml. Ecografia tiroidea e delle logge cervicali Analogamente a quanto specificato nel paragrafo 2, anche nel caso del CMT i criteri ecografici che fanno sospettare la malignità della lesione sono: forma irregolare del nodulo, ipoecogenicità, presenza di margini spiculati, evidenza di un’ecostruttura disomogenea e presenza di microcalcificazioni. Inoltre, l’ecocolor doppler, permette lo studio della vascolarizzazione della lesione neoplastica che, nella maggior parte dei casi presenta un pattern vascolare di tipo III (vascolarizzazione intra e perinodulare). Esame citologico su agoaspirato ecoguidato tiroideo e degli eventuali linfonodi con caratteristiche di sospetto L’agoaspirato con ago sottile è uno delle più accurate, sicure e utilizzate metodiche per la diagnostica delle patologie tiroidee. Papaparaskeva et al. hanno evidenziato quelli che sono i più importanti criteri citologici indicativi di carcinoma midollare: pattern di cellule disperse, di aspetto poligonale o triangolare, con granuli citoplasmatici azzurrofili e nuclei fortemente eccentrici con presenza di grossolani aggregati di cromatina granulare e amiloide. La sensibilità della FNAB nella diagnosi di CMT è del 63%. In presenza di sospette metastasi linfonodali locoregionali, può essere eseguito il dosaggio della CT nel liquido di lavaggio ottenuto dopo FNAC. 2.3 TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL CMT SPORADICO (sCMT) 2.2 PERCORSO DIAGNOSTICO Dosaggio della calcitonina sierica La misurazione dei livelli plasmatici di calcitonina (CT) è di estrema importanza nella diagnosi del CMT della tiroide. Le linee guida indicano come limite massimo del range di normalità della calcitonina plasmatica il valore di 10 pg/ml. Pazienti con valori di calcitonina compresi tra 10 pg/ml e 20 pg/ml possono essere sottoposti a follow up (dosaggio della CT basale e FNAB di eventuali noduli tiroidei periodici). Per livelli di CT compresi tra 20 pg/ml e 100 pg/ml è indicata l’esecuzione di test di stimolo della CT, utile nella diagnosi differenziale tra il CMT e l’iperplasia a cellule C della tiroide. Valori di CT maggiori di 100 pg/ml sono fortemente sospetti di CMT della tiroide ed, in questi casi, è indicato l’intervento chirurgico. Sono state individuate delle situazioni patologiche che possono essere alla base di rialzi aspecifici della CT (per es. insufficienza renale cronica, tumori maligni neuroendocrini, ipercalcemia, ipergastrinemia, tiroidite cronica linfocitaria, il fumo di sigaretta, ecc.) che devono essere escluse nella corretta interpretazione dei livelli sierici di CT. La sensibilità del dosaggio della sCT nella diagnosi del CMT è del 98%. Nel sospetto di CMT, il consensuale dosaggio del CEA e della Cromogranina A, consente una più adeguata stratificazione biochimica della malattia e della classe di rischio del paziente nel preoperatorio, elementi fondamentali per avere un corretto approccio terapeutico. 60 Circa il 50-80% dei pazienti con CMT sporadico presenta metastasi linfonodali al momento della diagnosi, che sono localizzate a livello del compartimento centrale nella maggior parte dei casi. L’approccio chirurgico di base nel trattamento del CMT sporadico (sCMT) è la tiroidectomia totale associata sempre alla linfoadenectomia del compartimento centrale (VI e VII livello). La linfoadenectomia latero-cervicale omo- e/o bilaterale è indicata in tutti i casi di sCMT nei quali vi sia il sospetto di malattia linfonodale metastatica a questo livello. Negli altri casi l’atteggiamento non è univoco, dal momento che alcuni Autori consigliano la linfoadenectomia latero-cervicale profilattica in tutti i casi, altri ancora raccomandano la linfoadenectomia latero-cervicale terapeutica ed infine alcuni consigliano la linfoadenectomia latero-cervicale, qualora siano presenti metastasi nei linfonodi paratracheali omolaterali. Trattamento dei pazienti con persistenza o recidiva di malattia Circa il 50% dei pazienti con CMT va incontro a persistenza o recidiva di malattia dopo il primo intervento chirurgico. Distinguiamo diverse situazioni cliniche: • Pazienti con ipercalcitoninemia in assenza di lesioni ripetitive sia linfonodali che d’organo. In questi casi è indicato uno stretto follow-up, in quanto, Pagina • • la mancata evidenza strumentale di recidiva loco-regionale di malattia non giustifica i rischi correlati ad un reintervento chirurgico Pazienti con ipercalcitoninemia associata a lesioni ripetitive linfonodali e/o segni di recidiva loco-regionale di malattia. In caso questo caso l’intervento chirurgico trova un’elettiva indicazione Pazienti con ipercalcitoninemia associata a lesioni ripetitive sistemiche (polmone, fegato osso). In questi casi sono indicati trattamenti alternativi a quello chirurgico. Tuttavia, ad oggi, scarso effetto terapeutico sembrano avere la terapia radiometabolica, la chemioterapia e la radioterapia. 2.4 TERAPIA RADIANTE ESTERNA E CHEMIOTERAPIA La radioterapia esterna può trovare indicazione nel trattamento palliativo delle metastasi ossee inoperabili. A tutt’oggi, i trials clinici disponibili riguardanti l’impiego di trattamenti chemioterapici integrati nel carcinoma midollare della tiroide persistente o recidivo hanno dimostrato una scarsa efficacia, con risposte di breve durata e remissioni di malattia generalmente parziali ottenute in circa il 10-20% dei casi. Gli agenti chemioterapici che si sono dimostrati più promettenti sono la Dacarbazina, il Fluorouracile e la Doxorubicina. Attualmente sono in studio anticorpi monoclonali quali inibitori dell’attivazione del protoncogene RET e altri inibitori dell’RTK, finalizzati a migliorare il trattamento non chirurgico del CMT, sebbene il reale impatto clinico sia a tutt’oggi da confermare. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da poterli includere in un protocollo terapeutico. 2.5 PROGNOSI La prognosi del Carcinoma midollare tiroideo è intermedia tra i tumori differenziati ed i tumori anaplastici della ghiandola tiroidea. A differenza di altre neoplasie tiroidee come il carcinoma papillare, l’incidenza e la mortalità sembrano non essere aumentate negli ultimi anni, nonostante il miglioramento delle metodiche di screening e dei test genetici. Nei casi di corretta applicazione delle metodiche chirurgiche definite nelle linee guida, si ritiene che la sopravvivenza a 10 anni sia intorno al 75-85%. Sono stati presi in considerazione come potenziali fattori prognostici diversi elementi: clinici (età, stadiazione, tipo di CMT e sintomi), biochimici (calcitonina sierica pre e post operatoria, CEA), genetici (mutazione del protoncogene RET). Tuttavia, ad oggi, i più importanti fattori prognostici sono: età al momento della diagnosi, invasione extraghiandolare del tumore, dimensione della neoplasia e stadio della malattia alla diagnosi. Per la stadiazione dei pazienti si fa riferimento al sistema TNM (tabella 5). Tabella 5. STADIAZIONE TNM 7^ edizione (2010). Carcinoma Midollare della Tiroide Stadio I T1, N0, M0 Stadio II T2, N0, M0 Stadio III T3, N0, M0 T1-T3, N1a, M0 Stadio IVA T4a, N0, M0 T4a, N1a, M0 T1-T3, N1b, M0 T4a, N1b, M0 Stadio IVB T4b, qualsiasi N, M0 Stadio IVC Qualsiasi T, qualsiasi N, M1 61 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 2.6 BIBLIOGRAFIA • • • • • • • • • • • • • Pinchera A, Elisei R. Medullary thyroid cancer: diagnosis and management. Practical management of Thyroid Cancer. American Cancer Society. Cancer facts and figures 2010. Atlanta: American Cancer Society; 2010. Bergholm U, Bergstrom R, Ekbom A. Long term follow-up of patients with medullary carcinoma of the thyroid. American cancer Society 1997. Brierley J, Tsang R, Simpson WJ. Medullary thyroid cancer: analyses of serviva and prognostic factors and the role of radiation therapy in local control. Thyroid. 2007; 17 (6): 549-56. Bugalho MJ, Santos JR, Sobrinho L. Preoperative diag- nosis of medullary thyroid carcinoma: fine needle aspiration cytology as compared with serum calcitonin measurement. J Surg Oncol 2005; 91: 56-60. Romei C, Mariotti S, Fugazzola L, et al. Multiple endocrine neoplasia type 2 syndromes (MEN 2): results from the ItaMEN network analysis on the prevalence of different genotypes and phenotypes. European Journal of Endocrinology 2010; 163: 301-308. Cohen R, Compos JM, Salaun C, Henry JF, Patricia Niccoli-Sire, Modigliani E. Preoperative Calcitoni Level are Predictive of Tumor Size and post operative Calcitonin Normalization in Medullary Thyroid Carcinoma.Journal of Clin endocrinology & metabolism 2000. Costante G, Meringolo D, Durante C, BianchiD, Nocera M, Tumino S, Crocetti U, Attard M, Maranghi M, Torlontano M, Filetti S. Predictive Value of serum calcitonin levels for preoperative diagnosis of medullary thyroid carcinoma in a cohort of 5817 consecutive patients with thyroid nodules. J. Clinic Endocrinol metabolism 2007; 92 (2): 450-5. de Groot JW, KemaIP, Breukelman H, et al. Biochemical markers in the folloe up of medullary thyroid cancer. Thyroid. 2006; 16 (11): 1163-70. Devi-Bohbot N, Patey M, Larbre H, Hecart AC, Caron J, Delmer B. How to interpret hypercalcitoninemia? Rev. Me Interne 2006; 27:610-615. Dralle H, Damm I, Scheumann GF, et al. Compartment-oriented microdissection of regional lymph nodes in medullary thyroid carcinoma. Surg Today 1994; 24: 112-21. Kebebew E, Ituarte PH, Siperstein AE, Duh QY, Clark OH. Medullary thyroid carcinoma: clinical characteristics, treatment, prognostic factors, and a comparison of staging systems. Cancer. 2000; 88(5): 1139-48. Faik Erdogan M., Gursoy A., Erdogan G. Radioactive iodine treatment in medullary thyroid carcinoma. Nucl. Med. Commun. 2006; 27(4): 359-62. Gimm O, Ukkat J, Dralle H. Determinative factors of biochemical cure after primary and re operative Surgery for sporadic medullary Thyrid carcinoma. World J. Surg. • • • • • • • • • • • • • 1998; 22: 562-568. Iacobone M, Niccoli-Sire P, Sebag F, De Micco C, Henry JF. Can sporadic Medullary thyroid carcinoma be biochemically predicted? Propsective analysis of 66 operated patients with Elevate serum calcitonine levels. World J Surg. 2002; 26(8): 886-90. Epub 2002 May 21 Frank- Raue K, Rondot S, Raue F. Molecular genetics and phenomics of RET mutation: impact of prognosis of MTC. Mol Cell Endocrinol. 2010; 322(1-2): 2-7. Epub 2010 Jan 18. Cherenko M, Slotema E, Sebag F, De Micco C, Henry JF. Mild hypercalcitoninemia and sporadic thyroid disease. Br J Surg. 2010; 97(5): 684-90. Machens A, Hauptmann S, Dralle H. Prediction of lateral lymph node metastases in medullary thyroid cancer. Br J Surg. 2008; 95(5): 586-91. Machens A,Dralle H. Biomarker-based risk stratification for Previously Untrated Medullary Thyroid Cancer. J Clin Endocrinol Metab. 2010; 95(6): 2655-63. Epub 2010 Mar 25. 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Generalmente il quadro tipico di presentazione del carcinoma anaplastico della tiroide al momento della diagnosi è quello di una neoplasia con estesa infiltrazione loco-regionale e/o con metastasi a distanza, per la quale le opzioni di trattamento rimangono limitate e controverse e, nella gran parte dei casi, sono unicamente volte ad un intento palliativo finalizzato a migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti. Inoltre, in considerazione della rarità e dell’aggressività intrinseca di questa neoplasia, i dati riportati in letteratura riflettono esperienze retrospettive condotte su casistiche esigue di pazienti. Tutti i carcinomi anaplastici della tiroide sono considerati stadio IV per convenzione (AJCC/UICC) (tabella 6). Pagina Tabella 6. STADIAZIONE TNM 7^ edizione (2010). Carcinoma Anaplastico della Tiroide Stadio IVA T4a, qualsiasi N, M0 T4a- ca anaplastico intra-tiroideo Stadio IVB T4b, qualsiasi N, M0 T4b- ca anaplastico con estesa infiltrazione extra-tiroidea Stadio IVC Qualsiasi T, qualsiasi N, M1 I pazienti affetti da carcinoma anaplastico in stadio IVA possono essere considerati potenziali candidati per un trattamento multimodale che comprenda una resezione chirurgica con intenti radicali. Lo stadio IVB (circa il 40-60% dei casi) 62 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide comprende un gruppo eterogeneo di pazienti affetti da tumori che nella maggior parte dei casi non sono suscettibili di trattamento chirurgico, per i quali le opzioni di trattamento sono estremamente controverse. Infine, i pazienti in stadio IVC sono considerati potenziali candidati per trials clinici o terapie palliative. 3.1 TERAPIA RADIANTE ESTERNA E CHEMIOTERAPIA L’elevatissima aggressività locale e sistemica del carcinoma anaplastico, considerato per definizione allo stadio IV, relega la terapia radiante esterna all’indicazione di palliazione. Per quanto riguarda i chemioterapici, alcuni studi raccomandano di considerare la Doxorubicina o il Paclitaxel in monoterapia o in combinazione. Tuttavia queste evidenze si basano su dati limitati ed in fase di validazione. In alcune esperienze è stata riportata l’integrazione della terapia radiante esterna con la chemioterapia, con risultati complessivamente deludenti, dato che l’associazione ha consentito di migliorare solo marginalmente e non significativamente il risultato della sola irradiazione. Appaiono tuttavia interessanti, almeno nei presupposti, le esperienze che hanno utilizzato la terapia radiante esterna con schemi di frazionamento non convenzionali, in associazione con chemioterapia. Tuttavia, la tossicità acuta dei regimi iperfrazionati o accelerati, associata alla chemioterapia (specie se con antracicline), è molto elevata. E’ necessaria, quindi, estrema prudenza nel porre l’indicazione ad una condotta terapeutica aggressiva, specie tenendo conto del fatto che, anche se si riuscisse ad ottenere una “radicalità” locale, la maggior parte di questi pazienti morirebbe a seguito della diffusione sistemica. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da poterli includere in un protocollo terapeutico. 3.2 BIBLIOGRAFIA • • • Ito K, Hanamura T, Murayama K, Okada TO, et al. Multimodality therapeutic outcomes in anaplastic thyroid carcinoma: improbe serviva in subgroups of patients with localized primary tumours. Head and Neck, DOI 10.1002/hed. Smallridge RC, Copland JA. Anaplastic thyroid carcinoma: pathogenesis and emerging terapie. Clinical Oncology 22:486-497, 2010. Wein RO, Weber RS. Anaplastic thyroid carcinoma: palliation or treatment? Curr Opin Otolaryngol Head and Neck Surg 19: 113-118, 2011. 4. Sistema di qualità della rete oncologica regionale per i tumori della tiroide - maggio 2011 4.1 Sistema di qualità in chirurgia della tiroide Considerazioni preliminari Il Sistema di Qualità è uno strumento che si propone di descrivere i requisiti organizzativi, strutturali e gestionali minimi per definire uno standard nell’ambito delle specifiche attività. Tramite revisione della letteratura internazionale riguardante la chirurgia della tiroide è stato possibile identificare in maniera inequivocabile i requisiti necessari per la definizione di: • Chirurgo esperto ≥ 100 interventi tiroidei/anno (Sosa & coll.; Stavrakis & coll.) • High-volume center (HVC) ≥ 100 interventi tiroidei/anno (Gourin CG & coll.; Lifante JC & coll.; Mitchell J & coll.; Pieracci FM & coll.) Inoltre la bibliografia internazionale mostra, nell’incidenza di complicanze per interventi di chirurgia tiroidea, un range entro cui si concentrano la maggior parte dei dati specifici: • lesione ricorrenziale definitiva 0.4-4.6 % • ipoparatiroidismo definitivo 0.2-7.2 % • emorragia post-operatoria 0.5-4.0 % Esiste, peraltro, una relazione evidente tra il “volume” di casi trattati per patologia tiroidea e la riduzione delle complicanze postoperatorie, dei re-interventi “evitabili” per patologia maligna e dei costi complessivi della degenza. In particolare: • è documentata una relazione statisticamente significativa tra l’aumento dell’esperienza dell’operatore e la riduzione delle complicanze intervento-specifiche (Sosa & coll.; Stavrakis & coll., Gourin CG & coll.) • l’aumento del volume del centro è associato ad una riduzione del numero di re-interventi “evitabili” per patologia maligna (11% nei centri con >20 interventi/anno vs 56% nei centri con < 20 interventi/anno) (Mitchell J. & coll.) • esiste una relazione statisticamente significativa tra l’aumento del vo- Pagina lume dell’operatore e la riduzione dei costi. In particolare è stata osservata una maggiore riduzione dei costi relativi alla ptologia maligna se “Surgeon Volume” > 100 interventi/anno (Sosa & coll.; Stavrakis & coll.). Infine, i dati raccolti hanno mostrato una relazione tra percentuale di casi di cancro tiroideo trattati e hospital/surgeon volume: centri con alto volume e chirurghi esperti trattano una percentuale di casi di cancro tiroideo ≥ 30% (range 31-37.3%) sul numero totale dei pazienti con patologia tiroidea operati. Raccomandazioni Sulla base di quanto finora esposto, con accordo unanime dei partecipanti alla Rete Oncologica Regionale per i Tumori della Tiroide, si raccomanda che il tasso di complicanze “accettabile” per un centro di riferimento di chirurgia della tiroide possa essere: • lesione ricorrenziale definitiva ≤ 1,5% • ipoparatiroidismo definitivo ≤ 3,0% • emorragia post-operatoria ≤ 2,0% Si raccomanda, inoltre, che nell’ambito della Rete Oncologica Regionale, e più in generale in un sistema di qualità in chirurgia, i seguenti interventi siano inviati presso centri di chirurgia della tiroide ad alto flusso: • carcinoma tiroideo recidivo • carcinoma midollare della tiroide • carcinoma localmente avanzato • necessità di eseguire linfoadenectomia del compartimento centrale e/o latero-cervicale (casi ad alto rischio, sospetto preoperatorio di linfonodi metastatici) • gozzo mediastinico • linfoma tiroideo • metastasi a localizzazione tiroidea • reintervento in loggia tiroidea • neoplasie tiroidee in età pediatrica 63 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Bibliografia • Boudourakis LD. Evolution of the surgeon-volume, patient-outcome relationship. • • • • • • • Annals of Surgery 2009; 250(1): 159-65. Gourin et al. Volume-based trends in thyroid surgery. Archives of Otolaryngology- Head and Neck Surgery. 2010; 136(12): 1191-1198. Lifante JC, et al. Hospital volume influences the choice of operation for thyroid cancer. British Journal of Surgery. 2009 Nov. McHenry CR, et al. Patient volumes and complications in thyroid surgery. Brithish Journal of Medicine 2002; 89: 821-823. Mitchell J, et al. Avoidable reoperations for thyroid and parathyroid surgery: effect of hospital volume. Surgery, December 2008. Pieracci FM, et al. Effect of hospital volume of thyroidectomies on outcomes following substernal thyroidectomy. World Journal of Surgery 2008; 32: 740-746. Sosa JA, et al. The importance of surgeon experience for clinical and economic outcomes from thyroidectomy. Annals of Surgery 1998; 228: 320-330. Stavrakis. Surgeon volume as a predictor of outcomes in inpatient and outpatient endocrine surgery. Surgery 2007; 142: 887-899. 4.2 Sistema di qualità in endocrinologia Considerazioni preliminari Il Sistema di Qualità è uno strumento integrato che si propone di descrivere i requisiti organizzativi, strutturali e gestionali minimi per definire uno standard di qualità all’interno di unità di endocrinologia che si occupino della diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della tiroide. Nella gestione del paziente affetto da carcinoma della tiroide un ruolo importante è rivestito dalla struttura di Endocrinologia, in quanto essa lo accompagna in diverse fasi della sua malattia (diagnosi e indicazione terapeutica, gestione post-chirurgica del paziente operato, follow-up postchirurgico e/o post-ablativo). Durante tale percorso, la struttura di Endocrinologia si rapporta con le altre specialità coinvolte nel trattamento di questa malattia, al fine di ottimizzare la gestione d’insieme del paziente. Pertanto è necessario che all’interno di queste strutture vi sia un network/centro multidisciplinare dedicato (che includa endocrinologo, chirurgo endocrino, cito/istopatologo, medico nucleare, laboratorista, genetista/biologo molecolare, radiologo), al fine di ottimizzare la Qualità nella diagnosi, terapia e follow up del carcinoma tiroideo (figura 1). Un Centro di riferimento per l’Endocrinologia è imperniato sulla presenza di endocrinologi che abbiano ampia esperienza nella gestione clinica del nodulo e del carcinoma tiroideo. Il Centro dovrebbe valutare in regime ambulatoriale almeno 3000 pazienti/anno affetti da tireopatia e deve potersi avvalere di ecografisti dedicati alla diagnostica per immagini della tiroide e del collo. Si definisce ecografista esperto un medico che esegua almeno 1000 ecografie cervicali/anno. Il passo successivo nella diagnostica dei carcinomi della tiroide, a fronte di una adeguata selezione dei noduli meritevoli di approfondimento citologico mirato, è l’esecuzione dell’agoaspirato tiroideo ecoguidato (FNAB). Un Centro di riferimento deve adottare un sistema di reporting standardizzato e certificato (preferibilmente SIAPEC/IAP 2007 per poter comparare i parametri di efficacia). E’ ampiamente dimostrato in letteratura che la percentuale di campioni inadeguati e di falsi-negativi si riduce all’aumentare dell’esperienza degli operatori (endocrinologo, citologo, ecc.), e pertanto un Centro di riferimento deve effettuare almeno 500 FNAB/anno e i referti non diagnostici non dovrebbero essere superiori al 15% (SIAPEC/IAP 2007; AACE/AME/ETA Guidelines 2006). Un Centro di riferimento deve avere una rete garantita dalla collaborazione con: • Centro di Chirurgia della tiroide ad alto flusso, che esegua almeno 100 tiroidectomie/anno, e di queste almeno il 30% con istologia deponente per carcinoma della tiroide. • Centro di Medicina Nucleare che abbia posti letto in degenza protetta per la somministrazione della terapia radiometabolica con radioiodio. Nel follow up del carcinoma tiroideo operato riveste un ruolo centrale il dosaggio della tireoglobulina, che assieme all’ecografia del collo costituisce il metodo più sensibile per identificare una recidiva del carcinoma. Pertanto deve sempre essere possibile disporre di tecniche di dosaggio ultrasensibili di questo marcatore e dotarsi di un rigido sistema di controllo della qualità sia interno che esterno (VEQ). Un Centro di riferimento dovrebbe inoltre essere dotato di una Unità di Endocrinologia con possibilità di erogare farmaci con rimborso in file F (i.e.: Figura 1. Flow chart paziente con nodulo tiroideo Valutazione chirurgica Intervento chirurgico Esame istologico Valutazione nodulo tiroideo (ecografia, FNAB) Tumefazione del collo Familiarità Riscontro occasionale Valutazione MMG Visita endocrinologica Test genetici Imaging di II livello Valutazione medico-nucleare Follow up (eco collo, tireoglobulina, WBS) Ablazione Pagina 64 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide rhTSH), per poter eseguire valutazioni della tireoglobulina dopo stimolo con rhTSH nel follow-up del carcinoma tiroideo, e dovrebbe disporre della PET quale metodica di imaging di II livello. Raccomandazioni Sulla base di quanto sopra esposto, si raccomanda che un Centro di riferimento preveda: • la presenza di un centro integrato esclusivamente dedicato alla patologia neoplastica della tiroide • l’esecuzione di > 500 agoaspirati della tiroide/anno • l’effettuazione di 500-1000 ecografie cervicali/anno • la gestione di > 300 nuovi casi e controlli per carcinoma della tiroide/anno. 4.3 Sistema di qualità in medicina nucleare Considerazioni preliminari L’allestimento di un programma di assicurazione di qualità per la terapia con radioiodio del carcinoma tiroideo deve considerare aspetti di radioprotezione (per il paziente, lo staff e la popolazione) e di scelta dell’attività da somministrare. Da un punto di vista generale tale programma deve contemplare la valutazione dei processi operativi, la gestione delle apparecchiature per imaging e dosimetria e gli aspetti di qualità relativi alla preparazione del radiofarmaco. Per quanto riguarda i processi operativi è opportuno fare riferimento al documento “Linee Guida per il Miglioramento della qualità nelle Strutture di Medicina Nucleare” prodotto da AIMN nel 2005. Per gli aspetti di qualità nella gestione delle apparecchiature per imaging e dosimetria e per quelli relativi alla qualità nella preparazione dei radiofarmaci è necessario fare riferimento, rispettivamente, alle raccomandazioni e linee guida pubblicate ed alle Norme di Buona Preparazione in Medicina Nucleare (NBP-MN). Criteri e indicatori di qualità Il primo processo operativo da sottoporre a controllo di qualità è la fase di valutazione della proposta di trattamento avanzata dal prescrivente ed esaminata dallo specialista nel corso della visita medico nucleare pretrattamento. Nel corso della visita viene esaminata la documentazione clinica utile a porre la giustificazione al trattamento (DL187/00 art. 3). La possibilità che un trattamento con radionuclidi per via sistemica possa indurre effetti deterministici e aumenti la probabilità di quelli stocastici obbliga lo specialista a valutare la giustificazione in maniera accurata, considerando attentamente gli aspetti di ordine etico, economico, di appropriatezza e di sicurezza del paziente (Dlvo 187/00 art. 3). Come noto, il processo di giustificazione consiste nel valutare se i “potenziali vantaggi” di una esposizione medica superano “il danno alla persona” che l’esposizione stessa potrebbe causare, analizzando la procedura da mettere in atto sia alla luce della “Giustificazione Generale della Pratica” che in termini di “Giustificazione Individuale della Pratica”. Mentre il primo tipo di giustificazione deve rispondere a quanto indicato da Linee Guida, Raccomandazioni e Consensus Conference emanate dalle Società Scientifiche, la giustificazione individuale avviene rapportando le indicazioni generali al caso clinico in questione. In tale ambito è necessario considerare anche vantaggi e limiti di terapie alternative che non comportano esposizione o comportano minor esposizione a radiazioni ionizzanti. La pianificazione operata secondo principi di qualità deve tener conto delle modalità di esecuzione in regime ambulatoriale o di Pagina degenza protetta secondo quanto previsto dalla normativa vigente (DL187/00, all. I, parte II, punto 7), dell’autorizzazione all’impiego ed alla detenzione annua e settimanale del radionuclide indicato per il trattamento. In caso di trattamento effettuato in regime di ricovero protetto deve essere valutata la disponibilità di posti letto e l’eventuale loro differente tipologia in relazione alle caratteristiche cliniche del paziente. La lista di attesa, in formato elettronico o cartaceo, deve essere sempre accessibile in ottemperanza ai principi di trasparenza richiesti dalla legislazione corrente. In fase di accettazione del paziente deve essere effettuata una approfondita anamnesi, verificata e raccolta la documentazione clinica in possesso del paziente, vengono eventualmente eseguite ulteriori indagini diagnostiche pretrattamento ed effettuato per tutte le donne in età fertile test di gravidanza preferibilmente per via ematica. La fase di scelta dell’attività e di somministrazione del trattamento deve rispondere a criteri di qualità di ordine clinico e radioprotezionistico. La scelta dell’attività deve rispondere ai criteri di ottimizzazione esplicitamente richiesti dalla Direttiva Europea 97/43 MED e recepiti nel DL187/00 (Art. 4, comma 1). Lo specialista responsabile del reparto di degenza dimette il paziente previa valutazione del rispetto delle prescrizioni ad esso fornite. Al paziente devono essere consegnate prescrizioni di ordine diagnosticoterapeutico oltre alle obbligatorie informazioni ed istruzioni scritte di ordine radioprotezionistico. Queste riguardano in particolare il tempo di permanenza e distanza dagli altri da parte del paziente, il suggerimento di evitare luoghi molto affollati o eventi sociali, quello di ridurre l’impiego dei mezzi di trasporto pubblico, l’attento uso dei servizi igienici, i contatti con donne in gravidanza e bambini, l’indicazione ad evitare gravidanza o paternità per 4-6 mesi, interrompere l’eventuale allattamento al seno (in caso di radioiodio), dormire in camere diverse o separare i letti, ripresa del lavoro in funzione dell’occupazione professionale ed il comportamento da seguire in caso di ricovero d’urgenza. La fase di dimissione viene accompagnata dalla consegna al paziente della lettera di dimissione che deve contenere indicazioni terapeutiche e consigli sul follow-up e dall’archiviazione del referto con chiusura della pratica amministrativa. Il DL 187/00 richiede in maniera esplicita che la fase di sorveglianza post-trattamento venga effettuata anche dal medico specialista allo scopo di verificare il risultato clinico e come forma di controllo dell’insorgenza di eventuali danni di tipo deterministico o stocastico. Controllo di qualità delle apparecchiature per imaging e dosimetria Per applicazioni in ambito terapeutico (acquisizione di dati per calcoli dosimetrici ed immagini ottenute con attività terapeutiche), le comuni apparecchiature utilizzate in medicina nucleare (calibratori di dose, sonde per rilevazione esterna, gamma camere) presentano, per quanto riguarda i comuni controlli di qualità, problematiche specifiche. I calcoli quantitativi necessari a fini dosimetrici e l’elevato flusso fotonico dovuto all’elevata energia dello 131I aprono problematiche di controllo di qualità diverse da quelle presenti in ambito diagnostico. In caso di contemporanea rilevazione scintigrafica whole body in anteriore e posteriore, tecnica frequentemente utilizzata dopo somministrazione di attività terapeutiche, è essenziale verificare l’uniforme velocità di scansione delle due testate della gamma camera. Il controllo di qualità della risoluzione e della linearità spaziale in modalità intrinseca deve essere effettuato utilizzando un fantoccio a barre a quattro quadranti, valutando la capacità di distinguere le diverse fenditure di ogni quadrante. Un problema molto frequente nella quantificazione a scopo dosimetrico effettuata su immagini acquisite dopo somministrazioni di attività terapeutiche è quello del tempo morto, che determina saturazione della capacità di con- 65 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici teggio ed ampia sottostima dei conteggi reali e difficoltà per la quantificazione della dose. In letteratura sono stati proposti diversi possibili rimedi, come la schermatura del detector con pannelli di piombo di 6,4 mm di spessore, l’uso di sorgenti standard per misurare l’avvenuta perdita di conteggi e l’impiego del calcolo preliminare con curva di count rate su fantoccio e l’impiego di immagini planari whole-body di tipo step and shot con compensazione, attraverso adeguato programma, delle discontinuità delle immagini tra due adiacenti campi di vista dovute alla differente perdita di conteggio da tempo morto. Aspetti di qualità relativi alla preparazione del radiofarmaco La qualità nella preparazione dei radiofarmaci utilizzati in terapia deve essere assicurata in base a quanto previsto dalle NBP-MN. Il radioiodio, utilizzato nella diagnostica e terapia del carcinoma differenziato della tiroide, viene classificato come radiofarmaco già pronto per l’uso, in possesso di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) e commercializzato in conformità al DM 13 dicembre 1991. E’ un prodotto industriale finito, distribuito in forma di soluzione o capsule per uso orale o soluzione iniettabile, per il quale valgono le modalità di preparazione relative alle preparazioni già pronte per l’uso. Bibliografia • Maffioli L, Mazzuca N, Rota G, Salvo D, Silvestri M. Linee Guida per il Migliora• • • • • • • Raccomandazioni Sulla base di quanto finora esposto, si raccomanda: • l’esecuzione della scintigrafia con attività terapeutica di radioiodio (TxWBS) anche il giorno della dimissione dalla degenza protetta • l’adozione di una soglia di 30 µSv/h/m, corrispondente a circa 16 mCi di 131I ritenuti, come criterio di dimissione del paziente dalla degenza protetta. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare • • mento della qualità nelle Strutture di Medicina Nucleare. AIMN, 2005. EANM Physics Committee, Busemann Sokole E, Płachcínska A, Britten A; EANM Working Group on Nuclear Medicine Instrumentation Quality Control, Lyra Georgosopoulou M, Tindale W, Klett R. Routine quality control recommendations for nuclear medicine instrumentation. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2010; 37: 662-71. Busemann Sokole E, Płachcínska A, Britten A; EANM Physics Committee. Acceptance testing for nuclear medicine instrumentation. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2010; 37: 672-81. Zanzonico PJ. Routine quality control of clinical nuclear medicine instrumentation: a brief review. J Nucl Med 2008; 49: 1114- 31. Soloke EB. IAEA Quality Control Atlas for Scintillation Camera Systems, 2003 [Internet]. Available at: http://www.iaea.org/books. IAEA Human Health Series. Quality assurance for PET and PET/ TCX Systems [Internet]. Available at: http://www.iaea.org/books. Norme di buona preparazione dei radiofarmaci in medicina nucleare. Primo supplemento alla XI edizione della Farmacopea ufficiale della Repubblica italiana, DM 30 marzo 2005. G.U. n.168, 21.7.2005 Linee Guida SIE-AIMN-AIFM per il trattamento e follow-up del carcinoma differenziato della tiroide (2004) [Internet]. Disponibile all’indirizzo: www.aimn.it/pubblicazioni Pubblicazione ICRP 94. Dimissione dei pazienti trattati con radionuclidi non sigillati (AIFM). Genova: Omicron Editrice; 2006. Chiesa C, Negri A, Alberini C, Azzeroni R, Setti E, Mainardi L, et al. A practical dead time correction method in planar activity quantification for dodimetry during radionuclide therapy. Q JNucl Med Mol Imaging 2009; 53: 658-70. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Coordinatore: Massimo Martelli F. Coloni, F. Facciolo, P. Granone, M. Martelli, C. Mineo, E. Rendina, A. Ceribelli, E. Cortesi, F. De Marinis, F. Longo, O. Martelli, I. Pavese, M. Rinaldi, V. Donato, E.R. Maurizi, A. Mirri, E. David, P. Ialongo, T. Faraggiana, P. Graziano, G. Galluccio Pagina 66 Pagina 67 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Introduzione 1. Introduzione Pagina 69 2. Diagnosi e Stadiazione 2.1 Identificazione, caratterizzazione 2.2 Valutazione di estensione di malattia 2.3 Stadio e “Risk assessment” 2.4 Criteri di diagnosi, di stadiazione istologica e indagini molecolari Pagina 69 Carcinoma del polmone non a piccole cellule (NSCLC) 3.1 Trattamento della malattia “early stage” 3.2 Trattamento della malattia localmente avanzata 3.3 Trattamento della malattia avanzata 3.4 Trattamento di II linea e successive 3.5 Pazienti anziani o con PS2 3.6 Valutazione delle Risposte e Follow-up 3.7 Ricanalizzazione delle vie aeree 3.8 Chirurgia del IV stadio (metastasi solitaria) 3.9 Follow-up del paziente radicalmente operato Pagina 74 4. Carcinoma del polmone a piccole cellule (SCLC) Pagina 79 5. Valutazione delle Attività per Accreditamento ed Eccellenza 5.1 Chirurgia 5.2 Terapia medica 5.3 Radioterapia 5.4 Endoscopia 5.5 Patologia Molecolare 5.6 Radiodiagnostica 5.7 Counselling psicologico e/o psichiatrico Pagina 80 Bibliografia Pagina 86 3. 6. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Pagina 69 Pagina 70 Pagina 72 Pagina 74 Pagina 74 Pagina 77 Il gruppo di lavoro ha preso come riferimento ed approvato, apportando alcune modifiche ed aggiornamenti, il documento “Quaderni del Ministero della Salute: Criteri di appropiatezza diagnostico terapeutica – Le neoplasie polmonari”, n° 2 marzo-aprile 2010. Incidenza e mortalità Il carcinoma polmonare è divenuto nel corso del 20° secolo uno dei principali problemi socio-sanitari dei paesi industrializzati, ed è destinato a diventarlo nei paesi in via di sviluppo. Negli ultimi decenni anche a causa del diffondersi anche nel sesso femminile dell’abitudine tabagica, l’incidenza della malattia fra le donne è andata progressivamente aumentando, così che il rapporto d’incidenza fra maschi e femmine è passato dal 5:1 di circa 20 anni fa all’attuale 2.5:1. In Italia muoiono per carcinoma polmonare circa 35.000 persone all'anno (circa 27.000 uomini e 6.000 donne), rappresentando la prima causa di morte on- Pagina 78 Pagina 78 Pagina 78 2. Diagnosi e stadiazione Pagina 78 Pagina 78 Pagina 79 Pagina 79 Pagina 80 Pagina 80 Pagina 80 Pagina 81 Pagina 84 Pagina 85 Pagina 85 Le neoplasie polmonari rappresentano un problema oncologico dominante, caratterizzato dalla ridotta percentuale di pazienti guaribili. I pazienti che attraversano una fase in cui la malattia si può considerare passibile di trattamento devono poter usufruire di un rapido accesso alla diagnosi e ai trattamenti integrati più efficaci. Per i pazienti con malattia avanzata devono essere disponibili cure palliative e assistenza continua. Tradizionalmente la gestione dei pazienti con sospetto carcinoma polmonare è caratterizzata da una sequenza di accertamenti e visite di diversi specialisti con tempi lunghi, valutazione frammentaria e scarsamente coordinata, cui seguono spesso decisioni inappropriate. Per tali ragioni il carcinoma polmonare deve essere affrontato in modo multidisciplinare sin dall’esordio e conseguentemente, ogni singolo caso, indipendentemente dallo stadio iniziale, deve essere valutato nell’ambito di un gruppo interdisciplinare di cure, che per il carcinoma polmonare prevede la presenza di pneumologo, radiologo, medico nucleare, chirurgo toracico, anatomopatologo, radioterapista, oncologo clinico, e specialista di cure palliative. A seconda di specifiche necessità può essere richiesta la presenza del genetista e del fisiatra. E’ preferibile che la maggioranza di queste figure professionali insistano fisicamente nella medesima struttura. Ai fini terapeutici continua ad essere considerato separatamente l’approccio per il carcinoma polmonare non a piccole cellule (80% dei carcinomi polmonari) da quello del carcinoma polmonare a piccole cellule (20%). 2.1 Identificazione, caratterizzazione Nel SOSPETTO CLINICO DI NEOPLASIA POLMONARE (es. paziente con emoftoe) l’esame di prima istanza (grado d raccomandazione g.r. A) è rappresentato dalla radiografia del torace eseguita nelle due proiezioni ortogonali (PA e LL). L’esame radiografico può risultare negativo, pur in presenza di cellule neoplastiche nell’escreato bronchiale, o con un quadro diverso a seconda Pagina 68 cologica negli uomini e la seconda nelle donne. Va sottolineato come oltre un terzo delle nuove diagnosi di carcinoma polmonare sono poste in individui di età > 70 anni di età. L’innegabile progresso dei mezzi diagnostici non ha sostanzialmente mutato la storia naturale del tumore: più dei due terzi dei casi ha già interessamento linfonodale loco-regionale o metastasi a distanza al momento della diagnosi, la sopravvivenza complessiva a 5 anni si assesta intorno al 15% negli Stati Uniti e 10% in Europa, restando sostanzialmente invariata nel corso degli ultimi 15 anni. In considerazione del ruolo predominante del fumo di tabacco quale fattore eziologico, campagne antifumo e programmi di counseling per fumatori dovrebbero essere considerate quali parte di un processo integrato assistenziale. Pur in assenza al momento attuale di evidenza comprovata circa modalità di diagnosi precoce, la ricerca clinica in questo settore dovrebbe costituire, in senso lato, uno di principali obiettivi dei centri di eccellenza. Pagina della sede della neoplasia: la neoplasia endobronchiale può caratterizzarsi per atelettasia parziale o completa di un lobo o dell’intero polmone; la neoplasia intraparenchimale si presenta come nodulo (diametro compreso tra 1 e 3 cm) o massa polmonare (diametro maggiore di 3 cm). L’esame di seconda istanza (g.r. A) è rappresentato dalla TC del torace che presenta valori di sensibilità maggiori nella identificazione di lesioni polmonari di piccole dimensioni ma espone il paziente ad una maggiore dose di radiazioni ionizzanti. Nella CARATTERIZZAZIONE DI UN NODULO POLMONARE SOLITARIO (lesione focale del diametro massimo compreso tra 1 e 3 cm parzialmente circondata da parenchima polmonare aerato) l’esame radiografico del torace è in grado di caratterizzare correttamente un nodulo polmonare solo se interamente calcifico, espressione di pregresso processo flogistico specifico (g.r. C). L’esame più accurato è rappresentato dalla TC del torace (g.r. A) eseguita con somministrazione ev di mdc (tabella 1); tale metodica è in grado di determinarne: • le caratteristiche morfologiche • la densità (presenza di calcio, grasso ed enhancement contrastografico) • la velocità di crescita. Un valore di enhancement > 30 UH calcolato ad 1, 2, 3 e 4 minuti dall’inizio dell’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi di malignità della lesione ha elevati valori di sensibilità, specificità, accuratezza (98%, 58%, 77%) ed un elevato VPN. Nella caratterizzazione di nodulo polmonare solitario (NPS), la PET/TC ha elevata accuratezza diagnostica nella caratterizzazione di noduli maligni > 1 cm, che presentano accumulo di FDG superiore all’attività vascolare nel mediastino. La broncoscopia è l'esame che permette, mediante la biopsia transbronchiale, la caratterizzazione e la tipizzazione in una elevata percentuale di lesioni periferiche di dimensioni fra i 2 ed i 4 cm, anche grazie alla guida radioscopica e ecografica, e deve essere sempre eseguita, anche per completare l'iter stadiativo. 69 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 1. Raccomandazioni per la gestione del nodulo polmonare solitario Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Figura 2. Stadiazione TNM del Tumore del polmone in funzione della disponibilità della metodica PET-TC Dimensioni (mm) Pazienti a basso rischio* Pazienti a alto rischio** <4 FUP non necessario TC a 12 mesi Se nodulo immodificato non ulteriore FUP 4-6 TC a 12 mesi Se nodulo immodificato non ulteriore FUP TC a 6-12 mesi Se nodulo immodificato CT a 18-24 mesi 6-8 TC a 6-12 mesi Se nodulo immodificato CT a 18-24 mesi TC a 3-6 mesi Successivamente TC a 9-12 mesi e a 24 se nodulo immodificato >8 TC a 3, 9, 24 mesi Valutazione enhancement contrastografico Eventuale PET-TC e/o biopsia TC a 3, 9, 24 mesi Valutazione enhancement contrastografico Eventuale PET-TC e/o biopsia Quando non è disponibile la metodica PET-TC TC cranio-torace-addome sup e scintigrafia ossea Negativa T1,N0,M0 Positiva N2-3 Trattamento chirurgico Conferma cito-istologica Metodiche di diagnostica invasive *Minima o assente storia di abitudine tabagica, assenza di ulteriori fattori di rischio (pregressa storia oncologica, storia di esposizioni professionali all’asbesto, all’uranio, al radon) **Storia di prolungata abitudine tabagica, associata ad ulteriori fattori di rischio (pregressa storia oncologica, storia di esposizioni professionali all’asbesto, all’uranio, al radon) 2.2 Valutazione dell’estensione di malattia. Nella STADIAZIONE PRETRATTAMENTO TNM del tumore del polmone l’indagine indicata (g.r. A) è rappresentata dall’esame TC cranio torace ed addome superiore con somministrazione ev di mdc. • T: l’esame TC è in grado di valutare con elevata accuratezza l’infiltrazione della parete toracica, del mediastino e del diaframma. La RMN non presenta maggiori vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valutazione del tumore dell’apice polmonare e nel Paziente con documentata reazione allergica al mdc iodato • N: bassa è la sensibilità della TC nella identificazione di metastasi linfonodali in quanto tale metodica utilizza un parametro dimensionale (linfonodi con asse corto > 1 cm considerati sede di metastasi). Può essere però utilizzata come “atlante anatomico” per le metodiche di diagnostica invasiva ai fini di eventuali procedure bioptiche sulle stazioni linfonodali mediastiniche od ilari • M: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali (surrenaliche). (In caso di sospette lesioni encefaliche è utile eseguire RM del cranio per meglio definire numero e caratteristiche delle lesioni). L’esame PET-TC presenta una più elevata accuratezza diagnostica rispetto alla TC nella identificazione di metastasi linfonodali (N) e a distanza (M): i casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva per gli elevati falsi positivi caratteristici della metodica (figura 1, 2). Le metodiche di stadiazione endoscopica o chirurgica mininvasiva come EUS (ultrasuonoendoscopia transesofagea), EBUS (endobroncoscopia con ultrasuoni), TBNA (biopsia transbronchiale con ago sottile) e mediastinoscopia si caratterizzano per l’elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadiazione mediastinica. Sono indicate in specifiche circostanze quali tumore a localizzazione centrale, tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in PET-TC, BAC (carcinoma bronchiolo alveolare), presenza di linfonodi con asse corto > 16 mm in TC. Possono essere omesse in Pz con stadio clinico I (T1/T2N0M0) e PET-TC negativa a livello mediastinico. E’ inoltre importante ricordare che tali metodiche non espongono il paziente a radiazioni. Nella VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA AL TRATTAMENTO CT/RT indicato è l’esame TC cranio torace ed addome superiore con somministrazione ev di mdc (g.r. A): la valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionali della lesione parenchimale e dei linfonodi. L’accuratezza è limitata per la difficoltà a differenziare il tessuto neoplastico da alterazioni post-attiniche. La metodica PET-TC è anch’essa indicata (g.r. A) per l’elevata sensibilità nella Positiva M1 RMN cerebrale se TC encefalicapositiva Trattamento integrato CT/RT identificazione di residuo di malattia metabolicamente attivo a livello del T e del N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reattive l’indagine va eseguita non prima di 60 gg dalla fine del trattamento. Nel FOLLOW UP il ricorso all’indagine TC cranio torace ed addome superiore è indicato (g.r. A) in caso di sospetto clinico di ripresa di malattia o per variazioni del piano di trattamento. Solo in specifiche circostanze o per dirimere casi dubbi all’esame TC può essere indicato il ricorso all’esame PET-TC. Il ricorso a metodiche di diagnostica invasive può essere comunque utile in caso di: • • tumore a localizzazione centrale tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in PET-TC • BAC (carcinoma bronchiolo-alveolare) • linfonodi con asse corto > 16 mm in TC Solo in caso di neoplasia T1, N0, M0 non è necessario il ricorso a metodiche invasive di staging pre-operatorio. In tutti gli altri casi l’interessamento metastatico linfonodale deve essere escluso con il ricorso a diagnostica invasiva. La flow-chart relativa alla diagnostica per immagini è riportata nella tabella 2. Tabella 2. La flow-chart della indagini strumentali Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento Indicata (A) Il quadro Rx è diverso a seconda della sede della neoplasia polmonare 1) Endobronchiale: possibile atelettasia parziale o completa di un lobo o dell’intero polmone 2) Intraparenchimale: nodulo (< 3 cm) o massa (> 3 cm) 3) Rx negativa pur in presenza di cellule neoplastiche nell’escreato bronchiale TC del torace senza e con mdc Indicata (A) Più sensibile dell’Rx nell’identificazione di lesioni di piccole dimensioni (In corso di validazione l’utilità della TC come mezzo di screening) Indagine Raccomandazione Commento Rx del torace (2 proiezioni) Indicata (C) Utile solo in presenza di nodulo interamente calcifico Indicata (A) La TC è più sensibile e accurata. Esame impiegato per determinare: 1) le caratteristiche morfologiche, la densità, (nodulo GGO, semisolido e solido, secondo le recenti raccomandazioni della International Association for the Study of Lung Cancer 2011) 2) la presenza di calcio, grasso 3) le caratteristiche densitometriche pre o post-contrasto (enhancement contrastografico). Un valore di enhancement > 30 UH a 1, 2, 3, 4 min dall’inizio dell’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi di malignità della lesione ha elevati valori di sensibilità, specificità, accuratezza (98%, 58%,77%) e un elevato VPN 4) la velocità di crescita del nodulo Indicata (A) Elevata accuratezza diagnostica nella caratterizzazione di noduli solidi maligni > 1 cm che presentano accumulo di FDG superiore all’attività vascolare nel mediastino. L’accuratezza è tuttavia minore nel caso di noduli ground-glass (GGO) o semi-solidi Rx del torace Sospetto clinico (2 proiezioni) di neoplasia polmonare (es. sintomo emoftoe) Figura 1. Stadiazione TNM del Tumore del polmone in funzione della disponibilità della metodica PET-TC Situazione clinica Quando è disponibile la metodica PET-TC TC cranio-torace-addome sup PET-TC Negativa N0-M0 Trattamento chirurgico Positiva N2-3 Conferma cito-istologica Metodiche di diagnostica invasive Positiva M1 RMN cerebrale se TC encefalicapositiva Trattamento integrato CT/RT Pagina 70 Caratterizzazione di nodulo polmonare solitario (NPS) TC del torace senza e con mdc PET-TC Pagina 71 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Situazione clinica Indagine TC cranio, torace e addome superiore con mdc ev TC PET Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Raccomandazione Commento Indicata (A) Indicata (A) Stadiazione pretrattamento Metodiche invasive EUS, EBUS, TBNA, TBNB mediastinoscopia Indicate in specifiche circostanze T: accurata nel valutare diametri e l’infiltrazione di: • parete toracica • diaframma • mediastino N: bassa sensibilità nella stadiazione linfonodale, parametro dimensionale (linfonodi con asse corto > 1 cm). Può essere utilizzata come “atlante anatomico” per le metodiche di diagnostica invasiva per la localizzazione linfonodale ai fini di eventuali procedure bioptiche M: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali (surrenaliche) • T1b • T2a Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazione di metastasi linfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva per elevati falsi positivi caratteristici della metodica) Elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadiazione mediastinica. Tali metodiche possono essere omesse in pazienti con stadio clinico I e PET-TC negativa a livello mediastinico. Sono indicate in caso di: 1) tumore a localizzazione centrale 2) tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in PET-TC 3) carcinoma bronchioalveolare 4) linfonodi con asse corto > 16 mm in TC Indicata in specifiche circostanze Non presenta vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valutazione del tumore dell’apice polmonare e nei pazienti con documentata importante reazione allergica al mdc iodato, e in caso di sospette lesioni encefaliche metastatiche Scientigrafia ossea Indicata in specifiche circostanze Se non effettuata PET Indagine Raccomandazione Commento TC cranio, torace e addome superiore con mdc ev Indicata (A) La valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionali della lesione parenchimale e dei linfonodi. Accuratezza limitata per la difficoltà a differenziare il tessuto neoplastico da alterazioni postattiniche TC PET Indicata (A) Elevata sensibilità nell’identificazione di residuo di malattia metabolicamente attivo a livello del T e del N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reattive l’indagine va eseguita non prima di 60 giorni dalla fine del trattamento. Elevato VPN TC cranio, torace e addome superiore con mdc ev Indicata (A) Il ricorso all’indagine è indicato in caso di sospetto clinico di ripresa di malattia o per variazioni del piano di trattamento TC PET Indicata in specifiche circostanze Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazione di metastasi linfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva per elevati falsi positivi caratteristici della metodica Indicata (A) Uso della PET-TC come guida al trattamento radioterapico. Definizione del volume biologico (biologic target volume, BTV) RM Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare • • • Situazione clinica Valutazione della risposta al trattamento CT/RT Follow-up Definizione dei volumi del trattamento radioterapico TC PET 2.3 Stadio e “Risk assessment” La stadiazione del tumore del polmone è utile sia dal punto di vista prognostico che per la valutazione e la scelta del tipo di trattamento. In accordo con la versione attualmente disponibile, la settima edizione del UICC-AJCC Staging System, estensione e diffusione del NSCLC vengono definiti come segue: Tumore primitivo: T • TX Tumore primitivo non può essere definito, o ne è provata l’esi- Pagina • • • T0 Tis T1a 72 stenza per la presenza di cellule atipiche nell’escreato o nel liquido di lavaggio bronchiale; ma non è visualizzato con le tecniche per immagini o con la broncoscopia Tumore primitivo non evidenziabile Carcinoma in situ Tumore < 2 cm circondato da polmone o da pleura viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco principale) T2b T3 T4 Tumore > di 2 ma < 3 cm , circondato da polmone o da pleura viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco principale) Tumore > di 3 ma < 5 circondato da polmone o da pleura viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco principale). Tumore < 5 cm con una qualsiasi delle seguenti caratteristiche di dimensione o estensione: - Interessamento del bronco principale a 2 cm o più distalmente alla carena - Invasione della pleura viscerale - Presenza di atelettasia o polmonite ostruttiva che si estende alla regione ilare, ma non interessa il polmone in toto Tumore > di 5 ma < 7 cm circondato da polmone o da pleura viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco principale) Tumore > 7 cm Tumore di qualunque dimensione che invade direttamente una delle seguenti strutture: parete toracica (inclusi i tumori del solco superiore), diaframma, pleura mediastinica, pericardio parietale; o tumore del bronco principale a meno di 2 cm dalla carena, ma senza interessamento della carena stessa; o associato ad atelettasia o polmonite ostruttiva del polmone in toto. Nodulo(i) neoplastico(i) separato(i) nello stesso lobo del primitivo. Tumore di qualunque dimensione che invade una delle seguenti strutture: mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, esofago, nervo ricorrente, corpi vertebrali, carena. Nodulo(i) neoplastico(i) in altro lobo del polmone omolaterale. Linfonodi regionali: N • NX Linfonodi regionali non possono essere definiti • N0 Non metastasi nei linfonodi regionali • N1 Metastasi nei linfonodi omolaterali peribronchiali e/o omolaterali ilari e intrapolmonari, compreso l’interessamento per estensione diretta • N2 Metastasi nei linfonodi mediastinici omolaterali e/o sottocarinali • N3 Metastasi nei linfonodi mediastini controlaterali, ilari controlaterali, omo- o controlaterali scalenici, o in quelli sovraclaveari Metastasi a distanza: M • MX La presenza di metastasi a distanza non può essere definita • M0 Non metastasi a distanza • M1a Tumore con interessamento pleurico maligno, versamento o noduli, o versamento pericardico maligno • M1b Nodulo neoplastico in un lobo del polmone controlaterale. Metastasi a distanza extratoraciche Classificazione patologica pTNM Le categorie pT, pN e pM corrispondono alle categorie T, N e M, la valutazione istologica avviene dopo una chirurgia con intento radicale, anche la mediastino scopia deve essere inclusa nella classificazione clinica cTNM. • p N0 L’esame istologico del materiale ottenuto con una linfoadenec- Pagina tomia ilare e mediastinica include di norma 6 o più linfonodi. Se i linfonodi sono negativi, ma il numero di linfonodi è inferiore a quello usualmente esaminato, si classifica come pN0 Classificazione in Stadi Occult carcinoma TX N0 M0 Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio IA T1a, b N0 M0 Stadio IB T2a N0 M0 Stadio IIA T1a, b T2a T2b N1 N1 N0 M0 M0 M0 Stadio IIB T2b T3 N1 N0 M0 M0 Stadio IIIA T1, T2 T3 T4 N2 N1, N2 N0, N1 M0 M0 M0 Stadio IIIB T4 Any T N2 N3 M0 M0 Stadio IV Any T Any N M1a, b Per quanto riguarda il microcitoma (SCLC), la stadiazione attualmente accreditata è la seguente: • Malattia limitata (30% dei pazienti) = confinata ad un emitorace, con o senza coinvolgimento dei linfonodi mediastinici, ilari, e clavicolari omolaterali. • Malattia estesa (70% dei pazienti) = tutto ciò che va oltre (oppure neoplasia ricorrente). Risk Assessment L’analisi degli studi di correlazione dimostra che ancora oggi il principale fattore prognostico nel NSCLC rimane lo stadio di malattia. A parità di stadio di malattia, i fattori prognostici più importanti sono il performance status (PS) e la recente perdita di peso. Le due scale usate per la definizione del PS sono la scala ECOG e il metodo di Karnofsky. In particolare, sembra utile dal punto di vista prognostico suddividere i pazienti in due gruppi: pazienti con PS 01, e pazienti con PS maggiore o uguale a 2. Nelle serie di pazienti esaminate appare evidente come le sopravvivenze dei pazienti con PS pari a 2 siano significativamente inferiori a quelle dei pazienti con PS 0-1; in parte, tale fenomeno sembra essere dovuto alla maggiore incidenza di tossicità del trattamento in questo sottogruppo di pazienti. Mentre il trattamento dei pazienti con PS 0-1 è indicato in modo incontrovertibile, tale approccio è tuttora in fase di discussione per i pazienti con PS pari a 2. L’età è storicamente un fattore prognostico importante, anche se le recenti analisi hanno evidenziato che l’impatto del trattamento sui pazienti maggiori di 70 anni non sia così detrimentale come si riteneva in passato, anzi sia vantaggioso per i parametri di sopravvivenza assoluti. I pazienti che hanno perso più del 5% del loro peso corporeo nei 3-6 mesi precedenti hanno una prognosi peggiore dei pazienti che non hanno avuto questa sintomatologia. Numerosi studi pubblicati negli ultimi 15 anni hanno indicato che la mutazione del proto-oncogene ras, in particolare k-ras, determina una prognosi sfavorevole negli individui con NSCLC, stadio IV. Inoltre, l’infiltrazione patologica e l’estensione 73 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici della resezione chirurgica possono fornire le informazioni prognostiche più critiche, ma la mutazione dell’oncogene k-ras e l’assenza di espressione del proto-oncogene H-Ras p21 possono aumentare le informazioni ottenute dall’esame istologico tradizionale. 2.4 Criteri di diagnosi e di stadiazione istologica e indagini molecolari Come per tutte le neoplasie è determinante uno stretto rapporto tra chirurgo, .pneumologo, interventista, radiologo, oncologo ed anatomopatologo, al fine di ottenere il maggior numero di informazioni necessarie per una corretta valutazione prognostica ed una accurata definizione delle potenzialità di risposta ai trattamenti successivi (radioterapia, chemioterapia, terapie a bersaglio molecolare). Le procedure da seguire per un corretto campionamento del pezzo operatorio ai fini della diagnosi e della stadiazione del tumore sono state definite con accuratezza [Rosai, 2004]. È necessaria un’accurata descrizione del pezzo operatorio (peso e/o dimensioni, tipo di resezione chirurgica, condizioni della pleura viscerale), delle caratteristiche del tumore (dimensioni, localizzazione nel lobo, relazione con il bronco, presenza di aree emorragiche, di necrosi o di cavitazioni, presenza di invasione vascolare microscopicamente visibile; rapporto con la pleura, distanza dal margine di resezione bronchiale e dalla pleura), dell’aspetto del parenchima polmonare non neoplastico (enfisema, atelettasia, etc) e del numero ed aspetto dei linfonodi ilari repertati. Il campionamento del pezzo per gli esami istologici dovrebbe prevedere almeno un prelievo per ogni cm di tumore, il campionamento di ogni lesione macroscopicamente repertata, prelievi sul parenchima polmonare non neoplastico, tutta la circonferenza del margine di resezione bronchiale, tutti i linfonodi ilari e mediastinici prelevati sul pezzo operatorio o inviati (e contrassegnati in maniera chiara) dal chirurgo. La classificazione dei tumori del polmone attualmente in uso è quella WHO 2004 [Travis 2004]. La diagnosi e classificazione dei tumori si basa su criteri morfologici (preparato istologico colorato con ematossilina & eosina). Le colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche, ancillari all’esame morfologico, se impiegate nel tentativo di definizione di istotipo, devono essere documentate ed i risultati riportati nel referto. La scelta dei reagenti più appropriati varia a seconda del caso e si effettua dopo una prima valutazione morfologica. La stadiazione patologica pTNM viene effettuata utilizzando i criteri illustrati nello AJCC Cancer Staging Manual (2009). Nella diagnostica delle piccole biopsie o di campioni citologici i termini "carcinoma non a piccole cellule" (NSCLC) e "carcinoma non squamoso" dovrebbero essere evitati a favore del costante tentativo di definizione di istotipo, anche mediante l'impiego di tecniche ancillari alla morfologia, relegando la diagnosi di NSCLC o di carcinoma non altrimenti specificabile (NOS) ad una quota inferiore al 10%. Dovrebbe essere sempre prevista un'adeguata ed efficace gestione del materiale biologico, soprattutto nelle forme avanzate e non eleggibili per il trattamento chirurgico, con l'intento di preservare e conservare il materiale biologico per fornire direttamente od indirettamente il maggior numero di informazioni utili al trattamento oncologico. E’ ormai routine effettuare lo studio della mutazione del gene EGFR, prima di iniziare un trattamento negli stadi avanzati di malattia e sta diventando altrettanto importante studiare il gene ALK, per cui saranno presto disponibili farmaci molto efficaci. Meeting multidisciplinari periodici che prevedano la partecipazione del patologo dovrebbero essere formalizzati con l'intento, tra gli altri, di individuare la procedura diagnostica più efficace all'acquisizione del materiale biologico più adeguato per la diagnosi. 3. Carcinomi del polmone non a piccole cellule (NSCLC) 3.1 Trattamento della malattia “Early Stage” Terapia medica e strategia generale Nel Ca in situ e nel carcinoma microinvasivo, il trattamento endoscopico, condotto mediante laser, coagulatore ad argon plasma o, diatermocoagulatore, presentano il migliore rapporto costo-beneficio. La chirurgia rappresenta il trattamento elettivo nel carcinoma polmonare in stadio I II e IIIa minimo Gli stadi IIIa non-minimo, IIIb e IV sono il piú delle volte non resecabili; la chirurgia può trovare indicazione solo in casi selezionati. L’opportunità di terapie complementari post-chirurgiche (terapie adiuvanti) trova ragione nel limitato successo a lungo termine della sola chirurgia negli stadi II e IIIa minimo (sopravvivenza a 5 anni del 30-40% nello stadio II e del IIIa minimo) e nell’elevato numero di recidive, prevalentemente extratoraciche, entro i primi 2 anni dall’intervento. L’impiego della chemioterapia adiuvante contenente cisplatino (4 cicli) migliora la sopravvivenza a 5 anni del 5%, dato ottenuto da studi randomizzati e riportato nelle metaanalisi pubblicate, e trova indicazione negli stadi II-III ma non nello stadio I, in pazienti che rispondano ad alcuni requisiti (buon PS, buona compliance alla chirugia, non patologie concomitanti, età inferiore ai 70 anni, etc). Il ruolo della chirurgia Benché sia concordemente riconosciuto che la chirurgia rappresenti il mezzo più efficace per ottenere una guarigione definitiva del carcinoma broncopol- Pagina monare, i pazienti candidabili a chirurgia con intento curativo rappresentano a tutt’oggi una limitata minoranza. Con criteri di selezione e rischio perioperatorio ottimali, nel gruppo dei pazienti sottoposti a resezione completa (stadio I-IIIA), la probabilità di guarigione dovrebbe oscillare tra il 40 e 50%, che applicata alla frazione di casi resecabili si traduce in una sopravvivenza globale a 5 anni del 12-14%. Utilizzando in maniera ottimale le tecniche di stadiazione oggi disponibili, la frequenza di toracotomie esplorative non deve superare il 5%. Valutazione funzionale L’esame funzionale del paziente è un elemento cardine nella scelta della terapia ottimale. Nel forte fumatore, tale bilancio è spesso complicato dalla presenza di una comorbilità cardiovascolare e/o polmonare. Performance status e comorbilità contano molto più del dato anagrafico, e le tecniche anestesiologiche e chirurgiche attuali permettono di eseguire un intervento di resezione polmonare al di sopra dei 75 anni con un profilo di rischio estremamente contenuto. Infarto miocardico recente (meno di 6 mesi), scompenso cardiaco o aritmia grave, pregresso recente ictus cerebrale controindicano generalmente l’intervento chirurgico, mentre una cardiopatia ischemica ben controllata sul piano sintomatico e con una buona frazione di eiezione costituisce solamente un fattore di rischio relativo. Le terapie prolungate con farmaci anticoagulanti o steroidei richiedono un trattamento spe- 74 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare cifico, allo scopo di prevenire possibili complicanze postoperatorie. Prima di procedere all’intervento, il chirurgo deve accertare se il paziente sia in grado di tollerare anche una asportazione totale del polmone, qualora le circostanze intraoperatorie lo richiedano, valutando sia l’entità del rischio postoperatorio immediato che la qualità di vita attesa a 6 mesi di distanza. Spirometria ed emogasanalisi rappresentano il primo livello, sufficiente se i valori funzionali sono prossimi a quelli normali (FEV-1 > 60% del predetto). Nei pazienti con limitata riserva respiratoria, particolarmente se si prevede una pneumonectomia, la scintigrafia polmonare perfusionale consente di misurare la percentuale di perfusione di ciascun polmone e stimare la FEV-1 postoperatoria predetta. Un utile complemento della spirometria, nei pazienti con funzionalità respiratoria marginale, è il test di diffusione alveolo-capillare (DLCO), che esprime in maniera più accurata la capacità di scambio dei gas, e può evidenziare un’interstiziopatia o fibrosi polmonare latente, non altrimenti diagnosticabile. Broncoscopia In fase prechirurgica tutti i pazienti che devono essere sottoposti ad intervento per neoplasia polmonare vengono sottoposti ad esame broncoscopico per escludere localizzazioni tumorali endoluminali in sedi diverse da quelle già evidenziate con tecniche di imaging. In fase prechirurgica i pazienti con ostruzione delle basse vie aeree che determinino infezioni broncopolmonari ricorrenti da ristagno di secrezioni, o insufficienza respiratoria tale da condizionare la gestione anestesiologica dell’intervento, possono beneficiare di procedure di broncologia operativa mediante ricanalizzazione del lume occluso. Tecniche di anestesia I requisiti minimi di anestesia generale considerati necessari per garantire un livello adeguato di efficacia e morbilitàa in chirurgia toracica sono gradualmente aumentati nel corso di questo decennio. Per eseguire in condizione di sicurezza un intervento di media difficoltà, come una lobectomia polmonare, si considera oggi indispensabile un monitoraggio continuo dei parametri cardiovascolari mediante cateterismo venoso centrale ed arterioso periferico. La ventilazione monopolmonare è ottenibile con una varietà di dispositivi, che si adattano ad ogni condizione anatomica. Il broncoscopio sottile a fibre ottiche è divenuto un ausilio indispensabile per controllare il posizionamento del tubo, ed eventualmente facilitare la pulizia del bronco durante l’intervento. Per un controllo del dolore più selettivo ed efficace, sia durante che dopo l’intervento, esistono numerose procedure che comprendono il posizionamento di un catetere peridurale in sede toracica o lombare o di un catetere paravertebrale. L’anestesia loco-regionale consente di ridurre gli effetti sistemici dell’infusione di morfina o derivati, con un eccellente controllo del dolore toracotomico durante le prime 72 ore. Stadiazione chirurgica In caso di sospette adenopatie mediastiniche alla TAC (diametro > 1-1.5 cm) e positività PET, è sempre indicato un esame bioptico, per confermare lo stadio N2, o escludere la presenza di metastasi in pazienti altrimenti operabili. La mediastinoscopia cervicale rimane un esame endoscopico semplice ed affidabile, per le stazioni linfonodali pre- e paratracheali e carenali. E’ opportuno che il prelievo sia effettuato a livello di 2-3 stazioni linfonodali distinte: paratracheale alta e bassa, sottocarenale (R o L 2-4-7), comprendendo naturalmente le adenopatie sospette alla TAC. Per le adenopatie della finestra aortica (L 5-6), è preferibile un accesso anteriore parasternale, o la toracoscopia video-assistita (VATS). La VATS è la via più diretta al mediastino inferiore (para-esofageo, retrocrurale, legamento polmonare), e trova un’in- Pagina dicazione elettiva nei pazienti con versamento pleurico e/o pericardico, particolarmente in caso di negatività citologica della puntura esplorativa, e eseguire una pleurodesi chimica. Queste tecniche di stadiazione chirurgica sostituite o integrate dall’agobiopsia transbronchiale e transesofagea eco guidata (EBUS ed EUS), ma restano essenziali per decidere la resecabilità in caso di sospetta infiltrazione degli organi mediastinici, prima o dopo la terapia d’induzione. Approccio chirurgico curativo La toracotomia postero-laterale rappresenta ancora l’approccio standard per la resezione polmonare anatomica, nella maggior parte dei reparti di chirurgia toracica. Tuttavia, negli ultimi decenni si sono affermate tecniche più conservative dell’integrità anatomo-funzionale del torace, come le toracotomie laterali o la toracotomia ascellare che prevedono la conservazione muscolare o le procedure videoassistite (VATS). Non esistono tuttavia studi randomizzati che dimostrino un significativo impatto dell’approccio conservativo sulla mortalità e morbilità, a parità di estensione del tumore e della resezione polmonare. Esame intraoperatorio e linfadenectomia Nel trattamento del carcinoma polmonare non vi è in generale indicazione per resezioni incomplete con malattia residua macroscopica, impropriamente definite palliative in quanto peggiorano quasi sempre la qualità di vita. Pertanto, prima di procedere alla resezione polmonare, il chirurgo deve accertarsi che il tumore primitivo e le eventuali localizzazioni linfonodali siano resecabili con margini adeguati di radicalità. Anche se il ruolo terapeutico della linfadenectomia mediastinica sistematica è in corso di valutazione, attraverso lo studio randomizzato dell’American College of Surgeons, è dimostrato che la stadiazione intraoperatoria accurata permette di fornire al paziente una prognosi realistica, e di utilizzare al meglio le terapie complementari disponibili. La dissezione linfonodale dovrebbe comprendere per i tumori del polmone destro le stazioni R 2, 4, 7,9 e per il polmone sinistro le stazioni L 5, 6, 7, 9, oltre alle stazioni ilari specifiche (10-13). Per facilitare il compito del patologo ed ottenere un referto ben interpretabile, il chirurgo deve eseguire personalmente la mappatura dei linfonodi, e inviare separatamente le diverse stazioni. Modalità di resezione e ricostruzione La lobectomia radicale, con dissezione dei linfonodi ilo-mediastinici, rappresenta oggi l’intervento di elezione per tutte le neoplasie confinate in un solo lobo, o con interessamento marginale e periferico del lobo adiacente, senza metastasi macroscopiche ai linfonodi ilari. Il sacrificio funzionale dopo lobectomia è proporzionale al numero di segmenti, essendo massimo per la lobectomia inferiore destra, anche a causa del rapporto ventilazione/perfusione. La lobectomia può risultare adeguata anche in caso di interessamento dei linfonodi ilari, purché la resezione comprenda tutte le adenopatie e le strutture ilari siano libere da tumore a livello del margine di sezione. Quando il tumore o una metastasi linfonodale si estendono alla porzione prossimale del bronco lobare (meno di 1 cm dall’origine), la lobectomia può essere ancora possibile con una resezione a manicotto del bronco (sleeve resection) ed anastomosi bronchiale, associate o meno a resezione e ricostruzione dell’arteria polmonare. In caso di piccole lesioni periferiche (T1-N0), la segmentectomia tipica può essere un’operazione altrettanto adeguata della lobectomia, soprattutto nei pazienti con funzione respiratoria compromessa. La pneumonectomia deve essere riservata a neoplasie più estese localmente, non suscettibili di trattamento conservativo. Quando il tumore polmonare invade la parete toracica o il mediastino ma non vi sono metastasi linfonodali, 75 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici la resezione chirurgica radicale può ottenere una guarigione definitiva, ed i limiti di resecabilità anatomica sono oggi molto più ampi. Infatti, oggi è possibile fare fronte alla gran parte dei problemi di demolizione e ricostruzione della parete toracica e delle strutture mediastiniche. Il riscontro intraoperatorio di adenopatie sospette deve sempre essere confortato dall’esame patologico estemporaneo per escludere una iperplasia reattiva o una forma granulomatosa. In presenza di metastasi linfonodali mediastiniche, la resezione polmonare è indicata purché i margini della dissezione linfonodale non siano interessati dalla malattia. Complicanze della chirurgia La mortalità postoperatoria globale (entro 30 giorni dall’intervento) per il carcinoma polmonare varia tra 4 e 8%; è meno del 1% per le resezioni sublobari, pari a circa 2-4% per le lobectomie e 4-7% per le pneumonectomie. I problemi più frequenti dopo resezione polmonare sono rappresentati dal dolore toracotomico, che richiede terapia analgesica maggiore durante i primi 2-3 giorni e tende talvolta alla cronicizzazione, e dalle difficoltà di espettorazione che richiedono una fisioterapia intensiva eventualmente associata a manovre di broncoaspirazione. L’empiema pleurico si osserva oggi in meno del 5% dei resecati, con o senza fistola broncopleurica. È più frequente dopo pneumonectomia destra, dove può richiedere complesse manovre di riparazione chirurgica. La fistola broncopleurica è oggi un’evenienza rara, se non eccezionale, laddove si utilizzino delle tecniche di sutura bronchiale adeguate. In caso di evidenza di fistola bronchiale di piccole e medie dimensioni, si procederà, in prima istanza, al trattamento broncoscopico. Comune è invece la perdita aerea dovuta a una comunicazione pleuro-parenchimale. L’aritmia cardiaca, e in particolare la fibrillazione atriale, si osserva con maggiore frequenza nei pazienti anziani o dopo pneumonectomia. L’infarto miocardico e l’ictus cerebrale sono relativamente rari, e si verificano nell’1-2% dei pazienti. L’embolia polmonare è ormai un evento assai raro se viene sistematicamente applicata la profilassi eparinica. Chirurgia dello stadio I-IIA (T1-2N0-1) Negli pazienti con tumore intrapolmonare, la chirurgia trova un’indicazione assoluta: lobectomia per i tumori intralobari, con interessamento linfonodale assente o limitato; pneumonectomia nelle neoplasie centrali di grandi dimensioni o in presenza di metastasi linfonodali estese; segmentectomia tipica in pazienti selezionati con tumore periferico e diminuita riserva respiratoria. La resezione sub-lobare non anatomica deve essere considerata una scelta di compromesso in pazienti con grave insufficienza respiratoria, tumori multipli sincroni, e/o pregresse resezioni polmonari maggiori. Qualora la chirurgia non sia attuabile, la radioterapia e la termoablazione rappresentano un valido trattamento alternativo. Chirurgia dello stadio IIB (T3N0) I tumori che interessano la pleura parietale, la muscolatura intercostale o le coste sono generalmente suscettibili di resezione completa. L’exeresi radicale (margine minimo di tessuto sano superiore a 2 cm) conferisce una buona probabilità di guarigione (fino al 50% a 5 anni), anche se la sopravvivenza dipende dal grado di estensione nelle parti molli, mentre non si osservano lungosopravviventi dopo resezione incompleta. Nelle neoplasie dell’apice polmonare che infiltrano la prima costa, il ganglio stellato, ed il plesso brachiale (tumore del solco superiore o tumore di Pancoast), la resezione è indicata in assenza di metastasi linfonodali mediastiniche, e deve comprendere, oltre a polmone e parete, tutte le strutture coinvolte (simpatico, radice C8-D1). Talvolta può essere necessario resecare l’arteria suc- Pagina clavia e sostituirla con una protesi. Studi non controllati indicano un potenziale beneficio del trattamento combinato di chemio-radioterapia preoperatoria, ma la probabilità di guarigione rimane correlata alla possibilità di ottenere un’exeresi completa, e la sopravvivenza a 5 anni è nell’ordine del 30-40%. Radioterapia Nei tumori non a piccole cellule (NSCLC), la chirurgia rappresenta la principale arma terapeutica. La radioterapia può rappresentare un valido trattamento con intento radicale, nei casi inoperabili per motivi medici o per estensione della malattia. La radioterapia, sola o in combinazione con la chemioterapia , può infatti essere anche indicata in fase pre- e post-operatoria. I risultati della chirurgia da sola e della radioterapia da sola, impiegate con intento radicale, sono lungi dall’essere soddisfacenti. La chemioterapia sola ha un ruolo esclusivamente palliativo. Pertanto, sono stati sviluppati schemi di trattamento combinato radiochemioterapico progressivamente più efficaci, destinati sia ai pazienti inoperabili che alla combinazione con la chirurgia. La radioterapia sola o in combinazione con la chemioterapia può infatti essere anche indicata in fase pre- e postoperatoria. Le Linee Guida del National Comprehensive Cancer Network © (v.2.2009) stabiliscono chiaramente che: “If determined medically inoperable by thoracic surgeon, clinical stage I and II patients should receive potentially curative RT as their local approach”. Dello stesso tenore le indicazioni del Physician Data Query del NCI-USA (http://www.cancer.gov/): “I pazienti con stadio I inoperabile e sufficiente riserva polmonare possono essere candidati al trattamento radiante con intento curativo. In un lavoro su pazienti al di sopra dei 70 anni con lesioni resecabili minori di 4 cm, medicalmente inoperabili o che rifiutavano l’intervento, la sopravvivenza a 5 anni dopo terapia radiante con intento curativo è risultata simile a quella di un controllo storico rappresentato da pazienti della stessa età che erano stati resecati con intento curativo. Nelle due più grandi serie retrospettive di radioterapia, i pazienti con malattia inoperabile trattati con radioterapia definitiva hanno ottenuto una sopravvivenza a 5 anni del 10% e 27%. Entrambe le serie hanno osservato che i pazienti con tumori T1N0 avevano una migliore prognosi, con sopravvivenze del 60% e 32%. Anche i pazienti con stadio II inoperabile e sufficiente riserva polmonare sono candidabili al trattamento radiante con intento curativo. Nei pazienti con eccellente Performance Status, la sopravvivenza attesa a 3 anni è pari al 20% se la radioterapia può essere portata a termine con intento curativo. Nella più grande serie retrospettiva, 152 pazienti con NSCLC medicalmente inoperabile, che sono stati trattati con RT definitiva, la sopravvivenza globale a 5 anni è stata del 10%, ma nei 44 pazienti con tumori T1 la sopravvivenza libera da malattia è stata del 60%. Questo studio retrospettivo ha dimostrato anche che la migliore sopravvivenza libera da malattia era ottenuta con dosi superiori a 60 Gy.“(PDQ, ultima modifica 1.8.2008). Su questo punto vi è dunque uniformità di indirizzi e tale indicazione può essere considerata del tutto appropriata, con un livello di evidenza II (consenso unanime degli esperti in assenza di trials randomizzati) secondo la scala del National Comprehensive Cancer Network © (NCCN). Le linee guida del NCCN considerano opportuna anche la associazione della chemioterapia alla radioterapia (radiochemioterapia concomitante) in altri sottogruppi selezionati di pazienti in questa categoria. Si tratta dei pazienti in Stadio clinico I e II operati e con positività linfonodale mediastinica o positività dei margini di resezione dimostrata dall’esame istologico. L’indicazione è più controversa per i casi senza positività marginale, e le linee guida del PDQ reputano opportuno l’arruolamento di pazienti con queste caratteristiche in studi clinici. Si veda in merito anche la discussione dello stesso ar- 76 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare gomento per i casi in Stadio clinico III. Le linee guida del PDQ rimandano anche a requisiti per la realizzazione del trattamento radioterapico. “Radiation therapy should consist of approximately 60 Gy delivered with megavoltage equipment to the midplane of the known tumor volume using conventional fractionation. A boost to the cone down field of the primary tumor is frequently used to enhance local control. Careful treatment planning with precise definition of target volume and avoidance of critical normal structures to the extent possible is needed for optimal results; this requires the use of a simulator.” Le già citate linee guida del NCCN ripetono nella sostanza queste raccomandazioni e suggeriscono l’impiego della TC e di avvalersi di Treatment Planning Systems (TPS) adeguati per produrre piani di trattamento 3D conformazionali. Nei tumori T1-T2 di dimensioni ≤ 5 cm e senza interessamento linfonodale, non operabili per comorbidità, età o rifiuto del paziente, la Radioterapia Stereotassica può rappresentare una valida alternativa con tassi di controllo locale e sopravvivenza maggiori rispetto a quelli della radioterapia esterna (Linee Guida NCNN v.2-2010). 3.2 Trattamento della malattia localmente avanzata Terapia medica e strategia generale Nei pazienti in stadio IIIA con interessamento linofonodale mediastinico un trattamento pre-operatorio (cosiddetto neoadiuvante o di induzione) basato su chemioterapia, meglio se associata, in base all’attuale evidenza clinica, a radioterapia, consente la regressione dell’impegno adenopatico nel 50-70% dei casi, l’aumento del tasso di resecabilità, resezioni chirurgiche meno estese. Tuttavia l’attuale evidenza clinica indica che per la maggioranza dei pazienti in questo stadio clinico di malattia il trattamento elettivo sia la chemioterapia associata a radioterapia. Nei pazienti con malattia localmente avanzata inoperabile (stadio IIIB) con buon performance status (Scala ECOG 0 - 1) e con minima perdita di peso (meno del 5% nei tre mesi precedenti la diagnosi di neoplasia polmonare) e assenza di versamento pleurico o metastasi sopraclaveari beneficiano di una sopravvivenza superiore se sottoposti ad un trattamento combinato chemioradioterapico e vanno accuratamente valutati per questo tipo di approccio terapeutico. E’ raccomandata una accurata selezione del paziente (condizioni generali, estensione della malattia nell’ambito del III stadio, funzionalità respiratoria, parametri dosimetrici radioterapici in termini di predizione di tossicità polmonare ed esofagea) ed una completa discussione con il paziente stesso circa i benefici e le tossicità delle possibili opzioni terapeutiche. Radioterapia Il ruolo della radioterapia come trattamento radicale in queste forme è assai importante. La frazione di casi operabili è infatti molto minore, rispetto ai malati in Stadio clinico I-II; nei casi inoperabili, la radioterapia rappresenta il cardine del trattamento. Come indicato dalle linee guida del PDQ: “Patients with clinical stage IIIA N2 disease have a 5-year survival rate of 10% to 15% overall; however, patients with bulky mediastinal involvement (i.e., visible on chest radiograph) have a 5-year survival rate of 2% to 5%. Depending on clinical circumstances, the principal forms of treatment that are considered for patients with stage IIIA NSCLC are radiation therapy, chemotherapy, surgery, and combinations of these modalities. Although most patients do not achieve a complete response to radiation therapy, a reproducible long-term survival benefit in 5% to 10% of patients treated with standard fractionation to 60 Gy occurs, and significant palliation often results. Patients with excellent performance status (PS) and those who require a thoracotomy to prove that a surgically unresectable tumor is present are most likely to benefit from radiation therapy.” Il trattamento che- Pagina mioradioterapico (specie concomitante), quando fattibile, migliora i risultati rispetto alla sola radioterapia. Ancora il PDQ: “The addition of chemotherapy to radiation therapy has been reported to improve survival in prospective clinical studies, including the RTOG-8808 and ECOG-4588 trials, for example, that have used modern cisplatin-based chemotherapy regimens. A metaanalysis of patient data from 11 randomized clinical trials showed that cisplatin-based combinations plus radiation therapy resulted in a 10% reduction in the risk of death compared with radiation therapy alone”. Dati non dissimili valgono per i casi in categoria IIIB, con la evidente diversità che la stragrande maggioranza di questi pazienti non riconosce una indicazione chirurgica. Pertanto, è possibile affermare, ancora in accordo con le linee guida del PDQ, che “…Patients with stage IIIB NSCLC do not benefit from surgery alone and are best managed by initial chemotherapy, chemotherapy plus radiation therapy, or radiation therapy alone, depending on the sites of tumor involvement and the performance status (PS) of the patient. Most patients with excellent PS are candidates for combined modality therapy ..”. Per quanto riguarda i pazienti operabili o potenzialmente operabili (come già ripetuto più volte, una minoranza), un piccolo numero di studi randomizzati ha poi evidenziato l’efficacia della radioterapia associata alla chemioterapia come trattamento preoperatorio (Albain KS, Rusch VW, Crowley JJ, et al.: Concurrent cisplatin/etoposide plus chest radiotherapy followed by surgery for stages IIIA (N2) and IIIB non-small-cell lung cancer: mature results of Southwest Oncology Group phase II study 8805. J Clin Oncol 13 (8): 188092, 1995). Per quanto si tratti di casistiche selezionate, i risultati sono incoraggianti e l’indicazione può considerarsi appropriata su base individuale e dopo attenta valutazione dell’oncologo radioterapista. Per quanto vi sia evidenza di Livello I che la radioterapia postoperatoria riduce l’incidenza di recidive mediastiniche in pazienti con Stadio III operati, non vi è evidenza ad oggi di un miglioramento significativo della sopravvivenza. Tuttavia, un recente studio retrospettivo di oltre 7.000 casi ha evidenziato un vantaggio di sopravvivenza per i pazienti in categoria N2 trattati con radioterapia postoperatoria [Lally 2006]. Ciò determina difformità di indicazioni nelle linee guida internazionali. Quelle del NCCN, ad esempio, suggeriscono l’impiego della radioterapia postoperatoria nei casi N2 sia che la categoria T iniziale fosse T1 o 2 che T3; il contrario vale per le indicazioni del PDQ-NCI, che consigliano l’impiego della radioterapia postoperatoria solo nel contesto di studi clinici controllati. Il trattamento postoperatorio di questi casi può dunque essere considerato appropriato solo sulla base della valutazione caso per caso, da parte dell’oncologo radioterapista, dei rischi competitivi di recidiva locale e di metastasi a distanza; in ogni caso deve essere considerata individualmente la tossicità del trattamento. Analoghe considerazioni valgono per i casi con positività marginale. Chirurgia dello stadio IIIA (T1-3N2) Circa il 15-20% dei pazienti con linfonodi di aspetto normale alla TAC e PET, presentano metastasi linfonodali mediastiniche se sottoposti a linfadenectomia sistematica. La percentuale è inferiore ma sempre rilevante (10-15%) nei pazienti con T1N0 clinico. Molti di questi casi presentano una diffusione limitata (singola stazione, metastasi embolica), e la resezione radicale si associa ad una sopravvivenza a 5 anni del 20-25%. Nei pazienti con N2 clinico, la chirurgia primaria ottiene raramente una exeresi macroscopicamente completa, e nelle serie retrospettive la sopravvivenza a 5 anni è ben al di sotto del 10%, vale a dire simile se non peggiore a quella della radioterapia. Il trattamento di induzione con chemioterapia per 2-3 cicli (± radioterapia) è oggi la scelta più razionale e conveniente, per ridurre la malattia visibile e identificare i casi in cui la chemiosensibilità locale possa predire una mag- 77 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici giore efficacia della resezione chirurgica. L’interessamento della carena per estensione diretta del tumore primitivo, senza metastasi mediastiniche, è un evento eccezionale, ed in casi ben selezionati, la pneumonectomia con resezione tracheale può essere tecnicamente fattibile e conveniente. Le probabilità di guarigione chirurgica sono nell’ordine del 20-25%, ma la mortalità perioperatoria è elevata (10-15%). Chirurgia dello stadio IIIB (T4N0) La resezione della vena cava superiore, con eventuale sostituzione protesica, è un intervento efficace nei tumori che infiltrano direttamente il mediastino, e può essere eseguito senza circolazione extracorporea, con una mortalità e morbilità limitate. Questa chirurgia, in combinazione con un trattamento medico di induzione, deve essere valutata in pazienti adeguatamente selezionati per stadio e comorbilità. I progressi nel campo della chirurgia della colonna, offrono nuove possibilità di intervento nei tumori che infiltrano marginalmente il corpo vertebrale, che è oggi possibile affrontare con un intento curativo. Si tratta tuttavia di una procedura complessa, che richiede la presenza simultanea del neurochirurgo e del chirurgo ortopedico, e d’indicazione eccezionale. La resezione dell’atrio sinistro per estensione diretta del tumore alla confluenza delle vene polmonari non è un evento eccezionale nel corso di una pneumonectomia intrapericardica, e non comporta problemi di carattere tecnico. Analoghe considerazioni valgono per la resezione tangenziale dell’esofago o dell’avventizia dell’aorta. L’infiltrazione massiva del miocardio, dell’esofago o dell’aorta costituiscono invece una controindicazione formale all’intervento, così come la presenza di un versamento citologicamente positivo, anche se di limitata estensione. Con un esame citologico negativo, è imperativo procedere ad esplorazione toracoscopica e biopsie pleuriche multiple, prima di una eventuale toractomia. Chirurgia dei noduli satelliti Il riscontro intraoperatorio di noduli satelliti, nello stesso lobo in cui ha sede il tumore primario o in un altro lobo, e che si confermano dello stesso tipo istologico all’esame estemporaneo, pone ovvii problemi di interpretazione (metastasi o malattia multifocale) e di scelta terapeutica. Da un punto di vista pratico, laddove un’exeresi completa sia ottenibile, è ragionevole procedere alla resezione polmonare. 3.3 Trattamento della malattia avanzata. Per i pazienti con Carcinoma polmonare in stadio IV le opzioni terapeutiche includono la chemioterapia o la terapia di supporto, comprensiva della radioterapia ad intento palliativo. Per questi pazienti il trattamento sistemico offre la possibilità di controllare la sintomatologia correlata al tumore, migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita. Nello stadio IV il trattamento chemioterapico va riservato a pazienti ambulatoriali, senza considerevole calo ponderale ed in buone condizioni generali. La chemioterapia prevede l’impiego di derivati del platino (cisplatino o carboplatino) in associazione con uno dei seguenti farmaci: gemcitabina, vinorelbina, tassani (paclitaxel o docetaxel) o pemetrexed (limitatamente all’istologia non squamosa). Pazienti con tumori recanti mutazioni a carico del gene del recettore dell’Epidermal Growth Factor possono avvalersi di un trattamento con inibitori della tirosin chinasi (gefitinib). Esistono sufficienti evidenze che l’impiego di bevacizumab (un anticorpo monoclonale contro il Vascular Endothelial Growth Factor) allorchè aggiunto alla chemioterapia migliora il tempo alla progressione e, con alcune combinazioni chemioterapiche, anche la sopravvivenza. La durata ottimale del trattamento è di 4-6 cicli. 3.4 Trattamento di II linea e successive Pagina La maggioranza dei pazienti tende a recidivare dopo la terapia di prima linea; la ripresa di malattia è solitamente accompagnata dalla presenza di sintomi con una aspettativa di vita limitata. I fattori predittivi di risposta al trattamento di seconda linea sono legati al tempo di comparsa della recidiva rispetto al termine del trattamento di prima linea, alla risposta al trattamento precedente ed al tipo di terapia utilizzata durante la fase di induzione. La maggioranza dei pazienti in questa fase riceve un trattamento mono-chemioterapico secondo le specifiche indicazioni, ad oggi i farmaci registrati per una terapia di seconda linea sono il docetaxel ed il pemetrexed come chemioterapici, il gefitinib e l’erlotinib come terapie biologiche questi ultimi sono registrati anche per l’utilizzo in terza linea, il gefitinib è però indicato solo nei pazienti con mutazione dell’EGFR. La terapia radiante con intento palliativo riveste un ruolo importante nel controllo del dolore e/o dei sintomi da metastasi cerebrali, da sindromi mediastiniche da ostruzione della cava superiore e in particolare da metastasi ossee ove, integrata con una adeguata terapia farmacologica antalgica, migliora la qualità di vita dei pazienti e previene le complicanze maggiori quali le compressioni midollari e le fratture patologiche. 3.5 Pazienti anziani o con PS 2 Per i pazienti anziani (> 70 anni di età) e/o con Performace Status >2, benché esista ancora una indicazione a trattamenti chemioterapici a 2 farmaci la maggioranza di essi, viene prevalentemente trattato con una monochemioterapia o con terapie biologiche, dove indicate, per il co-esistere di comorbilità. 3.6 Valutazione delle risposte e follow-up Nella maggior parte dei casi il medico effettua un controllo TC dopo 2-4 cicli di chemioterapia per identificare quei casi che sono stabili o in progressione, e per i quali il trattamento andrebbe interrotto, e quelli che hanno risposto al trattamento, per i quali può ritenersi valido continuarlo. Il programma di follow-up deve necessariamente tenere conto della storia naturale della neoplasia (tempo di raddoppiamento, sede e modalità di ripresa, rischio di ripresa, tossicità tardive, beneficio della diagnosi precoce) e va contenuto al minimo in rapporto al vantaggio ottenibile dal paziente. Con l’esclusione dei pazienti che afferiscono a studi clinici controllati ove la cadenza del follow-up è fissata dal protocollo di studio occorre precisare che, per il carcinoma polmonare, non esistono evidenze cliniche a supporto della necessità di un follow-up particolarmente intenso, soprattutto alla luce delle scarse possibilità terapeutiche in caso di recidiva con la sola esclusione del Microcitoma in recidiva tardiva (intervallo libero di almeno 3 mesi dal termine della terapia primaria). Pazienti sottoposti a terapia primaria potrebbero essere sottoposti a controlli di follow-up trimestrali per i primi 2 anni, allorché è attesa la comparsa della maggioranza delle recidive, successivamente a cadenze semestrali. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare ramento respiratorio e clinico. La procedura va eseguita nei centri di II livello, con elevata esperienza, in possesso di tutte le apparecchiature e dei diversi device endobronchiali disponibili. Essa prevede broncoscopia rigida ed anestesia generale, in regime di ricovero. Il tasso di mortalità riportato in letteratura è del 4% ed un risultato efficace viene raggiunto nell’87% dei casi. 3.8 Chirurgia del IV stadio (metastasi solitarie) L’encefalo è una delle sedi più frequenti di metastatizzazione dopo terapia primaria. Nei casi di metastasi cerebrale unica, il trattamento con Radiochirurgia o craniotomia più o meno irradiazione panencefalica rappresenta il trattamento di elezione. Nei casi con metastasi cerebrale unica sincrona all’esordio ,il trattamento focale della metastasi cerebrale (Chirurgia, Radiochirurgia), seguito da resezione chirurgica polmonare e chemioterapia sistemica può ottenere una sopravvivenza a 5 anni compresa tra il 10% e il 20%. Per le metastasi uniche in altre sedi (es. surrene), sono riportati casi aned- 78 3.9 Follow-up del paziente radicalmente operato Una visita con esame radiologico standard ed esami emato-chimici è consigliata a distanza di 30 giorni dall’intervento per una valutazione degli esiti chirurgici. Non sono disponibili dati EBM sul follow-up ottimale nei pazienti operati radicalmente e che non necessitano di ulteriori trattamenti. Lo standard consiste in una visita ambulatoriale con TAC Torace ogni 4 mesi nei primi 2 anni, ogni 6 mesi nell’anno successivo, ed annualmente dopo 3 anni dall’intervento chirurgico, per un possibile nuovo tumore primitivo (1020% dei casi). Esami aggiuntivi come la PET o la broncoscopia, possono essere prescritti in presenza di sintomi o segni sospetti per recidiva locale o metastasi a distanza, o per valutare una nuova lesione polmonare, ma non rientrano nel follow-up di routine. 4. Carcinomi del polmone a piccole cellule (NSCLC) Terapia medica e strategia generale La polichemioterapia è il cardine terapeutico sia per la malattia estesa che per quella limitata. Nei pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule in stadio di malattia limitata la radioterapia toracica migliora il controllo locale e la sopravvivenza complessiva e va incorporata in una strategia terapeutica combinata. Nell’applicare questo principio terapeutico deve essere tenuto in considerazione il volume tumorale e la sede della lesione nonché la funzionalità polmonare del paziente. Vi sono evidenze di miglior controllo locale e migliore sopravvivenza ove il trattamento radiante concomitante alla chemioterapia sia inserito precocemente (2 cicli di chemioterapia) nel programma terapeutico. La combinazione chemioterapica standard prevede l’impiego dell’associazione di un sale di platino ed etoposide oppure meno frequentemente viene usata la combinazione di ciclofosfamide, adriamicina, vincristina. Non esiste evidenza per raccomandare uno specifico numero di cicli di terapia. Comunemente negli studi clinici si somministrano sei cicli Non c’è evidenza a favore di una qualsivoglia terapia di mantenimento in grado di migliorare la sopravvivenza. La terapia radiante può svolgere un ruolo palliativo peraltro estremamente importante nel controllo delle metastasi cerebrali, delle sindromi da compressione della cava superiore, nelle metastasi ossee e nelle compressioni midollari da metastasi vertebrali. Nei pazienti con malattia limitata ed estesa in risposta dopo terapia di induzione è indicato il trattamento radioterapico encefalico profilattico da effettuarsi comunque al termine del trattamento di induzione. 3.7 Ricanalizzazione delle vie aeree In pazienti con malattia avanzata, con ostruzione delle vie aeree da infiltrazione neoplastica o compressione estrinseca, il decadimento delle funzione respiratoria e le infezioni post-ostruttive possono causare un rapido e progressivo peggioramento del PS e delle condizioni cliniche. In questi pazienti un intervento di disostruzione laser-assistita o il posizionamento di una endoprotesi sono in grado di indurre un importante miglio- dotici di lungo-sopravviventi dopo metastasectomia, ma non vi sono elementi sufficienti a suffragare il ruolo terapeutico di questa procedura. Trattamento di II linea La maggioranza dei pazienti tende a recidivare e la scelta del trattamento di seconda linea dipende principalmente dalla risposta alla terapia inziale. Se la malattia è sensibile alla terapia (la ripresa di malattia è oltre i 3-6 mesi dal termine della fine del primo trattamento chemioterapico) si ripropone la stessa combinazione di farmaci; se la malattia è resistente, (ripresa di ma- Pagina lattia entro i 3 mesi) o refrattaria (progressione in corso di chemioterapia di prima linea), si cambia farmaco, al momento l’unica molecola registrata per il trattamento in seconda linea del SCLC è il topotecan. La chirurgia nel SCLC La chirurgia ha uno scarso impatto sul trattamento del microcitoma, e meno del 5% dei casi è operabile all’esordio. L'indicazione all'intervento chirurgico si basa sullo stadio TNM, come nelle forme non a piccole cellule, ma dopo chemioterapia di induzione. Nei casi eccezionali operati senza diagnosi preoperatoria per un piccolo tumore periferico (T1N0), è consigliabile un trattamento di chemioterapia adiuvante, anche se alcune casistiche retrospettive mostrano una sopravvivenza a 5 anni del 40% con sola chirurgia. Radioterapia La combinazione chemioradioterapica è lo strumento fondamentale per la gestione della minoranza dei casi con malattia limitata passibili di trattamento radicale. E’ di recente stata sottolineata per questi ammalati l’opportunità di una precoce associazione della radioterapia alla chemioterapia. Il microcitoma (SCLC) è altamente radiosensibile e, nei casi con “limited disease”, la radioterapia a livello toracico migliora significativamente la sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia. Nei pazienti responsivi alla chemioradioterapia, l’irradiazione panencefalica migliora ulteriormente la prognosi [Pignon 1992; Warde 1992; Murray 1993; Turrisi 1990]. Infatti, secondo il già citato PDQ-NCI: “Combined modality treatment with chemotherapy and thoracic radiation therapy (TRT) is the standard treatment for patients with limited-stage disease (LD) small cell lung cancer (SCLC).” Il trattamento radioterapico deve essere iniziato se possible non oltre l’inizio del terzo ciclo di chemioterapia (inizio precoce) sulla base di dati che supportano un Livello di evidenza I. Nei pazienti con “extensive disease”, l’unico possibile (e controverso) ruolo della radioterapia nel contesto di un trattamento radicale è quello della irradiazione panencefalica nei pazienti in risposta [Slotman 2007]. 79 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 5. Valutazione per attività per accreditamento ed eccellenza 5.1 Chirurgia Volumi di attività per accreditamento ed eccellenza Nella letteratura internazionale esiste una sufficiente evidenza che i risultati globali della terapia chirurgica (mortalità, morbilità e sopravvivenza a lungo termine) in ogni struttura siano legati al numero di interventi eseguiti annualmente, e che il volume di attività possa rappresentare un parametro indiretto di eccellenza. In particolare, per quanto riguarda la chirurgia dei tumori polmonari, i dati del più affidabile registro americano (SEER), mostrano che nei centri che eseguono più di 66 resezioni per tumore polmonare ogni anno, rispetto a quelli che ne eseguono meno di 15, si osserva una drastica riduzione della mortalità (3% vs. 6%) e della morbilità (20% vs. 44%), ed un netto miglioramento della sopravvivenza globale a 5 anni (44% vs. 33%) [Bach 2001]. Gli standard di qualità per la chirurgia toracica sono stati approvati nel 2001 dalle due Società Europee di Cardiochirurgia e Chirurgia Toracica Generale, ed individuano i seguenti parametri di attività [Klepetko 2001]: • il numero minimo di procedure maggiori, quali lobectomie e pneumonectomie è pari a 100-200 casi anno per l'accreditamento, e 250-350 casi anno per i centri di eccellenza clinica • il livello minimo di attività per un chirurgo toracico senior è di 150 interventi per anno, e per un chirurgo in formazione di 50-100 interventi per anno • la disponibilità di risorse per l'assistenza ed il monitoraggio postoperatorio deve essere pari ad 1 letto di terapia Intensiva, e 1-2 letti di terapia semi-Intensiva, ogni 300 interventi anno. 5.2 Terapia medica Dotazioni delle unità cliniche per accreditamento ed eccellenza Sono indispensabili adeguati locali di attesa a seconda dei volumi di attività. Ai fini dell’iter diagnostico le strutture da accreditare devono disporre necessariamente dei servizi (radiologia, pneumologia, anatomia-patologica, laboratorio di fisiopatologia respiratoria) che consentano di formulare una diagnosi di natura e di candidare il paziente al più appropriato trattamento. E’ indispensabile la disponibilità di adeguati locali per la somministrazione della chemioterapia che consentano il rispetto della privacy dei pazienti. Si ritiene indispensabile una dotazione minima di 4 sedie per chemioterapia per l’accreditamento e di 8-10 per i centri di eccellenza. Un minimo di 2 camere visita per l’accreditamento e di 4 per i centri di eccellenza. Debbono necessariamente sussistere un minimo di 3-4 posti letto di appoggio qualora si renda necessaria l’ospedalizzazione dei pazienti. Per essere qualificati quali centri di eccellenza debbono necessariamente insistere nella stessa struttura tutte le figure professionali che sono richieste per il gruppo interdisciplinare di cure. E’ richiesto la comprovata esecuzione di una riunione del gruppo interdisciplinare ogni 2 settimane per l’accreditamento e settimanale per i centri di eccellenza. Per l’accreditamento e per la qualificazione come centri di eccellenza è indispensabile disporre di farmacia oncologica centralizzata per la preparazione dei farmaci oncologici. Occorre disporre di sistemi di controllo di qualità per la prescrizione dei farmaci al fine di minimizzare l’errore prescrittivo. L’esistenza d'infermiere di ricerca, di data managers e di psicologi è considerato criterio irrinunciabile per i centri di eccellenza. Per i centri di eccel- Pagina lenza deve essere comprovata l’esistenza di dotazioni tecnologiche di laboratorio che consentano l’adesione a studi clinici che richiedano l’utilizzo di analisi molecolari. Volumi di attività per accreditamento ed eccellenza Si ritiene che per l’accreditamento delle strutture dedicate alla somministrazione della chemioterapia per le neoplasie toraciche sia richiesto un volume minimo di 4 nuovi pazienti/mese mentre per i centri di eccellenza si richiede un numero minimo di 8-10 nuovi pazienti mese. Per i centri di eccellenza è richiesta la comprovata partecipazione a studi clinici in un numero minimo di 3/anno con un arruolamento di un minimo del 20% del totale dei pazienti. Sono altresì da richiedere alle strutture di eccellenza un numero minimo di uno studio clinico promosso dal centro di eccellenza ogni 3 anni. In tabella 1 sono riportati tutti i criteri necessari per l’accreditamento e l’eccellenza. 5.3 Radioterapia Dotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza Dal punto di vista della dotazione strutturale, è altamente auspicabile (anche se non strettamente indispensabile, v.infra) che il Centro di Radioterapia che esegue trattamenti per le neoplasie del polmone disponga al suo interno di personale infermieristico e di un ambiente clinico adeguatamente attrezzato presso il quale effettuare terapie di supporto e/o trattamenti chemioterapici concomitanti alla radioterapia. La dotazione strumentale necessaria per l’accreditamento include le attrezzature per la realizzazione di trattamenti 3D conformati (immagini TC da TC simulatore o trasferite da una normale TC impiegata per diagnostica, TPS con potenzialità adeguata per produrre piani conformati 3D, acceleratore lineare). Non vi sono al momento attuale evidenze di un sicuro vantaggio clinico con l’uso di apparecchiature complesse quali il Cyberknife™ o la Tomotherapy™ che possono però essere consigliate in caso di ritrattamenti o lesioni complesse per forma e/o dimensioni. Pur mancando al momento evidenze di Livello di Evidenza di Tipo I, i risultati di molteplici studi non randomizzati suggeriscono l’uso della radioterapia stereotassica “body” (SBRT) nei pazienti con tumori polmonari in I/II stadio (diametro inferiore ai 4-5 cm) non passibili di intervento chirurgico per condizioni respiratorie, cardiache, comorbidità importanti, età. E’ altresì molto controversa (e in ogni caso limitata a casi estremamente selezionati) l’utilità di piani di trattamento IMRT (Intensity Modulated Radiation Therapy). Non vi è alcuna evidenza della superiorità in termini di outcome di piani basati sulla coregistrazione di immagini TC e PET. L’uso di queste tecniche è pertanto non appropriato al di fuori di studi clinici. Pertanto, la disponibilità di tutte queste metodiche non può essere considerato un requisito per l’accreditamento. L’impiego di metodiche di “gating” respiratorio o comunque di “breathing control” non può essere realizzato in tutti i pazienti ed il suo impatto sull’outcome non è dimostrato. Analogamente, una valutazione in termini di outcome e di EBM dell’impiego di tecniche di Image Guided Radiation Therapy (IGRT) non è ancora disponibile; la possibilità di utilizzare tali tecniche non può essere considerato un requisito per l’accreditamento strumentale. Tuttavia, le linee guida del NCCN suggeriscono il loro impiego “quando fattibile”. Dal punto di vista dell’expertise e delle necessità orga- 80 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Tabella 1. Requisiti minimi e criteri di eccellenza per la terapia medica Risorse/Procedure Requisiti minimi Requisiti eccellenza Numeri prime visite Nuovi casi mese > 4 Nuovi casi mese > 8-10 Posti Day Hospital ≥2 ≥ 12 Posti letto NO SI Preparazione centralizzata dei farmaci NO SI Continuous care NO SI Prima visita oncologica > 1 settimana < 1 settimana Completamento stadiazione > 2 settimane < 2 settimane Inizio terapia > 2 settimane dalla decisione terapeutica < 2 settimane dalla decisione terapeutica Presenza di gruppi multidisciplinari La gestione del Paziente deve avvalersi Riunioni settimanali con patologo, chirurgo, radioteradella possibilità di discussione interdisciplinare pista, oncologo, radiologo, pneumologo interventista Organizzazione interna per l’emergenza NO Reperibilità telefonica DEA primo livello NO SI Ambulatorio per impianti di CVC Disponibilità saltuaria Disponibilità settimanale Terapia nutrizionale Disponibilità saltuaria Disponibilità settimanale Struttura di terapia antalgica NO o disponibilità saltuaria SI con disponibilità continua Counselling psicologico e/o psichiatrico NO o disponibilità saltuaria SI con disponibilità settimanale Data management office NO SI Studi clinici inerenti patologia polmonare N° pazienti inseriti negli studi clinici <2 nuovi studi anno < 20% del totale trattati >2 nuovi studi anno > 20% del totale trattati Pubblicazioni su riviste scientifiche, libri o capitoli < 2 anno inerenti la patologia polmonare ≥ 2 anno Abstract, relazioni, o comunicazioni a Congressi inerenti la patologia polmonare ≥ 3 anno < 3 anno Per l’accreditamento devono essere soddisfatti almeno 10/12 requisiti Per l’eccellenza devono essere soddisfatti almeno 6/12 requisiti nizzative, è necessario che l’oncologo radioterapista sia consultato nella fase di programmazione terapeutica iniziale, dal momento che il trattamento radioterapico deve essere definito in base alle condizioni cliniche del paziente, alla estensione della malattia, in rapporto alla potenziale tossicità del trattamento radioterapico, che a sua volta varia in rapporto alla associazione o meno con la chemioterapia e la chirurgia e a seconda del tipo di trattamento chirurgico o chemioterapico che venga eventualmente adottato. E’ infine indispensabile che siano disponibili per la radioterapia posti di degenza (LETTI TECNICI) presso il quale seguire i pazienti in trattamento radiante che presentassero tossicità e/o morbosità di grado tale da rendere necessario il ricovero; è altamente auspicabile che questi spazi siano individuati in reparti con adeguate caratteristiche clinico-organizzative. Dal punto di vista dei livelli di attività necessari per l’accreditamento, essi sono meglio espressi in rapporto all’insieme della patologia neoplastica polmonare trattata, ben sapendo che la percentuale di trattamenti con finalità radicale sul totale dei casi trattati, con la conseguente richiesta di una maggiore complessità delle procedure terapeutiche da adottare, è relativamente ridotta (circa il 30%). Per quanto tutti i Centri di Radioterapia siano in grado di trat- Pagina tare questa patologia, purché dispongano della dotazione strutturale e strumentale prima delineata, si ritiene che per l’accreditamento di eccellenza sia necessario che un Centro tratti oltre 40 casi di neoplasia polmonare/anno con un minimo di circa 15 pazienti/anno irradiati con finalità radicale (RT esclusiva o pre/postoperatoria) (tabella 2). 5.4 Endoscopia Criteri di appropriatezza per la esecuzione di broncoscopie diagnostiche e terapeutiche Pneumologia Interventistica La Pneumologia Interventistica è quel settore di attività pneumologica che si occupa della diagnostica e della terapia delle malattie respiratorie con metodiche invasive. Le attività sono focalizzate sull’utilizzo delle tecniche broncoscopiche (con strumento flessibile e rigido), toracoscopiche e bioptiche in generale, per la diagnosi ed il trattamento. di un ampio spettro di patologie dell’apparato respiratorio. 81 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 2. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) per la radioterapia Risorse/Procedure Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 6 altri requisiti Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 15* Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Simulazione con utilizzo di TC Idem Piano di trattamento basato su immagini TC Idem Immagini portali settimanali Idem Sistemi di immobilizzazione Idem DH Disponibilità di accesso Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 40 * Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa IGRT Idem RT Stereotassica l trattamento può avvalersi di questa risorsa Degenze Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti Prima visita specialistica Entro 1 settimana dalla richiesta di prenotazione Completamento stadiazione Entro 4 settimane dalla prima visita Inizio terapia Entro 6 settimane dalla prescrizione Inizio terapia I trattamenti con intento curativo radio o radio-chemioterapici dovranno iniziare nel tempo più breve possibile dal completamento della stadiazione e/o della chemioterapia neoadiuvante. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile compatibilmente con la guarigione chirurgica,le condizioni cliniche del paziente e/o il completamento dell’eventuale programma chemioterapico adiuvante. Gruppo Oncologico Multidisciplinare Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Le attività, divise in diagnostiche ed operative, richiedono diversi livelli di competenza. Endoscopia diagnostica Settore caratterizzato soprattutto dall’utilizzo di strumenti flessibili (fibrobroncoscopi). Sono compresi in questo settore attività come la fibrobroncoscopia senza e con prelievi (broncolavaggio, lavaggio bronchioloalveolare, brushing, biopsia mucosa, biopsia transbronchiale senza e con guida fluoroscopica, agoaspirato e agobiopsie transbronchiali), la broncoscopia con autofluorescenza, l’agoaspirato transtoracico, le biopsie pleuriche a “cielo coperto” e la broncoscopia pediatrica. Endoscopia operativa Oltre alle funzioni esercitate dal livello diagnostico si aggiungono: il trattamento endoscopico delle malattie bronco polmonari, la terapia palliativa e radicale endoscopica dei tumori, la disostruzione tracheobronchiale nelle patologie benigne, l’impianto di protesi, la rimozione dei corpi estranei (procedure che si avvalgono dell’utilizzo prevalente della strumentazione rigida, del laser, della criosonda e dell’elettrocoagulatore), la toracoscopia medica, la ultrasonografia. Oltre ai requisiti generali e specifici previsti dalla normativa vigente, devono essere previsti i seguenti requisiti. Requisiti tecnologici per broncoscopia di I livello • Sala endoscopica per Broncoscopia con strumento flessibile • Attrezzatura/strumentazione necessaria • Broncoscopi flessibili • Strumenti per prelievi: pinze, pinze per corpi estranei, aghi cito e istologici, brushing, dispositivi per la raccolta, la conservazione e l’invio dei campioni prelevati • Fonti luminose per flessibile • Sistema di registrazione Video dell’esame (Opzionale ma consigliato) Sistema di monitoraggio paziente: • pulsossimetro, ECG, rilievo incruento della pressione arteriosa • materiale per incannulazione e mantenimento via venosa Requisiti tecnologici per broncoscopia di II livello Oltre ai requisiti previsti per le strutture di broncoscopia I livello devono essere previsti i seguenti: • sala endoscopica per Broncoscopia operativa • attrezzatura/strumentazione necessaria • stessa strumentazione del flessibile • tracheoscopi e broncoscopi rigidi • pinze rigide per biopsie e rimozioni corpi estranei • cateteri con palloncino per blocco bronchiale • sondini per aspirazione bronchiale • laser o elettrocoagulatore • protesi con introduttori. Requisiti organizzativi (per le singole procedure) Durante l’attività broncoscopica sono necessari: • un medico con formazione specialistica e training specifico endoscopico • un infermiere professionale con formazione specifica. Per la attività di endoscopia operativa sono necessari: • con formazione specialistica e training specifico in endoscopia operativa un medico anestesista • due infermieri professionali con formazione specifica in endoscopia. E’ necessario che in ogni centro dove si pratichi attività di pneumologia in- Tabella 3. Percorso assistenziale dei pazienti sottoposti a broncoscopia Tempestività delle risposte per l’esame broncoscopico diagnostico N. pazienti con tempi di attesa adeguati tra richiesta esame e esecuzione della prestazione Correttezza diagnostica % diagnosi eziologia corrette/ 100 esami diagnostici Rilevazione delle complicanze magggiori in corso di broncoscopia % complicanze* 100 esami eseguiti La gestione del paziente dovrebbe sempre avvalersi di questa risorsa Attività Scientifica • sala endoscopica per prelievi in controllo radiologico • disinfezione NB: gli endoscopi non totalmente immergibili devono essere sostituiti • lavatrice ad ultrasuoni per accessori (preferibile) • dispositivo per la verifica di tenuta dei fibroscopi • apparato per la disinfezione di alto livello o sterilizzazione con una lava disinfetta endoscopi automatica o sterilizzazione • la disinfezione manuale deve essere abbandonata • stoccaggio e smaltimento del disinfettante secondo la normativa vigente. n.b. i tempi si intendono adeguati se variano da 1 a 5 giorni (dipende dall’esame) Indicatore che >90% valuta i tempi di attesa per accedere alla prestazione U.O. Documentazione sanitaria Rilevazione a cura dell’U.O. Valutazione annuale su campione statisticamente significativo >70% U.O Documentazione sanitaria Rilevazione a cura dell’U.O. Valutazione annuale su camipne statisticamente significativo <2% U.O. Documentazione sanitaria Rilevazione a cura dell’U.O. Valutazione annuale su campione statisticamente significativo Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 4 requisiti richiesti Pubblicazioni Pubblicazioni su riviste scientifiche Almeno una nell’anno Abstracts in Congressi Almeno una nell’anno Presentazioni a Congressi e Corsi Relazioni, comunicazioni Almeno una partecipazione nell’anno Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno attivo Pagina 82 *per complicanze maggiori si intendono: insufficienza respiratoria, polmonite, pneumotorace, broncoostruzione, arresto cardiorespiratorio, aritmie, edema polmonare, emorragie Pagina 83 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 4. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) per l’endoscopia Risorse/Procedure Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Endoscopia Toracica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e almeno 3 dei 5 altri requisiti Broncoscopia diagnostica 360 Biopsie transbronchiali Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa TBNA Idem Disostruzione laser assistita Biopsie trans bronchiali con sistema di guida cessarie per un laboratorio di biologia molecolare sono numerose e specifiche. Possiamo citare, a titolo esemplificativo, Heat Block, microdissettore laser, cappa sterile per PCR, congelatore -20°C e -80°C, Frigo +4°C/ -20°C, Forni ventilati, centrifughe, termociclatori, bilancie, cappa chimica, Phmetro, agitatore rotante, piastra riscaldante, sequenziatore automatico. La strategia più efficace per garantire la qualità della prestazione è la obbligatorietà dell’adesione ad un programma di controllo di qualità esterno, attraverso cui venga verificata periodicamente la capacità operativa tecnica ed interpretativa, per verificare periodicamente la capacità operativa in biologia molecolare del centro". 60 5.6 Radiodiagnostica Ogni esame può avvalersi di questa risorsa Fluorescenza o NBI Idem Assistenza anestesiologica Idem Posizionamento di endoprotesi Idem Degenze Disponibilità posti letto dedicati, dipartimentali o tecnici Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti Broncoscopia diagnostica 1 settimana dalla richiesta Stadiazione endoscopica 2 settimane dalla richiesta Disostruzione laser o posizionamento endoprotesi 2 settimane dalle richiesta o 48 ore in urgenza Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1dei 3 requisiti Pubblicazioni Pubblicazioni su riviste con impact factor Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare Nell’anno Adesione a protocolli nazionali e internazionali Relazioni a Congressi e Corsi di rilevanza azionale Nell’anno terventistica, vi siano almeno due medici competenti, in grado di eseguire autonomamente una indagine di endoscopia diagnostica. E’ necessario che in ogni centro dove si pratichi attività di pneumologia interventistica, vi siano almeno due infermieri competenti, in grado di eseguire autonomamente le attività collegate alla endoscopia diagnostica. Nel campo della Oncologia Polmonare la stessa legge prevede anche alcuni parametri minimi di efficienza (tabella 3) Le linee guida stabiliscono i parametri minimi di esperienza per singolo operatore, con un minimo di 120 broncoscopie diagnostiche per operatore, mentre sono necessarie non meno di 10 procedure operative per operatore nel campo della endoscopia terapeutica (broncoscopie rigide in anestesia generale). E’ indispensabile che i centri di endoscopia coinvolti nella rete oncologica regionale siano in grado di eseguire correntemente broncoscopie in anestesia locale e sedazione, con esecuzione di prelievi bioptici endobronchiali, di biopsie transbronchiali periferiche e di TBNA. Tali metodiche debbono essere impiegate routinariamente nel processo diagnostico e stadiativo. Per le biopsie transbronchiali l’impiego di sistemi di guida ha dimostrato un netto incremento del rendimento diagnostico, e fra questi sono considerati accettabili la radioguida, l’ecoguida e la navigazione elettromagnetica. L’impiego della ROSE (Rapid On Site Examination), ha innalzato il rendimento diagnostico della TBNA e ridotto tempi e complicanze, ed è pertanto anch’essa consi- Pagina gliata. Per la TBNA su linfonodi inferiori al cm e pertinenti a stazioni non 7, 4, 10, è consigliata l’ecoguida. I centri di eccellenza di II secondo livello debbono possedere un più elevato livello di esperienza e devono garantire il completo iter diagnostico, stadiativo e terapeutico. Per essere inclusi nei centri di II livello è necessario disporre di almeno un sistema di guida per le biopsie periferiche e rispettare i criteri nazionali di accreditamento, quali quelli previsti dal disciplinare AIPO per la Pneumologia Interventistica o quelli della regione Emilia Romagna, in larga parte sovrapponibili. Si allega la tabella 4 con la proposta di codifica dei criteri richiesti. Tali criteri debbono essere basati su dati obiettivi ricavabili dai dati dei Servizi Informatici Regionali o Aziendali. 5.5 Patologia molecolare Dotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza La struttura deve disporre di un laboratorio di istopatologia e di un laboratorio di biologia molecolare attrezzato per estrazione, conservazione, amplificazione, e sequenziamento di acidi nucleici. Per quanto riguarda i volumi di attività è difficile oggi stabilire valori soglia in modo attendibile, anche se un volume di valutazioni di biologia molecolare di almeno 350 esami l’anno sembra indispensabile per garantire efficacia ed efficienza di attività. Le attrezzature ne- 84 Dotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza Il Gruppo di studio per la garanzia di qualità in radiologia diagnostica e interventistica ha pubblicato nel 2007, per conto dell’ Istituto Superiore di Sanità, le “Linee guida per la garanzia di qualità in radiologia diagnostica e interventistica” nelle quali sono elencati i requisiti strutturali e tecnologici per strutture di 1°,2° e 3° livello La dotazione strumentale minima necessaria per l’accreditamento include, oltre agli spazi necessari per la diagnostica e l’accoglienza del paziente, con area di attesa per pazienti allettati con postazione per l’assistenza infermieristica: • attrezzatura per Radiologia Convenzionale costituita da un telecomandato digitalizzato e un teleradiografo, (1 apparecchio dedicato, nelle strutture ad alta attività (> 50 Rx torace/die)) • uno o più ecografi dei quali almeno uno dotato di modulo color-doppler; • una apparecchiatura di risonanza magnetica (RM) per le indagini dell’encefalo e del tronco • una apparecchiatura di radiologia vascolare e interventistica in presenza di attività di radiologia interventistica • una apparecchiatura di Tomografia Computerizzata, volumetrica. Per l’eccellenza sono necessarie, oltre alle dotazioni previste per le attività di 1° e 2° livello, almeno le seguenti apparecchiature di alta tecnologia: • una o più sale dotate di angiografi digitali per l’esecuzione di procedure interventistiche con annessi spazi di attesa per pazienti allettati, con presidio infermieristico. Dette strutture, nelle quali si eseguono procedure mininvasive, devono rispondere ai requisiti strutturali e impiantistici di un gruppo operatorio • tomografia computerizzata volumetrica con tecnologia multidetettore (MSCT) • una apparecchiatura di RM, con campo magnetico statico superiore a 1 Tesla, per indagini dell’encefalo e del tronco e indagini angiografiche. Presenza di un servizio di Medicina Nucleare dotata di TC-PET Dal punto di vista dell’expertise è necessario personale medico dedicato e versato nella patologia polmonare, che possa strettamente collaborare con clinico e anatomo-patologo, soprattutto nella valutazione iniziale del tumore e nella valutazione e gestione del nodulo polmonare solitario (NPS), con particolare attenzione alle ultime raccomandazioni dell’ATS e ERS del 2011. Necessaria la presa in carico del paziente (con liste dedicate), in modo da dare in tempi ristretti (max 1 settimana) risposta alla richiesta del Clinico sia di un primo accertamento che di successivo follow up. Auspicabile che l’iter di prima diagnosi e i successivi controlli vengano eseguiti interamente nella stessa struttura ospedaliera e dalla stessa equipe. Devono essere previste riunioni collegiali periodiche, da parte di un gruppo dedicato per valutazione degli aspetti clinici, radiologici, medico-nucleari e Pagina istologici e per la valutazione dei risultati secondo protocollo RECIST. Necessario altresì servizio di radiologia interventistica capace di rispondere in tempi adeguati alle richieste di biopsia diagnostica e, quando indicato, alle richieste di trattamento di termoablazione con radiofrequenza delle lesioni polmonari. Il personale deve mantenere la propria clinical competence con almeno 30 ore/anno di aggiornamento dedicato. Attività diagnostica non invasiva Il mantenimento della clinical competence da parte dello specialista che opera nella struttura richiede l’esecuzione e la refertazione di almeno 1500 esami (esami indentificati e contati come da nomenclatore tariffario) per le varie procedure diagnostiche ogni tre anni di presenza in servizio. Deve esistere un piano annuale di formazione dell’U.O. secondo quanto indicato negli obiettivi del Piano annuale delle attività. Il piano di aggiornamento del personale deve tenere conto della necessità di acquisire i crediti formativi secondo i criteri e le indicazioni previste dall’Educazione Medica Continua. Attività di radiologia invasiva Per l’attività invasiva oltre ai requisiti generali sovraspecificati si richiede in particolare che il professionista che operi in autonomia abbia eseguito fin dall’inizio del suo curriculum formativo come primo o secondo operatore almeno 150 procedure complessive nei due settori, invasivo diagnostico e invasivo terapeutico-interventistico, con un casemix percentuale orientativamente non inferiore al 20% per l’attività terapeutico interventistica. 5.7 Counselling psicologico e/o psichiatrico I tumori del polmone possono impattare la sfera psicologica, affettiva e familiare del paziente che si confronta con una malattia che minaccia la vita e con gli esiti dei trattamenti oncologici. Questa neoplasia colpisce in modo consistente la popolazione ultra sessantacinquenne (>55%) e gli ultrasettantenni (30%), è strettamente legata all’abitudine tabagica, che rappresenta il più importante fattore di rischio (85% dei casi osservati), ed all’inquinamento atmosferico (tra il 20% e il 50%100% a secondo delle aree geografiche). In questa popolazione la presenza di pregressa morbidità psicologica legata all’età ed il significato attribuito dai pazienti a questa patologia ed alle possibilità di cura determinano elevati livelli di distress psicologico (43%). Si raccomanda uno screening del distress psicologico fin dalla presa in carico del paziente per il piano assistenziale individuale di trattamento (PAI) ed un intervento di prevenzione secondaria per i danni legati al fumo, al fine di offrire, in ambiente ospedaliero e a domicilio, un supporto psicologico rivolto al paziente e ai familiari. Tale supporto deve essere fornito da uno Psicologo e/o Psichiatra inserito nel Gruppo Interdisciplinare di cura, adeguatamente formato nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali del paziente con tumore al polmone. L’obiettivo del supporto psicologico è quello di favorire l’adattamento alla malattia e la compliance all’iter terapeutico, la progettualità e la migliore qualità di vita. La presenza dello psicologo/psichiatra all’interno del Gruppo Interdisciplinare di cura è mirata anche all’offerta di training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari. La presenza di abilità comunicative negli operatori permette ai pazienti una decisione informata sulle scelte terapeutiche, minori livelli di distress psicologico, maggiore compliance all’iter terapeutico e maggiore soddisfazione per la cura ricevuta. 85 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella 6. Bibliografia • • • • • • • • • • • American Thoracic Society/European Respiratory Society. Pretreatment Evaluation Of Non-Small Cell Lung Cancer. Am J Respir Crit Care Med 1997; 156: 320-332. Andre F, Grunenwald D, Pignon JP, et al. Survival Of Patients With Resected N2 Non Small-Cell Lung Cancer: Evidence For A Subclassification And Implications. J Clin Oncol 2000; 18: 2981-2989. Azzoli CG. Molecularly Tailored Adjuvant Chemotherapy For Resected Non-Small Cell Lung Cancer. J Thorac Oncol 2008; 3: 84-93. 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Non-Small Cell Lung Cancer Collaborative Group: Chemotherapy In Non-Small Cell Lung Cancer: A Meta-Analysis Using Updated On Individual Patients From 52 Randomized Clinical Trials. Br Med J 1995; 311: 899-909. Olaussen KA, et al. DNA Repair By ERCC1 In Non–Small-Cell Lung Cancer And Cisplatin-Based Adjuvant Chemotherapy. NEJM 2006; 355: 983-991. Pignon JP, Arriagada R, Ihde DC, et al. A Meta-Analysis Of Thoracic Radiotherapy For Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med 1992; 327(23): 1618-24. Recent Cancer Survival In Europe: A 2000-02 Period Analysis Of EUROCARE 4 Data. Lancet Oncology 8: 784-96. SEER*Stat Release 6.3.5. Http://Seer.Cancer.Gov/Seerstat/ (Accessed May 28, 2007). Slotman B, Faivre-Finn C, Kramer G, et al. Prophylactic Cranial Irradiation In Extensive Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med 2007, 357 (7): 664-72. Surgical Pathology, Juan Rosai, Mosby 2004. Travis WD, EBrambilla E, Muller-Hermelink HK, Harris CC. WHO Classification Of The Tumours. Tumours Of The Lung, Pleura, Thymus And Heart. IARC Press, Lyon 2004. Turrisi AT, Glover DJ. Thoracic Radiotherapy Variables: Influence On Local Control In Small Cell Lung Cancer Limited Disease. Int J Radiat Oncol Biol Phys 1990; 19(6): 1473-9. Warde P, Payne D. Does Thoracic Irradiation Improve Survival And Local Control In Limited-Stage Small-Cell Carcinoma Of The Lung? A Meta-Analysis. J Clin Oncol 1992; 10 (6): 890-5. 86 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Coordinatore: Francesco Cognetti V. Altomare, C. Amanti, M. Amini, A.Barca, E. Cossu, G. De Toma, F. Di Filippo, A. Fabi, F. Ferranti, L. Fortunato, T. Gamucci, G.B. Grassi, G. Guggiardo, P. Marchetti, R. Masetti, M. Mottolese, L. Nardone, G. Naso, L. Perrachio, G. Petrella, P. Pinnarò, P. Pistolese, C. Pistolese, P. Pugliese, D. Terribile, S. Tomao, M. Valeriani. Pagina 87 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 1. Prevenzione secondaria INDICE 1. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella A. Barca, G. Gucciardo, C. Pistolese Prevenzione secondaria 1.1 Aspetti generali 1.2 Riferimenti normativi 1.3 I dati 1.4 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening 1.5 Ricerca e Innovazione ALLEGATO 1 Articolazione delle strutture, funzioni, requisiti tecnici e strutturali nella prevenzione secondaria Pagina 3 2. Accertamento diagnostico e stadi azione Pagina X 3. Trattamento 3.1. Malattia non invasiva 3.2. Stadi iniziali 3.3. Malattia localmente avanzata 3.4. Malattia recidiva e metastatica 3.5. Terapie di supporto e riabilitazione Pagina X 4. Follow-Up Pagina X 5. Percorso psicologico nelle diverse fasi della neoplasia mammaria Pagina X 6. Criteri sull’appropriatezza delle dotazioni strutturali e delle expertise nel carcinoma della mammella ai fini della valutazione di accreditazione e della definizione di eccellenza Pagina X 1.1 Aspetti generali Il tumore della mammella è la neoplasia di gran lunga più frequente nel sesso femminile; nel periodo 1998-2002 ha rappresentato il 24,9% del totale delle diagnosi tumorali. Anche in termini di mortalità è risultata la prima fra le cause tumorali con il 17,1% del totale dei decessi per tumore. Nell’area AIRT (Associazione Italiana Registri Tumori) sono stati diagnosticati in media ogni anno 152 casi di tumore della mammella ogni 100.000 donne. Le stime per l’Italia indicano un totale di circa 38.000 nuovi casi diagnosticati nel nostro paese, mentre per quanto riguarda la mortalità nel 2003 si sono verificati 11.461 decessi per tumore della mammella femminile. La sopravvivenza relativa a 5 anni è del 85%. Il rischio di avere una diagnosi di tumore della mammella femminile nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 90,2‰ (1 caso ogni 11 donne), mentre il rischio di morire è di 19,8‰ (1 decesso ogni 50 donne). Nel Lazio i tassi di incidenza e mortalità sono in linea con i dati nazionali. Nel 2010 si sono stimati circa 4.000 nuovi casi (tasso di incidenza st. 110,1 per 100.000 donne), con una stima del numero di decessi di circa 700 casi (tasso di mtà st. 16.3 per 100.000 donne). I dati nazionali ed internazionali hanno dimostrato l’efficacia dei programmi di prevenzione secondaria basati sulla sola mammografia (screening) nelle 50-69enni eseguita ogni 2 anni: nelle donne che vi partecipano è dimostrata riduzione della mortalità che può arrivare fino al 50%. Questi programmi presentano criticità: soffrono infatti di incompleta copertura del territorio e di carenze di adesione, talvolta non rispondono ai requisiti minimi di qualità, escludono la fascia d’età dai 45 ai 49 aa, oltre alla fascia dai 70 ai 74 aa, non utilizzano estesamente la mammografia digitale e le nuove tecnologie complementari alla mammografia, quali CAD, ecografia e RM, e non tengono conto del profilo di rischio della singola donna (es. rischio genetico/familiare). 1.2 Riferimenti normativi Nell’ambito del Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012, la Regione Lazio con DGR 557/10 e 613/10 ha approvato le linee di intervento che riguardano il consolidamento e le innovazioni tecnologiche in ambito dello screening organizzato per i timori della mammella, della cervice uterina e del colon retto. Nel DCA 59/2010 sono inseriti come parti integranti della rete, sottolineando l’importanza del monitoraggio effettuato attraverso il sistema di indicatori dell’Osservatorio Nazionale degli Screening (ONS) calcolati a livello regionale. 1.3 I dati Nel Lazio l’estensione teorica dei programmi ha raggiunto il 100% in quanto tutte le ASL hanno un programma di screening che si sviluppa sul proprio territorio. Nel 2009 i programmi hanno invitato il 70% della popolazione target. La popolazione residente da invitare ogni due anni è di circa 700.000 donne in fascia di età 50-69 anni. Delle donne invitate solo il 40% ha aderito al programma eseguendo la mammografia di screening. La partecipazione è più alta nelle zone fuori comune di Roma (52% vs 34%). Il 5.8% delle donne che ha effettuato la mammografia di screening ha proseguito l’iter di screening effettuando esami di ap- Pagina 88 Pagina profondimento, valore in linea con il tasso nazionale e con lo standard raccomandato. Sono state inviate a trattamento chirurgico circa 500 donne ottenendo una Detection Rate del 3.36 per mille; il rapporto Benigni /Maligni registrato è in linea con lo standard raccomandato (0.16 vs 0.5 standard ONS). Se si considerano i dati della Multiscopo dell’Istat e dallo studio PASSI risulta in realtà che la percentuale di copertura mammografica nel Lazio nelle donne in fascia di età 50-69 anni risulta essere superiore al 70%. Tale dato scaturisce dalla coesistenza di un doppio canale di offerta (organizzata ed opportunistica) che genera inappropriatezza e dispendio di risorse. 1.4 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening Secondo le Raccomandazioni del Ministero della Salute tutte le regioni devono attuare programmi di screening per il tumore della mammella per garantire l’offerta di un LEA alla popolazione bersaglio, ossia tutte le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni. L’estensione alle fasce 45-49 e 70-74 anni è attuabile dalle Regioni solo dopo aver garantito l’estensione totale ed una adeguata partecipazione alla fascia di elezione. Fascia 45-49 anni: L’ estensione dell’invito a questa fascia di età deve tenere conto dell’ utilizzo come test di screening della mammografia con doppia proiezione, doppia lettura con frequenza a 12-18 mesi. Per le donne con mammelle radiologicamente più dense è opportuno integrare l’esame mammografico con l’ecografia. Qualora non ci siano le condizioni per estendere l’invito a tale fascia di età è necessario integrare nel percorso le donne che spontaneamente effettuano la mammografia attraverso lo screening opportunistico.. Fascia 70-74 anni: i presupposti per una estensione a questa fascia di età sono: migliore sensibilità mammografica, durata maggiore della fase preclinica, maggiore aspettativa di vita e crescente disponibilità di trattamenti efficaci; per le donne già inserite nel percorso si tratta di continuare ad invitare secondo i controlli periodici (mammografia con doppia proiezione, doppia lettura con frequenza biennale). 1.5 Ricerca e Innovazione La riduzione della mortalità è invariata da 40 anni ed è stata ottenuta con un’unica tecnica standard, la mammografia, E’ ipotizzabile che la personalizzazione dei programmi, con l’introduzione della mammografia digitale, del CAD e l’integrazione della Mammografia con l’Ecografia e la RM, adottando percorsi e timing di controllo differenziati, possa ridurre ulteriormente la mortalità. Per raggiungere tale scopo è indispensabile attuare sperimentazioni di modelli organizzativi modulati sul profilo di rischio individuale. Sulla base dei risultati di tali sperimentazioni ogni singola donna dovrà essere classificata in base al proprio profilo di rischio, tenendo conto della storia personale e familiare, dell’ assunzione o meno di terapia ormonale sostitutiva, delle caratteristiche di composizione della ghiandola mammaria (es. seno denso), di eventuali precedenti interventi/terapie per carcinoma mammario, della presenza di impianti protesici. Le donne a rischio “normale” seguirebbero le modalità dello screening “tradizionale”, le altre verrebbero inviate ad un programma di prevenzione “personalizzato”sulla base del rischio: 89 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzato Ipotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna INTRODUZIONE Screening MX50-69 aa (biennale) riduzione della mortalità del 30-50% Non completa estensione dell’invito sulla popolazione target (70%); non inclusione delle 45-49enni; 70-74enni; Uso della Mx digitale poco esteso POSSIBILITÀ DI IMPIANTARE SPERIMENTAZIONI SU LARGA SCALA NEI PROGRAMMI DI SCREENING PER: Modalità di utilizzo di CAD, ecografia e RM, rispetto alle ultime linee guida disponibili; definizione del profilo di rischio per singola donna Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzato Ipotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna profilo di rischio personalizzazione del programma Done a rischio normale (45-74 aa) screening tradizionale secondo LLGG Donne con rischio intermedio (rischio familiare; HRT; mammella di ens BI-RADS 3/4; LCis; iperplasia atipica; protesi) Donne con rischio alto genetico/familiare; lifetime risk >25%; esiti RT mediastino; Li-Fraumeni ecc: 40-59 aa Mx annuale (ev.US) 60-74 aa Mx biennale <39 aa* RM annuale e US annuale 40-49 aa* Mx annuale (ev. US) e RM annuale 50-74 aa Mx biennale Integraziobe tra le sedi di senologia clinica & screening * NICE 2006 Familial Breast Cancer Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzato Ipotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna INTERVENTI URGENTI Identificazione del profilo fi rischio: normale,medio, elevato Diffondere l’uso della Mx digitale Sperimentare l’utilizzo del CAD Introdurre l’utilizzo di US e RM come da proposta operativa Estendere i Programmi di Screening alle fasce 45-49 aa; 70-74 aa 1. Rischio medio = mammella densa (3°- 4° BI-RADS), terapia ormonale sostitutiva, precedenti terapie/interventi per Ca mammario, impianti protesici. 2. Rischio alto = rischio genetico/familiare (lifetime risk = >25%) La stratificazione potrebbe essere fatta dal Medico Radiologo, che legge la mammografia di screening e valuta i dati della scheda anamnestica della donna compilata dal tecnico radiologo che effettua il test; nel caso di sospetta componente genetica la donna andrebbe obbligatoriamente inviata ai centri di counselling precedentemente identificati. ALLEGATO 1 Articolazione delle strutture, funzioni, requisiti tecnici e strutturali nella prevenzione secondaria Ciascuna ASL, attraverso un comitato di coordinamento interdisciplinare, composto dai responsabili delle Unità Operative interessate e da un rappresentate dei Medici di Medicina Generale, svolge le seguenti funzioni: Pagina • garantire l’applicazione dei controlli di qualità inclusi quelli di fisica sanitaria • organizzare le modalità informative interne mettendo in rete tutte le strutture e garantendo la registrazione tempestiva dei dati sul sistema informativo • valutare i bisogni formativi e assicurare la partecipazione del personale alle attività didattiche • provvedere alla valutazione ed adeguamento delle tecnologie sanitarie ed informatiche necessarie allo svolgimento del programma. Le strutture che operano nell’ambito del programma di screening sono: Struttura di coordinamento: è la struttura organizzativa responsabile dell’intero percorso. Svolge le seguenti attività: • identificazione della popolazione bersaglio • definizione del calendario di attività del centro di screening • invito dell’utenza (lettera con appuntamento prefissato in base al calendario di attività • l’appuntamento può essere modificato dalle utenti) 90 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella • • • • invio del calendario giornaliero di attività al centro di screening registrazione dei risultati della mammografia di screening: negativo: invio della risposta all’utente tramite lettera dubbio/positivo: contatto telefonico con appuntamento per esami di approfondimento • registrazione dei risultati degli esami di secondo livello e comunicazione delle indicazioni di follow up derivate all’utente • reperimento della documentazione clinica dei casi positivi • monitoraggio dell’attività con valutazione dell’ adeguatezza della performance del programma in rapporto agli standard riconosciuti dal Ministero della Salute e ai Criteri di Buona Pratica organizzazione di audit per il miglioramento continuo della qualità • gestione del numero verde • allestimento dei report periodici • preparazione del materiale informativo, consensi informati, questionari di soddisfazione dell’utenza. Struttura di I livello è la struttura dove viene effettuata la mammografia di screening bilateralmente in due proiezioni (medio laterale obliqua e cranio caudale). L’utente che si presenta per la mammografia di screening viene accolta e registrata; una breve anamnesi con particolare riguardo alla anamnesi familiare e ad interventi precedenti sulla mammella con esame istologico viene inoltre raccolta ed inserita nel sistema informativo, dal personale infermieristico. Il tecnico radiologo, esperto qualificato e dedicato, svolge i seguenti compiti: • esecuzione del test di screening di eccellente qualità sia dal punto di vista del posizionamento che dal punto di vista tecnico. • esecuzione sistematica delle procedure di controllo di qualità per quanto riguarda gli aspetti fisici e tecnici, in base ai protocolli di qualità definiti dalle Linee Guida Europee sulla Quality Assurance (IV edition, 2006) L’interpretazione del test di screening è affidata al medico radiologo che legge i radiogrammi di screening; la lettura deve essere eseguita indipendentemente dai due radiologi. La doppia lettura aumenta sia la sensibilità che la specificità del test, riducendo il tasso dei richiami. Secondo i criteri di Buona Pratica e le raccomandazioni del Ministero, un radiologo che opera nello screening deve: • essere dedicato nell’attività senologica almeno il 50% della sua attività • leggere almeno 5.000 esami/anno • partecipare all’approfondimento delle lesioni identificate mediante screening e alla discussione dei casi clinici nelle riunioni multidisciplinari; • partecipare alla revisione periodica della propria performance (tasso diagnostico, tasso di richiami, revisioni dei cancri intervallo). Struttura di II livello: comprende tutti gli esami di approfondimento necessari in caso di mammografia “non negativa” e che devono essere effettuati presso una struttura specialistica integrata (unità di senologia diagnostica). Tutti gli approfondimenti diagnostici devono essere svolti in un'unica sede ed è necessario che l’attività di screening (I livello) sia connessa organizzativamente e strutturalmente all’unità di senologia che seguirà gli approfondimenti diagnostici. Gli esami di approfondimento sui casi richiamati dallo screening devono essere eseguiti dai medici radiologi che effettuano la lettura di screening. In caso di positività o persistenza del dubbio la valutazione dei casi deve essere fatta insieme ad un’equipe multidisciplinare (radiologo, patologo, chirurgo, oncologo e radioterapista) per verificare la completezza della diagnosi preoperatoria e concordare il trattamento più adeguato da offrire. Struttura di III livello: ogni programma di screening deve avere almeno un’ unità chirurgica di riferimento dove vengano trattati un minimo di 100/150 casi di tumore mammario all’anno con almeno 50 casi/chirurgo per anno Pagina sempre nell'ambito della stessa UO dedicata a cui indirizzare i casi diagnosticati. In questa struttura deve essere presente una Breast Unit che garantisca funzioni di: chirurgia della mammella, radiologia senologica, chirurgia plastica e ricostruttiva con chirurgo dedicato, anatomia patologica con patologo dedicato; per le pazienti affette da tumore della mammella: oncologia medica, medicina nucleare, radioterapia con radioterapista dedicato, riabilitazione, psicologia, genetica medica. La necessità di unità operative dedicate è motivata dal fatto di garantire la massima qualità degli interventi diagnostico terapeutici senza far uscire la paziente da una Rete professionale integrata, ed anzi facilitandone l’accesso, qualunque sia il professionista per primo incontrato. Le Breast Unit, concepite nell’ottica di una razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse umane ed economiche impiegate per la diagnosi e cura delle donne affette da carcinoma mammario, consentono inoltre di: riesaminare e completare, se necessario, l’iter diagnostico nei casi con documentazione incompleta, evitare di trasferire la paziente che necessiti, per esempio, di una linfoscintigrafia mammaria per linfonodo sentinella presso altre strutture, o di far intervenire un chirurgo plastico non facente parte della breast unit proveniente da altri ospedali per garantire un approccio conservativo, evitando mutilazioni superflue e complicanze invalidanti e di offrire un intervento ricostruttivo dopo intereventi demolitivi o un trattamento oncoplastico in corso di terapia conservativa. Ogni Breast Unit deve inoltre aver elaborato un Percorso clinico assistenziale condiviso e tenere riunioni multidiscplinari periodiche per la discussione dei casi clinici ed il miglioramento della qualità degli interventi diagnostici e terapeutici. CONTROLLI DI QUALITA’ DEI MAMMOGRAFI DIGITALI • Mammografo Digitale (diretto/indiretto) • CAD (computer aided detection) • dual energy • monitor dedicati per la refertazione, con • possibilità di rielaborazione dati (postprocessing) Controlli effettuati dal tecnico radiologo con tempistica: giornaliera, settimanale, mensile: • funzionalità del monitor di refertazione; • verifica ed omogeneità dei flat-panel • riproducibilità del sistema di controllo automatico dell’esposizione attraverso la verifica del rapporto contrasto-rumore • pulizia del plate e del lettore CR e verifica dell’assenza di artefatti su tutte le cassette • verifica dell’eventuale “anodizzazione” del tubo radiogeno • calibrazione del rivelatore flat-panel Controlli effettuati dall’esperto in Fisica Medica con tempistica: semestrale, annuale: • tubo radiogeno • generatore • griglia • compressore e controllo automatico dell’esposizione per tutti gli spessori (2-7cm) • misura della dose ghiandolare media al variare degli spessori • verifica della soglia di contrasto Controllo rivelatore digitale (sia flat-panel che cassette CR): • fnzione di risposta al variare della dose • assenza di sorgenti di rumore • omogeneità ed artefatti • calibrazione e controllo dei monitor delle Work-station di refertazione. 91 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 2. Accertamento diagnostico e stadiazione V.Altomare , C.Amanti, M.Amini, F.Ferranti, M.Mottolese, L.Perracchio, P.Pistolese, P.Pugliese, S.Tomao 2.1 Diagnosi Strumentale Diagnostica per Immagini Protocolli diagnostici da applicare presso le strutture eroganti prestazioni di senologia diagnostica. In accordo con le principali società Scientifiche Nazionali (SIRM, FONCAM) ed Internazionali (RCR, ACR) i protocolli diagnostici da applicare presso le strutture eroganti prestazioni di senologia diagnostica, al fine di coniugare efficacia ed efficienza nelle principali situazioni cliniche nel rispetto dell’evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie, sono i seguenti: • sospetto clinico di carcinoma (nodulo, retrazione-ispessimento cute-capezzolo, Paget ecc.): la mammografia (MX), preferibilmente digitale con tecnica FFDM, è indagine di elezione e preliminare a qualsiasi ulteriore test diagnostico. Da associare ad ecografia (US) nell’ambito della tripletta diagnostica (MX+US+FNAC/B) o in caso di MX non risolutiva (es. densità diffusa o focale). US esame preliminare in donna giovane (specie se a basso sospetto clinico), in gravidanza o allattamento. Risonanza magnetica (MRM) e scintigrafia (MN) da riservare a strutture altamente specialistiche quali dovrebbero essere quelle che comprendono una breast unit, secondo protocolli validati e continuamente aggiornati alla luce delle nuove conoscenze e tecnologie, in grado di gestire l’eventuale successivo iter diagnostico • sospetto clinico di carcinoma in portatrici di protesi: sarebbe opportuno che tale tipologia di soggetti (portatrici di protesi) fossero studiate in ambienti specifici e dotati di MRM per la particolare validità diagnostica di tale esame nella specifica popolazione. MX ed US, sebbene raccomandate, possono presentare, in particolare la prima, evidenti limitazioni diagnostiche • dolore/tensione generalizzato ciclico e non: preliminare valutazione clinica ed anamnestica. MX può essere indicata in rapporto all’età, alla storia familiare/personale; US non indicata di routine • flogosi acuta: US indicata come primo esame in particolare per valutare eventuali ascessi e come supporto per manovre interventistiche. MX nel sospetto clinico o strumentale di ca • secrezione: preliminare valutazione clinica ed anamnestica. In caso di sospetto clinico è indicata MX, es. citologico del secreto ed eventuale galattografia. Non evidenza clinica per US che può risultare indicata nell’impossibilità ad eseguire galattografia. MRM ancora in fase di validazione in questa situazione clinica. • stadiazione pre terapia: MX ed US indicate per stadiazione locale. MRM indicata nel sospetto (non certezza) clinico/strumentale di multicentricità/multifocalità o bilateralità E nel monitoraggio delle chemioterapia neoadiuvante per carcinomi localmente avanzati. CT total body e scintigrafia ossea, o se del caso PET nei tumori con elevata probabilità di metastasi a distanza, Rx mirati per metastasi a distanza solo su decisionalità multidisciplinare. • follow-up di pz con neoplasia: MX annuale (eventuale associazione US). MRM a chiarimento di specifici problemi; PET nella valutazione della risposta metabolica alla terapia e caratterizzazione di lesioni dubbie alle altre indagini. La mammografia rappresenta sicuramente l’esame strumentale principale per la diagnosi di neoplasia mammaria, eventualmente integrata dall’ eco- Pagina grafia mammaria e dei cavi ascellari pre-operatoria. Il mammografo digitale deve prevedere le seguenti caratteristiche: • sistema CAD (computer aided detection) • dual energy • monitor dedicati per la refertazione, con possibilita’ di rielaborazione dati (post-processing) L’ecografia deve essere eseguita con ecografo di ultima generazione e con sonde dedicate ad alta frequenza (>=10Mhz); è preferibile che sia previsto un programma di rielaborazione immagini in 3D. La RMN mammaria è da considerare una metodica integrata nella ricerca di un carcinoma occulto, nella stadiazione loco-regionale (multicentricità, multifocalità, infiltrazione del muscolo pettorale, linfonodi regionali), in caso di neoplasia localmente avanzata o di chemioterapia neo-adiuvante. Tale metodica è anche l’indagine più sensibile per valutare l’estensione del tumore invasivo ed ha permesso di evidenziare altri focolai neoplastici inattesi nel 16% delle pazienti. In uno studio prospettico, la RMN mammaria ha evidenziato un tumore della mammella contro laterale nel 3.1% di donne a cui era stato diagnosticato un tumore della mammella ma in cui sia l’esame clinico che la mammografia della mammella controlaterale erano negativi La RMN deve possedere i seguenti requisiti: • intensità di campo 1.5-3 Tesla • bobine dedicate • sequenze dedicate per spettroscopia • sistema di localizzazione stereotassica per biopsie vuoto-assistite e/o localizzazione prechirurgica Tali metodiche strumentali devono inoltre consentire la possibilità di effettuare procedure interventistiche di caratterizzazione cito-istologica e di localizzazione prechirurgica. Una stadiazione pre-operatoria con esami strumentali (ecografia epatica, rx torace, scintigrafia ossea) non è strettamente necessaria in assenza di sintomi e/o segni di malattia sistemica nelle pazienti a basso rischio di recidiva (N-). Nelle pazienti a più alto rischio di recidiva (N+, T3-T4) o con segni clinici o di laboratorio sospetti per la presenza di localizzazioni secondarie è indicata una stadiazione biochimica e strumentale completa con marcatori tumorali (CEA, CA 15-3), radiografia standard o TC del torace, ecotomografia o TC o RMN epatica e scintigrafia ossea. 2.2 Diagnosi Anatomo-patologica Diagnosi preoperatoria La diagnosi pre-operatoria si basa essenzialmente sull’esecuzione di esame ago aspirato per diagnosi citologica o di core biopsy o mammotome per diagnosi istologica Diagnosi intraoperatoria L’esame istologico intraoperatorio si esegue quando la natura della lesione sia dubbia nonostante indagini clinico-strumentali, è utile in pazienti con problematiche particolari (cardiopatiche gravi, gravidanza, etc) e in casi con precedente biopsia non diagnostica. L’esame istologico intraoperatorio consente la definizione di eventuale mul- 92 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella tifocalità, bilateralità della neoplasia, la valutazione dello status dei margini, può dare indicazione a QUART o mastectomia; è indispensabile per la valutazione del tessuto al di sotto del complesso di areola e capezzolo in corso di nipple sparing. E’ opportuno che la lesione da diagnosticare sia >1cm di diametro massimo. I vantaggi principali sono la possibilità di distinzione tra lesione benigna e lesione maligna. In caso di identificazione di lesioni complesse, quali lesioni papillari, lesioni sclerosanti, la diagnosi va differita alla valutazione definitiva. microscopica dei margini con indicazione della distanza dal carcinoma invasivo e dal carcinoma intraduttale, valutazione dell’invasione vascolare e linfatica, esame dei linfonodi, numero totale linfonodi esaminati, presenza di macrometastasi, micrometastasi ed ICT, estensione extralinfonodale, metodo di esame del linfonodo sentinella, valutazione della risposta alla eventuale terapia neoadiuvante, Stato recettoriale, fattori prognostici, e il pTNM (riferimento AJCC 2010 7^ edizione). Diagnosi postoperatoria Nella diagnosi post-operatoria è fondamentale il referto Anatomo patologico. Questo dovrebbe comprendere i dati anagrafici, il tipo di campione (agobiopsia, biopsia escissionale, nodulectomia, quadrantectomia, riescissione, mastectomia) e lato della lesione, indicazione dell’orientamento del campione e della sua integrità, i linfonodi (linfonodo sentinella e altri linfonodi), descrizione e dimensioni del campione (indicare la presenza di cute, capezzolo, muscolo pettorale ed eventuale infiltrazione), descrizione e dimensioni della neoplasia, focalità (nodulo singolo o noduli multipli), valutazione macroscopica dei margini con inchiostratura e campionamento, indicazione dell’istotipo della neoplasia (riferimento a Classificazione WHO 2003), valutazione della componente intraduttale e della sua estensione, indicazione del grado della lesione (riferimento Score di Nottingham), valutazione La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è quello dell’AJCC (American Joint Cancer Committee) VII edizione del 2010. E’ strutturata come segue nelle tabelle 1, 2, 3, 4 e 5. Dopo chemioterapia neo-adiuvante la ri-stadiazione viene preceduta dal prefisso “ycTNM” o “ypTNM” rispettivamente per la valutazione clinica e per quella patologica. 2.3 Stadiazione TNM Biomarcatori Validati e di Corrente Uso Clinico Recettori Ormonali Il metodo attualmente più utilizzato per la valutazione dei recettori per estrogeno e progesterone è quello immunoistochimico (IHC). Tale metodo richiede una attenta valutazione di tutti gli aspetti tecnici e interpretativi, al fine di garantire una adeguata qualità dei test. I punti critici della metodica sono le Tabella 1. Tumore primitivo (T)a,b TX Primary tumor cannot be assessed T0 No evidence of primary tumor Tis Carcinoma in situ Tis (DCIS) DCIS Tis (LCIS) LCIS Tis (Paget) Paget disease of the nipple NOT associated with invasive carcinoma and/or carcinoma in situ (DCIS and/or LCIS) in the underlying breast parenchyma. Carcinomas in the breast parenchyma associated with Paget disease are categorized based on the size and characteristics of the parenchymal disease, although the presence of Paget disease should still be noted T1 Tumor ≤20 mm in greatest dimension T1mi Tumor ≤1 mm in greatest dimension T1a Tumor >1 mm but ≤5 mm in greatest dimension T1b Tumor >5 mm but ≤10 mm in greatest dimension T1c Tumor >10 mm but ≤20 mm in greatest dimension T2 Tumor >20 mm but ≤50 mm in greatest dimension T3 Tumor >50 mm in greatest dimension T4 Tumor of any size with direct extension to the chest wall and/or to the skin (ulceration or skin nodules)c T4a Extension to the chest wall, not including only pectoralis muscle adherence/invasion T4b Ulceration and/or ipsilateral satellite nodules and/or edema (including peau d'orange) of the skin, which do not meet the criteria for inflammatory carcinoma T4c Both T4a and T4b T4d Inflammatory carcinoma Pagina 93 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 2. Linfonodi regionali (N)a Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Tabella 3. Linfonodi patologici (pN)a,b NX Regional lymph nodes cannot be assessed (e.g., previously removed) N0 No regional lymph node metastases N1 Metastases to movable ipsilateral level I, II axillary lymph node(s) pN1c Metastases in 1–3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detected Metastases in 4–9 axillary lymph nodes. pN2 OR Metastases in ipsilateral level I, II axillary lymph nodes that are clinically fixed or matted Metastases in clinically detectedd internal mammary lymph nodes in the absence of axillary lymph node metastases. N2 OR pN2a Metastases in 4–9 axillary lymph nodes (at least 1 tumor deposit >2 mm). pN2b Metastases in clinically detectedd internal mammary lymph nodes in the absence of axillary lymph node metastases. Metastases in clinically detectedb ipsilateral internal mammary nodes in the absence of clinically evident axillary lymph node metastases N2a Metastases in ipsilateral level I, II axillary lymph nodes fixed to one another (matted) or to other structures N2b Metastases only in clinically detectedb ipsilateral internal mammary nodes and in the absence of clinically evident level I, II axillary lymph node metastases OR Metastases in ipsilateral infraclavicular (level III axillary) lymph node(s) with or without level I, II axillary lymph node involvement Metastases in infraclavicular (level III axillary) lymph nodes OR OR N3 Metastases in ≥10 axillary lymph nodes Metastases in clinically detectedb ipsilateral internal mammary lymph node(s) with clinically evident level I, II axillary lymph node metastases pN3 Metastases in clinically detectedc ipsilateral internal mammary lymph nodes in the presence of one or more positive level I, II axillary lymph nodes OR OR Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph node(s) with or without axillary or internal mammary lymph node involvement N3a Metastases in ipsilateral infraclavicular lymph node(s) Metastases in >3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc N3b Metastases in ipsilateral internal mammary lymph node(s) and axillary lymph node(s) OR N3c Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph node(s) Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph nodes Metastases in ≥10 axillary lymph nodes (at least 1 tumor deposit >2.0 mm) pN3a Tabella 3. Linfonodi patologici (pN)a,b pNX Regional lymph nodes cannot be assessed (e.g., previously removed or not removed for pathologic study). pN0 No regional lymph node metastasis identified histologically. OR Metastases to the infraclavicular (level III axillary lymph) nodes pN3b Note: ITCs are defined as small clusters of cells ≤0.2 mm, or single tumor cells, or a cluster of <200 cells in a single histologic cross-section. ITCs may be detected by routine histology or by IHC methods. Nodes containing only ITCs are excluded from the total positive node count for purposes of N classification but should be included in the total number of nodes evaluated. Metastases in clinically detectedd ipsilateral internal mammary lymph nodes in the presence of one or more positive axillary lymph nodes OR Metastases in >3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc pN0(i–) No regional lymph node metastases histologically, negative IHC. pN0(i+) Malignant cells in regional lymph node(s) ≤0.2 mm (detected by H&E or IHC including ITC). pN0(mol–) No regional lymph node metastases histologically, negative molecular findings (RT-PCR). pN0(mol+) Positive molecular findings (RT-PCR), but no regional lymph node metastases detected by histology or IHC. Posttreatment yp "N" should be evaluated as for clinical (pretreatment) "N" methods above. The modifier "SN" is used only if a sentinel node evaluation was performed after treatment. If no subscript is attached, it is assumed that the axillary nodal evaluation was by AND Micrometastases The X classification will be used (ypNX) if no yp posttreatment SN or AND was performed OR categories are the same as those used for pN pN1 pN3c Metastases in 1–3 axillary lymph nodes. AND/OR Metastases in internal mammary nodes with metastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc pN1mi Micrometastases (>0.2 mm and/or >200 cells but none >2.0 mm). pN1a Metastases in 1–3 axillary lymph nodes, at least one metastasis >2.0 mm. pN1b Metastases in internal mammary nodes with micrometastases or macrometastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc Pagina 94 Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph nodes. Posttreatment ypN AND = axillary node dissection H&E = hematoxylin and eosin stain IHC = immunohistochemical ITC = isolated tumor cells RT-PCR = reverse transcriptase/polymerase chain reaction. aReprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76. bClassification is based on axillary lymph node dissection with or without sentinel lymph node biopsy. Classification based solely on sentinel lymph node biopsy without subsequent axillary lymph node dissection is designated (SN) for "sentinel node," for example, pN0(SN). c "Not clinically detected" is defined as not detected by imaging studies (excluding lymphoscintigraphy) or not detected by clinical examination. d"Clinically detected" is defined as detected by imaging studies (excluding lymphoscintigraphy) or by clinical examination and having characteristics highly suspicious for malignancy or a presumed pathologic macrometastasis based on fine-needle aspiration biopsy with cytologic examination. Pagina 95 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 4. Metastasi a distanza (M)a M0 No clinical or radiographic evidence of distant metastases cM0(i+) No clinical or radiographic evidence of distant metastases, but deposits of molecularly or microscopically detected tumor cells in circulating blood, bone marrow, or other nonregional nodal tissue that are ≤0.2 mm in a patient without symptoms or signs of metastases M1 Distant detectable metastases as determined by classic clinical and radiographic means and/or histologically proven >0.2 mm Reprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 34776. a Posttreatment yp M classification. The M category for patients treated with neoadjuvant therapy is the category assigned in the clinical stage, prior to initiation of neoadjuvant therapy. Identification of distant metastases after the start of therapy in cases where pretherapy evaluation showed no metastases is considered progression of disease. If a patient was designated to have detectable distant metastases (M1) before chemotherapy, the patient will be designated as M1 throughout.[1] Tabella 5. Stadi/Gruppi prognosticia,b Stage T N M 0 Tis N0 M0 IA T1b N0 M0 T0 N1mi M0 T1b N1mi M0 T0 N1c M0 T1b N1c M0 T2 N0 M0 T2 N1 M0 T3 N0 M0 T0 N2 M0 T1b N2 M0 T2 N2 M0 T3 N1 M0 T3 N2 M0 T4 N0 M0 T4 N1 M0 T4 N2 M0 IIIC Any T N3 M0 IV Any T Any N M1 IB IIA IIB IIIA IIIB Reprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76. T1 includes T1mi. cT0 and T1 tumors with nodal micrometastases only are excluded from Stage IIA and are classified Stage IB. - M0 includes M0(i+). - The designation pM0 is not valid; any M0 should be clinical. - If a patient presents with M1 prior to neoadjuvant systemic therapy, the stage is considered Stage IV and remains Stage IV regardless of response to neoadjuvant therapy. - Stage designation may be changed if postsurgical imaging studies reveal the presence of distant metastases, provided that the studies are carried out within 4 months of diagnosis in the absence of disease progression and provided that the patient has not received neoadjuvant therapy. - Postneoadjuvant therapy is designated with "yc" or "yp" prefix. Of note, no stage group is assigned if there is a complete pathologic response (CR) to neoadjuvant therapy, for example, ypT0ypN0cM0. a b Pagina 96 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella procedure di fissazione del tessuto tumorale (max 24 - 48h in formalina tamponata) e di recupero dell’antigenicità, il tipo di anticorpi utilizzati, la quantificazione della immunoreattività, l’utilizzo di controlli appropriati di qualità interni ed esterni. HER2 immunoistochimica L’iperespressione dell’oncogene HER2 è analizzata routinariamente su tutti i pazienti operati per carcinoma invasivo della mammella con metodica IHC utilizzando anticorpi validati. I più utilizzati sono l’anticorpo policlonale A0485 (Dako, Milano) e l’anticorpo monoclonale CB11 (Menarini, Firenze). Viene determinato uno score della immunoreattività (0 e 1+ = negativo o reattività discontinua di membrana, 2+ e 3+= rispettivamente positivo con reattività debole completa di membrana o intensa completa di membrana). HER2 amplificazione genica Nei tumori con score 2+ (reattività equivoca) , dovrà essere analizzata l’amplificazione genica mediante FISH (ibridazione in situ fluorescente) o CISH/SISH (Ibridazione in situ cromogenica). Queste due ultime metodiche permettono la visualizzazione dell’amplificazione genica al microscopio ottico consentendo un’accurata valutazione della morfologia del tessuto e sono particolarmente utili nei preparati citologici, dove è importante visualizzare accuratamente l’amplificazione nel contesto della morfologia cellulare. Secondo le linee guida internazionali (American College of Pathologists) si considerano amplificati in FISH carcinomi con una ratio (gene/cromosoma 17) >2.2 e in CISH/SISH carcinomi con >6 segnali/nucleo. Ki-67 è un antigene che si trova esclusivamente nel nucleo delle cellule proliferanti (dalla fase G1 alla mitosi) , ma è assente nelle cellule in G0. La determinazione dell’indice di proliferazione mediante ki-67 è effettuata mediante IHC e il cut-off accettato in letteratura varia tra il 13% e il 15%. La valutazione dell’indice di proliferazione mediante il ki-67 può fornire informazioni prognostiche e essere di ausilio clinico per pianificare piu’ accuratamente il trattamento adiuvante in pazienti N0 (Viale G et al J Natl Cancer Inst 2008) e in donne post menopausa con recettori ormonali positivi ( Viale G et al J Clin Oncol 2008). Come per tutte le indagini immunoistochimiche anche per la valutazione del ki-67 le fasi preanalitiche della preparazione dei tessuti devono essere accuratamente standardizzate e controllate. Biomarcatori in Corso di Validazione Clinica Tutti i geni e i loro prodotti coinvolti nei processi di invasione, migrazione e metastatizzazione, possono rappresentare potenziali fattori prognostici. Una prima strategia è stata caratterizzata dall’analisi combinata di geni di cui è noto il coinvolgimento nel processo di crescita neoplastica, portando allo sviluppo dell’Oncotype; una seconda strategia è consistita nello studio su varie casistiche di un ampio numero di geni per poi validare, attraverso algoritmi matematici, un complesso di geni correlato con la prognosi sfavorevole e ciò ha portato allo sviluppo di Mammaprint. La disponibilità della tecnologia del micro-array, basata sull’ibridizzazione di catene di DNA con loro copie complementari di cDNA fluorescente o sequenze gnomiche provenienti da tessuto, permette il confronto dell’espressione di tutti i geni in tessuti normali e tumori diversi; tutto questo analizzando l’intensità della fluorescenza nel micro-array chip. Una delle più interessanti applicazioni della tecnologia dei micro-array è consistita nella possibilità di classificare i casi di carcinoma mammario su base molecolare, cioè a seconda dei differenti profili di espressione genica. La presenza di cellule tumorali circolanti (CTC) nel sangue di donne con carcinoma mammario in fase precoce necessita ancora di ulteriore definizione relativamente alla sensibilità, specificità e riproducibilità sia qualitativa sia quantitativa delle metodiche utilizzate. La recente disponibilità di una tecnica Pagina affidabile come quella Cell Search potrà consentire l’implementazione di progetti di ricerca che valutino prospettivamente questo fattore prognostico in rapporto ai trattamenti adiuvanti, contribuendo inoltre a fornire una valutazione e una stima dei marker di resistenza o sensibilità ai regimi chemioterapici e favorendo, quindi, una migliore comprensione degli eventi molecolari precoci del processo di metastatizzazione. Un ulteriore interesse sul piano prettamente clinico deriva dalla dimostrazione che le caratteristiche di maggiore aggressività legate all’amplificazione di HER2 sono mediate da questa sottopopolazione. La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è quello dell’AJCC (American Joint Cancer Committee) L’analisi del profilo genico attraverso l’utilizzo di DNA microarrays ha confermato che il tumore della mammella non rappresenta un’unica patologia con diverse caratteristiche morfologiche a specifici biomarkers, ma piuttosto un insieme di ben distinte patologie molecolari. Quattro classi principali di tumore della mammella sono state identificate attraverso l’analisi del profilo genico. Secondo la classificazione “intrinseca” di Perou et al (Nature 2000) queste quattro categorie sono denominate basal-like, (tumori con recettori ormonali e HER2 non espressi), luminal A (tumori con recettori ormonali positivi e a basso grado di proliferazione), luminal B (tumori con recettori ormonali generalmente espressi ma piuttosto debolmente e spesso ad alto grado di proliferazione) e tumori HER2 positivi che mostrano amplificazioni ed elevata espressione del gene ERBB2 e di altri geni ad esso correlati. Questi sottogruppi corrispondono ragionevolmente alla caratterizzazione clinica dei tumori della mammella sulla base dello stato dei recettori ormonali e di HER2, oltre che del grado istologico. Studi di Microarray hanno inoltre dimostrato che i tumori luminali esprimono un’alta percentuale di citocheratine luminali e marcatori genetici delle cellule epiteliali luminali del tessuto mammario normale. Al contrario i tumori basal-like non esprimono recettore per l’estrogeno, recettore per il progesterone e non esprimono geni importanti che caratterizzano le cellule mioepiteliali del tessuto mammario normale. In alcuni tumori basal– like c’è un’alta espressione di citocheratine basali come CK5 e di una grande varietà di recettori di fattori di crescita, inclusi alti livelli di epidermal growth factor receptor, c–kit, e fattori di crescita come hepatocyte growth factor e insulina growth factor. I metodi di immunoistochimica per definire i tumori basal – like non sono completamente sufficienti, in parte perché la corrispondenza con la classificazione molecolare non è perfetta ed anche perché complessità logistiche limitano lòa possibilità di combinare 5 o più markers immunoistochimici nella routine della pratica clinica. Un’altra caratteristica che differenzia i tumori basal-like sporadici dai tumori luminal-like è la disfunzione del pathway di BRCA1 causata dalla metilazione del promoter o dalla inattivazione trascrizionale del gene BRCA1 o di entrambe. Infatti quasi tutti i tumori associati a mutazioni di BRCA1, sia sporadici che ereditari, hanno un fenotipo basal-like. L’analisi del profilo genico è stata utilizzata per sviluppare test genomici che possano predire l’outcome clinico in modo più “tailored”rispetto agli standard tradizionali clinici e patologici. Gli investigatori del Nederlands Cancer Institute hanno sviluppato una firma genetica (MammaPrint) a partire da una serie retrospettiva di 78 pazienti con tumore della mammella con linfonodi negativi che non hanno ricevuto alcuna terapia sistemica adiuvante (Van’T Veer, Nature 2002). L’analisi,che misura l’espressione di 70 geni e calcola un punteggio prognostico che categorizza le pazienti in alto e basso rischio , è stata recentemente approvata dalla FDA (anche se non è stata validata in uno studio prospettico) per le pazienti con tumore della mammella che hanno meno di 61 anni, stadio I o II, linfonodi negativi e dimensioni tumorali ≤ 5 cm (Van’T Veer, Nature 2002). Un confronto tra questa firma genetica e Adjuvant! Online Program (www.adjuvantonline.com), che assegna un rischio sulla base dei criteri convenzionali come 97 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici dimensioni tumorali, stato linfonodale, grado, stato recettoriale, ha dimostrato che 87 dei 302 pazienti aveva risultati discordanti (29%). Soprattutto in questi casi discordanti il test genetico sembra essere più preciso nella discriminazione dei pazienti a basso o ad alto rischio. Una gene-signature attualmente utilizzata anche nella pratica clinica negli USA, approvata da FDA è l’Oncotype DX, in corso di validazione prospettica come fattore predittivo per il trattamento adiuvante nello studio TAILORX. Oncotype DX è un profilo di espressione di 21 geni che misura 16 geni, in triplice copia, e 5 geni di riferimento; è attualmente applicabile come profilo prognostico in pazienti con diagnosi di neoplasia mammaria stadio I e II, con recettori per gli estrogeni positivi e i linfonodi negativi per discriminare coloro che si possano giovare anche di un trattamento chemioterapico antiblastico, oltre che dell’ormonoterapia. Linfonodo Sentinella La presenza di metastasi nei linfonodi ascellari è il più importante indicatore prognostico del cancro della mammella. Lo stato del linfonodo sentinella riflette con precisione (>90%) la presenza o assenza di metastasi nei linfonodi ascellari. La tecnica del linfonodo sentinella consente di ridurre di circa il 70% le linfadenectomie ascellari. Il patologo deve fare il possibile per trovare eventuali metastasi in sede intraoperatoria. La condizione migliore è poter concentrare l’attenzione su un linfonodo anziché su tutti i linfonodi ascellari. Quello che si vorrebbe è un metodo rapido, economico ed efficace per valutare lo stato del linfonodo, ma non esiste protocollo che possa essere realizzato a basso costo e velocemente. Oltre alla normale procedura di valutazione (sezione congelata o touch imprint con successiva colorazione ematossilina-eosina, H&E) con cui è possibile analizzare solo una porzione ridotta del linfonodo, a causa del tempo limitato a disposizione durante l’intervento , in alcuni centri si utilizza il metodo OSNA (One Step Nucleic Acid Amplification), rapido, costoso, ma molto affidabile. Tale metodo è una procedura isotermica che utilizza una tecnologia di amplificazione rapida degli acidi nucleici (RT-LAMP*) per rilevare il livello di espressione dell'mRNA della citocheratina 19. Tenuto conto dell’importanza delle informazioni contenute nel linfonodo sentinella, il patologo deve fare il possibile per trovare eventuali metastasi. La condizione favorevole è di poter concentrare l’attenzione su un linfonodo anziché su tutti i linfonodi ascellari. Quello che si vorrebbe è un metodo rapido, economico ed efficace per valutare lo stato del linfonodo, ma non esiste protocollo che possa essere realizzato a basso costo e velocemente. La valutazione intraoperatoria si effettua con il metodo OSNA (One Step Nucleic Acid Amplification). Tale metodo è una procedura isotermica che utilizza una tecnologia di amplificazione rapida degli acidi nucleici (RT-LAMP*) per rilevare il livello di espressione dell'mRNA della citocheratina 19. L’analisi della CK19 consente di distinguere tra risultati positivi e negativi, e fornisce anche una chiara indicazione quantitativa in termini di assenza di metastasi (- < 250 copie mRNA/µL ), micro (+ 250 ≤ copie < 5000mRNA/µL) o macrometastasi (++ ≥ 5.000 copie mRNA/µL). La citocheratina 19 è un marcatore delle cellule epiteliali non espresso nel linfonodo e la sua reattività è indipendente dall’istotipo e dal sottogruppo molecolare del carcinoma della mammella. Il metodo OSNA permette di analizzare l’intero linfonodo e, in parallelo, fino a quattro linfonodi e i risultati sono disponibili in un tempo di circa 30 minuti; consente una risposta definitiva durante l’intervento chirurgico, evita una linfoadenectomia consentendo di formulare una risposta definitiva durante l’intervento chirurgico, evita una linfoadenectomia ascellare non necessaria. Le valutazioni condotte su OSNA in tutto il mondo hanno evidenziato livelli di sensibilità e specificità superiori al 96%, rispetto ai metodi tradizionali. Il sistema OSNA è conforme alla direttiva europea per la diagnostica in vitro 98/79/CE (marchio CE-IVD), ed è pertanto approvato per l’uso diagnostico in tutta Europa. In Italia è utilizzato ancora in un numero limitato di centri. 3. Trattamento 3.1. Malattia non invasiva C. Amanti, M. Amini, O. Buonomo, E. Cossu, L. Nardone, G. Petrella. Carcinoma duttale in-situ Lo scopo del trattamento è quello di prevenire lo sviluppo della recidiva sia in situ sia invasiva. Il trattamento del DCIS non è univoco ma si differenzia sulla base della presentazione. Tipo ad alta malignità (comedonico): Alto grado • Lesioni unifocali< 3 cm: Resezione mammaria limitata, orientamento e radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni riscontrate all’esame mammografico. • Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e radiografia del pezzo operatorio. • Lesioni multicentriche: mastectomia nipple o skin sparing con risparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio. Valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva, del tessuto retroareolare che deve essere negativo per patologia neoplastica. La presenza di tessuto neoplastico in tale sede impone la rimozione del Complesso. Margini di resezione: liberi da malattia. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare Pagina La biopsia del Linfonodo Sentinella è consigliata nelle lesioni > 3 centimetri di diametro per il rischio della presenza di microinvasione. La biopsia del Linfonodo Sentinella è indicata in tutti i casi che devono essere sottoposti ad mastectomia skin sparing o nipple sparing. Tipo a bassa - media malignità (non comedonico): • Lesioni unifocali <3 cm: Resezione mammaria limitata, orientamento e radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni riscontrate all’esame mammografico. • Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e radiografia del pezzo operatorio. • Lesioni multicentriche: mastectomia skin sparing o nipple sparing con risparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio. Valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva, del tessuto retroareolare che deve essere negativo per patologia neoplastica. La presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare impone la rimozione del Complesso. • Margini di resezione: liberi da malattia per almeno 5 mm. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare. Carcinoma duttale in-situ microinfiltrante: Neoplasia lobulare in-situ 98 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Asportazione completa della lesione con margini liberi (se multifocale o molto estesa: • Lesioni unifocali < 3 cm: resezione mammaria limitata, orientamento e radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni con quanto riscontrato all’esame mammografico. • Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e successiva radiografia del pezzo operatorio. • Lesioni multicentriche: Adenomammectomia sottocutanea con risparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio, valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva del tessuto retroareolare. La presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare impone la rimozione del Complesso. • Margini di resezione: liberi da malattia per almeno 5 mm. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare La biopsia del Linfonodo Sentinella è obbligatoria. Neoplasia lobulare in-situ Asportazione completa della lesione con margini liberi (se multifocale o molto estesa: adenomammectomia sottocutanea con risparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio, valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva del tessuto retroareolare, la presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare impone la rimozione del Complesso AC). Le forme pleomorfe possono avere maggiore potenziale di svilupparsi in carcinoma lobulare invasivo. Lesioni non palpabili • Resezione ghiandolare su repere, orientamento e radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni e/o di eventuale clip metallica lasciata in sede in corso della precedente procedura bioptica. • Margini di resezione: liberi da malattia. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare • Tecnica di reperage: sono consigliati, in base all’esperienza e disponibilità dei vari centri, sia l’uso del filo guida metallico che del radiotracciante (ROLL) posizionati sotto guida strumentale. Radioterapia Carcinoma lobulare in-situ La radioterapia nel LCIS non trova indicazione. Carcinoma duttale in-situ La RT è efficace indipendentemente dall’età alla diagnosi, dal metodo di diagnosi del DCIS, dalla stato dei margini, dalla focalità, dal grado istologico, dalla presenza di comedonecrosi e dalla architettura e dimensione del tumore. E’ indicata l’irradiazione di tutta la mammella, con una dose totale di 50 Gy, secondo la tecnica adottata anche per le neoplasie invasive, senza inclusione nel target né della cute né delle stazioni linfonodali, come indicato nel documento AIRO. La somministrazione del boost sul letto tumorale, nonostante sia stata utilizzata da alcuni Autori per estrapolazione dal trattamento delle forme infiltranti, con dose totale di 10-20 Gy in 1-2 settimane, non può essere considerata al momento attuale uno standard di trattamento, con eccezione Pagina in caso di minima focalità del margine e impossibilità al re-intervento. Alcune pazienti giovani (di età < 45 anni) traggono un vantaggio maggiore sul controllo locale della malattia. L’ipofrazionamento è considerato uno standard validato nel carcinoma mammario invasivo, ma ancora da validare nel DCIS. La PBI (partial breast irradiation) è esclusa come trattamento per il DCIS, eccetto in trias randomizzati Nel DCIS dopo chirurgia conservativa è, pertanto, indicata la RT in tutti i sottogruppi di pazienti. Il recente aggiornamento delle linee guida NCCN Versione 2.2011 indica la chirurgia conservativa associata alla RT con alto livello di evidenza e alto grado di raccomandazione. Ormoterapia Carcinoma lobulare in-situ L’ormonoterapia in presenza di recettori estrogenici positivi riduce il rischio relativo su riportato pertanto può essere proposta in terapia. Carcinoma duttale in-situ I carcinomi duttali in situ esprimono frequentemente recettori per gli estrogeni . A tal fine si consiglia l’ormonoterapia preventiva (tamoxifene e raloxifene) in quanto svolge un ruolo determinante nel ridurre l’incidenza di recidive locali soprattutto di tipo invasivo 3.2 Stadi iniziali G.De Toma, F. Di Filippo, A. Fabi, P. Marchetti, R. Masetti, L. Perracchio, G. Petrella, P.Pinnarò, M.Valeriani Terapia chirurgica Carcinoma infiltrante operabile Secondo la classificazione dell’ AJCC gli stadi iniziali vanno dallo stadio I fino al III A (solo T3 N1 M0). La terapia si basa su resezione parziale o quadrantectomia quando l’estensione della malattia, anche se multifocale, sia entro i limiti anatomici di una chirurgia conservativa. Il rapporto tra il volume mammario e l’ampiezza dell’intervento deve essere favorevole all’asportazione completa della neoplasia con un risultato cosmetico accettabile. In caso di T2 o T3 con possibilità di terapia chirurgica conservativa impedita dalle dimensioni del tumore, va considerata un chemioterapia neoadiuvante. Per resezione ampia o tumorectomia allargata si intende l’asportazione di una porzione di tessuto mammario comprendente il tumore ed un margine non inferiore al centimetro di parenchima circostante macroscopicamente sano. Su questo argomento non vi è un accordo unanime ma una recente metaanalisi sembrerebbe portare alla conclusione che 2 mm siano un margine sufficiente. Nelle donne giovani (< 40 anni, con componente intraduttale estesa) 1cm di margine rimane obbligatorio. (Houssami). E’ da preferire un’incisione curvilinea, comprendente una porzione di cute, in caso di lesione superficiale. Quando è necessario asportare tutto il territorio duttale, può essere opportuna un’incisione radiale a losanga, come nella quadrantectomia, con margini più limitati. Il pezzo chirurgico va orientato e mandato al patologo per la valutazione dei margini. La mastectomia è riservata a carcinomi estesi oltre un quadrante, multicentrici, multifocali estesi o con sospetto radiologico o ecografico di multicentricità, e a tutte le situazioni nelle quali la quadrantectomia esiti in un risultato cosmetico scarso. Si adotta la tecnica della mastectomia totale con biopsia del linfonodo sentinella e/o dissezione ascellare se necessaria (mastecto- 99 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici mia radicale modificata).Attualmente quando tecnicamente possibile e l’esame estemporaneo del tessuto retroareolare è negativo si preferisce eseguire la mastectomia “nipple sparing” che garantisce risultati estetici decisamente migliori. La ricostruzione mammaria è il completamento della mastectomia, da garantire sempre. La biopsia del linfonodo sentinella va eseguita in tutti i casi. Sono una controindicazione assoluta il carcinoma infiammatorio, adenopatia ascellare con agoaspirato C5 pazienti sottoposte a chemioterapia neoadiuvante in cui persista un coinvolgimento linfonodale. e pazienti sottoposte a chemioterapia neoadiuvante con coinvolgimento linfonodale. In caso di donne che si devono sottoporre a chemioterapia neoadiuvante senza compromissione linfonodale , si raccomanda l’esecuzione della ricerca del linfonodo sentinella prima dell’inizio della terapia poiché il tasso di identificazione ritrovamento del linfonodo sentinella è più elevato. La tecnica che si preferisce è basata sul tracciante radioattivo legato a microaggregati di albumina umana iniettati in prossimità del tumore ( sottocute, oppure area peritumorale); in alcuni Centri viene utilizzato il colorante blu, accettabile ma meno preciso . In presenza di adenopatie ascellari sospette, linfonodi ascellari esaminati con agoaspirato positivo per CTM o linfonodo sentinella positivo per metastasi , si esegue la dissezione ascellare totale del I e II livello. La procedura è la stessa in caso di linfonodo sentinella non “migrato” o non identificato, evenienza molto rara. In caso di presenza nel linfonodo sentinella di ITC non si esegue la dissezione linfonodale ascellare completa, perché la situazione è paragonabile a una negatività del linfonodo sentinella ; nel caso di micrometastasi inferiori ai 2 mm si può discutere l’inclusione della paziente in uno studio randomizzato che eviti la dissezione ascellare a favore di controlli regolare, ovvero in caso di fattori prognostici sfavorevoli della neoplasia (invasione angiolinfatica, G3 , K167 elevato, HER 2 positivo) si può discutere con la paziente l’opportunità di una dissezione ascellare, perché in questi casi la positività dei linfonodi non sentinella supera il 30%. In caso di tumore ai quadranti interni o quadrante centrale della mammella si può eseguire, la biopsia del linfonodo sentinella nella catena mammaria interna, iniettando il tracciante in sede profonda peritumorale. Ricostruzione mammaria dopo patologia oncologica Ricostruzione dopo chirurgia conservativa La ricostruzione viene attuata, a seconda delle quantità di tessuto asportato e della sede, mediante rimodellamento del parenchima residuo o applicando le varie tecniche di mastoplastica Ricostruzione dopo mastectomia Ricostruzione con materiale protesico Ricostruzione in uno o due tempi, immediata o differita medianteespansore e/o protesi. Indicazioni di tale metodica sono: • Tempi operatori relativamente brevi • Rapida guarigione • nessun ulteriore danno anatomico. • complicanza: possibile decubito ed eventuale esposizione protesica soprattutto nel caso di tessuti danneggiati dalla radio terapia Ricostruzione con materiale autologo Qualora, per motivi di radicalità oncologica, venga asportata un’abbondante porzione della cute mammaria è consigliabile utilizzare: lembi di vicinanza, lembo peduncolato muscolo-cutaneo di grandorsale, lembo Tram, lembi liberi (DIEP – Gluteo etc….) che consentono un’adeguata ricostruzione del mantello cutaneo, più eventualmente espansore e/o protesi. Indicazioni lembi peduncolati: Pagina • qualora la paziente non accettasse il materiale protesico o per la presenza di tessuto compromesso dalla radioterapia si potrebbe optare per una ricostruzione con lembi peduncolati come il Tram o di Gran Dorsale rifornendo così l’area di neovascolarizzazione. • controindicazione all’esecuzione di ricostruzione con lembi peduncolati sono: situazione clinica scadente della paziente, presenza di cicatrici nelle aree dei lembi da scolpire, scarsa aspettativa di vita. Indicazioni lembi liberi: • qualora la paziente non accettasse il materiale protesico, controindicazioni all’uso di lembi peduncolati. • controindicazioni: presenza di tessuto severamente danneggiato dalla radioterapia Ricostruzione complesso Areola/Capezzolo • Capezzolo: Mediante lembi cutanei scolpiti in corrispondenza della sede di impianto o mediante innesto di porzione del capezzolo contro laterale. • Areola: Mediante innesto a tutto spessore prelevato dalla regione inguinale o tatuaggio . La ricostruzione del complesso areola/capezzolo è preferibile effettuare quando il trattamento ricostruttivo della mammella sia stato ultimato ed il suo risultato si possa considerare stabilizzato. Rimodellamento della mammella contro laterale Da eseguire, in accordo con la paziente, quando non sia possibile ottenere una buona simmetria ricostruttiva con le tecniche di mastoplastica (mastopessi, mastoplastica riduttiva, mastoplastica additiva) Lipofilling Innesto di tessuto adiposo autologo utile per ammorbidire le cicatrici dei pregressi interventi, per mascherare i margini protesici,per migliorare la qualità della cute irradiata per la presenza di cellule staminali mesenchimali. Radioterapia Radioterapia dopo chirurgia conservativa L’irradiazione dell’intero parenchima mammario (la cute non e’ parte del volume bersaglio a meno di un suo coinvolgimento da parte della neoplasia) va considerato come lo standard nell’approccio conservativo del carcinoma della mammella. La radioterapia è parte integrante del trattamento conservativo e fattori che controindichino la radioterapia controindicano l’intera strategia. L’irradiazione parziale della mammella c.d. PBI : partial breast irradiation o APBI: accelerated partial breast irradiation) si ritiene vada considerata, al momento, solo nell’ambito di studi clinici controllati e non può essere quindi considerata uno standard terapeutico Infatti, nonostante studi in corso riportino, in gruppi selezionati di pazienti a basso rischio di recidiva sottoposte a irradiazione parziale della mammella, percentuali di controllo locale analoghe a quelle ottenute in pazienti sottoposte a irradiazione dell’intero corpo mammario, tali risultati vanno considerati ,visto il breve follow up, come preliminari sia per quanto attiene il controllo locale sia per quanto riguarda i dati di tossicità e di risultato cosmetico. Per quanto riguarda l’irradiazione delle stazioni linfonodali, nonostante l’assenza, al riguardo, di risultati di studi clinici randomizzati precipuamente condotti in pazienti sottoposte a chirurgia conservativa, vengono generalmente estesi a tale tipologia di pazienti gli atteggiamenti terapeutici adottati nelle pazienti sottoposte a mastectomia (vedi). Trova quindi una forte raccomandazione, nelle pazienti con 4 o più linfonodi ascellari positivi, sottoposte a chirurgi a conservativa, l’irradiazione dei linfonodi infra/sovraclaveari omolaterali. 100 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Dose alla mammella Dopo chirurgia conservativa possono essere impiegati per l’irradiazione della mammella una dose totale ed un frazionamento convenzionale (2 Gy/fr/die/ 5 fr/sett. Dose totale 50 Gy) o schemi ipofrazionati, la cui equivalenza, in termini di efficacia, tossicità e risultato cosmetico emerge dai risultati a lungo termine di diversi studi prospettici e randomizzati. Poiché la maggior parte delle recidive locali è documentata in corrispondenza o nelle immediate vicinanze del letto tumorale, al fine di ridurne l’incidenza, l’erogazione di un sovradosaggio al letto operatorio (c.d. boost) è pratica routinaria presso la maggior parte dei Centri di Radioterapia L’esecuzione del boost (10-16 Gy a seconda dello stato dei margini di resezione) è comunque soprattutto raccomandata in pazienti di età ≤ 40 anni ed in quelle ad elevato rischio di recidiva. Timing dei trattamenti adiuvanti Quando indicata, la chemioterapia adiuvante dovrebbe precedere la radioterapia complementare. Un approccio concomitante può essere pianificato solo nel caso in cui la paziente venga sottoposta a chemioterapia secondo lo schema CMF. La radioterapia dovrebbe iniziare entro 3/4 settimane dalla fine della chemioterapia. Per quanto riguarda la sequenza ottimale ormonoterapia/radioterapia entrambi i trattamenti possono essere somministrati contemporaneamente. Nell’ambito della programmazione di un approccio conservativo dovranno essere tenute in debita considerazione le controindicazioni all’approccio conservativo specifiche per la radioterapia: • Gravidanza • Assoluta impossibilità a mantenere la posizione (supina o prona) individuata per l’esecuzione del trattamento • Alcune malattie del collageno quali lupus, sclerodermia, dermatomiosite se in fase quiescente rappresentano una controindicazione relativa, se in fase attiva rappresentano una controindicazione assoluta, per l’amplificazione delle tossicità segnalate (l’artrite reumatoide non è considerata controindicazione al trattamento) • Pregressa irradiazione della parete toracica (neoplasie della regione mediastinica e/o di altri volumi toracici). Radioterapia dopo mastectomia In base ai dati della letteratura, si ritiene indicato l’impiego della RT dopo mastectomia nei seguenti casi: • tumore superiore a 5 cm nella sua dimensione massima, indipendentemente dallo stato linfonodale • tumore di qualsiasi dimensione con estensione alla parete toracica, al muscolo pettorale, alla cute, indipendentemente dallo stato linfonodale • metastasi ai linfonodi ascellari in numero uguale o superiore a 4 • pazienti con margini positivi o close, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio, anche se i dati della letteratura non sono conclusivi a riguardo. Nelle pazienti con malattia T 1-2 e un numero di linfonodi positivi da 1 a 3, il rischio di recidiva loco-regionale è compreso tra il 13% e il 16% e non vi è sufficiente evidenza per raccomandare l’impiego routinario di un trattamento radiante postoperatorio. Dopo RT la riduzione del rischio relativo di recidiva loco-regionale è della stessa entità in pazienti con 1-3 o 4 o più linfonodi positivi, ma il vantaggio assoluto è inferiore nel primo gruppo, a causa del minor rischio di recidiva. Di contro, il trattamento radiante postoperatorio ha determinato, in alcune serie, un maggior vantaggio in termini di sopravvivenza globale in pazienti con 1-3 linfonodi positivi, a più basso rischio di sviluppare metastasi a distanza, rispetto a quelle con 4 o più linfonodi positivi. Sono stati identificati fattori prognostici che, in pazienti N1 possono aumentare il rischio di recidiva Pagina al di sopra del 20% e avere un impatto sulla sopravvivenza globale: dimensioni tumorali superiori a 3,5-4 cm, assenza di recettori per gli estrogeni, presenza di invasione linfovascolare, età inferiore a 40-45 anni, numero di linfonodi escissi e percentuale di linfonodi positivi superiore o uguale 2025%. Pertanto, tenendo presente che l’argomento è ancora controverso, pur in assenza di risultati di studi clinici randomizzati specificamente disegnati per questo sottogruppo di pazienti, in presenza dei fattori di rischio sopra indicati, alcuni autori suggeriscono di proporre e discutere con la paziente la possibilità di effettuare un trattamento radiante postoperatorio. In ultimo, per quanto riguarda i linfonodi della catena mammaria interna non vi è ancora sufficiente evidenza per raccomandarne o sconsigliarne l’irradiazione. Per ogni ulteriore approfondimento si rimanda alle Linee Guida AIRO. Terapia medica degli stadi iniziali La decisione del trattamento adiuvante (chemioterapia e/o ormonoterapia e/o terapia biologica dopo la chirurgia) richiede un’attenta valutazione di quelli che sono i fattori prognostici e predittivi attualmente da considerare: il diametro del tumore, lo stato linfonodale e il numero dei linfonodi metastatici, il grading istologico, la presenza di invasione vascolare peritumorale, l’attività proliferativa (ki67/Mib1), lo statodi HER2, lo stato dei recettori ormonali, l’età della paziente. Per la scelta terapeutica di quale trattamento effettuare in fase adiuvante a tutt’oggi esistono 2 fattori predittivi fondamentale: lo stato dei recettori ormonali e quello di HER2, mentre per la definizione del rischio ci si basa su quelli sopra elencati. La decisione di quale o quali terapie effettuare alla singola paziente richiede la valutazione complessiva dei fattori predittivi di risposta ai trattamenti, del rischio di ripresa della malattia, dei benefici attesi dal trattamento, degli effetti collaterali e delle comorbidità (tabella 1). La classificazione in sottotipi istologici (Luminal A, Luminal B, HER2 like, triplo negativo) rappresenta un punto di partenza per la scelta del trattamento adiuvante. I tumori classificati con profilo genico “luminal A” (Recettori ormonali+ / HER2-) sono quelli che possono beneficiare della sola terapia ormonale; il sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni, in assenza di linfonodi e in assenza di altri fattori prognostici sfavorevoli: si può anche decidere di non somministrare alcun trattamento. I benefici della ormonoterapia e della chemioterapia sono additivi. I benefici ottenuti con la chemioterapia in questo sottogruppo sembrano essere collegati ai livelli dei recettori ormonali ed alla presenza di altri fattori prognostici. I tumori “luminal B” (recettori ormonali + elevati indici di proliferazione come Ki 67 >15 % e G3) sono quelli che invece possono beneficiare di una chemioterapia, ormonoterapia e terapia anti-HER2 nei rari casi di overespressione di HER2 . Mancano dati da studi prospettici sulla possibilità di combinare il trastuzumab con la sola ormonoterapia. I tumori “HER2 like” avendo la positività del recettore HER2 e i recettori ormonali negativi/positivi beneficiano del trattamento con la chemioterapia in associazione con l’anticorpo monoclonale trastuzumab; nel sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni tra 0.6 e 1.0 cm si può prendere in considerazione la chemioterapia ± trastuzumab. I tumori “tripli negativi”, mancando dell’espressione dei recettori per gli ormoni che per l’HER2 beneficia del solo trattamento chemioterapico; nel caso del sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni (<0.5 cm)con linfonodi negativi non è indicato alcun trattamento. Nel sottogruppo di tumori di dimensioni tra 0.6 e 1.0 cm si può effettuare la chemioterapia. La chemioterapia adiuvante riduce significativamente il rischio di ripresa e morte nelle pazienti con tumore della mammella operabile indipendentemente dall’età, dallo stato linfonodale, dallo stato recettoriale e dallo stato 101 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici menopausale, anche se il beneficio assoluto è proporzionale al rischio di ripresa della malattia e diminuisce con l’aumentare dell’età (tabella 2). • La polichemioterapia è superiore alla monochemioterapia. • In generale la chemioterapia deve essere iniziata entro 4-6 settimane dall’intervento chirurgico pur non essendoci un accordo unanime sul timing ottimale. • La durata di 4-8 cicli di terapia è considerata lo standard. • La chemioterapia “dose-dense” non trova indicazione al di fuori di studi clinici, anche se nel sottogruppo di pazienti con recettori ormonali negativi e nelle pazienti HER2 positive sembrano giovarsi maggiormente della terapia dose-dense. • I regimi contenenti antracicline con due farmaci (AC o EC) non sono superiori al regime ciclofosfamide, metotrexato e fluorouracile (CMF) (4 cicli di AC o EC = a 6 cicli di CMF). • I regimi a tre farmaci sono superiori al CMF, anche se il beneficio assoluto è correlato al rischio di ripresa della malattia, aumenta con l’aumentare del rischio di ricaduta. Schemi includenti antraci cline di più comune utilizzo: • A o E CMF (adriamicina 75 mg/m2 o epirubicina 100 mg/m2 ev ogni 21 giorni per 4 cicli ciclofosfamide 600 mg/m2 ev; metotrexate 40 mg/m2 ev; fluorouracile 600 mg/m2 ev ogni 21 giorni per 8 cicli oppure CMF classico x 4 • FAC (ciclofosfamide 100 mg/m2/die per os giorni 1-14; adriamicina 30 mg/m2 ev giorni 1, 8; fluorouracile 600 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni 28 giorni) per 6 cicli • CEF (ciclofosfamide 75 mg/m2/die per os giorni 1-14; epirubicina 60 mg/m2 giorni 1, 8; fluorouracile 500 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni 28 giorni) per 6 cicli • FEC 75-100 (fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina 75-90-100 mg/m2; ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli. Ruolo dei taxani Molti studi randomizzati e tre metanalisi suggeriscono un piccolo vantaggio dei regimi contenenti taxani (docetaxel o paclitaxel), indipendentemente dall’età, dallo stato linfonodale, dall’espressione dei recettori ormonali e dallo stato dell’HER2. Le raccomandazioni a tal riguardo sono: 1) Regimi sequenziali sono efficaci quanto i regimi concomitanti, ma gravano di minori effetti collaterali soprattutto midollari. 2) Il trattamento sequenziale con docetaxel trisettimanle (100 mg/m2 ogni 21 gg) è stato quello maggiormente testato in studi randomizzati. 3) Nei regimi sequenziali la migliore schedula con paclitaxel è settimanale (80-100 mg/m2). 4) La durata del trattamento va considerata in base al regime utilizzato (6 cicli regimi concomitanti, 4 cicli in quelli sequenziali dopo antraci cline). Pertanto la scelta del regime da utilizzare va considerata sulla base del singolo paziente. Di seguito i regimi che possono essere di indicazione: • A/E C x 4 q 21 (adriamicina 60 mg/m2/epirubicina 90mg/m2) Ciclofosfamide 600 mg/m2) seguito da • da Taxotere 100 mg/m2 x 4 q 21 oppure da taxolo 80 mg/m2 ogni 7 giorni per 12 settimane consecutive; • AC (taxotere 75 mg/m2; adriamicina 50 mg/mq; ciclofosfamide 500 mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli con il supporto del G-CSF come profilassi primaria (per rischio di neutropenia febbrile > 20%); • FEC x 3 o 4 q 21(fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina 90-100 mg/m2; ciclofosfamide 600 mg/m2 ) seguito da Taxotere x 3 o 4 q 21 (100 mg/m2 ogni) 21. Per i tumori con istotipo “triplo negativo” non esiste ad oggi un trattamento chemioterapico adiuvante standard, pertanto i regimi più utilizzati riman- Pagina gono quelli a base di antracicline e taxani. I tumori tubulari, mucinosi ed i papillari hanno una prognosi migliore per cui soprattutto in assenza di interessamento dei linfonodi ascellari possono essere trattati con la sola ormonoterapia e se di dimensioni < 1 cm non ricevere alcun trattamento sistemico. Anche alcuni tumori “tripli negativi” quali il carcinoma midollare, l’adenoido ci-stico e l’apocrino hanno una prognosi favorevole ed in assenza di interessamento dei linfonodi ascellari e di altri fattori di rischio non necessitano di trattamenti sistemici adiuvanti. Il carcinoma lobulare infiltrante (5-15% di tutti i tumori della mammella) sembrerebbe essere meno responsivo al trattamento chemioterapico rispetto al carcinoma duttale infiltrante come riportato in studi retrospettivi di chemioterapia neoadiuvante in cui sono state ottenute più basse percentuali di risposte patologiche complete e di interventi conservativi anche se la prognosi a lungo termine è stata migliore. I carcinomi lobulari sono diagnosticati in uno stadio più avanzato all’esordio, esprimono più frequentemente i recettori ormonali ed hanno un grado di differenziazione più basso. La presenza di coinvolgimento metastatico linfonodale fa comunque consigliare l’uso della chemioterapia seguita da ormonoterapia. Terapie biologiche Il Trastuzumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato contro il dominio extracellulare dell’HER2. Il trattamento standard per i tumori che esprimono il recettore per l’HER2 (IHC 3+ o FISH/CISH/SISH amplificati) determina un beneficio significativo in termini di rischio di recidiva e, in alcuni studi, di morte, come ampliamente dimostrato da studi randomizzati includenti oltre 15.000 donne. Il trastuzumab si può somministrare sia concomitante alla chemioterapia che sequenziale alla chemioterapia. Rimane al momento da definire la sicurezza del trastuzumab concomitante al regimi includenti antracicline a causa della cardiotossicità cui il farmaco determina (incidenza di cardiotossicità circa del 5%). Il trastuzumab, al momento in assenza di conclusione di studi randomizzati, si somministra per un anno o in regime trisettimanale (8 mg/kg dose loading seguito da 6 mg/kg q 21 gg x 18 somministrazioni) oppure in regime settimanale 4 mg/kg dose loading seguito da 2 mg/kg/settimanale x 1 anno). E’ necessario un adeguato monitoraggio cardiaco (con ecocardiogramma o MUGA scan) prima, durante e dopo la terapia con trastuzumab. Al momento non sono indicati altri trattamenti anti-HER2 in fase adiuvante (lapatinib) in attesa di risultati di studi randomizzati. Terapia ormonale E’ indicata in tutte le pazienti con tumori ormonoresponsivi indipendentemente dallo stato linfonodale, dall’età, dallo stato menopausale, dall’espressione di HER2 e dall’utilizzo o meno della chemioterapia. Nessuna indicazione nei tumori con recettori ormonali negativi. La definizione di recettori ormonali negativi è da intendersi come assenza dei recettori all’immunoistochimica. Le pazienti con recettori ormonali tra 1% e 9%, già trattate con chemioterapia adiuvante devono essere successivamente sottoposte ad ormonoterapia. Per quanto riguarda l’ormonoterapia adiuvante esclusiva, questa può essere indicata quando il tumore esprime i recettori ormonali in misura ≥ 10%. Tamoxifene Rappresenta il trattamento standard per le donne in premenopausa, mentre per quelle in postmenopausa deve, nel caso se ne ritenga opportuno l’im- 102 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella piego, essere necessariamente integrato con l’uso degli inibitori dell’aromatasi. Dose: 20 mg al giorno x 5 anni nelle donne in premenopausa alla fine della chemioterapia; 2-3 anni in quelle in peri-post-menopausa. La somministrazione di tamoxifene per più di 5 anni è da ritenere non standard. Nelle donne in premenopausa può essere indicata l’associazione con LHRH analogo. Gli antidepressivi SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors), impiegati anche per il trattamento delle vampate di calore nelle pazienti che assumono tamoxifene, possono interferire con il metabolismo del farmaco attraverso l’inibizione del CYP2D6, pertanto non dovrebbero essere utilizzati in queste pazienti. Unica eccezione sembrerebbe essere la venlafaxina. Inibitori dell’Aromatasi Sono i farmaci di prima scelta nelle donne in postmenopausa da soli per 5 anni o in sequenza a tamoxifene dopo 2-3 anni e per 5 anni complessivi o nelle pazienti che hanno completato i 5 anni di terapia con tamoxifene per altri 5 anni, soprattutto se a elevato rischio di ripresa (evidenza di beneficio nelle donne con linfonodi positivi). Ove non vi siano controindicazioni elettive, la scelta di un inibitore per 5 anni, al di fuori di studi clinici, è da ritenersi il trattamento di scelta. Le sequenze (inibitore seguito da tamoxifene, o tamoxifene seguito da inibitore) sono da riservare a studi clinici, o a situazioni cliniche particolari. Il valore del recettore per il progesterone non modifica sostanzialmente la scelta, mentre una positività dell’HER2 segnala una generale bassa endocrino-responsività, più vera in particolare per tamoxifene. Gli effetti collaterali degli inibitori dell’aromatasi sono sopratutto a carico del sistema osteoscheletrico con sindromi fibromialgiche e osteoporosi, ipercolesterolemia, quest’ultimo effetto potrebbe determinare un aumento degli eventi cardiovascolari anche se non in modo significativo. La comparsa di artralgie è stata riportata come la causa più frequente di sospensione del trattamento. Per la prevenzione dell’osteoporosi e di eventuali fratture da inibitori dell’aromatasi sono state stilate delle raccomandazioni che tengono in considerazione il T-score basale (Dexa-MOC) e altri fattori di rischio. Per le donne in premenopausa che sviluppano amenorrea o con la chemioterapia o con il tamoxifene gli inibitori dell’aromatasi possono determinare una ripresa del ciclo mestruale anche dopo molti mesi di amenorrea. Pertanto, il loro impiego da soli è sconsigliato. Analoghi del luteinizing hormone-releasing hormone (LHRH) o misure locali (solo in casi particolari: ovariectomia chirurgica o radioterapica) Durata del trattamento con analoghi del LHRH: almeno 2-3 anni; nelle pazienti ad alto rischio o in età molto giovane (inferiore a 35-40 anni) si può valutare di continuare la terapia con analogo del LHRH per complessivi 5 anni. L’impiego del LHRH da solo non sembra dare buoni risultati e va utilizzato in casi selezionati. L’associazione di tamoxifene e analogo del LHRH sembra preferibile, sia per i dati di efficacia disponibili nella malattia metastatica, sia per la riduzione degli effetti di tamoxifene sulle ovaie. I risultati di alcuni studi randomizzati indicano che l’ablazione ovarica associata a tamoxifene, nelle pazienti endocrinore-sponsive in premenopausa, potrebbe essere equivalente alla chemioterapia prevalentemente con il regime CMF (un solo studio ha utilizzato un regime contenente antracicline). Alcuni studi segnalano un possibile vantaggio nelle donne con età < 40 anni o in quelle che non vanno in amenorrea. Non sono ancora da ritenersi standard trattamenti in donne in premenopusa con inibitori di aromatasi + goserelin +/- acido zoledronico, in attesa di ulteriori conferme di studi randomizzati e di follow- up più lunghi. Pagina Regimi sequenziali (N0 alto rischio) Regimi sequenziali (N+) FEC x 3 q 21 Taxotere x 3 q 21 FEC o FAC x 4 q 21 Taxolo x 16 sett ADM o EPI x 4 q 21 CMF x 4 1,8 q 28 FEC o FAC x 4 q 21 Taxotere x 4 q 21 FEC x 3 q 21 Taxolo x 12 settimane EC o AC x 4 q 21 Taxotere x 4 q 21 EC o AC x 4 q 21 Taxolo x 16 sett Regimi concomitanti (N0 basso rischio*) Regimi concomitanti (N0 alto rischio, N+) FEC o FAC x 6 q 21 TAC x 6 q 21 (+ GCSF) EC o AC x 6 q 21 CMF x 6 1,8 q 28 * La scelta del trattamento chemioterapico in pazienti con N0 va effettuata sulla base dei fattori prognostici, età della paziente e comorbidità (vd testo) 3.3 Malattia localmente avanzata L. Fortunato, T. Gamucci, G.B. Grassi, M. Mottolese, L. Nardone, G. Naso, P. Pinnarò Premessa Il Carcinoma della Mammella Localmente Avanzato (LABC) e il Carcinoma Infiammatorio della Mammella (IBC) pur essendo due entità nosologiche distinte sostenute da una diversa biologia e con differenti modalità di presentazione clinica, richiedono entrambe, per un trattamento quanto più efficace possibile, una discussione collegiale alla presenza di un gruppo multidisciplinare integrato che comprende la figura dell’oncologo medico, del radiologo, del chirurgo e del radioterapista. Da un punto di vista prettamente clinico sia il tumore della mammella localmente avanzato che il tumore della mammella infiammatorio, possono essere definiti come tumori che pur non essendo metastatici alla loro presentazione, risultano comunque funzionalmente non operabili, cioè non radicalmente asportabili per le loro dimensioni o per la loro estensione ai linfonodi ascellari (clinico N+). Questi tumori che anche in presenza di una chirurgia apparentemente radicale, presentano una alta percentuale di recidive sia locali che metastatiche e un basso indice di sopravvivenza se trattati con i soli trattamenti loco regionali ( Chirurgia + Radioterapia). Allo scopo sia di ottenere un minore tasso di recidive locali che per abbassare le probabilità di una ripresa a distanza è consigliabile nella maggior parte dei casi proporre alla paziente una “Terapia Primaria” detta anche “Terapia Neo-Adiuvante” (chemio o ormonoterapia). La percentuale di risposte cliniche risulta pari al 60-90% con una percentuale di risposte cliniche complete oscillanti tra il 6 ed il 65% e la possibilità di effettuare un intervento conservativo nei casi candidati alla mastectomia è pari al 20-30%. La percentuale di risposte patologiche complete, che sembrerebbe correlarsi ad un miglioramento della sopravvivenza, oscilla tra il 10 ed il 30%. E’ stata pubblicata una meta analisi di 9 studi randomizzati e pubblicati su riviste internazionali che hanno confrontato la chemioterapia preoperatoria con la chemioterapia adiuvante convenzionale utilizzando lo stesso regime nei due bracci. Sono stati anche inclusi studi in cui una terapia neoadiuvante era seguita dopo l’intervento chirurgico da una terapia adiuvante con lo stesso re- 103 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici gime. La percentuale di interventi conservativi è stata estremamente variabile tra i diversi studi anche se in cinque era significativamente più elevata nel braccio della chemioterapia primaria. A tutt’oggi il regime chemioterapico ottimale non è noto anche se la percentuale di risposte patologiche complete più elevate è stata osservata con regimi contenenti antracicline e taxani. Una meta-analisi basata sui dati della letteratura ha incluso 7 studi randomizzati che hanno confrontato regimi contenenti antracicline con regimi contenenti antracicline e taxani in associazione o in sequenza. L’aggiunta dei taxani ha aumentato la percentuale di pCR e di interventi conservativi. La durata ottimale della chemioterapia primaria non è nota, ma almeno 6 cicli di terapia sono in genere necessari per raggiungere il massimo della risposta. Nelle pazienti con tumori che presentano una aumentata espressione di HER-2, la somministrazione contemporanea di trastuzumab alla chemioterapia contenente antracicline e taxani determina percentuali di risposte patologiche complete nell’ordine del 40% -60%, e sono da ritenersi lo standard terapeutico attuale. Va attuata una attenta valutazione della funzione cardiaca. L’ormonoterapia primaria è stata valutata nelle pazienti in postmenopausa con tumori ormonoresponsivi e non suscettibili di interventi conservativi. Gli inibitori della armatasi hanno una maggiore percentuale di risposte obiettive e di interventi conservativi rispetto al tamoxifene. Tuttavia la percentuale di risposte complete patologiche rimane molto bassa, e a parte casi particolari non è da considerarsi uno standard terapeutico. Mancano studi sulla durata della ormonoterapia, ma è probabile che una volta iniziata vada continuata per un lungo periodo (almeno 6 mesi). Il posizionamento di un marcatore radioopaco nella sede del tumore prima chemioterapia neo-adiuvante è associato con un miglior controllo locale, in virtù di una più precisa individuazione della sede tumorale al momento della successiva escissione chirurgica. Anche il posizionamento di clips chirurgiche sul letto operatorio, secondo linee guida codificate, in corso di chirurgia conservativa ne rende più agevole l’identificazione per una più efficace la somministrazione del boost radioterapico. Tali procedure dovrebbe essere parte integrante dell’iter diagnostico-terapeutico di queste pazienti. Come per i tumori mammari in fase iniziale, la radioterapia post-operatoria è parte integrante del trattamento delle pazienti con tumori localmente avanzati o infiammatori, sia in caso di chirurgia conservativa sia di mastectomia. La tecnica di irradiazione è identica, anche se alcune controversie non chiarite rimangono per quanto riguarda l’irradiazione linfonodale nelle pazienti con risposta clinica completa o maggiore (R0-R1) al trattamento chemioterapico primario, in rapporto alla scelta dei volumi da irradiare. In particolare lo stato linfonodale patologico è stato tradizionalmente usato per stimare il rischio di recidiva loco-regionale e per identificare le pazienti che si possano giovare della radioterapia sulle stazioni linfonodali claveo-ascellari e della catena mammaria interna. La maggior parte delle Istituzioni considera il piano terapeutico secondo i volumi identificabili prima della chemioterapia,sia per il tumore primario che per l’interessamento linfonodale, anche se a maggior rischio di linfedema del braccio nella irradiazione linfonodale e con inferiore risultato cosmetico mammario per un più ampio volume del sovradosaggio (boost) sul letto tumorale e una più frequente necessità di irradiazione linfonodale. Il trattamento ormonale e il trattamento con trastuzumab devono essere effettuati sulla base dei fattori biologici valutati sulla biopsia iniziale poiché tali fattori possono variare dopo chemioterapia neo-adiuvante. Anche la radioterapia deve essere effettuata sulla base delle caratteristiche iniziali del tumore. Ruolo della biopsia del Linfonodo Sentinella (LS) La questione se la biopsia del linfonodo sentinella debba essere effettuata prima o dopo una terapia neoadiuvante in quei pazienti con linfonodi clinicamente negativi alla stadiazione pre-trattamento sistemico è ancora ampiamente dibattuta, considerando che i vantaggi di una biopsia linfonodale dopo la chemioterapia potrebbero superare gli svantaggi. In effetti però la tecnica del Linfonodo Sentinella effettuato al momento della chirurgia definitiva dopo la terapia neoadiuvante, ha prodotto una percentuale di identificazione di eventuali linfonodi positivi più bassa, se confrontata con la ricerca del Linfonodo Sentinella effettuata prima della terapia. Questo fatto è stato spiegato con i possibili cambi strutturali che si potrebbero verificare nelle vie linfatiche di drenaggio della mammella dopo la terapia sistemica. Una sistematica review di 27 studi con un totale di 2148 pazienti ha mostrato una percentuale di identificazione del Linfonodo Sentinella dopo terapia neoadiuvante del 91%, e una percentuale di falsi negativi del 10.5%. I risultati dei falsi negativi potrebbero essere notevolmente superiori nel caso nel Carcinoma della Mammella Infiammatorio. Sebbene la ricerca del Linfonodo Sentinella dopo la terapia neoadiuvante sistemica potrebbe ridurre la percentuale di Linfoadenectomie quale chirurgia non necessaria qualora il LS risultasse negativo, il significato clinico del LS negativo dopo chemioterapia neoadiuvante non è chiaro. Pertanto, anche se ancora questi dati non sono stati pesati in studi clinici randomizzati per valutare il reale beneficio o gli svantaggi di effettuare la ricerca del Linfonodo Sentinella prima o dopo la terapia neoadiuvante, appare prudente allo stato attuale adottare le linee guida suggerite sia dall’ASCO (ASCO consensus guidelines for SLNB 2005) sia le linee guida NCCN (2. 2011) che raccomandano entrambe di effettuare la ricerca del Linfonodo Sentinella prima di somministrare la terapia sistemica (figure 1 e 2). Figura 1. Diagramma di flusso suggerito sul trattamento del linfonodo sentinella Se LS + linfoadenectomia Per N0 clinico effettuare LS prima di somministrare la terapia sistemica Se LS + linfoadenectomia NON necessaria E’ accettabile anche LS dopo terapia adiuvante Linfectomia Per N+ clinico non necessario LS prima della terapia Linfectomia I livello +/- linfectomia allargata Se alla ristadiazione cN0 Pagina 104 LS +/- linfoadenectomia Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Figura 2. Diagramma di flusso nella gestione della chemioterapia primaria (una terapia endocrina con un I.A. può essere considerata per le pazienti in post-menopausa ormono responsive) Programmare 4-8 cicli di chemioterapia (4 cicli possono essere sufficienti in caso di cRC per pazienti ER-) (per pazienti ER+ tendere a completare i cicli programmati anche in presenza in una cRc) Rivalutare ogni 2 cicli con ECO o RMN Se RP alla prima rivalutazione ancora 2 cicli della stessa terapia Se SD alla prima rivalutazione ancora 2 cicli della stessa terapia Se P alla prima rivalutazione Considerare 2 cicli di una terapia cross-resistente Se RP alla seconda rivalutazione ancora 2 cicli della stessa terapia Se SD alla seconda rivalutazione Proporre 2 cicli di una terapia non cross-resistente Se P alla seconda rivalutazione Se ER+ valutare chirurgia e poi adiuvante ORMONO Se ER- proporre 2 cicli di chemioterapia non cross-resistente Se ER-: chirurgia (valutare su istologico definitivo eventuale terapia adiuvante Se cRC alla seconda rivalutazione Se ER+ uteriori 2 cicli di chemioterapia programmata 3.4. Trattamento della malattia recidiva o metastatica F. Cognetti, A. Fabi, T. Gamucci, G. Naso, P. Pinnarò. Per effetto dei progressi sia dei programmi di screening che dei trattamenti adiuvanti, l’occorrenza di malattia recidiva o metastatica è in sensibile diminuzione nei paesi occidentali dall’inizio degli anni ’90. Solo il 7% circa dei tumori della mammella si presenta all’esordio come malattia metastatica. La maggior parte dei casi viene diagnosticata in pazienti con pregressa storia di neoplasia mammaria già trattata per malattia locale, ed in particolare fino al 30% delle pazienti con linfonodi ascellari negativi e fino al 70% delle pazienti con linfonodi ascellari positivi. Dopo aver documentato una ripresa della malattia è opportuno eseguire una ristadiazione. Innanzitutto la paziente deve essere sottoposta ad una attenta e completa anamnesi includente la valutazione dello stato menopausale e delle eventuali comorbidità, una dettagliata caratterizzazione molecolare del tumore primario, con particolare attenzione alla biologia tumorale, al trattamento e allo stato dell’ultimo follow-up, la storia della malattia metastatica compresa la durata e i siti originariamente coinvolti, i precedenti trattamenti e i loro effetti, i sintomi attuali , il performance status, il background socio-economico e le preferenze della paziente. Successivamente sarà effettuato l’ esame obiettivo, esami ematobiochimici includenti anche i markers tumorali (CEA, Ca15.3), soprattutto nel caso di pazienti con lesioni non misurabili allo scopo di monitorare l’efficacia del trattamento, Rx torace, ecografia addome, scintigrafia ossea, se necessario TC torace o TC o RM addome. Una PET-TC può essere utilizzata, anche se al momento i dati sono ancora limitati, soprattutto in casi di lesione metastatica singola dal momento che queste pazienti possono giovarsi di approcci urgenti, più ag- Pagina gressivi e multidisciplinari o quando le comuni metodiche esprimono risultati non univoci. Inoltre tutte le pazienti dovrebbero essere sottoposte a tests cardiologici (ECG ed ecocardiogramma) soprattutto se è previsto l’uso di Trastuzumab o Antracicline. In base alle caratteristiche cliniche della malattia le pazienti vengono suddivise come malattia indolente o come malattia aggressiva. Nella definizione di malattia indolente e malattia aggressiva rimane fondamentale il giudizio clinico e si può fare riferimento ai seguenti parametri: • Malattia indolente: lungo DFS, precedente risposta a OT, età > 35 anni, metastasi ossee e/o ai tessuti molli, numero limitato di lesioni metastatiche • Malattia aggressiva: breve DFS, no risposta a OT, età < 35 anni, metastasi viscerali, presenza di numerose lesioni, malattia fortemente sintomatica. La scelta della terapia sistemica verrà effettuata tenendo conto di queste caratteristiche a cui va aggiunta sempre la preferenza della paziente, oltre che dei due fattori biologici predittivi validati e cioè lo stato recettoriale ormonale e l’aumentata espressione di HER-2, la cui determinazione dovrebbe essere effettuata anche nelle lesioni metastatiche quando possibile. Possibili eccezioni alla biopsia delle lesioni metastatiche sono le seguenti: • situazioni nelle quali la biopsia è rischiosa • intervallo libero tra intervento sul tumore primitivo e la comparsa di metastasi molto breve. • nel caso in cui i risultati della biopsia non muterebbero l’atteggiamento terapeutico (controindicazioni alla chemioterapia o alle terapie anti-Erb2). Malattia loco regionale La recidiva loco regionale isolata dovrebbe essere considerata come un nuovo tumore primitivo quindi con un approccio terapeutico ad intento curativo. Se 105 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici possibile la raccomandazione è effettuare l’escissione radicale della recidiva tumorale. Nei pazienti che non hanno eseguito la radioterapia post-operatoria, la radioterapia sulla parete toracica e, se del caso, sui linfonodi loco-regionali dovrebbe seguire l’intervento chirurgico. Nei tumori precedentemente irradiati il valore di una nuova radioterapia è ancora oggetto di studio; comunque la re-irradiazione su aree limitate della parete toracica può essere effettuata dopo un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio, tenendo in considerazione la durata del periodo libero da radioterapia, l’intensità dei cambiamenti strutturali post-radioterapia ed il rischio di ripresa di malattia locoregionale. I pazienti inoperabili possono se possibile essere sottoposti a radioterapia radicale sulla parete toracica e linfonodi regionali. Comunque in queste pazienti la terapia sistemica primaria con l’intento di ridurre le dimensioni del tumore e renderlo operabile, rappresenta la prima scelta di trattamento. Il valore della chemioterapia “pseudo-adiuvante” e cioè praticata dopo l’esecuzione della recidiva loco regionale, non è del tutto provato ed è ancora oggetto di studio in trials randomizzati. Malattia metastatica Il trattamento del carcinoma mammario metastatico deve essere svolto da un team multidisciplinare che include l’oncologo medico, il radioterapista, il chirurgo, il radiologo, lo specialista in cure palliative e dovrebbe comprendere un supporto psicologico. Tutte le decisioni relative all’impostazione terapeutica devono perciò essere assunte attraverso l’interazione di queste figure professionali. E’ importante ricordare che il trattamento della malattia metastatica è essenzialmente palliativo considerando che solo poche pazienti che possono ottenere la guarigione (2-3%). Quindi gli obiettivi sono il prolungamento della sopravvivenza ed il miglioramento dei sintomi che devono però essere bilanciati con il mantenimento di una adeguata qualità di vita e con una tossicità accettabile. La prevalenza della malattia metastatica è alta poiché un numero sempre più crescente di pazienti sopravvivono con la malattia per periodi di tempo sempre più prolungati, anche in ragione della possibilità di applicare loro in sequenza molteplici opzioni di trattamento ormonale, chemioterapico e biologico. La paziente e i suoi familiari dovrebbero essere compiutamente informati fin dall’inizio e dovrebbero essere stimolati a partecipare a tutte le decisioni terapeutiche. Le singole realtà delle pazienti devono sempre essere considerate con attenzione. Le opzioni terapeutiche nel carcinoma mammario metastatico sono l’ormonoterapia, la chemioterapia, gli agenti biologici (trastuzumab, lapatinib e bevacizumab), e la radioterapia: • La scelta della terapia più appropriata deve sempre prevedere l’analisi di fattori vari relativi alle caratteristiche della malattia (numero e siti delle metastasi, stato dei recettori ormonali e di HER-2, intervallo libero da malattia) alle precedenti terapie adiuvanti (dosi cumulative di antracicline, uso dei taxani e di trastuzumab, effetti collaterali a lungo termine) ed alle caratteristiche della paziente (età, PS, comorbidità, preferenza). La continuazione del trattamento oltre la terza linea è giustificata nelle pazienti con buon PS e che abbiano risposto alle chemioterapie precedenti. La chemioterapia ad alte dosi non dovrebbe essere considerata. Il ruolo del Bevacizumab viene definito nella sezione seguente riguardante gli altri agenti biologici. Dal momento che non esistono o sono pochi i trattamenti definibili standard nel trattamento della malattia metastatica, l’inserimento di pazienti in studi prospettici randomizzati rappresenta una priorità. Dal punto di vista biologico, strettamente correlato al comportamento clinico ed alla scelta del trattamento, le pazienti possono essere così classificate: 1) pazienti con tumore della mammella di tipo luminale ( recettori ormonali positivi): - la terapia ormonale rappresenta l’opzione di scelta con l’eccezione dei casi nei quali il comportamento aggressivo della malattia richiede una risposta rapida. La scelta del tipo di trattamento ormonoterapico deve essere individualizzato, ma deve essere scelto tenendo conto delle seguenti considerazioni: - Il valore del trattamento ormonale di mantenimento dopo chemioterapia non è dimostrato da studi controllati, ma può considerarsi un approccio ragionevole. - La combinazione simultanea di chemio e ormonoterapia è da non applicare. - In caso di iperespressione o amplificazione di HER-2, l’aggiunta all’ormonoterapia di terapie anti HER-2 conferisce un beneficio aggiuntivo. - con l’eccezione della combinazione di tamoxifene e LHRH agonisti in premenopausa, non esiste alcun razionale all’uso delle terapie ormonali in combinazione. Gli schemi nella figura 3 indicano il possibile atteggiamento in pre e post menopausa, ove vi sia l’indicazione ad una ormonoterapia di prima linea sulla base dei precedenti trattamenti ormonali nel setting adiuvante (pazienti con recettori ormonali positivi e malattia indolente). Figura 3. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Ormonoterapia adiuvante No Tamoxifene LhRh Tamoxifene + LhRh Prima linea tamoxifene + LhRg Prima linea inibitori aromatasi + LhRh Prima linea tamoxifene + LhRh Prima linea inibitori aromatasi + LhRh Seconda linea inibitori aromatasi + LhRh Seconda linea MAP/megestrolo acetato Seconda linea inibitori aromatasi + LhRh Seconda linea MAP/megestrolo acetato Terza linea MAP/megestrolo acetato Terza linea MAP/megestrolo acetato Pagina 106 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella 2) Pazienti con tumore della mammella triplo negative (recettori ormonali negativi e HER-2 non iperespresso/ non amplificato): Queste pazienti sono candidate alla chemioterapia. Quando vi è l’indicazione alla chemioterapia (malattia non più ormonoresponsiva, malattia con recettori ormonali negativi, malattia aggressiva con metastasi viscerali multiple o “life threatening”, pazienti giovani con metastasi viscerali) la scelta può cadere su una polichemioterapia o su una monochemioterapia. La Polichemioterapia: più attiva della monochemioterapia anche se un aumento delle risposte obiettive determina raramente un beneficio in sopravvivenza che viene invece influenzata dai trattamenti messi in atto alla progressione. I regimi devono essere scelti anche in base al precedente trattamento adiuvante. • pazienti non pretrattate con antracicline: - CAF/FAC, FEC, A/ED (doxorubicina/epirubicina e docetaxel); A/ET (doxorubicina/epirubina e paclitaxel) • pazienti pretrattate con antracicline - Nab-Paclitaxel (approvato per pazienti in fallimento dopo terapia di prima linea metastatica e per le quali la terapia standard con antracicline è controindicata), docetaxel/capecitabina o paclitaxel/gemcitabina (questi ultimi due regimi sono approvati per le pazienti pretrattate con antracicline), CMF • pazienti pretrattate con antracicline e/o taxani - Nab-Paclitaxel capecitabina, vinorelbina, gemcitabina,doxorubicine liposomiali • La monochemioterapia: è da preferire • nella malattia indolente, • nelle pazienti anziane (>70 anni), • nelle pazienti con riserva midollare ridotta a causa di metastasi ossee multiple e/o pregressa RT palliativa o • nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali (ad es. comorbidità). I regimi di combinazione sono da preferire in presenza di una malattia aggressiva allorchè è necessaria una rapida riduzione della massa tumorale mentre una monochemioterapia può rappresentare il trattamento di scelta nella malattia indolente, nelle pazienti anziane (>70 anni), nelle pazienti con riserva midollare ridotta a causa di metastasi ossee multiple e/o pregressa RT palliativa o nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali (ad es. comorbidità). La durata ottimale del trattamento chemioterapico non è nota soprattutto con i “nuovi” agenti chemioterapici per la comparsa di effetti collaterali. L’obiettivo è quello di ottenere una risposta il più possibile duratura mantendo però una qualità di vita accettabile. Uno degli ultimi farmaci approvati in questo setting di pazienti è il Nab-Paclitaxel, un farmaco contenente nano particelle di Paclitaxel legate ad albumina di siero umano. Questo legame contribuirebbe ad avere una maggiore quantità di farmaco nelle regioni in cui è presente il tumore. Il farmaco si è rivelato essere superiore in termini di risposte obiettive e sopravvivenza libera da progressione peraltro producendo una minore tossicità, rispetto al Paclitaxel in pazienti affette da carcinoma della mammella metastatico, in uno studio di fase III che ne ha permesso l’approvazione. 3) pazienti con tumore della mammella HER2 positivo (iperespresso/amplificato): • Il trastuzumab dovrebbe essere proposto precocemente a tutte le pazienti con tumore della mammella metastatico HER2 positivo con somministrazione settimanale alla dose 2mg/Kg dopo una dose carico di 4mg/Kg con una somministrazione trisettimanale 8-6 alla dose di 6mg/Kg dopo una dose di carico di 8mg/Kg. Pagina • Il monitoraggio della funzionalità cardiaca deve essere effettuato prima e durante il trattamento con trustuzumab. • L’insieme dei dati retrospettivi e i risultati dello studio di fase III hanno dimostrato che continuare il trattamento con trastuzumab dopo una prima progressione, con l’aggiunta di un differente regime chemioterapico, è superiore rispetto alla sospensione dell’anticorpo monoclonale. In seguito all’approvazione del lapatinib per il trattamento del tumore della malattia metastatica, il problema se continuare il trastuzumab o passare al lapatinib, al momento è ancora oggetto di discussione. • Il lapatinib ha dimostrato un aumento significativo del tempo alla progressione in combinazione con la capecitabina nei pazienti in progressione dopo trastuzumab. • L’aggiunta di agenti anti-HER-2 ( trastuzumab e lapatinib) alla terapia ormonaleha determinato un prolungamento della sopravvivenza libera da progressione e deve essere considerata una opzione per le pazienti con tumori che esprimono recettori ormonali positivi ed HER2 postivo. • Altri agenti ant-HER2 o pan-anti-HER, come il Pertuzumab, il T-DM1, il Neratinib, sono al momento oggetto di studio così come le combinazioni di Trastuzumab con altri agenti biologici in combinazione o meno alla chemioterapia per cercare di superare il problema della resistenza al Trastuzumab. 4) Altri agenti biologici • Bevacizumab, un agente anti-angiogenetico è stato approvato dall’ FDA e dall’EMA in combinazione con il Paclitaxel come trattamento di prima linea per il tumore della mammella metastatico dopo aver dimostrato un beneficio di 6 mesi in termini di sopravvivenza libera da progressione nello studio ECOG2100. Di recente il Bevacizumab è stato approvato in II linea in combinazione con Capecitabina (RIBBON 2). Nei successivi studi randomizzati di fase III (AVADO, RIBBON), il beneficio del Bevacizumab in una popolazione non selezionata di pazienti con tumori della mammella, era solo di un mese in termini di sopravvivenza libera da progressione, senza alcun beneficio in termini di sopravvivenza globale. Le evidenze scientifiche devono continuare ad approfondire quali pazienti possono trarre beneficio da una terapia così costosa. • Altre terapie biologiche innovative e targeted sono attualmente oggetto di studi importanti sia come agenti singoli sia come combinazione di più agenti. 5) La radioterapia • Svolge un ruolo importante nella palli azione dei sintomi e in alcune situazioni di emergenza (compressioni midollari sindrome mediastinica) per ridurre la sintomatologia e contribuire insieme alle terapie sistemiche al miglioramento della qualità della vita. • Nelle metastasi ossee, mediante l’utilizzo di frazionamenti convenzionali o ipofrazionamenti, consente un rapido sollievo dal dolore nel 6080% dei casi e con remissione completa nel 20%. In caso di compressione midollare può essere associata ad interventi di decompressione, stabilizzazione o vertebroplastica. • Nelle metastasi cerebrali la scelta del trattamento di rradiazione pancencefalica ± boost stereotassico o solo trattamento stereotassico, eventualmente preceduto dalla asportazione chirurgica della/e metastasi, dipende dal numero e dalla sede delle stesse, dal PS della paziente e dalla estensione della malattia in sede extracranica. La dose di 30 Gy in 10 frazioni consente una risposta clinica nel 75% dei casi. La radioterapia sterotassica si è dimostrata efficace nel controllare lesioni fino a 4 cm, con risultati analoghi alla irradiazione panencefalica. 107 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Altre sedi metastatiche come lesioni cutanee isolate, stazioni linfonodali sopraclaveari, ascellari, localizzazioni coroidee, singole lesioni polmonari periferiche, lesioni epatiche di piccole dimensioni (max 3 cm ) in numero non superiore a 2-3, si possono giovare di irradiazione focalizzata, anche mediante nuove tecniche e tecnologie (sterotassia, IMRT, IGRT…) 3.5. Terapie di supporto e riabilitazione T. Gamucci, P. Marchetti, P. Pugliese, S. Tomao Le terapie di supporto e di riabilitazione per le pazienti affette da neoplasia mammaria costituiscono un settore estremamente importante in ambito oncologico nei diversi stadi della malattia. Riabilitazione dopo chirurgia sulla mammella Tra le principali problematiche di interesse riabilitativo nelle pazienti operate per carcinoma mammario ci sono sicuramente la limitazione funzionale dell’articolarità scapolo-omerale, le neuropatie periferiche e il linfedema. In particolare la limitazione articolare può essere causata dal dolore conseguente all’intervento o da un atteggiamento di difesa che la paziente assume anche inconsciamente nei confronti della zona operata; tale postura, se mantenuta nel tempo, può portare ad un’alterazione permanente della biomeccanica della spalla. Il linfedema rappresenta una delle complicanze più temute per il decorso cronico e progressivo, l’esordio anche tardivo e la necessità di numerosi e ripetuti cicli di fisioterapia per il suo contenimento. Fortunatamente, nel corso degli ultimi anni tali problematiche si sono notevolmente ridotte nella numerosità grazie al sempre più frequente ricorso ad interventi chirurgici di tipo conservativo. Il setting riabilitativo deve estrinsecarsi come di seguito riportato: 1) Fase preoperatoria • informare la paziente sulle possibili strategie di recupero funzionale (libretto informativo) • valutare alcuni parametri funzionali dell’arto superiore ed in modo particolare la presenza di limitazioni funzionali dovute a patologie pregresse e/o concomitanti. 2) Fase postoperatoria. È distinta in due periodi: • Acuto: relativo al periodo della degenza ospedaliera post-chirurgica • Post-acuto: relativo ai 40-60 giorni successivi alla dimissione ospedaliera. Il trattamento riabilitativo post-operatorio deve essere iniziato il più precocemente possibile fin dal giorno successivo all’intervento e durare per tutto il periodo del ricovero proseguendo anche a dimissione avvenuta. A tal proposito è opportuno consegnare alla paziente una sorta di diario con dei semplici esercizi da svolgere a domicilio. La valutazione funzionale deve comprendere: • ROM (riduzione della mobilità articolare) attivo e passivo del complesso articolare di spalla • test muscolari dei muscoli potenzialmente compromessi • valutazione di deficit a carico del sistema nervoso periferico con particolare attenzione alle sensibilità dell’arto superiore e della zona toracica interessata • misurazione antropometrica degli arti superiori e caratteristiche dell’edema • valutazione del dolore con scala analogico-visiva (VAS) • valutazione delle cicatrici (aderenti, retraenti, ipertrofiche, cheloidee) • valutazione posturale • valutazione funzionale globale. Gli obiettivi del trattamento sono: Pagina • • • • • • • adeguata informazione della paziente educazione al controllo della sintomatologia dolorosa facilitazione all’espansione dell’emitorace interessato prevenzione degli atteggiamenti posturali viziati prevenzione e controllo dell’instaurarsi di aderenze cicatriziali prevenzione delle retrazioni mio-cutanee, mio-tendinee e mio-fasciali recupero dell’escursione articolare dei cingoli scapolo-omerale e scapolo-toracico • educazione all’auto-prevenzione delle complicanze tardive con particolare riferimento al linfedema. 3) Fase degli esiti tardivi Questa fase si può collocare temporalmente trascorsi i 60 giorni dall’intervento chirurgico. L’edema linfatico rimane oggi l’esito cronico più importante per le donne operate, anche se si presenta con una frequenza inferiore rispetto al passato. L’edema viene classificato in lieve, moderato, grave, gravissimo con lesione del plesso brachiale. L’edema lieve è molle, recede con il riposo notturno e insorge generalmente a breve distanza dall’intervento chirurgico o radioterapico, presenta una differenza di diametro con l’arto contro-laterale sano di 1-3 cm. La cute mantiene l’elasticità e non si evidenziano lesioni trofiche; la fovea è positiva ma rientra subito. La paziente non riferisce episodi precedenti di linfangiti. In questi casi l’intervento riabilitativo prevede una maggiore attenzione all’educazione preventiva finalizzata alla cura dell’arto, al corretto posizionamento insegnando posture ed esercizi drenanti e, a discrezione degli specialisti, il linfodrenaggio manuale (LDM) con bendaggio elastocompressivo. L’edema moderato è duro-elastico, non recede con il riposo notturno, presenta una differenza di diametro con l’arto controlaterale sano di 35 cm. La cute perde d’elasticità, la fovea è positiva e stabile. Il paziente può riferire episodi di linfangite. Ci può essere alterata funzionalità dell’arto. In questi casi l’intervento fisioterapico dovrebbe essere così strutturato: • linfodrenaggio manuale (LDM) + bendaggio elastocompressivo + guaina elastica confezionata su misura + esercizi da eseguire con la compressione; e/o • linfo-pressoterapia sequenziale preceduta da manovre di apertura secondo LDM + guaina elastica confezionata su misura. L’edema grave è duro, non recede con il riposo notturno e presenta una differenza di diametro con l’arto controlaterale sano maggiore di 5 cm. La cute ha perso d’elasticità, la fovea è profonda e stabile. La funzionalità dell’arto è modificata con limitazione dei movimenti in rapporto all’aumento di peso dell’arto ed alla fibrosi. L’intervento riabilitativo dovrebbe essere così articolato: • linfodrenaggio manuale (LDM) + bendaggio elastocompressivo + guaina elastica confezionata su misura + esercizi da eseguire con la compressione e/o • linfo-pressoterapia sequenziale preceduta da manovre di apertura secondo LDM. L’edema gravissimo con interessamento del plesso brachiale: in questo caso il quadro clinico è complicato dall’interessamento del plesso brachiale. Il programma riabilitativo dovrebbe essere come sopra con l’aggiunta di ausili di supporto per l’arto paretico/plegico. La valutazione della paziente deve sempre prevedere un approccio diagnostico multidisciplinare per escludere eventuali riprese di malattia. Carcinoma mammario - fertilità 108 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella Il rapporto carcinoma mammario-fertilità racchiude distinti ordini di problemi: • La gestione dei casi di neoplasia mammaria insorti durante una gravidanza • Gravidanza dopo carcinoma mammario • La preservazione della fertilità durante il trattamento per carcinoma mammario. Gestione dei casi di carcinoma mammario insorti in gravidanza I tumori della mammella diagnosticati durante una gravidanza presentano mediamente uno stadio più avanzato rispetto alle neoplasie mammarie riscontrate in donne non gravide. L’incidenza di casi con interessamento linfonodale nelle pazienti gravide risulta infatti 2,5 volte superiore rispetto a quella riscontrata nelle pazienti non gravide. Procedure diagnostiche Le procedure diagnostiche preoperatorie da adottare di fronte ad una paziente gravida che presenti un nodulo mammario sono: • Ecografia mammaria priva di rischi teratogenici ed in grado di distinguere lesioni solide e lesioni liquide. Qualora la immagine solida presenti caratteri ecografici di dubbia malignità, occorre procedere all’esecuzione di una mammografia con schermatura addominale (talora peraltro di scarsa utilità a causa della densità radiologica della ghiandola mammaria in gravidanza), seguita da biopsia. La dose radiante assorbita dal feto durante una mammografia con schermatura addominale è sostanzialmente nulla: non esistono quindi rischi teratogenici legati alla indagine mammografica • Ecografia addominale • Rx torace con scheramatura addominale • Deve essere evitata l’esecuzione di TC total body e di scintigrafia ossea. La condotta terapeutica di fronte ad una paziente gravida in cui si sia diagnosticato un carcinoma mammario può variare in relazione al periodo gestazionale. Chiaramente devono essere tenuti presenti gli articoli della legge 194/1978 relativi all’interruzione di gravidanza (articoli 6 e 7 riportati in appendice). Circa il 60% delle donne in stato di gravidanza con diagnosi di neoplasia mammaria può essere trattata con intento curativo (diagnosi di early breast cancer). Trattamento early breast cancer Chirurgia Primo trimestre: • Discutere con la paziente e con il partner circa la possibiltà di un’interruzione di gravidanza • Se possibile, evitare la chirurgia fino al completamento della dodicesima settimana di gestazione • In caso di intervento chirurgico: mastectomia e dissezione ascellare (impossibilità di eseguire un trattamento radioterapico in tempi adeguati). Secondo e terzo trimestre: • Dopo colloquio con la paziente ed il partner, si può valutare una chirurgia conservativa (se applicabile) e dissezione ascellare • Va considerato, ove possibile, l’induzione del parto. La biopsia del linfonodo sentinella non può essere raccomandata durante il periodo gestazionale per il rischio di esposizione a radiazioni. Radioterapia • Non raccomandata durante l’intero periodo gestazionale Chemioterapia adiuvante Primo trimestre: • Da evitare. Secondo trimestre: • Necessaria ampia discussione con paziente e partner Pagina • Si può ricorrere ad un trattamento chemioterapico (non escludendo con assoluta certezza eventuali effetti teratogeni e malformazioni) • E’ da escludere un trattamento con farmaci antimetaboliti • Con maggiore sicurezza possono essere utilizzati antracicline . • Per i Taxani non si hanno molti dati a disposizione circa eventuali danni teratogeni. Terzo trimestre: • Se possibile, ricorrere all’induzione del parto in modo da poter programmare un iter terapeutico non più condizionato dallo stato gravidico • Se non possibile un’induzione del parto, dovrebbero valere le stesse indicazioni del secondo trimestre. Terapie biologiche ed ormonoterapia Trastuzumab • Non raccomandato in corso di gravidanza per casi di oligoidramnios, alcuni associati a ipoplasia polmonare del feto ad esito fatale, in donne in gravidanza trattate con Trastuzumab. Terapia ormonale • Non raccomandata in corso di gravidanza. Trattamento della malattia avanzata In caso di diagnosi di carcinoma mammario metastatico le condotte da mettere in pratica sono le seguenti: • Colloquio con paziente e partner • Primo trimestre: se necessario ed accettato un trattamento antitumorale da parte della paziente, interruzione di gravidanza • Secondo e terzo trimestre: valgono le stesse indicazioni riportate per il trattamento antitumorale adiuvante. Gravidanza dopo un intervento per carcinoma mammario La maternità non sembra influenzare negativamente la prognosi di una paziente precedentemente sottoposta a trattamento chirurgico e chemio-radioterapico per carcinoma mammario. Alcuni studi evidenzierebbero una più elevata sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nelle donne che hanno intrapreso una gravidanza dopo un trattamento per neoplasia mammaria, facendo supporre un possibile effetto protettivo della gravidanza stessa. Il suggerimento non perentorio per una paziente che voglia programmare una maternità dopo una neoplasia della mammella, è di attendere almeno due anni dalla diagnosi posto che questo è considerato il periodo a maggior rischio di recidiva Embriotossicità e fetotossicità di precedenti trattamenti antineoplastici Un precedente trattamento chemioterapico non determina evidenti fenomeni di embrio o fetotossicità. I dati a disposizione riguardo a pazienti sottoposte a trattamenti antineoplastici evidenziano solo casi più frequenti di aborto spontaneo, parto prematuro o basso peso alla nascita. Le donne che assumono Tamoxifene possono diventare gravide durante il trattamento (tranne nei casi in cui il Tamoxifene determini una amenorrea). Il Tamoxifene ha però evidenziato, in studi di laboratorio sul topo, effetti teratogenici, in particolare a carico degli organi urogenitali. Le pazienti che desiderano una gravidanza devono perciò interrompere la terapia con Tamoxifene alcuni mesi prima del concepimento. Durante il trattamento le donne devono inoltre essere sottoposte ad attenti controlli per escludere la possibilità di una gravidanza in atto. Effetti di precedenti trattamenti antineoplastici sulla lattazione La resezione conservativa di neoplasie localizzate al quadrante centrale della mammella danneggia in genere la lattazione in modo irreversibile, più di quanto possa verificarsi in seguito a quadrantectomie per neoplasie localiz- 109 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici zate in aree ghiandolari periferiche. L’irradiazione della mammella può a sua volta compromettere la capacità di lattazione della mammella stessa, a causa della induzione di fibrosi dei lobuli ghiandolari. Una mammella che sia stata sottoposta a chirurgia conservativa e terapia radiante presenta difficoltà nello sviluppo della ipertrofia durante la gravidanza ed il puerperio, per cui si assiste in questi casi nelle pazienti ad un ingrossamento mammario asimmetrico. Alcune donne sono comunque in grado di allattare dalla mammella trattata con chirurgia conservativa e radioterapia; nella maggioranza dei casi ciò avviene però con difficoltà e con produzione di quantità inadeguate di latte. Preservazione della fertilità Strategie Chemioprotezione ovarica Il razionale dell’uso degli agonisti del GnRH è quello di rallentare l’attività cellulare delle gonadi rendendole meno sensibili all’aggressione degli agenti citotossici. Studi osservazionali ne validano l’efficacia corroborati da un unico studio di fase II randomizzato (Promice). Pertanto, ad oggi, il loro utilizzo potrebbe essere consigliato alle pazienti desiderose di gravidanza in concomitanza al trattamento chemioterapico. Criopreservazione ovocitaria Tecnica prevede la necessità di sottoporre la paziente ad una stimolazione ormonale. I protocolli di stimolazione ovarica sono finalizzati a prelevare il maggior numero possibile di ovociti in un arco di tempo generalmente non inferiore alle due settimane. Da ciò emergono due problemi: • necessità di avere a disposizione il tempo necessario alla crescita follicolare (ritardando un trattamento antitumorale) • la stimolazione determina un notevole incremento dei livelli estrogenici circolanti, rischiose in pazienti affette da neoplasie mammarie ormonosensibili. Per il congelamento ovarico, i tassi di sopravvivenza e fecondazione sono aumentati nel tempo (surviavl rate 75% e fertilization rate 83%). Restano tuttavia limitati i tassi di gravidanza e di nascita per ovocita crioconservato (2% e 1.9%). Pertanto la tecnica della criopreservazione dell’ovocita è da considerarsi sperimentale e dovrebbe essere praticata in Centri qualificati ed in possesso di adeguata esperienza clinica e scientifica e di apposita certificazione. Congelamento di tessuto ovarico Questa tecnica prevede l’asportazione per via laparoscopica di striscioline di corticale ovarica che vengono poi messe a contato con crioprotettori ed espo- ste a basse temperature. In un secondo momento, quando le condizioni cliniche della paziente lo permettono, si procede all’autotrapianto del tessuto. Purtroppo, una grossa parte del contenuto follicolare potrebbe essere perso a causa del danno ischemico durante la fase di rivascolarizzazione del tessuto. Inoltre per escludere la possibilità che il tessuto ovarico trapiantato possa contenere cellule neoplastiche, esso deve essere sottoposto sempre ad analisi istologica ed immunoistochimica. La tecnica di congelamento di tessuto ovarico va considerata sperimentale e dovrebbe essere praticata in Centri qualificati ed in possesso di adeguata esperienza clinica e scientifica e di apposita certificazione. Trattamento loco-regionali Linfonodi ascellari negativi Linfonodi ascellari positivi Trattamenti sistemici 3.6 Appendice Articolo 6 L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Articolo 7 I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo precedente vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza. Il medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto a fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario dell’ospedale per l’intervento da praticarsi immediatamente. Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuori delle sedi di cui all’articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale. Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto. precoce possibile. Non vi sono però dati a sostegno di questo atteggiamento. Neppure è noto se l’utilizzo di metodiche diagnostiche più avanzate possa portare a dei benefici (TC, RMN, TC-PET). Per le pazienti asintomatiche in trattamento con tamoxifene è consigliabile una semplice visita ginecologica annuale senza alcun esame strumentale. Una valutazione basale della densità ossea con metodica DEXA è consigliabile per le pazienti in postmenopausa in trattamento con AI. Lo schema sottostante da un indirizzo generale delle tempistiche di followup (figura 4). 110 Mammografia Visita clinica Articoli Legge 194/1978 S. Tomao, F. Cognetti Pagina Figura 4. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Follow-up 4. Follow up Allo stato attuale non esiste una evidenza che l’esecuzione di routine di alcuni esami (esame emocrocitometrico e profilo biochimico, rx torace, scintigrafia ossea, ecografia epatica, marcatori tumorali) possa portare a dei reali benefici nella gestione del tumore della mammella. Tali conclusioni si basano sulle linee guida dell’ASCO la cui revisione è stata recentemente pubblicata. L’osservazione che alcuni sottogruppi ristretti di pazienti con carcinoma mammario metastatico possono essere guarite (pazienti con localizzazioni singole), può spingere verso un follow-up più intensivo allo scopo di diagnosticare la malattia metastatica in una fase il più Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella 1°-3° anno 4°-5° anno Dopo 5° anno Prima MX: 9-12 mesi dopo RT Ogni 3-6 mesi Ogni 6-12 mesi Ogni anno Successivamente ogni anno 5. Percorso psicologico nelle diverse fasi della neoplasia mammaria P. Pugliese La neoplasia mammaria può impattare significativamente la sfera psicologica, affettiva, familiare e sessuale della paziente determinando, durante le diverse fasi della malattia oncologica, livelli di distress psicologico più o meno severi, nel 35-40 % delle donne. Il distress psicologico è determinato dal confronto con una malattia che minaccia la vita e dagli esiti dei trattamenti oncologici, che mettono in discussione l’identità femminile della donna. Ogni fase della malattia oncologica ha un preciso correlato psicologico che genera distress, anche molti anni dopo la fine dei trattamenti attivi, e peggiora la qualità della vita delle donne: nella fase degli accertamenti diagnostici la percezione di vulnerabilità; nella fase della comunicazione della diagnosi le importanti paure e preoccupazioni per la morte e la mutilazione; durante la fase dei trattamenti attivi e nel follow-up il danneggiamento dell’immagine corporea, le alterazioni della femminilità, della sessualità, della capacità riproduttiva e del funzionamento relazionale, le disfunzioni cognitive, la fatigue, il linfedema, il dolore, il corredo sintomatologico della menopausa indotta nelle donne giovani; nella ripresa di malattia la perdita della possibilità di guarire e nella fase avanzata la limitata aspettativa di vita. Ugualmente elevato è il fenomeno nei familiari delle pazienti che mostrano, a seconda delle varie fasi di malattia, un distress psicologico che varia dal 20% al 71%. Diversi studi hanno rilevato una relazione del distress psicologico con il peggioramento della qualità della vita, con l’aumento del rischio di disagio psichico nella famiglia, con la riduzione dell’aderenza ai trattamenti ormonali, con l’alterazione della relazione medico-paziente, con l’aumento dei tempi di recupero, riabilitazione e degenza, con una minore efficacia biologica della Pagina terapia, con una riduzione della sopravvivenza ed un maggiore rischio di ricorrenza. Il benessere psicologico può inoltre essere correlato all’abilità degli operatori di dare informazioni chiare, sollecite e modulate sul bisogno di sapere delle donne, riguardo alla malattia, alle procedure diagnostiche, alle opzioni terapeutiche e alle loro conseguenze ed un giudizio ponderato sulle aspettative e sulla qualità della vita. Tale abilità permette alle pazienti di partecipare alla scelta tra diverse strategie chirurgiche, tra trattamenti chemioterapici di uguale efficacia in fase avanzata di malattia ed alla scelta tra trattamenti aggressivi di seconda linea ed il riferimento ai centri di cure palliative. Training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari hanno mostrato un miglioramento della comunicazione. Gli studi hanno messo in evidenza la difficoltà di rilevare routinariamente i problemi psicologici da parte degli operatori medici, in quanto non formati a tali aspetti. La morbidità psicologica viene sottostimata e, quindi, non trattata. C’è evidenza dell’efficacia di terapie psicologiche che legittimano lo screening del distress psicologico ed in alcuni paesi sono ormai disponibili linee guida che forniscono raccomandazioni, basate sull’evidenza, riguardo la cura psicosociale dei pazienti (NCCN, 2011). Trial randomizzati, review sistematiche e meta-analisi sostengono che una cura per il cancro per essere “di qualità” deve integrare routinariamente la cura psicosociale. Altro dato di evidenza è la consapevolezza sempre più alta della sofferenza psicologica da parte delle pazienti e dei loro familiari e, quindi, la richiesta di supporto psicologico e di una comunicazione efficace. Il supporto psicologico è un’indicazione del Piano Oncologico Nazionale 2011-2013 e della Rete Oncologica del Lazio. 111 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Il supporto psicologico alle donne con carcinoma mammario è mirato a favorire l’adattamento alla malattia, una migliore qualità di vita ed un reinvestimento della progettualità a lungo termine. Percorso psicologico per le pazienti con cancro della mammella nelle diverse fasi di malattia: • presenza di uno psicologo adeguatamente formato nelle problematiche personali, familiari, sociali e sessuali delle pazienti affette da carcinoma mammario tra i costituenti del GIC (raccomandazione C). • rilevazione precoce del distress psicologico della paziente nelle diverse fasi della malattia (primo accesso presso la struttura, fase pre e postoperatoria, fase dei trattamenti medici, fase di follow-up, fase terminale) • • • ed ad ogni cambiamento nello stato di malattia (remissione, ripresa, progressione), attraverso uno strumento di autovalutazione (raccomandazione B). invio allo psicologo delle pazienti a rischio (presenza di livelli di distress psicologico superiori al cut-off) da parte degli operatori dell’equipe medico-sanitaria. (raccomandazione B). supporto psicologico o più specificatamente psicoterapeutico (individuale, di gruppo, di coppia, familiare), durante tutte le fasi della malattia, alle pazienti ed ai familiari che ne abbisognano (raccomandazione A). training per il miglioramento delle abilità comunicative degli operatori (raccomandazione A). 6. Criteri sull’appropriatezza delle dotazioni strutturali e delle expertise nel carcinoma della mammella ai fini della valutazione di accreditazione e della definizione di eccellenza F. Cognetti L’Unità Clinica di Senologia, nel rispetto della multidisciplinarietà e della qualificazione che “in primis” la definiscono, è composta da un gruppo di professionisti ben individuati (c.d. Core Team) accreditati come specialisti nel campo del tumore della mammella in funzione di: • comprovata esperienza in materia di patologia mammaria • numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per questa patologia • regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici • regolare aggiornamento professionale specifico e partecipazione ai programmi di Assicurazione di Qualità. Criteri minimi di composizione del “Core Team” • Un Coordinatore Clinico cui compete la responsabilità organizzativa dell’Unità • Due o più Chirurghi dedicati, con formazione specifica e direttamente coinvolti nella chirurgia dei tumori mammari • Un chirurgo plastico direttamente coinvolto nella chirurgia ricostruttiva dopo intervento per tumori della mammella • Due Radiologi con comprovata esperienza nel campo della patologia mammaria, dell’“imaging” ad essa associato e delle procedure ecografiche e stereotassiche di localizzazione e prelievo bioptico. (Numero minimo di mammografie refertate ≥ 1000/anno) • Un Patologo responsabile con formazione specifica nella diagnosi istologica e citologica delle lesioni mammarie • Un Oncologo Medico con specifica esperienza nel campo dei tumori mammari • Un Radioterapista Oncologo con specifica esperienza nel campo dei tumori mammari • Un Fisico Medico • Due Tecnici di Radiologia dedicati con specifica formazione ed esperienza nel campo della diagnostica strumentale senologica • Due Infermiere Professionali dedicate con formazione professionale specifica anche nell’area della comunicazione • Uno Psicologo (o preferibilmente Psico-oncologo) con specifica forma- Pagina zione nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali riferibili a donne affette da tumore della mammella • Un Data Manager responsabile della raccolta e dell’analisidi tutti i dati clinici Tali dati dovranno essere disponibili per le sessioni periodiche di Audit Clinico • Un Amministrativo per il supporto segretariale. Più in particolare, per l’accreditamento dei Professionisti di cui ai punti A-I, come specialisti nell’ambito della patologia mammaria (così da soddisfare gli standard richiesti ai componenti di una Unita’ Clinica di Senologia), verranno seguiti i criteri indicati nel documento a cura dell’EUSOMA: ”Guidelines on the standards for the training of specialised health professinals dealing with breast cancer”. Professionisti che affiancano il “Core Team” ma che non ne fanno parte (c.d. Consulenti) • Un Fisiatra con particolare esperienza in tema di linfedema • Un Anestesista con specifica formazione nel settore delle metodologie atte a contrastare il dolore. • Un Genetista/Consulente Genetico • Un Chirurgo Ortopedico con esperienza nell’ambito degli interventi sulle metastasi ossee. • Un Neurochirurgo. L’Unità Clinica dovrà produrre percorsi diagnostico-terapeutici scritti per la gestione della malattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali protocolli dovranno essere ridiscussi e ove necessario collegialmente modificati. Il “Core Team” dovrà avere incontri settimanali multidisciplinari per la discussione di tutti i casi clinici e incontri periodici di Audit Clinico A tal fine andranno identificati degli indicatori di processo, di risultato e di qualità del servizio. L’attivita’ di ricerca e l’attivita’ didattica sono parte fondamentale della funzione dell’Unità Clinica ed il loro monitoraggio sarà’ oggetto di analisi nell’ambito delle riunioni di Audit clinico Volume critico All’Unità Clinica di Senologia, per mantenere gli elevati standard che la definiscono e per giustificarne l’impegno economico, dovranno afferire almeno 112 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella 150 nuovi casi di tumore della mammella ogni anno di cui l’Unità stessa dovrà gestire diagnosi, terapie chirurgiche , radioterapiche, mediche e follow-up. Requisiti tecnologici Radiodiagnostica • Mammografi digitali con dispositivi dedicati per eseguire approfondimenti diagnostici mirati • Ecografi dedicati con sonde lineari o anulari ad alta frequenza • Apparecchiature per i prelievi bioptici vuoto-assistiti (VABB) • RM con campo magnetico di almeno 1,5 T e gradienti di campo di almeno 20mT/m. Radioterapia • Sistemi di immobilizzazione personalizzati • TC-Simulatore • Stazione di contornamento per la definizione dei volumi di interesse e per la fusione di immagini multimodali (TC ± RM ± PET ecc.) • Rete di trasferimento immagini tra TC e Sistema di Pianificazione del Trattamento (TPS) • Sistema di elaborazione tridimensionale del piano di terapia completo di modulo di pianificazione inversa (IMRT) e di sistemi per la validazione dosimetrica dei trattamenti • Due Acceleratori Lineari dotati di: collimatore multi lamellare, dispositivo elettronico per l’acquisizione di immagini digitali del fascio di fotoni e di sistema di verifica e controllo. Organizzazione dell’Ambulatorio di Prime Visite di donne sintomatiche • Frequenza: ≥1 a settimana (in una Breast Unit il cui volume critico è di 150 nuovi casi/anno il numero di nuove visite attese è pari a 1500/anno o 30/settimana) • Tempi di attesa: non superiori a 10 giorni lavorativi dal momento della richiesta • Presenze: Chirurgo, del Radiologo, Tecnico di radiologia,Patologo, Infermiere professionale • Obiettivo Triplo test in un’unica seduta • Comunicazione della diagnosi: entro 5 giorni lavorativi. I tempi di attesa prima dell’intervento chirurgico non dovranno essere superiori a tre settimane. Requisiti di accreditamento per l’eccellenza: Tutti i requisiti elencati sono necessari per accreditare una Unità Clinica di Senologia (UCS) per l’eccellenza. Requisiti relativi alla composizione della UCS 1) I professionisti che costituiscono il Core Team della UCS devono avere competenze riconosciute nell’ambito della diagnosi e trattamento del carcinoma mammario. E’ necessario quindi che sia documentabile, complessivamente, per il Core Team nel suo insieme: • una attività scientifica, con pubblicazione di almeno 10 lavori su riviste scientifiche con Impact Factor superiore ad 1, negli ultimi 5 anni ( sia come primo autore che come co-autore) • un coinvolgimento, negli ultimi tre anni, in almeno 10 studi clinici in GCP in ambito mammario Deve essere documentabile, per ogni partecipante del Core Team: • la partecipazione ad almeno due congressi/corsi/convegni regionali/nazionali specifici sul carcinoma mammario/anno • la partecipazione ad almeno un congresso/corso/convegno internazionale/anno in oncologia. 2) Tutti i componenti del Core Team devono aver ricevuto una comprovata formazione in modalità di comunicazione. 3) I Consulenti del Core Team devono far parte della stessa struttura sanitaria nella quale opera la UCS alla quale afferiscono. Requisiti tecnologici/strutturali • Le apparecchiature per i prelievi per esame istologico vuoto-assistiti (VABB) e la Risonanza Magnetica (RM), con campo magnetico di almeno 1,5 T e gradienti di campo di almeno 20mT/m, per lo studio mammario, debbono essere disponibili nella struttura sanitaria nella quale opera la UCS. • E’ necessaria la presenza, nella struttura ove opera la UCS, di una Laboratorio di Biologia Molecolare per: - la valutazione del gene BRCA1-2; - per studi di ricerca traslazionale nel carcinoma mammario. Requisiti di attività (Volume critico) Ad ogni Unità Clinica Senologica di eccellenza dovranno afferire ≥ 400 nuovi casi di carcinoma mammario/anno (tutti gli stadi) di cui l’Unità stessa dovrà gestire diagnosi, terapie chirurgiche e mediche e follow-up. Requisiti organizzativi Deve essere presente, nella stessa struttura nella quale opera la UCS, un ambulatorio di Counseling genetico per le donne ad alto rischio eredo-familiare di carcinoma mammario. L’ambulatorio dovrà essere aperto almeno una volta ogni 10-14 giorni. Dovrà essere presente un oncologo medico ed in consulenza un genetista. Dovrà inoltre essere garantita la presenza di uno psicologo esperto in queste problematiche. 7. Bibliografia • • • • Linee guida concernenti la prevenzione, la diagnosi e l’assistenza in oncologia, contenute nell’accordo tra ministero della Sanità e le Regioni e Province autonome”. Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2001. Perry N, et al. European Guidelines for Quality Assurance in Breast Cancer Screening and diagnosis. IV Edition. Raccomandazione del Consiglio d’Europa 2003 e 2009 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, Gazzetta Ufficiale n. 33, Supplemento Ordinario n. 26 del 8 febbraio 2002. Pagina • • • • Delibera della Giunta Regionale 8 luglio 1997, n. 4236. Decreto del Commissario ad Acta 13 luglio 2010, n. 59 “Rete Oncologica” Delibera della Giunta Regionale n.557 “Approvazione del Piano Regionale della Prevenzione 2010-12 - Quadro Strategico, individuazione del Modello Organizzativo integrato territoriale e vincolo annuale ai risultati raggiunti della quota parte del Fondo Sanitario” Delibera della Giunta Regionale n. 613 “Approvazione del Piano Regionale della Prevenzione 2010-2012” 113 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Coviello E, Miccinesi G. “Sopravvivenza per carcinoma mammario in aree di screening”, Come cambia l’epidemiologia del tumore della mammella in Italia. I risultati del progetto IMPATTO dei programmi di screening mammografico, 2011; 57-65. ISTAT. Il Sistema di indagine sociali Multiscopo – contenuti e metodologie dell’indagine, 2006 n. 31. 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Prevenzione secondaria Prevenzione secondaria. 1.1 Aspetti generali. 1.2 Popolazione di riferimento dei programmi di screening 2. Criteri di diagnosi e stadi azione 2.1 Diagnosi Clinica 2.2 Diagnosi di natura 2.3 Diagnosi di estensione (Stadiazione) 3. Valutazione Anatomo-patologica e di Biologia Molecolare 4. Terapia Chirurgica 4.1 Terapia endoscopica 4.2 Terapia chirurgica 5. Terapia Medica 5.1 Terapia Adiuvante. 5.2 Terapia della malattia metastatica. 5.3 Fattori predittivi 6. Terapia Integrata della malattia metastatica 7. Terapie loco-regionali 8. Terapie palliative. 8.1 Sindromi Ostruttive 8.2 Dolore 8.3 Nutrizione 8.4 Sindromi Compressive 8.5 Fratture Patologiche 8.6 Assistenza al paziente terminale 9. Follow-up 10. Bibliografia Pagina 118 1.1 Aspetti generali Il carcinoma del grosso intestino è una delle principali cause di morbilità e mortalità per tumori, in tutti i Paesi occidentali. In Europa, è il tumore più frequente nei non fumatori dei due sessi combinati. In Italia, l’incidenza stimata è di 4045.000 nuovi casi l’anno e la mortalità di circa 20.000 persone ogni anno. Il rapporto di mortalità tra i due sessi (M/F) per il tumore dell’intestino è cresciuto da 1,2 negli anni ’50 fino ad arrivare a 1,5. Secondo i dati AIRTUM nel centro-Italia l’incidenza è di 47 per 100000 e di 31 per 100000, rispettivamente per i maschi e le femmine. La mortalità nel Lazio, in riduzione come nel resto d’Italia, è di 29 per 100000 e 19 per 100000 rispettivamente per gli uomini e le donne. Circa il 10% dei tumori del colon hanno una base genetica o una più o meno spiccata familiarità. Le principali sindromi genetiche sono la sindrome di Lynch o cancro colorettale ereditario non associato a poliposi (hereditary non-polyposis colorectal cancer, HNPCC) e la poliposi adenomatosa familiare (familial adenomatous polyposis, FAP) con la sua variante attenuata (1-3). La prima è dovuta a mutazioni costitutive nei geni di riparazione degli errori di appaiamento del DNA (mismatch repair, MMR), la seconda a mutazioni nel gene APC. Entrambe queste forme ereditarie si trasmettono in maniera autosomica dominante. Recentemente, è stata identificata una particolare forma di poliposi intestinale a trasmissione recessiva, dovuta a mutazioni del gene MUTYH (4) e denominata poliposi adenomatosa associata a MUTYH (MUTYH-associated adenomatous polyposis, MAP). I più importanti fattori di rischio ambientale sono di tipo alimentare e sono piuttosto numerosi. Tra questi i più documentati sono: il sovrappeso, l’obesità e il diabete mellito; la dieta ipercalorica, povera di fibre e ricca di cereali ad elevato indice calorico e carico glicemico; l’eccessivo consumo di carni rosse; l’eccessivo consumo di alcool. Tra i fattori non legati all’alimentazione, è controverso il ruolo del fumo di tabacco, mentre vi è accordo sul fatto che l’attività fisica svolga un ruolo protettivo, indipendentemente dal peso corporeo (5). Vari studi hanno rilevato associazioni dirette tra peso corporeo, in particolare rapporto vita/fianchi, e tumori del colon e, in misura minore, del retto (9). Nonostante il rischio relativo di tali fattori sia piuttosto modesto, essi sottolineano un ruolo importante del medico di medicina generale nella prevenzione. Un ruolo protettivo sembra essere svolto dall’assunzione di piccole dosi di acido acetilsalicilico, come quelle assunte con finalità anti-aggregante. Una revisione dei risultati ottenuti da circa 15 studi osservazionali sul ruolo dell’aspirina ha confermato che l’assunzione a lungo termine di questo farmaco è associato ad una riduzione del rischio di tumore del colon-retto di circa il 20-30%. Anche altri farmaci anti-infiammatori non steroidei sembrerebbero avere un ruolo analogo. Per le caratteristiche della sua storia naturale, la presenza di una possibile base genetica, la disponibilità di trattamenti efficaci e la sua frequenza, il carcinoma del colon (e del retto) è diventato argomento di particolare interesse per i programmi di prevenzione ed, in particolare, per i programmi di screening. Infatti, è generalmente accettato che la maggior parte dei cancri colorettali deriva da adenomi con un anticipo di circa 10 anni. L’individuazione e l’asportazione degli adenomi, con conseguente interruzione della sequenza adenoma-cancro, rappresenta un’importante strategia nella prevenzione del carcinoma colorettale. Lo screening a cui si fa riferimento è quindi quello organizzato, rivolto all’intera popolazione bersaglio con l’obiettivo di ridurre la mortalità causa-specifica e caratterizzato dall’equità di accesso, a differenza di quello opportunistico, che è un approccio singolo ed individualizzato, non causa- ma cancro-specifico e sostanzialmente discriminatorio in favore delle fasce di popolazione più abbienti o informate. La storia clinica delle neoplasie intestinali (adenoma/carcinoma) è caratterizzata dal sanguinamento nel lume intestinale, discontinuo e con carat- Pagina teristiche differenti in funzione della sede e delle dimensioni della neoplasia. Il sanguinamento occulto può essere rilevato attraverso specifici test fecali, che per lo più fanno riferimento al metodo del guaiaco o al metodo immunologico, che – a differenza del primo – non è influenzato dalla dieta. La specificità di questo test è elevata, ma la sensibilità è relativamente bassa in particolare per gli adenomi o i carcinomi di piccole dimensioni o non ulcerati. L’indagine più importante nello screening del cancro del colon è quindi l’endoscopia, rettosigmoidoscopia e colonscopia. La sensibilità degli esami endoscopici per le neoplasie presenti nei segmenti colici esaminati è considerata molto elevata, oltre il 90% per le lesioni ≥ 10 mm. La colonscopia virtuale è una metodica meno invasiva dell’endoscopia con una sensibilità inferiore specialmente per le lesioni più piccole; il principale limite risiede nella necessità di dover ricorrere comunque all’endoscopia di conferma in caso di esame positivo. La combinazione di FOBT annuale ed endoscopia (RSS ogni 5 anni o colonscopia ogni 7-10 anni) consente di ottimizzare la sensibilità dello screening. 1.2 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening Nei pazienti asintomatici ed a rischio intermedio si stima che lo screening debba iniziare intorno ai 50 anni; l’inizio deve essere anticipato all’età giovanile nelle forme genetiche, mentre nelle forme cosiddette familiari complesse si ritiene che debba essere anticipato di 10 anni rispetto all’età di insorgenza nel caso indice più giovane. Nella regione Lazio la diffusione dei programmi di screening è a macchia di leopardo ed è quindi necessaria una maggiore sensibilizzazione sia della popolazione che dei medici di base. Inoltre è necessario adeguare le strutture diagnostiche all’incremento di volumi di attività endoscopica che conseguiranno inevitabilmente alla diffusione dei programmi di screening. Criteri di appropriatezza dei programmi di screening organizzato • Informazione dell’utenza per lettera (ripetuta) • Coinvolgimento dei medici di base • Offerta dell’esame di II livello entro 15 gg. dall’esito positivo del SOF • Organizzazione delle risorse in funzione del numero atteso di endoscopie • Individuazione della popolazione a maggior rischio • Inizio: - Popolazione a rischio intermedio: 50 anni - Familiarità semplice (1 solo parente di I grado diagnosticato >50 aa.): 40 anni - Familiarità complessa: 10 anni prima rispetto al caso indice più giovane - Sindrome di Lynch: 20-25 anni - Poliposi familiare: 10-12 anni • Tipo di test: - Popolazione a rischio intermedio e Familiarità semplice - Sangue occulto nelle feci ogni 1-2 e rettosigmoidoscopia ogni 5-7 anni - Sangue occulto nelle feci ogni anno e colonscopia ogni 10 anni - Familiarità complessa - Colonscopia ogni 3-5 anni - Sindrome di Lynch - Colonscopia ogni 1-2 anni - Poliposi familiare - Rettosigmoidoscopia ogni 2 anni sino alla comparsa di polipi, poi colonscopie annuali sino all’intervento chirurgico 119 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 2. Criteri di diagnosi e stadiazione 2.1 Diagnosi Clinica Fra esordio dei sintomi e terapia chirurgica intercorrono in media 4 mesi per le localizzazioni nel colon sinistro e 7 mesi per quelle nel colon destro. La tardività della diagnosi correla con la prognosi, ma i sintomi tipici delle neoplasie del colon sono presenti nelle fasi iniziali della malattia nel 40% dei casi. Tuttavia, poiché si stima che ad un medico di medicina generale con 1500 assistiti si presentino 1 caso di cancro del colon-retto all’anno e circa 15 casi sospetti, è importante che tali pazienti vengano individuati e tempestivamente indirizzati alla visita ed agli accertamenti specialistici. Questo intervallo non deve superare le due settimane con l’obiettivo di giungere alla diagnosi definitiva entro un mese. In questo processo sono quindi importanti due aspetti: il riconoscimento dei sintomi e l’accesso alla diagnostica. I principali sintomi evocativi di patologia neoplastica colo-rettale sono: sanguinamento rettale in pazienti di età ≥45 anni e sintomi persistenti e/o di recente insorgenza potenzialmente attribuibili a patologia colo-rettale in pazienti di età ≥45 anni (dolore addominale, alterazioni dell’alvo specialmente in senso stitico e/o delle caratteristiche delle feci, mucorrea, anemizzazione). Questi pazienti devono essere sottoposti ad un accurato esame obiettivo comprensivo di esplorazione digitale del retto, che può consentire la diagnosi del 10-15% dei tumori del grosso intestino e quindi indirizzati al successivo accertamento diagnostico, che di norma è l’endoscopia. In presenza di sintomi clinici o di SOF positivo la colonscopia deve essere effettuata entro due settimane. 2.2 Diagnosi di natura La rettosigmoidoscopia in genere non è un esame appropriato per la diagnosi perché esplora solo la parte più distale del colon e perché non esclude una seconda neoplasia a monte nel caso di identificazione di una neoplasia nel segmento esplorato. Per la diagnosi di tumori del grosso intestino la colonscopia è l’esame con maggior accuratezza diagnostica, sensibilità e specificità superiori al 95% per lesioni di diametro superiore a 10 mm. Il rischio di falsi negativi è inversamente correlato agli standard di qualità dell’esame, che comprendono la buona preparazione intestinale, l’accuratezza dell’esplorazione e l’esperienza dell’operatore. La colonscopia è un esame invasivo e, quando non doloroso, è sicuramente poco gradito al paziente. Per questi motivi la sedazione/analgesia è altamente raccomandata anche al fine di consentire una maggior accuratezza dell’esame e non deve essere proposta come alternativa all’effettuazione dell’esame in condizioni di coscienza, ma - viceversa - deve essere l’opzione prioritaria ed essere esclusa solo su specifica richiesta del paziente. La “sedazione cosciente” viene in genera effettuata con midazolam eventualmente associato a petidina e richiede l’attenta sorveglianza dell’operatore e dell’infermiere. La sedazione più profonda con propofol richiede la presenza dell’anestesista. Il monitoraggio strumentale dei parametri vitali è comunque essenziale. delle lesioni mediante polipectomia o mucosectomia. La procedura interventistica incrementa il rischio di complicanze; l’incidenza complessiva di emorragia varia fra 0.2% e 2.5% mentre quella di perforazione oscilla fra 0.07% e 0.7% per gli esami puramente diagnostici per raggiungere il 3% nelle procedure interventistiche specialmente in presenza di condizioni favorenti come la diverticolosi e l’imperfetta preparazione intestinale. Indicatori di qualità della colonscopia • Consenso informato • Appropriata gestione della terapia anticoagulante/antiaggregante • Uso della sedazione/analgesia - Presenza dell’anestesista in caso di sedazione profonda • Preparazione intestinale adeguata (bassi volumi di soluzioni, tempistica appropriata, eventuale regime in due fasi) • Adeguate procedure di disinfezione e sterilizzazione • Percentuale di intubazione ciecale • Monitoraggio strumentale dei parametri vitali • Polipectomia sincrona contestuale di polipi <2 cm • Adeguato campionamento bioptico • Percentuale di complicanze • Completezza del referto • Corretta procedura di pro cessazione dei campioni • Soddisfazione del paziente Il clisma opaco con doppio mezzo di contrasto ha una sensibilità inferiore alla colonscopia con una accuratezza molto variabile in rapporto all’esperienza del radiologo. Richiede una accurata preparazione e, seppure raramente, presenta il rischio di perforazione. Inoltre non consente la tipizzazione istologica. Per tutti questi motivi è una metodica diagnostica che ormai viene utilizzata molto raramente, per esempio nelle condizioni in cui l’accertamento diagnostico è stato effettuato mediante rettosigmoidoscopia al fine di valutare la presenza di neoplasie sincrone a monte del tratto esplorato endoscopicamente. La colonscopia virtuale può essere realizzata sia mediante RMN che, più frequentemente, mediante TC. La sensibilità è piuttosto variabile in caso di neoplasie di piccole dimensioni, più omogenea ed intorno al 95% per le lesioni maggiori con una accuratezza vicina a quella dell’endoscopia. L’esame è gravato da un numero piuttosto elevato di falsi positivi legati a residui fecali. Inoltre, come il clisma opaco, richiede il complemento endoscopico per la tipizzazione istologica. Per questi motivi il suo ruolo è inferiore rispetto a quello dell’endoscopia nella fase diagnostica, ma la minore invasività giustifica l’incremento del suo campo di impiego alle situazioni in cui la colonscopia presenta rischi maggiori o in cui l’accertamento istologico non sia necessario. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto nistrazione del mezzo di contrasto consente di migliorare la sensibilità e il potere diagnostico (sensibilità 80%, specificità 98%). L’ecografia epatica consente l’effettuazione di ago-biopsie eco-guidate. Inoltre, ha una importante utilizzazione (con o senza mezzo di contrasto) nel corso degli interventi di metastasectomia epatica consentendo l’individuazione di metastasi occulte o non evidenziate dalla TC preoperatoria. Ecoendoscopia Nella fase di stadiazione non ha un ruolo importante nei tumori del colon come quello nei tumori del retto, tuttavia mantiene una certa importanza nel riconoscimento e nella caratterizzazione delle recidive per esempio dei tumori del sigma o del colon ascendente. TC torace e addominopelvica E’ prevalentemente utilizzata per la valutazione dell’estensione loco- regionale e della presenza di metastasi, mentre la sua accuratezza nella fase iniziale è controversa. La TC multistrato consente di incrementare notevolmente la velocità di esecuzione e la risoluzione spaziale, tissutale e temporale. Queste caratteristiche, insieme all’indipendenza dall’operatore ed alla facile confrontabilità la rendono la metodica di imaging più utilizzata sia nella stadiazione che nella sorveglianza. La sensibilità è molto elevata per i noduli polmonari e l’accuratezza nel riconoscimento delle metastasi epatiche è considerata la migliore oggi possibile per una singola metodica diagnostica. Risonanza Magnetica L’introduzione delle sequenze veloci e dei mezzi di contrasto epato-specifici ha reso la RM complessivamente accurata quanto la TC multi-strato. La RM può avere una maggiore accuratezza nella definizione dei rapporti delle metastasi epatiche con alcune strutture (grossi vasi, ecc.) nel bilancio preoperatorio delle metastasi epatiche. Può essere più accurata della TC nella valutazione delle metastasi in fegato steatosico. PET e PET-TC Viene utilizzata per chiarire la natura di lesioni dubbie evidenziate da esami di primo livello, oppure quando nel corso della sorveglianza si evidenzia un aumento del marcatore. Può essere utilizzata prima di una eventuale resezione epatica per verificare l’assenza di metastasi extra-epatiche. Scintigrafia ossea Non è indicata nella fase di stadiazione in assenza di sintomi di riferimento. • Appropriatezza delle indicazioni della diagnostica per immagini • Colonscopia - Screening programmato/opportunistico (SOF/sintomi di allarme) - Stadiazione iniziale - Sorveglianza - Condizioni ad alto rischio (IBD, sindromi genetiche, “imaging”) - Dopo polipectomia/resezione endoscopica: 6/12 mesi, se negativa 3 anni - Dopo resezione chirurgica Requisiti tecnologici di eccellenza per la diagnostica endoscopica e per immagini* • Colonscopia - Magnificazione di immagine - Procedure codificate per la sedazione cosciente - 700 colonscopie/anno - Asportazione contestuale completa dei polipi > 5 mm - Protocollo operatore/paziente dipendente di asportazione di polipi multipli (> 3) - Possibilità di effettuare mucosectomia e dissezione endoscopica sottomucosa • TC spirale multistrato - Minimo 16 strati - Post-processing per l’analisi volumetrica e di perfusione • RM - Bobine phased-array (>4 canali) - Disponibilità di sequenze volumetriche e DWI - Post-processing per l’analisi volumetrica, di diffusione e di perfusione - >3 Tesla • PET-TC - Colon dx: dopo 1 e 3 anni e poi ogni 5 se negativa - Colon sin: dopo 6 mesi e poi dopo 1, 3 e 5 anni se negativa • 2.3 Diagnosi di estensione (Stadiazione) Criteri di appropriatezza della fase diagnostica iniziale • Riconoscimento dei sintomi di possibile patologia colo-rettale • Accurato bilancio clinico di base - Valutazione del rischio - Esame obiettivo comprensivo di esplorazione digitale del retto • Invio all’accertamento endoscopico - Definizione e fruibilità delle modalità di accesso - Tempistica non superiore a 2 settimane In presenza di polipi, oltre alla diagnosi, la colonscopia consente il trattamento Pagina Per valutare l’estensione della neoplasia la moderna diagnostica per immagini offre numerosi strumenti che si aggiungono agli esami radiologici più tradizionali come la radiografia del torace e l’ecografia epatica. Rx torace E’ utile nella valutazione pre-operatoria in mancanza della TC del torace Ecografia epatica E’ indispensabile nella stadiazione preoperatoria e nella sorveglianza dopo l’intervento. La sensibilità è piuttosto bassa nel riconoscimento delle metastasi epatiche (53-77%) e varia anche in maniera operatore-dipendente. La sommi- 120 • Colonscopia virtuale - Stadiazione iniziale: solo in caso di colonscopia incompleta o non effettuabile - Bilancio post-operatorio: solo in alternativa alla colonscopia, quando non effettuabile - Sorveglianza: come sopra Ecografia addome - Stadiazione iniziale - Bilancio post-operatorio - Sorveglianza e follow-up - Valutazione della risposta alla terapia Pagina • • TC multistrato - Stadiazione iniziale: opportuna, ma non indispensabile - Bilancio post-operatorio: opportuna, ma non indispensabile - Sorveglianza: in caso di presenza di metastasi, di sintomi o di aumento dei marcatori - Valutazione della risposta alla terapia RMN - Stadiazione iniziale: non indicata - Sorveglianza: in caso di lesioni epatiche o pelviche dubbie - Prima della resezione delle metastasi dopo chemioterapia PET-TC - Stadiazione iniziale: non indicata - Bilancio prima della metastasectomia - Sorveglianza: in caso di aumento non spiegato dei marcatori Requisiti minimi per la colonscopia • Spazi dedicati per l’attesa, lo spogliatoio, la sala endoscopica, la disinfezione • Servizi igienici • Procedure per il controllo dei rischi da gas anestetici • Procedure di integrazione con l’istopatologia e la chirurgia • Sistema di registrazione delle immagini • Disponibilità di anestesista e carrello per le emergenze • Disponibilità di attrezzatura per la polipectomia Requisiti minimi per la diagnostica per immagini • Completezza referto - Diagnosi radiologica • Ecografia - Sonda convex addominale • TC spirale multistrato - Almeno 4 strati • RM - Campo magnetico di almeno 1.5 T - Gradienti di campo di almeno 20mT/m - Bobine phased-array * Per ogni singola procedura sono essenziali tutti i requisiti) 121 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 3. Valutazione Anatomo-patologica e Biologia Molecolare In linea generale dal punto di vista genetico-molecolare si distinguono due principali modelli di cancerogenesi del cancro del colon. Il primo, più frequente, è caratterizzato da instabilità cromosomica e progredisce secondo la sequenza adenoma-carcinoma, il secondo (circa il 15%) è caratterizzato da instabilità dei micro-satelliti, conseguente a deficit del sistema di riparazione del DNA e della regolazione epigenetica. Negli ultimi anni è stata dimostrata l’esistenza di un terzo modello di cancerogenesi caratterizzato da elevati livelli di metilazione del promoter di numerosi geni (oncosoppressori e BRAF) e da una sequenza che comprende il cosiddetto adenoma serrato. Gli adenomi vengono classificati in base all’istotipo ed al grado di displasia. Secondo la classificazione WHO si distinguono tre tipi di adenoma: tubulare (componente tubulare >80%), villoso (componente villosa >80%), tubulovilloso (entrambe le componenti presenti fra 20% e 80%). La displasia può essere di basso grado e di alto grado in base alle alterazioni dell’architettura ghiandolare e citologiche. La classificazione WHO distingue i seguenti istotipi: adenocarcinoma (85%), adenocarcinomi mucoidi (10%), carcinoma con cellule ad anello con castone, carcinoma midollare, carcinoma indifferenziato, carcinoma a piccole cellule, carcinoma adenosquamoso, carcinoma squamoso. In base alle caratteristiche delle ghiandole gli adenocarcinomi possono essere distinti in due o tre gradi di differenziazione, anche se recentemente il sistema preferito è a due classi: basso grado (>50% del tumore produce ghiandole) o alto grado (<50% del tumore produce ghiandole). Nel carcinoma del colon vengono prese in considerazione altre caratteristiche istopatologiche, in funzione di una possibile correlazione con il decorso clinico e la prognosi: invasione perineurale e perivascolare, tipo di crescita, grado di infiltrazione linfocitaria, presenza di aggregati nodulari linfocitari peritumorali, numero di linfociti compenetranti le cellule neoplastiche, eccetera. Lo stadio è il più importante fattore prognostico nel carcinoma del colon; si raccomanda l’utilizzazione del sistema di classificazione UICC-TNM, alla cui edizione del 2009 si rimanda. Il numero di linfonodi asportati chirurgicamente è correlato all’estensione della resezione del mesocolon e dell’intervento chirurgico; si è convenuto che meno di 12 linfonodi non rappresentino una adeguata garanzia di radicalità chirurgica anche se non esiste un valore soglia per una stadiazione adeguata. Tuttavia, è stato dimostrato che un numero inferiore di linfonodi esaminati si associa a una minore sopravvivenza. I casi con cellule tumorali isolate o in piccoli aggregati di ≤0.2 mm (ITC) nei linfonodi sono classificati con pN0 sia che l’identificazione avvenga mediante immunoistochimica che con metodiche molecolari. La presenza di micro-metastasi (dimensioni comprese fra 0.2 e 2 mm) nei linfonodi può essere indicata con l’aggiunta della sigla “mi”. Nella descrizione del referto istopatologico in un carcinoma del colon devono essere indicati l’istotipo, il grado di differenziazione, il livello di infiltrazione, la distanza dai margini di resezione, il numero di linfonodi esaminati e di linfonodi metastatici, la presenza o assenza di invasione vascolare. Numerose osservazioni cliniche hanno recentemente evidenziato il ruolo predittivo e, forse, prognostico di alcuni pathway di segnale intracellulare e di altri biomarcatori tissutali coinvolti nella cancerogenesi. Un ruolo consolidato nella clinica ha lo stato mutazionale di KRAS e forse anche di altri geni coinvolti nello stesso pathway di segnale intracellulare Pagina (BRAF, PI3K, PTEN). Inoltre, sembra che, non tanto l’espressione, quanto il numero di copie del gene di EGFR determinato mediante FISH possa avere ruolo predittivo. L’instabilità micro-satellitare, oltre a caratterizzare uno dei modelli di cancerogenesi, sembra essere non solo un fattore prognostico, ma anche un fattore predittivo sfavorevole di risposta al 5-fluorouracile nella terapia adiuvante. Non è questo il contesto per parlare delle metodiche di determinazione di tali biomarcatori tissutali, che si distinguono anche per la diversa sensibilità. Per quanto riguarda il KRAS, che attualmente è il biomarcatore tissutale più importante, esistono linee-guida emanate congiuntamente dalla SIAPEC e dall’AIOM a cui si deve fare riferimento. Le metodologie, comunque, richiedono strumentazioni ed “expertise” particolari, che non sono tuttavia sufficienti a garantire la riproducibilità del test e gli operatori devono quindi aderire a programmi di controllo reciproco di qualità. La possibilità che un laboratorio di istopatologia possa ricorrere ad analisi del DNA per l’identificazione di biomarcatori tissutali avvalora la necessità che nel consenso informato prima di ogni campionamento sia bioptico che operatorio sia incluso un riferimento al tipo di esame istologico che verrà effettuato e alla durata della conservazione del campione tissutale. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto La diffusione negli ultimi 15 anni dei trattamenti integrati medico-chirurgici, in particolare in presenza di malattia con metastasi solo epatiche o polmonari o con metastasi discrete in due o tre sedi metastatiche pone all’istopatologo ulteriori quesiti concernenti la valutazione della risposta e dell’eventuale danno da farmaci. Le principali lesioni epatiche associate alla terapia medica delle metastasi epatiche da cancro del colon sono la steatoepatite e la dilatazione sinusoidale che presenta molte analogie con la malattia veno-occlusiva. Tali lesioni probabilmente non influenzano significativamente la mortalità e la morbilità post-operatoria, ma in alcuni casi possono giustificare alterazioni ematologiche (per esempio piastrinopenia) che precludono ulteriori trattamenti oncologici. Per quanto riguarda la risposta alla terapia medica è necessario distinguere il grado di necrosi delle metastasi e l’entità e la disposizione del tumore residuo. In relazione alla radicalità della resezione chirurgica delle metastasi epatiche oggi si ritiene che il margine di sicurezza debba essere almeno di 0.5 cm. Requisiti minimi per l’istopatologia • Presenza di una Unità di Istopatologia nella struttura dove viene effettuata la procedura endoscopica o chirurgica • Possibilità di effettuare un esame istologico estemporaneo • Tempo di risposta dell’esame istologico tradizionale non superiore a 2 settimane • Completezza del referto istologico tradizionale secondo quanto indicato nei criteri di appropriatezza • Accuratezza del referto relativo alle metastasi epatiche - Numero e sede - Percentuale di necrosi - Studio dei margini di resezione chirurgica - Caratteristiche e disposizione del tumore residuo - Caratteristiche del fegato non interessato da tumore 122 (* Requisiti essenziali) 4. Terapia chirurgica 4.1 Terapia endoscopica Criteri di appropriatezza dell’Anatomia Patologica • Aderenza alla classificazione WHO - Adenomi • Architettura, displasia, livello di infiltrazione, embolizzazione linfatica o venosa, margine di resezione, rapporto tessuto adenomatoso/carcinomatoso, “budding” tumorale - Adenocarcinomi • Descrizione chiara e dettagliata del referto - Descrizione macroscopica - Istotipo e grado di differenziazione - Livello di infiltrazione - Distanza dai margini di resezione - Numero di linfonodi interessati e di linfonodi metastatici - Presenza o meno di invasione vascolare • Stadiazione secondo UICC-TNM 2009 • Indicazione nel foglio informativo della possibilità che sul campione istologico venga una analisi del DNA Requisiti di eccellenza per l’Istopatologia • Referto dell’esame istologico standard in meno di 2 settimane* • Presenza di un Laboratorio di Biologia Molecolare nell’Unità di Istopatologia* • Possibilità di effettuare analisi molecolari* - Stato mutazionale di KRAS con metodica standard* - Possibilità di utilizzare metodiche alternative per KRAS - Stato mutazionale di altri codoni di KRAS - Possibilità di analizzare altri geni del pathway di EGFR - Possibilità di effettuare altre analisi molecolari • Validazione della valutazione di KRAS secondo indicazioni AIOM-SIAPEC* • Volume di determinazioni dello stato mutazione di KRAS: >30 all’anno* • Referto dell’analisi mutazionale di KRAS entro due settimane* • Formulazione del referto di biologia secondo indicazioni AIOM-SIAPEC* • Descrizione del metodo - Chiarezza e completezza, evitando formule equivoche Attraverso le tecniche di polipectomia o di mucosectomia è possibile resecare neoformazioni peduncolate, sessili o piatte in un unico frammento o, anche, in più frammenti, purchè possano essere tutti recuperati per l’esame istopatologico. Un adenoma con cancerizzazione iniziale confinata entro la muscolaris mucosae (pTis) viene considerato come un adenoma con displasia con alto grado, condizione che non si configura come invasiva ed esente da disseminazione neoplastica per la quale la resezione endoscopica è appropriata. L’adenoma con focolaio di cancerizzazione che supera la muscolaris mucosae ed infiltra la sottomucosa (pT1) è considerato inizialmente infiltrante e dotato di potenzialità metastatica. In questo caso la resezione endoscopica può essere considerata oncologicamente sufficiente solo quando si verificano alcune condizioni: completezza dell’asportazione con margine di resezione di almeno 1 mm per i polipi peduncolati o infiltrazione della sottomucosa entro 1000 micron per le forme sessili, grading 1-2, assenza di invasione linfatica o vascolare della sottomucosa. In mancanza anche di una sola di queste condizioni il paziente dovrebbe essere indirizzato all’intervento; è importante in questi casi la marcatura della sede della lesione asportata endoscopicamente. Indicatori istopatologici di appropriatezza della resezione endoscopica* • Asportazione completa della lesione (o recupero di tutti i frammenti) • Margine di resezione di almeno 1 cm • Livello di infiltrazione della sottomucosa entro 1000 micron (nelle lesioni sessili o piatte) • Grado 1-2 di differenziazione • Assenza di invasione linfatica o vascolare della sottomucosa • Prevalenza quantitativa del tessuto adenomatoso rispetto a quello carcinomatoso (* Gli elementi indicati devono essere tutti presenti) Poichè il rischio di recidiva o di malattia residua o di metastasi linfonodali è differente a seconda dell’indicatore mancante, in alcune situazioni cliniche Pagina (soggetti anziani, comorbidità importante, disponibilità del paziente a sottoporsi all’intervento chirurgico o a controllo endoscopico periodico) la decisione terapeutica può essere oggetto di una valutazione multidisciplinare. 4.2 Chirurgia La chirurgia rappresenta la principale opzione terapeutica con intento curativo nelle neoplasie del colon e dovrebbe essere effettuata in tempi ragionevolmente brevi. Il tempo di attesa fra diagnosi e ricovero per l’intervento non dovrebbe superare le 4 settimane e il ricovero dovrebbe avvenire subito prima dell’intervento. E’ quindi da favorire la preospedalizzazione al fine di effettuare le valutazioni preliminari all’intervento. Prima dell’intervento deve essere effettuata una preparazione intestinale meccanica, salvo nei casi di occlusione. In assenza di specifiche controindicazioni si raccomanda di utilizzare l’eparina a basso peso molecolare come profilassi della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare. La profilassi antibiotica consente di ridurre le infezioni nel sito chirurgico; si raccomanda l’uso prima dell’intervento di una cefalosporina di I o II generazione, da proseguire per 1-3 giorni in funzione dell’entità della contaminazione dell’intervento. Nel caso di interventi che prevedano una stomia, è necessaria un’adeguata informazione e il sito della stomia deve essere marcato sulla cute prima dell’intervento. Tutti i pazienti devono essere informati della possibilità di una eventuale emotrasfusione, che deve essere effettuata quando le condizioni cliniche la rendono necessaria. La degenza post-operatoria non dovrebbe superare gli 11-15 gg. Requisiti minimi di appropriatezza della gestione clinica del ricovero per l’intervento chirurgico* • Durata del ricovero: <20 giorni • Preparazione intestinale meccanica • Informazione - Foglio informativo dettagliato - Possibilità o necessità di una stomia 123 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • • • • • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Preparazione per eventuale stomia prima dell’intervento Esistenza di indicazioni per la prevenzione delle complicanze - Pazienti sottoposti a profilassi della TVP: >80% - Pazienti sottoposti ad antibiotico-profilassi: >80% Direttive per la sicurezza in sala operatoria Controllo preventivo del dolore post-operatorio: >90% Risorse per la gestione delle perdite ematiche Possibilità di consulenza oncologica (almeno due giorni alla settimana) Supporto - Personale di riferimento per la gestione delle stomie - Possibilità di consulenza nutrizionale o autonomia gestionale * I requisiti devono essere tutti presenti Requisiti di eccellenza per la gestione clinica del ricovero per l’intervento chirurgico • Durata del ricovero* - Preintervento: < 3 giorni - Post-intervento: < 15 giorni • Linee-guida* - Profilassi della TVP e dell’EP - Antibioticoprofilassi - Uso corretto delle trasfusioni - Trattamento del dolore post-operatorio - Sicurezza in sala operatoria • Predeposito sangue* • Team multidisciplinare costituito • Supporto - Centro specializzato per la gestione delle stomie * Requisiti necessari Chirurgia negli stadi pT1-4 pN0-2 M0 L’obiettivo della terapia chirurgica delle neoplasie del colon è l’exeresi del segmento di grosso intestino sede del tumore con adeguati margini liberi associata all’asportazione completa delle rispettive stazioni linfonodali regionali. Ciò comporta che i tumori del colon debbano essere trattati da chirurghi con adeguato “training” ed esperienza e che debbano essere rispettati alcuni principi generali. Il tumore deve essere rimosso integro con margine prossimale e distale di almeno 5 cm. Il peduncolo vascolare deve essere legato alla sua origine; questo non rappresenta un problema per i vasi ileo colici, colici destri e medi nelle resezioni del colon prossimale, ma nel caso dei tumori del colon distale la legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine, prima dell’origine della colica sin, può determinare un deficit di vascolarizzazione del moncone colico prossimale, e deve quindi essere sezionata a 1.5-2 cm dall’origine. Il livello della sezione del peduncolo vascolare condiziona anche il volume della linfoadenectomia, che – a sua volta – ha importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche. Per quanto non vi sia unanimità di vedute, si ritiene che sia adeguato un campione di almeno 12 linfonodi, anche se alcuni studi suggeriscono un incremento della sopravvivenza con l’aumento dei linfonodi asportati. In circa il 3-5% dei casi vi può essere un interessamento degli organi adiacenti, che devono essere resecati in blocco in quanto la mortalità e il tasso di recidiva sono maggiori quando non viene effettuata la resezione in blocco. Analogamente quando vi sia una perforazione della neoplasia, spontanea o involontaria, l’intervento è considerato non radicale. La radicalità delle resezione deve essere confermata sia dal giudizio intraoperatorio che dal successivo esame istologico; a tal fine eventuali lesioni sospette per residuo o metastasi devono essere sottoposte a biopsia. La mortalità operatoria globale è inferiore al 4%. Pagina Appropriatezza della tecnica chirurgica • Emicolectomia destra - Legatura dell’arteria ileo-colica, della colica dx e del ramo dx della colica media • Emicolectomia destra allargata al trasverso - Legatura dell’arteria ileo-colica, della colica dx, dei vasi colici medi • Trasversectomia o resezione segmentaria del trasverso - Legatura del ramo superiore della colica dx e della colica media • Emicolectomia sinistra - Legatura all’emergenza della colica sinistra oppure della mesenterica inferiore a 1.5-2 cm dall’origine • Sigmoidectomia - Legatura dell’arteria mesenterica inferiore oppure dell’emorroidaria superiore • Colectomia totale - In caso di tumori sincroni multipli o di tumori associati a poliposi diffusa Criteri di appropriatezza della chirurgia sul tumore del colon • Margini di resezione adeguati - 5 cm • Legatura dei vasi colici principali all’origine - Cautela nella legatura della arteria mesenterica inferiore • Adeguata dissezione linfonodale - 12 o più linfonodi • Resezione in blocco • Integrità del tumore Nel carcinoma del colon la chirurgia laparoscopica rappresenta una corretta alternativa ala chirurgia laparotomica, in particolare per i tumori del colon sinistro, con risultati simili in termini di recidive e sopravvivenza a 3 anni e vantaggi per quanto concerne il dolore post-operatorio, la ripresa dell’alimentazione e delle normali attività quotidiane. L’esperienza del centro e la curva di apprendimento del chirurgo rappresentano tuttavia i principali limiti di questa metodica, né bisogna dimenticare che per i tumori del colon destro i benefici sono meno evidenti e che nella maggior parte degli studi clinici di confronto con la tecnica laparotomica sono stati di volta in volta esclusi i pazienti obesi od occlusi, precedentemente operati, con tumori multipli o affioranti alla sierosa o localizzati al colon trasverso. La deiscenza dell’anastomosi è la principale fonte di morbilità operatoria, indipendente dalla modalità meccanica o manuale della sutura, ed è riportata nel 2-4% delle resezioni coliche con una mortalità del 20-23%. Requisiti minimi per la chirurgia del tumore del colon • Aderenza ai criteri di appropriatezza ≥90% • Aderenza ai principi di tecnica chirurgica: 100% • Appropriato addestramento ed adeguata esperienza • Registrazione dei dati - Descrizione dei componenti dell’équipe - ASA del paziente, classe di contaminazione dell’intervento • Descrizione dell’intervento - Reperti - Tecnica operatoria - Valutazione della radicalità macroscopica dell’intervento Un accenno a parte deve essere fatto per la chirurgia in regime di urgenza. Nel cancro del colon la più comune emergenza è rappresentata dall’occlusione (11-16% dei casi), mentre emorragia non controllabile e perforazione sono meno comuni. Nella chirurgia d’urgenza la mortalità operatoria è mag- 124 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto giore rispetto alla chirurgia in elezione (19-20% versus 5-6%) e la sopravvivenza a 5 anni peggiore. Si calcola che il 75% delle morti post-operatorie riguarda i pazienti operati in regime d’urgenza. Per questo ogni sforzo deve essere compiuto per ricondurre il paziente in condizioni ottimali all’intervento in elezione con un chirurgo ed una “equipe” esperta, con le ovvie eccezioni delle perforazioni e delle occlusioni con dilatazione eccessiva del cieco. In alcune circostanze l’inserimento di una endoprotesi per via endoscopica da parte di un endoscopista esperto o un trattamento laser endoscopico può consentire di risolvere temporaneamente la stenosi e portare il paziente all’intervento in elezione. In emergenza il tipo di intervento nelle neoplasie del colon di destra è l’emicolectomia, come nella chirurgia di elezione, mentre nelle lesioni del colon sinistro può essere considerata la possibilità di un intervento in due tempi con confezionamento di una stomia temporanea, ma solo come scelta derivante dalla valutazione della situazione clinica, non come conseguenza di un difetto di esperienza del chirurgo. Requisiti Minimi di appropriatezza per la chirurgia d’urgenza • Adeguata valutazione delle reali condizioni di emergenza - Posporre quando possibile l’intervento in elezione - Ottimizzare le condizioni cliniche prima dell’intervento • Adeguatezza dell’intervento chirurgico - Resezione con anastomosi ileo-colica nelle lesioni di dx - Resezione del tumore nelle lesioni di sinistra • Ricostruzione con intervento di Hartmann • Anastomosi con eventuale stomia di protezione La qualità della chirurgia in termini di risultati può essere valutata sulla base di alcuni indicatori, in cui l’esperienza e l’addestramento del chirurgo da un lato e l’accuratezza dall’altro hanno un ruolo indiscutibile. La mortalità operatoria varia in base alle condizioni in cui si svolge l’intervento ed al tipo di intervento. Valori accettabili dovrebbero essere contenuti entro il 5% per la chirurgia di elezione e il 20% per quella di emergenza. La percentuale di reinterventi e di recidive locali dovrebbe essere inferiore al 2% e al 10%, rispettivamente. La sopravvivenza a lungo termine non dovrebbe discostarsi per i diversi stadi da quella dei registri nazionali. Anche se non è possibile specificare il numero minimo di interventi/anno, dati recenti indicano che la mortalità e le recidive sono più elevate per gli operatori che eseguano un numero ridotto di interventi all’anno e – a parità di esperienza dell’operatore – i risultati tendono ad essere migliori negli ospedali che trattano un elevato numero di pazienti. La valutazione dell’accuratezza dell’intervento non può prescindere dalla corretta registrazione dei dati operatori, che è indispensabile sia ai fini epidemiologici e di ricerca, ma anche per la corretta pianificazione dei trattamenti successivi. Gli indicatori di qualità dovrebbero essere oggetto di analisi ai fini della definizione di eccellenza del singolo centro e/o dei singoli chirurghi. Requisiti di eccellenza per la chirurgia del tumore del colon • Volume operatorio del chirurgo e del centro superiore alla media regionale • Curva di apprendimento e addestramento che consentono interventi in laparoscopia • Presenza di risorse per trattamento endoscopico delle ostruzioni neoplastiche • Mortalità - Elezione <5% - Urgenza <20% • Deiscenze <4% Pagina • • • Reinterventi - <2% Recidive - <10% Sopravvivenza - In linea con i registri nazionali Chirurgia nella malattia metastatica Nel cancro del colon la presenza di metastasi non costituisce una condizione che preclude la possibilità di intervento chirurgico con intento di radicalità. Le sedi metastatiche che possono essere suscettibili di resezione radicale sono il fegato, il polmone, l’ovaio e – entro certi limiti – il peritoneo e i linfonodi addominali. E’ necessario distinguere innanzitutto se la diagnosi di malattia avanzata viene effettuata alla laparotomia o nell’ambito della valutazione pre-operatoria. Nel primo caso appare appropriata la resezione del tumore primario o almeno un intervento palliativo, associato o meno alla resezione della metastasi, se possibile. Nel secondo caso occorre distinguere differenti scenari: a) malattia che non sarà mai resecabile in maniera radicale; b) metastasi epatiche (e/o polmonari) che potrebbero diventare resecabili; c) metastasi epatiche (e/o polmonari) operabili. Nel caso di malattia plurimetastatica, mai resecabile, l’intervento chirurgico deve essere effettuato in presenza di chiari sintomi di occlusione o di perforazione o emorragia in atto. In tutte le altre circostanze è necessario un attento bilancio clinico, ma in linea generale la priorità spetta alla terapia sistemica, mentre l’intervento – a seconda dell’evoluzione – può essere posposto o addirittura evitato. Nel caso di metastasi che potrebbero diventare resecabili dopo adeguato trattamento medico, in assenza di sintomi di imminente occlusione o di perforazione, la tempistica dell’intervento chirurgico deve essere valutata nell’ambito di un gruppo multidisciplinare, che comprenda – fra gli altri – il chirurgo addominale, il chirurgo epatobiliare, l’oncologo medico, il radiologo, il radiologo interventista, l’istopatologo. In linea generale, in caso di conversione all’operabilità con la terapia medica, il successivo intervento chirurgico deve consentire la resezione del tumore primario e delle metastasi epatiche (e/o polmonari), in uno o due tempi. I progressi nella chirurgia epatobiliare degli ultimi anni hanno ampliato i criteri di resecabilità anatomica delle metastasi epatiche; attualmente le metastasi epatiche vengono ritenute operabili se è possibile una resezione R0, se possono essere preservati due segmenti epatici contigui, se può essere risparmiato il 20-30% di fegato. Il limite di questi criteri di resecabilità risiede principalmente nell’assenza di indicatori della biologia più o meno aggressiva della neoplasia. Anche per questo motivo, per quanto non vi siano chiare evidenze sull’efficacia della terapia medica post-operatoria, la tendenza generale è quella di completare il programma terapeutico con una ulteriore terapia medica post-operatoria, utilizzando la stessa combinazione della fase di induzione. Quando le metastasi sono resecabili, sono possibili due strategie. L’intervento chirurgico contestuale sul tumore primario e sulla metastasi è l’approccio da privilegiare in caso di metastasi epatica singola resecabile, sia essa metacrona o anche sincrona, se l’operatore ha le competenze e l’esperienza adeguate per effettuare la resezione epatica. In tutti gli altri casi, è possibile optare per una terapia medica perioperatoria o per l’intervento chirurgico. Nel caso in cui non venga effettuata una terapia perioperatoria, un trattamento medico adiuvante viene in genere consigliato, anche se le evidenze in tale direzione sono piuttosto modeste. 125 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza della chirurgia nella malattia metastatica • Malattia plurimetastatica, definitivamente non resecabile con radicalità - Occlusione, perforazione, emorragia in atto - Resezione del tumore primario o intervento palliativo - Assenza di sintomi critici - Valutazione delle priorità cliniche nel gruppo multidisciplinare - Pospsosizione o esclusione dell’intervento • Malattia metastatica, potenzialmente resecabile - Valutazione in gruppo multidisciplinare - Terapia di conversione - Intervento sul tumore primario contestuale all’intervento sulle metastasi epatiche • Malattia metastatica resecabile - Valutazione in gruppo multidisciplinare - Metastasi epatica singola - Intervento su tumore primario e metastasi - Metastasi epatiche multiple - Terapia perioperatoria o intervento chirurgico - Metastasi polmonari - Intervento chirurgico dopo l’intervento sul tumore primario e/o metastasi epatica/che La possibilità di trattare chirurgicamente le metastasi di cancro del colon richiede quindi una costante interazione di molteplici competenze, diagnostiche e terapeutiche, e la presenza di risorse aggiuntive e qualificanti, come una chirurgia epatobiliare e toracica dedicata, la disponibilità di una terapia intensiva post-operatoria ed una specifica competenza oncologica. Ne deriva che solo i centri che possiedano le competenze e l’organizzazione multidisciplinare necessarie possono essere qualificati per l’eccellenza nel trattamento della malattia metastatica. Si rimanda al paragrafo sulla terapia delle metastasi epatiche per la definizione in dettaglio dei criteri di eccellenza. 5. Terapia medica La terapia medica oncologica è frequentemente utilizzata nel cancro del colon. Gli obiettivi sono differenti nelle diverse situazioni cliniche. Uso e Obiettivi della terapia medica oncologica nel cancro del colon • Fase post-resezione del tumore primario e/o della metastasi - Miglioramento della sopravvivenza globale - Miglioramento dell’intervello libero da malattia • Malattia avanzata resecabile - Prolungamento della sopravvivenza - Riduzione della mortalità cancro-specifica - Miglioramento dell’intervallo libero da malattia • Malattia avanzata potenzialmente resecabile - Conversione alla resecabilità - Prolungamento della sopravvivenza globale - Riduzione della mortalità cancro-specifica - Controllo dei sintomi - Miglioramento della sopravvivenza libera da progressione • Malattia avanzata non resecabile - Prolungamento della sopravvivenza globale - Controllo dei sintomi - Ritardo della progressione - Miglioramento della qualità di vita • Malattia avanzata pretrattata - Controllo dei sintomi - Miglioramento della qualità di vita - Ritardo della progressione - Prolungamento della sopravvivenza globale 5.1 Terapia adiuvante Numerosi studi hanno dimostrato che nei pazienti con carcinoma del colon allo stadio III la terapia medica post-operatoria migliora la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da malattia. Il vantaggio è maggiore con la terapia di combinazione comprendente una fluoro-pirimidina e l’oxaliplatino (schemi FOLFOX, XELOX e FLOX). La fluoropirimidina da sola in questo stadio può es- Pagina sere utilizzata quando vi siano controindicazioni all’uso dell’oxaliplatino per comorbidità, fragilità, problematiche professionali, eccetera. L’età di per se non costituisce una controindicazione all’oxaliplatino, anche se la percentuale di pazienti di età superiore a 75 anni, inseriti negli studi clinici, è molto bassa. Per quanto riguarda i pazienti allo stadio II le indicazioni sono più confuse anche perché non esistono studi clinici di dimensioni sufficientemente ampie per dimostrare un beneficio statisticamente significativo in una categoria di pazienti con una prognosi già abbastanza buona con il solo intervento chirurgico. Le indicazioni derivano da meta-analisi o da valutazioni retrospettive di sotto-gruppi o da pareri di esperti. Esiste un consenso che nello stadio II la terapia adiuvante non abbia indicazione in linea generale. Vi sono tuttavia dei sottogruppi, a maggior rischio di recidiva per motivi clinici, istopatologici, biologici, in cui la terapia post-operatoria può essere consigliabile. Le condizioni di maggior rischio sono diverse: età <50 anni, stadio pT4, esordio con occlusione o perforazione, basso numero di linfonodi esaminati (<12), invasione vascolare o linfatica o perineurale, stato dei micro-satelliti, eccetera. Il peso di ognuno di questi fattori non è ben chiaro, tuttavia ognuno di essi può avere un impatto prognostico sfavorevole e, specialmente se è presente più di un fattore, il rischio di recidiva diventa uguale o superiore a quello dello stadio III e giustifica quindi un trattamento adiuvante. I criteri di scelta della terapia adiuvante sono gli stessi indicati per lo stadio III. Il ruolo della chemioterapia adiuvante nell’anziano è controverso e sembrerebbe che i regimi di combinazione potrebbero essere associati ad un incremento di effetti tossici. Pur non esistendo dati certi in merito, è consigliabile una maggiore cautela nella scelta e nella effettuazione del trattamento nei soggetti molto anziani specialmente se le loro condizioni psicofisiche non sono ottimali. Criteri di appropriatezza della terapia adiuvante • Timing di inizio: <8 settimane dall’intervento chirurgico • Aderenza a linee-guida - Fluoropirimidina + Oxaliplatino nello stadio III e II a rischio - Fluoropirimidina da sola in caso di controindicazione all’oxaliplatino • Durata complessiva della terapia: 5-7 mesi • Risosrse per il trattamento delle complicanze - PS e/o degenza 126 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto 5.2 Terapia della malattia metastatica Negli ultimi anni la prognosi del carcinoma del colon in fase metastatica, pur rimanendo spesso infausta, è andata incontro a significativi miglioramenti, grazie all’introduzione di nuovi farmaci, sia citotossici che biologici, e allo sviluppo della strategia terapeutica. L’incremento globale della sopravvivenza è sostenuto dalla possibilità di effettuare più linee di trattamento con farmaci o combinazioni di farmaci che possono presentare una parziale resistenza crociata. Il concetto di “linee di terapia” successive, tuttavia, è piuttosto riduttivo rispetto alla strategia globale della continuità terapeutica che prevede una pianificazione a priori di un programma terapeutico flessibile, che oltre alle rigide linee terapeutiche preveda anche fasi di terapia di mantenimento o di interruzione programmata, ma anche la possibilità di “re-challenge” con farmaci utilizzati precedentemente. Il razionale biologico del “continuum of care” risiede nella eterogeneità dei cloni neoplastici, nella loro differente sensibilità ai farmaci e nella loro diversa velocità e cronologia di accrescimento. Nell’ottica di una rete oncologica questo implica la necessità che tutti i pazienti possano accedere a centri forniti di tutte le risorse necessarie o – almeno – che esistano percorsi terapeutici condivisi e accessibili. I farmaci attivi nella malattia metastatica sono le fluoropirimidine, l’irinotecano, l’oxaliplatino, gli anticorpi monoclonali anti-VEGF (bevacizumab) e antiEGFR (cetuximab e panitumumab). In linea generale le combinazioni di farmaci sono più efficaci (ma anche più tossiche) rispetto ai farmaci singoli e l’aggiunta di un farmaco biologico migliora molti parametri di efficacia. La potenziale tossicità è una criticità da tener presente in qualunque contesto si faccia ricorso alla terapia antineoplastica, perchè non infrequentemente può essere grave o addirittura a rischio di mortalità. Effetti collaterali gravi possono manifestarsi con maggior frequenza nei trattamenti protratti e più complessi, ma anche nella terapia adiuvante o - in rari casi di deficit degli enzimi deputati al metabolismo delle fluoro-pirimidine - dopo la prima somministrazione di trattamenti teoricamente poco invasivi. La pratica della terapia antineoplastica non può essere disgiunta dalla capacità di gestire i possibili eventi avversi, ma anche di farsi carico del ricovero in caso di tossicità gravi. La numerosità delle opzioni terapeutiche, la mancanza di una ampia gamma di confronti diretti fra le diverse combinazioni terapeutiche e l’incompleta conoscenza dei fattori predittivi e prognostici impone un accurato bilancio non solo dello stato della malattia, ma anche delle caratteristiche del paziente e della biologia tumorale in ogni momento decisionale. La rete oncologica deve favorire la possibilità che le analisi biomolecolari e farmacogenetiche, che sempre più stanno modificando la strategia dell’approccio terapeutico, siano già disponibili per tutti i pazienti al momento in cui sono necessarie e deve prevenire il rischio di scelte inappropriate o di ritardi terapeutici, dovuti alla mancanza dei dati biologici. Alcuni di questi elementi sono ormai entrati nella pratica terapeutica corrente, ma la ricerca in questo campo è molto attiva e promettente. Senza entrare nello specifico, si possono fare alcune affermazioni di carattere generale che sono alla base dell’appropriatezza delle scelte terapeutiche: • i bisogni del paziente e gli obiettivi razionalmente raggiungibili devono essere alla base delle decisioni cliniche • la posticipazione del trattamento alla comparsa dei sintomi non è vantaggiosa • nonostante la politerapia sia superiore rispetto alla monoterapia, esistono situazioni cliniche (malattia multimetastica indolente, pazienti an- Pagina ziani fragili, malattia indolente asintomatica, ecc.), peraltro non sempre facilmente identificabili, in cui la monoterapia sequenziale può ancora essere considerata. Non vi sono, però, preclusioni di principio per quanto riguarda la terapia di combinazione nei confronti dei pazienti anziani in buone condizioni psico-fisiche • le fluoro-pirimidine orali, in particolare la capecitabina, possono sostituire il 5-fluorouracile per via endovenosa sia in monoterapia che nelle combinazioni, ad eccezione – probabilmente – della combinazione con irinotecano, che spesso è associata ad un incremento di effetti collaterali • la combinazione di tutti e tre i farmaci citotossici (5-fluorouracile, irinotecano e oxaliplatino) è più efficace rispetto alla combinazione di due farmaci, ma si associa ad un moderato incremento di tossicità • prima dell’inizio del trattamento devono essere disponibili tutte le informazioni cliniche, istopatologiche e biologiche necessarie • l’aggiunta di bevacizumab alla chemioterapia migliora i risultati in maniera più o meno clinicamente significativa sia in prima linea che, limitatamente alle combinazioni con oxaliplatino, anche in seconda linea. • l’aggiunta di Cetuximab ad una doppietta di farmaci citotossici migliora l’efficacia nei pazienti con K-RAS wild-type • gli anticorpi monoclonali anti-EGFR possono essere efficaci anche da soli nei pazienti K-RAS wild type in qualunque linea di trattamento • i dati disponibili escludono la possibilità di utilizzare contemporaneamente il bevacizumab ed un anticorpo anti-EGFR • la scelta del trattamento deve in ogni momento ed in ogni situazione tener conto degli obiettivi che si possono raggiungere nel singolo paziente e delle caratteristiche e disposizione caratteriale del paziente stesso: conversione alla resecabilità, prolungamento della sopravvivenza, controllo dei sintomi, eccetera • esistono molte osservazioni che convergono a suggerire che possa essere utile, almeno in termini di qualità di vita, intercalare trattamenti più intensi a trattamenti meno intensi o anche effettuare interruzioni programmate di un trattamento anche quando si stia dimostrando efficace. • nei pazienti, che - nonostante la progressione di malattia dopo il primo trattamento - mantengono buone condizioni generali, deve essere presa in considerazione una terapia di seconda linea In un buon numero di casi può anche essere ipotizzato un trattamento di terza linea. La complessità e la costante evoluzione delle scelte terapeutiche implica la necessità di un continuo aggiornamento del bagaglio culturale. Sintesi dei principali criteri di appropriatezza nella terapia della malattia avanzata • Centralità del paziente e dei suoi bisogni • Possibilità di impianto e corretta gestione del CVC • Applicazione delle linee-guida derivanti dagli studi clinici • Discostamento rilevante dalle linee-guida solo per consistenti motivazioni cliniche • Disponibilità o facilità di accesso alle indagini biologiche e farmaco-genetiche necessarie • Capacità di gestione di trattamenti complessi • Trattamento appropriato dei pazienti fragili • Possibilità di gestione degli eventi avversi e delle complicanze - PS e/o degenza • Effettuazione di seconde e terze linee di trattamento nei pazienti idonei • Partecipazione a studi clinici tesi a migliorare o a innovare la pratica clinica 127 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 5.3 Fattori predittivi zioni dell’espressione genetica di una serie enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci utilizzati nel trattamento del carcinoma del colon possono avere una estrema rilevanza sia nella risposta che nella tossicità. Questo vale in particolare per la DPD che è correlata alla tossicità delle fluoro pirimidine, ma non è ancora entrata nell’uso corrente. Nell’ottica della rete oncologica almeno lo stato mutazionale del K-RAS deve essere disponibile al momento in cui è necessario e cioè, allo stato attuale delle conoscenze, al momento del trattamento della malattia avanzata. In una corretta valutazione costo-benefici probabilmente non è appropriato effettuare tale test in tutti i pazienti, ma deve essere effettuato in tutti i pazienti con malattia metastatica e, probabilmente, in tutti i pazienti radicalmente operati, ma a rischio più elevato di recidiva. Inoltre, l’accesso ai centri di riferimento in grado di effettuare questa, come altre determinazioni biologiche potenzialmente utili, deve essere garantito a tutti i pazienti e quindi devono essere previste le modalità di accesso a tali centri e le relative facilitazioni. Il progresso delle conoscenze biologiche e la disponibilità di farmaci biologici con un bersaglio molecolare più o meno rilevante nel processo cancerogenetico ha aperto un nuovo vasto campo di ricerca volto a identificare fattori misurabili in grado di consentire la selezione dei pazienti potenzialmente responsivi. Parallelamente si sta sviluppando anche la ricerca di fattori in grado di predire la prognosi, che non ha un impatto immediato sulla scelta terapeutica, ma può consentire di identificare futuri bersagli terapeutici e, comunque, ha un impatto sulla strategia terapeutica generale. Lo stato mutazionale del K-RAS è il fattore predittivo di resistenza agli anticorpi anti-EGFR sinora identificato, che ha la maggiore importanza nella terapia. Oltre al K-RAS altri fattori molecolari sono in corso di valutazione nell’ambito dello stesso “pathway” di EGFR e almeno uno di questi, il B-RAF, sembrerebbe poter svolgere un ruolo prognostico. Al di fuori di tale “pathway” sono oggetto di studio intenso lo stato dei micro-satelliti e lo stato mutazionale di geni coinvolti nell’angiogenesi, senza dimenticare che varia- Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto di 6-8 mesi di trattamento medico comprendendo sia la fase pre- che postoperatoria. Certamente l’aspetto più cruciale e indispensabile della terapia integrata della malattia metastatica è la presenza di un “team” multidisciplinare che comprenda almeno chirurgo/i dedicato/i, oncologo, radiologo e, all’occorrenza, altre figura professionali come il radiologo interventista, il radioterapista, lo psicologo. Criteri di appropriatezza della terapia integrata della malattia metastatica • Valutazione multidisciplinare • Equipé chirurgica dedicata Possibilità di gestire eventi avveersi • Terapia intensiva post-operatoria • Terapia di conversione • • • • - Doppietta o tripletta di farmaci citotossici - Possibile utilizzazione dei farmaci biologici Terapia peri-operatoria - Doppietta di farmaci citotossici - Biologici solo nell’ambito di studi clinici Terapia adiuvante - Stessa combinazione della terapia preoperatoria - Doppietta o fluoro pirimidina nelle resezioni senza terapia pre-operatoria Tempestività dell’intervento - Rischio di epatotossicità (specialmente nei pazienti con BMI elevato) - Rischio di sottovalutazione delle metastasi Durata totale della terapia medica 6-8 mesi 7. Terapie loco-regionali 6. Terapia integrata della malattia metastatica Come si è detto, la terapia chirurgica può essere proponibile anche nella malattia metastatica. Per quanto riguarda le metastasi resecabili esiste un solo studio che ha dimostrato che la terapia medica peri-operatoria con la combinazione FOLFOX possa migliorare la sopravvivenza nei pazienti sottoposti a resezione delle metastasi epatiche. Nonostante ciò, esiste un generale orientamento sul fatto che sia preferibile sottoporre direttamente all’intervento le metastasi epatiche singole operabili. Come si è detto, la chirurgia delle metastasi epatiche deve essere effettuata solo da chirurghi esperti e dedicati. Questo implica che le metastasi sincrone operabili potrebbero anche essere non sottoposte ad immediata resezione se il chirurgo addominale non ha le adeguata competenza. Non ci sono dati sul ruolo dei farmaci biologici in questo contesto, né sulla terapia peri-operatoria nei pazienti con metastasi resecabili in altre sedi diverse dal fegato. La possibilità di integrare la resezione radicale delle metastasi operabili con una terapia medica post-operatoria non è supportata da evidenze chiare, tuttavia viene in genere consigliata; in questo caso il regime più appropriato è la combinazione FOLFOX o anche una fluoro-pirimidina da sola, qualora vi fossero controindicazioni all’uso dell’oxaliplatino. Le più importanti acquisizioni nella terapia integrata della malattia metastatica riguardano la possibilità che la terapia medica renda operabili metastasi epatiche (e – limitatamente ad alcune condizioni – anche extra-epatica) in precedenza non operabili (“terapia di conversione”). I criteri di operabilità si sono molto modificati negli ultimi anni grazie al progresso delle tecniche chirurgiche ed attualmente non si basano tanto sulle dimensioni e la sede delle metastasi, ma sulla quantità minima di fegato residuo che consenta una adeguata funzione dell’organo; un limite di questo approccio risiede nella mancanza di criteri biologici che consentano una stratificazione anche sulla base dell’aggressività della neoplasia. Sia le doppiette che le triplette di farmaci citotossici sono in grado di rendere resecabili metastasi epatiche inizialmente non resecabili. Molte osservazioni suggeriscono che l’aggiunta dei farmaci biologici può migliorare la percentuale di resecabilità, implementando il tasso e l’entità della risposta obiettiva. Ciò è vero in particolare per le combinazioni comprendenti Pagina l’anticorpo anti-EGFR cetuximab nei pazienti K-RAS wild type. Osservazioni analoghe esistono anche con le combinazioni comprendenti l’anticorpo anti-VEGF bevacizumab, ma in questo caso la somministrazione dell’anti-angiogenetico deve essere interrotta almeno 5 settimane prima della resezione epatica. La resezione R0 rappresenta il parametro che correla maggiormente con il prolungamento della sopravvivenza, ma anche i pazienti con resezione R1 sembrano avere una sopravvivenza superiore ai pazienti non sottoposti a resezione. Un aspetto della terapia di conversione spesso ritenuto critico concerne la durata della terapia pre-operatoria, sia per il rischio di tossicità epatica che il rischio di risposta clinica completa che renderebbe difficile l’identificazione della sede da sottoporre a resezione. In realtà, entrambi questi rischi sono forse sopravvalutati perché studi recenti hanno evidenziato che non c’è un incremento del rischio operatorio dopo terapia di conversione nella popolazione generale, ma solo nei soggetti con “body mass index” elevato, che probabilmente hanno una condizione pre-esistente di steato-epatite. Tuttavia, non sono ancora quantizzabili gli eventuali danni a distanza nei soggetti lungo-sopravviventi. D’altra parte il rischio di non riuscire a identificare le sedi da resecare in caso di risposta clinica completa è realmente piuttosto contenuto perchè con gli strumenti di indagine pre- ed intra-operatoria (ecografia intra-operatoria) disponibili non è impossibile identificare le sedi da sottoporre a resezione anche in caso di risposta completa. Tenendo conto dell’insieme di queste considerazioni, allo stato attuale tuttavia si suggerisce di proseguire la terapia di conversione per il tempo minimo necessario a rendere le metastasi operabili. Nella terapia di conversione, partendo dal presupposto che la riduzione del tumore con la terapia medica sia una dimostrazione di chemio-sensibilità “in-vivo”, viene effettuato un trattamento post-operatorio con la stessa combinazione utilizzata precedentemente. In realtà, non è detto che questo sia completamente vero dal punto di vista biologico se si pensa alla eterogeneità del tumore, tuttavia negli studi sinora effettuati questa strategia è sempre stata rispettata raggiungendo un totale 128 Le terapie loco-regionali hanno come obiettivo il controllo locale della malattia e, pertanto, hanno in linea generale un ruolo sostanzialmente palliativo nella malattia multi metastatica, ma possono rappresentare una opzione utile nelle metastasi epatiche e/o polmonari a complemento o integrazione del trattamento sistemico e chirurgico. La termoablazione mediante radiofrequenze consente di produrre una necrosi coagulativa di metastasi non superiori a 3 cm. Allo stato attuale non può essere considerata equivalente alla chirurgica nelle metastasi epatiche o polmonari resecabili e quindi non è una alternativa di pari efficacia, anzi in alcune circostanze può rendere più complesso il successivo intervento chirurgico. Può tuttavia essere utilizzata a completamento di un intervento con residuo di malattia macroscopica o quando l’intervento chirurgico non sia fattibile. Le criticità sono rappresentate dalle dimensioni, dalla sede della metastasi e dalla sua accessibilità. Nonostante la percentuale di risposte cliniche ottenute con la chemio-terapia intra-arteriosa epatica sia risultata a volte superiore rispetto alla terapia sistemica, non vi è allo stato attuale una chiara evidenza di superiorità di questo approccio nel trattamento integrato delle metastasi epatiche. Per l’elevata attività locale, tuttavia, in alcune circostanze potrebbe essere presa in considerazione in casi selezionati in associazione agli altri trattamenti o nell’ambito di studi clinici in centri con adeguato addestramento. Le criticità sono legate all’effetto di “primo passaggio”, alla necessità di un catetere intra-arterioso e di pompe infusionali dedicate e ai possibili effetti tossici loco regionali. La radioterapia interstiziale con ittrio o con altri isotopi delle metastasi epatiche multiple non suscettibili di altri trattamenti comincia a diffondersi in alcuni centri selezionati. Non sono tuttavia disponibili studi su larga scala e non è noto l’impatto sulla sopravvivenza globale, mentre non sono da sottovalutare i rischi. Pertanto il suo impiego deve essere riservato a studi clinici ed a pazienti accuratamente selezionati. La criticità principale è il rischio di insufficienza epatica che non deve essere sottovalutato in pazienti con diffuso interessamento epatico e pluritrattati. La radioterapia esterna è efficace e deve essere considerata come trattamento palliativo delle metastasi ossee o cerebrali e citoriduttivo di recidive pelviche. Appropriatezza delle terapie loco-regionali • Termo-ablazione mediante radiofrequenze - Residuo macroscopico dopo intervento chirurgico di metastasectomia epatica - Trattamento di metastasi epatiche o polmonari per le quali l’intervento non è indicato • Chemioterapia intra-arteriosa - Casi selezionati in associazione ad altri trattamenti (sistemico o chirurgico) - Studi clinici • Radioterapia interstiziale - Metastasi epatiche multiple non suscettibili di altri trattamenti • Radioterapia esterna - Trattamento palliativo: metastasi ossee e cerebrali - Trattamento citoriduttivo: metastasi pelviche 8. Terapia palliativa Nei tumori metastatici del colon la terapia palliativa si sviluppa lungo tutto il decorso della malattia e riguarda il trattamento delle complicanze e degli effetti collaterali delle altre terapie, ma ha ruolo preminente nella fase terminale in particolare quando i sintomi della malattia costituiscono di per se malattie che necessitano di cura. Sono quindi importanti i seguenti aspetti: a) Competenza personale nel trattamento degli effetti tossici delle terapie Pagina oncologiche b) Competenza nella gestione delle principali sindromi cliniche terminali (dolore, sindromi ostruttive, iponutrizione e sindromi discrasiche, sindromi compressive, sindromi neurologiche) c) Interazione strutturata con specialisti di riferimento d) Coordinamento con unità per le cure palliative del paziente terminale. 129 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 8.1 Sindromi ostruttive Le più sindromi ostruttive nel carcinoma del colon riguardano l’apparato gastrointestinale, il sistema biliare e l’apparato urinario. I moderni presidi di drenaggio biliare, urinario e peritoneale, degli “stent” intestinali, biliari ed urinari hanno un evidente effetto sulla qualità di vita dei pazienti. Non è stato mai quantizzato il loro effetto sulla sopravvivenza, ma sicuramente una quota almeno dell’incremento della sopravvivenza nel carcinoma del colon è da attribuire ad essi se non altro perché la risoluzione di una ostruzione biliare o urinaria può consentire l’effettuazione di una terapia oncologica che altrimenti sarebbe preclusa. Pertanto l’accesso a tali presidi è un diritto di tutti i pazienti. 8.2 Dolore Il dolore è una delle esperienze più devastanti in oncologia. Pertanto gli oncologi devono avere un addestramento in terapia del dolore; in alternativa in tutti i centri deve esserci un consulente dedicato. Nei centri qualificati deve essere inoltre presente la possibilità di trattamenti invasivi del dolore, a cui possano riferirsi anche i centri periferici. A volte la gestione ottimale del dolore richiede competenze multidisciplinari che comprendono l’oncologo medico, il radioterapista, l’anestesista o il neurochirurgo e lo psicologo. 8.3 Nutrizione La maggior parte dei pazienti sperimentano deficit nutrizionali nel corso della malattia, specialmente nelle fasi terminali. L’aspetto nutrizionale è cruciale nelle fasi chirurgiche, ma è altrettanto importante nelle fasi avanzate e terminali. Nel primo caso è necessario mantenere un bilancio calorico adeguato per evitare un eccesso di complicanze. Nel secondo caso è importante cercare garantire il livello di idratazione e di nutrizione che prevenga l’insorgenza di ulteriori complicanze. Sono necessarie competenze in ambito nutrizionale sia da parte del chirurgo che dell’oncologo o - in alternativa - la possibilità di usufruire di una consulenza nutrizionale. ma in alcuni casi. Questo può avvenire nelle fasi chirurgiche. Anche per questo aspetto è necessario che gli oncologi abbiano competenze di base per la gestione dei problemi nutrizionali. 8.4 Sindromi compressive Le principali sindromi compressive sono la sindrome da compressione mediastinica e la sindrome da compressione midollare. Si tratta spesso di eventi che intercorrono nella fase terminale della malattia, ma che comunque impattano negativamente sulla qualità di vita. Anche la gestione di questi eventi richiede da un lato un certo grado di preparazione dell’oncologo, il coordinamento con gli specialisti di riferimento in qualità di consulenti interni o esterni, la valutazione multidisciplinare. 8.5 Fratture patologiche Le fratture patologiche sono eventi che richiedono sia il trattamento del dolore che di eventuali danni neurologici. Oltre all’oncologo possono svolgere un ruolo il radiologo, il radioterapista, il chirurgo vertebrale o il neurochirurgo, eccetera. Pagina Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto L’approccio anche in questo caso è multidisciplinare, per cui diventa essenziale la disponibilità delle comptenze necessarie o la istituzionalizzazione della possibilità di riferire questi pazienti in centri adeguati. • 8.6 Assistenza al paziente terminale Senza entrare nel merito della definizione di terminalità e delle decisioni gestionali burocratiche che ne derivano, è certo che nei tumori in fase avanzata prima o poi i presidi terapeutici specifici si esauriscono e tutti i pazienti entrano in una fase più o meno lunga in cui gli obiettivi terapeutici sono il controllo dei sintomi e la preservazione della qualità di vita. E’ importante comprendere che, nell’ambito di una neoplasia solida metastatica, l’esaurimento delle terapie oncologiche non significa “fine” delle cure, ma passaggio ad un tipo diverso di cura; in altri termini, in questa fase della malattia le cure palliative e di supporto non sono “assenza” di cura, ma la miglior cura proponibile. Proprio per attenuare la sensazione di “cesura” fra un trattamento e l’altro è auspicabile che le cure palliative siano in qualche maniera simultanee alle terapie oncologiche. La cura del paziente terminale è spesso affidata ad equipe costituite da medici diversi da quelli che hanno tenuto in cura il paziente nella fase “attiva” di trattamento oncologico e l’organizzazione stessa della presa in carico del paziente terminale prevede modelli organizzativi differenti, assistenza domiciliare e hospice, da quelli a cui il paziente era abituato, ambulatorio, DH, degenza ospedaliera. Pertanto sarebbe auspicabile un coinvolgimento delle equipé oncologiche nelle cure terminali e, viceversa, un coinvolgimento delle equipé palliative prima che il paziente sia dichiarato non più suscettibile di terapie attive. Con l’attuale organizzazione questo obiettivo è difficilmente realizzabile, ma la possibilità di interazione precoce deve essere considerato un indicatore di qualità assistenziale; in questa ottica sarebbe auspicabile che ogni centro avesse sempre gli stessi referenti, anche territoriali, per le cure nella fase terminale al fine di poter realizzare modelli di interazione ottimali. Appropriatezza delle terapie palliative • Disponibilità delle risorse per il trattamento delle complicanze - Degenza e/o PS • Competenze e formazione in terapia del dolore e terapia nutrizionale • Adeguate risorse per la gestione delle sindromi ostruttive e compressive • Accesso a terapie invasive del dolore • Adeguate risorse per il trattamento delle fratture patologiche • Regolare interazione con associazioni deputate alla cura del paziente terminale - Concetto di simultaneità delle cure - Accesso all’assistenza domiciliare - Accesso all’hospice Requisiti minimi per la terapia medica • Indicatori di attività - Numero minimo di prime visite: 3-4 al mese - Numero minimo di posti di DH/ambulatorio: 2 - Numero minimo di terapie al giorno: 4 • Indicatori di qualità - Disponibilità della cappa per la preparazione di farmaci - Tempo massimo di attesa per la I visita: 20 giorni - Tempo massimo per il completamento della stadiazione: 6 settimane 130 • - Tempo massimo di attesa per l’inizio della terapia dopo la decisione terapeutica: 2 settimane - Possibilità di confronto interdisciplinare - Possibilità di impianto di CVC Indicatori di multidisciplinarietà - Competenze autonome di terapia del dolore o consulenza almeno 2 volte alla settimana - Competenze autonome di terapia nutrizionale o consulenza almeno 1 volta alla settimana - Disponibilità di consulenza psicologica almeno 2 volte alla settimana Aggiornamento - Partecipazione almeno a 2 Congressi nazionali o regionali all’anno - Almeno 2 abstract a congressi nazionali all’anno - Partecipazione almeno ad uno studio clinico all’anno • • • Requisiti di eccellenza per la terapia medica • Indicatori di attività* - Numero di prime visite ≥8 al mese - Numero di posti di DH/Ambulatorio ≥ 8 - Numero di letti di degenza dedicati ≥ 8 • Indicatori di qualità - Presenza di una unità per la preparazione dei farmaci* - Ambulatorio dedicato per le terapie orali* - Tempo massimo di attesa per la prima visita: 10 giorni* - Tempo massimo per la stadiazione: 3 settimane* - Attesa per l’inizio della terapia dopo la decisione terapeutica: 10 giorni* - Numero di secondi pareri: ≥2 al mese - Presenza di radiologia interventistica* Indicatori di multidisciplinarietà - Team strutturato multidisciplinare* - Presenza di specialisti in terapia del dolore* - Presenza di specialisti in nutrizione clinica* - Presenza di consulenza psicologica* - Autonomia di impianto e gestione dei CVC* - Risorse per la gestione delle emergenze e delle complicanze* - Organizzazione strutturata per le cure palliative* Possibilità di gestione condivisa della malattia terminale Aggiornamento - Partecipazione almeno a 1 Congresso internazionale e 2 nazionali all’anno* - Almeno 6 abstract in congressi internazionali o nazionali all’anno - Almeno 1 pubblicazione su riviste con IF all’anno* - Partecipazione ad almeno 3 studi clinici all’anno* * Requisiti essenziali 9. Follow-up La sorveglianza endoscopica dopo la polipectomia ha un indubbio impatto sulla mortalità cancro-specifica, visto l’aumentato rischio di nuovi polipi o di adenocarcinomi. Per quanto riguarda i pazienti sottoposti a resezione chirurgica solo negli ultimi anni è stato dimostrato il beneficio di adeguato programma di sorveglianza con una riduzione del rischio di morte del 20-33% ed un beneficio assoluto intorno al 10%. Non esistono tuttavia indicazioni certe relativamente al tipo di esami da effettuare e alla durata della sorveglianza stessa, ma è stato evidenziato che la maggior parte delle recidive si verifica nei primi 3 anni dopo l’intervento chirurgico. I recenti progressi nella terapia integrata della malattia metastatica e la possibilità di migliorare i risultati della terapia farmacologica con il trattamento precoce rendono sempre più importante la corretta gestione della sorveglianza. Una pianificazione di media intensità, inoltre, è in genere ben accetta dal paziente. I centri coinvolti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori del colon devono quindi disporre delle risorse idonee per gestire un programma di sorveglianza che sia sufficientemente aderente alle indicazioni condivise o suggerite dalle poche linee-guida disponibili. Per semplificare possiamo distinguere il programma di follow-up in 3 diverse condizioni: a) dopo polipectomia b) dopo resezione di tumori in fase precoce (pT1N0M0) c) dopo resezione di tumori allo stadio II-III. Programma di sorveglianza negli adenomi ed adenocarcinomi del colon • Dopo polipectomia Pagina - Adenoma singolo: pan-colonscopia a 5 anni - Adenomi multipli: pan-colonscopia a 1 e 3 anni; se negative ogni 5 anni successivamente - Polipo maligno: pan-colonscopia a 1 e 3 anni; se negative ogni 5 anni successivamente • Dopo resezione di adenocarcinomi in fase precoce (pT1N0M0) - Visita clinica: dopo 3 mesi, 1 anno, 3 anni - Colonscopia: a 1 e 3 anni e poi ogni 5 anni - CEA: dopo 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, 2 anni, 3 anni - Ecografia epatica: dopo 1 anno • Dopo resezione di adenocarcinomi allo stadio II-III - Visita clinica - Ogni 3-6 mesi nei primi 3 anni - Ogni 6 mesi nel 4° e 5° anno; successivamente a discrezione - CEA: Entro due mesi in caso di CEA pre-operatorio elevato - Ogni 3 mesi nei primi 3 anni per tutti i pazienti - Ogni 6 mesi nel 4° e 5° anno - Colonscopia - Entro 6 mesi nei pazienti senza studio preoperatorio completo - Entro 6-12 mesi in tutti i pazienti - Dopo 3 e 5 anni - TC torace+addome con contrasto - Ogni 6-12 mesi per i primi 3 anni - Ecografia epatica - Ogni 6 mesi nei primi 3 anni (intervallata alla TC) Non vi sono evidenze a favore dell’utilizzazione routinaria della radiografia del torace o di particolari esami ematochimici (al di fuori di altre indicazioni) nei programmi di sorveglianza. 131 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto 10. Bibliografia • • • Autori vari. Linee-Guida dell’Oncologia Italiana. Tecnografica Edizioni, 2009. Autori vari. Basi scientifiche per la definizione di linee-guida in ambito clinico per i Tumori del Colon-Retto e dell’Ano. Alleanza contro il cancro 2009. www.alleanzacontroilcancro.it. Autori vari. Quaderni di Appropriatezza del Ministero della Salute. Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutica in oncologia. Poligrafico dello Stato, Roma 2010. • • • NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology, 2011 Labianca R, Nordlinger B, Beretta GD, et al. Primary colon cancer: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, adjuvant treatment and follow-up. Ann Oncol 2010, 21 (suppl 21): v70-v77. Autori vari. Prevenzione e Diagnosi precoce dei Tumori del Colon Retto. Modello organizzativo e protocollo diagnostico-terapeutico dei programmi di screening nella regione Lazio. Laziosanità - ASP. Roma 2011. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Coordinatore: Giulio Maira C.M. Carapella, C. Colosimo, U. De Paula, A. Fabi, F. Giangaspero, A. Pace, A. Turriziani Con la collaborazione di: M. Antonelli, M. Balducci, G. Colicchio, G. Lanzetta, A. Mangiola, G. Mansueto, G. Minniti, A. Mirri, G. Moscati, I. Penco, M. Salvati, A. Scopa Versione finale, 15 maggio 2011 Pagina 132 Pagina 133 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Definizione anatomico-chirurgica del retto 1. Definizione anatomico-chirurgica del retto 2. Incidenza e Mortalità 2.1. Risk assessment 3. Diagnosi 4. Stadiazione 4.1. Stadiazione TNM 5. Esami diagnostici 5.1. Diagnostica per immagini. 5.2. Esami di Follow-Up post-operatorio 5.3. Esami minimali di stadiazione 6. 7. Terapia delle Neoplasie rettali Non Metastatiche 6.1. Trattamento degli stadi iniziali 6.2. Trattamento della malattia localmente avanzata 6.3. Lesioni non resecabili Trattamento della Malattia metastatica 7.1. Terapia medica (chemioterapia e farmaci biologici) 7.2. Fattori predittivi di risposta 7.3. Trattamento chirurgico della malattia avanzata 7.4. Chemioterapia dopo resezione radicale di metastasi epatiche 7.5. Terapie locoregionali 7.6. Trattamento della malattia metastatica nell’anziano 7.7. Valutazione della risposta 8. Follow-up dei pazienti con neoplasia del retto 9. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza 10. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Bibliografia Pagina 134 Retto E’ l’ultima porzione dell’intestino crasso, la lunghezza è variabile ma oscilla in genere tra i 15 ed i 12 cm. Tradizionalmente il retto viene diviso anatomicamente in tre segmenti (superiore, medio ed inferiore) ed in una parte intraperitoneale ed in una extraperitoneale. I 3 segmenti sono in genere considerati di uguale lunghezza e oscillano tra i 4-5 cm. Questi segmenti sono approssimativamente separati da 3 pliche interne o valvole di Houston (2 a sn sup ed inf, ed una a destra mediana): la plica mediana anche nota come plica di Kouhlraush è la più costante ed in genere situata tra i 9-11 cm del retto corrisponde alla riflessione anteriore peritoneale. Tutto il retto è extraperitoneale nella sua parete posteriore. Il retto superiore è intraperitoneale nelle sue pareti laterali ed anteriore. Il retto medio è prevalentemente extraperitoneale ma può essere parzialmente intraperitoneale nella sua parete anteriore se la riflessione del Douglas è bassa. Il retto inferiore è tutto extraperitoneale. I limiti sia superiore che inferiore sono spesso oggetto di dibattito. Limite superiore Intraoperatoriamente il limite superiore è identificabile nel punto dove si interrompono le taenie e il crasso manifesta una tipica curvatura (giunzione retto sigmoidea). Corrisponde spesso al livello del promontorio sacrale. Non esiste un chiaro riferimento interno che sia visibile endoscopicamente se si esclude la terza plica di Houston. Secondo alcuni la terza plica di Houston non corrisponde al passaggio retto-sigma. Anche radiologicamente non è facile dare un limite superiore preciso. Limite inferiore I chirurghi spesso considerano come limite inferiore l’anorectal ring o orifizio anale interno che è situato al limite superiore del canale anale, divide l’ano dal retto ed ha un preciso significato chirurgico in quanto spesso sede delle anastomosi colo-anali. Gli anatomici considerano spesso come limite inferiore la linea pettinata o dentata che è situata a circa metà del canale anale nel pieno del complesso sfinterico. Gli endoscopisti considerano in genere come limite inferiore la rima ano-cutanea o anal verge che è situata al bordo inferiore od esterno del canale anale poiché misurano da questo punto di riferimento la distanza dal limite distale di un tumore del retto. Poiché il canale anale ha una lunghezza anatomica variabile in media dai 2,5 ai 4 cm si comprende bene come il differente punto di riferimento come limite inferiore del retto può ingenerare molta confusione sulla definizione della sede di una neoplasia. In queste linee guida verranno prese in considerazione solo le lesione neoplastiche che originano dalla mucosa colica (adenocarcinoma), limitando pertanto le raccomandazioni al tratto anatomico di organo rivestito da questa. 2. Incidenza e mortalità Il carcinoma del colon-retto (CCR) è per frequenza la seconda causa di morte per cancro nel mondo (1 milione di nuovi casi), dopo il tumore del polmone nell’uomo e della mammella nella donna. In Italia si registrano 20.457 nuovi casi fra i maschi e 17.276 quelli fra le femmine, in media 77-78 persone ogni 100.000 abitanti. In 9 casi su 10 colpisce dopo i 50 anni. Il tasso d’incidenza per i maschi è 64,2 (il 4° in Europa), per le donne 52,5 (il 9° - tra i più bassi - in Europa) su 100.000 abitanti. I tassi di incidenza e mortalità più elevati si registrano nell’Italia centro-settentrionale, quelli più bassi nel meridione e nelle isole. Negli ultimi 15 anni, in Italia, come in gran parte dell’Europa, si è assistito ad una diminuzione d’incidenza di oltre il 20%. Per quanto riguarda il quadro epidemiologico approssimabile a quello del Lazio ci si può riferire ai tassi standardizzati di incidenza per cancro del colon e del retto, provenienti dalla base dati AIRTUM, che raccoglie i dati reali dei Registri Tumori italiani suddivisi per macroarea geografica. Per il Centro-Italia si registrano i seguenti valori: 47 per 100.000 (cancro del colon, maschi); 31 per 100.000 (cancro del colon, femmine); 21.9 per 100.000 (cancro del retto, maschi); 12.1 per 100.000 (cancro del retto, femmine). Per quanto riguarda la sopravvivenza a 5 anni (relativa a casi incidenti negli anni 19951999) essa si colloca fra il 58 e il 60% per entrambi i tipi di tumore e in ambedue i generi. Infine, per quanto concerne la mortalità per cancro del colon-retto sono disponibili stime recenti ottenute da modelli previsionali, che per il Lazio corrispondono a valori di circa 29 per 100.000 nei maschi e di circa 19 per 100.000 nelle femmine. Anche nel Lazio come nel resto d’Italia la mortalità Pagina è in diminuzione. I Programmi organizzati di screening per il CCR rappresentano un livello essenziale di assistenza e sono rivolti alla popolazione generale a partire dai 50 anni di età. L’età di inizio della sorveglianza attiva può essere minore per soggetti con poliposi ad elevato rischio familiare. La responsabilità dell’attivazione dello screening di popolazione spetta alle Regioni e la diffusione sul territorio nazionale segue un gradiente Nord-Sud, privilegiando le regioni settentrionali, mentre nel centro Italia la situazione è variegata. Allo stato attuale nel Lazio (dati di attività 2009) i programmi di screening sono attivi solo in alcune ASL e la copertura della popolazione target su base territoriale (età 50-74 anni) è ancora incompleta. In media la percentuale dei soggetti invitati al test di primo livello (test del sangue occulto nelle feci) è del 9%, e di questi ultimi solo il 35% aderisce all’invito effettuando il test. La percentuale di positività al test rilevata è mediamente del 5,3%, in linea con il dato nazionale, registrato dall’Osservatorio Nazionale Screening. 2.1 Risk assessment Il tumore del colon-retto è una patologia a genesi multifattoriale ed eziologia complessa. I fattori di rischio sono di tipo alimentare, ambientale e genetico. Numerosi studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie, ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali; viceversa, diete ricche di fibre sembrano svolgere un ruolo protettivo. Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’età (l'incidenza è 10 volte 135 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali come la rettocolite ulcerosa ed il morbo di Crohn, una precedente storia clinica di polipi del colon o di un tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie vengono definiti "sporadici", sebbene anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino. Anche il fumo di sigaretta e l’utilizzo di alcolici sembrano correlare con un aumentato rischio di sviluppare questo tipo di neoplasia, mentre effetto protettivo sembra essere svolto da una corretta attività fisica. Esistono delle sindromi genetiche familiari che sono alla base di un certo numero di carcinomi del colon retto nell’adulto. Le principali sono la sindrome di Lynch o cancro colorettale ereditario non associato a poliposi (hereditary non-polyposis colorectal cancer, HNPCC), la poliposi adenomatosa familiare (familial adenomatous polyposis, FAP) e la sua variante attenuata (AFAP), che si trasmettono in maniera autosomica dominante. La FAP è responsabile dell’1% di tutti i tumori del colon, con una frequenza nella popolazione di 1/10000 (tabella 1 e 2). Altre sindromi ereditarie sono la sindrome di Gardner e quella di Turcot e la poliposi MUTYH-associata. La sindrome di Lynch è responsabile di circa il 3% di tutti i casi di carcinoma del colon-retto; è causata da una mutazione a carico di geni implicati nel mismatch repair (MMR). I soggetti portatori di una mutazione a carico dei geni MMR hanno un rischio di sviluppare un tumore del colon-retto che può arrivare all’80%, oltre ad altri tipi di neoplasie, come il tumore dell’endometrio. 3. Diagnosi La tempestività della diagnosi clinica definitiva di cancro del colon-retto (CCR), sia come capacità di “anticipazione (diagnosi precoce) che di “riduzione dei tempi di accesso”, minimizzando il ritardo dell’intervento terapeutico efficace, fa parte degli aspetti tecnico-organizzativi evidenziati dal PSN 1998-2000 e dal D.L. 229/99 per la patologia neoplastica. La prognosi del cancro CCR migliora in modo drammatico se la neoplasia viene riconosciuta e trattata in uno stadio precoce, mentre se la neoplasia è avanzata qualunque trattamento è statisticamente inefficace in termini di sopravvivenza. I sintomi di allarme per l’identificazione dei casi “sospetti”, che dovrebbero pilotare l’accesso alla visita specialistica proposti sono: • emorragia rettale persistente senza sintomi anali in pazienti età > 65 anni e nessuna evidenza di patologia anale benigna • emorragia rettale e/o cambiamento delle abitudini intestinali per almeno 6 settimane • modifiche recenti nelle abitudini intestinali con feci poco formate e/o au- mento della frequenza della defecazione, persistente per più di 6 settimane • anemia sideropenica con Hb < 10 g/dl senza causa evidente • massa rettale evidenziabile alla esplorazione rettale o massa addominale palpabile. L’obiettivo è che tutti i pazienti che presentano sintomatologia di sospetta natura neoplastica possano accedere alla visita specialistica entro le due settimane ed avere una diagnosi definitiva entro un mese. La conferma istologica è da ricercare in tutti i casi di sospetto della presenza di una neoplasia primitiva o recidiva prima di procedere alle terapie, tranne nelle situazioni di urgenza clinica o di complessità nella esecuzione di tale accertamento. In queste situazioni si deve sempre disporre di un consenso informato da parte del paziente che indichi l’assenza di esame istologico e l’orientamento diagnostico del medico curante. 4. Stadiazione Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto 4.1 Stadiazione TNM (Classificazione TNM 2009) Nota • cTNM è la classificazione clinica, pTNM è la classificazione patologica • il prefisso “y” è usato per quei cancri dopo trattamento neoadiuvante (es, ypTNM) • i pazienti che hanno una risposta patologica completa sono classificati come ypT0N0cM0che può essere simile allo Stadio 0 o allo Stadio I • il prefisso “r” deve essere usato per quei cancri che recidivano dopo un intervallo libero. Al di fuori delle urgenze cliniche, il paziente deve essere stadiato prima di procedere alla terapia. Lo stadio della neoplasia è definito in base agli esami clinico-strumentali appropriati per le differenti presentazioni di malattia. Le classificazioni raccomandata per la stadiazione del carcinoma del retto è quella TNM (Union Internationale Contra le Cancer [UICC]) del 2009 (VIIª Edizione). Questa versione ha introdotto alcuni cambiamenti rispetto la precedente versione. In particolare un nodulo presente nel tessuto adiposo perirettale, anche senza evidenza istologica di residuo linfonodale nel nodulo, deve essere classificato come metastasi linfonodale regionale (pN1c). Alcuni Autori hanno commentato che questo può generare confusione nella stadiazione del coinvolgimento linfonodale raccomadando di utilizzare la versione 5 del TNM Il TNM non tiene in considerazione il margine circonferenziale o “circunferential resection margin (CRM) nel definire lo stadio patologico complessivo della malattia. Esso è un importante parametro prognostico nel cancro del Pagina 136 Linfonodi regionali N2a Metastasi in 4-6 linfonodi regionali N2b Metastasi in 7 o più linfonodi regionali Per quanto riguarda le metastasi a distanza si applica il seguente schema M Metastasi a distanza MX Metastasi a distanza non accertabili T Tumore primitivo M0 Metastasi a distanza assenti TX Tumore primitivo non valutabile M1 Metastasi a distanza presenti T0 Non evidenza di tumore primitivo M1a Metastasi confinate ad un organo (fegato, polmone, ovaio, linfonodo/i non regionale/i) Tis Carcinoma in situ: tumore intraepiteliale o invasione della lamina propria M1b Metastasi in più di un organo o nel peritoneo T1 Invasione della sottomucosa T2 Invasione della muscolare propria T3 Invasione della sottosierosa o dei tessuti perirettali Stadio T N M T4a Infiltrazione del peritoneo viscerale Stadio 0 Tis N0 M0 T4b Invasione di altri organi o strutture Stadio I T1,T2 N0 M0 Stadio IIA T3 N0 M0 IIB T4a N0 M0 IIC T4b N0 M0 T1-T2 N1/N1c M0 T1 N2a T3-T4a N1/N1c La stadiazione viene dunque compiuta seguendo lo schema in tabella (i numeri indicano la percentuale di sopravvivenza a 5 anni): I linfonodi regionali sono quelli rettali superiori medi e inferiori (emorroidari), mesenterici inferiori, iliaci interni, mesorettali (pararettali), sacrali laterali, presacrali, del promontorio sacrale (linfonodi di Gerota). Stadio IIIA N Linfonodi regionali NX Linfonodi regionali non valutabili N0 Assenza di metastasi T2-T3 N2a N1 Metastasi in 1-3 linfonodi regionali T1-T2 N2b N1a Metastasi in 1 linfonodo regionale T4a N2a N1b Metastasi in 2-3 linfonodi regionali T3-T4a N2b N1c Assenza di metastasi nei linfonodi regionali ma presenza di deposito/i tumorale/i nella sottosierosa o nel tessuto perirettale non peritonealizzato T4b N1-N2 Stadio IVA ogni T ogni N M1a IVB ogni T ogni N M1b N2 retto, in quanto il retto è per la maggior parte sprovvisto di sierosa peritoneale. Il CRM viene definito come la distanza tra il punto di maggior penetrazione del tumore ed il margine dei tessuti resecati attorno al retto, corrispondente al mesoretto, e si misura in millimetri. Un CRM viene definito “positivo” per una distanza inferiori ad 1 mm dal margine di resezione. Il CRM positivo è un forte fattore di rischio per recidiva locale e per la sopravvivenza. Il referto dell’esame istologico nei pazienti che hanno ricevuto trattamento neoadiuvante prima della chirurgia deve anche prevedere anche una valutazione del “TRG” ovvero del Tumor Regression Grade secondo Mandard, avente significato prognostico. Tale valutazione classifica il tumore residuo in cinque gradi che vanno da TRG 1 (assenza di cellule neoplastiche) a TRG 5 (tumore non modificato dalla terapia). I gradi intermedi TRG 2, TRG 3 e TRG 4 sono rispettivamente previsti per rare cellule neoplastiche (TRG 2), per fibrosi maggiore della neoplasia residua (TRG 3) e per neoplasia residua maggiore della fibrosi (TRG 4). N IIIB IIIC Metastasi in 4 o più linfonodi regionali M0 M0 5. Esami diagnostici L’esplorazione rettale digitale è irrinunciabile e fornisce utili informazioni ai fini del trattamento chirurgico (distanza in cm. libera da tumore dall’orifizio anale interno, rapporti con la prostata, fissità sul piano sacrale, ecc.), prima e dopo eventuale radiochemioterapia neoadiuvante e durante il follow-up. La colonscopia ha lo scopo di: • diagnosticare e tipizzare, attraverso l’istologia, il cancro al retto • escludere neoplasie sincrone • bonificare lesioni asportabili endoscopicamente. Pagina La sensibilità degli esami endoscopici per le neoplasie presenti nei segmenti colici esaminati è considerata molto elevata, più del 90% per le lesioni ≥ 10 mm. Gli indicatori più condivisi sono: la completezza del referto, l’uso della sedazione, la registrazione delle complicanze, la soddisfazione del paziente, la percentuale di esami impossibili per inefficace preparazione intestinale, la percentuale di raggiungimento del fondo cecale. Sebbene alcuni centri continuino ad eseguire un dosaggio preliminare dei 137 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici marcatori virali (HBV, HCV ed HIV), le attuali tecniche di disinfezione degli strumenti, se correttamente eseguite, consentono un’assoluta tranquillità. Sedazione per colonscopia E’ fortemente raccomandata la sedazione /analgesia in corso di colonscopia, che può essere un esame doloroso e stressante per il paziente. La sedazione/analgesia, se ben condotta, garantisce inoltre una più facile ed accurata esecuzione della procedura. Al fine di ridurre l’incidenza di eventi avversi è necessaria una attenta ed accurata valutazione complessiva del paziente stesso, mediante la raccolta dell’anamnesi e l’individuazione di condizioni di rischio. E’ altresì mandatorio un continuo monitoraggio del paziente durante la sedazione/analgesia, verificando con periodicità ravvicinata il livello di coscienza, controllando ventilazione ed ossigenazione (monitoraggio pulsossimetrico senza esclusione degli allarmi acustici) e monitorando i parametri emodinamici. Relativamente alla “sedazione cosciente” è raccomandata la somministrazione e.v di midazolam (2-4 mg) ed eventualmente di petidina alla dose di 25-75 mg o di farmaci equivalenti. Nel caso di “sedazione profonda “ con propofol è raccomandata la presenza dell’anestesista. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto 5.1 Diagnostica per immagini Valutazione della risposta alla terapia (RT / RT + CHT) 5.1 Diagnostica per immagini Indicazione Metodica Commento Diagnosi Colonscopia Metodica di scelta. Consente identificazione e caratterizzazione bioptica. Colonscopia virtuale (in caso di indisponibilità: Da effettuarsi in caso di colonscopia incompleta o non effettuabile. clisma a d.c.) Stadiazione T Ecografia con sonda trans-rettale o Eco-endoscopia RM TCMS Stadiazione N/M E’ la metodica più accurata per la stadiazione dei tumori superficiali (T1/T2). Scarsa accuratezza per la stadiazione dei tumori invasivi (T3/T4) e per la valutazione del margine di resezione circonferenziale. Non eseguibile nel caso di tumori stenosanti il lume. Difficoltosa valutazione dei tumori del retto alto. Il gold standard ad oggi è lo studio utilizzando bobine “phased-array”. E’ la metodica più accurata nel caso di tumore con infiltrazione extra-parietale per la valutazione del margine di resezione circonferenziale. Può stratificare il rischio dei pazienti a seconda della profondità di infiltrazione del tessuto adiposo mesorettale. Può essere utilizzata per la stadiazione locale solo nel caso di tumori del retto medio-alto. Risoluzione di contrasto insufficiente per i tumori del retto medio-basso. Ecografia con sonda trans-rettale Eco-endoscopia Ecografia addominale Limitata per la valutazione dei linfonodi perirettali. Possibilità di bioptizzare le lesioni linfonodali sospette (Esame di II livello). Non si raccomanda come esame di staging. TCMS Ha una sensibilità elevata per linfonodi delle dimensione maggiore di 8 mm. Molto meno accurata per linfonodi di dimensioni minori. Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi disponibili presentano limitazioni essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali. La TCMS consente una rapida e accurata valutazione di metastasi a distanza epatiche e polmonari. RM Ha una sensibilità elevata per linfonodi delle dimensione maggiore di 8 mm. Molto meno accurata per linfonodi di dimensioni minori. Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi disponibili presentano limitazioni essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali. Consente la valutazione di eventuali metastasi epatiche. Da utilizzarsi in caso di lesione epatica dubbia alla TCMS. SCINTIGRAFIA OSSEA Metodica che evidenzia precocemente le lesioni scheletriche. Non indicata routinariamente nello staging. PET-TC Metodica che consente la valutazione delle metastasi a distanza (parametro M) e l’interessamento linfonodale di malattia (parametro N). La metodica trova una limitazione nelle forme istologiche di tipo mucinoso. Non indicata routinariamente nello staging. Pagina 138 Ruolo dell’imaging controverso Rettoscopia Viene utilizzata per valutare la riduzione dell’estensione endoluminale della lesione Ecografia endocavitaria / Ecoendoscopia L’ecografia, non avendo un valore diagnostico nella stadiazione delle lesioni localmente avanzate (T3 e oltre), suscettibili di trattamento neo-adiuvante, non è raccomandata per la valutazione della risposta. Eco-endo: utile per bioptizzare le lesioni linfonodali sospette (esame di II livello). TCMS Valutazione variazione volumetrica della neoplasia. RM Esame di I scelta. La RM è superiore alla TCMS nell’individuare e localizzare il residuo macroscopico, ma senza differenziare fibrosi con cancro residuo dalla fibrosi senza cancro residuo. PET-TC Utilità nella routine ancora da validare negli studi clinici. 5.2 Esami di Follow-Up post-operatorio Rettoscopia Timing: si raccomanda ogni 6 mesi nei primi 2 anni, poi con frequenza annuale fino a 5 anni. Colonscopia Timing: al 1° anno se non eseguita precedentemente, altrimenti al 3° anno; se negativa ogni 3 anni. TCMS Esame di I scelta per il F/U post-operatorio. Studio Torace-addome-pelvi; Timing: una volta all’anno per almeno 5 anni. Rx Torace Non raccomandato. Ecografia Non raccomandata. Utile per la sola ricerca di metastasi epatiche, in Pz a basso rischio e adeguatamente valutabili. RM Fegato: in caso di lesione epatica dubbia alla ecografia e/o TCMS. Particolarmente utile in caso di fegato marcatamente steatosico, dove la TCMS ha un valore diagnostico limitato. Pelvi: utile in caso di dubbio alla TC pelvi. PET-TC Indicata nel caso di un rialzo dei marcatori in presenza di indagini strumentali negative o dubbie e nella diagnosi differenziale fra recidiva locale e fibrosi. 5.3 Esami minimali di stadiazione La stadiazione deve sempre comprendere un esame clinico completo, inclusa l’esplorazione rettale, una colonscopia ed una TC multistrato estesa al torace all’addome ed alla pelvi con mdc. Nei casi in cui vi sia una stenosi del retto non superabile con lo strumento può essere sufficiente la sola rettoscopia. Vi sono poi esami strumentali che hanno una loro indicazione preferenziale a seconda dell’estensione iniziale della malattia. • Stadi iniziali: eco-transrettale o eco-endoscopia • Malattia localmente avanzata: RM pelvica • PET/TC e Scintigrafia Ossea solo in presenza di sintomi o rilevanti dubbi diagnostici. 6. Terapia delle neoplasie rettali non metastatiche Dal punto di vista diagnostico e terapeutico, il carcinoma del retto medio e basso, cioè extraperitoneale (normalmente fino a 11-12 cm dal margine anale) presenta delle peculiarità che lo distinguono nettamente dal carcinoma del colon, mentre l’approccio al carcinoma del retto alto non si differenzia sostanzialmente da quello del sigma. La chirurgia del carcinoma del retto medio-basso presenta delle difficoltà tecniche al punto che in alcuni paesi europei e nord-americani essa viene demandata a centri specialistici. I cardini di questa chirurgia, al momento attuale, riguardano: l’escissione totale del mesoretto, nota come total Pagina mesorectal excision (TME), nei limiti del possibile la conservazione dell’innervazione simpatica e parasimpatica, detta anche nerve-sparing technique, il margine di sezione distale alla neoplasia libero da neoplasia. I principali interventi chirurgici per il carcinoma del retto medio-basso sono: la resezione anteriore (bassa) del retto (con o senza stomia derivativa) e ricostruzione con anastomosi colo-rettale bassa o colo-anale, l’amputazione addomino-perineale (intervento di Miles), e la escissione locale. La procedura laparoscopica deve ancora essere validata dal punto di vista oncologico, ma fattibilità, bassa morbilità e qualità di vita postoperatoria sono 139 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici ampiamente dimostrate e pongono questa opzione in forte competizione con la tecnica tradizionale. La procedura robotica è invece ancora alla fase di studi di fattibilità. Una stomia cautelativa è caldeggiata nei pazienti trattati dopo radiochemioterapia neoadiuvante. La valutazione istologica del pezzo operatorio deve fornire dei criteri diagnostici minimi (da riportare sempre nel referto): istotipo, grado di differenziazione, livello di infiltrazione della parete e eventuale infiltrazione della sierosa, e del grasso periviscerale, la distanza dei margini di resezione prossimale, distale, numero di linfonodi esaminati e numero di linfonodi metastatici, presenza/assenza di invasione vascolare e/o linfatica. Nei tumori del retto in particolare deve essere indicata anche l’integrità della fascia mesorettale e la distanza del margine di resezione radiale dalla neoplasia espressa in mm. Nei pazienti trattati con terapia neo-adiuvante dovrebbe essere riportato il grado di regressione tumorale (TRG). Nel caso dei tumori del retto deve essere sempre eseguita una stadiazione integrata prima di qualsiasi procedura terapeutica, escluse ovviamente le situazioni di emergenza per occlusioni e sanguinamenti. La tipologia e la sequenza delle terapie adiuvanti alla chirurgia (radioterapia e chemioterapia) variano secondo lo stadio della malattia, la posizione del tumore e le condizioni cliniche del paziente. 6.1 Trattamento degli stadi iniziali Si definisce stadio iniziale un paziente affetto da una lesione del retto stadio I. Attualmente, possiamo annoverare tre opzioni chirurgiche curative maggiori: escissione locale, chirurgia addominale con preservazione sfinteriale (“sphincter-saving“) e la resezione addominoperineale (“abdominoperineal resection” - APR). I candidati ideali per la escissione includono quei pazienti affetti da piccole lesioni T1 (invasione soltanto della submucosa) e lesioni T2 (invasione della muscularis propria). Probabilmente i pazienti con lesioni T2 non dovrebbero essere sottoposti alla sola procedura chirurgica: la recidiva locale è infatti elevata. Ci sono tre approcci differenti per l’escissione locale del cancro rettale: transanale, transcoccigeale, e trans-sfinterica. Quest’ultimo è stato associato a incontinenza fecale secondaria a disfunzione sfinteriale, e ciò ha fatto ridurre di molto il numero di esecuzioni di tali procedure. Recentemente, una nuova tecnica, la microchirurgia endoscopica transanale (“Transanal Endoscopic Microsurgery” - TEM), rappresenta una opzione mini-invasiva per l’escissione locale capace di aggredire lesioni rettali prossimali che non sono accessibili per via transanale, transsfincterica, o transcoccigeale. In contrasto ai risultati favorevoli, questa tecnica relativamente nuova non ha ottenuto grande popolarità a causa del costoso equipaggiamento, della scarsa familiarità con il setup, e la complessità del sistema operativo della TEM stessa. Il sistema radiante endocavitario per contatto (“Endocavitary Contact Radiation therapy” - ECR) è un trattamento mini-invasivo i cui risultati sono comparabili con i rilievi di radicalità oncologica di altre terapie locali per le neoplasie rettali T1 e T2 stadiate con ERUS. A causa della possibilità di non ricorrere alla anestesia generale, l’ECR è un’attraente opzione per i pazienti fragili. I dati clinici che comparano la chirurgia radicale agli approcci locali per early CRC sono eterogenei a causa della selezione dei pazienti, dei disegni degli studi e riguardo l’uso di terapia adiuvante e/o neoadiuvante. Pagina I tassi di recidiva sono elevati nei pazienti sottoposti a escissione locale o a ECR, che dovrebbe essere riservata a neoplasie a basso rischio ed in quei pazienti che accettino una probabilità aumentata di recidiva neoplastica e accettino di sottoporsi ad un periodo prolungato postoperatorio di sorveglianza oncologica; in questi casi un ruolo importante è giocato dalla chirurgia di “salvataggio”. Per i pazienti con tumore rettale T1, la selezione per l’escissione locale è consigliata per lesioni piccole, di basso grado, distali e senza evidenza di invasione linfovascolare. Dunque, la decisione riguardo l’escissione locale versus la resezione standard in questa popolazione di pazienti richiede un’analisi individualizzata dei rischi e dei benefici. Per i pazienti con neoplasie T2, la selezione per l’escissione locale è estremamente ristretta dai fattori e dagli indicatori di rischio correlati ai pazienti ed al tumore. Nei casi di tumore del retto agli stadi iniziali (early cancer) T1 e T2 N0 M0, il trattamento radioterapico adiuvante o neoadiuvante ad una chirurgia locale (local excision), +/- eventualmente associato a trattamento chemioterapico concomitante, dovrebbe essere indicato solo per i casi che non possono essere sottoposti per controindicazioni cliniche ad una chirurgia radicale o che rifiutino espressamente quest’ultima. I trattamenti di radioterapia a fasci esterni adiuvanti ad una local excision, possono avere un ruolo: • Nei pT1 con fattori patologici avversi (margini chirurgici positivi, tumore poco differenziato, invasione linfo-vascolare). • Nei pT2 con assenza di fattori patologici avversi (margini chirurgici positivi, tumore poco differenziato, invasione linfo-vascolare). In questo caso comunque si deve accettare un rischio di fallimento loco regionale che si attesta tra il 18-25%. I trattamenti di radioterapia neoadiuvanti seguiti da una local excision possono avere un ruolo: • Nei cT2 Nei casi in cui non è possibile eseguire trattamenti di radio chemioterapia a frazionamenti convenzionali, può essere somministrato un trattamento ipofrazionato (short course) di sola radioterapia. Sintesi Principi di tecnica chirurgica • Escissione transanale: criteri < 30% della circonferenza enterica, diametro massimo (< 3 cm), margini liberi (> 0.3 cm), mobile (non fisso ai piani profondi), entro gli 8 cm dalla rima anale, T1, T2, assenza di invasione linfovascolare o perineurale, ben differenziato, adeguata identificazione rettale. • Resezione transaddominale: resezione addominoperineale o resezione anteriore bassa o anastomosis coloanale usando l’escissione mesorettale totale, affinchè si riduca il tasso di margini radiali positivi ed si esegua una completa mobilizzazione rettale. Cancro Distale del Retto: T1 • Escissione locale • Resezione radicale, se fattori istopatologici sfavorevoli • La radio(chemio) terapia postoperatoria non è generalmente indicata. Cancro Distale del Retto: T2 • Resezione radicale senza terapia adiuvante (scelta raccomandata) • Escissione locale con terapia radio(chemio)terapia preoperatoria o postoperatoria (in base a presentazioni cliniche particolari e/o rifiuto del paziente alla chirurgia maggiore). Cancro Medio del Retto: T1 140 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Figura 1. Trattamento degli stadi iniziali Stadio clinico cT1, N0 Trattamento primario Escissione transanale se possibile Trattamento adiuvante (6 MO trattamento perioeratorio consigliato) T1, NX; Margini negativi T1, NX con caratteristiche ad alto rischio o T2, NX Attesa Resezione Chirurgica addominale pT1-2, N0, M0 pT3, N0, M0 o pT1-3, N1-3 O 5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorina o 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina Nei pazienti con pN+ si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino cT1-2, N0 Resezione chirurgica addominale pT1-2, N0, M0 pT3, N0, M0 o pT1-3, N1-3 SC Attesa 5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorina o 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina Nei pazienti con pN+si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino • Escissione locale (es.: TEM) • Resezione radicale, se fattori istopatologici sfavorevoli • La radio(chemio) terapia postoperatoria non è generalmente indicata. Cancro Medio del Retto: T2 • Resezione radicale senza terapia adiuvante (scelta raccomandata) • Escissione locale con terapia radio(chemio)terapia preoperatoria o postoperatoria (in base a presentazioni cliniche particolari e/o rifiuto del paziente alla chirurgia maggiore). Cancro Prossimale del Retto: T1 e T2 • Resezione radicale, usualmente una resezione anteriore bassa. 6.2 Trattamento della malattia localmente avanzata. Comprende il trattamento di neoplasie che alla stadiazione clinica hanno una estensione extraparietale o che coinvolgono i linfonodi regionali, senza infiltrare organi pelvici al punto tale da impedire una resezione chirurgica radicale (T3 N0, T4 resecabile ogni N, ogni T N+) in assenza di metastasi a distanza (M0). Nei tumori a sviluppo extraperitoneale (retto medio-inferiore) è indicata la radioterapia preoperatoria. La radioterapia pre operatoria è dunque raccomandata nei pazienti con carcinoma del retto extraperitoneale localmente avanzato. Sono utilizzate due modalità di trattamento radioterapico preoperatorio: • una prevede la combinazione di radioterapia per circa 5-6 settimane con dosi convenzionali (1.8-2 Gy) combinata con il 5FU in infusione continua • l’altra prevede la sola radioterapia per 5 giorni precedenti la chirurgia con dosi singole elevate (5Gy). Pagina Dall’analisi dei singoli studi randomizzati, non vi è evidenza di differenza della riduzione dell’incidenza di recidive locali tra un regime ipofrazionato seguito da chirurgia immediata ed un regime radiochemioterapico seguito da chirurgia posticipata. Una recente pooled analisi dei dati degli studi randomizzati ha mostrato un beneficio in sopravvivenza per la radiochemioterapia. La radiochemioterapia pre-operatoria è in grado di determinare down-staging della neoplasia rettale con la completa negativizzazione del pezzo operatorio in percentuali variabili dal 10 al 25%, e facilita l’esecuzione degli interventi di salvataggio degli sfinteri (con conseguente riduzione degli interventi di resezione addomino-perineale, soprattutto nei pazienti con lesioni del retto basso non candidabili a escissione locale). Nei casi con coinvolgimento della fascia mesorettale (CRM+) o cT4 un sovradosaggio sul T ha evidenziato percentuali elevate (> 80%) di resecabiltà R0 in studi di fase II di radiochemioterapia preoperatoria. Un ruolo può avere l’impiego della capecitabina in sostituzione dell’infusione di 5FU in pazienti con controindicazioni al posizionamento di CVC. I trattamenti polichemioterapici associati alla radioterapia devono, allo stato attuale, essere limitati a protocolli di ricerca, in assenza di studi randomizzati che ne dimostrino la superiorità rispetto all’impiego del solo 5FU/folato. Si consiglia la valutazione della risposta della neoplasia dopo il trattamento preoperatorio radiochemioterapico al fine di pianificare in maniera appropriate il successivo intervento chirurgico. Gli esami di imaging dovranno essere gli stessi condotti per la stadiazione iniziale di T e N. Nei casi di risposta clinica completa è possibile avviare i pazienti a studi di conservazione dell’organo, che prevedono l’escissione locale della cicatrice 141 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici residua o la sola osservazione. Tra il termine del trattamento chemio-radiante e la chirurgia devono intercorrere non meno di 4 settimane e non più di 8-10 settimane. Nei pazienti sottoposti a trattamento radiochemioterapico pre-operatorio può essere valutato l’impiego di un trattamento adiuvante dopo l’intervento di resezione, anche se non ci sono sicure evidenze di un benefico della chemioterapia basata su 5FU sia la base di singoli studi randomizzati; la scelta spetta al clinico e alla paziente (l’uso di modelli matematici sembra quantificare meglio il rischio di ripresa di malattia). Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici. I pazienti in stadio II, III che per sottostadiazione iniziale non avessero effettuato trattamento pre-operatorio sono candidati a radiochemioterapia adiuvante (irradiazione con 45-50 Gy associata a schemi di chemioterapia basati sul 5FU). Sintesi Stadio II-III (T3-4[resecabile] N0-2, T1-2N1-2, M0) Cancro del Retto Distale e Medio cT3, CRM–, N0: • la radiochemioterapia (45-50 Gy + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10 settimane da chirurgia • la radioterapia preoperatoria (5Gy x 5gg) seguita da chirurgia immediata • in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapico la conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può essere praticata solo all’interno di studi clinici • la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici. Cancro del Retto Distale e Medio cT3, CRM-, N+: • la radiochemioterapia (50 Gy + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10 settimane da chirurgia • in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici la conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può essere praticata all’interno di studi clinici • la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici. Cancro del Retto Distale e Medio cT3 CRM+ o cT4 resecabile: • la radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con possibile sovradosaggio fino a 55 Gy di dose totale sul T, + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10 settimane da chirurgia • in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici la conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può essere praticata all’interno di studi clinici • la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici. Cancro del Retto Distale e Medio pT3-4 o pN+: • questa situazione si può verificare solo per sottostadiazione diagnostica, perché altrimenti il trattamento radio(chemio)terapico deve precedere la chirurgia • radiochemioterapia secondo la successione: chemioterapia 2 mesi (5FU/Folato), radio chemioterapia /45-50 Gy + infusione di 5FU o capecitabina), 2 mesi (5FU/Folato) • particolare attenzione va posta alla valutazione della presenza di anse intestinali nello scavo pelvico postoperatorio, condizione che controindicherebbe il trattamento radioterapico. Cancro del Retto Prossimale: • Il trattamento preoperatorio radio(chemio)terapico va eseguito nelle modalità precedentemente indicate quando il polo inferiore della lesione arriva al terzo medio o la lesione sia CRM+ posteriormente o cT4(per infiltrazione di organi pelvici ma non per infiltrazione del tenue, nel qual caso va eseguita immediatamente la chirurgia) 6.3 Lesioni non resecabili Comprendono neoplasie che alla stadiazione clinica infiltrano organi pelvici non consentendo una resezione chirurgica radicale (T4 [non resecabile], M0). Il trattamento radiochemioterapico è raccomandato, seguito da chirurgia allargata all’organo pelvico infiltrato alla diagnosi, da eseguire preferibilmente anche quando si è di fronte ad una riduzione della neoplasia rispetto alla sua estensione precedente il trattamento radiochemioterapico. Sintesi Stadio III (T4[ non resecabile], M0) • la radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con sovradosaggio fino a 55 Gy di dose totale sul T, + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10 settimane da chirurgia • in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici l’organo infiltrato prima del trattamento neoadiuvante va comunque rimosso • la chemioterapia adiuvante deve essere somministrata Trattamento primario T3,N0 5FUic/RT o capecitabina/RT o 5x5 T qualsiasi, N1-2 5FUic/RT o capecitabina/RT T4 e/o non resecabile 5FUic/RT o capecitabina/RT Trattamento adiuvante (6 mesi trattamento perioperatorio consigliato) De Gramont/capecitabina o FOLFOX/XELOX Resezione Chirurgica addominale Resezione, se possibile Pagina 7. Trattamento della malattia metastatica Circa il 20% dei pazienti con carcinoma del retto presenta malattia metastatica alla diagnosi ed il 35% dei pazienti trattati con intento curativo svilupperà delle metastasi. La terapia dei malati con carcinoma del retto in fase avanzata deve essere concepita come una strategia globale e non più come semplici linee di trattamento (continuum care). In questa logica va collocata la chirurgia, quando possibile, e periodi di momentanea interruzione della terapia medica o di mantenimento con farmaci biologici. Questa strategia deve essere governata dai risultati scientifici, dall’esperienza e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere nelle varie fasi della malattia. Gli obiettivi del trattamento nei pazienti con malattia metastatica possono essere: • la cura (possibile solo in un numero limitato di casi) • il prolungamento della sopravvivenza • la palliazione dei sintomi • il miglioramento della qualità della vita • il ritardo della progressione della malattia • la riduzione delle dimensioni della neoplasia. In considerazione delle varie terapie attualmente disponibili, la strategia clinica nei pazienti con neoplasia avanzata non resecabile deve tenere conto di quale sia il principale obiettivo del trattamento: potenzialmente curativo o palliativo. E quindi è possibile identificare 3 scenari clinici con 3 diversi approcci: 1) pazienti con malattia disseminata limitata ma non resecabile (situazione potenzialmente curabile): uso di terapie ad alta percentuale di risposta per “convertire”la malattia in resecabile (concetto di “conversion therapy”) 2) pazienti sintomatici con qualità di vita e prospettive di sopravvivenza compromesse dalla malattia (situazione palliativa): uso di terapie che consentano un rapida riduzione della massa tumorale 3) pazienti asintomatici (situazione palliativa): uso di una strategia che preveda un trattamento sequenziale con i vari farmaci a disposizione con attenzione alla tossicità (concetto di “continuum of care”). 7.1 Terapia medica (chemioterapia e farmaci biologici) Figura 2. Terapia della malattia localmente avanzata e delle lesioni non resecabili Stadio clinico Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Qualsiasi pT 142 De Gramont/capecitabina o FOLFOX/XELOX La terapia medica, mediante l’utilizzo della chemioterapia e dei farmaci biologici, risulta efficace nel prolungare la sopravvivenza (OS), il tempo libero da progressione (PFS) e la qualità di vità (QoL) dei pazienti con tumore avanzato o metastatico. Attualmente la sopravvivenza globale oscilla intorno ai 25 mesi. La disponibilità di diversi farmaci efficaci e la dimostrazione che la sopravvivenza è correlata all’impiego di tutti i chemioterapici attivi nel corso della malattia rende giustificato l’utilizzo della chemioterapia anche in linee successive alla prima nei pazienti in buone condizioni generali. La somministrazione del trattamento alla diagnosi presenta dei vantaggi rispetto alla somministrazione al momento della comparsa dei sintomi sia in termini di sopravvivenza che di qualità della vita (Livello di evidenza I). I farmaci che hanno dimostrato utilità nel trattamento della malattia avanzata sono le fluoropirimidine sia orali che endovenose, l’irinotecan, l’oxaliplatino, gli anticorpi monoclonali anti-VEGF (bevacizumab) e anti-EGFR (cetuximab e panitumumab). Le associazioni di 5FU (preferibilmente somministrato per via infusionale) e Pagina acido folinico con oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecan (FOLFIRI) sono da impiegare in tutti i pazienti in grado di essere trattati con una polichemioterapia. Non esiste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazione rispetto all’altra, mentre differente è il profilo di tollerabilità. Nei pazienti non suscettibili di una polichemioterapia o nell’ottica di una strategia sequenziale il farmaco di scelta è il 5FU preferibilmente somministrato in infusione continua ed associato ad acido folinico. La capecitabina può sostituire la monoterapia con 5FU + acido folinico producendo risultati sovrapponibili ma con diversi aspetti di tossicità (hand- foot syndrome, diarrea, mucosite). Allo stato attuale l’uso della capecitabina in combinazione con oxaliplatino può sostituire i regimi infusionali. La sua associazione con irinotecan deve essere impiegata, con attenzione agli effetti collaterali gastrointestinali, solo nei pazienti in cui esistano controindicazioni all’impiego di regimi infusionali con 5FU e all’impianto di un catetere venoso centrale. Il regime a tre farmaci FOLFOXIRI (5-FU/acido folinico infusionale, oxaliplatino, irinotecan) è risultato significativamente superiore in termini di attività, di prolungamento del tempo a progressione e della OS rispetto al regime a due farmaci FOLFIRI ottenendo un’elevata percentuale di resezioni epatiche R0 in pazienti inizialmente non suscettibili di chirurgia. Bevacizumab (anticorpo monoclonale anti-Vascular Endothelial Growth Factor) può essere considerato in associazione alla chemioterapia con Fluorouracile ± CPT-11 nei pazienti non pre-trattati. Tale trattamento è superiore in termini di sopravvivenza rispetto alla sola combinazione tra 5FU e Irinotecan e può essere considerato di prima scelta in pazienti in buone condizioni generali senza controindicazioni, K-ras mutati. Bevacizumab è efficace in prima linea anche in associazione a regimi contenenti oxaliplatino anche se il beneficio è limitato. L’attività della combinazione di FOLFOX e bevacizumab in seconda linea è stata documentata nello studio E3200, inoltre due studi di fase IV, lo studio BRITE e lo studio BEAT, hanno confermato l’attività del bevacizumab anche in linee successive alla prima. ABevacizumab può essere impiegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato in prima linea. L’associazione di capecitabina e bevacizumab può rappresentare la prima linea in quei pazienti con malattia non resecabile paucisintomatica, nell’ottica di una strategia sequenziale. Un mantenimento con solo bevacizumab può essere considerato in quei pazienti che presentano una risposta al trattamento chemio-immunoterapico dopo il completamento della chemioterapia. Bevacizumab è controindicato in pazienti con ipertensione non controllata, diatesi emorragica; il suo utilizzo va attentamente valutato nei pazienti con precedenti eventi atero-embolici. Cetuximab (anticorpo monoclonale anti-Epidermal Growth Factor - Receptor) può essere impiegato in pazienti EGFR + e K-ras non mutato (WT wild type), indipendentemente dalla linea di trattamento, sia in associazione a regimi con irinotecan ± fluoropirimidine, sia in monoterapia nei pazienti pretrattati con intolleranza ad irinotecan. Meno consistenti sono i dati relativi all’associazione del cetuximab con l’oxaliplatino, mentre dati recenti non sembrano suggerire l’utilizzazione del cetuximab in associazione alle sole fluoropirimidine. L’associazione FOLFIRI + cetuximab per l’elevata attività in termini di risposte va consigliata nei pazienti con malattia potenzialmente resecabile Kras WT. Panitumumab (anticorpo monoclonale anti-Epidermal Growth Factor - Re- 143 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici ceptor) può essere al momento impiegato in monoterapia in pazienti EGFR+ e K-ras WT sottoposti a precedenti trattamenti chemioterapici comprensivi di irinotecan e oxaliplatino che non abbiano precedentemente impiegato cetuximab, o in pazienti che hanno sospeso cetuximab, in assenza di progressione, per reazioni avverse. Allo stato attuale non devono essere utilizzate combinazioni di più farmaci biologici con o senza CT. In caso di malattia a lenta aggressività può essere considerato l’impiego di una strategia sequenziale e la possibilità di prevedere delle pause nel trattamento, allo scopo di ridurre la tossicità e migliorare la QoL. In caso di malattia aggressiva o nell’intento di convertire una malattia inizialmente inoperabile può essere considerata una combinazione comprendente la doppietta con il biologico o la tripletta (FOLFOXIRI). I regimi e le sequenze ottimali di trattamento sono ancora in ampia misura da definire: per tale motivo tutti i pazienti eleggibili dovrebbero essere preferibilmente inseriti in trial clinici. 7.2 Fattori predittivi di risposta La disponibilità di farmaci biologici ad attività target ed i miglioramenti della biologia molecolare consentono di ipotizzare il riconoscimento dei pazienti potenzialmente responsivi al trattamento. I dati attualmente disponibili non evidenziano fattori predittivi di risposta per i chemioterapici né per gli anti-VEGF. Per quanto riguarda gli anti-EGFR sono invece disponibili numerosi dati, tutti retrospettivi, relativi all’inutilità della determinazione immunoistochimica del recettore EGFR. Esistono poi altri dati, per lo più retrospettivi, relativi alle mutazioni di K-Ras. La presenza di una mutazione di K-Ras, solitamente nei codoni 12 e 13, condiziona la assenza di risposta ai farmaci anti-EGFR, Cetuximab e Panitumumab, ed alcuni studi evidenziano addirittura un possibile effetto detrimentale dell’impiego di tali farmaci nei pazienti mutati. In contrapposizione a ciò, la selezione dei pazienti basata sull’assenza di mutazione di K-Ras (K-Ras Wild Type WT) determina un miglioramento di tutti i parametri di efficacia (RR, PFS e OS) rispetto al trattamento di pazienti non selezionati e comporta benefici anche in termini economici, per il minor numero di pazienti sottoposti al trattamento. Inoltre la selezione dei pazienti consente di evitare tossicità inutili legate all’impiego in un gruppo di pazienti sicuramente non responsivi. Altri fattori predittivi sono in studio (B-raf, p-ten, PIK3CA) ma il loro ruolo deve ancora essere definito. Lo stato mutazionale di K-Ras deve essere determinato ogni qualvolta la strategia terapeutica preveda il possibile impiego di farmaci anti-EGFR. L’impiego di anti-EGFR è da evitare in tutti i pazienti K- Ras mutati. L’uso di altri fattori predittivi è al momento da riservarsi ai soli studi clinici. 7.3 Trattamento chirurgico della malattia avanzata L’opzione chirurgica è proponibile anche nella malattia avanzata. Vanno valutate per la chirurgia le metastasi a livello epatico, polmonare, ovarico e la sede primitiva di malattia (qualora non precedentemente rimossa). Anche la recidiva pelvica può essere considerata una indicazione chirurgica, se unica sede di malattia e potenzialmente resecabile R0 dopo chemioradioterapia pre-operatoria. I pazienti giudicati operabili vanno avviati direttamente alla chirurgia; uno studio dell’EORTC ha valutato la possibilità di un trattamento chemioterapico pre e post-operatorio nei pazienti candidabili a chirurgia epatica con intento radicale apprezzando un incremento della PFS a 3 anni, non sono Pagina ancora tuttavia disponibili i dati sulla sopravvivenza e al momento la chirurgia sembra la soluzione più accreditata in questo subset di pazienti. In considerazione dell’efficacia delle moderne combinazioni chemioterapiche l’opzione chirurgica deve essere valutata in tutti i pazienti in cui la chemioterapia abbia ottenuto una riduzione di malattia che ne consenta l’exeresi. Il trattamento medico va sospeso non appena la malattia risulti resecabile. La prosecuzione del trattamento dopo tale momento espone il paziente a rischi di tossicità epatica ed aumenta il rischio operatorio. Il raggiungimento di una remissione completa strumentale non garantisce la remissione completa patologica e può creare difficoltà al chirurgo nell’individuazione della sede di resezione. Il numero delle metastasi epatiche non è più riconosciuto come fattore prognostico sfavorevole se l’intervento chirurgico è eseguito da chirurghi esperti. Il margine di resezione negativo è fattore prognostico favorevole anche se millimetrico. L’approccio laparoscopico è fattibile anche per resezioni epatiche maggiori, ma solo in centri con adeguata esperienza. La resezione epatica R0 rappresenta attualmente l’unico mezzo terapeutico curativo. La resezione epatica R1 può rappresentare una strategia accettabile se in grado di produrre un significativo beneficio al paziente. Qualora la combinazione impiegata in terapia neo-adiuvante comprenda bevacizumab tale farmaco deve essere sospeso 8 settimane prima della resezione. Allo stato dell’arte i pazienti con malattia sicuramente resecabile devono essere inviati al chirurgo od a trattamento neoadiuvante in base ad una valutazione multidisciplinare che consideri elementi quali l’intervallo libero dal precedente trattamento primario. La resezione chirurgica di metastasi del polmone o dell’ovaio può essere curativa in casi selezionati. 7.4 Chemioterapia dopo resezione radicale di metastasi epatiche La possibilità di integrare la resezione radicale di metastasi epatiche con chemioterapia “adiuvante” con 5FU è stata indagata da diversi studi senza giungere a conclusioni definitive. I risultati più interessanti sono emersi da due studi randomizzati che hanno dimostrato un vantaggio dalla combinazione di chemioterapia intra-arteriosa associata a una chemioterapia sistemica. Un singolo studio sembra evidenziare il vantaggio in DFS di un trattamento pre- e post-operatorio con regime FOLFOX rispetto alla sola chirurgia. Risultati negativi sono invece emersi dall’impiego del regime FOLFIRI dopo resezione R0. 7.5 Terapie locoregionali Chemioterapia locoregionale Non vi è attualmente una chiara evidenza di una maggiore efficacia di questa via di somministrazione rispetto a quella sistemica. Seppure la percentuale di risposte cliniche osservata con l’impiego della terapia loco-regionale, in alcuni casi, sia più elevata di quella osservata con la terapia sistemica, l’impatto sulla sopravvivenza risulta essere marginale. La metodica è, inoltre, gravata da frequenti problemi “tecnici” legati all’impiego di cateteri intrarteriosi e pompe infusionali. Tale trattamento deve quindi essere riservato a casi selezionati o a studi clinici, in centri con adeguato training. La chemioterapia intra-arteriosa può essere considerata nell’ambito di protocolli di ricerca o in pazienti selezionati. Tale metodica deve essere effettuata da personale con adeguata preparazione. 144 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Ablazione termica L’ablazione di metastasi usando le radiofrequenze si è dimostrata un metodo efficace che induce una necrosi coagulativa mediante effetto termico. È una tecnica minimamente invasiva i cui potenziali benefici includono la possibilità di effettuazione per via percutanea e la possibilità di effettuazione ambulatoriale, oltre alla facilità di controllo strumentale dell’efficacia. La metodica può essere effettuata anche per via laparoscopica. Le casistiche disponibili sono però ancora limitate e la procedura deve essere limitata a casi selezionati in attesa di studi clinici che valutino il significato terapeutico della metodica e la sua integrazione con gli altri trattamenti. La termoablazione con radiofrequenze non può essere sostitutiva della chirurgia e/o della chemioterapia. Radioterapia stereotassica La radioterapia stereotassica su singole lesioni metastatiche può essere proposta in pazienti non candidabili a resezione chirurgica. È una tecnica non invasiva di effettuazione ambulatoriale. Le casistiche disponibili sono però ancora limitate e la procedura deve essere limitata a casi selezionati in attesa di studi clinici che valutino il significato terapeutico della metodica e la sua integrazione con gli altri trattamenti. La radioterapia stereotassica non può essere sostitutiva della chirurgia e/o della chemioterapia. Radioembolizzazione La radioembolizzazione epatica con sfere di Yttrio 90 può essere proposta in pazienti con esclusiva malattia epatica, con PS conservato, non suscettibili di ulteriori trattamenti antineoplastici. La sua utilizzazione in associazione alla chemioterapia è attualmente fattibile solo nell’ambito di studi clinici. Le casistiche sono al momento limitate e i pazienti vanno indirizzati in centri specializzati e con esperienza nei confronti di tale trattamento. 7.6 Trattamento della malattia metastatica nell’anziano In presenza di malattia metastatica i regimi di associazione di 5-fluorouracile con oxaliplatino o irinotecan hanno mostrato una maggiore attività rispetto alle sole fluoropirimidine anche nel paziente anziano. Una pooled analysis ed una metanalisi su tre studi randomizzati hanno evidenziato un lieve incremento dei casi di neutropenia e piastrinopenia G3-4 e della stomatite G3-G4 nei pazienti ultrasettantenni rispetto ai più giovani, senza tuttavia un aumento della mortalità a 60 giorni, ed una sovrapponibile attività (in termini di RR, OS, PFS). I regimi di associazione 5fluorouracile-oxaliplatino e 5fluoruracile-irinotecan possono essere messi in atto anche nel paziente anziano ultrasettantenne nell’ambito di una valutazione multidimensionale che possa selezionare i soggetti “fit” e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità. La capecitabina, analogamente al soggetto non anziano, può essere impiegata in sostituzione del 5FU in presenza di controindicazioni al posizionamento di CVC e di un care-giver attendibile ed in assenza di insufficienza renale. L’impiego di anti-VEGF nel paziente ultrasettantenne deve essere valutato con attenzione per la potenziale maggiore tossicità in termini tromboembolici. L’impiego di cetuximab sembra sovrapponibile per efficacia e tossicità a quanto evidenziato nei pazienti non anziani ma i dati preliminari dello studio CALGB 80203 , che ha valutato l’aggiunta o meno di cetuximab al FOLFOX e al FOLFIRI, hanno mostrato un aumento della tossicità nei pazienti anziani. I regimi di associazione 5fluorouracile-oxaliplatino e 5fluoruracile-irinotecan Pagina possono essere messi in atto nel paziente anziano ultrasettantenne nell’ambito di una valutazione multidimensionale che possa selezionare i soggetti “fit” e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità. 7.7 Valutazione della risposta al trattamento Nella malattia avanzata la risposta al trattamento farmacologico viene valutata tramite i parametri codificati dai criteri RECIST utilizzando l’esame clinico e la diagnostica per immagini. Le lesioni misurabili ( dimensioni > 10 mm alla TC in caso di lesioni viscerali) vengono identificate come lesioni Target. Tutte le altre lesioni sono identificate come lesioni non Target. I criteri RECIST codificano 4 tipi di risposta al trattamento come riportato nella legenda sottostante. La risposta globale al trattamento è definita come la migliore risposta dall’inizio del trattamento fino a progressione o recidiva di malattia. Valutazione lesioni target Risposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni target. Risposta Parziale (PR): riduzione di almeno il 30% della somma dei maggior diametri, prendendo come riferimento la somma basale dei maggior diametri. Malattia Stabile (SD): riduzione insufficiente per essere qualificata come PR o incremento insufficiente per essere qualificato come PD, prendendo come riferimento la somma basale dei maggiori diametri. Malattia in Progressione (PD): incremento di almeno il 20% nella somma dei maggior diametri delle lesioni target, prendendo come riferimento la più piccola somma dei maggior diametri registrata dall'inizio del trattamento, o comparsa di una o più lesioni nuove. Valutazione lesioni non-target Risposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni non-target e normalizzazione del marker tumorale. Risposta incompleta/Malattia Stabile (SD): persistenza di una o più lesioni non-target e/o livelli anormali di marcatore tumorale. Malattia in Progressione (PD): comparsa di una o più nuove lesioni e/o sicura progressione delle lesioni non-target esistenti. Valutazione della miglior risposta obiettiva La miglior risposta obiettiva è la miglior risposta registrata dall'inizio del trattamento fino alla progressione/recidiva. Sintesi La terapia medica effettuata in fase asintomatica risulta più efficace in termini di sopravvivenza e qualità della vita, rispetto a quella eseguita alla comparsa di sintomi (Livello di evidenza I): • Le associazioni di 5FU (preferibilmente somministrato per via infusionale) e AF con oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecan (FOLFIRI) sono da impiegare in tutti i pazienti in condizioni di essere trattati con una polichemioterapia; in alternativa il farmaco di scelta è il 5FU, preferibilmente somministrato in infusione continua ed associato ad AF. Non esiste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazione rispetto all’altra. Le fluoropirimidine orali (capecitabina, UFT) possono sostituire la monoterapia con 5FU + AF. (Livello di evidenza I) • Allo stato attuale l’uso della capecitabina in combinazione con oxaliplatino (CAPOX) può sostituire i regimi infusionali, mentre la sua associazione con irinotecan (CAPIRI) deve essere impiegata, con attenzione agli effetti collaterali, solo nei pazienti in cui esistano controindicazioni all’impiego di regimi infusionali con 5FU (livello evidenza II). 145 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici L’associazione di bevacizumab (anti-VEGF) alla chemioterapia con 5FU o capecitabina e Irinotecano o Oxaliplatino nei pazienti non pre-trattati è superiore in termini di sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia e può essere considerata di prima scelta in pazienti senza controindicazioni. Bevacizumab in associazione alla chemioterapia può essere impiegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato in prima linea (livello evidenza II) Nei pazienti in buone condizioni generali, che sono in progressione di malattia dopo un precedente trattamento chemioterapico, deve essere sempre preso in considerazione un trattamento di seconda linea (Livello • • di evidenza I). I regimi di associazione 5FU-oxaliplatino (FOLFOX) e 5FU-irinotecano (FOLFIRI) possono essere utilizzati nel paziente anziano ultrasettantenne dopo una valutazione multidimensionale che possa selezionare i soggetti con buon performance status e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità (Livello di evidenza II). Lo stato mutazionale di K-Ras deve essere determinato ogni qualvolta la strategia terapeutica preveda il possibile impiego di farmaci anti-EGFR. L’impiego di anti-EGFR è da evitare in tutti i pazienti K- Ras mutati (Livello di evidenza II). Figura 3. Trattamento della malattia metastatica Stadio clinico Trattamento primario UPFRONT chemioterapia combinata (2-3 mesi) FOLFIRI o FOLFOX o CapeOX ± agenti biologici Qualsiasi T e N, M1 Metastasi sincrone resecabili Trattamento adiuvante Resezione della lesione rettale e delle metastasi Considerare 5FUic/RT o capecitabina/RT O Considerare 5-FUic/RT o capecitabina/RT Resezione concomitante della lesione rettale e delle metastasi pT1-2, N0, M1 Regime chemioterapico attivo per la malattia avanzata pT3-4, qualsiasi N, M1 o Qualsiasi T, N1-2, M1 FOLFOX o capecitabina ± oxaliplatino poi 5-FUic/RT o capecitabina/RT, poi FOLFOX o capecitabina ± oxaliplatino Resezione della lesione rettale e delle metastasi Regime chemioterapico attivo per la malattia avanzata O 5FUic/RT o capecitabina/RT per il follow-up dei pazienti con cancro del retto: le indicazioni riportate sono basate sulle linee guida delle principali società scientifiche aggiornate al 2011 (NCI, AIOM, ESMO, ASCO, EURECA). strutture dove tali competenze sono disponibili. La qualità del trattamento migliora con l’aumentare del numero di pazienti gestiti. Di seguito (tabella 1) sono riportati gli schemi relativi agli esami consigliati Tabella 1. Carcinoma del retto extraperitoneale 1° anno 3 2° anno 6 9 12 3 6 9 3° anno 4° anno 5° anno 12 6 12 6 12 6 Mesi 1 Anamnesi ed esame clinico x x x x x x x X X X Markers (CEA, Ca19.9) x x x x x x x X X X Rettoscopia x x x x X X Ecografia epatica x X X X X x Colonscopia x* TC torace/addome/pelvi x x x 12 x x x RM (in caso di dubbio alla TC) TC-PET con fdg (a giudizio del clinico) *se non eseguita prima della chirurgia N.B:La colonscopia va ripetuta dopo il terzo anno ogni 3 anni O Resezione della lesione rettale e delle metastasi Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto 8. Follow-up dei pazienti con neoplasia del retto Un programma di follow up viene correntemente applicato nei pazienti con neoplasie del retto, ma non vi sono inequivocabili evidenze dell’efficacia di un regime particolarmente intensivo in termini di aumento di sopravvivenza, proporzione di pazienti ri-operati con intento curativo, QoL, anche se l’ormai consolidato trattamento combinato chemio-chirurgico dei pazienti oligometastatici favorisce sopravvivenza prolungate, tale da giustificare un FUP intensivo. Le principali finalità del follow-up sono: favorire una diagnosi di recidiva locale/metastasi in fase precoce, valutare e intervenire in caso di tossicità tardiva legata ai trattamenti integrati eseguiti, sorvegliare sull’insorgenza di neoplasie metacrone, offrire supporto psicologico ai pazienti (rassicurazione), in parte contrastato tuttavia dall’effetto opposto di ansia dell’esame; consentire l’ ‘audit’ (controllo di qualità) delle terapie effettuate. Gli obiettivi di un programma di follow-up sono rappresentati da: • identificazione precoce, in fase asintomatica, di recidive locali e/o di metastasi a distanza, nonché di tumori primitivi metacroni; Pagina • • ottenimento di benefici in termini di sopravvivenza libera da malattia; mantenimento di una buona QoL e compliance della popolazione sottoposta a follow-up; • accettabile rapporto costi-benefici. L’esigenza di coordinamento tra specialisti pone la necessità della costituzione di un gruppo interdisciplinare al quale far afferire i pazienti per la diagnosi ed il trattamento. In queste neoplasie, l’esigenza di coordinamento tra specialisti è particolarmente rilevante per il carattere multidisciplinare dell’iter terapeutico di molti casi. Si pone, quindi, la necessità della costituzione di un gruppo interdisciplinare al quale far afferire i pazienti per la diagnosi ed il trattamento. E’ consigliata, laddove possibile, la costituzione di tale gruppo con lo scopo di pianificare e verbalizzare le decisioni diagnostico-terapeutiche di ogni singolo paziente. In assenza di qualcuna delle figure coinvolte nella pianificazione terapeutica dovrebbe essere creata una consulenza sistematica con 146 9. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento e definizione di eccellenza Il gruppo multidisciplinare (Core Team) della patologia neoplastica del retto è composta da un gruppo di professionisti di diverse specialità (oncologi medici, radioterapisti, gastroenterologi, chirurghi, anatomopatologi, endoscopisti e radiologi) accreditati come esperti della materia in funzione di: • comprovata esperienza in materia di patologia colorettale • numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per questa patologia • regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici • regolare aggiornamento professionale specifico e partecipazione ai programmi di assicurazione di qualità. Professionisti componenti il “Core Team” • Un Direttore Clinico cui compete la responsabilità organizzativa del Core Team. • Chirurghi dedicati, con formazione specifica. • Radiologi con comprovata esperienza nel campo della dell’“imaging” (Ecografia, TAC, RM) addominale. • Patologo responsabile con formazione specifica nella diagnosi istologica e citologica dei tumori del colon-retto e diagnostica molecolare. • Oncologo Medico con specifica esperienza nel campo dei tumori del colonretto. • Radioterapista Oncologo con specifica esperienza nel campo dei tumori del retto. Pagina • • • • Gastroenterologo-endoscopista. Psicologo con specifica formazione nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali riferibili a pazienti con ca del colon-retto, in particolare i colostomizzati. Un Data Manager responsabile della raccolta e dell’analisi di tutti i dati clinici. Tali dati dovranno essere disponibili per le sessioni periodiche di Audit Clinico. Un Amministrativo per il supporto segretariale. Professionisti che affiancano il “Core Team” ma che non ne fanno parte (c.d. Consulenti) • Infermiere esperto nella gestione delle colostomie • Terapista del dolore • Un genetista/consulente genetico • Rappresentante degli ammalati. Il Core team dovrà produrre percorsi diagnostico-terapeutici scritti per la gestione della malattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali protocolli dovranno essere ridiscussi e ove necessario collegialmente modificati. Il “Core Team” dovrà avere incontri settimanali multidisciplinari per la discussione di tutti i casi clinici e incontri periodici di Audit Clinico. A tal fine andranno identificati degli indicatori di processo, di risultato e di qualità del servizio. L’attività di ricerca e l’attività didattica sono parte fondamentale della funzione dell’Unità Clinica ed il loro monitoraggio sarà oggetto di analisi nell’ambito delle riunioni di Audit clinico (tabella 2). 147 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Tabella 2. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) Risorse/Procedure Risorse/Procedure Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto Chirurgia: interventi chirurgici per neoplasie del retto in qualsiasi stadio, anche con intento non radicale Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 1 dei 2 altri requisiti Resezione anteriore, Amputazione addominoperineale, stomia derivativa 20 Resezione anteriore, Amputazione addominoperineale, stomia derivativa 50 * Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Anatomia Patologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e l’altro requisito Refertazione secondo linee guida validate 20 Refertazione secondo linee guida validate 50 * Laboratorio di biologia molecolare Gastroenterologia La diagnostica può avvalersi di questa risorsa Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 1 dei 2 altri requisiti Microchirurgia Endoscopica Transanale (TEM) Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Videoendoscopia 20 Resezione laparoscopica Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Videoendoscopia 50 * Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 15 Mucosectomia e dissezione sottomucosa endoscopica Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Ecoendoscopia La diagnostica può avvalersi di questa risorsa Procedure Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Simulazione con utilizzo di TC Idem Piano di trattamento basato su immagini TC Idem Immagini portali settimanali Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti Prima visita specialistica 1 settimana dalla diagnosi Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita specialistica Idem Programmazione terapeutica tramite Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente si avvale di questa risorsa Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem Inizio terapia 4 settimane dalla prescrizione del gruppo multidisciplinare DH Disponibilità di accesso Inizio terapia 2 settimane dalla prescrizione Prenotazione Esami Diagnostici centralizzata La diagnostica può avvalersi di questa risorsa La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 35 Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Follow-up tramite Gruppo Oncologico Multidisciplinare IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Attività Scientifica IGRT Idem Disponibilità data center IORT Idem Pubblicazioni DEGENZE Disponibilità posti letto sotto la responsabilità dell’oncologo radioterapista Pubblicazioni su Riviste Scientifiche sul ca del retto Presenza di pubblicazione nell’anno Libri o Capitoli di libri sul ca del retto Idem Abstract in Congressi sul ca del retto Idem Oncologia Medica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e l’altro requisito DH 25 DH 50 * Degenze Per l’eccellenza è necessario 3 dei 6 requisiti Disponibilità posti letto sotto la responsabilità dell’oncologo medico Radiodiagnostica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati in 3 dei 5 esami Eco transrettale (sonda radiale ad alta frequenza) Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa secondo quanto 15 indicato nel documento sulla appropriatezza TC multistrato (≥4 strati) Idem 15 RM ad alto campo con bobine “phased-array” (almeno 4 canali) Idem 15 Eco transrettale (sonda radiale ad alta frequenza) Idem 40 TC multistrato (≥16 strati); post-processing per l’analisi voluIdem metrica e di perfusione 40 RM ad alto campo con bobine “phased-array” (>4 canali); disponibilità di sequenze volumetriche e DWI; post-processing per Idem l’analisi volumetrica, di diffusione e di perfusione 40 Relazioni, comunicazioni Presenza di pubblicazione nell’anno Materiale audiovisivo scientifico Idem * Per ottenere l’eccellenza un Centro deve soddisfare i criteri indicati in 6 degli 8 aspetti presi in considerazione. 10. Bibliografia • • TAC PET La diagnostica può avvalersi di questa risorsa RM > 3 Tesla Idem Pagina Presentazioni a Congressi e Corsi • 148 American Joint Committee on Cancer. AJCC Cancer Staging Manual. Philadelphia: Lippincott-Raven Publishers, 20 NIH Consensus Conference. Adjuvant therapy for patients with colon and rectal cancer. JAMA 1990: 264: 1444-1450. Andreoni B, et al. Surgical outcomes for colon and rectal cancer over a decade (result from a consecutive monocentric experience in 902 unselected patients). World J Surg Oncol 2007; 5: 73. Chaparro M, Gisbert JP, del Campo L, Cantero J, Maté J. Accuracy of Computed Pagina • • Tomographic Colonography for the detection of polyps and colorectal tumors: a systematic review and meta-analysis. Digestion 2009; 80: 1-17. American Joint Committee on Cancer. Colon and rectum. AJCC Cancer Staging Manual. 6th ed. New York, NY: Springer, 2002, pp 113-124. Cunningham D, Humblet Y, Siena, et al. 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J Clin Oncol 26:5s; 2008 (suppl) abstr 2. Vecchio FM, Valentini V, Padula G, Venkatraman E, Fares MC, Miccichè F, Ricci R, Morganti AG, Gambacorta MA, Maurizi F, Minsky BD, Coco C. A pathologic score system after preoperative combined modality therapy as a predictor of metastases free survival in the managment of rectal carcinoma. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2002; 54, 2: 207. Weiser MR, Quah HM, Shia J, Guillem JG, Paty PB, Temple LK, Goodman KA, Minsky BD, Wong WD. Sphincter preservation in low rectal cancer is facilitated by preoperative chemoradiation and intersphincteric dissection. Ann Surg. 2009; 249(2): 236-42. 150 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene Coordinatore: M. Milella P.F. Bassi, E. Sacco, G. Schinzari, A. Tubaro, A. Aschelter, E. Cortesi, G. D’Elia, C. Sternberg, G. Vespasiani, P. Bove, R. Longo, M. Buscarini, G. Tonini, M. Gallucci, G. Simone, R. Papalia, M. Milella, S. Sentinelli, E.M. Ruggeri, S. Tomao, P. De Carli, V. Panebianco, P. Berloco, A. D’Angelo Pagina 151 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Introduzione 1. Introduzione 2. Algoritmi presi in esame 2.1 Fattori di rischio e screening 2.2 Approccio diagnostico al paziente con massa renale di riscontro occasionale 2.3 Approccio diagnostico al paziente con ematuria 2.4 Stadiazione e diagnosi istologica 2.5 Terapia chirurgica degli stadi precoci 2.6 Terapia chirurgica degli stadi localmente avanzati, non metastatici 2.7 Terapia chirurgica della malattia metastatica 2.8 Terapie loco-regionali in pazienti con controindicazioni alla chirurgia 2.9 Follow up del paziente operato per neoplasia renale 2.10 Terapia sistemica adiuvante e neoadiuvante 2.10 Terapia sistemica di I linea 2.12 Terapia sistemica di II linea 2.13 Linee di trattamento successive alla II 2.14 Trattamento sistemico dei tumori non a cellule chiare 3. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene Pagina 3 Appendici 3.1 Considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci a bersaglio molecolare nel paziente nefropatico 3.2 Insufficienza renale acuta indotta da mezzo di contrasto (CIN) 3.3 Stadiazione dei tumori renali (TNM 2009) 3.4 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radiologia diagnostica ed interventistica e Medicina Nucleare) 3.5 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Urologia) 3.6 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Anatomia Patologica) 3.7 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Oncologia Medica) 3.8 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radioterapia) Lo scenario della diagnosi, stadiazione e trattamento dei tumori renali è radicalmente cambiato negli ultimi dieci anni. Da un lato la diffusione degli esami ecografici ha portato ad un incremento della diagnosi di forme precoci asintomatiche (incidentalomi), dall’altro lo sviluppo di farmaci interferenti con l’asse HIF/VEGF e con il pathway di mTOR, i due principali meccanismi molecolari alla base della cancerogenesi renale, ha completamente rivoluzionato il panorama del trattamento medico delle forme avanzate. Ciò causa trends apparentemente opposti nella gestione di questi pazienti: da un lato lo sviluppo di una chirurgia sempre più conservativa e meno invasiva nelle forme precoci, che però richiede un elevato grado di esperienza (rispetto alla tradizionale nefrectomia open) e quindi la centralizzazione delle procedure presso centri altamente specializzati; dall’altro la diffusione di trattamenti, somministrabili per lo più per via orale, per la malattia avanzata che, unitamente all’incremento della sopravvivenza dei pazienti ed alla disponibilità di molteplici linee di trattamento, tende a spostare la gestione del paziente metastatico (prima appannaggio di pochi centri altamente specializzati con esperienza nella somministrazione di schemi contenenti IL-2) verso il territorio. 2. Algoritmi presi in esame 2.1 Fattori di rischio e screening Nel periodo 1998-2002 il tumore del rene (con questo termine si includono anche i tumori della pelvi renale, dell’uretere e dell’uretra) ha rappresentato il 3,2% del totale delle diagnosi tumorali nei maschi e il 2,1% nelle femmine; in termini di mortalità ha rappresentato il 2,5% del totale dei decessi neoplastici nei maschi e l’1,8% nelle femmine. Nell’area AIRT sono stati diagnosticati in media ogni anno 25,2 casi di tumore del rene ogni 100.000 uomini (21,0 casi di tumore del rene, 1,7 dell’uretra, 1,2 della pelvi e 1,3 dell’uretere) e 12,9 ogni 100.000 donne (11,2 casi di tumore del rene, 0,7 dell’uretra, 0,6 della pelvi e 0,4 dell’uretere). Le stime per l’Italia indicano un totale di 5.568 nuovi casi diagnosticati ogni anno tra i maschi e 2.639 tra le femmine, mentre per quanto riguarda la mortalità nel 2002 si sono verificati 2.052 decessi per tumore del rene tra gli uomini e 1.133 tra le donne. Il rischio di avere una diagnosi di tumore del rene nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 16,2‰ fra gli uomini (1 caso ogni 62 uomini) e di 6,8‰ fra le donne (1 caso ogni 148 donne), mentre il rischio di morire è di 4,7‰ per gli uomini e di 1,6‰ per le donne. I tassi di incidenza variano considerevolmente nel nostro paese con un rapporto fra i valori più alti e quelli più bassi (rilevati nel Sud Italia) attorno a 3. L’incidenza del tumore del rene è in crescita nel corso del tempo, forse anche per una migliorata possibilità di diagnosi anticipata grazie all’imaging diagnostico, mentre la mortalità è in riduzione. Fumo e obesità sono da considerarsi i principali fattori di rischio, particolarmente negli uomini di età compresa tra 50 e 65 anni. Tuttavia, allo stato attuale non vi sono sufficienti dati a supporto di programmi di screening nella popolazione generale. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) Pagina 152 Questa rapida evoluzione degli scenari scientifici, legislativi e gestionali rappresenta un reale challenge e richiede un processo di continuo ripensamento, adattamento e verifica. L’intento del presente documento è quello di costituire un punto partenza per questo processo, cercando di stabilire quali sono, ad oggi, gli scenari e gli approcci condivisi e quelli più controversi. Per tale motivo, l’impostazione è estremamente sintetica e pragmatica e si basa, non tanto sull’analisi dettagliata della letteratura scientifica, quanto sulla revisione e confronto di documenti di indirizzo (linee guida nazionali ed internazionali), che in qualche modo traducono l’evidenza scientifica in raccomandazioni di comportamento clinico di utilizzo quotidiano, tenendo conto anche della realtà legislativa del nostro Paese, che costituisce comunque un elemento di indirizzo importante della pratica clinica corrente. Si è ritenuto, altresì, utile fornire, in una sintetica appendice al documento, alcune indicazioni sulla gestione del paziente nefropatico e/o dializzato (condizione frequente nei pazienti affetti da carcinoma renale) sia per quanto riguarda la gestione delle terapie farmacologiche sia per quanto riguarda la pianificazione ed esecuzione di esami contrastografici. Pagina 2.2 Approccio diagnostico al paziente con massa renale di riscontro occasionale Nella caratterizzazione di masse renali indeterminate di riscontro occasionale, sia la TC che la RM con mdc sono da considerarsi appropriate; ecografia e RM senza mdc possono essere considerate adeguate per la caratterizzazione di lesioni cistiche benigne visualizzate con altre metodiche come reperto occasionale o nei pazienti con insufficienza renale e controindicazioni alla somministrazione di mdc e.v. (vedi anche Appendici 3.2 e 3.4). (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR) 3. Approccio diagnostico al paziente con ematuria L’uro-TC è da considerarsi l’esame di scelta nella valutazione dell’ematuria in tutti i soggetti, fatta eccezione per i pazienti con nefropatie mediche o giovani donne con cistite emorragica, nei quali l’ecografia può essere considerata appropriata; tuttavia, nella caratterizzazione delle masse renali, l’uro-TC ha un ruolo molto limitato, per cui nei casi ematuria con riscontro ecografico di massa renale si raccomanda di seguire l’algoritmo precedente. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR) 4. Stadiazione e diagnosi istologica La TC (o RM) con mdc dell’addome superiore ed inferiore e la TC del torace (con o senza mdc) sono gli esami di scelta per il corretto inquadramento stadiativo delle neoplasie renali; l’esame ecocontrastografico può essere considerato nei pazienti con insufficienza renale. TC o RM del cranio, scintigrafia ossea e PET/TC total body sono da riservare a condizioni di so- 153 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici spetto clinico e non sono indicate nella routine stadiativa dei tumori renali. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR) La biopsia renale è ritenuta utile in casi selezionati e dinanzi a determinati dubbi diagnostici (lesioni renali < 3 cm, possibile benignità della lesione renale, massa renale in paziente con tumore extrarenale pregresso o sincrono, sospetto linfoma renale, etc) e nei tumori metastatici, nei quali l’indicazione alla nefrectomia può essere discutibile. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) Una corretta definizione dell’istotipo appare oggi di fondamentale importanza per la definizione prognostica ed una corretta scelta terapeutica; l’uso di pannelli immunoistochimici rende più agevole la diagnostica differenziale. I tipi istologici più comuni comprendono il carcinoma a cellule chiare (anche definito “convenzionale”), i carcinomi papillari (suddivisi in tipo I e II) ed il carcinoma cromofobo. Il carcinoma dei dotti collettori è da considerare un istotipo a sé stante con variante e sottotipi esibenti morfologia e prognosi diverse. Il grading di Fuhrman, articolato in 4 gradi e basato sulle dimensioni del nucleo e la forma e la prominenza del nucleolo, rimane un parametro consolidato e universalmente accettato; è necessario, tuttavia, ribadire che il suo valore è limitato al carcinoma a cellule chiare e non agli altri istotipi. La presenza di componente sarcomatoide rappresenta un fattore prognostico negativo consolidato e può essere presente in tutti gli istotipi. (Raccomandazione supportata da LG: EAU) Il sistema TNM, versione 2009 (Appendice 3.3), è raccomandato per la stadiazione e la valutazione prognostica. (Raccomandazione supportata da LG: EAU) 2.5 Terapia chirurgica degli stadi precoci Il trattamento chirurgico rappresenta il gold standard nell’ambito della malattia localizzata e le indicazioni alla chirurgia conservativa sono in grande maggioranza condivise. La nefrectomia radicale è stata a lungo sovrautilizzata nel trattamento delle neoplasie renali in stadio clinico cT1. L’evidenza di un incremento della morbilità cardiovascolare legata all’insorgenza di una insufficienza renale post nefrectomia radicale impone la chirurgia conservativa per neoplasie in questo stadio clinico, purché completamente resecabili, anche in presenza di un rene controlaterale sano (vedi anche Appendice 3.5). Un aspetto controverso sul piano tecnico chirurgico riguarda l'eventuale definizione del margine minimo di parenchima renale sano che dovrebbe essere asportato contemporaneamente al tumore primitivo. Sebbene le linee guida non approfondiscano questo punto, negli ultimi anni questo è stato argomento di confronto nell'ambito della comunità urologica. I canoni inizialmente condivisi dalla comunità urologica prevedevano che contestualmente al tumore primitivo dovesse essere asportato anche un cercine di parenchima sano di 1 cm. Successivamente venne proposto che tale margine di sicurezza potesse essere ridotto a 0,5 cm prima e a 0,1 cm dopo. A questo propostio, dati recenti provenienti da casistiche europee includenti complessivamente > 700 pazienti indicano un impatto marginale della presenza di margini chirurgici positivi sul rischio di recidiva e nessun impatto sulla sopravvivenza cancro-specifica. Nelle forme localizzate di carcinoma a cellule renali convenzionale in stadio 1 (dimensioni della massa ≤ 7 cm, limitata al rene) le tecniche di nefrectomia nephron-sparing (NNS) sono oggi da considerarsi il gold standard. Pertanto, per i tumori renali solitari e localizzati (T1a/b) la NSS dovrebbe sempre essere eseguita come trattamento primario. Un minimo margine chirurgico istologicamente esente da patologia successivo alla rimozione parziale di un carcinoma a cellule renali convenzionale localizzato è oggi considerato sufficiente per evitare recidive locali. Viceversa, per lesioni di dimensioni > 7 cm trattate con NSS o in pre- Pagina senza di positività dei margini esiste un rischio più elevato di recidive locali intrarenali, anche se ciò non sembra impattare in modo significativo sulla sopravvivenza cancro-specifica. In mani esperte, la chirurgia laparoscopica è un’alternativa alla chirurgia open nei tumori renali T1-T2. Fatta eccezione per gli angiomiolipomi, le altre forme meno comuni di tumore renale dovrebbero essere trattate come il carcinoma a cellule renali convenzionale; le cisti di Bosniak tipo III e gli angiomiolipomi > 4 cm possono essere parimenti trattati con NSS. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) 2.6 Terapia chirurgica degli stadi localmente avanzati, non metastatici La nefrectomia radicale rimane l’approccio standard nei tumori renali dallo stadio II in poi; la linfoadenectomia è considerata opzionale, ma è raccomandata in tutti i casi con sospetto coinvolgimento linfonodale all’imaging pre- od intra-operatorio. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene 2.9 Follow-up del paziente operato per neoplasia renale La valutazione nel tempo della funzionalità renale residua si basa sui dati clinico-anamnestici e sul dosaggio della creatinina sierica. L’impiego dell’imaging è da riservare a casi selezionati, in cui esiste un fondato sospetto di complicanze. Per quanto riguarda il follow-up oncologico, bisognerebbe scoraggiare i pazienti da un monitoraggio particolarmente intenso, così come l’utilizzo routinario di metodiche non validate in questo setting (ad esempio PET/TC total body), a meno che il paziente non ricada in una categoria a intermedio/alto rischio di metastatizzazione o non sussistano specifici dubbi diagnostici. Il follow-up del paziente trattato per neoplasia renale andrebbe individualizzato in base al profilo di rischio ed al tipo di procedura chirurgica o ablativa effettuata. La TC con mdc del torace e dell’addome costituisce l’esame di scelta ed andrebbe effettuata a 4-6 mesi dal trattamento primario e con periodicità variabile in base al profilo di rischio successivamente; Rx o TC senza mdc del torace e RM dell’addome possono essere considerate in alternativa; PET e scintigrafia ossea possono essere utili nell’identificazione e caratterizzazione di eventuali lesioni ossee comparse in corso di follow-up. (Raccomandazione supportata da LG: NCCN, ACR) 2.7 Terapia chirurgica della malattia metastatica La nefrectomia radicale è indicata nei casi di tumore renale con metastasi sincrona unica in associazione alla chirurgia radicale sul sito metastatico. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) La chirurgia radicale sul sito metastatico è altresì appropriata in pazienti con metastasi unica (sincrona o metacrona) od in pazienti altamente selezionati con malattia oligometastatica (sincrona o metacrona) suscettibile di chirurgia radicale, in particolare in pazienti responsivi ad un precedente trattamento immunoterapico. (Raccomandazione supportata da LG: EAU) La nefrectomia citoriduttiva prima del trattamento sistemico è da considerarsi appropriata in pazienti metastatici selezionati con buon performance status e senza controindicazioni chirurgiche, in particolare in pazienti potenzialmente candidati a trattamento immunoterapico; in questi casi, l’inclusione in studi clinici controllati è fortemente raccomandata. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) 2.8 Terapie loco-regionali in pazienti con controindicazioni alla chirurgia Indicazioni a trattamenti mini-invasivi includono: lesioni piccole, esofitiche, incidentali nel paziente anziano, pazienti con predisposizione genetica a tumori renali multipli, pazienti con rene solitario o con tumore bilaterale, laddove sussitano rischi chirurgici elevati per procedure radicali open o laparoscopiche. Controindicazioni alle tecniche citate sono invece: aspettativa di vita inferiore ad 1 anno, la presenza di metastasi multiple ovvero sede e dimensioni del tumore non adeguati a garantire la riuscita del trattamento. In generale tumori > 5 cm o localizzati a livello dell’ilo renale, dell’uretere prossimale o del sistema collettore non sono raccomandabili per un’ablazione con radiofrequenza. Controindicazioni assolute sono una coagulopatia irreversibile o condizioni mediche che determinino una severa instabilità, come la sepsi. Le tecniche mini-invasive più utilizzate sono: ablazione del tumore mediante radiofrequenze, crioterapia, microonde, laser o ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU). L’esecuzione di queste tecniche prevede, comunque, l’ottenimento di una diagnosi isto/citologica di natura ed andrebbe preferita nell’ambito di studi clinici controllati. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) 154 2.10 Terapia sistemica adiuvante e neoadiuvante I dati oggi disponibili, ancorché ottenuti prevalentemente con citochine (IL2/IFN), farmaci ormonali o protocolli vaccinali, piuttosto che con farmaci a bersaglio molecolare oggi di uso comune nella malattia avanzata, non supportano l’uso di una terapia sistemica adiuvante o neoadiuvante, che andrebbero utilizzate esclusivamente nell’ambito di studi clinici controllati. Tale concetto si applica anche alla terapia sistemica ‘neoadiuvante’, alla nefrectomia citoriduttiva ed alla terapia sistemica ‘adiuvante’ alla chirurgia radicale nel paziente con metastasi sincrone. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) 2.11 Terapia sistemica di I linea La scelta terapeutica di I linea si basa essenzialmente sulla valutazione del rischio secondo i criteri del MSKCC. Varie modificazioni del modello prognostico di Motzer, inclusa quella proposta da Heng et al., maturata su una casistica di pazienti trattati con agenti a bersaglio molecolare, che introduce in aggiunta ai classici fattori prognostici anche la neutrofilia e la piastrinosi, sono state sviluppate per meglio riflettere l’impatto delle terapie a bersaglio molecolare; tuttavia, poiché gli studi randomizzati che hanno condotto alla registrazione dei farmaci attualmente in uso sono stati condotti utilizzando la stratificazione prognostica del MSKCC, si ritiene che l’utilizzo dei criteri originali di Motzer sia ancora la guida più affidabile per la pianificazione del percorso terapeutico del paziente affetto da carcinoma renale avanzato. Premesso che per alcuni pazienti altamente selezionati (malattia indolente, tumor burden limitato, metastasi esclusivamente polmonari, eccellente PS, giovane età ed assenza di comorbidità) rimane una possibile indicazione al trattamento con HD-IL2/IFN od, all’estremo opposto, ad un atteggiamento di sorveglianza attiva, 4 farmaci hanno ad oggi dimostrato di essere superiori ad IFN (o a placebo, nel caso di Pazopanib) come trattamento di I linea del carcinoma renale metastatico: Pazienti a rischio basso/intermedio: • bevacizumab/IFN • sunitinib • pazopanib. Pagina Pazienti ad alto rischio (≥3 su 6 fattori di rischio secondo i criteri di Motzer modificati): • Temsirolimus. L’utilizzo di sorafenib come trattamento di I linea è un’opzione possibile in pazienti non candidati a trattamento con citochine, ma non supportata dall’evidenza nel contesto della I linea di trattamento. Si raccomanda altresì, ove possibile, l’inclusione dei pazienti in studi clinici. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) 2.12 Trattamento sistemico di II linea Per i pazienti progressivi dopo un trattamento di I linea si raccomanda, ove possibile, l’inclusione in studi clinici. La scelta terapeutica evidence-based dipende dal tipo di trattamento ricevuto in I linea: Pazienti pretrattati con citochine: • sorafenib • pazopanib. Pazienti pretrattati con anti-VEGF: • everolimus. (Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN) Evidenze di grado largamente inferiore e provenienti da piccole casistiche non randomizzate (e in molti casi retrospettive) suggeriscono che non vi è completa cross-resistenza tra i diversi agenti anti-VEGF, rendendo perciò ragionevole l’utilizzo di un secondo VEGF-TKI dopo Bevacizumab/IFN, Sunitinib o Sorafenib. Sunitinib e Temsirolimus hanno attività documentata, ma non supportata da studi randomizzati, anche dopo trattamento di I linea con citochine. (Raccomandazione supportata da LG: NCCN) 2.13 Linee di trattamento successive alla II Per i pazienti progressivi dopo un trattamento di I e II linea si raccomanda, ove possibile, l’inclusione in studi clinici. Everolimus ha dimostrato, in uno studio randomizzato di fase III, di essere superiore al placebo anche in pazienti trattati con più linee di terapia e risulta pertanto l’unico agente indicato in questo tipo di situazione clinica. Evidenze provenienti da piccole casistiche non randomizzate (e in molti casi retrospettive) suggeriscono che non vi è completa cross-resistenza tra i diversi agenti anti-VEGF, rendendo perciò ragionevole anche l’utilizzo di un VEGF-TKI non somministrato nelle precedenti linee di trattamento. 2.14 Trattamento sistemico dei tumori non a cellule chiare Nei pazienti con carcinoma renale di tipo papillare di tipo I e II, cromofobo ed altre varietà istologiche rare (escluse le forme sarcomatoidi ed il carcinoma dei dotti di Bellini) si raccomanda l’inclusione in studi clinici. Nei pazienti con almeno 3/6 fattori di rischio (secondo il MSKCC score modificato) è indicato l’utilizzo di temsirolimus. L’utilizzo di VEGF TKI rappresenta una scelta alternativa ragionevole, ancorché non supportata da evidenze di livello elevato. Sopratutto nelle forme cromofobe, la chirurgia della malattia metastatica andrebbe sempre presa in considerazione se tecnicamente perseguibile con intento radicale ed in assenza di controindicazioni mediche o chirurgiche. Le forme sarcomatoidi sono ritenute una variante/evoluzione delle altre forme istologiche (cellule chiare, papillare, etc.) ed andrebbero trattate secondo l’algoritmo terapeutico della forma di base (tenendo conto dell’im- 155 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici patto prognostico sfavorevole della presenza di una componente sarcomatoide significativa). Unicamente per la variante sarcomatoide del carcinoma a cellule chiare, può essere considerata la chemioterapia con gemcitabina/doxorubicina. (Raccomandazione supportata da LG: NCCN) Nel carcinoma dei dotti collettori (di Bellini) la chemioterapia con cisplatino/gemcitabina o carboplatino/paclitaxel è considerata l’approccio standard. 3. Appendice 3.1 Considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci a bersaglio molecolare nel paziente nefropatico I pazienti affetti da carcinoma renale presentano con elevata frequenza una condizione di insufficienza renale subclinica, in parte legata all’asportazione chirurgica di una cospicua quota di parenchima renale ed in parte legata a malattie renali preesistenti, e, in una percentuale minore ma non trascurabile di casi, una condizione di franca insufficienza, tale da richiedere un trattamento dialitico. Entrambe queste condizioni, unitamente alla possibilità che alcuni dei farmaci utilizzati abbiano di per sé un effetto nefrotossico, pongono un problema nella scelta dei farmaci e nella gestione della terapia. Nonostante i dati di letteratura su questo argomento siano frammentari e non esistano raccomandazioni specifiche nelle linee guida nazionali ed internazionali, abbiamo ritenuto opportuno riportare alcune considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci in una condizione di insufficienza renale: 1) Bevacizumab: il suo utilizzo può essere complicato da proteinuria (2163% dei pazienti), raramente nefrosica (< 2%). I fattori associati a questa evenienza e alla severità della proteinuria sono sconosciuti. Sono stati riportati casi rari di glomerulonefrite proliferativa e di insufficienza renale acuta. Raccomandazioni: • esame periodico delle urine per controllo proteinuria • sospensione temporanea della somministrazione per proteinuria >2g/24h • sospensione definitiva della somministrazione per proteinuria >3g/24h • non richiesto aggiustamento posologico nell’insufficienza renale. 2) Sunitinib: Ancorché non descritto con particolare frequenza negli studi clinici sin qui condotti, la comparsa di proteinuria può complicare l’utilizzo di Sunitinib ed andrebbe periodicamente monitorizzata. La farmacocinetica e la sicurezza del sunitinib sono state valutate in un piccolo numero di pazienti con insufficienza renale. La farmacocinetica è risultata inalterata in pazienti con GFR > 42 ml/min. Limitati case reports del suo utilizzo in pazienti con carcinoma renale in emodialisi riportano l’efficacia del farmaco. I dati ottenuti non suggeriscono la necessità di una riduzione delle dosi anche nei pazienti con insufficienza renale severa o in dialisi. 3) Sorafenib: ancorché non descritto con particolare frequenza negli studi clinici sin qui condotti, la comparsa di proteinuria può complicare l’utilizzo di Sunitinib ed andrebbe periodicamente monitorizzata. Uno studio in fase 1 sulla sicurezza e farmacocinetica in vari gradi di insufficienza renale indica le dosi empiriche da somministrare nei vari gradi di funzionalità renale, basati sulla tolleranza del paziente: a) Insufficienza renale lieve (GFRr 40-59 mL/min): 400 mg 2 volte al dì b) Insufficienza renale moderata (GFRr 20-39 mL/min): 200 mg 2 volte al dì Pagina 4. 5. 6. 7. c) Insufficienza renale severa (GFRr <20 mL/min): dati insufficienti a definire la dose d) Emodialisi: 200 mg una volta al dì. Altri dati, invece, non suggeriscono grossolane differenze in termini di farmacocinetica e tollerabilità nei pazienti con insufficienza renale severa o in dialisi e non supportano la necessità di una riduzione delle dosi in queste fattispecie cliniche. Pazopanib: non è richiesto alcun aggiustamento posologico in caso di insufficienza renale. Temsirolimus: pochi studi in letteratura. Minima eliminzione renale (<5%) per cui non è richiesto aggiustamento posologico nell’insufficienza renale. Non ci sono studi in pazienti in emodialisi, anche se l’esperienza clinica suggerisce la possibilità di utilizzare il farmaco a dosaggi standard. Everolimus: può causare proteinuria in particolare se utilizzato ad alte dosi o associato a ciclosporina. Lievi aumenti della creatininemia sono stati osservati in corso di terapia per carcinoma renale. Interferone: può causare proteinuria nefrosica per comparsa di glomerulonefrite a lesioni minime. Rari casi di microangiopatia trombotica. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene stica. Stratificazione del rischio di CIN sulla base del GFR: • GFR > 60 ml/min: rischio estremamente basso , non necessaria profilassi • GFR 30 - 60 ml/min: rischio basso-moderato • GFR < 30 ml/min: rischio alto Misure preventive per pazienti a rischio basso-moderato e alto: • Sospendere o evitare, se possibile, farmaci nefrotossici e metformina 48 ore prima della somministrazione del mdc • Sospendere diuretici il giorno dell’esame e il precedente • Non iniziare terapia o variare dosi di ACE-inibitori nel periodo immediatamente precedente o successivo alla somministrazione del mdc • Infusione del mdc con un intervallo di almeno 7 gg da una chemioterapia • Utilizzare mdc iodati a bassa osmolarità o iso-osmolari • MDC a dosi inferiori a 30 ml per esami diagnostici 3.3 Stadiazione dei tumori renali (TNM 2009 e confronto con la precedente versione del 2002) T (tumore primitivo) 2002 2009* Tx T0 T1 T1a T1b Tumore primitivo non misurabile Tumore primitivo non dimostrabile Tumore limitato al rene, ∅ max ≤ 7 cm Tumore limitato al rene, ∅ max ≤ 4 cm Tumore limitato al rene,∅ max > 4 cm ≤7 cm Idem Idem T2 T2a T2b T3 Idem Tumore limitato al rene, ∅ max < 7 cm - Idem ∅ max >7 cm ≤ 10cm ∅ max >10 cm Tumore esteso alle vene maggiori, invasione diretta della ghiandola surrenale o del grasso perirenale, ma non oltre la fascia di Gerota. Invasione diretta della surrenale o del grasso perirenale (compresa l’invasione del seno renale). Invasione delle vene renali e delle loro diramazioni e della vena cava sottodiaframmatica. Invasione macroscopica della vena cava o della sua parete al di sopra del diaframma Tumore esteso alle vene maggiori o invasione del grasso perirenale, ma non della ghiandola surrenale omolaterale e non oltre la fascia di Gerota. Invasione delle vene renali e delle loro diramazioni o del grasso perirenale (compresa l’invasione del seno renale). Invasione della vena cava sottodiaframmatica. T4 Invasione oltre la fascia di Gerota Invasione oltra la fascia di Gerota (compresa l’invasione per continuità della ghiandola surrenale omolaterale). N (linfonodi regionali) Nx N0 N1 N2 Linfonodi regionali non valutabili Linfonodi regionali assenti Metastasi in 1 linfonodo regionale Metastasi in >1 linfonodo regionale Idem Idem Idem Idem T3a 3.2 Insufficienza renale acuta indotta da mezzo di contrasto (CIN) T3b La presenza di un quadro di insufficienza renale, più o meno conclamato, pone anche alcune limitazioni relative all’uso di mezzi di contrasto (mdc) radiologici. L’utilizzo del mezzo di contrasto (mdc) a scopi diagnostico-terapeutici può, di per sé, indurre una insufficienza renale acuta da mezzo di contrasto (CIN) con quadro clinico variabile da incrementi relativamente modesti della creatininemia fino a gradi severi di compromissione renale in pazienti con uno o più fattori di rischio. E’ quindi opportuno identificare il paziente a rischio e pianificare la tipologia e il numero delle indagini contrastografiche. Definizioni: • Aumento della creatininemia di 0.5 mg/dl in pazienti con creatininemia basale inferiore a 2 mg/dl • Aumento della creatininemia basale di almeno il 25% • Diminuzione del GFR più del 25% Caratteristiche: • Aumento della creatininemia nel 2- 3 giorno dopo infusione del mdc • Ritorno ai valori di normalità in 2 settimane Incidenza: In circa il 15% delle indagini contrastografiche, anche se è riportata in letteratura ampia variabilità per la mancanza di univoca valutazione prospettica o retrospettiva dell’incidenza e delle caratteristiche della procedura diagno- T3c 156 Idratazione: • Nei pazienti con GFR > 60 ml/min con più fattori di rischio si può considerare idratazione ev • Nei pazienti con GFR fra 60 e 30 ml/min idratazione - per os: 500 cc di acqua o soluzione salina (citrosodina 3 buste in 500 ml) il giorno prima e la mattina dell’esame. L’assunzione di liquidi dovrebbe essere proseguita nelle 24 ore successive oppure, in particolare se coesistono altri fattori di rischio, - ev: Na Cl 0,9% 1 ml/Kg/ora da almeno 2 ore prima fino a 6-12 ore dopo iniezione del mdc • Nei pazienti con GFR < 30 ml/min idratazione ev con: - NaHCO3 1,4% 3 ml/kg/ora per 1 ora prima della procedura; dopo la procedura continuare per 6 ore ad 1 ml/kg/ora, oppure - NaCl 0.9% 1 ml/Kg/ora da almeno 2 ore prima ma preferibilmente 612 ore prima e continuata per 6-12 dopo. La durata dell’infusione dovrebbe essere proporzionale al danno renale. Invasione della vena cava sopradiaframmatica o invasione macroscopica della parete venosa. M (metastasi a distanza) Mx Metastasi a distanza non valutabili M0 Metastasi a distanza assenti M1 Metastasi a distanza presenti Idem Idem Idem Stadiazione TNM Stadio I Stadio II Stadio III Idem Idem Idem Stadio IV T1; N0; M0 T2; N0; M0 T3; N0; M0 T1-3; N1; M0 T4; N0-1; M0 Qualsiasi T; N2; M0 Qualsiasi T; qualsiasi N; M1 Idem Adattato da Gasbarrini G, Trattato di Medicina Interna, Capitolo 255: I Tumori del Rene Pagina 157 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene 3.4 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radiologia Diagnostica ed Interventistica e Medicina Nucleare) 3.6 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Anatomia Patologica) Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza Tipologia Requisiti minimi Rx Torace X X Agobiopsia ed agoaspirato Ecografia Apparecchio con sonda addominale convex multifrequenza e Color-Doppler Apparecchio con sonda addominale convex multifrequenza e possibilità di elaborazione delle immagini sulla II armonica per utilizzo di mdc; Color-Doppler Campione quantitativamente adeguato; i frustoli devono essere fis- Archiviazione del materiale in Banca Tessuti mesati immediatamente in formalina e gli agoaspirati con spray fissa- diante congelamento in azoto liquido e conservativo zione a -80°C per studi genetici o molecolari Nefrectomia parziale • TC RM Tecnologia multistrato; scan time: ≤ 2 sec; minimum slice thickness: ≤ 2 mm; interscan delay: 1 sec; limiting spatial resolution: ≥ 8 lp/cm for ≥ 32 cm display field of view (DFOV) and ≥ 10 lp/cm for < 24 cm DFOV; elaborazione 3D delle immagini Tecnologia multistrato (a partire da 16 strati per studi di perfusione TC); consolle di elaborazione 3D delle immagini e software dedicato per valutazione qualitativa e quantitativa della perfusione renale 1.5 Tesla; bobina di superficie multicanale (almeno 4); software per sequenze morfologiche, da acquisire anche durante somministrazione dinamica ev di mdc e AngioRM; elaborazione 3D delle immagini 1.5 o 3 Tesla; bobina di superficie multicanale (almeno 8), con uso di parallel imaging; software completo di sequenze morfologiche, AngioRM e tecniche funzionali da acquisire sia senza (BOLD, DWI) che con somministrazione ev di mdc; elaborazione 3D delle immagini e software dedicato per valutazione qualitativa e quantitativa della perfusione renale • • • • • • Nefrectomia totale e radicale • • • • • • Angiografia (embolizzazione fistole e sanguinamenti) X Trattamenti ablativi percutanei (crioablazione, HIFU, brachiterapia) X Gammacamera (scintigrafia renale con DTPA) X Possibilità di eseguire agobiopsie di lesioni dubbie sotto guida Eco o TC X 3.5 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Urologia) • Diagnosi istologica • • • • • Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza Chirurgia nephron-sparing negli stadi I X X • • Chirurgia nephron-sparing laparoscopica o robotica X • Nefrectomia radicale laparoscopica o robotica X Nefrectomia radicale open X X Dati raccolti in database istituzionali X Pagina • 158 • Requisiti d’eccellenza Misurazione del pezzo operatorio (3 misure) e descrizione macroscopica Inchiostratura del margine di resezione Sezioni secondo piani perpendicolari alla superficie con evidenziazione dei margini della neoplasia Registrazione della distanza minima dal margine di resezione e del diametro massimo del tumore Campionamento della neoplasia con i margini di resezione Campionamento della neoplasia con la capsula ed eventuale grasso perirenale I tumori di piccole dimensioni possono essere inclusi in toto, per quelli più grandi vale la regola di almeno un prelievo per cm di diametro • • Misurazione del pezzo operatorio (3 misure) e descrizione ma- • croscopica. Inchiostratura della superficie solo in caso di evidenza macroscopica di estensione extrarenale della neoplasia • Esame macroscopico dell’ilo con identificazione di vena, arteria ed uretere. campionamento di sezioni trasversali ed apertura longitudinale della vena e dell’uretere Sezione sagittale del pezzo operatorio dalla periferia verso l’ilo Descrizione della lesione neoplastica (dimensioni, sede, forma, colore) e valutazione dei suoi rapporti con il parenchima renale, il grasso perirenale, la pelvi, l’uretere, il seno renale, i vasi dell’ilo e il surrene (se presente) Un prelievo per cm della lesione cercando di rappresentare i suoi rapporti con la capsula, il grasso perirenale, il parenchima adiacente, la pelvi, il surrene e tutte le zone di sospetto coinvolgimento neoplastico di vasi o seno renale. Un prelievo di parenchima non neoplastico. Un prelievo di surrene e di eventuali (rari) linfonodi dell’ilo Esame intraoperatorio della neoplasia con valutazione del margine di exeresi ed eventuale istotipo Archiviazione del materiale in Banca Tessuti mediante congelamento in azoto liquido e conservazione a -80°C per studi genetici o molecolari Esame intraoperatorio del campione in caso di dubbi sulla natura corticale o uroteliale della neoplasia Archiviazione del materiale in Banca Tessuti mediante congelamento in azoto liquido e conservazione a -80°C per studi genetici o molecolari Studio dei fattori molecolari che potrebbero inIstotipo della neoplasia sec. WHO 2004 Grading della neoplasia sec. lo schema di Fuhrman per i carci- fluenzare la prognosi (CA9, HIF-1-α, CXCR3, nomi renali convenzionali (nei carcinomi cromofobi non è atten- CXCR4, B7-H1, PTEN, Ki67, ecc) dibile) Grading sec. Eble dei carcinomi a cellule renali papillari. Indicare la presenza di necrosi tumorale e di aspetti sarcomatoidi. Indicare se il tumore è limitato al rene o si estende oltre la capsula o nel seno renale. Indicare se il tumore si estende ai calici o alla pelvi. Indicare se il tumore infiltra i vasi venosi maggiori o i vasi segmentali. Indicare se presente estensione diretta (T4) o discontinua (M1) del surrene. Valutazione dello stato dei margini chirurgici: parenchimale e capsulare nella nefrectomia parziale, grasso perirenale, uretere e vena nella nefrectomia totale Staging patologico (pTNM) sec. AJCC 2010 Pagina 159 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice 3.7 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Oncologia Medica) Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza Team multidisciplinare (con discussione periodica strutturata dei casi clinici) Urologo, Oncologo, (Radioterapista) Urologo, Oncologo, Radioterapista, Radiologo (diagnostica/interventistica), Patologo, Medico Nucleare, Nefrologo, Specialisti dedicati per la gestione delle tossicità dei farmaci a bersaglio molecolare. Tempo alla prima visita < 14 gg < 7 gg Tempo dalla decisione terapeutica all’inizio del trattamento 14-30 gg < 14 gg Reparto di degenza per gestione complicanze X X Data managers dedicati X Accesso a studi clinici X Pubblicazioni scientifiche X 3.8 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radioterapia) Tipologia Requisiti minimi Requisiti d’eccellenza Acceleratore Lineare X X Simulazione TC X X Immagini portali settimanali X X Sistemi d’immobilizzazione X X Definizione dei volumi di trattamento e critici mediante programma di fusione delle immagini RM X 3D-CRT X IMRT X IGRT X Degenze e DH per terapia di supporto X Tempo alla prima visita 14-28 gg < 14 gg Tempo all’inizio del trattamento 28-56 gg < 28 gg Partecipazione a studi multicentrici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice Coordinatore: Giovanni Scambia P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori, P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo, V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio X Pagina 160 Pagina 161 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Fattori di rischio Pagina 163 2. Sintomi Pagina 163 3. Screening Pagina 163 4. Diagnosi Pagina 164 5. Stadiazione Pagina 164 6. Trattamento degli stadi precoci Pagina 166 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice Il tumore della cervice uterina è la seconda causa di morte nelle aree economicamente meno sviluppate mentre occupa solo il 13° posto nei paesi industrializzati, come gli Stati Uniti d'America; in Italia scende addirittura al 16° posto (ISTAT 2006 e 2007). L’enorme discrepanza di questo dato si può giustificare sulla base della nota differenza nella esposizione ai fattori di rischio, nella disponibilità di risorse impiegate per la prevenzione primaria e secondaria ed infine nella qualità delle cure. Il numero dei nuovi casi diagnosticati ogni anno in tutto il mondo è pari a 493000 e 274000 morti. In Italia vengono stimati circa 3700 nuovi casi/anno con una incidenza dei 12/100000 donne/anno. L’età mediana di insorgenza per le forme invasive è di 51 anni, ma si abbassa a 32 per le forme intraepiteliali. 1. Fattori di rischio • • • • 7. Trattamento degli stadi avanzati Pagina 167 8. Refertazione istologica Pagina 169 9. Follow up Pagina 170 10. Bibliografia Pagina 171 Infezioni da Papillomavirus (HPV) Precocità di inizio dell’attività sessuale Elevato numero di partners o partner singolo ma che ha avuto diversi rapporti promiscui Terapie immunosoppressive • • • • Basso livello socio-economico Multiparità Giovane età alla prima gravidanza Fumo di sigaretta. 2. Sintomi Le fasi iniziali del tumore cervicale sono in genere asintomatiche. Quando presenti i sintomi più comuni possono essere legati ad altre patologie di tipo non tumorale. Il sanguinamento vaginale anomalo è il sintomo più importante: può essere post-coitale, intermestruale o del tutto inaspettato, come accade nel periodo menopausale. In caso di malattia avanzata può essere presente dolore pelvico (irradiato alle gambe), accompagnato da secrezioni maleodoranti. 3. Screening Il principale test di screening per il carcinoma del collo dell’utero con il quale è possibile effettuare la prevenzione secondaria, è rappresentato dal Pap-test (striscio colpo citologico). Nonostante questa metodica sia, in qualche caso, in grado di identificare anche carcinomi dell’endometrio, della vagina o di altre sedi perineali, il suo utilizzo è rivolto alla diagnosi precoce delle displasie cervicali e dei carcinomi della cervice. Lo striscio deve essere eseguito in donne che non abbiamo eseguito lavande vaginali o utilizzato lubrificanti da almeno 24 ore, che non abbiano sanguinamenti in atto e/o processi infiammatori intensi, che non abbiano svolto pratiche sessuali nelle 24 ore precedenti; è consigliabile eseguire lo striscio prima della visita digitale ginecologica. La raccolta del materiale avviene mediante l’utilizzo di specifici strumenti, quali cytobrush per la raccolta di cellule endocervicali e la spatola di Ayre per la raccolta di cellule dell’esocervice. L’affidabilità del Pap-test è sensibilmente influenzata dal grado di esperienza del citologo esaminatore e dal modo con cui viene prelevato e allestito il preparato nei diversi vetrini. Al fine di eliminare, o quanto meno ridurre la percentuale di falsi negativi, si utilizzano da non molto tempo nuove presidi in fase liquida o in monostrato che modificano le modalità con le quali le cellule vengono raccolte e processate. Pagina 162 Pagina La modalità di refertazione del pap test può essere effettuata attraverso diversi sistemi di classificazione. Il sistema attualmente più utilizzato è rappresentato da Bethesda System elaborato nel 1991 e revisionato nel 2001. Il sistema Bethesda 2001 Adeguatezza del preparato • Soddisfacente per la valutazione • Non soddisfacente per la valutazione (specificare il motivo) - preparato rifiutato/non processato (specificare il motivo) - preparato processato ed esaminato, ma non soddisfacente per la valutazione di anormalità delle cellule epiteliali a causa di... (specificare il motivo) Classificazione generale • Negativo per lesioni intraepiteliali o malignità • Anormalità delle cellule epiteliali • Altro Interpretazione/risultati • Negativo per lesioni intraepiteliali o malignità Organismi - Trichomonas vaginalis - funghi del tipo Candida 163 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici - variazione della flora batterica suggestiva di vaginosi batterica - batteri compatibili con Actinomiceti - modificazioni cellulari compatibili con herpes simplex visrus Altri reperti non palstici - modificazioni cellulari reattive - presenza di cellule ghiandolari post-isterectomia - atrofia Anormalità delle cellule epiteliali Cellule squamose - cellule squamose atipiche (ASC) - di significato indeterminato (ASC-US) - non possibile escludere HSIL (ASC-H) - lesioni intraepiteliali squamose di basso grado (LSIL) (includente HPV/displasia lieve/CIN 1) - lesioni intraepiteliali squamose di alto grado (HSIL)/(includente displasia moderata e grave/CIN 2 e CIN 3/CIS) - l’invasione non può essere esclusa - carcinoma squamocellulare Cellule ghiandolari - cellule ghiandolari atipiche (AGC) (specificare: endometriali, endocervicali o NOS - non specificabili) - cellule ghiandolari atipiche (AGC) suggestive di neoplasia (specificare: endometriali, endocervicali o NOS - non spacificabili) - adenocarcinoma endocervicale in situ (AIS) - adenocarcinoma (specificare: endometriale, endocervicale, extrauterino o NOS - non specificabile) • Altro Cellule endometriali in donne di 40 anni o oltre (specificare anche se negativo per lesione squamosa). Da qualche anno, inoltre, per le donne è disponibile un mezzo per la prevenzione primaria dell’infezione da HPV: un vaccino rivolto contro i ceppi HPV16 e HPV18 ritenuti responsabili del carcinoma della cervice (considerati ad alto rischio) ed i ceppi HPV6 HPV11 responsabili di lesioni non cancerose (principalmente le condilomatosi). In Italia oggi è stata introdotta la possibilità della vaccinazione gratuita al compimento del 12° anno di età ma attualmente sono in corso numerosi studi per valutare l’efficacia della vaccinazione anche in donne adulte con una vita sessuale attiva e in donne già entrate in contatto con il virus. Tra i vaccini in commercio abbiamo quello tetravalente (Gardasil®) che offre una copertura sierologica per i quattro ceppi virali ad alto e basso rischio. Gli studi pubblicati finora dimostrano che il vaccino è efficace e privo di effetti collaterali, anche se tutt’ora non è nota la durata della sua protezione. Altro vaccino in commercio è quello bivalente (Cervarix®), attivo esclusivamente verso i due ceppi ad alto rischio. Per valutare l’impatto esercitato dall’utilizzo di massa dei vaccini sull’incidenza del carcinoma cervicale sarà necessario attendere un adeguato followup: intanto resta indicata l’aderenza ai programmi di screening per la prevenzione secondaria, finora impiegati. 4. Diagnosi Il sospetto diagnostico di neoplasia cervicale nei casi appena iniziali si pone sulla base di un referto dubbio o positivo al Pap-test che rappresenta l’esame di primo livello. La colposcopia segue ad una citologia anormale, come esame di secondo livello: indirizza la biopsia alla zona della portio sospetta e consente di ottenere un esame istologico mirato. Nei casi più avanzati il sospetto di neoplasia cervicale può essere posto anche sulla sola base clinica ma necessita ugualmente di conferma istologica. LA PRESENTAZIONE CLINICA può avvenire nelle seguenti forme: • Forma esofitica (tessuto friabile facilmente sanguinante) • Forma endofitica (cervice dura) • Forma a “barilotto” con esocervice integra • Forma ulcerativa (presenza di lesione crateriforme). Le più frequenti forme ISTOLOGICHE sono di natura epiteliale e comprendono i seguenti istotipi: • Squamoso (85%): cheratinizzante - non cheratinizzante - tipi speciali (e.g. verrucoso, fusato) • Adenocarcinoma (10-12%): endometrioide - a cellule chiare - sieroso tipo intestinale • Adenosquamoso (3-5%) • Adenocistico (3-5%) • Indifferenziato. 5. Stadiazione Una volta accertata la diagnosi si procede alla STADIAZIONE CLINICO-STRUMENTALE che comprende i seguenti esami: • Ecoflussimetria pelvica trans-vaginale e trans-rettale • RMN addomino-pelvica • Visita ginecologica in narcosi e biopsie di mappatura cervicali e vaginali (ed in caso di sospetta infiltrazione agli esami strumentali, cistoscopia e/o rettoscopia con biopsie delle mucose vescicali e/o rettali) • 18 FDG PET-TC (e qualora non disponibile esame TC total-body con mdc). Pagina La RMN assicura elevati valori di sensibilità e accuratezza diagnostica (rispettivamente 93% ed 86%). La RMN, come l’ECOFLUSSIMETRIA PELVICA, consente di valutare i seguenti parametri: • volume tumorale • preservazione dell’anello stromale cervicale • estensione vaginale • invasione parametriale 164 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice • invasione di strutture ed organi adiacenti l’utero (retto e vescica) • invasione della parete pelvica • presenza di linfadenopatie pelviche e retroperitoneali. • presenza di idronefrosi. In particolare nelle donne giovani con neoplasia iniziale che abbiano desiderio di preservare la fertilità, entrambi questi esami sono utili per valutazione dell’eleggibilità ad un trattamento chirurgico conservativo, verificando le seguenti condizioni: • dimensioni della neoplasia (<2 cm), • lunghezza del canale cervicale (>2.5 cm) • distanza del tumore dall’orifizio uterino interno (>1 cm) L’ESAME PET-TC è raccomandato in pazienti con carcinoma della cervice localmente avanzato. • Consente di individuare eventuali localizzazioni di malattia a distanza e di elaborare un corretto programma terapeutico • Rappresenta un riferimento basale nelle donne candidate a trattamento neo-adiuvante • Fornisce un approfondimento sullo stato linfonodale per una corretta programmazione pre-chirurgica nelle pazienti con elevato rischio di localizzazione linfonodale di malattia (alto grading istologico, stadio elevato, invasione linfovascolare) risultate negative agli altri esami strumentali, mostrando una sensibilità del 100% e una specificità del 96% (vs la sensibilità del 38-89% e la specificità del 78-99% della RMN). Alla luce delle indagini eseguite la patologia maligna cervicale può essere classificata secondo: • Stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) ultima revisione pubblicata nel 2009 (Figo Committee on Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009) • Stadiazione TNM (AJCC-American Joint Committee on Cancer, 7th Edition, 2008) 5.1 Stadiazione (FIGO 2009) • • I IA • • IA1 IA2 • IB • • • IB1 IB2 II • • • • • IIA IIA1 IIA2 IIB III Il carcinoma è strettamente confinato alla cervice Carcinoma invasivo che può essere diagnosticato solo microscopicamente con invasione in profondità ≤ 5 mm ed estensione in larghezza ≥ 7 mm Invasione stromale ≤ 3 mm in profondità ed estensione ≤ 7mm Invasione stromale > 3 mm ma < 5 mm di profondità con estensione < di 7 mm Lesione macroscopica limitata alla cervice o carcinoma preclinico maggiore dello stadio IA* Lesione macroscopica ≤ 4 cm di diametro massimo Lesione macroscopica > 4 cm di diametro massimo Carcinoma della cervice che si estende oltre l’utero senza giungere alla parete pelvica o al III inferiore della vagina Senza invasione dei parametri Lesione macroscopica ≤ 4 cm di dimensione maggiore Lesione macroscopica > 4 cm di dimensione maggiore Con evidente invasione dei parametri Il tumore si estende alla parete pelvica e/o coinvolge il III inferiore della vagina e/o causa idronefrosi e/o rene non funzionante** Pagina • IIIA • IIIB • IV • • IVA IVB Il tumore coinvolge il III inferiore della vagina; nessuna estensione alla parete pelvica Estensione alla parete pelvica e/o causa idronefrosi o rene non funzionante Il carcinoma si estende oltre la vera pelvi o ha coinvolto la mucosa della vescica o del retto (con conferma istologica su biopsia - l’edema bolloso come tale non permette di assegnare lo stadio IV) Infiltrazione della mucosa rettale o vescicale Metastasi a distanza. 5.2 Stadiazione TNM (AJCC - 7th Edition, 2008) • • • • • • • Tis N0 T1 T1A T1A1 T1A2 T1B T2 Carcinoma in situ preinvasivo Tumore limitato all’utero Diagnosi solo microscopica Minima invasione stromale Profondità < 5 mm, diffusione orizzontale < 7 mm Lesione superiore a T1A2 Tumore esteso oltre l’utero, non alla parete pelvica o al terzo inferiore della vagina • T2A Assenza di evidente coinvolgimento parametriale • T2B Evidente coinvolgimento parametriale • T3 Tumore esteso fino alla parete pelvica e/o al III inferiore della vagina • T3A Invasione di un terzo inferiore della vagina senza estensione alla parete pelvica • T3B Estensione alla parete pelvica e/o idronefrosi o rene escluso • T4 Invasione della mucosa della vescica o del retto e/o estensione fuori della piccola pelvi • NX Metastasi linfonodali non valutabili • N0 Assenza di metastasi linfonodali • N1 Metastasi linfonodali regionali • Mx Metastasi a distanza non valutabili • M0 Assenza di metastasi • M1 Presenza di metastasi a distanza. Le regole per una corretta stadiazione clinica, secondo la classificazione FIGO prevedono che: • Lo stadio sia definito clinicamente prima di qualsiasi programma terapeutico • La stadiazione clinica venga effettuata immediatamente dopo la diagnosi di cervico-carcinoma • Definito lo stadio esso non sia modificato successivamente al riscontro istologico • Nei casi di dubbio clinico tra due stadi venga scelto quello inferiore. È utile infine considerare che la stadiazione FIGO, maggiormente utilizzata nella pratica clinica, attualmente non include la valutazione di numerosi altri fattori prognostici, utili per la programmazione del piano terapeutico: • Tipo istologico, grado di differenziazione, recettori ormonali, virus e oncogeni, modalità di infiltrazione. • Stato linfonodale • Diffusione degli spazi linfo-vascolari • Volume del tumore. 165 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 6. Trattamento degli stadi precoci Il trattamento del carcinoma della cervice uterina con esordio in fase precoce (FIGO IA1-IB1) è modulabile in base allo stadio ed all’età di insorgenza della malattia, in ragione del desiderio di prole (l’incidenza nelle donne giovani che desiderano conservare la fertilità è pari al 25-40%). Può pertanto prevedere un atteggiamento terapeutico conservativo o demolitivo (figura 1). La chirurgia conservativa (fertility sparing) può essere riservata alle donne affette da malattia in stadio precoce (FIGO IA1-IB1) fortemente motivate alla conservazione della fertilità, con le seguenti caratteristiche: • Lesione cervicale con diametro < di 3 cm • Linfonodi negativi • Età ≤ 45 anni • Accertata fertilità a) In particolare, in caso di lesioni con diametro < 2 cm il trattamento di scelta prevede la conizzazione a lama fredda associata a linfadenectomia pelvica laparoscopica (LPS) o quando non possibile laparotomica (LPT). Qualora l’esame istologico definitivo mostri i margini del cono prossimi o infiltrati dalla malattia deve essere valutata la possibilità di una “ri-conizzazione” (fino ad ottenere una completa radicalità chirurgica). Nel caso il reintervento non fosse possibile (principalmente per ragioni steriche, come l’assenza di sufficiente tessuto cervicale residuo) sarà utile far seguire alla chirurgia un trattamento chemioterapico antiblastico adiuvante. b) Nelle lesioni con diametro > 2 e < 3 cm l’indicazione di prima istanza consiste nella visita ginecologica in narcosi con biopsie multiple e linfadenectomia pelvica sistematica LPS (o quando non possibile LPT). In caso di assenza di malattia linfonodale, nonostante le maggiori dimensioni della neoplasia, si potrà tentare la strada di una chirurgia conservativa sulla cervice, preceduta da chemioterapia antiblastica neoadiuvante, ed in base alla risposta clinica si valuterà l’appropriatezza delle seguenti opzioni: - chirurgia conservativa: conizzazione a lama fredda (in caso di sufficiente risposta alla terapia) - chirurgia radicale: isterectomia radicale di classe C1 secondo Querleu associata o meno all’annessiectomia bilaterale (in dipendenza dell’età e del desiderio della paziente) (in caso di risposta insufficiente alla terapia). In ogni caso, qualora l’esame istologico definitivo mostri linfonodi pelvici metastatici si procederà a chirurgia radicale, ossia: • isterectomia radicale di classe B1 (se T< 2 cm) o C1 (se T > 2 e < 3 cm) secondo Querleu, eventuale annessiectomia bilaterale (in dipendenza dell’età e del desiderio della paziente) • linfadenectomia paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore Infine, concluso lo step chirurgico, in presenza di malattia linfonodale e/o di multipli fattori prognostici sfavorevoli è necessario valutare, dopo adeguato counselling, l’aggiunta di un trattamento radioterapico adiuvante. La chirurgia radicale (no fertility sparing) è riservata alle donne giovani senza desiderio di prole o di fertilità, alle donne di età > 45 anni o con lesioni Figura 1. Cancro della cervice Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice del diametro ≥ 3 cm. In questi casi l’intervento può avvenire secondo: • tecnica laparoscopica (in caso di lesione di minore diametro che consenta l’utilizzo del manipolatore uterino) • tecnica laparotomica nel caso di lesioni ≥ di 3 cm • tecnica robotizzata (se il presidio è disponibile nella struttura). L’intervento chirurgico prevede • l’isterectomia radicale di classe B1 (se T< 2cm) o C1 (se T > 2 cm) secondo Querleu • l’annessiectomia bilaterale • la linfadenectomia pelvica sistematica ed eventualmente paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore (sulla base degli esami strumentali pre-operatori o dell’esame istologico estemporaneo intraoperatorio) La presenza all’esame istologico definitivo di fattori prognostici sfavorevoli pone indicazione all’aggiunta di un trattamento adiuvante. Nello specifico in caso di: • infiltrazione > del 50%, grading scarsamente differenziato (G3), interessamento degli spazi linfo-vascolari (LVI) e positività linfonodale (N+), la terapia adiuvante di scelta consiste nella radioterapia a fasci esterni (ERT) in associazione con la brachiterapia (BRT). • positività dei margini di resezione e/o parametri positivi la terapia adiuvante prevede radio-chemioterapia concomitante (ERT-CT) seguita da BRT. In questo gruppo di donne può inoltre essere considerata una RADIOTERAPIA ESCLUSIVA nel caso in cui la donna presenti importanti comorbidità che controindichino l’intervento chirurgico o nel caso di donne anziane. 7. Trattamento degli stadi avanzati molitiva per motivi anestesiologici, infettivologici (e.g. HIV positive), metabolici (e.g. diabete ed obesità severa) o per impedimenti psico-sociali a sostenere una chirurgia altamente demolitiva b) al profilo di tossicità più conforme alle esigenze della paziente (come ad esempio quello relativo alla omissione della chirurgia e dei suoi potenziali rischi, a fronte dell’accettazione degli esiti della BRT sui tessuti adiacenti la cervice, non osservabili invece in un trattamento RT-CT neoadiuvante) c) la preferenza dell’operatore a non eseguire un atto chirurgico demolitivo su tessuti già irradiati. La scelta del TRATTAMENTO NEOADIUVANTE SEGUITO DA CHIRURGIA RADICALE potrà avvalersi invece di due opzioni terapeutiche: Il trattamento degli stati avanzati si differenzia in base all’estensione, all’eventuale coinvolgimento della mucosa vescicale e rettale o alla presenza di metastasi a distanza. 1. Negli stadi di malattia IB2, II e III le opzioni terapeutiche prevedono un trattamento radio-chemioterapico esclusivo verso un trattamento neoadiuvante, seguito da chirurgia radicale ed eventuale trattamento adiuvante. In base ai dati attualmente disponibili in letteratura, le due opzioni risultano sostanzialmente sovrapponibili in termini di sopravvivenza. La scelta del TRATTAMENTO RADIO-CHEMIOTERAPICO ESCLUSIVO o RADIOTERAPICO ESCLUSIVO, verrà preferito in base a: a) le caratteristiche della paziente: donne con età > di 75 anni, PS ≥ 2, donne che in futuro siano in ogni modo non candidabili a chirurgia de- Riconizzazione Margini + ≤2 cm; N-: ≤45 aa (previo studio della fertilità) Conizzazione* + LFN pelvica (LPS) Fertility sparing N+ RAH*** + LFN pa (evSOB) N- >2 e < 3 cm; N-: ≤45 aa (previo studio della fertilità) Visita ginecologica in narcosi* + LFN (LPS) Early stage IA1-IB1 <2 cm No Fertility sparing RT esclusiva (80 gy) ≥2 cm Terapia adiuvante Counselling in centri oncologici di eccellenza N+ N+ (lombo-aortici), margini+, parametri+ * A lama fredda, ** Visita ginecologica in narcosi, *** Tipo B1 se T<2 cm - Tipo C1 se T ≥2 cm LACC IB2 - II - III RAH*** + LFN pa + (evSOB) T1, NX; RT-CT esclusiva Margini negativi CT a barre i platino RT di almeno T1, NX70Gy con caratteristiche ad alto rischio RT esclusiva o T2, NX RT di almeno 80Gy Attesa pT1-2, N0, M0 Resezione Chirurgica addominale pT3, N0, M0 o pT1-3, N1-3 RAH* + LFN + SOB LPS/LPT Terapia neoadiuvante ERT (+ CT) + BRT Resezione chirurgica Addominale RAH*** + LFN + SOB LPT cT1, N0 Escissione Transanale se possibile RT-CT Infiltrazione >50%, LVSI+, N+ (pelvici), G3 LPS/ROBOT Figura 2. Cancro della cervice Counselling in centri oncologici di eccellenza ERT - CT + BRT * Type C1 sec Querleu pT1-2, N0, M0 pT3, N0, M0 o pT1-3, N1-3 O 5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabinaCR RT, poi 5-FU ± leucovorina o micro 5-FUic/RT o PR 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, PR macro e/o seguita da 5-FU ± leucovorina N+, margini + Nei pazienti con pN+ si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino CR PR micro RAH* + LFN + SOB LPS/LPT PR macro e/o N+, margini + 5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorina Inflitrazione >50%, o G3, LVS1+, N+ (1 LFN) 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT, seguita da 5-FU ± leucovorina Attesa 166 FU CT SC FU FU CT Nei pazienti con pN+si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino Pagina FU Pagina 167 RT-CT RT RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici a) Radio-chemioterapia concomitante b) Chemioterapia antiblastica. La scelta avverrà in base a fattori come l’eleggibilità alla radioterapia pelvica o la presenza di eventuali controindicazioni soggettive alla radioterapia, la disponibilità dell’operatore ad eseguire un intervento chirurgico sugli esiti della radioterapia o le risorse tecniche del centro dove si svolge il trattamento (e.g. possibilità all’eventuale irradiazione della barra aortica). L’indirizzo terapeutico viene stabilito dopo aver completato la stadiazione clinico-strumentale: ecoflussimetria pelvica TV/TR, RMN addomino-pelvica, visita in narcosi con biopsie multiple, eventuale cistoscopia/rettoscopia, 18 FDG-PET/TC. Al termine del trattamento verrà effettuata una rivalutazione con i medesimi esami, ad eccezione della visita in narcosi con biopsie (che sarà utile ripetere solo in assenza di risposta alla terapia o per sospetta progressione di malattia). A seguire, la chirurgia radicale prevede: l’isterectomia di classe C1 secondo Querleu, l’annessiectomia bilaterale e la linfadenectomia sistematica pelvica ed eventualmente paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore (sulla base dell’esame istologico intraoperatorio degli esami strumentali). Anche in questo caso la tecnica chirurgica, quando possibile deve essere laparoscopica (o robotizzata) ed in alternativa laparotomica. Infine, una volta completato il trattamento neoadiuvante e la chirurgia, l’indicazione ad un eventuale trattamento adiuvante complementare verrà posta sulla base dell’esame istologico definitivo: • In presenza di una risposta patologica completa (CR) o parziale microscopica (PR micro) non seguiranno ulteriori terapie e la paziente sarà indirizzata ad uno stretto follow-up. • Nel caso in cui la risposta alla terapia neoadiuvante sia parziale macroscopica (PR macro) o assente, oppure in presenza di multipli fattori prognostici sfavorevoli (quali linfonodi positivi, infiltrazione > 50%, alto grading, margini di resezione positivi, parametri positivi o interessamento degli spazi linfo-vascolari) si porrà indicazione all’aggiunta di terapia adiuvante: chemioterapia o radio-chemioterpia concomitante, sulla base del precedente trattamento neoadiuvante. 2. Nello stadio IV le opzioni terapeutiche prevedono un diverso trattamento sulla base della presenza di metastasi a distanza o meno. Nello stadio IV A (Infiltrazione della mucosa vescicale e/o rettale) le opzioni terapeutiche prevedono un trattamento radio-chemioterapico esclusivo verso un trattamento neoadiuvante (RT-CT o CT). La scelta tra queste due opzioni terrà conto delle medesime considerazioni riportate per gli stadi meno avanzati. Come sempre il trattamento sarà preceduto da una completa valutazione clinico-strumentale che prevede: ecoflussimetria pelvica TV/TR, RMN addomino-pelvica, visita in narcosi con biopsie multiple, eventuale cistoscopia/ rettoscopia, 18 FDG-PET/TC. Al termine del trattamento verrà effettuata una rivalutazione clinico strumentale con i medesimi esami (compresa la visita in narcosi con eventuali biopsie di rivalutazione delle mucose vescicale/rettale). Per le donne sottoposte a TRATTAMENTO NEO-ADIUVANTE (RT-CT o CT): • in caso di progressione, stabilità di malattia (PD/SD) o infiltrazione della mucosa vescicale e/o rettale, l’indicazione terapeutica è la pelvectomia (anteriore, posteriore o totale) • in caso di risposta completa o parziale (CR/PR) e assenza di malattia vescicale e/o rettale alle biopsie di rivalutazione, sarà possibile eseguire una chirurgia più conservativa ma adeguatamente radicale, con il risparmio della vescica e/o del retto. Nello stadio IV B (metastasi a distanza) il trattamento può prevedere nell’immediato la CHIRURGIA PALLIATIVA, per il controllo dei sintomi legati al sanguinamento vaginale e/o rettale o la CHEMIOTERAPIA ANTIBLASTICA: • in caso di risposta parziale, stabilità o progressione di malattia oppure in caso di metastasi non resecabili, la chemioterapia assumerà il significato di trattamento esclusivo, ossia non seguito da chirurgia • in caso di completa risposta clinica delle localizzazioni a distanza o in presenza/persistenza di un’unica metastasi resecabile, si procederà all’intervento chirurgico pelvico con eventuale resezione della metastasi. Sulla base dell’esame istologico definitivo si valuterà l’opportunità di aggiungere eventuali terapie adiuvanti. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice 8. Refertazione istologica In considerazione della necessità di modulare il trattamento oncologico sulla base delle caratteristiche istologiche della malattia, è auspicabile la condivisione di un modello unico di refertazione istologica, come guida nelle diverse fasi della malattia (biopsie pre-trattamento e di rivalutazione, esame istologico intraoperatorio e definitivo) (tabella 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7). Tabella 3. Linfonodi pelvici: (linfonodi pelvici includono otturatori, iliaci interni, esterni e comuni) Numero totale Destro Sinistro Numero di linfonodi coinvolti Esame istologico definitivo Destro Sinistro Tabella 1. Esame macroscopico Margine di resezione Presente/assente vaginale Lunghezza: mm Dimetro: mm Estensione extranodale Si/ No Dimensione utero Lunghezza: mm Diametro trasverso: mm Diametro antero-posteriore: mm Tabella 4. Linfonodi para-aortici Annessi Presenti Assenti Normali Anormali Numero totale: Presenza tumore Sì No Dimensione del tumore: mm x mm Numero di linfonodi positivi: Posizione del tumore Anteriore: Posteriore: Destra: Sinistra: Circonferenziale: Esocervice: Endocervice: Numero di linfonodi negativi: Non asportati: Estensione extranodale: Si/No Tabella 5. Altri tessuti/organi Endometrio Normale: Anormale (specificare) Miometrio Normale: Anormale (specificare) Annesso destro Normale: Anormale (specificare) Annesso sinistro Normale: Anormale (specificare) Tabella 2. Esame microscopico Istotipo G1/Ben differenziato G2/Moderatamente differenziato Differenziazione G3/Scarsamente differenziato GX/Non applicabile Figura 3. Cancro della cervice RT-CT esclusiva IV A Massima estensione orizzontale: mm Tabella 6. AICC RNM 2009 (7 edizione) Spessore/profondità di invasione: mm pT Dimensioni Tumore RT-CT Valutazione della risposta post-CT (con ev biposie vescicali/rettali) Terapia neoadiuvante CT IV STADIO Pelvectomia se PD/SD o biopsie vescicali/rettali positive Chirurgia radicale diversa da plvectomia solo in casi di CR/PR e biopsie vescicali/rettali negative pN Mx Dimensioni utero Lunghezza: mm Diametro trasverso: mm Annessi Presenti/ assenti normali/anormali (specificare) Presenza tumore Sì/No Dimensione de tumore: mm x mm Coinvolgimento macroscopico della vagina Sì/No Coinvolgimento macroscopico dei paramentri Sì/No Coinvolgimneto macroscopico dei tessuti paracervicali Sì/No Si/No Distanza dal margine epiteliale vaginale distale: mm Coinvolgimento Paracervicale Se PR/SD/PD sulle metastasi o metastasi non resecabili IV B Sinistro Se coinvolto Destro CT esclusiva Si/No CT Coinvolgimento parametriale Se CR sulle metastasi o solo 1 metastasi resecabile Pagina 168 Sinistro Se coinvolto Destro Intervento chirurgico Invasione linfovascolare C4 Tabella 7. Esame istologio intraoperatorio Si/No Chirurgia palliativa R0 Stadio FIGO Spessore stroma cervicale sottotumorale non-coinvolto (spessore della rima tessutale esente da tumore): mm Coinvolgimento vaginale G2 Si/No Pagina 169 Diametro anteroposteriore: mm RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 9. Follow up Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice Risorse/Procedure Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Procedure Al termine del trattamento seguiranno periodici controlli clinico-strumentali, volti alla valutazione delle complicanze precoci e tardive conseguenti alle diverse terapie effettuate ed alla individuazione precoce di una eventuale ripresa di malattia. È noto infatti che la prognosi relativa al trattamento di una recidiva è legata alla precocità della sua diagnosi. I controlli che avverranno ogni 4 mesi per i primi due anni dal termine del trattamento comprendono i seguenti esami di base: • visita ginecologica con esplorazione rettale • scraping vaginale o Pap-test (in caso di trattamento conservativo) • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali • ecoflussimetria pelvica TV/TR A questi si aggiungono: • RMN addomino-pelvica (a cadenza semestrale) • 18 FDG-PET (a cadenza annuale o sulla base di un sospetto di ripresa di malattia) • TC total-body con mdc (quando PET non disponibile o controindicata) • cistoscopia e/o rettoscopia (negli stadi IV non sottoposti a pelvectomia) Nei successivi tre anni i controlli avverranno con cadenza semestrale prevedendo gli esami già elencati. Dopo il quinto anno il follow-up consisterà in controlli annuali di base. Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita Inizio procedura radioterapia 4 settimane dalla prescrizione Inizio terapia Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosi esclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile compatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con i tempi di guarigione della ferita chirurgica Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti Pubblicazione Tabella 1. Gruppo di lavoro tumori ginecologici (escluso il carcinoma dell’ovaio) Adesione a protocolli nazionali e internazionali Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) Risorse/Procedure Disponibilità Numero minimo di interventi per tumori ginecologici Servizio di anatomia patologica Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia) Idem Disponibilità di strumentazione laparoscopica Idem Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio Idem Numero pazienti trattati nel 2010 Presentazioni a Congressi e Corsi Relazioni, comunicazioni Presenza di una pubblicazione nell’anno 40 Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno nell’anno 10. Bibliografia Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem • NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia. Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 15 Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Simulazione con utilizzo di TC Idem Piano di trattamento basato su immagini TC Idem Immagini portali settimanali Idem Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem DH Disponibilità di accesso • • • 25 Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa IGRT Idem Brachiterapia Idem DEGENZE Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici • • • Procedure Prima visita specialistica • • Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti 1 settimana dalla richiesta di prenotazione Pagina 170 Almeno uno nell’anno • Pecorelli S. 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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio Coordinatore: Giovanni Scambia P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori, P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo, V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio Pagina 172 Pagina 173 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Segni e sintomi Pagina 175 2. Forme istologiche 2.1 Vie di diffusione Pagina 175 3. Diagnosi Pagina 175 4. Valutazione clinico strumentale Pagina 176 5. Stadiazione 5.1 Stadiazione del carcinoma del corpo uterino (FIGO 2009) 5.2 Stadiazione TNM del carcinoma del corpo uterino (AJCC/UICC) Pagina 177 Trattamento 6.1 Trattamento degli stadi precoci 6.2 Trattamento degli stadi avanzati Pagina 177 7. Terapia adiuvante Pagina 179 8. Refetazione istologica Pagina 180 9. Follow-up Pagina 181 10. Bibliografia Pagina 182 6. Pagina Pagina 177 Pagina 177 Pagina 177 Pagina 179 174 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio Il carcinoma dell'endometrio è il tumore maligno più comune in ambito ginecologico, con una stima globale di circa 43.470 nuovi casi nel 2010 e 7950 decessi. Nell’ultimo decennio la sua incidenza è notevolmente aumentata nei paesi sviluppati, rappresentando l’8-10% di tutte le neoplasie femminili. In Italia rappresenta il 5-6% dei tumori che colpiscono le donne, con 4.000 nuovi casi annui. L’età media alla diagnosi è 61 anni. Tuttavia rappresenta una patologia che dal 5% al 29% affligge donne in età riproduttiva con ≤ 45 anni. I fattori di rischio correlati allo sviluppo di questa neoplasia possono essere: Endogeni: • menarca precoce • menopausa tardiva • nulliparità • anovularità (policistosi ovarica) • • costituzionali (obesità, diabete, ipertensione arteriosa) genetici e familiari (nella correlazione con i tumori della mammella, ovaio e colon - vd Sindrome ereditaria, Lynch II, associata a mutazione a carico dei geni del mismatch repair - MMR) • tumori ovarici estrogeno secernenti. Esogeni: • dietetici • radioterapia a fasci esterni (ERT) in base alla dose e alla durata • terapia con tamoxifene • terapia estrogenica non bilanciata. Al contrario, i fattori di protezione comprendono: • contraccezione con E/P • età avanzata all’ultimo parto • menarca tardivo e/o menopausa precoce. 1. Segni e sintomi Il carcinoma dell’endometrio quasi mai decorre in maniera asintomatica ma spesso si manifesta con segni sfumati e non sempre riconoscibili. In particolare, in post-menopausa il sintomo di esordio più tipico è rappresentato dal sanguinamento uterino atipico che può avvenire sotto forma di spotting, blee- ding o metrorragia. Nelle donne in età riproduttiva ed in perimenopausa, in presenza di fattori di rischio, il sospetto deve essere posto anche di fronte ad anomalie del ritmo, della durata e della quantità del flusso mestruale o in presenza di perdite ematiche intermestruali. 2. Forme istologiche Il carcinoma endometriale si presenta più frequentemente nella forma endometrioide e più raramente nella forma di un istotipo speciale. In base alle caratteristiche del tessuto su cui si sviluppa si distinguono due differenti forme cliniche: • Il Tipo I che insorge prevalentemente in età perimenopausale ed in condizioni di iperestrogenismo, per il quale l’iperplasia complessa e/o con atipie rappresenta una condizione predisponente o una precancerosi. Particolari condizioni a rischio sono il diabete e l’obesità. L’istotipo prevalente è l’endometrioide, spesso a basso o medio grado di differenziazione e generalmente a buona prognosi • Il Tipo II insorge da un endometrio atrofico post-menopausale mostrando un comportamento clinico indipendente dall’assetto estrogenico. Gli istotipi prevalenti sono il sieroso, a cellule chiare e indifferenziato, spesso ad alto grading e con prognosi sfavorevole Più in generale la classificazione istologica del carcinoma dell’endometrio riflette le ampie possibilità di differenziazione della cellula ghiandolare di derivazione mulleriana: 1. Adenocarcinoma endometriale a. con differenziazione squamosa b. secretivo c. ciliato 2. Adenocarcinoma mucinoso 3. Adenocarcinoma sieroso 4. Adenocarcinoma a cellule chiare 5. Carcinoma squamoso Pagina 6. Carcinoma indifferenziato 7. Carcinoma misto 8. Tumori non classificabili La prognosi di questa neoplasia appare correlata maggiormente alla differenziazione istotipica della cellula d’origine piuttosto che al grado istologico della neoplasia. Infatti, mentre il carcinoma endometriale con le sue varianti, che si lega ad una condizione di iperestrinismo, si sviluppa perlopiù dalle cellule endometriali di un endometrio iperplasico, gli altri istotipi si sviluppano in prevalenza da cellule mulleriane pluripotenti in endometri atrofici. 2.1 Vie di diffusione La via di diffusione preferenziale del carcinoma dell’endometrio è quella linfatica e le probabilità di coinvolgimento linfonodale sono tanto più alte quanto più l’infiltrazione del miometrio si approssima alla rete linfatica sottosierosa Le vie di drenaggio linfatico dell’utero sono essenzialmente tre: • linfonodi pelvici (iliaci esterni, interni, comuni ed otturatori) attraverso il legamento largo ed i parametri • linfonodi paraortici, attraverso il legamento infundibolo-pelvico o i linfonodi pelvici • linfonodi inguinali, attraverso il legamento rotondo. In circa il 30% delle pazienti con linfonodi pelvici positivi è presente anche un coinvolgimento dei linfonodi para aortici; tuttavia non è escluso il riscontro della positività di questi ultimi a fronte della negatività a livello pelvico. 175 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici dali) agli esami precedenti precedente procedura chirurgia non adeguata ai fini della stadiazione (figura 1). Infine si può ricorrere all’esame TC (TORACE-ADDOME-PELVI con mdc) qua- 3. Diagnosi • Attualmente non esiste alcuna forma di screening approvata dal momento che esami come l’ecografia trans-vaginale, le periodiche biopsie endometriali random, la citologia endometriale mediante aspirazione elavaggio o abrasione in donne asintomatiche non si sono rivelate all’altezza dei criteri necessari per un utilizzo di massa. Nelle donne sintomatiche che manifestano perdite ematiche atipiche esiste l’indicazione ad un percorso diagnostico che prevede l’esecuzione di: • ecografia pelvica TV, possibilmente associata a flussimetria • isteroscopia diagnostica con eventuale biopsia delle aree sospette • resettoscopia • l’unica certezza diagnostica è data dall’esame istologico. L’esame isteroscopico (ISC) consente di valutare le irregolarità della cavità uterina e del rivestimento endometriale, orientando in caso di sospetto il prelievo bioptico; esamina inoltre il canale cervicale, offrendo informazioni sul’eventuale estensione della malattia in quella direzione. Tuttavia, non sempre è possibile condurre l’accertamento bioptico nel corso di un esame ISC ambulatoriale o il campione prelevato può risultare inadeguato; in questo caso si deve optare per una procedura resettoscopica che consente di effettuare manovre invasive mirate in condizioni di analgesia con il prelievo di campioni multipli e più frequentemente adeguati. La tipizzazione istologica della malattia è di fondamentale importanza perchè consente un primo orientamento terapeutico, offrendo le informazioni di base relative all’istotipo ed al grading. 4. Valutazione clinico strumentale Ottenuta la diagnosi istologica si procede allo inquadramento strumentale della diffusione della malattia mediante i seguenti esami di base: • Ecoflussimetria pelvica trans-vaginale • RMN addomino-pelvica con mdc • Rx torace. In particolare: L’Ecoflussimetria pelvica TV offre informazioni su: • Presenza di tessuto neoplasitco endocavitario e diametro massimo della mlattia • Infiltrazione miometriale e residuo miometriale libero (in mm) • Estensione al canale cervicale, eventuale infiltrazione profonda o sconfinamento oltre l’anello stromale Localizzazione di malattia a livello annessiale Valutazione dei setti vescico-vaginale e retto-uterino, dei parametri e delle strutture linfonodali. La RMN addomio-pelvica con MDC aggiunge a quanto già riportato sopra: • la valutazione linfonodale pelvica e retroperitoneale con un’elevata accuratezza diagnostica (sensibilità 50% con specificità 95%), leggendo come patologici i linfonodi con asse corto > 10 mm o con configurazione rotonda ed asse corto ≥ 8 mm. L’aggiunta di un esame 18 FDG PET/TC può risultare di ausilio nei seguenti casi: • malattia avanzata all’esordio, nel rischio consistente si metastasi a distanza • approfondimento strumentale di lesione dubbie (principalmente linfono- Stadio IA, G1-2 (senza invasione del miometrio) Osservazione Negativo RM/PET-TC Positivo Stadio IA, G1-2 (con invasione del miometrio <50%) 1. La stadiazione più utilizzata è quella della FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) - ultima revisione pubblicata nel 2009 (Figo Committee on Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009) basata sul reperto chirurgico ed istopatologico definitivo attraverso cui si effettua una precisa valutazione dell’estensione della neoplasia e dei suoi fattori prognostici. 2. La stadiazione TNM (AJCC/UICC, American Joint Committee on Cancer/ Union Internationale Contre le Cancer, Fourth Edition 1982, revisionata nel 1992) meno utilizzata rispetto alla stadiazione FIGO. 5.1 Stadiazione del carcinoma del corpo uterino (FIGO 2009) • • • • I IA IB II • • III IIIA • • • • • IIIB IIIC IIIC1 IIIC2 IV • • IVA IVB Il tumore confinato al corpo dell’utero No invasione o invasione < 50% del miometrio Invasione ≥ 50% del miometrio Il tumore invade lo stroma cervicale ma non si estende oltre l’utero** Estensione locale e/o regionale del tumore Il tumore invade la sierosa del corpo uterino e/o gli annessi *** Interessamento vaginale e/o parametriale Metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraortici Linfonodi pelvici positivi Linfonodi paraortici positivi con o senza linfonodi pelvici positivi Il tumore invade la vescica e/o la mucosa intestinale e/o metastasi a distanza Il tumore invade la vescica e/o la mucosa intestinale Metastasi a distanza, incluse metastasi intra-addominali e/o linfonodi inguinali ** il coinvolgimento delle ghiandole endocervicali dovrebbe essere considerato solo come stadio i e non più come stadio II. *** la citologia positiva deve essere riportata separatamente senza cambiamento dello stadio 5.2 Stadiazione TNM del carcinoma del corpo uterino (AJCC/UICC) • • • • • • • • • • Tis T1 T1A T1B T1C T2 T2A T2B T3 T3A • • • • • • • • T3B T4 NX N0 N1 MX M0 M1 Carcinoma in situ Tumore confinato al corpo dell’utero Tumore limitato all’endometrio Tumore che invade non oltre il 50% Tumore con invasione dello spessore del miometrio > del 50 Il tumore ha invaso la cervice uterina senza spingersi oltre l’utero Tumore con interessamento ghiandolare endocervicale Tumore con interessamento dello stroma cervicale Il tumore diffonde oltre l’utero Tumore con interessamento della sierosa, e/o degli annessi e/o con citologia peritoneale positiva per cellule tumorali maligne Metastasi vaginali Tumore che invade la vescica e/o l’intestino Metastasi linfonodali non valutabili Assenza di metastasi linfonodali Metastasi linfonodali regionali Metastasi a distanza non valutabili Assenza di metastasi Presenza di metastasi a distanza Fattori prognostici 1) Tipo istologico 2) Grado di differenziazione istologica 3) Profondità di invasione miometriale 4) Coinvolgimento cervicale 5) Invasione vascolare 6) Presenza di iperplasia endometriale atipica associata 7) Stato dei recettori per il progesterone 8) Ploidia del DNA 9) Coinvolgimento degli annessi 10) Citologia peritoneale 11) Metastasi linfonodali pelviche e para-aortiche. Ristadiazione chirurgica o istologia positiva per malattia metastatica Trattamenti adiuvanti Positivo Stadio IA, G3 Stadio IB Stadio II lora la struttura non offra la possibilità di eseguire una RMN o una PET/TC oppure nel caso della disponibilità di ecografisti dedicati che garantiscano le informazioni necessarie alla pianificazione terapeutica (ad eccezione della valutazione linfonodale), di norma ricavabili da un esame RMN. 5. Stadiazione • • Figura 1. Diagnostica per immagini nel caso di stadiazione chirurgica incompleta Stadiazione chirurgica inconpleta Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio RM/PET-TC Pagina Negativo 176 6. Trattamento Il trattamento chirurgico rappresenta, nel carcinoma dell’endometrio, il gold standard. Esso consente una corretta stadiazione, una corretta individuazione delle pazienti ad alto rischio di recidiva e, conseguentemente, l’indicazione ad una eventuale terapia adiuvante. Pagina 6.1 Trattamento degli stadi precoci Il trattamento del carcinoma dell’endometrio con esordio in fase precoce (FIGO IA-IB) è modulabile in base allo stadio, all’istotipo ed all’età di insorgenza della malattia, in ragione del desiderio di prole. Può pertanto prevedere un atteggiamento terapeutico conservativo o demolitivo. 177 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio ferenziato o infiltrazione > 50%, con un grading moderatamente o scarsamente differenziato, la linfoadenectomia pelvica sistematica deve essere compresa nello sforzo chirurgico, dato il maggior rischio di metastasi linfonodali (figura 2). Figura 1. Trattamento degli stadi precoci “Fertility sparing” Adenocarcinoma tipo endometrioide G1, studio della fertilità, non invasione miometriale ISC+MA 6.2 Trattamento degli stadi avanzati Stadio precoce (IA, IB) Tecnica LPS accessibile LPS* No linfoadenectomia** Lymph No fertility sparing Tecnica impossibile LPT* Negativo(Stadio FIGO Il trattamento degli stati avanzati del carcinoma dell’endometrio II-IV) si differenzia in base allaRM/PET-TC diffusione della malattia e alla presenza di Positivo segni e sintomi: Stadio IA, G1-2 • Chirurgia radicale: (con invasione del - donne sintomatiche (in presenza di anemizzazione severa) miometrio <50%) Ristadiazione chirurgica o istologia - malattia aggredibile chirurgicamente positiva per malattia metastatica • Terapia neoadiuvante: - donne asintomatiche - malattia metastatica La terapia neoadiuvante prevede un ciclo completo di terapia antiblastica con rivalutazione della diffusione di malattia. Quando possibile a questa segue un trattamento chirurgico. L’intervento chirurgico prevede: Osservazione • isterectomia totale • annessiectomia bilaterale • linfoadenectomia pelvica e/o lombo-aortica • omentectomia totale • resezione di metastasi macroscopiche Il fine è effettuare una chirurgia radicale quindi ottimale con assenza di malattia macroscopicamente visibile (RT=0) (figura 3). No linfoadenectomia** Trattamenti adiuvanti Positivo * Isterectomia radicale Tipo Ao B1 in caso diinflitrazione della cervice sec Querleu Annessiectomia + linfoadenectomia pelvica (min. 15 N) +/- linfoadenectomia lombo-aortica (min. 10 N) **Invasione miometriale: <50% G1-G2 Invasione miometriale: >50% G1 (Endometrioid type) 7. Terapia adiuvante Stadio IA, G3 Stadio IB Stadio II Il TRATTAMENTO CONSERVATIVO può essere eseguito in donne che presentano le seguenti caratteristiche: • Giovane età < 45 anni • Istotipo endometrioide • Assente infiltrazione miometriale • Grado ben differenziato (G1) • Accertata fertilità Il “Fertility Sparing” prevede l’esecuzione di un’isteroscopia operativa che accerti la presenza di un carcinoma in stadio iniziale con le caratteristiche suddette, seguita da una terapia ormonale (e.g. Medrossiprogesterone acetato- Megace®) a cadenza trimestrale fino alla completa risposta. La risposta al trattamento progestinico viene valutata attraverso un’isteroscopia diagnostica con biopsie ed una ecoflussimetria pelvica, TV al termine di ogni ciclo di terapia ormonale. Il TRATTAMENTO RADICALE è riservato a: • donne giovani in assenza di desiderio di prole • donne di età > 45 anni • infiltrazione miometriale • grado istologico ≠ G1 • istotipi speciali (sieroso, cellule chiare, indifferenziato) L’indicazione terapeutica è rappresentata dall’isterectomia radicale Tipo A o B1 (nel caso di infiltrazione della cervice) secondo la classificazione di Querleu, annessiectomia bilaterale, lavaggio pelvico per esame citologico, linfoadenectomia pelvica con asportazione di un minimo di quindici linfonodi bilateralmente e/o lomboaortica con un minimo di dieci linfonodi bilateralmente sulla base della presenza o meno di malattia linfonodale pelvica. La tecnica chirurgica di scelta è oggi rappresentata dalla laparoscopia, in grado di ottenere ottimi risultati in termini di radicalità equiparabili alla chirurgia laparotomia, ma anche di ottenere un miglior out come post-operatorio (rapida mobilizzazione, diminuiti giorni di degenza, scarsa sintomatologia dolorosa post-chirurgica) non paragonabile ad una chirurgia a cielo aperto. Il trattamento chirurgico del carcinoma dell’endometrio richiede una valutazione istologica intraoperatoria al fine di valutare l’istotipo, l’infiltrazione miometriale, il grading, il coinvolgimento del canale cervicale. Questo muove la scelta di eseguire o meno la linfoadenectomia pelvica: • in caso di infiltrazione miometriale < 50%, grado istologico ben o moderatamente differenziato (G1-G2) o istotipo endometrioide con infiltrazione miometriale > 50% ben differenziato (G1), la linfoadenectomia pelvica può essere omessa. • In caso di infiltrazione del miometrio < 50%, grading scarsamente dif- Negativo Nella scelta di una terapia adiuvante necessaria risulta la valutazione dei FATTORI PROGNOSTICI: • tipo istologico • grado Istologico (25%) • invasione linfo-vascolare • invasione miometriale (28-34%) • stato dei linfonodi • invasione stroma cervicale (20%) • diametro del tumore (< 2 cm vs ≥ 2 cm). La terapia adiuvante più diffusa nel carcinoma dell’endometrio è la radioterapia a fasci esterni sulla pelvi in combinazione o meno con la radioterapia intracavitaria. La radioterapia è ormai riconosciuta come efficace per il controllo locale della malattia. In letteratura non sono presenti molti studi che pongono l’indicazione di una terapia antiblastica negli stadi precoci di malattia, nonostante vi sia evidenza che in presenza di fattori prognostici negativi, l’associazione di una terapia antiblastica in aggiunta alla radioterapia riduca il rischio di metastasi a distanza (frequente causa di decessi), aumentando quindi il tasso di sopravvivenza. Nel carcinoma dell’endometrio che interessa mucosa e infiltra il < 50% (IA, grading G1-G2-G3), in presenza o meno di fattori prognostici negativi, non si pone indicazione ad una terapia adiuvante. Questo concetto e’ valido anche in presenza di una neoplasia infiltrante il miometrio per più della metà (IB grading G1-G2), però in assenza di ulteriori fattori prognostici negativi. In generale, la presenza di un carcinoma scarsamente differenziata richiede Tabella 1. Terapia adiuvante G1 G2 G03 Stadiazione completa No Risk factors Observe Observe Observe Risk factors* Observe Observe Observe or vaginal BRT No risk factors Observe Observe ERT+/- vaginal BRT Risk factors + II Observe or vaginal BRT ERT +/- vaginal BRT ERT and vaginal BRT +/- CT IA IB Figura 3. Trattamento degli stadi avanzati Casi clinicamente operabili e/o pazienti sintomatiche Surgical effort - Isterectomia - Annessiectomia bilaterale - Liufoadenectomia - Omentectomiaa - Resezione metastasi LPT/LPS Stadio FIGO avanzato II-IV Casi inoperabili clinicamente e/o pazienti asintomatici RM/PET-TC Stadiazione incompleta Imaging ERT (no LN paraortici) + vaginal BRT IA, G3, IB Imaging + II ERT (+ LN paraorici + vaginal BRT + CT G1 G2-G3 IIIA ERT ± BRT (?) CTx4 + ERT sequential Alternativa: CTx6 ± BRT IIIB-IIIC ALL G CTx4 + ERT (sequential) or CTx3 + ERET + CTx3 RT=0 LPS NACT IV A (debulking senza grosso residuo o residuo microscopico) Pagina 178 ALL G CTx6 Pagina 179 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici una più attenta valutazione al fine stabilire se realmente non vi è la necessità di una terapia adiuvante. In stadi ancora precoci di malattia, in presenza di più fattori di prognosi negativi, si pone indicazione ad una terapia adiuvante. La sola chirurgia può rappresentare l’opzione nel caso di un tumore ben differenziato in presenza di fattori di rischio. Differentemente la radioterapia adiuvante può ridurre il rischio di ripresa di malattia, quando somministrata in neoplasie di grado moderato. Molto discusso invece, è la necessità di eseguire in donne con malattia allo stadio iniziale con più fattori prognostici negativi, una chemioterapia che segua alla radioterapia. Studi presenti in letteratura sostengono che l’associazione di una chemioterapia in uno stadio IB, con più fattori prognostici negativi riduce la possibilità di ripresa di malattia a distanza, determinando un incremento della sopravvivenza e un maggior tempo libero domani mattina.Nel II stadio (invasione dello stroma cervicale) in presenza o meno di fattori prognostici negativi l’opzione terapeutica è di uno stretto controllo nel caso in cui il tumore sia ben differenziato. Peggiorando il grading, si rende necessaria una radioterapia nel caso que- sto risulti un grading moderatamente differenziato, in associazione di una radio-chemioterapia non concomitante nelle forme scarsamente differenziate. Nello stadio IIIA (invasione della sierosa dell’utero e/o interessamento degli annessi), come negli altri casi, il trattamento adiuvante cambia sulla base del grado istologico; in caso di un tumore ben differenziato l’indicazione di una radioterapia a fasci esterni in associazione o meno alla brachiterapia. Nel tumore moderatamente/scarsamente differenziato, alla radioterapia seguiranno quattro cicli di terapia antiblastica. L’alternativa può essere rappresentata da sei cicli di chemioterapia associata o meno ad una brachiterapia. Nello stadio IIIB/IIIC (interessamento vaginale e/o parametriale/metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraortici), la terapia di scelta è la terapia antiblastica associata da una radioterapia esterna; in alternativa tre cicli di chemioterapia, radioterapia esterna e ulteriori tre cicli di chemioterapia. Nello stadio IV (invasione della vescica e/o della mucosa intestinale e/o metastasi a distanza), si pone indicazione ad un ciclo completo di terapia antiblastica. La terapia ormonale non trova indicazione come terapia adiuvante. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio 9. Follow up Al termine del trattamento seguiranno periodici controlli clinico-strumentali, volti alla valutazione delle complicanze precoci e tardive conseguenti alle diverse terapie effettuate ed alla individuazione precoce di una eventuale ripresa di malattia. Il programma di follow-up diagnostico strumentale, viene modulato anche sulla base dei fattori di rischio. I controlli avverranno ogni 3/4 mesi per i primi due anni dal termine del trattamento e comprendono i seguenti esami di base: • visita ginecologica • scraping vaginale • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali • ecoflussimetria pelvica TV/TR. A questi si aggiungono: • RMN addomino-pelvica (a cadenza semestrale) • 18 FDG-PET (a cadenza annuale o sulla base di un sospetto di ripresa di malattia) • TC total-body con mdc (quando PET/TC non disponibile o controindicata). Nei successivi tre anni i controlli avverranno con cadenza semestrale prevedendo gli esami già elencati. Dopo il quinto anno il follow-up consisterà in controlli annuali di base. Tabella 1. Gruppo di lavoro tumori ginecologici (escluso il carcinoma dell’ovaio) Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) Risorse/Procedure 8. Refertazione istologica Numero minimo di interventi per tumori ginecologici In considerazione della necessità di modulare il trattamento oncologico sulla base delle caratteristiche istologiche della malattia, è auspicabile la condivisione di un modello unico di refertazione istologica, come guida della corretta scelta chirurgica e dell’adeguatezza di una eventuale terapia adiuvante (esame istologico intraoperatorio e definitivo). Se esiste anormalità, specificare: Linfonodi Pelvici Numero totale 40 Servizio di anatomia patologica Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia) Idem Disponibilità di strumentazione laparoscopica Idem Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio Idem Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem Numero coinvolti Esame istologico definitivo NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia. Esame macroscopico Linfonodi Dimensioni dell’utero X mm Diametro massimo del tumore X mm Invasione miometriale Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Radioterapia Oncologica Para-aortici Sì/No Esame istologico numero totale Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo Numero coinvolti Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Simulazione con utilizzo di TC Idem Piano di trattamento basato su immagini TC Idem Immagini portali settimanali Idem Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem DH Disponibilità di accesso Lavaggio peritoneale: Istotipo Grado FIGO (solo istotipo endometrioide) % dell’invasione dello spessore del miometrio (facoltativo: mm/mm di spessore) Coinvolgimento microscopico di: Canale cervicale Sì/No Parametrio Sì/No Annessi Commenti: Esame istologico intraopeatorio Esame macroscopico Dimensioni dell’utero X mm Sì/No Diametro massimo del tumore X mm Sierosa Sì/No Invasione miometriale Sì/No Spazi linfovascolari Sì/No>>>>focale/massiva Normalità delle seguenti strutture 15 Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 25 Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Grado FIGO (solo istotipo endometrioide) IGRT idem % dell’invasione dello spessore del miometrio (facoltativo: mm/mm di spessore) Brachiterapia idem DEGENZE Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici Tuba destra Sì/No Ovaio destro Sì/No Tuba sinistra Sì/No Coinvolgimento macroscopico di: Procedure Ovaia sinistra Sì/No Canale cervicale: Sì/No Prima visita specialistica Pagina Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti 180 Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti 1 settimana dalla richiesta di prenotazione Pagina 181 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Risorse/Procedure Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Numero pazienti trattati nel 2010 Disponibilità Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita Inizio procedura radioterapia 4 settimane dalla prescrizione Inizio terapia Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosi esclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile compatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con i tempi di guarigione della ferita chirurgica Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti Pubblicazioni Adesione a protocolli nazionali e internazionali Almeno uno nell’anno Presentazioni a Congressi e Corsi Relazioni, comunicazioni Presenza di una pubblicazione nell’anno Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno nell’anno • • • • • • • Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva Coordinatore: Giovanni Scambia 10. Bibliografia • Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva Pecorelli S. Revised FIGO staging for carcinoma of the vulva, cervix, and endometrium. Int J Gynaecol Obstet. 2009; 105(2): 103-4. Querleu D, Morrow CP. Classification of radical hysterectomy. Lancet Oncol. 2008; 9(3): 297-303. Review. Di Leo S, Benedetti Panici PL, Bolis PF, Di Re F, Pecorelli S, Stiroli C, Di Leo S, Di Re F. Linee guida Ginecologia Oncologica SIGO. Vandenput I, Trovik J, Vergote I, Moerman P, Leunen K, Berteloot P, Neven P, Salvesen H, Amant F. The role of adjuvant chemotherapy in surgical stages I-II serous and clear cell carcinomas and carcinosarcoma of the endometrium: a collaborative study. Int J Gynecol Cancer. 2011; 21(2): 332-6. Hogberg T, Signorelli M, Freire de Oliveira C, Fossati R, Lissoni AA, Sorbe B, Andersson H, Grenman S, Lundgren C, Rosenberg P, Boman K, Tholander B, Scambia G, Reed N, Cormio G, Tognon G, Clarke J, Sawicki T, Zola P, Kristensen G. Sequential adjuvant chemotherapy and radiotherapy in endometrial cancer - Results from two randomised studies. Eur J Cancer. 2010; 46(13): 2422-31. Park H, Seok JM, Yoon BS, Seong SJ, Kim JY, Shim JY, Park CT. Effectiveness of high-dose progestin and long-term outcomes in young women with early-stage, well-differentiated endometrioid adenocarcinoma of uterine endometrium. Arch Gynecol Obstet. 2012; 285(2): 473-8. Mylonas I, Schindlbeck C. Lymphadenectomy as a prognostic marker in uterine non-endometrioid carcinoma. Arch Gynecol Obstet. 2012; 285(1): 207-14. Mao Y, Wan X, Chen Y, Lv W, Xie X. Outcomes of conservative therapy for young women with early endometrial adenocarcinoma. Fertil Steril. 2010; 93(1): 283-5. Pagina • • • • • • Mazzon I, Corrado G, Morricone D, Scambia G. Reproductive preservation for treatment of stage IA endometrial cancer in a young woman: hysteroscopic resection. Int J Gynecol Cancer. 2005; 15(5): 974-8. Fanfani F, Gagliardi ML, Zannoni GF, Gallotta V, Vizzielli G, Lecca A, Scambia G, Fagotti A. 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Benedetti Panici P, Basile S, Maneschi F, Alberto Lissoni A, Signorelli M, Scambia G, Angioli R, Tateo S, Mangili G, Katsaros D, Garozzo G, Campagnutta E, Donadello N, Greggi S, Melpignano M, Raspagliesi F, Ragni N, Cormio G, Grassi R, Franchi M, Giannarelli D, Fossati R, Torri V, Amoroso M, Crocè C, Mangioni C. Systematic pelvic lymphadenectomy vs. no lymphadenectomy in early-stage endometrial carcinoma: randomized clinical trial. J Natl Cancer Inst. 2008; 100(23): 1707-16. 182 P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori, P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo, V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio Pagina 183 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici INDICE 1. Fattori di rischio Pagina 185 2. Sintomatologia Pagina 185 3. Screening Pagina 185 4. Diagnosi Pagina 185 5. Valutazione clinico-strumentale Pagina 186 6. Stadiazione 6.1 Stadiazione FIGO (2009) 6.2 Stadiazione TNM (2002) Pagina 186 7. Principi generali di trattamento Pagina 187 8. Trattamento per stadi Pagina 188 9. Tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva Pagina 190 10. Refertazione istologica Pagina 191 11. Follow up Pagina 192 12. Bibliografia Pagina 193 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva Il carcinoma della vulva, responsabile di circa il 5% dei tumori maligni del tratto genitale femminile, è il 5° tumore ginecologico per frequenza dopo mammella, endometrio, ovaio e cervice uterina. E’ rappresentato in circa il 90% dei casi da forme istologiche squamocellulari. L’incidenza annua è pari ad 1-2/100.000 e colpisce più frequentemente donne in post-menopausa, con un’età media di circa 68 anni, sebbene negli ultimi 20 anni, per le forme in situ che precedono di circa 10 anni quelle invasive, sia stato registrato un abbassamento dell’età media di rischio a 44 aa,. L’associazione con l’infezione HPV è frequente nelle forme in situ o inizialmente invasive. L’età media al decesso è di circa 79 anni. 1. Fattori di rischio • • • • • • • • • Variazioni ormonali della menopausa Età avanzata Stati di immunodepressione (e.g. infezione da HIV) Papilloma-virus (HPV) Lesioni cutanee vulvari croniche (e.g. lichen sclerosus) Precancerosi vulvari (VIN) Fumo di sigaretta Pregresso tumore della cervice Melanoma o nevi atipici Pagina 186 Pagina 186 2. Sintomatologia Macroscopicamente i tumori della vulva formano masse esofitiche dure e ulcerate. Nella maggior parte dei casi sono coinvolte le grandi e le piccole labbra; il clitoride è interessato primariamente nel 5-15% dei casi e la forchetta posteriore nel 15%. Le pazienti riferiscono spesso con una lunga storia di prurito e bruciore, associato a dolore solo nelle forme avanzate: l’elasticità dell’area vulvo-vaginale consente infatti una discreta crescita di tessuto tumorale con necrosi estese ed ulcerazioni, inizialmente senza la comparsa di dolore. Circa il 20% delle pazienti presentano lesioni di piccole dimensioni e possono essere asintomatiche, pertanto la diagnosi avviene nel corso dei controlli ginecologici di routine. Quando l’orifizio uretrale esterno viene coinvolto dalla malattia a questi sintomi può aggiungersi la disuria. Se la lesione subisce un’evoluzione verso la necrosi o l’ulcerazione possono infine comparire il sanguina- mento o delle secrezioni maleodoranti, dovute principalmente alla sovrapposizione di infezioni locali. Nelle pazienti che si presentano con malattia avanzata la neoplasia può sovvertire l’intera architettura vulvare ed estendersi al resto del perineo o alla vagina, all’ano ed al retto, con possibile sviluppo di fistole. Il coinvolgimento dei linfonodi inguinali analogamente può essere iniziale e sub-clinico (dunque asintomatico) o massivo, apprezzandosi clinicamente come nodularità di diametro variabile, perlopiù dure e mobili oppure fisse ai tessuti circostanti, profondi (sul piano muscolare e vascolare) o superficiali (sul piano cutaneo, fino alla produzione di fistole). Il linfedema degli arti inferiori o della cute perineale e del monte di venere si sviluppa principalmente in caso di coinvolgimento linfonodale, come conseguenza dell’ostacolo meccanico al drenaggio linfatico. 3. Screening L’unica forma di prevenzione secondaria possibile consiste nell’attenta e corretta osservazione e palpazione della regione vulvare e perineale durante la visita gi- necologica e, nel caso di comparsa di lesioni sospette o di distrofia cutanea, nell’approfondimento mediante vulvoscopia ed eventuale biopsia delle sedi sospette. 4. Diagnosi La diagnosi del carcinoma vulvare è esclusivamente istologica: più comunemente avviene mediante una biopsia effettuata in sede ambulatoriale o l’exeresi dell’in- Pagina 184 Pagina tera formazione; al contrario raramente la citologia da scraping o da apposizione può fornire gli elementi sufficienti all’orientamento terapeutico. 185 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 5. Valutazione clinico-strumentale Una volta ottenuta la diagnosi, una valutazione clinico-strumentale di base della malattia consente di stabilire un corretto programma terapeutico; essa comprende: • Rx torace • Ecografia inguinale bilaterale con eventuale esame citologico per aspirazione dei linfonodi sospetti • TC (o RMN) con mdc dell’addome e della pelvi (in base alla disponibilità del centro) per la valutazione epatica e linfonodale pelvica e retroperitoneale • Markers tumorali (SCC e CA125). A questi esami possono aggiungersi: • • • • 7. Principi generali di trattamento ecografia pelvica trans-vaginale (opzionale, per l’esclusione di patologie concomitanti del corpo uterino e degli annessi) visita in narcosi con biopsie di mappatura per la programmazione del piano terapeutico (in caso di malattia multifocale, prossima alla linea mediana o localmente avanzata) cistoscopia/rettoscopia nel corso della narcosi (in caso di sospetto di infiltrazione uretrale, vescicale o rettale) 18FDG-PET (in caso di patologia avanzata ad alto rischio di localizzazioni linfonodali o viscerali a distanza o in caso di reperti dubbi ai precedenti esami strumentali). 6. Stadiazione Attualmente non si dispone di una stadiazione CLINICA per la classificazione del carcinoma della vulva, pertanto l’unica stadiazione disponibile è su base istologica, ossia POST-CHIRURGICA. La classificazione per stadi può avvenire secondo due stadiazioni ufficialmente riconosciute: 1) Stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) - la cui ultima revisione è stata pubblicata nel 2009 (Figo Committee on Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009): le modifiche più sostanziali apportate in quest’occasione sono riassumibili nel ridimensionamento del peso prognostico attribuito in precedenza alle dimensioni della neoplasia (anche nei casi di iniziale infiltrazione delle struttura anatomiche della linea mediana, quali la vagina, l’uretra e l’ano/retto) e nella valorizzazione dell’impatto della malattia linfonodale sulla prognosi (in particolare in base al numero di linfonodi coinvolti e alle dimensioni degli impianti neoplastici linfonodali), indipendentemente dalla mono o bilateralità della diffusione linfonodale 2) Classificazione TNM - la cui ultima revisione è stata pubblicata nel 2002 (American Joint Committee on Cancer.: AJCC Cancer Staging Manual. 6th ed. New York) 6.1 Stadiazione FIGO (2009) • • I IA • IB • II • III Tumore confinato alla vulva con linfonodi negativi Lesione ≤ 2 cm, confinato alla vulva o al perineo e con invasione stromale ≤ 1 mm Lesione > 2 cm o con invasione stromale > 1 mm confinato alla vulva o al perineo Tumore di diverse dimensioni con estensione ad adiacenti strutture perineali (terzo inf. dell’uretra/terzo inf. della vagina e/o estensione all’ano) con linfonodi negativi Tumore di diverse dimensioni con estensione ad adiacenti Pagina Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva • • • • IIIA IIIB IIIC IV • IVA • IVB • • Tis T1a • T1b • • T2 T3 • T4 • • • • • N0 N1 N2 M0 M1 strutture perineali (terzo inf. dell’uretra/terzo inf. della vagina e/o estensione all’ano) con linfonodi positivi 1 linfonodo positivo ≥ 5 mm o 1-2 linfonodi positivi < 5 mm 1 linfonodo positivo ≥ 5 mm o 1-2 linfonodi positivi < 5 mm Linfonodi positivi con invasione extracapsulare Il tumore invade altre regioni (2/3 sup. dell’uretra, 2/3 sup. della vagina) o strutture a distanza I - Il tumore invade il terzo superiore dell’uretra e/o della mucosa vaginale, la mucosa vescicale, la mucosa rettale, la parete ossea pelvica II - linfonodi inguino-femorali ulcerati o fissi Metastasi a distanza o dei linfonodi pelvici. 6.2 Stadiazione TNM (2002) 186 Ca in situ - VIN III Tumore di Ø •2 cm. confinato a vulva e/o perineo: con invasione stromale non superiore a 1 mm Tumore di Ø •2 cm confinato a vulva e/o perineo: con invasione stromale superiore a 1 mm Tumore di Ø > 2 cm. confinato a vulva e/o perineo Tumore di qualsiasi Ø con: interessamento del 1/3 distale, dell’uretra e/o vagina e/o ano Tumore di qualsiasi Ø che invade il 1/3 prossimale dell’uretra e/o la mucosa vescicale e/o la mucosa rettale o fisso alla parete ossea Assenza di metastasi linfonodali loco-regionali Metastasi linfonodali loco-regionali unilaterali Metastasi linfonodali loco-regionali bilaterali Assenza di metastasi a distanza Metastasi a distanza o metastasi linfonodali pelviche. Il trattamento di prima scelta del carcinoma vulvare consiste nell’asportazione chirurgica radicale della lesione vulvare associata alla chirurgia inguinale e qualora necessario alla chirurgia pelvica. Il planning chirurgico viene elaborato in base alla combinazione delle diverse caratteristiche della malattia: 1) Dimensioni della neoplasia: il diametro assoluto influisce, insieme ad altri parametri, nella dell’indicazione alla procedura del linfonodo sentinella (se ≤ 4 cm) o alla linfadenectomia inguinale (se > 4 cm). 2) Sede: - Laterale (grandi o piccole labbra) con distanza > 1 cm dalla linea mediana - Centrale (lungo l’asse centrale di simmetria della vulva e comunque a meno di 1 cm da esso) - In ognuno dei due precedenti casi si può distinguere una posizione anteriore o posteriore. 3) Orientamento del diametro massimo, rapporto tra diametro della malattia e dimensioni complessive della vulva e del perineo (T/V), uni/multicentricità e mono/bilateralità: condizionano l’orientamento dell’incisione chirurgica e l’indicazione ad una chirurgia conservativa o radicale. 4) Stato linfonodale, valutato come: - Negativo se tutti gli esami pre-operatori danno esito negativo (esame obiettivo, ecografia inguinale, esame citologico, TC o RMN, ev PET) - Positivo (monolateralmente o bilateralmente) sulla base di una positività citologica ottenuta con ago aspirato o di una franca positività ad un esame strumentale che non richiede conferma citologica - Dubbio in caso di discordanza tra un citologico negativo ed uno o più strumentali dubbi o positivi. 5) Diffusione extraperineale ai seguenti: - Uretra, vagina o retto - Muscoli perinali profondi - Organi pelvici - Linfonodi pelvici - Localizzazioni viscerali a distanza. In base agli elementi riportati si programmerà dunque il piano chirurgico. La CHIRURGIA VULVARE potrà prevedere una delle seguenti procedure: • wide resection del nodulo vulvare • emivulvectomia (laterale dx o sx, anteriore o posteriore) • vulvectomia semplice • vulvectomia radicale • vulvectomia ultra-radicale (estesa ai tessuti limitrofi alla vulva) La CHIRURGIA INGUINALE si svolgerà invece secondo due principali procedure: • biopsia del linfonodo sentinella inguinale (mono o bilaterale) • linfadenectomia inguinale monolaterale o bilaterale La chirurgia PELVICA potrà prevedere: • colpectomia parziale o totale, isterectomia, annessiectomia bilaterale • resezione parziale o totale dell’uretra, resezione vescicale o cistectomia totale • resezione anteriore del retto • linfadenectomia pelvica dele stazioni iliache (esterne e comuni) ed otturatorie • pelvectomia (anteriore, posteriore e totale) Pagina Prima di esaminare le diverse specifiche indicazioni occorre precisare gli elementi descrittivi delle procedure e delle indicazioni relative alla chirurgia inguinale. Biopsia del linfonodo sentinella La chirurgia demolitiva radicale sui linfonodi inguinali è gravata da una severa morbidità: deiscenza delle suture inguinali (tra il 22 e il 52%), formazione di linfocisti (tra il 7 ed il 28%), cellulite post-operatoria (50.8%), linfedema agli arti inferiori (fino al 63%). A fronte di tanta morbidità però solo il 25-35% delle pazienti risulta affetta da metastasi linfonodali: esiste allora un 65-75% di donne che non trae alcun beneficio dalla chirurgia linfonodale demolitiva, pur subendone le sequele. Attualmente, la biopsia del linfonodo sentinella (SNB), che rappresenta una tecnica chirurgica mini-invasiva, sta emergendo come nuovo standard nelle malattie in stadio iniziale. I vantaggi della metodica consistono nel risparmio dei linfonodi inguinali in caso di negatività del SN e dunque nel significativo abbattimento delle complicanze post-operatorie e della morbidità a lungo termine. Al contrario, il principale rischio a cui la tecnica espone è quello della sotto-stadiazione, imputabile ad una possibile falsa negatività del SN, che produrrebbe risvolti potenzialmente inaccettabili sotto il profilo prognostico. È noto infatti che la persistenza di malattia o la recidiva inguinale configurano un’evenienza di difficile gestione clinica, con esito spesso infausto. Dagli studi pubblicati in letteratura la quota di SN negativi in presenza di linfonodi NON sentinella metastatici nello stesso inguine (ossia di SN falsi negativi) varia tra lo 0 e il 7.7%: in particolare, il rischio di errore sembra correlarsi con le dimensioni crescenti del tumore, con la sua prossimità alla linea mediana e con la multicentricità della malattia. Per limitare al massimo il rischio di falsa negatività è necessario attenersi strettamente alle corrette indicazioni. Le indicazioni alla procedura sono: • diagnosi di carcinoma vulvare con infiltrazione > 1mm • linfonodi inguinali negativi alla valutazione clinico- strumentale-citologica • nessuna pregressa chirurgia inguinale o vulvare Inoltre, l’International Sentinel Node Society (ISNS) specifica tra le raccomandazioni del 2008 di: • limitare la procedura del SNB alle donne con tumori di diametro < 4 cm • omettere la SNB a favore di una linfadenectomia radicale nei casi di tumori vulvari della linea mediana in cui la linfoscintigrafia non identifichi il SN bilateralmente, o in caso di dubbia corrispondenza tra linfoscitigrafia e reperto intraoperatorio. Il suo impiego inoltre non viene ritenuto sufficientemente sicuro nel caso di • stato linfonodale dubbio alla valutazione pre-operatoria • neoplasie muticentriche o bilaterali. In questi ultimi casi, data la morbidità legata all’alternativa di una linfadenectomia inguinale bilaterale, si può tuttavia considerare l’utilizzo della procedura mininvasiva in condizioni particolari come: età molto avanzate (> 80 anni), perfomance status alto, multiple comorbidità o alto rischio anestesiologico. Tecnica dell’SNB La procedura del sentinella prevede una preparazione linfoscintigrafica preoperatoria per la sua marcatura ed un dispositivo introperatorio per la sua ricerca ed individuazione. In particolare la procedura prevede: 187 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Iniezione peritumorale di radiocolloide (albumina micronizzata in micelle da 80nm, marcata a freddo con 99m-Tc) che potrà avvenire il giorno precedente o il medesimo giorno dell’intervento. L’intervento verrà eseguito in un intervallo variabile tra 2 e 20 ore dal momento dell’iniezione (la dose in MBq verrà modulata in base all’intervallo di tempo prevedibile). Acquisizione dinamica delle immagini relative al drenaggio del radio colloide fino alla visualizzazione del linfonodo sentinella. Piccola incisione inguinale ed identificazione del linfonodo sentinella mediante gamma-counter: il linfonodo sentinella si potrà esaminare con esame istologico estemporaneo (con colorazione E/E) eseguito su una o più sezioni del linfonodo o con sistema touch-print e secondo tecnica classica nell’esame istologico definitivo (colorazione in E/E ed eventuale studio immunoistochimico rispettivamente su sezione dedicata ogni 150 nm di spessore linfonodale). Linfadenectomia inguinale La linfadenectomia inguinale radicale bilaterale, eseguita con incisioni arcuate separate, deve essere riservata ai casi di: • linfonodo sentinella positivo per localizzazione neoplastica, mono o bilateralmente (nel corso dello stesso intervento se la diagnosi è intrao- peratoria o con intervento differito se la diagnosi sopraggiunge all’esame istologico definitivo) • accertata malattia linfonodale mono o bilaterale alla valutazione preoperatoria: è preferibile porre indicazione ad intervento radicale dopo aver ottenuto una conferma citologica del sospetto posto agli esami strumentali, mediante ago aspirato linfonodale eseguito su guida ecografica; tale procedura potrà essere omessa nei casi francamente riconoscibili come patologici anche ai soli esami strumentali (e.g. linfonodi confluenti in pacchetti di grosso volume) • malattia vulvare di grosso volume (> 4cm) o diffusamente multifocale o bilaterale Qualora invece si verifichino tutte le seguenti condizioni sarà indicata una linfadenectomia monolaterale: • stato linfonodale negativo alla valutazione pre-operatoria negativa • lesione vulvare laterale (distanza > 1 cm) • assenza di indicazione alla biopsia del infondo sentinella (e.g. pregressa chirurgia inguinale o vulvare) • impossibilità a reperire il linfonodo sentinella dopo linfoscintigrafia (per mancato drenaggio del radio-tracciante o per mancata identificazione intraoperatoria con gamma-counter) Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva Figura 2. Algoritmi di trattamento per le neoplasie a diffusione viscerale o linfonodale pelvica, dove una valutazione clinico-strumentale pre-operatoria fa supporre uno stadio FIGO IV Stadio IV Neo-adj RT-CT I III sup. di uretra o vagina mucosa vescicale o rettale parete ossea pelvica (*) (**) Neo-adj CT ± CHIRURGIA: RV or URV + IBD ev POR/PE/PL ± CT Exclusive RT-CT IVA RV or URV + IBD ev IPB II LN inguino-femorali ulcerati o ofissi RT-CT ± CT (***) RV ev URV + IBD ev IPB CT RT (*) Se RT controindicata (**) Se chirurgia mai fattibile (***) Se lesione non resecabile RV: vulvectomia radicale, URV: vulvectomia ultraradicale, POR: resezione di organi pelvici, PE: pelvectomia, IPB: resezione del pionte cutaneo inguino-perineale, IBD: linfadenectomia inguinale bilaterale, PL: linfadenectomia pelvica 8. Trattamento per stadi A) Il trattamento chirurgico delle neoplasie vulvari ad INIZIALE DIFFUSIONE LOCALE che all’esordio appaiono resecabili prevede: • CHIRURGIA VULVARE - wide resection del nodulo vulvare - emivulvectomia (laterale, anteriore o posteriore) - vulvectomia semplice - vulvectomia radicale • CHIRURGIA INGUINALE - biopsia del linfonodo sentinella inguinale (mono o bilaterale) - linfadenectomia inguinale monolaterale o bilaterale. B) Qualora la malattia dimostri una più AMPIA DIFFUSIONE LOCALE la chirurgia potrà prevedere, in aggiunta a quanto già riportato, la resezione Figura 1. Algoritmi di trattamento per le neoplasie a diffusione locale, dove una valutazione clinico-strumentale pre-operatoria fa supporre uno stadio FIGO I, II o III Stadio I IA RLE <4 cm RLE o EV lat SNB ± IBD >4 cm EV lat o RV IMD ± IBD <4 cm EV (ant-post) o RV SNB bilaterale ± IBD >4 cm RV o URV IBD Neo-adj RT-CT Chirurgia in base alla risposta Lesione unilaterale IMD ± IBD se SN non reperito IB Lesione centrale Stadio II RLE o EV RV o URV Stadio III IBD if bilateral se SN non reperito IBD RLE: escissione radicale locale, EV emivulvectomia, RV: vulvectomia radicale, URV: vulvectomia ultraradicale DNB: biopsia del linfonodo sentinella, IMD: linfadenectomia inguinale monolaterale, IBD: linfadenectomia inguinale bilaterale Pagina 188 dei tessuti limitrofi a quelli vulvari: • orifizio uretrale esterno, fino all’intero terzo inferiore dell’uretra • vestibolo vaginale, fino al terzo inferiore della vagina • mucosa perianale, con attenzione al risparmio dello sfintere anale esterno • cute perineale extravulvare. Nel caso sia prevedibile uno sforzo chirurgico eccessivo o la combinazione di più di una procedura tra queste elencate, si dovrà considerare il ricorso ad una terapia neoadiuvante di preparazione alla chirurgia (figura 1). C) La DIFFUSIONE AGLI ORGANI PELVICI o UNO STATO LINFONODALE INGUINALE PARTICOLARMENTE SEVERO potrebbe richiedere una chirurgia “ultraradicale” o preferibilmente un trattamento neoadiuvante (radio-chemioterapico concomitante o chemioterapico), al cui termine venga poi stabilito il programma chirurgico in base alla risposta ottenuta (figura 2). La chirurgia dunque potrà prevedere, in aggiunta alle procedure già descritte: • asportazione del ponte cutaneo inguino-perineale • colpectomia radicale/isterectomia • resezione anteriore del retto • asportazione dell’uretra • resezione vescicale o cistectomia totale • linfadenectomia pelvica (delle stazioni iliache esterne, comuni ed otturatorie superficiali) • pelvectomia (anteriore, posteriore o totale). La scelta del trattamento neo-adiuvante deve prediligere la combinazione di radio e chemioterapia in regime concomitante, ricorrendo alla chemioterapia esclusiva solo nei casi in cui la RT risulta controindicata (e.g. diverticolosi, patologie infiammatorie croniche intestinali ecc). La scelta del trattamento radio-chemioterapico esclusivo avverrà in base alle caratteristiche della paziente: donne con età avanzate e PS - Pagina > 2 o donne che in futuro siano in ogni modo non candidabili a chirurgia demolitiva per motivi anestesiologici, infettivologici (e.g. HIV positive), metabolici (e.g. diabete ed obesità severa) o per impedimenti psico-sociali a sostenere una chirurgia altamente demolitiva. D) La DIFFUSIONE AI LINFONODI PELVICI come quella VISCERALE A DISTANZA assume il significato di malattia sistemica. • Per le lesioni viscerali a distanza la terapia di scelta è concordemente riconosciuta nella chemioterapia esclusiva, eventualmente associata a chirurgia palliativa per i casi fortemente sintomatici. • Al contrario per le localizzazioni ai linfonodi pelvici resta tutt’ora controversa la scelta tra chemioterapia e radio-chemioterapia concomitante. La causa di tale incertezza è da ricercare nella rarità di base di questa neoplasia ed in particolare di questa condizione, per quale la letteratura offre casistiche ristrette, disomogenee e protocolli di trattamento sempre differenti. Ad ogni modo, al termine del trattamento scelto, in assenza di localizzazioni a distanza, è ragionevole programmare uno step chirurgico orientato all’asportazione radicale della malattia, a cui eventualmente far seguire un consolidamento sistemico mediante chemioterapia o radio-chemioterapia (in base al trattamento precedentemente eseguito). Infine, più raramente condizioni particolari possono giustificare un programma che preveda la chirurgia in prima istanza, seguita poi da un trattamento CT o RT-CT concomitante, come ad esempio nella necessità di una chirurgia palliativa urgente che comporti procedure la cui morbidità non sarebbe aggravata dall’aggiunta della linfadenectomia pelvica (figura 3). In conclusione, è necessario rimarcare che la chirurgia del carcinoma vulvare, soprattutto negli stadi più avanzati o nelle lesioni di grosso volume, è spesso gravata da una severa morbidità e da un alto tasso di complicanze, (come deiscenza delle suture inguinali, infezione e cellulite post- 189 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Figura 3. Trattamenti per le neoplasie in cui la valutazione clinico-strumentale pre-operatoria faccia supporre uno stadio FIGO IV Stadio IV CT Linfonodi pelvici Linf pelvica Chirurgia perineale, inguinale ev pelvica RT-CT CT or RT-CT Chirurgia palliativa + linf pelvica IVB Metastasi a distanza CT ± chirurgia palliativa lattia (tabella 1). Per ridurre al massimo l’incidenza di tali complicanze può essere utile integrare il trattamento con: • TECNICHE DI CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA – che talvolta risulta imprescindibile al fine di ottenere la riparazione degli ampi difetti tissutali e talvolta semplicemente utile per migliorare la qualità delle suture di raffronto che risulteranno “tension free”. Le molteplici tecniche di ricostruzione non sono abitualmente competenza del solo ginecologo ma prevedono la collaborazione con il chirurgo plastico. operatoria, linfedema degli arti inferiori, linfociti, trombosi venosa profonda e più raramente sepsi). Questi fattori possono comportare l’allungamento dei tempi di degenza post-operatoria e di convalescenza, ritardando l’inizio delle terapie adiuvanti (fino talvolta ad impedirne l’attuazione) e aumentando i costi complessivi di trattamento. In alcuni casi inoltre la risoluzione può anche richiedere una seconda chirurgia ripartiva. Risulta fondamentale che le donne con stadio avanzato di carcinoma della vulva, vengano inviate presso centri oncologici di riferimento al fine di effettuare un trattamento adeguato data la considerevole diffusione della ma- Tabella 1. Complicanze post-chirurgiche nei tumori della vulva) Timing Tipo di complicanza Complicanze precoci (fino a sei settimane dopo chirurgia) Disestesie della regione anteriore della coscia (secondaria ad insulto del nervo femorale) Trombosi venosa profonda Infezione e deiscenza della ferita inguinale Emorragia Osteite del pube Embolia polmonare Sieroma o linfocele del triangolo di Scarpa Infezione del tratto urinario Necrosi della ferita Complicanze tardive (6 settimane o più dopo chirurgia) Dispareunia Ernia femorale Prolasso genitale Linfangite ricorrente aa. inferiori Urinary stress incontinence Linfedema arti inferiori Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva i difetti orientati verticalmente di taglia piccola o media. Non si addice alla riparazione dei difetti comprendenti la piega inguino-crurale e quelli generati nella chirurgia delle recidive (dato il rischio di danneggiamento del peduncolo vascolare su cui si regge alla prima chirurgia). 3) Lembo fascio-cutaneo della piega glutea: ha le stesse indicazioni del precedente ma consente la riparazione anche di piccoli difetti lungo la piega inguino-crurale, anche nella chirurgia su recidiva, dal momento che il suo peduncolo vascolare è localizzato più lateralmente e difficilmente può essere danneggiato. 4) Lembo VRAM (vertically oriented rectus abdominis muscle): utilizzato in caso di difetti molto estesi, infatti garantisce la chiusura di qualsiasi tipologia di difetto, anche molto profondo o che si estenda ai tessuti limitrofi al perineo. Gode di un ampio arco di rotazione e può trasportare un’area cutanea molto ampia. In aggiunta, il risultato cosmetico e funzionale è soddisfacente perché dopo la connessione con uretra e vagina riproduce le pieghe cutanee che associate alla ridondanza laterale del tessuto assumono le sembianze delle grandi labbra. 5) Lembo di Limberg: il suo utilizzo è limitato a minimi difetti già prossimi alla chiusura per prima intenzione. Si impiega con l’unico obiettivo di realizzare una sutura senza tensione. • PROTOCOLLO DI GESTIONE PERIOPERATORIA - mirato alla prevenzione primaria delle complicanze Protocollo di gestione perioperatoria Preoperatoriamente • Somministrazione di sostanze probiotiche (come i Lactobacilli) da al- meno 3 giorni prima della data presunta per la chirurgia: tale provvedimento preserva l’integrità della flora batterica intestinale ed riduce il rischio di traslocazione batterica nel periodo del digiuno che seguirà la chirurgia. Intra-operatoriamente • Gambali a compressione dinamica o, in alternativa, calze elastiche a compressione graduale. Post-operatoriamente • Digiuno per almeno 5 giorni. • Nutrizione parenterale - complessivamente non superiore a 1800-2000 kcal/die, (evitando la sovra nutrizione che faciliterebbe la contaminazione batterica e fungina). • Terapia antibiotica (cefalosporine di terza generazione) almeno per i primi 7 giorni dopo l’intervento. • Farmaci antidiarroici (loperamide cloridrata) nei primi giorni dopo chirurgia per mantenere la ferita pulita rinviando l’evacuazione. • Profilassi tromboembolica (eparina a basso peso molecolare a dosaggio profilattico - 100 UI/ proK, s.c. al giorno) per tutto il periodo dell’immobilizzazione a letto e di successiva scarsa mobilità (almeno tre settimane). • Immobilizzazione a letto per i primi 5 giorni - posizione supina con gambe aperte a 60° per evitare l’umidificazione delle ferite e la trazioni sulle suture. • Materassino pneumatico e gambali a compressione dinamica nei giorni dell’immobilizzazione, per evitare il principio di decubiti e favorire la circolazione venosa profonda degli arti inferiori. • Ossigenoterapia in ventimask - per compensare la scarsa ventilazione dovuta alla posizione e garantire la corretta ossigenazione utile alla cicatrizzazione delle ferite. • Ampia copertura antalgica (nei casi più a rischio valutare l’opportunità di un catetere peridurale a infusione continua). • Attenta cura delle ferite chirurgiche e mantenimento della pressione di aspirazione nei drenaggi chirurgici (ove possibile due volte al giorno). 10. Refertazione istologica Istopatologia Tipo di vulvectomia Radicale Squamoso (usuale) Semplice Verrucoso Istotipo Anteriore 9. Tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva Adenocarcinoma Posteriore A cellule basali Escissione locale La scelta della tecnica ricostruttiva dei difetti vulvari e perineali che esitano dopo chirurgia oncologica verte principalmente sulla preferenza del chirurgo ma è utile tracciare qualche linea di riferimento, I lembi fascio-cutanei locali sono solitamente preferibili a tutti gli altri, grazie alla loro sottigliezza, affidabilità e scarsa morbidità. Vengono sollevati come isole cutanee peduncolate a coprire difetti di taglia medio-grande. Solo in casi di difetti molto ampi è necessario ricorrere a lembi muscolo-cutanei che trasportano tessuti da sedi lontane, assicurandone il supporto vascolare Pagina attraverso un peduncolo vascolare che irrora il muscolo e la sua cute sovrastante. Nell’uso comune i lembi maggiormente utilizzati sono: 1) Lembo fascio-cutaneo di avanzamento V-Y: consente la chiusura di difetti di piccola, media ed ampia portata, specialmente localizzati delle regioni posteriori; considerata la sua versatilità e affidibailità viene considerato il cavallo di battaglia della ricostruzione vulvare. 2) Lembo fascio cutaneo pudendo della coscia: si usa preferibilmente per 190 Escissione a Y con linfonodi Altro istotipo (specificare) Emivulvectomia destra Differenziazione istologica Emivulvectomia sinsitra Diametro massimo orizzontale Dimensione del tumore Linfonodi inguinali sinistra Spessore/profondità di invasione Linfonodi inguinali destra Invasione linfovascolare Altro Pagina 191 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Esame macroscopico Linfonodi inguinali Lunghezza Dimensioni del campione chirurgico Tabella 1. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) Numero totale di linfonodi a destra Disponibilità Piano di trattamento basato su immagini TC Idem Numero totale di linfonodi positivi a destra Immagini portali settimanali Idem Numero totale di linfonodi positivi a sinistra Sistemi di immobilizzazione o dislocamento Idem Estensione extranodale DH Disponibilità di accesso Metastasi >5 mm Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo Commenti Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa IMRT Il trattamento può avvalersi di questa risorsa IGRT idem Brachiterapia idem DEGENZE Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici Numero totale di linfonodi a sinistra Dimensioni del tumore Sede del tumore Numero pazienti trattati nel 2010 Risorse/Procedure Diametro trascerso Spessore Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva Presenza macroscopica di tumore residuo sui margini AJCC - TNM 2009 (7 edizione) pT pN Mx G R0 C4 Stadio FIGO (2009) 11. Follow up 25 Procedure A tutt’oggi si dispone di scarse informazioni relative alla caratterizzazione del comportamento biologico di questa neoplasia, occorre affidarsi unicamente allo stadio patologico per la previsione della prognosi e la programmazione del follow-up. 1) Casi a diffusione locale limitata (STADIO FIGO I-II): un’eventuale recidiva è attesa prevalentemente in sede locale (vulvare, inguinale o cutaneo loco-regionale), pertanto si raccomandano i seguenti controlli: ESAMI DI BASE (ogni 3-4 mesi nei primi due anni ed ogni 6 mesi per i successivi tre anni): • visita ginecologica con accurata esplorazione perineale ed eventuale vulvoscopia • pap test • ecografia inguinale bilaterale ESAMI DI VALUTAZIONE SISTEMICA • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali (a cadenza semestrale) • Rx torace (a cadenza annuale) • C o RMN addomino-pelvica con mdc (a cadenza annuale) 2. Casi ad alto rischio di ripresa di mallatia a distanza(FIGO III-IV): ESAMI DI BASE (stessa schedula riportata sopra) ESAMI DI VALUTAZIONE SISTEMICA (ogni 6 mesi per i primi due anni ed ogni anno per i successivi tre anni) • esami di laboratorio, compresi i markers tumorali (a cadenza semestrale) • TC torace-addome-pelvi con mdc (o TC torace e RMN addomino-pelvica con mdc) Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione Completamento stadiazione 3 settimane dalla prima visita Inizio procedura radioterapia 4 settimane dalla prescrizione Inizio terapia Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosi esclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile compatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con i tempi di guarigione della ferita chirurgica Gruppo Oncologico Multidisciplinare La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa Attività Scientifica Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti Pubblicazioni Tabella 1. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) Risorse/Procedure Disponibilità Numero minimo di interventi per tumori ginecologici Servizio di anatomia patologica Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia) Idem Disponibilità di strumentazione laparoscopica Idem Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria Il trattamento può avvalersi di questa risorsa Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio Idem Adesione a protocolli nazionali e internazionali Almeno uno nell’anno Numero pazienti trattati nel 2010 Presentazioni a Congressi e Corsi 40 Relazioni, comunicazioni Presenza di una pubblicazione nell’anno Partecipazione a studi multicentrici Almeno uno nell’anno 12. Bibliografia Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem • NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia. Radioterapia Oncologica Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo con intento radicale o palliativo 15 • Acceleratore lineare Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa • Simulazione con utilizzo di TC Idem • Pagina 192 Smith JS, Backes DM, Hoots BE, Kurman RJ, Pimenta JM. Human papillomavirus type-distribution in vulvar and vaginal cancers and their associated precursors. Obstet Gynecol. 2009; 113(4): 917-24. Review. Pecorelli S. Revised FIGO staging for carcinoma of the vulva, cervix, and endometrium. Int J Gynaecol Obstet. 2009;105(2):103. Hacker NF. Revised FIGO staging for carcinoma of the vulva. Int J Gynaecol Obstet. 2009; 105(2): 105-6. Epub 2009 Mar 28. Lai CH, Yen TC, Chang TC. Positron emission tomography imaging for gynecolo- Pagina • • • gic malignancy. Curr Opin Obstet Gynecol. 2007; 19(1): 37-41. Review. Grigsby PW. Role of PET in gynecologic malignancy. Curr Opin Oncol. 2009; 21(5): 420-4. Review. Griffin N, Grant LA, Sala E. Magnetic resonance imaging of vaginal and vulval pathology. Eur Radiol. 2008; 18(6): 1269-80. Epub 2008 Feb 1. Review. Van der Zee AG, Oonk MH, De Hullu JA, Ansink AC, Vergote I, Verheijen RH, Maggioni A, Gaarenstroom KN, Baldwin PJ, Van Dorst EB, Van der Velden J, Hermans RH, van der Putten H, Drouin P, Schneider A, Sluiter WJ. Sentinel node 193 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • • • • • • • • • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici dissection is safe in the treatment of early-stage vulvar cancer. J Clin Oncol. 2008; 26(6): 884-9. Oonk MH, Hollema H, de Hullu JA, van der Zee AG. Prediction of lymph node metastases in vulvar cancer: a review. Int J Gynecol Cancer. 2006; 16(3): 963-71. Review. Ayhan A, C elik H, Dursun P. Lymphatic mapping and sentinel node biopsy in gynecological cancers: a critical review of the literature. World J Surg Oncol. 2008; 6: 53. Van der Zee AG, Oonk MH, De Hullu JA, Ansink AC, Vergote I, Verheijen RH, Maggioni A, Gaarenstroom KN, Baldwin PJ, Van Dorst EB, Van der Velden J, Hermans RH, van der Putten H, Drouin P, Schneider A, Sluiter WJ. Sentinel Node Dissection Is Safe in the Treatment of Early-Stage Vulvar Cancer. J Clin Oncol. 2008; 26(6): 884-9. Hacker NF. Radical vulvectomy and bilateral inguinal lymphadenectomy through separate groin incisions. Gynecol Oncol 1981; 58 (5) 574-9. Burke TW, et al. Radical wide excision and selective inguinal node dissection for squamous cell carcinoma of the vulva. Gynecol Oncol 1990; 38: 328-32. Berman ML, et al. 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Fanfani F, Garganese G, Fagotti A, Lorusso D, Gagliardi ML, Rossi M, Salgarello M, Scambia G. Advanced vulvar carcinoma: is it worth operating? A perioperative management protocol for radical and reconstructive surgery. Gynecol Oncol. 2006; 103(2): 467-72. Epub 2006 May 2. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Coordinatore: Prof. Franco Di Filippo Estensori: A. Piccioli, R. Biagini, B. Vincenzi, C. Della Rocca, C. Vitelli, G. Lanzetta, G. Maccauro, M. Manili, M. Anzà, O. Moreschini, P. Pugliese, R. Rambone, R. Garinei, S. Ghera, U. De Paula, V. Anelli, V. Ferraresi Pagina 194 Pagina 195 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO INDICE 1. Premessa 1.1 Criteri di ricerca 1.2 Classificazione dei livelli di evidenza e delle raccomandazioni 2. Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco 2.1 Introduzione 2.2 Fattori di rischio 2.3 Classificazione istologica 2.4 Stadiazione 2.5 Diagnosi e valutazione risposta 3. Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco 3.1 Chirurgia 3.2 Radioterapia 3.3 Chemioterapia 4. Malattia localmente avanzata 4.1 Chemioterapia citoriduttiva 4.2 Radioterapia 4.3 Chemio localmente avanzata 5. Malattia in fase metastatica 5.1 Malattia polmonare operabile 5.2 Malattia metastatica non operabile 6. Sarcomi del retroperitoneo 6.1 Chirurgia 6.2 Trattamento medico 6.3 Trattamento radioterapico 6.4 Malattia avanzata plurirecidiva e metastatica 6.5 Follow-up dei sarcomi delle parti molli di qualsiasi sede 6.6 Supporto psico-oncologico Pagina 196 7. Tumori stromali gastrointestinali 7.1 Introduzione caratteri generali 7.2 Terapia localmente avanzata o sedi complesse 7.3 Terapia malattia avanzata 7.4 Follow-up 8. Criteri di appropriatezza e requisiti minimi 9. Bibliografia Le presenti Linee Guida, trattano dei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto ad insorgenza negli arti, nei cingoli, nel tronco superficiale, nel retroperitoneo e, in capitoli a parte dei Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST). Pagina 197 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 1. Premessa 2. Sarcomi degli arti dei cingoli e del tronco Una delle definizioni più condivise di Linea Guida, ripresa nel Programma Nazionale per le Linee Guida, afferma che “Le Linee Guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”. Le Linee Guida che rispondono a tale definizione sono considerate dei validi ed efficaci strumenti per migliorare il livello dell’assistenza. Le Linee Guida dunque sono una guida elaborata da esperti di diverse discipline sulla base delle migliori prove scientifiche esistenti, in grado di esplicitare i benefici ed i rischi di possibili alternative, lasciando agli operatori ed alle preferenze dei pazienti, opportunamente informati, le responsabilità delle decisioni. L’unica accortezza che dovrebbe essere rispettata da parte dei medici, soprattutto quando si prendono decisioni che si discostano ampiamente dalle raccomandazioni delle Linee Guida è quella di esplicitare per iscritto le motivazioni di tipo clinico o legate alle preferenze del paziente che motivino la scelta. 1.1 Criteri di ricerca Gli Autori delle presenti Linee Guida hanno utilizzato documenti analoghi, prodotti a livello nazionale ed internazionale come base di conoscenze scientifiche già assodate sui cui poi è stato elaborato l’intero percorso assistenziale, aggiornando i dati della ricerca ed adattando le indicazioni fornite dalla realtà italiana. La ricerca della documentazione è stata ricondotta alle seguenti banche dati: • Medline versione PUBMED • (CANCERLIT) • CANCERNET PDQ • NCCN • Cochrane Library Database of Systematic Reviews • Inoltre sono state effettuate ricerche su articoli originali • NHS • PDQNCI • ESMO Minimal recommendations • Linee guida sui sarcomi dei tessuti molli dell’ AIOM 2008 Infine la presente traccia si basa su: • Linee guida per i Sarcomi dei tessuti molli redatte dal Consiglio Nazionale delle Ricerche pubblicate nel 2002. • Linee Guida per i Tumori Rari redatte dal Consiglio Nazionale delle Ricerche pubblicate nel 2004. • Linee Guida sui Sarcomi dei Tessuti Molli nell’Adulto, linee guida clinico organizzative per la Regione Piemonte pubblicate nel 2004 e riviste nel 2009. Vista la complessità dell’argomento, vi sarà una distinzione ab initio tra Sarcomi dei Tessuti Molli degli arti,dei cingoli e del tronco superficiale, Sarcomi del retroperitoneo e GIST. Nei Sarcomi dei Tessuti Molli vi sarà una parte comune relativa ai caratteri generali, ed una specifica per sede anatomica di presentazione. 1.2 Classificazione dei livelli di evidenze e delle raccomandazioni In analogia a quanto già adottato in analoghe Linee Guida nazionali il metodo di classificazione delle evidenze e delle raccomandazioni si è basato su informazioni scientifiche a valenza differenziata secondo uno schema di 6 livelli. Livelli delle prove di efficacia. Pagina I. Prove ottenute da più studi clinici controllati randomizzati e/o da revisioni sistematiche di studi randomizzati II. Prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegno adeguato III. Prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con controlli concorrenti o storici o loro metanalisi IV. Prove ottenute da studi retrospettivi tipo caso-controllo o loro metanalisi V. Prove ottenute da studi di casistica (serie di casi) senza gruppo di controllo VI. Prove basate sull’opinione di esperti autorevoli o di comitati di esperti come indicato in Linee Guida o Consensus Conferences o basate su opinioni dei membri del gruppo di lavoro responsabile di queste Linee Guida. Il grado delle raccomandazioni tiene conto di due fattori principali: il livello delle prove scientifiche disponibili e la rilevanza che viene attribuita dagli operatori a quella determinata decisione nell’ambito delle scelte possibili. Il livello delle raccomandazioni viene classificato in 5 livelli (da A ad E) dove A è una raccomandazione positiva ed E una negativa. A. Forte raccomandazione a favore della esecuzione di una particolare procedura o test diagnostico. Indica una particolare raccomandazione sostenuta da prove scientifiche di buona qualità, anche se non necessariamente di tipo I e II B. Questa particolare procedura o intervento non deve sempre essere raccomandata, ma si ritiene che l’intervento debba essere attentamente considerato C. Esiste incertezza a favore o contro la raccomandazione di eseguire la procedura o l’intervento D. La procedura o l’intervento non è raccomandato E. Si sconsiglia fortemente la procedura o l’intervento. In neoplasie rare, quali sono i Sarcomi dei Tessuti Molli ed i GIST, i livelli di evidenza e di raccomandazione sono meno forti rispetto ai tumori frequenti. Dopo aperto dibattito si è convenuto che i livelli di evidenza, rivista la Letteratura per i singoli argomenti, siano nella quasi totalità di grado basso V e VI e non verranno espressi. I gradi di raccomandazione saranno invece esplicitati secondo i livelli convenzionali. Come metodologia di lavoro si è scelto un consenso fra gli esperti, in modo da riflettere un pensiero condiviso da tutti o dalla maggioranza. Vi è consenso unanime nel ritenere che l’approccio ai sarcomi deve sempre essere pluridisciplinare, come è possibile soltanto a livello istituzionale nei centri ad alta specializzazione. Le presenti Linee Guida, pur essendo un utile strumento di lavoro, non possono sostituire l’expertise multidisciplinare e specialistica che viene offerto in Istituzioni espressamente dedicate all’argomento. Nelle malattie rare e nei sarcomi in particolare, il riferimento a Centri ad alta specializzazione che garantiscano la multidisciplinarietà nelle diagnosi e nel trattamento è di fondamentale importanza, soprattutto in alcune fasi della malattia. Va tenuto in conto che la centralizzazione trova ostacoli organizzativi quali l’obbligo della migrazione sanitaria dei pazienti e le lunghe liste di attesa nei Centri di Eccellenza. Una delle finalità principali di queste Linee Guida è di diffondere una cultura di base sull’argomento in tutto il territorio nazionale e, soprattutto, di creare una attiva e proficua collaborazione tra Istituzioni ad alta specializzazione e gli Ospedali in cui il trattamento dei STM è un evento sporadico e minoritario nella attività clinica quotidiana. I tumori rari si caratterizzano inoltre per la difficoltà nella ricerca clinica, vista la bassa incidenza di queste neoplasie e la frequente non uniformità del trattamento. È dunque auspicio comune che i portatori di tali malattie vengano inseriti in studi clinici Nazionali e Internazionali e che le Linee Guida possano favorire questo processo. 198 2.1 Introduzione Sotto la denominazione di sarcomi delle parti molli si intendono tutte le neoplasie maligne non epiteliali a sede extra-scheletrica ed extra-cranica, ad eccezione di quelle derivate dal sistema linfoemopoietico ed istiocitario-macrofagico. Si tratta di un vasto e alquanto eterogeneo gruppo di lesioni con diversi gradi di aggressività e differenti capacità di recidivare e/o metastatizzare. Non è facile determinare l’esatta frequenza dei sarcomi delle parti molli (SPM) sebbene nel complesso essi siano poco comuni rappresentando circa lo 0,8% di tutte le neoplasie maligne umane. L’incidenza annua dei STM è attualmente stimata in 1-2 nuovi casi/anno ogni 100.000 abitanti. Circa il 50-60% dei STM si appalesa in soggetti di oltre 60 anni, ma l’età media di incidenza è intorno ai 43. Anche qui va peraltro ricordato come alcuni tipi istologici hanno una particolare associazione con l’età: ad esempio il rabdomiosarcoma è un tumore proprio dell’infanzia e dell’adolescenza, il sarcoma sinoviale è dei giovani adulti, ed i sarcomi pleomorfi sono propri dell’età avanzata. I STM possono svilupparsi in qualsiasi sede dell’organismo ma le localizzazioni più abituali sono le estremità seguite dalla parete toracica e poi dal retroperitoneo. 2.2 Fattori di rischio L’eziologia della maggior parte dei STM è a tutt’oggi ancora sconosciuta, e anche se talora nell’anamnesi viene riferito un pregresso trauma, raramente esiste una sicura associazione fra i due eventi e più spesso il trauma è cosidetto “rivelatore”. Sono tuttavia stati descritti sarcomi che si sono sviluppati in corrispondenza di cicatrici da lesioni da agenti chimici o termici o in vicinanza di protesi metalliche o di materiale plastico. Una bassa percentuale (< del 1%) di soggetti sottoposti radioterapia può sviluppare, dopo anni dal trattamento, sarcomi particolarmente aggressivi. Molti composti chimici, quali alchilanti e prodotti derivati dalla diossina sono stati associati, seppur sporadicamente, all’insorgenza di particolari sarcomi; l’angiosarcoma del fegato è stato associato alla lunga esposizione a diversi composti quali il cloruro di polivinile o l’arsenico. L’eziologia virale è stata dimostrata in animali da laboratorio e sono state identificate sequenze di DNA virale nelle cellule tumorali del Sarcoma di Kaposi sia nella sua forma classica sporadica che in quella associata a sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Nel complesso comunque nell’eziologia dei sarcomi il posto più rilevante è occupato da fattori ereditario-genetici. Va infatti menzionato che esiste stretta relazione fra alcuni SPM che possono comparire in un contesto familiare sia isolati che associati a determinate sindromi (sindrome di Li Fraumeni e rabdomiosarcoma; neurofibromatosi tipo I e tumori maligni delle guaine nervose periferiche). In fine va ricordato che in un considerevole numero di tumori sono state riscontrate anomalie genetiche clonali (delezioni, amplificazioni, e traslocazioni) che possono assumere significato diagnostico e talora prognostico. 2.3 Classificazione Istologica Oggi i sarcomi delle parti molli sono classificati secondo il concetto di linea differenziativa; in altre parole essi vengono classificati in base alla somiglianza del tessuto prodotto con le controparti normali, non implicando necessariamente la loro derivazioni da queste. Un tumore adiposo è tale perchè produce cellule che somigliano a quelle della linea adiposa, a prescindere dal fatto che Pagina insorga in una sede dove è presente o meno il tessuto adiposo stesso. Esistono comunque alcune lesioni che non possono essere assimilate a nessun tessuto normale conosciuto e pertanto vengono definite “a incerta linea differenziativa”. Di seguito verranno trattati i più comuni sarcomi delle parti molli secondo tale concetto. Tumori a differenziazione fibro-miofibroblastica FIBROSARCOMA. Definizione: Il Fibrosarcoma è una neoplasia maligna a linea differenziativa fibroblastica, può presentarsi in due varianti infantile o connatale ed adulta con aggressività diversa. Entrambe le varianti istologicamente presentano struttura analoga, costituita da cellule fusate disposte in fasci che si incrociano fra loro in modo tale da configurare immagini a “spina di pesce” . Fibrosarcoma dell’adulto Epidemiologia: Si appalesa nella 4a-6a decade di vita, con predilezione per il sesso maschile. Sedi di insorgenza: si localizza per lo più in corrispondenza degli arti inferiori o del tronco e di solito in sede profonda (fasciale-sottofasciale). Quadro macroscopico: Si tratta di lesione solitaria: 3-8 cm di diametro. Al taglio: aspetto a carne di pesce; possono osservarsi foci di necrosi o emorragia. Quadro microscopico: Proliferazione uniforme di cellule fusate con scarso citoplasma e nuclei fusati immersi in variabile quantità di stroma collageno. Attività mitotica ben rappresentata. Polimorfismo assente o minimo. Necrosi presente nelle forme ad alto grado. I gradi di malignità variano dal basso all’alto grado. Immunoistochimicamente si rileva positività per vimentina e occasionalmente per actina muscolo liscio. Varianti Sarcoma fibromixoide a basso grado (c.d. Tumore di Evans): Rara forma di sarcoma in cui si apprezza varia commistione di aree collagene e mixoidi. Le cellule fusate in genere a basso grado si aggregano in assetto variamente vorticoide attorno a vasi a decorso curvilineo. Fibrosarcoma sclerosante epitelioide: Variante in cui cordoni o isolotti di cellule tumorali epitelioidi sono immersi in matrice collagena addensata. In aree focali ci possono essere aspetti di fibrosarcoma convenzionale. E’ a tratti presente vascolarizzazione tipo emangiopericitoma. Il profilo immunoistochimico è caratterizzato da frequente positività per bcl2 Mixofibrosarcoma: Lesione fibroblastica con variabile quantità di stroma mixoide, pleomorfismo nucleare e aspetto vescicolare caratteristico. E’ uno dei più frequenti sarcomi delle parti molli nell’anziano. Nelle localizzazioni sottocutanee la lesione è costituita da noduli multipli che al taglio hanno colorito bianco grigiastro lucente. Le lesioni nei tessuti molli profondi sono uniche a limiti mal definiti con necrosi ed emorragia. Evoluzione e prognosi: E’ caratterizzata da elevata aggressività con diffusione metastatica per via ematica (ai polmoni e sopravvivenza ai 5 anni, valutabile intorno al 40% dei casi). Tumori a differenziazione fibro-istiocitica TUMORE FIBROISTIOCITICO PLESSIFORME Definizione: Il Tumore Fibroistiocitico Plessiforme (TFP) è una neoplasia mesenchimale dei bambini, degli adolescenti e giovani adulti, caratterizzata da citomorfologia fibroistiocitica e crescita multi nodulare, che raramente può metastatizzare. 199 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Epidemiologia: Il TFP colpisce soggetti giovani con età media di 14-15 anni alla presentazione, con lieve predominanza nel sesso femminile. (F:M=2,5:1). Sedi di insorgenza Il TFP si localizza prevalentemente agli arti superiori (oltre il 65% dei casi), con polso e mani nel 45% dei casi. Gli arti inferiori sono colpiti in circa il 27% dei casi mentre rare sono le localizzazione alla testa ed al collo. Quadro macroscopico: Il TFP è un nodulo fisso, scarsamente circoscritto, multinodulare localizzato nel derma o nel sottocute che raramente supera i 3 cm. Quadro microscopico. Il TFP è composto da piccolo noduli di proliferazione di cellule fusate, allungate strutturate in caratteristico arrangiamento plessiforme. Tre tipi di cellule sono presenti in proporzione variabile: cellule mononucleate istiociti-like, cellule fusate fibroblasto-simili e cellule giganti multinucleate. Gli aggregati cellulari sono delimitati alla periferia da cellule fusate che si continuano nei setti che separano i noduli. Possono esserci minime atipie nucleari, scarse mitosi e raramente invasione vascolare mentre la necrosi è assente. I noduli sono localizzati nel derma profondo, nell’ipoderma e talvolta si estendono al tessuto muscolare scheletrico. Dal punto di vista immunoistochimico, il TFP mostra positività per CD68/KP1 ed Actina muscolo liscio. Evoluzione e Prognosi: Il TFP dà recidive locali fino al 37% dei casi. In 3/61 casi con follow-up sono state descritte metastasi ai linfonodi loco regionali e nella stessa percentuale metastasi al polmone. TUMORE A CELLULE GIGANTI DEI TESSUTI MOLLI Definizione: Il Tumore a Cellule Giganti dei Tessuti Molli (TCG-TM) è un tumore primitivo dei tessuti molli che è clinicamente ed istologicamente simile al TCG dell’osso. E’ un tumore raro e può metastatizzare. Epidemiologia: Il TCG-TM colpisce maggiormente soggetti in età adulta di circa 50 anni (range di età da 5 a 89 anni) di entrambi i sessi. Sedi di insorgenza: Il TCG-TM si localizza nei tessuti molli superficiali delle estremità superiori ed inferiori (70%) e meno frequentemente al tronco e nella regione testa-collo. Quadro macroscopico: Il TCG-TM si presenta in genere come una massa solida, ben circoscritta, che può superare i 10 cm (media 3 cm) nel contesto del derma o del sottocute, raramente in sede sottofasciale. Al taglio è costituito da tessuto grigio-brunastro, solido, carnoso con occasionali calcificazioni in periferia. Quadro microscopico: A basso ingrandimento il TCG-TM mostra architettura multinodulare, con nodule separate da setti di fibroconnettivo più o meno spessi contenenti emosiderina e siderofagi. La componente cellulare è costituita da cellule mononucleate rotondo-ovali frammiste a cellule giganti multinucleate osteoclasta-simili, entrambe disperse in uno stroma vascolare in proporzioni variabili. I nuclei degli elementi mononucleati e delle cellule giganti sono uguali. L’indice Mitotico è generalmente elevato con fino a 25-30 mitosi/10 HPF. Non ci sono atipie, pleomorfismo o necrosi. Nel 50% dei casi si ha una rima periferica di osso maturo metaplastico. Possono esserci aree cistiche o cistico-emorragiche come nelle cisti aneurismatiche e segni di invasione vascolare. Evoluzione e Prognosi: Il TCG-TM può recidivare localmente nel 12% dei casi e raramente può dare metastasi a distanza e morte. Il trattamento di scelta è l’exeresi chirurgica complete e radicale. ISTIOCITOMA FIBROSO MALIGNO. Definizione: Anche se per motivi storici è ancora in uso il termine di istiocitoma fibroso maligno, si preferisce attualmente etichettare questa entità come Sarcoma polimorfo indifferenziato. Epidemiologia. Rappresenta il più frequente sarcoma dell’età adulta-senile. Sedi di insorgenza: Colpisce di solito le estremità, ma può essere ubiquitario. Quadro macroscopico. Si tratta di masse tra i 5 e i 10 cm di diametro, di Pagina aspetto pseudocapsulato, consistenza duro-elastica e colorito biancastro e/o variegato per la presenza di aree di necrosi ed emorragia. Quadro microscopico: Morfologicamente si tratta di una proliferazione di cellule fusate commiste ad una componente numericamente variabile di cellule giganti spesso plurinucleate e talora mostruose, elementi xantomatosi e focolai di cellule infiammatorie. Inoltre di regola sono apprezzabili elevato indice mitotico, aree di necrosi, aspetti di anaplasia e pattern storiforme più o meno diffuso. Vengono oggi riconosciuti 4 sottotipi: • variante polimorfa - storiforme: il più comune caratterizzato da prevalente polimorfismo e frequente riscontro di pattern storiforme. • variante mixoide: (oggigiorno più comunemente etichettato come mixofibrosarcoma) caratterizzato da stroma mixoide riccamente vascolarizzato. Ha prognosi migliore rispetto alle altre varianti con possibilità di lunghe sopravvivenze e tende a recidivare piuttosto che a metastatizzare. • variante a cellule giganti osteoclasto-simili: è caratterizzato dalla presenza di numerose cellule giganti simil-osteoclastiche e talora da una focale componente osteoide. • variante infiammatoria: è la più rara e si osserva prevalentemente nella cavità addominale (retroperitoneo) ed è caratterizzato dalla presenza di un ricco infiltrato infiammatorio costituito sia da linfociti che da granulociti e da una cospicua componente di cellule xantomatose maligne. Evoluzione e Prognosi: E’ quasi sempre caratterizzato da elevata aggressività. Tumori a differenziazione adiposa LIPOSARCOMA. Definizione: Tumore maligno con differenziazione adiposa. Epidemiologia: E’ uno dei più frequenti sarcomi dell’età adulta con massima incidenza fra i 40 e i 60 anni. Sedi di insorgenza: Le localizzazione più frequenti sono: le estremità inferiori (35%), tronco (22%) e retroperitoneo (15%). Quadro macroscopico: Si tratta di masse anche voluminose di aspetto diverso a seconda della variante, da lipoma simile ad aspetti gelatinosi e/o francamente sarcomatosi. Quadro microscopico: Da molti la caratteristica peculiare del liposarcoma è considerata la presenza del lipoblasto, cellula immatura, caratterizzata da uno o più vacuoli citoplasmatici, contenenti trigliceridi otticamente vuoti, che deformano il nucleo intensamente ipercromatico ed atipico. Si descrivono 3 varietà anatomo-cliniche con aspetti morfologici e comportamenti biologici differente: • liposarcoma ben differenziato (da alcuni denominato Lipoma atipico) presenta estrema somiglianza con il lipoma da cui è differnziabile per la presenza di bande di collagene, polimerismo degli adipociti, presenza di elementi fusiformi a nucleo ipercromatico, nonché per la presenza di lipoblasti. Tale istotipo, specie superficiale, è ben curabile, privo di capacità metastatica, ma con frequenza di recidiva nel 10-15% dei casi. Per tale motivo alcuni Autori preferiscono etichettarlo come lipoma “atipico”. Va ricordato che una frazione dei liposarcomi ben differenziati (soprattutto a localizzazione retroperitoneale) va incontro a dedifferenziazione con sviluppo di altre forme sarcomatose all’interno del liposarcoma stesso. Tale evento è gravato dall’acquisizione di potere di metastatizzare a distanza con elevata mortalità (40-50% dei casi) entro i 5 anni. • Liposarcoma mixoide ed a cellule rotonde. Si tratta di un unico istotipo in cui i 2 aspetti (puramente mixoide e/o con cellule rotonde) costituiscono uno spettro evolutivo della stessa neoplasia e ne condizionano anche il diverso grado di aggressività. La forme puramente mixoidi sono neoformazioni ipocellulari, con ricca componente di capillari ematici che si 200 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli biforcano variamente e si intrecciano fra di loro formando una trama plessiforme compresa in uno stroma mixoide, gelatinoso. Presenti i lipoblasti in numero variabile. Le aree a cellule rotonde sono caratterizzate invece da alta cellularità, con aspetto indifferenziato delle stesse e notevole riduzione della trama vascolare. La quantità di cellule rotonde è variabile ma può talora occupare l’intera neoplasia. Il comportamento biologico è molto diverso nel senso che il mixoide “puro” recidiva nel 3050% dei casi, e solo eccezionalmente metastatizza, mentre quando presenta componente a cellule rotonde oltre il 25%, le recidive più frequenti (85%) e le metastasi la regola. • Liposarcoma polimorfo è il più raro delle tre forme ed il più aggressivo; si presenta come un sarcoma ad alto grado con cellule giganti anaplastiche e lipoblasti atipici mostruosi. Genetica: La forma mixoide/a cellule rotonde presenta la traslocazione t(12:16)(q13;t11). Tumori a differenziazione leiomuscolare LEIOMIOSARCOMA Definizione: Neoplasia maligna in cui le cellule neoplastiche mostrano una differenziazione leiomuscolare. Epidemiologia: Pur essendo la neoplasia maligna più frequente nell’ambito dei grossi vasi (dove predomina nel sesso femminile, insieme alla localizzazione retroperitonele, complessivamente si tratta di una lesione a scarsa incidenza concentrata soprattutto nell’età media e avanzata. Sedi di insorgenza: Il leiomiosarcoma dei tessuti molli insorge sia a livello del retroperitoneo, dove più spesso origina da strutture vascolari di grosso calibro, sia a livello degli arti e del tronco, dove costituisce circa il 15-20% di tutti i sarcomi. Anche a livello degli arti è talora possibile riconoscere un’origine vascolare. Quadro macroscopico: Si tratta di neoformazioni più spesso di grosse dimensioni, di consistenza molle, di colore bianco-grigiastro, con aree di necrosi centrale, e/o di degenerazione cistico - emorragica. Quadro microscopico: Il tipico aspetto riconoscibile nelle forme ben differenziate è quello di una proliferazione di cellule fusate, con citoplasma eosinofilo fibrillare, e nucleo “a sigaro”. Nelle varietà meno differenziate, sono presenti elementi pleomorfi marcatamente atipici, anche multinucleati. Raramente si riconoscono aspetti epitelioidi. Le cellule sono disposte in fasci variamente intersecantesi, o in architettura vorticoide. In genere non è presente matrice tra le cellule neoplastiche, ma talora possono essere presenti aspetti mixoidi o ialinizzanti. Immunoistochimicamente le cellule neoplastiche sono positive per i marcatori di differenziazione leiomuscolare, quali actina muscolare liscia, h-caldesmone e desmina, anche se nessuno di questi può essere considerato specifico. In alcune neoplasie poco differenziate la positività può essere focale. Evoluzione e Prognosi: Il quadro evolutivo è strettamente sede dipendente, essendo le localizzazioni retroperitoneale e dei grossi vasi quelle con prognosi meno favorevole sia per difficoltà di eradicazione radicale che per potenzialità metastatica. Tumori a differenziazione rabdomuscolare RABDOMIOSARCOMA EMBRIONALE Definizione: Sarcoma che ricapitola le caratteristiche morfologiche del muscolo scheletrico embrionale. Comprende le varianti a cellule fusate, botrioide ed anaplastica. Epidemiologia: E’ la neoplasia maligna mesenchimale più frequente dell’adolescenza. Sedi di insorgenza: Le sedi di insorgenza più frequenti sono la regione testa- Pagina collo (orbita, orofaringe, parotide, orecchio medio, tratto naso-sinusale e rinofaringe, cavo orale) ed il tratto genito-urinario (vescica, prostata, e tessuti molli paratesticolari). Più raramente il rabdomiosarcoma embrionale insorge a livello dei tessuti molli degli arti e del tronco. Quadro macroscopico: La lesione appare generalmente poco circoscritta, di consistenza molle e colore biancastro. Le forme a cellule fusate hanno consistenza teso-elastica, colore giallastro, e superficie di taglio di aspetto fascicolato. Per definizione, la forma botrioide insorge sotto una superficie epiteliale e si caratterizza per una crescita esofitico-polipoide ed un aspetto multinodulare. Quadro microscopico: Si riconoscono diversi tipi cellulari, che corrispondono alle diverse fasi della miogenesi. Le cellule di aspetto stellato e fusato, con nucleo ovale e citoplasma anfofilo rappresentano gli elementi più indifferenziati, mentre la presenza di elementi più allungati, con citoplasma eosinofilo, di aspetto talora aracneiforme, esprime una maggiore differenziazione in senso rabdomuscolare, fino ad arrivare a cellule con citoplasma intensamente eosinofilo e striato che mimano l’aspetto del miotubo. A livello architetturale si riconoscono un alternarsi di aree di aspetto mixoide e paucicellulate, con aree più densamente cellulate. Nel rabdomiosarcoma botrioide il chorion sub epiteliale, è occupato da aggregati lineari di cellule neoplastiche (strato cambiale), mentre nel rabdomiosarcoma a cellule fusate le cellule neoplastiche, di forma allungata, si dispongono in fasci variamente intersecantesi. Nella variante anaplastica si riconoscono elementi cellulari di taglia grande, marcatamente atipici, che possono essere presenti come elementi singoli dispersi nella neoplasia (anaplasia focale) o in gruppi (anaplasia diffusa). Immunoistochimicamente le cellule neoplastiche sono positive in maniera variabile e correlata al grado di differenziazione a marcatori muscolari, quali la actina muscolare comune, la desmina, la mioglobina, e la miosina, ma il marcatore più specifico e sensibile per la diagnosi su campioni in paraffina è rappresentato dalla miogenina, che peraltro nelle forme embrionali può essere espresso solo focalmente. Evoluzione e Prognosi: L’evoluzione è dipendente essenzialmente dal tipo istologico, dall’età dell’assistito, dallo stadio e dalla sede di origine. Le forme embrionali in età pediatrica hanno la prognosi migliore, mentre le forme fusate e anaplastiche nell’adulto la peggiore, ferma comunque restando la natura sarcomatosa della lesione che ne caratterizza la potenzialità alta di recidiva e di metastasi a distanza. RABDOMIOSARCOMA ALVEOLARE. Definizione: Sarcoma a cellule rotonde, con parziale differenziazione muscolare scheletrica. Epidemiologia: Può colpire qualsiasi età, ma predilige i giovani adulti. Sedi di insorgenza: Insorge preferenzialmente a livello degli arti, sebbene sia stato descritto in molte altre sedi, compresa la regione testa-collo. Quadro macroscopico: Si tratta di neoplasie a crescita rapida, di consistenza molle e colore grigiastro. Quadro microscopico: Le cellule neoplastiche hanno un aspetto linfocito-simile e mostrano differenziazione in senso rabdomuscolare. Nelle forme tipiche le cellule si dispongono in nidi separati da setti fibrosi, nel cui centro gli elementi neoplastici appaiono discoesi. Sono in genere presente elementi di taglia grande di aspetto rabdomioblastico. Nella variante solida mancano i setti fibrosi e la neoplasia ha un’architettura diffusa (2), mentre nella forma mista alveolare-embrionale coesistono i caratteri di ambedue le forme. Immunoistochimicamente l’immunofenotipo è sovrapponibile a quello del rabdomiosarcoma embrionale, ma la positività per miogenina è diffusa. Genetica: Il rabdomiosarcoma alveolare presenta una traslocazione specifica che nella maggior parte dei casi è t(2;13)(q35;q14) ed in un minor numero di casi è t(1;13)(p36;q14) (3). Queste traslocazioni portano alla fusione dei geni 201 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici PAX3 o PAX7 situati rispettivamente sul cromosoma 2 ed 1, con il gene FKHR situato sul cromosoma 13. Dal 10 al 30% delle neoplasie non presenta però alcuna di queste traslocazioni. Evoluzione e Prognosi: La prognosi è peggiore di quella del rabdomiosarcoma embrionale ed è strettamente dipendente dallo stadio. RABDOMIOSARCOMA PLEOMORFO Definizione: Il rabdomiosarcoma pleomorfo è un sarcoma di alto grado costituito da elementi cellulari bizzarri poligonali, rotondi e fusati, con differenziazione rabdomuscolare. Epidemiologia: Colpisce soprattutto adulti di sesso maschile con prevalenza intorno ai 60 anni. Sedi di insorgenza: Insorge prevalentemente nei tessuti molli profondi degli arti. Quadro macroscopico: Appare come una lesione a rapida crescita, di dimensioni solitamente superiori ai 10 cm., ben circoscritta per la presenza di una pseudo-capsula. La superficie di taglio mostra aspetto variegato per la presenza di aree di necrosi ed emorragia. Quadro microscopico: La neoplasia è costituita da una commistione di cellule di aspetto fusato, poligonale, rotondo, spesso con presenza di elementi giganti multinucleati, che mostrano ampio citoplasma eosinofilo. Immunoistochimicamente il profilo immunoistochimico è identico a quello degli altri rabdomiosarcomi, compresa la positività per miogenina, che in genere è espressa solo focalmente. Evoluzione e Prognosi: E’ il peggiore dei rabdomiosarcomi in quanto a prognosi con mortalità precoce in circa i _ degli assistiti. Tumori a differenziazione vascolare EMANGIOENDOTELIOMA EPITELIOIDE Definizione: Lesione vascolare per lungo tempo considerata a “malignità intermedia”, ma che oggi è da considerarsi francamente maligna sante la potenzialità di recidivare e di metastatizzare ben accertata. Epidemiologia: Non ha predilezione di sesso e colpisce in prevalenza l’età adulta. Sedi di insorgenza: E’ una neoplasia ubiquitaria con possibilità di localizzazione in svariati distretti dell’organismo (cute, sottocute, l’apparato scheletrico, fegato e polmone). Aspetto macroscopico: Solitamente è una massa fusiforme intravascolare che simula un trobo tranne che per la sua tenace fissità alla parete che infiltra. Aspetto microscopico: Istologicamente è costituito da un insieme di strutture vascolari di piccolo calibro, bordate da cellule endoteliali epitelio simili con citoplasma eosinofilo spesso vacuolato e talora occupato da emazie. Evoluzione e Prognosi: La lesione recidiva e/o metastatizza nel 25-50% dei casi. SARCOMA DI KAPOSI. Definizione: E’ tumore che, molto raro in Europa fino a 10-15 anni fa, ha avuto un incremento della sua frequenza con l’avvento dell’AIDS. Oggigiorno si distinguono quattro forme cliniche: • classico (sporadico): colpisce l’età avanzata e si localizza alla cute delle estremità distali, in unica o multipla presentazione • linfoadenopatico, endemico dell’Africa equatoriale, colpisce l’età giovanile con interessamento dei linfonodi cervicali, inguinali e dell’ilo del polmone • associato a terapia immunosoppressiva: colpisce soggetti immunodepressi per trattamento iatrogeno • AIDS correlato: è caratteristicamente cutaneo e multiplo, ma di frequente coesistono anche lesioni viscerali, del tratto digerente e dei linfonodi. Aspetto macroscopico. Si tratta di placche, papule o noduli di aspetto emorragico che possono essere di minime dimensioni fino ad alcuni centimetri Aspetto microscopico.Il quadro è sovrapponibile nelle diverse varianti ed è Pagina caratterizzato da crescita nodulare di cellule endoteliali fusate con presenza di spazi fissuriformi a ricco contenuto di emazie. Evoluzione e Prognosi. Sono strettamente dipendenti dalla variante, essendo gli immunodepressi più sfavoriti. L’interessamento diffuso cutaneo e viscerale presenta la prognosi peggiore. ANGIOSARCOMA Definizione: E’ il più aggressivo fra i tumori a linea differenziativa endoteliale. Epidemiologia: Interessa in maggioranza l’età avanzata. Sedi di insorgenza. Si localizza principalmente a livello cutaneo e nei tessuti molli specie negli arti inferiori; più raramente è presente a livello delle braccia, del tronco e della testa e collo in tale ordine di frequenza. Aspetto macroscopico: Si tratta di masse emorragiche multinodulari che raggiungono anche i 10 centimetri. Aspetto microscopico: Istologicamente è costituito da fessure vascolari irregolari rivestite da elementi rotondo-poligonali atipici frequentemente in mitosi. Evoluzione e Prognosi: La prognosi è infausta nella maggior parte dei casi in un arco di tempo di circa 5 anni. TUMORI A DIFFERENZIAZIONE NEURALE Si intendono qui in questo gruppo raccolte le seguenti due tipologie di neoplasie: • Tumori delle Guaine Nervose Periferiche: neoplasie composte da elementi cellulari della guaina dei nervi periferici (cellule di Schwann, cellule perineurali, tessuto connettivo); • Tumori neuroectodermici primitivi periferici (noti comunemente come PNET dall’acronimo inglese): tumori a piccole cellule rotonde con scarsa differenziazione che presentano caratteri morfologici (formazione di rosette di Homer-Wright), ultrastrutturali (presenza di granuli neurosecretori) ed immunofenotipici tipici del neuroectoderma primitivo. TUMORE MALIGNO DELLE GUAINE NERVOSE PERIFERICHE (TMGNP O MPNST dall’acronimo anglo-sassone): Definizione: Neoplasia considerata ad elevata malignità, può causare notevoli difficoltà diagnostiche per la varietà di aspetti morfologici che può assumere. Generalmente criteri diagnostici rilevanti sono: • evidenza di origine da un tronco nervoso periferico • presenza di aspetti di residui di neurofibroma • insorgenza della neoplasia in soggetti con neurofibromatosi • neoplasie con quadro morfologico simile quelle precedenti e che presentino positività alla proteina S-100 in una quota anche minima delle cellule tumorali. Epidemiologia: I T.M.G.N.P. colpiscono i soggetti fra i 20 e i 50 anni di età e prediligono il sesso femminile. Aspetto macroscopico: Sono masse di dimensioni anche voluminose, aspetto francamente sarcomatoso di sovente in continuità con un tronco nervoso. Aspetto microscopico: Istologicamente si distinguono: la variante convenzionale a cellule fusate, la variante epitelioide, la variante con componente eterologa (tessuto osseo e/o cartilagineo, elementi rabdomioblastici ) e la variante con strutture epiteliali-ghiandolari. La variante convenzionale, che è la più frequente, istologicamente si presenta come un sarcoma con pattern fascicolato, costituito da cellule fusate, con nuclei a profilo ondulato o ripiegato su se stesso e alternanza di aree ipo ed ipercellulari. Evoluzione e Prognosi: La prognosi e generalmente infausta stante l’alta potenzialità metastatica. TUMORI NEUROECTODERMICI PRIMITIVI PERIFERICI (PNET) Definizione: Si intendono compresi in questa definizione il cosiddetto Neuroepitelioma Periferico oggi comunemente etichettato PNET ed il Sarcoma di Ewing (SE) extraosseo. Oggi si ritiene ch S.E. e PNET costituiscano espressione morfologica e fenotipica di una stessa entità, il tumore neuroectodermico pri- 202 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli mitivo. A sostegno di tale affermazione oltre che le affinità cito-morfologiche reiteratamente riscontrate a livello strutturale e ultrastrutturale c’è la condivisione nel 98% dei casi di una tipica anomalia genetica, la traslocazione reciproca del braccio lungo dei cromosomi 11 e 22 : t(11;22) (q24; q12). Per quanto detto oggi ci si riferisce a tali lesioni con l’unica denominazione di Sarcoma di Ewing/Tumore neuroectodermico primitivo (PNET). Epidemiologia: Si può presentare in realtà in qualsiasi età della vita con predilezione per i giovani adulti di sesso maschile. Sedi di insorgenza: Le sedi più comuni sono il tronco, le estremità ed il retroperitoneo. Aspetto macroscopico: Si tratta di solito di masse anche di voluminose dimensioni di colorito grigio-brunastro con presenza di aree necrotiche ed emorragiche. Aspetto microscopico: Istologicamente è formato da piccole cellule rotonde, con scarso citoplasma, con occasionale presenza di immagini a rosetta o pseudorosette. Alto è l’indice mitotico e frequenti sono le aree di necrosi. Immunoistochemicamente le cellule risultano positive alla ricerca della vimentina, del CD99 ed in una piccola parte dei casi della citocheratina. Genetica. Caratteristica è la già ricordata traslocazione reciproca del braccio lungo tra i coromosomi 11 e 22. Evoluzione e Prognosi: Si tratta di un tumore ad alto grado di aggressività con mortalità di oltre il 60-70% dei casi ai 5 anni. Tumori a incerta linea differenziativa SARCOMA SINOVIALE Definizione: Il sarcoma sinoviale (SS) è un tumore mesenchimale a cellule fusate che mostra variabile differenziazione epiteliale, inclusa la possibile formazione di ghiandole. Epidemiologia: E’ più frequente in maschi giovani adulti. Insorge più frequentemente nei tessuti molli profondi degli arti, specialmente il ginocchio. Rappresenta il 5-10% dei sarcomi dei tessuti molli. Sedi di insorgenza: Il SS è un tumore ubiquitario, non solo localizzato nei tessuti molli. Non origina dalla sinovia né ha differenziazione sinoviale, nonostante il nome. Aspetto macroscopico: Il SS è rappresentato da un nodulo ben circoscritto se cresciuto lentamente, oppure presenta crescita infiltrativa. Può essere multinodulare e multicistico. Può presentare aree calcifiche. Aspetto microscopico: Microscopicamente il SS viene suddiviso in: • tipo monofasico: rappresentata solo la componente a cellule fusate • tipo bifasico: rappresentata la componente a cellule fusate e la componente epiteliale • tipo poco differenziato: presenza di elevato indice mitotico e necrosi, con morfologia a piccole cellule tipo Ewing o a grandi cellule. Tipici marcatori immunofenotipici sono, oltre la vimentina, le cheratine, EMA CD99 e bcl2 in assenza di CD34. Genetica: Il SS è caratterizzato dalla traslocazione t(X;18) (p11;q11), con generazione dei trascritti di fusione SYT-SSX1,2 e 4. Evoluzione e Prognosi: Circa 40% dei SS metastatizza ai polmoni, osso, e anche ai linfonodi. Una percentuale più elevata e più precoce metastatizzazione si ha nel tipo poco differenziato. SARCOMA EPITELIOIDE Definizione: Particolare sarcoma ad incerta istogenesi che mostra una citomorfologia prevalentemente epitelioide. Questo tumore può essere erroneamente diagnosticato come lesione benigna, specialmente come processo granulomatoso benigno. Epidemiologia: Insorge in giovani adulti (mediana di 26 anni), soprattutto maschi. Pagina Sedi di insorgenza: Le sedi più frequenti sono le superfici flessorie di dita, mani, polsi e avambracci, seguiti da ginocchio e parte inferiore della gamba. Aspetto macroscopico: Quando è superficiale il sarcoma epitelioide (SE) è di solito costituito da piccoli noduli duri, che crescono lentamente, o da placche, solitari o multipli, in sede dermica o sottocutanea, e che possono ulcerare la cute. Se profondo, può coinvolgere tendini, guaine tendinee e aponeurosi, e mostrare necrosi. Aspetto microscopico: Microscopicamente, tipicamente il SE presenta cellule epitelioidi e fusate in un tipico pattern pseudogranulomatoso di crescita nodulare con necrosi centrale. In questa forma simula un processo granulomatoso benigno. Frequentemente, specialmente nelle forme profonde, può mostrare diffusione perineurale e vascolare. L’immunofenotipo è caratteristico, con espressione di vimentina, citocheratine, EMA e CD34. Evoluzione e Prognosi: Una diagnosi corretta e precoce all’esordio permette una chirurgia radicale ed evita le recidive, che tendono a propagarsi lungo i piani fasciali e le guaine tendinee e nervose. Metastasi si sviluppano nel 40% dei casi e coinvolgono i polmoni, ed anche i linfonodi, osso ed encefalo. Particolarmente aggressiva la variante prossimale. SARCOMA ALVEOLARE DELLE PARTI MOLLI Definizione: Si tratta di un tumore raro che colpisce soprattutto adolescenti e giovani adulti. Epidemiologia: E’ un sarcoma raro, che rappresenta meno dell’1% della totalità dei sarcomi. E’ più comune fra 15 e 35 anni. Sedi di insorgenza: Coinvolge soprattutto le estremità, in particolare i tessuti molli profondi della coscia. In età pediatrica è più frequente in sede testacollo. Aspetto macroscopico: Sono masse mal-definite di colorito grigio-giallastro e frequente necrosi. Aspetto macroscopico: Ha una morfologia caratteristica . Nei bambini tende ad avere un aspetto solido. E’ formato da grandi cellule epitelioidi con abbondante citoplasma eosinofilo granulare in nidi solidi o strutture alveolari, separati da vasi sinusoidi sottili. Non ha un immunofenotipo caratteristico. La maggioranza dei casi mostra immunoreattività nucleare per TFE3. Genetica. E’ caratterizzato dalla traslocazione che fonde TFE3 (Xp11) con ASPL (17q25). Evoluzione e Prognosi: Metastatizza precocemente, e frequentemente esordisce con le metastasi a polmone o encefalo. 2.4 Stadiazione I sarcomi delle parti molli vengono classificati prendendo in considerazione i parametri del T (tumore) N (linfonodi) M ( metastasi). Per la stadiazione di questi tumori viene impiegato il sistema sviluppato dall’AJCC, in cui ciascuno stadio risulta dalla valutazione dei seguenti fattori. • T è il risultato della combinazione tra le dimensioni del tumore (>/< 5 cm) e la profondità di localizzazione dello stesso. Vengono definite “superficiali “ le lesioni che non interessano nella loro crescita la fascia muscolare superficiale, mentre sono “profonde” le lesioni che invadono o quelle sottostanti. Per convenzione, tutti i sarcomi che si sviluppano nel retro - peritoneo o nei visceri sono da considerarsi profondi. Vengono considerate profonde anche la maggior parte delle lesioni del distretto cervico-facciale e quelle endotoraciche. • N nei SPM l’interessamento dei linfonodi regionali è un evento raro, ma con prognosi infausta. La prognosi dei pazienti con malattia N1 è infatti sovrapponibile a quella dei pazienti con malattia metastatica a distanza. 203 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO • Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici G esprime il grado di differenziazione istologica della neoplasia, a cui viene dato un punteggio crescente da 1 a 3 o 4 a seconda del sistema di classificazione utilizzato. Poiché questo fattore è una variabile biologica di tipo continuo, può essere talora difficile assegnarle un punteggio arbitrario. Tumore primitivo (T) • Tx tumore primitivo non valutabile • T0 nessuna evidenza di tumore primitivo • T1 tumore primitivo < 5cm : T1a = superficiale T1b = profondo • T2 t umore primitivo > 5cm T2a = superficiale T2b = profondo Linfonodi regionali (N) • Nx linfonodi regionali non valutabili • N0 assenza di metastasi nei linfonodi regionali • N1 metastasi nei linfonodi regionali Metastasi a distanza (M) • Mx metastasi non valutabili • M0 non evidenza di metastasi a distanza • M1 presenza di metastasi a distanza Grado istopatologico (G) • Gx non valutabile • G1 ben differenziato • G2 moderatamente differenziato • G3 scarsamente differenziato • G4 indifferenziato Stadi • I G1-2 T1a-b T2a-b N0 M0 • II G3-4 T1a-b T2a N0 M0 • III G3-4 T2b N0 M0 • IV ogni G ogni T N1 M0 ogni G ogni T N0 M1 2.5 Diagnosi e valutazione della risposta La diagnostica per immagini La diagnostica per immagini risulta fondamentale sia nelle fasi iniziali di diagnosi che in quelle di stadiazione. Nello studio di lesioni dei tessuti molli di sospetta natura maligna, le diverse tecniche di immagine permettono di identificare la massa, descriverne le caratteristiche, i rapporti con la fascia muscolare e le strutture vascolo-nervose limitrofe, l’estensione e l’eventuale coinvolgimento dei tessuti circostanti. L’esame radiografico diretto del segmento interessato deve essere eseguita in almeno due proiezioni,con tecnica radiologica digitale con elaborazione della immagine sia per l’osso che per le parti molli. L’esame radiografico permette di individuare un eventuale coinvolgimento della componente scheletrica (lesioni periostali, alterazioni del profilo, erosioni dello stesso, coinvolgimento della componente midollare) e le alterazioni di densità dei tessuti molli, presenza di calcificazioni a differente morfologia (fleboliti nelle lesioni angiomatose , ossificazioni a guscio della miosite ossificante matura, etc.) La radiografia del segmento osseo non richiede competenze specialistiche e può essere eseguita in qualsiasi struttura fornita di apparecchiatura radiologica. Se è eseguita con tecnica di radiologia digitale vi è maggiore duttilità nell’elaborazione dell’immagine ed è possibile l’archiviazione agevole delle im- Pagina magini con rapida consultazione a distanza o in caso di controlli successivi. L’indagine ecografica è l’ esame di prima istanza in quanto metodica semplice, di basso costo, disponibile nella maggior parte dei centri diagnostici anche periferici. Consente di misurare le dimensioni ed il rapporto con la fascia muscolare superficiale, di valutare il contenuto (liquido, solido, misto, adiposo, fibroso), di valutare il coinvolgimento delle strutture vicine. L’esame deve essere eseguito con apparecchiatura dotata di trasduttori a scansione elettronica a larga banda e multifrequenza lineari e convex a larga banda multifrequenza per poter studiare sia i tessuti superficiali che profondi compresi nel campo di vista. L’indagine ecografica deve essere sempre completata con Eco-color Doppler e PowerDoppler (PD) con elevata sensibilità per i flussi sia arteriosi che venosi, per una accurata valutazione della vascolarizzazione della lesione. In caso di lesioni vascolarizzate è consigliabile procedere all’utilizzo del mezzo di contrasto ecografico (CEUS). Lo studio ecografico con mdc consente di studiare in tempo reale le strutture vascolari, in particolare la neoangiogenesi presente nella lesione, analizzandone il comportamento in tutte le fasi, da quella arteriosa a quella venosa sino alle fasi tardive, e delineandone la precisa mappa vascolare. Lo studio CEUS, oltre a fornire utili informazioni sulla possibile natura benigna o maligna della lesione basata sulla neoangiogenesi, diffusione del CEUS permette inoltre di scegliere l’area più significativa per la successiva biopsia, che dovrà indirizzarsi su di un tessuto vitale, non necrotico, e dovrà evitare le aree non diagnostiche ai fini anatomo-patologici. A tale scopo l’ecografia, grazie a particolari dispositivi applicati alle sonde e alla guida elettronica mirata, presente su tutte le apparecchiature, consente di indirizzare con estrema precisione l’ago nel tragitto prescelto. Il referto dell’ecografia di una massa dei tessuti molli deve riportare le dimensioni, la sede (in particolare i rapporti con la fascia), i margini, l’ecostruttura, la vascolarizzazione (nel caso di Eco Power Color Doppler) (livello V). Una lesione clinicamente sospetta deve essere studiata in prima istanza mediante l'esecuzione di radiografia ed ecografia con eco Color Doppler (livello VI di evidenza). Nel caso gli esami di primo livello confermino il sospetto di patologia aggressiva evolutiva, oppure permanga il dubbio diagnostico, o ancora la massa abbia dimensioni superiori ai 5 cm vi è indicazione ad eseguire esami di secondo livello. Qualora il paziente sia in carico a servizi periferici, a questo punto dell’iter diagnostico è necessario considerare il riferimento a centri specialistici specifici. Il paziente con lesione sospetta di malignità agli esami di primo livello dovrebbe essere sottoposto agli esami di secondo livello o in un centro ad alta specializzazione specifica o in un centro che si attenga al presente protocollo (livello V). Una lesione delle parti molli deve essere sottoposta a Risonanza magnetica (RM) se all’esame ecografico dimostra caratteristiche sospette per lesione evolutiva o se presenta dimensioni superiori ai 5 cm circa. L’indagine RM è in grado di fornire una accurata valutazione anatomica e morfologica della lesione la sua estensione compartimentale, l’edema peritumorale, l’interessamento neuro vascolare osseo ed articolare. L’esame RM deve essere condotto prevalentemente con sistemi superconduttivi ad alto campo (almeno 1.0 T) o comunque con elevata potenza di gradiente, che consentano di ottenere immagini caratterizzate da un rapporto 204 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli segnale/rumore ottimale (indispensabile per ottenere un adeguato dettaglio anatomico), e da alta risoluzione di contrasto (indispensabile per la caratterizzazione tissutale). La RM consente uno studio sia panoramico della lesione esplorandola nella sua interezza e in tutti i piani dello spazio in rapporto con le strutture anatomiche dell’intero segmento corporeo sia con studio mirato della lesione restringendo il campo di vista con elevato dettaglio anatomico. Il primo scopo dell’indagine RM è quello di valutare la compartimentalità della lesione con studio ad elevato dettaglio anatomico FSE (fast Spin Echo) pesate in T1 e T2/DP, che consentano di visualizzare le logge muscolari, le fasce muscolari, i tendini, il piano cutaneo e sottocutaneo, i nervi, i vasi e le strutture capsulo-legamentose articolari. In secondo luogo è fondamentale delimitare correttamente la massa, distinguendola dall’edema perilesionale, confrontando sia le sequenze T2 e T1 pesate, che quelle T1 con soppressione del grasso (Fat-Sat) prima e dopo la somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto paramagnetico. L’esame RM grazie alla sua elevata risoluzione di contrasto consente una valutazione delle caratteristiche tissutali della lesione. I tumori maligni come i sarcomi sono caratterizzati da tessuti ad elevata attività metabolica e cellularità, e sono generalmente caratterizzati da elevato e disomogeneo segnale nelle sequenze T2 e T2 con soppressione del grasso (STIR), caratteristiche di segnale che però appartengono anche ad alcune lesioni benigne altamente vascolarizzate (angiomi, schwannomi, etc) . Una particolare raccomandazione è sull’utilizzo della sequenza STIR, caratterizzata da una estrema sensibilità per le molecole di acqua libera e quindi nell’evidenziare anche solo minime alterazioni di natura edematosa. L’utilizzo del mezzo di contrasto paramagnetico è indispensabile nella diagnosi dei sarcomi. La neoangiogenesi dei tumori maligni è caratterizzata dall’abnorme e anarchica proliferazione di vasi con alterata permeabilità. Il potenziamento di segnale e la conseguente iperintensità nelle sequenze pesate in T1 dopo la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico è dovuta sia alla ricchezza di vasi intralesionali sia al rapido passaggio del mezzo nel compartimento interstiziale attraverso le alterate pareti vascolari. Lo studio RM dopo mdc appare particolarmente importante nella valutazione della necrosi intratumorale pre e post-terapia neoadiuvante. La RM è in grado di fornire una accurata valutazione dell’ interessamento del fascio neuro vascolare con lo studio Angio-RM delle strutture vascolari in fase arteriosa e artero-venosa, grazie all’iniezione a “bolo” del mezzo di contrasto a flusso elevato. L’angio-TC, praticata con apparecchi “multidetettore”, è sicuramente al momento attuale l’indagine meglio codificata per lo studio di un eventuale coinvolgimento dell’asse vascolare da parte della neoplasia. Tuttavia, i più recenti sviluppi tecnico-metodologici in ambito RM (sequenze ultraveloci, utilizzo di iniettori ad alto flusso) e l’utilizzo dei mezzi di contrasto “blood-pool” consentono di ottenere immagini pressoché sovrapponibili all’indagine TC. E’ inoltre possibile eseguire studi RM “ dinamici “ dopo mdc ( DCE-RM) o studi RM perfusione con sequenze ultrarapide in , consentendo di ottenere informazioni sulle modalità dell’arrivo del mezzo nel compartimento vascolare arterioso della lesione, del passaggio nel compartimento interstiziale e della sua persistenza più o meno duratura in esso. Ciò permette di costruire delle curve intensità-tempo dai cui parametri (pendenza della curva, tempo di picco, area sotto la curva, etc.) si possono ricavare importanti informazioni sulle caratteristiche della vascolarizzazione della lesione. Questa tecnica RM è in grado di individuare le modificazioni del flusso sanguigno, volume ematico, perfusione e permeabilità nella neoangiogenesi con Pagina incremento delle possibilità di caratterizzazione tissutale e nella valutazione della risposta. L’esame RM può essere completato con esame RM di Diffusione, tecnica particolarmente sensibile nella valutazione della cellularità della lesione sia nella incremento della sensibilità nella caratterizzazione tissutale ma soprattutto nella valutazione della necrosi tumorale sia prima che dopo i diversi trattamenti terapeutici. I pazienti con lesione potenzialmente maligna agli esami di primo livello devono essere sottoposti a Risonanza magnetica, senza e con gadolinio, dell’intero segmento corporeo in cui è situata la massa (livello V). La tomografia computerizzata (TC) allo stato dell’arte attuale deve essere eseguito con tecnica multistrato e con utilizzo del mezzo di contrasto. L’esame così eseguito presenta un elevato contenuto diagnostico circa la compartimentalità e i rapporti fra massa e le strutture ossee e vascolo-nervose, meglio se completato da ricostruzioni nei vari piani dello spazio e 3D. L’esame TC nei sarcomi dei tessuti molli è utile eseguirlo sia quando la massa è prossima a un segmento scheletrico per valutare l’interessamento della corticale ossea e della trabecolatura, o è prossima all’asse vascolare per determinarne il coinvolgimento (infiltrazione, compressione e dislocazione). L’esame TC con queste caratteristiche mantiene tuttora un alto valore diagnostico in assenza di apparecchiatura RM idonea. In caso di presenza di RM, la TC è indagine di secondo livello rispetto a questa ed è essenzialmente di completamento diagnostico e di indirizzo in fase pre-chirurgica. Naturalmente appare oggi invariato e fondamentale il suo ruolo nella stadiazione di torace ed addome in caso di sarcoma. I pazienti affetti da sarcoma delle parti molli devono essere sottoposti a tomografia computerizzata del torace senza e con mezzo di contrasto (livello V). Valutazione della risposta La valutazione della risposta ai trattamenti chemioterapici e radioterapici devono essere effettuati con Risonanza Magnetica sia convenzionale che Dinamica mentre la TC deve essere eseguita solo nei casi con controindicazioni alla RM. I criteri di risposta devono basarsi non solo sui tradizionali criteri RECIST e WHO, che sono basati esclusivamente sulla misurazione dei diametri del tumore ma integrati con sistemi alternativi come quelli proposti da Choi et al nel 2004, che considerano nel criterio di valutazione della risposta oltre che le dimensioni anche l’aspetto “funzionale” (valori densitometrici, vascolarizzazione, densità cellulare della lesione) che si correlano meglio con l’outcome ma che possono porre problemi di riproducibilità. Le tecniche Dinamiche e di Perfusione sono particolarmente rilevanti di monitorare la risposta ai diversi trattamenti chemioterapici sia convenzionali che dopo target therapy in quanto i sarcomi tendono a dimostrare curve con picchi elevati e precoci (in fase arteriosa), che si possono ridurre nettamente dopo la terapia neoadiuvante, fornendo importanti informazioni prognostiche correlabili con i dati anatomo-patologici dell’entità della necrosi post-terapia. La tecnica di RM di diffusione dovrebbe essere sempre eseguita nella valutazione della risposta al trattamento. I parametri di valutazione ad ogni esame radiologico sono i seguenti: • Valutazione delle dimensioni del tumore (criteri RECIST) con RM o TC. • Valutazione della cellularità del tumore (valori di diffusione RM o densità con la TC) secondo i criteri CHOI. • Valutazione della vascolarizzazione tumorale con quantificazione della perfusione con RM di perfusione o TC di perfusione o PET-TC. 205 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 3. Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco 3.1 La biopsia La biopsia è l’ultimo passo nell’iter diagnostico e il primo atto chirurgico. E’ una “strategia”, non un “intervento di piccola chirurgia”. Deve sempre essere preceduta dall’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami strumentali, e non deve essere il primo atto diagnostico “per abbreviare i tempi”. La stadiazione strumentale locale completa è indispensabile per conoscere la sede, l’estensione, il compartimento anatomico e le caratteristiche di segnale correlabili a differenti tessuti. Se si esegue una biopsia senza lo studio con ecografia, RM e/o TC, si possono contaminare più compartimenti e si può prelevare tessuto non idoneo né significativo per la diagnosi. Se si esegue la biopsia escissionale, cioè si asporta la lesione, senza averne studiato la reale estensione, l’escissione chirurgica potrebbe essere marginale o addirittura intralesionale. La biopsia è il primo atto chirurgico anche quando viene eseguita con un ago tranciante dal radiologo. Una biopsia condotta in modo errato preclude la terapia corretta, portando talvolta al sacrificio dell’arto laddove una biopsia corretta avrebbe potuto salvarlo, aumenta la probabilità di recidiva locale, aumenta il rischio di complicanze postoperatorie, peggiora il risultato funzionale. Solo ortopedici, chirurghi, radiologi, patologi, oncologi e radioterapisti, che conoscono tutto il caso e collaborano strettamente, possono scegliere ed applicare la corretta strategia diagnostica e terapeutica. In quest’ottica, è indispensabile che il chirurgo e il radiologo, che abbiano eseguito la biopsia, considerino non concluso il proprio lavoro con il prelievo, ma continuino a collaborare con il patologo fino alla definizione della diagnosi istologica. La biopsia deve essere eseguita secondo tutte le regole chirurgiche oncologiche da medici che ne conoscono tutti i presupposti e le conseguenze (A) In caso di sospetto sarcoma dell’osso e dei tessuti molli, a causa della rarità della patologia e delle difficoltà e complessità diagnostiche e terapeutiche, tutta la letteratura internazionale è concorde nel suggerire che il paziente sia inviato già nella fase della biopsia presso un centro di riferimento con esperienza nei sarcomi, per evitare errori e perdite di tempo, limitando i costi umani e sanitari. Livello V I pazienti con sospetto tumore dei tessuti molli devono essere inviati ad un centro di riferimento per l’esecuzione della biopsia (A). Indipendentemente dalla specialità e dalla tecnica, è indispensabile che il medico esecutore sia strettamente coinvolto nel processo diagnostico e terapeutico: essendo la biopsia l’ultimo atto diagnostico, l’esecutore ed il patologo che la interpreta non possono ignorare la storia clinica, l’esame obiettivo e gli esami strumentali già eseguiti; essendola biopsia il primo atto chirurgico, l’esecutore ed il patologo devono avere ben presenti tutte le possibili conseguenze terapeutiche. In particolare, l’uno deve conoscere perfettamente la via d’accesso definitiva con cui verrà asportato il tumore, perché tutto il tratto bioptico dovrà essere asportabile in blocco con il sarcoma; l’altro deve conoscere le conseguenze terapeutiche della diagnosi istologica per dare tutte le informazioni necessarie, utilizzando tutte le metodiche a disposizione. Poiché la biopsia è parte di una strategia, è fondamentale che l’ortopedico ed il chirurgo non solo diano l’indicazione alla biopsia, ma provvedano anche a stabilirne l’urgenza in base al sospetto diagnostico, e metta in atto un protocollo, anche organizzativo, per realizzarla nei tempi e modi adeguati. Pagina Fondamentale è, in tutti i passaggi, l’informazione al paziente ed ai familiari in modo che, quando la diagnosi istologica arriverà, il paziente e la famiglia siano pronti ad affrontare il lungo e difficile percorso terapeutico. Livello VI E’ indispensabile che ciascun reparto ortopedico o chirurgico rediga un protocollo attuabile nella propria realtà lavorativa per la realizzazione della “strategia bioptica” (B). La scelta della sede della biopsia deve tenere conto di tre fattori: 1) le vie chirurgiche d’accesso: la biopsia deve essere eseguita utilizzando la stessa via d’accesso dell’intervento chirurgico definitivo, perché il tratto bioptico dovrà essere successivamente asportato in blocco con il tumore 2) il compartimento anatomico: la biopsia deve essere eseguita in modo da non contaminare altri compartimenti 3) le caratteristiche del tessuto patologico individuate dalla diagnostica per immagini: la biopsia deve essere centrata dove vi è tessuto idoneo e rappresentativo, escludendo le aree necrotiche, colliquative e/o emorragiche. Gli accessi oncologici sono diversi da quelli ortopedici classici e devono essere conosciuti bene da chi si accinge ad eseguire la biopsia. La biopsia può essere eseguita in due modi: con ago tranciante (tru-cut, definita anche core needle biopsy) sotto controllo ecografico, oppure mediante incisione chirurgica (biopsia incisionale). In caso di sospetta lesione sarcomatosa, la terza alternativa, la biopsia ad ago sottile (Fine Needle Aspiration Cytology, FNAC) è da eseguirsi solo in casi selezionati e quando il servizio disponga di patologi con grande esperienza, perché dà un prelievo di cellule e non di tessuto: spesso le masse sarcomatose hanno componenti cellulari differenti che, prese separatamente, possono dare diagnosi diametralmente opposte. La diagnosi più adeguata è invece basata soprattutto sullo studio dell’“architettura” del tessuto neoplastico: il tipo e numero di cellule, il numero di mitosi, la matrice, la necrosi e la vascolarizzazione. La biopsia escissionale, cioè l’asportazione della lesione non preceduta dall’esame istologico, nei sarcomi dei tessuti molli è possibile solo nei seguenti casi: la massa è sottocutanea o intramuscolare, di dimensioni inferiori o uguali a 3 cm, i margini sono ben delimitati, l’escissione in blocco con margini ampi è conservativa, il referto istologico non modificherebbe il trattamento (né il tipo di escissione né i margini), il risultato funzionale è buono. La biopsia incisionale con esame al congelatore e l’immediato intervento chirurgico ha indicazioni molto limitate: può essere eseguita solo nei sarcomi dei tessuti molli con caratteristiche all’imaging omogenee, per sede e caratteristiche non vi è indicazione al trattamento preoperatorio con radio e/o chemioterapia e vi è la possibilità di asportarla chirurgicamente con margini adeguati in modo conservativo. L’esame al congelatore è invece utile per la conferma dell’idoneità del prelievo. Sia la biopsia con tru-cut che incisionale hanno vantaggi e svantaggi. La scelta tra le due metodiche bioptiche dipende da molti fattori, tra cui l’esperienza del radiologo, del chirurgo e del patologo, la sede ed il tipo di lesione, il tipo di paziente e la sua volontà. In qualunque modo venga eseguita e da chiunque venga eseguita, chirurgo o radiologo, la biopsia deve seguire le regole della chirurgia oncologica per 206 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli permettere l’asportazione chirurgica corretta ed adeguata del sarcoma quando la diagnosi e la stadiazione permetteranno la terapia. L’anestesia locale per infiltrazione con anestetico è sconsigliata: è possibile la disseminazione con l’ago di cellule tumorali nei tessuti circostanti ed all’intervento definitivo la zona infiltrata sarà difficilmente identificabile e quindi vi è il rischio di non asportarla in blocco con il tumore. L’esecuzione sotto guida ecografica o TC permette sia di indirizzare l’ago nelle zone di tessuto con segnale più rappresentativo, evitando il prelievo in aree necrotiche e/o emorragiche, sia di non oltrepassare la massa, disseminando il tumore. Se necessario, è possibile eseguire più prelievi utilizzando sempre lo stesso foro cutaneo di entrata. E’ sconsigliabile eseguire il prelievo con ago tranciante a mano libera. Il grande svantaggio dell’agobiopsia, nonostante la possibile pluralità dei prelievi, è la relativa scarsità del tessuto, per cui talvolta è impossibile avere una diagnosi istologica certa, anche se il prelievo è stato fatto tecnicamente in modo impeccabile ed il patologo è esperto in lesioni sarcomatose. Inoltre, ancora per la scarsità del prelievo, nella maggior parte dei casi è impossibile studiare il tessuto neoplastico con indagini aggiuntive quali la biologia molecolare. Le complicanze dell’agobiopsia con ago tranciante sotto controllo ecografico o TC sono minime sia come numero che come morbilità, essenzialmente, anche se raramente, l’ematoma post-prelievo (è buona norma eseguire un’ecografia di controllo dopo un’ora dal prelievo, documentando la situazione postbioptica). Il rischio di infezione dopo l’agobiopsia sia eco che TC guidata, pur possibile, è poco probabile. In letteratura sono stati segnalati rarissimi casi di morte per crisi vagali in pazienti affetti da neurinoma biopsiati con ago sotto controllo ecografico. Poiché talvolta è difficile diagnosticare con la clinica e l’imaging un neurinoma, è buona regola far precedere la biopsia con la “puntura esplorativa” della massa con un ago da spinale; se il paziente non ha reazioni, si può procedere senza problemi. Si sottolinea che anche l’agobiopsia deve essere eseguita per la stessa via d’accesso della biopsia incisionale in modo da permettere l’asportazione in blocco del tragitto bioptico con il tumore. Se chi esegue la biopsia con ago è il radiologo, è determinante l’accordo preliminare con il chirurgo, per identificare esattamente la via d’accesso definitiva. La biopsia incisionale richiede l’accesso ad una sala operatoria ed una anestesia almeno loco-regionale. Oltre alle normali complicanze di un intervento chirurgico (ematoma, infezione, ritardo di guarigione della ferita, tromboembolia, ecc.), vi è il rischio di prelevare in una zona poco rappresentativa per cui la diagnosi, da cui deriva la scelta terapeutica, potrebbe non essere corretta. Se vi è il dubbio che il materiale prelevato sia necrotico, e quindi non adatto per la diagnosi, l’esecutore della biopsia deve richiedere l’esame al congelatore per definirne l’idoneità. Si sottolinea che l’esame al congelatore può essere effettuato solo sui tessuti molli, non sull’osso. In caso di discordanza tra i dati clinici, gli esami strumentali ed il referto istologico sul prelievo bioptico, è indispensabile rivalutare tutto il percorso diagnostico e, se necessario, ripetere la biopsia. Come eseguire il prelievo bioptico con ago tranciante sotto controllo ecografico o TC. Le regole per il prelievo chirurgico bioptico, in base ai principi di chirurgia oncologica, sono le seguenti: Pagina • • • • • • • • • • • informare il paziente ed ottenerne il consenso informato se possibile, non usare il laccio emostatico: si evita il rischio teorico di liberare emboli di cellule tumorali al momento sia della spremitura con fascia di Esmark che al rilascio del laccio. Se si decide di usarlo, non usare la fascia compressiva in corrispondenza del tumore e sgonfiare il laccio subito dopo il prelievo bioptico per procedere alla coagulazione accurata se vi sono dubbi sulla localizzazione (alcune masse, specie se con componente angiomatosa, tendono a diminuire improvvisamente di dimensioni in anestesia), identificare con l’ecografo la sede prima di incidere la cute sezionare a “tutto fondo” i piani con un’incisione longitudinale: incidere cute, sottocute e muscolo evitando di scollare il sottocute dalla fascia, la fascia dal muscolo, il muscolo dal periostio ecc. Lo scollamento contamina ed aumenta i tessuti da asportare in blocco all’intervento definitivo Il tumore è sempre delimitato da una pseudocapsula, di solito ricca di vasi: coagularli accuratamente o legarli per diminuire il rischio di sanguinamento quando la si incide. Nel dubbio, applicare un ago ed aspirare per essere sicuri che all’interno non vi sia una raccolta di sangue sotto pressione Incidere la pseudocapsula, se possibile ad H in modo da sollevare i due lembi (suturabili al termine dell’intervento) e procedere, a seconda della consistenza del tessuto patologico, al prelievo di un frammento di circa 1cm3 con pinza e bisturi in modo “atraumatico” Valutare l’aspetto macroscopico del frammento prelevato: deve essere un tessuto vitale, non necrotico, né colliquativo né emorragico. In caso di dubbio, si richiede immediatamente l’esame al congelatore per valutare l’idoneità del prelievo e, se necessario, procedere all’ulteriore prelievo. Inviare il frammento bioptico al servizio di anatomia patologica eseguire l’emostasi in modo accurato: bisogna evitare la formazione di un ematoma postoperatorio che, oltre ai comuni problemi, potrebbe disseminare le cellule tumorali nei tessuti circostanti suturare accuratamente la pseudocapsula e tutti i piani, per evitare la contaminazione, posizionando i punti di sutura vicino ai margini di incisione in modo da diminuire la quantità di tessuti da asportare come tramite bioptico il drenaggio dovrebbe essere utilizzato solo se strettamente necessario. Deve essere posizionato in modo che rimanga intracompartimentale ed esca dalla cute nella direzione e vicino ad un estremo dell’incisione: all’intervento definitivo il tragitto ed il tramite cutaneo dovranno essere asportati in blocco con il tumore controllare la guarigione della ferita ed informare il paziente che il riposo funzionale nel postoperatorio diminuisce il rischio di ematoma e di sanguinamento. Il razionale della chirurgia La maggior parte dei sarcomi delle parti molli deve essere asportata chirurgicamente in blocco dopo un’accurata analisi della diagnostica per immagini, della funzione residua, delle possibilità ricostruttive, dell’efficacia delle terapie adiuvanti e della volontà del paziente. In oncologia del sistema muscolo-scheletrico, il chirurgo deve attenersi ad alcune regole fondamentali: • escissione in blocco della massa con margini chirurgici adeguati • accurata emostasi e successivo lavaggio del letto operatorio, per evitare ematomi ed infezioni • posizionamento di clips metalliche a livello dei margini di resezione del 207 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici letto operatorio, con il compito di facilitare il planning di radioterapia adiuvante. • assistenza diretta al radioterapista nel caso di posizionamento dei tubicini di plastica per la brachiterapia interstiziale, evitando il contatto diretto di questi con vasi e nervi e identificando i punti di dubbia marginalità per la concentrazione della dose e l’estensione dell’impianto. • descrizione accurata dell’intervento chirurgico, delle masse muscolari asportate, delle strutture nobili escisse, delle zone di contiguità o dubbia marginalità • determinazione da parte del chirurgo dei margini chirurgici sul pezzo anatomico, segnalando al patologo, con inchiostro di china o fili di sutura, i margini potenzialmente contaminati o le zone di contiguità di vasi e nervi principali • evitare di sezionare il campione in sala operatoria, per non compromettere i reperi sui margini di resezione. La sezione del tumore è un atto che deve essere svolto dal patologo • invio del pezzo “a fresco” ed in condizioni di sterilità, come già esposto nel paragrafo sulla biopsia, per avere la possibilità di eseguire studi biologici; se non è possibile, si consiglia la fissazione del campione operatorio in toto in sala operatoria. In genere la diagnosi istologica di malattia è già stata definita con la biopsia. È’ tuttavia utile non solo confermare l’istotipo, ma anche verificare che, nel contesto della massa, non esistano aree di grado più elevato. Inoltre, con l’analisi combinata macroscopica e microscopica, l’anatomopatologo deve verificare la qualità dei margini della resezione. Il tipo di escissione, definita dalla classificazione della Musculoskeletal Tumor Society come intralesionale, marginale, ampia e radicale, condiziona la condotta terapeutica successiva all’intervento. L’esame microscopico della resezione garantisce la definizione precisa dei margini e quindi della qualità e del tipo di escissione. L’individuazione di aree di marginalità e/o contaminazione della resezione è sempre fondamentale, ma soprattutto nelle escissioni cosiddette allargate, laddove l’atto chirurgico ha già asportato tutto ciò che le caratteristiche anatomiche e compartimentali permettevano. Escissione Intralesionale: è l’asportazione eseguita passando attraverso la massa tumorale, quando la pseudocapsula del tumore è violata dal chirurgo, cosicché parti macroscopicamente visibili di tessuto sarcomatoso rimangono in sede. Un margine intralesionale può talvolta essere accettato per neoformazioni benigne come un lipoma, se localizzato in prossimità di strutture anatomiche nobili come vasi o nervi principali, il cui sacrificio comporterebbe gravi deficit funzionali. Anche nelle forme benigne localmente aggressive (es. tumore desmoide), se in contatto con strutture nobili, una marginalità è accettabile se si associa la radioterapia postoperatoria per ridurre la probabilità di recidive locali. Nei sarcomi ad alto grado, questo tipo di margine è da considerarsi inaccettabile, perché espone il paziente ad una percentuale di recidiva locale di oltre il 90%. Escissione Marginale: è l’asportazione in blocco della neoplasia attraverso la pseudocapsula reattiva. La pseudocapsula è un’area di tessuto che circonda la neoplasia, potenzialmente contaminata da cellule neoplastiche e/o con digitazioni neoplastiche, e spesso circondata da lesioni “skip”, presenti intorno ad essa. Questa è la ragione per cui l’escissione marginale di un sarcoma ad alto grado espone il paziente ad un rischio di recidiva locale stimato intorno al 4060%. In un sarcoma a basso grado e in contiguità con una struttura vascolare o nervosa di rilievo, si può accettare anche una focale marginalità chirurgica Pagina se si associa al margine anche il perinevrio o l’avventizia del vaso e si esegue la radioterapia adiuvante. Una escissione marginale è il trattamento adeguato per la maggior parte dei tumori benigni, dove, se la neoplasia viene escissa in blocco, la recidiva locale è rara. Vi sono alcuni tumori benigni, come la fibromatosi aggressiva o il neurofibroma, che non hanno una vera e propria pseudocapsula ed hanno una crescita caratterizzata da un pattern infiltrativo locale. Per questo motivo il neurofibroma può essere escisso dal nervo di origine solo attraverso l’ausilio di ottiche microchirurgiche. Escissione Ampia: è l’asportazione in blocco del tumore circondato da tessuto sicuramente sano, non reattivo, all’interno del compartimento anatomico di origine. La qualità del margine è più importante dello spessore: una fascia o un’avventizia rappresentano un margine chirurgico migliore rispetto ad alcuni centimetri di tessuto adiposo o muscolare (1 mm di fascia è più efficace di 2 cm di muscolo). Questo tipo di escissione non esclude la possibilità di lasciare in situ delle skip metastasi, motivo per il quale la percentuale di recidiva con la sola chirurgia ampia di un sarcoma delle parti molli, si aggira intorno al 20-30%. Per ridurre questa percentuale di recidiva si deve associare la radioterapia (diversamente combinata: preoperatoria, postoperatoria, brachiterapia), che ha portato ad un controllo locale nelle forme ad alto grado compreso tra il 9 ed il 18%. Escissione Radicale (o compartimentale): è l’asportazione in blocco di tutto il compartimento anatomico, o di tutti i compartimenti anatomici interessati dal tumore, per esempio l’intero quadricipite per la loggia anteriore di coscia. Dopo questo tipo di escissione la recidiva locale è bassa (circa 2%) e spesso non si associa alcun adiuvante locale. Dal punto di vista oncologico, questa escissione garantisce grandi risultati sul controllo locale, a scapito però della funzione residua dell’arto. Per poter offrire al paziente una qualità funzionale accettabile, è necessario ricorrere ad artifici chirurgici ricostruttivi molto complessi (megaprotesi composite, lembi microchirurgici liberi vascolarizzati ed innervati etc) e molto impegnativi per il paziente, con possibili complicanze della ricostruzione. E’ questo il motivo per cui una escissione radicale è limitata ai pazienti in cui la malattia è localmente avanzata e compartimentale, mentre ad oggi, il golden standard della chirurgia oncologica di un sarcoma o di una lesione benigna aggressiva delle parti molli è la chirurgia ampia, associata o meno alla radioterapia. Livello VI I pazienti portatori di sarcoma delle parti molli operabili devono essere sottoposti ad intervento chirurgico di asportazione in blocco con margini radicali o ampi, sulla base della stadiazione, della funzione residua, delle possibilità ricostruttive, dell’efficacia delle terapie adiuvanti e della volontà del paziente (A). Nel caso di trattamento inadeguato, come ad esempio può accadere in un paziente trattato in un Centro non specializzato, pur in assenza di una franca recidiva locale, è necessario che il paziente sia stadiato con tutte le necessarie tecniche di imaging; il preparato istologico deve essere rivalutato da un patologo di grande esperienza nel settore. Completato questo iter, il paziente deve essere ritrattato con una nuova chirurgia (radicalizzazione), escidendo in blocco la cicatrice chirurgica ed i tessuti contigui per ottenere una radicalità del letto operatorio. La nuova analisi del pezzo operatorio deve essere accurata, con la finalità sia del riscontro di malattia residua sia dei nuovi margini chirurgici. Nelle diverse casistiche, è riportata una persistenza di malattia microscopica o macroscopica variabile dal 35 al 60%. 208 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli La presenza di cicatrice positiva amplifica la possibilità di recidiva locale da 1.5 a 3 volte rispetto ai pazienti con cicatrice negativa. Nonostante questo, la sopravvivenza complessiva nei due gruppi di pazienti non varia in maniera statisticamente significativa. Livello VI Tutti i servizi di chirurgia che operino pazienti portatori di massa delle parti molli devono attenersi alle regole della chirurgia oncologica (A) Livello V Gli interventi chirurgici per l’asportazione chirurgica di un sarcoma delle parti molli non devono essere eseguiti in un centro senza esperienza specifica. Osso Quando il tumore della parti molli è mobile sui piani profondi, non è in contiguità con l’osso e dall’imaging appare che ci sia un margine di sicurezza tra le due strutture, non vi è nessuna necessità di rimuovere l’osso. Quando il tumore è in contiguità con l’osso, ma la massa è clinicamente mobile e la scintigrafia ossea è negativa, si deve associare all’escissione anche uno stripping del periostio con scollaperiostio o bisturi elettrico, mantenendo lo stesso come margine profondo di resezione. Questa accortezza tecnica da un lato evita la necessità di eseguire una ostectomia, con indubbi vantaggi per il paziente, dall’altra espone lo stesso alla possibilità di fratture patologiche dopo radioterapia adiuvante, essendo il periostio una barriera efficace alla osteonecrosi da radioterapia. Questo è il motivo per cui a volte, in caso di asportazione del periostio dalla diafisi delle ossa lunghe, è necessario associare una osteosintesi preventiva dell’intero segmento. Quando oltre alla contiguità ossea vi è un’aumentata captazione alla scintigrafia, questo è indice di una attivazione periostea da parte della pseudocapsula. In questo caso si deve eseguire una resezione tangenziale dell’osso ed una sua ricostruzione con allograft o autograft. Se si programma di eseguire una radioterapia adiuvante, è necessario ricorrere ad innesti autologhi, con maggior resistenza e capacità biologica, supportati da una osteosintesi preventiva stabile (placche lunghe o chiodo endomidollare). Se la massa è fissa ed adesa al piano osseo, la scintigrafia ossea è francamente positiva e le immagini TC e RMN evidenziano una chiara invasione corticale della neoplasia, è necessario eseguire una escissione in blocco della neoplasia e dell’intero segmento osseo adiacente, con conseguente ricostruzione dell’osso con protesi, innesti, spaziatori con chiodo o cemento etc. La stessa procedura di ostectomia totale è consigliata quando la scintigrafia è francamente positiva, l’imaging non mostra una sicura infiltrazione, ma la massa circonda per oltre i 2/3 l’osso. In questi casi di ostectomia totale e ricostruzione con innesti o protesi, è sempre utile eseguire un trattamento neo-adiuvante, al fine di evitare di dover irradiare nel postoperatorio la ricostruzione ossea. Vasi Il rapporto tra massa neoplastica e vasi deve essere sempre valutato con attenzione. Quando durante l’escissione si riscontra un vaso principale in contiguità col tumore, se questo è da esso facilmente dissociabile per via smussa, si deve procedere con l’isolamento del tronco vascolare principale e la legatura delle collaterali. Se vi è una contiguità maggiore, è utile associare al margine chirurgico anche l’avventizia del vaso principale. Se si deve eseguire una dissezione tra massa e vaso con tagliente, questa è indice di una permeazione del tumore ed è l’indicazione al sacrificio dell’asse vascolare principale. Pagina In questi casi, la ricostruzione dell’asse arterioso principale è obbligatoria, con ricostruzioni biologiche (autograft venosi es. di safena) qualora non sia necessaria la radioterapia postoperatoria, con bypass sintetici armati dove è programmata una terapia adiuvante. La ricostruzione di un asse venoso profondo può non essere necessaria se il letto venoso superficiale è stato risparmiato, mentre è consigliata se è programmata una radioterapia postoperatoria. In questi casi, pur nella consapevolezza che il bypass possa ostruirsi dopo la terapia, la presenza di uno scarico venoso attivo è utile a diminuire l’ingorgo venoso e l’edema dell’arto nel postoperatorio, facilitando l’inizio della terapia adiuvante. Nervi Il nervo è difficilmente invaso da un sarcoma, perché l’epinevrio è una barriera anatomica veramente efficace. In caso di contiguità anatomica con una massa neoplastica, è spesso sufficiente eseguire una neurolisi del tronco nervoso principale, affrontando la struttura nervosa dalla parte opposta della zona di contiguità, sezionando longitudinalmente l’epinevrio, e lasciando questi a copertura del margine, salvando i fascicoli neurali. Questa tecnica è applicabile solo nelle lesioni vergini e mai operate in precedenza: infatti, in presenza di cicatrice e fibrosi reattiva (come nelle recidive locali o nei pazienti irradiati), è impossibile riconoscere e eseguire la neurolisi delle strutture nervose. Questa metodica, che risparmia la funzione del nervo, è però gravata dalla possibilità di neuriti post attiniche secondarie, anche a distanza di anni. Nel caso in cui la neoplasia avvolga interamente l’asse nervoso principale o nei casi di tumore primitivo delle guaine nervose, si deve procedere alla resezione in blocco del nervo. La ricostruzione di questi è possibile con greffes nervose autologhe, con tecnica microchirurgica. In questi casi, prima della resezione del nervo, bisogna mappare con l’elettrostimolatore il livello prossimale e distale dello stesso, per differenziare le fibre nervose da quelle sensitive. Questa accortezza tecnica migliora la qualità della ricostruzione e favorisce la rigenerazione neurale. Nei casi dove non si può procedere alle greffes nervose, si deve considerare la possibilità di eseguire trasposizioni tendinee o artrodesi delle articolazioni interessate dal danno funzionale. Una possibilità ricostruttiva molto più ambiziosa e complessa è rappresentata dai lembi muscolari innervati, liberi o di rotazione. Articolazioni Un sarcoma delle parti molli può occasionalmente estendersi in prossimità di un’articolazione e solo raramente nascervi all’interno di essa. Quando la lesione delle parti molli è contigua alla superficie articolare, ma la massa è coperta da un margine di tessuto osseo o da una membrana sinoviale, o quando la capsula ed i legamenti appaiono solo in parte interessati, è possibile eseguire una escissione intra-articolare, sezionando capsula e legamenti rasenti al bordo articolare opposto. Quando la RMN e la PET dimostrano la contaminazione dell’articolazione in toto, si deve procedere ad una resezione extra-articolare in blocco od a una amputazione. Lembi I sarcomi delle parti molli superficiali, che spesso tendono ad ulcerarsi ed hanno una importante estensione sottocutanea, e le forme di recidive con pregresse incisioni cutanee multiple, necessitano spesso di escissioni ampie con difficile possibilità di copertura. Lo stesso dicasi per i sarcomi delle estremità (mani e piedi), magari più piccoli dei precedenti, ma in distretti anatomici qualitativamente poveri di tessuti di copertura. In questi pazienti si ha la necessità di eseguire lembi microchirurgici di copertura, che possono essere o liberi o di rotazione. Nel caso del sacrificio di un intero compartimento, come ad esempio quello 209 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici deltoideo, con il sacrificio del nervo circonflesso e la perdita della funzione abduttoria della spalla, è possibile eseguire un trapianto di unità motoria del grandorsale, trasposto e ruotato sul suo peduncolo vascolare e ruotato a coprire la perdita di sostanza muscolo-cutanea-funzionale del deltoide. Qualora sia sacrificato l’intero compartimento del quadricipite, con la perdita della estensione contro resistenza, è possibile trasferire il gran dorsale libero posizionandolo al posto del quadricipite e garantendo il mantenimento della sua funzione contrattile attraverso la neurorrafia del suo nervo motore con una branca del nervo femorale. Tali metodiche, assolutamente complesse sia per la parte demolitiva che per quella ricostruttiva e microchirurgica, offrono al paziente la capacità di ottenere, oltre ad una copertura vascolarizzata della perdita di sostanza, anche la ripresa funzionale e l’articolarità contro resistenza dell’arto. Amputazioni Grazie al miglioramento delle tecniche di imaging, sistemiche e chirurgiche, la chirurgia di salvataggio degli arti è oggi possibile in oltre il 90% dei pazienti affetti da sarcomi delle parti molli. Per quanto sopra detto sulle notevoli possibilità ricostruttive dei gaps vascolari con by pass, delle resezioni nervose con greffes autologhe, delle perdite di sostanza ossea con protesi, innesti massivi o trapianti autologhi, delle perdite di sostanza cutanea e muscolare con lembi microchirurgici (di copertura o funzionali), i pazienti che devono essere amputati si sono ridotti drasticamente. Questo tipo di intervento demolitivo è quindi stato relegato solo a pochi casi, ed in particolare le nostre attuali indicazioni sono: • pazienti in scadenti condizioni generali, che non siano in grado di sopportare interventi ricostruttivi lunghi, complessi, con perdita ematica e tempi anestesiologici di molte ore • pazienti con interessamento simultaneo di vasi e nervi, ai quali non sia possibile garantire una funzione dell’arto soddisfacente dopo la resezione oncologica ed una eventuale ricostruzione microchirurgica. In questi casi la funzione offerta da una protesi esterna è superiore rispetto ad arti inutili e complicati • sarcomi delle parti molli con lesioni a skip multiple nel contesto dello stesso arto, ai quali non è possibile garantire un soddisfacente controllo locale • recidive locali di ricostruzioni complesse e lembi, nelle quali non vi sia più spazio o possibilità per nuovi artifici chirurgici • pazienti con forme localmente avanzate, che per motivi di altre patologie associate non siano in grado di tollerare una radioterapia o chemioterapia sistemica preoperatoria, o pazienti che non rispondono alla perfusione in ipertermia con antiblastici. Infine bisogna cercare di evitare interventi demolitivi in pazienti con malattia localmente avanzata associata a malattia sistemica evoluta. Questi pazienti devono essere trattati con cure palliative sistemiche e locali, ad eccezione che non presentino masse ulcerate ed infette, o complicate da emorragia, o compressioni neurologiche gravemente sintomatiche. 3.2 Radioterapia Il razionale L’amputazione dell’arto sede del tumore, nonostante i buoni risultati in termini di controllo locale, comporta gravi conseguenze funzionali e sulla qualità di vita. I risultati di diversi studi clinici, tra i quali un trial randomizzato condotto nel 1982 presso il National Cancer Institute (USA), hanno affermato l’equivalenza dell’amputazione versus una chirurgia con ampi margini seguita da radioterapia, indirizzando ad un approccio più conservativo e mettendo in evidenza il ruolo della radioterapia, pur nel contesto di una patologia Pagina ritenuta tradizionalmente poco radiosensibile. Infatti, sebbene le cellule sarcomatose siano classicamente considerate radioresistenti, nel 1985 Suit e Tepper dimostrarono che con dosi di radioterapia superiori a 65 Gy si ottiene il controllo locale in circa il 43% dei pazienti. Ciò è ovviamente proporzionale alle dimensioni del tumore: se il diametro è < 5 cm, il controllo atteso è dell’88%, se è fra 5 e 10 cm del 53%, se > 10 cm del 33%. La radioterapia può essere somministrata in fase pre-operatoria, post-operatoria, esclusiva. La sequenzialità ottimale dell’associazione chirurgia e radioterapia non è ancora definita. Infatti, non è stata dimostrata mediante studi randomizzati una differenza statisticamente significativa fra l’approccio preoperatorio e quello postoperatorio per ciò che riguarda controllo locale, incidenza di metastasi a distanza e sopravvivenza. Radioterapia preoperatoria La radioterapia preoperatoria consente: • di irradiare volumi ridotti rispetto alla postoperatoria. Infatti, il Clinical Target Volume (CTV) è mediamente più limitato nel caso del trattamento preoperatorio, ove comprende la massa tumorale e l’area di interessamento subclinico, rispetto a quello postoperatorio, in cui tutti i tessuti manipolati dal chirurgo devono essere irradiati, compresa la totale estensione della cicatrice chirurgica. Inoltre è meglio definibile il volume ottimale di irradiazione su una malattia macroscopica presente rispetto ad una irradiazione da eseguirsi su un volume virtuale corrispondente al letto operatorio • di utilizzare dosi totali inferiori rispetto alla RT post-operatoria (50 Gy in 25 frazioni rispetto ad una dose minima post-operatoria di 60 Gy in 30 frazioni) • di eseguire, nella maggior parte dei pazienti, un approccio chirurgico più conservativo • di prevenire l’eventuale disseminazione locale ed ematogena dovuta alle manovre chirurgiche • di consentire un’eventuale associazione con un tempo di brachiterapia intra-perioperatoria. Tuttavia, l’approccio preoperatorio può ostacolare o rallentare la cicatrizzazione ed è gravato da una più alta percentuale di complicanze (deiscenza della ferita, ematoma, sieroma, infezione, ecc.). Poiché il trattamento preoperatorio è gravato da una maggiore morbilità in termini di guarigione della ferita (31% vs. 8%:p=0.0014) rispetto a quello post-operatorio, si ritiene opportuno riservare la radioterapia preoperatoria alle sole lesioni inizialmente non operabili. La radioterapia pre-operatoria viene proposta nei pazienti con buon performance status, portatori di lesioni estese e/o così prossime a strutture critiche da porre il dubbio di resecabilità con margini ampi o almeno marginali se non con interventi demolitivi. La radioterapia postoperatoria rappresenta la più convenzionale modalità di associazione alla chirurgia. La radioterapia completa la chirurgia ampia nei sarcomi ad alto grado, particolarmente se di diametro elevato (> 5 cm) e nelle recidive locali di qualunque grado e dimensione. Anche nei sarcomi a basso grado la radioterapia può completare la chirurgia a giudizio clinico, soprattutto in relazione alle dimensioni della massa, alla marginalità della chirurgia ed altri eventuali fattori di rischio. Essa viene eseguita su un “clinical target volume” comprendente il letto operatorio e la cicatrice chirurgica, con dosi totali ≥ 60 Gy. La tossicità acuta della radioterapia postoperatoria è inferiore a quella della radioterapia preoperatoria in termini di complicanze a carico della ferita chirurgica. Al contrario, in termini di tossicità tardiva (fratture ossee, fibrosi dei tessuti, linfedema), la radioterapia postoperatoria ha una tossicità superiore a quella della radioterapia preoperatoria. 210 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli L’irradiazione ad alte dosi non sembra compromettere gli innesti cutanei, usati per la ricostruzione dopo chirurgia, purché la radioterapia sia eseguita dopo un tempo di almeno 3 settimane, ritenuto necessario per la cicatrizzazione. La brachiterapia interstiziale, che si realizza mediante il posizionamento di cateteri plastici caricati con sorgenti radioattive (a basso o ad alto rateo di dose), consente di somministrare dosi elevate in tempi relativamente brevi ed a volumi ben definiti, limitando al massimo l’irradiazione di tessuti sani. La deiscenza della ferita è la più frequente complicanza della brachiterapia ma può essere nettamente ridotta (dal 22% al 14%) posticipando l’inizio dell’irradiazione al VI giorno postoperatorio. La brachiterapia offre eccellenti risultati in termini di controllo locale ed abbrevia la durata della terapia in modo assai significativo rispetto alla radioterapia transcutanea. La brachiterapia, purchè geometricamente fattibile, può essere considerata parte integrante del protocollo di trattamento, poiché aumenta nettamente le percentuali di controllo locale a condizione che sia programmata nell’ambito della decisione multidisciplinare preoperatoria. Studi pilota suggeriscono che l’associazione di radioterapia transcutanea e brachiterapia come sovradosaggio su volumi ridotti può aumentare le percentuali di controllo locale senza incrementare la tossicità, in particolare modo nel caso di chirurgia con margini non adeguati. In tal caso il tasso di controllo locale sarebbe del 90% rispetto al 59% ottenibile con brachiterapia sola (p=0.08), senza un aumento della tossicità. Nel caso di margini chirurgici non adeguati e non radicalizzabili, la brachiterapia potrebbe essere associata alla radioterapia transcutanea in centri con verificata esperienza (livello III). La radioterapia esclusiva è utilizzata nei casi inoperabili per caratteristiche della lesione e/o condizioni cliniche del paziente. Radioterapia post-operatoria Il trattamento radiante deve essere iniziato dopo la guarigione della ferita chirurgica. La documentazione radiografica pre-operatoria, la descrizione dell’intervento eseguito ed il posizionamento di clips amagnetiche nel “letto” tumorale durante l’intervento sono di grande importanza per una corretta definizione dei volumi di trattamento radioterapico. È complesso definire una sequenza metodologica tecnica “standard”, in considerazione della molteplicità delle sedi e delle presentazioni cliniche dei sarcomi delle parti molli. Di fondamentale importanza sono le modalità di posizionamento e di immobilizzazione del paziente. A volte sono necessarie docce di contenzione personalizzate per garantire la riproducibilità del trattamento. Mediante la simulazione di centratura del trattamento vengono eseguiti dei radiogrammi per ogni campo di entrata atti al confezionamento di schermi sagomati, per consentire un adeguato risparmio delle strutture non pertinenti. La sagomatura può essere eseguita con tecnica “classica” (schermi in leghe basso fondenti) o preferibilmente con Multi Leaf Collimator, a seconda delle disponibilità. Non esiste una definizione standard dei volumi da irradiare. Tuttavia, in generale, il piano di trattamento prevede l’impiego sequenziale di due volumi bersaglio. Il volume bersaglio iniziale deve comprendere il letto tumorale con margini sufficienti (dai 3 ai 6 cm in senso longitudinale) ad includere i tessuti considerati a rischio. Il volume bersaglio finale è limitato all’area di maggior rischio comprendente il letto tumorale con margini di 2-3 cm. Il planning target volume (PTV) è disegnato sulle immagini della Tomografia Computerizzata eseguita appositamente per il piano di cura radioterapico. Pagina Al fine di ottenere un’ottimale distribuzione di dose è consigliato l’impiego di tecniche multi portali isocentriche, con l’eventuale uso di filtri modificatori del fascio. La prescrizione della dose viene effettuata seguendo le indicazioni dell’ICRU 62. La dose totale raccomandata al volume bersaglio iniziale è di 45 Gy (frazionamento giornaliero 180-200 cGy in 5 frazioni alla settimana), seguiti da 1416 Gy sul volume ridotto se i margini sono negativi o da 18-20 Gy se i margini sono positivi. Tale sovradosaggio può essere eseguito con due modalità: radioterapia con fasci esterni o brachiterapia. Viene consigliata, comunque, una Dose Focolaio Totale superiore a 60 Gy poiché la dose totale parrebbe essere un fattore prognostico indipendente per il controllo locale. È indispensabile un controllo di qualità accurato. Indispensabile è il controllo di ogni campo di trattamento dell’apparecchio di terapia all’inizio e ad ogni variazione del volume di irradiazione: ciò può essere eseguito mediante dispositivo elettronico di “portal imaging” o mediante “port-film” tradizionale. È raccomandabile, inoltre, una verifica settimanale per garantire la riproducibilità del trattamento stesso. Radioterapia esclusiva Questo tipo di trattamento, indicato nei sarcomi giudicati non resecabili, prevede la somministrazione di dosi fino a 75 Gy. I tessuti che ricevono più di 60 Gy sono comunque limitati al letto tumorale con un piccolo margine. Indicazioni della Radioterapia La radioterapia non può sanare un intervento chirurgico inadeguato (raccomandazione di grado A). La radioterapia è generalmente indicata in pazienti con sarcoma di grado intermedio o alto degli arti e del tronco superficiale, con diametro > 5 cm, sottoposti a chirurgia con margini ampi o in tutti i casi di chirurgia marginale non radicalizzabile, indipendentemente dalle dimensioni (raccomandazione di grado A). Nei sarcomi a basso grado di malignità degli arti e del tronco superficiale, l’impiego della radioterapia deve essere individualizzato sulla base dell’istotipo, dello stato dei margini chirurgici, facendo seguito a discussione tra esperti ed esplicitando le motivazioni delle indicazioni terapeutiche (raccomandazione di grado C). La radioterapia post-operatoria è indicata nel caso di escissione ampia quando siano presenti almeno due dei seguenti fattori prognostici negativi: • alto grado di malignità • diametro > 5 cm • localizzazione sottofasciale e nei casi con margini intralesionali, marginali o ampi contaminati, qualora sia impossibile o funzionalmente improponibile un ampliamento o una radicalizzazione. Nei sarcomi di basso grado (STADI IA, IB secondo Enneking), il trattamento standard è l’escissione in blocco con margini ampi o radicali, ma, anche dopo una resezione ampia, permane un rischio di recidiva locale del 2030%. Sebbene il potenziale di controllo locale mediante sola radioterapia sia nettamente inferiore rispetto alla chirurgia, si riportano percentuali di controllo del 30% in gruppi selezionati di pazienti: su tali dati si basa il razionale dell’utilizzo della radioterapia preoperatoria e/o postoperatoria nei sarcomi a basso grado di malignità. La radioterapia post-operatoria è solitamente indicata nel caso in cui i margini siano marginali o ampi contaminati, e non sia proponibile un ampliamento dei margini o una radicalizzazione, che comporterebbe un grave deficit funzionale, o qualora le condizioni cliniche del paziente la controindichino o 211 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici il paziente la rifiuti. In questi casi, la radioterapia postoperatoria sembra ridurre in modo significativo l’incidenza di recidive post-chirurgiche; essa, tuttavia, non influenza l’incidenza di metastasi a distanza, né la sopravvivenza. Nel caso di lesioni di diametro inferiore a 5 cm, sottoposte a resezione con margini ampi, molti autori non ritengono utile l’irradiazione post-operatoria. Le lesioni di basso grado con diametro inferiore a 5 cm e sottoposte a resezione con margini ampi non devono essere trattate con radioterapia (livello V). Nei sarcomi a basso grado trattati con chirurgia adeguata, la radioterapia adiuvante può essere proposta solo in presenza di lesioni > 5 cm sottofasciali. I sarcomi di basso grado di malignità degli arti in cui è stata eseguita una chirurgia marginale o ampia contaminata ed in cui non è proponibile la revisione chirurgica con margini almeno ampi, possono essere sottoposti a radioterapia postoperatoria transcutanea (livello V). Nei sarcomi ad alto grado (stadi IIA, IIB secondo Enneking) la radioterapia è in grado di diminuire l’incidenza di recidiva pur senza modificare la comparsa di metastasi, né la sopravvivenza. I sarcomi di alto grado di malignità degli arti asportati con margini ampi devono essere trattati con radioterapia postoperatoria, se superiori a 5 cm o localizzati in sede sottofasciale (livello II). La radioterapia post-operatoria è indicata nei pazienti con sarcoma di alto grado in cui sia stata eseguita una chirurgia marginale o si siano avuti margini ampi contaminati ed in cui non è possibile o è improponibile l’ampliamento o la radicalizzazione (livello II). Il trattamento radiante deve essere iniziato in tempi ragionevoli dopo la guarigione della ferita chirurgica e l’attecchimento degli innesti cutanei utilizzati per la ricostruzione chirurgica. Non esistono evidenze scientifiche certe sull’intervallo ottimale fra chirurgia ed inizio della radioterapia postoperatoria, anche nel caso in cui sia necessario posticipare in modo significativo l'inizio della radioterapia postoperatoria per consentire un sicuro attecchimento degli innesti cutanei. In casi particolari, selezionati secondo presentazioni di malattia non compatibili con una sicura radicalità chirurgica, può essere presa in considerazione una radioterapia pre-operatoria. 3.3 Chemioterapia dei sarcomi delle parti del tronco dei cingoli e del retroperitoneo: trattamento adiuvante La chemioterapia adiuvante nel trattamento dei sarcomi dei tessuti molli (STM) è ad oggi un argomento ancora ampiamente dibattuto. Le evidenze attualmente disponibili in letteratura, benché basate su dati preliminari che necessitano di ulteriori conferme, suggeriscono come una chemioterapia post-operatoria a base di antracicline possa incrementare la sopravvivenza libera da malattia in pazienti ad alto rischio di ripresa con un buon performance status. Gli studi di prima generazione, condotti negli anni ’80, hanno principalmente valutato l’efficacia della doxorubicina, da sola o in combinazione, nel setting adiuvante. Una metanalisi di tali studi, condotta nel 1997 dal Sarcoma Metaanalysis Collaboration (SMAC), ha incluso 14 trials clinici per un totale di 1568 pazienti: i risultati evidenziavano come un trattamento chemioterapico adiuvante a base di antracicline, rispetto al solo trattamento chirurgico, si associasse ad un incremento della sopravvivenza libera da malattia pari al 10% a 10 anni (P= 0.0001) ed un trend favorevole, seppur non statisticamente significativo, in termini di sopravvivenza globale (4% a 10 anni, P= 0.12). Pagina Gli studi di seconda generazione, condotti a partire dall’inizio degli anni ‘90, si basano sull’utilizzo in combinazione di antracicline (doxorubicina o epirubicina) ed ifosfamide ed appaiono caratterizzati da criteri di inclusione maggiormente restrittivi. Tra questi di particolare importanza è il trial italiano, condotto da Frustaci et. al nel 2001, dove 104 pazienti affetti da STM delle estremità venivano randomizzati a ricevere sola chirurgia o chirurgia seguita da 5 cicli di epirubicina ed ifosfamide. La sopravvivenza libera da malattia mediana nel gruppo sperimentale è risultata pari a 48 mesi mentre quella del gruppo di controllo pari a 16 mesi (P= 0.04); anche la sopravvivenza globale mediana è risultata superiore nel gruppo sperimentale, con una differenza statisticamente significativa rispetto al gruppo di controllo (75 versus 46 mesi; P= 0.04). Infine sempre in termini di sopravvivenza globale, il beneficio derivante dalla chemioterapia è risultato pari al 13% a 2 anni, aumentando al 19% a 4 anni (P = 0.04). Un update dei risultati di tale studio ha mostrato come, ad un follow up mediano di 89.6 mesi, la differenza in termini di sopravvivenza globale permaneva, pur non essendo statisticamente significativa . Allo stesso modo, lo studio di coorte condotto da Cormier et. al su 674 pazienti affetti da STM ad alto grado delle estremità ha evidenziato come il beneficio clinico associato al trattamento adiuvante con doxorubicina non sembri prolungarsi per più di una anno, suggerendo una particolare cautela nell’interpretazione dei risultati precedentemente riportati. Infine dati preliminari sono stati raccolti sull’efficacia nel setting adiuvante dell’utilizzo in combinazione di doxorubicina ed ifosfamide a dosi aggressive. Il EORTC-62931 è uno studio di fase III completato recentemente dove 351 pazienti con STM di alto grado, stadio II e II, resecati venivano randomizzati a sola osservazione o a ricevere un trattamento adiuvante con 5 cicli di doxorubicina (75 mg/mq) ed ifosfamide (5g/mq). Un interim analisi dello studio sembra non mostrare alcun beneficio nel pazienti sottoposti a trattamento adiuvante, né in termini stimata sopravvivenza globale (a 5 anni 69% versus 64%) né in termini di stimata sopravvivenza libera da malattia (a 5 anni 52% in entrambi i gruppi). Ulteriori analisi dei risultati sono tuttavia necessarie per poter trarre conclusioni circa l’utilità del trattamento adiuvante nei STM operati. In base alle evidenze disponibili in letteratura vi è consenso sul fatto che un trattamento chemioterapico adiuvante possa essere proposto a pazienti con STM ad alto rischio di ripresa di malattia, previa un’adeguata informazione del paziente stesso sulle incertezze dei risultati degli studi fino ad oggi condotti (LIVELLO DI EVIDENZA C). Nel porre indicazione ad un trattamento chemioterapico adiuvante è tuttavia necessario tenere in considerazione specifici fattori propri sia della malattia che del paziente. Pazienti anziani (≤ 65 anni) o con comorbidità tali da compromettere il performance status possono ancora beneficiare di un trattamento in monoterapia con antracicline (come supportato dai dati SMAC) o essere avviati a solo follow-up. Per quanto concerne i fattori relativi alla malattia, è innanzi tutto necessario considerare l’istotipo diagnosticato. Infatti sarcomi quali l’ alveolare, il sarcoma a cellule chiare o l’emangiopericitoma, essendo notoriamente resistenti ai trattamenti chemioterapici convenzionali, andrebbero esclusi. Infine si definisce ad alto rischio un STM di alto grado (G3), delle dimensioni superiori a 5 cm se profondo o superiori a 10 cm se superficiale. Infatti, il rischio di sviluppare metastasi a distanza in pazienti con sarcoma ad alto grado cresce con l’aumentare del diametro della neoplasia, essendo pari al 34% per lesioni tra 5 e 10 cm, al 43% per lesioni tra 10 e 15 cm ed al 58% per lesioni superiori ai 15 cm. 212 4. Malattia localmente avanzata 4.1 Trattamento neo-adiuvante citoriduttivo Nei STM localmente avanzati (stadio II o III) il ricorso ad un trattamento chemioterapico pre-operatorio ha principalmente lo scopo di consentire l’asportazione radicale della neoplasia attraverso un intervento non demolitivo e che, nel caso dei STM delle estremità, consenta di preservare la funzionalità dell’arto. In studi clinico controllati, il tasso di risposta della neoplasia primitiva si aggira intorno al 30-40%, anche se un intervento meno demolitivo rispetto a quello preventivato si ottiene nel solo 20-30% dei casi. Un’analisi retrospettiva dell’esperienza del M.D. Anderson Cancer Center condotta su 76 pazienti affetti da STM delle estremità stadio IIIB sottoposti a chemioterapia pre-operatoria a base di antracicline ha documentato dei risultati in termini di sopravvivenza a 5 anni sovrapponibili tra i responders ed i non responders al trattamento. Successivamente, uno studio retrospettivo condotto da Grobmyer et al. nel 2004 ha valutato l’impatto di un trattamento chemioterapico neoadiuvante (con adriamicina ed ifosfamide) sull’ outcome di pazienti affetti da STM ad alto grado delle estremità. Nei pazienti con STM di diametro superiore ai 10 cm si è registrato un significativo incremento della sopravvivenza specifica per malattia in seguito al trattamento neodiuvante rispetto ai pazienti trattati con sola chirurgia (a 3 anni, 83% versus 62%). In considerazione dell’assenza di dati diretti di efficacia, il trattamento chemioterapico neoadiuvate non può essere considerato un trattamento standard nella gestione dei STM. Tuttavia, previa adeguata informazione del paziente circa i risultati ottenuti, una chemioterapia pre-operatoria può essere proposta in quei casi in cui un intervento chirurgico al momento della diagnosi risultasse eccessivamente demolitivo o comportasse la perdita di funzionalità dell’arto coinvolto (LIVELLO DI EVIDENZA B). 4.2 Radioterapia Si possono individuare due distinte situazioni cliniche: 1) Le lesioni in cui non è possibile esprimere un sicuro giudizio di operabilità sono candidate ad un trattamento radioterapico pre-operatorio a scopo citoriduttivo. In alcuni studi viene proposta la chemioterapia preoperatoria (con un tasso di risposte del 30-40%) o varie associazioni radiochemioterapiche, anche se solo il 20% dei pazienti non è poi sottoposto ad intervento demolitivo. Può essere considerato un risultato soddisfacente ricondurre le lesioni ad una resecabilità anche solo “marginale”, soprattutto quando sia possibile associare della radioterapia postoperatoria. 2) Le lesioni inoperabili per dimensione, multicentricità, posizione multi compartimentale o extracompartimentale possono essere trattate con radioterapia radicale o associazioni radiochemioterapiche o con tecniche perfusionali chemioterapico-ipertermiche. La radioterapia pre-operatoria, eseguita a scopo citoriduttivo al fine di ricondurre alla operabilità, viene proposta nei pazienti con buon performance status, portatori di lesioni estese e/o così prossime a strutture critiche da imporre interventi demolitivi. Si precisa che alcuni centri prediligono questo approccio di principio in tutte le lesioni di diametro superiore a 5 cm. Poiché, tuttavia, il trattamento preoperatorio è gravato da una maggiore morbilità in termini di guarigione della ferita (31% vs. 8%:p=0.0014) rispetto a quello post-operatorio, si ritiene opportuno riservarlo alle sole lesioni inizialmente non operabili. Pagina La radioterapia preoperatoria può essere proposta ai pazienti in buone condizioni generali con sarcoma ad alto grado inoperabile, nel tentativo di raggiungere l’operabilità (livello II). La radioterapia esclusiva è indicata nei sarcomi giudicati non resecabili, prevede la somministrazione di dosi fino a 75 Gy. I tessuti che ricevono più di 60 Gy sono comunque limitati al letto tumorale con un piccolo margine. L’associazione chemioradioterapica non è supportata da forti evidenze scientifiche e rimane da proporsi a casi selezionati, possibilmente nell’ambito di protocolli di ricerca. I pazienti con sarcoma retroperitoneale non operabile possono essere trattati con radioterapia e chemioterapia, da sole o associate, chirurgia palliativa o di “debulking”, terapie di supporto o anche la semplice osservazione se il paziente è asintomatico. 4.3 Chemio localmente avanzata Perfusione isolata dell’arto La tecnica della perfusione antiblastica per il trattamento di alcuni tumori degli arti è stata introdotta per la prima volta nella pratica clinica da Creech e Krementz nel 1957 (1). Il rationale della perfusione ipertermico-antiblastica si basa su precise considerazione: • tutto l’arto sede del tumore, inclusi i linfonodi loco-regionali, viene trattato con questa metodica • il temporaneo isolamento dell’arto dal resto della circolazione sistemica permette di utilizzare dosi di farmaci antiblastici 5-10 volte superiore la dose massima tollerabile sistemica, senza importanti effetti tossici • la somministrazione di elevate dosi di farmaci antiblastici nell’arteria tributaria dell’arto sede di tumore, senza la metabolizzazione o la diffusione del farmaco in altri distretti, consente di ottenere alte concentrazioni tissutali ed un aumento dell’uptake del farmaco da parte del tumore • durante la perfusione viene impiegata l’eparina che non solo contribuisce ad inibire i processi metastatici, ma possiede anche un effetto antitumorale diretto • durante la circolazione extracorporea vengono impiegate alte concentrazioni di pO2 che variano da 200 a 300 mmHg; tale iperossigenazione potenzia gli effetti dei farmaci alchilanti ed ha un effetto tumoricida diretto • l’ipertermia potenzia l’effetto antitumorale dei farmaci e possiede un effetto tumoricida diretto; l’applicazione contemporanea dell’ipertermia con i farmaci si traduce in un effetto sinergico e quindi amplificazione terapeutica • la riduzione o la scomparsa dei tumori può evitare l’amputazione dell’arto al paziente. Un ulteriore miglioramento della perfusione isolata di arto si è raggiunta con la realizzazione della perfusione trimodale, che prevede l’utilizzazione del TNF α (human recombinant tumor necrosis factor alfa) all’ipertermia ed ai farmaci antiblastici. La sua azione è quella di citotossicità diretta sulle cellule neoplastiche e di sinergismo con l’ipertermia e chemioterapici (primo tra tutti il melphalan) con conseguente danno a carico dell’endotelio vascolare del tumore. Dagli studi condotti e resi noti da Lienard e collaboratori, è stato dimostrato che l’azione del TNF α non è dose-dipendente, poiché la sua azione si manifesta in ugual misura con 1 mg o con 3-4 mg di dose totale, con i vantaggi che dosaggi più bassi consentono miglior controllo di tossicità. 213 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli 5. Malattia in fase metastatica Figura 1. Schema della perfusione isolata dell’arto 5.1 Malattia polmonare operabile La perfusione ipertermico antiblastica trova attualmente indicazione nei pazienti con sarcoma degli arti localmente avanzato destinati ad una chirurgia demolitiva maggiore o ad amputazione dell’arto . Tecnica della perfusione isolata d’arto In anestesia generale si procede all’isolamento dei vasi tributari dell’arto sede di tumore. Nell’arto superiore, con paziente in posiziona supina con l’arto abdotto e avambraccio semiflesso, vengono utilizzati i vasi ascellari tra la I e la II porzione; nell’arto inferiore con paziente sempre in posizione supina e bacino leggermente rialzato al fine di ottenere l’agevolo posizionamento del tourniquet, possono essere utilizzati i vasi iliaci esterni o i vasi femorali comuni. Nei pazienti affetti da metastasti in transit da melanomi degli arti se non precedentemente eseguita, viene effettuata la linfectomia ascellare o iliacao-otturatoria e retrocrurale con legatura e sezione dei vasi collaterali al fine di ridurre al massimo il leakage tra circuito e circolazione sistemica. Al termine dell’isolamento dei vasi il paziente viene eparinizzato (150-200 UI/Kg) e dopo 2-3 minuti i vasi vengono clampati ed incannulati, previa incisione trasversale dell’arteria e della vena. I due cateteri vengono poi raccordati ad un circuito extracorporeo, composto da un ossigenatore, uno scambiatore di calore ed una pompa. La circolazione extracorporea inizia con un flusso minimo (30ml/L di volume dell’arto) che viene gradualmente aumentato, fino a raggiungere un equilibrio con il ritorno venoso che deve assicurare un livello costante nell’ossigenatore. Un tourniquet viene applicato alla radice dell’arto per ridurre al minimo il leakage che si può verificare attraverso la circolazione venosa superficiale. Durante tutto il trattamento il leakage viene costantemente monitorizzato, mediante introduzione di albumina radio marcata nel circuito di perfusione con conteggio della radioattività sistemica mediante “gamma counter” posto sull’aia cardiaca. Il monitoraggio della temperatura muscolare e tumorale viene eseguito mediante inserzione di termocoppie ad ago nei muscoli e nei noduli neoplastici. Vengono inoltre sempre monitorizzati l’ECG, la pressione venosa centrale e la diuresi del paziente. L’arto perfuso per tutta la durata del Pagina trattamento rimane avvolto in un lenzuoletto ad acqua termostatata che ha una duplice funzione: diminuire i fenomeni di termodispersione rendendo più breve il tempo di raggiungimento della temperatura tumorale desiderata (~ 41,5°C) e agire come fonte di riscaldamento esterno efficace per i noduli neoplastici cutanei (metastasi in transito) del melanoma. Raggiunta la temperatura tumorale desiderata (~ 41,5°C) si introduce nel circuito perfusionale il TNF α alla dose di 1 mg e dopo 30 minuti viene introdotto il Melphalan (13 mg/L di volume dell’arto perfuso o 10 mg/L per l’arto superiore ed inferiore rispettivamente) e la circolazione extracorporea prosegue per altri 60 minuti; nel caso dei sarcomi delle parti molli si può utilizzare l’Adriamicina alla dose di 8.5 mg/L di volume . Al termine della perfusione il circuito viene “lavato” con soluzione fisiologica e con destrano a basso peso molecolare prima di rimuovere il tourniquet e le cannule, le incisioni vasali vengono suturate con prolene 4 e 5 zeri rispettivamente per l’arteria e la vena. L’arto perfuso viene fasciato con una benda elastica per ridurre al minimo l’edema post-operatorio. A tal fine, il paziente viene mantenuto a diuresi forzata nei primi 5 giorni post-operatori mediante infusione di mannitolo al 1,5% e con supporto idroelettrolitico per evitare il rischio di insufficienza renale dovuta all’eventuale precipitazione di ematina acida nei tubuli, conseguente all’aumento di mioglobina circolante prodotta per effetto della perfusione. La terapia anticoagulante viene proseguita fino alla decima giornata post-operatoria al fine di evitare complicanze vascolari. Le possibili complicanze possono essere un edema leggero o moderato, un eritema più o meno esteso dell’arto trattato e il dolore, sintomatologia che generalmente regredisce nell’arco di 15-20 giorni. Al momento attuale la perfusione ipertermico antiblastica si è dimostrata in grado di ottenere i risultati riportati in tabella (rel glosmi) (figura 1). E’ infine importante precisare che lo stato dei margini non rappresenta un criterio per porre indicazione ad una chemioterapia adiuvante, in quanto quest’ultima non può sanare una chirurgia condotta in maniera errata (LIVELLO DI EVIDENZA A). 214 Vi è consenso nella raccomandazione di un trattamento chirurgico come prima scelta nella malattia polmonare con un numero limitato di metastasi, senza altre localizzazioni extrapolmonari e in cui l’intervento possa essere microscopicamente completo e funzionalmente accettabile. Al contrario, una metastasectomia parziale o con malattia extrapolmonare concomitante, non porta beneficio per il paziente. Nella decisione clinica, oltre al numero di metastasi, vanno considerati anche la posizione nel polmone delle lesioni secondarie, il performance status del paziente , il tempo alla progressione dopo intervento sul STM primitivo o dopo precedente metastasectomia e se, infine, le metastasi sono sincrone o metacrone. Non esistono studi controllati che supportino queste affermazioni, anche se si è concordi sulla potenzialità eradicante della metastasectomia polmonare.La chemioterapia in fase citoriduttiva preoperatoria o complementare dopo intervento è frequentemente prescritta, anche se non vi sono studi pubblicati sulla efficacia di questi due approcci. Sia in fase preoperatoria che postoperatoria, l’associazione tra Antraciclina e Ifosfamide sembra essere la scelta più opportuna. Si è infine concordi sulla utilità di metastasectomie reiterate quando vi sia ricaduta di malattia, rispettando sempre i criteri di radicalità e di selezione dei pazienti sopraindicate. • La metastasectomia polmonare in malattia metastatica confinata nel polmone è il trattamento standard, purché l’intervento sia fattibile in maniera completa e funzionalmente accettabile. • La chemioterapia complementare alla chirurgia può essere proposta in base ai fattori di rischio (numero delle lesioni ed intervallo libero). 5.2 Malattia metastatica non operabile Trattamento di prima linea Nella malattia avanzata non più suscettibile di trattamento chirurgico il ruolo della chemioterapia è generalmente solo palliativo. La selezione dei pazienti (in termini di età, istotipo, patologie concomitanti, precedenti trattamenti) è fondamentale in merito alla scelta tra un regime di combinazione, generalmente più attivo ma più tossico e senza un dimostrato impatto sulla sopravvivenza, o l’utilizzo di agenti singoli. I sarcomi dei tessuti molli rappresentano, inoltre, un gruppo molto eterogeneo di neoplasie non solo dal punto di vista istopatologico e biologico ma anche, e di conseguenza, anche per quanto riguarda la potenzialità di risposta ai trattamenti medici. E’ ormai, peraltro, sempre più evidente che esiste una differente sensibilità per farmaci differenti a seconda dei diversi sottotipi istologici. Dal punto di vista schematico, i sarcomi dei tessuti molli si possono dividere in istotipi a scarsa o assente chemio sensibilità (liposarcoma dedifferenziato, sarcoma a cellule chiare, sarcoma stromale endometriale, sarcoma alveolare, condrosarcoma mixoide extrascheletrico), istotipi a moderata sensibilità (liposarcoma pleomorfo, mixofibrosarcoma, sarcoma epitelioide, rabdomiosarcoma pleomorfo, leiomiosarcoma, tumore maligno delle guaine nervose periferiche, angiosarcoma, tumore desmoplastico a piccole cellule rotonde, angiosarcoma) ed istotipi chemiosensibili/altamente chemiosensibili (sinovialsarcoma, liposarcoma mixoide/a cellule rotonde, leiomiosarcoma uterino, Sarcomi di Ewing, rabdomiosarcoma alveolare ed embrionale). I sarcomi dell’età pediatrica non verranno inclusi nelle considerazioni successive perché esclusi dalle presenti linee guida. Gli agenti singoli più utilizzati in prima linea di trattamento (doxorubicina, ifosfamide, dacarbazina) non permettono di ottenere generalmente tassi di risposta superiori al 20-25%. La polichemioterapia è associata a tassi di risposta che salgono fino al 30-35% ma con un tempo alla progressione di 3-4 mesi. Lo schema di combinazione più frequentemente utilizzato in prima linea e indipendentemente dall’istotipo include generalmente una antraciclina (doxorubicina o epirubicina) e l’ifosfamide. Livello di raccomandazione: A Trattamento di seconda linea e linee successive In seconda linea di trattamento, viene generalmente utilizzata l’ifosfamide ad alte dosi (10-14 g/m2) in infusione di 3-5 giorni o in infusione protratta di 14 giorni, essendo stata segnalata una moderata attività anche in pazienti pretrattati con ifosfamide a dosaggi convenzionali. In seconda linea di trattamento in oltre, altri agenti singoli recentemente approvati per l’uso sono la trabectedina, la gemcitabina e il docetaxel. In specifici istotipi di sarcomi dei tessuti molli alcuni farmaci mostrano una attività antitumorale specifica. La gemcitabina e il docetaxel hanno dimostrato attività soprattutto in alcuni istotipi quali il leiomiosarcoma. La trabectedina risulta particolarmente attivo nei liposarcomi (soprattutto nelle forme mixoidi/a cellule rotonde) e nei leiomiosarcomi. Il paclitaxel e la gemcitabina sono attivi nell’angiosarcoma. Il dermatofibrosarcoma protuberans, che in una percentuale di casi esprime il PDGFRB, può essere trattato in caso di malattia inoperabile o metastatica con imatinib. Livello di raccomandazione: C. 6. Sarcomi del retroperitoneo I STM ad insorgenza retroperitoneale si differenziano per le seguenti caratteristiche dai STM degli arti: • la ulteriore rarità: rappresentano solo lo 0,2% dei tumori e il 15% dei STM • l’indolenza della crescita con diagnosi generalmente tardiva • la classificazione in tipi istologici differente: liposarcoma e leiomiosar- Pagina • • • coma sono le forme più frequenti. la impossibilità anatomica ad eseguire interventi ampi o radicali. Per definizione un intervento su un sarcoma del retroperitoneo è marginale. la conseguente elevatissima recidività locale (60-80%), con, al contrario, una minor e più tardiva tendenza alla metastatizzazione la prognosi a lungo termine peggiore (20% di sopravviventi a 15 anni). 215 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 6.1 Chirurgia Nella situazione più comune I STM del retroperitoneo in fase locale trovano nella Chirurgia il trattamento primario. Il tumore deve essere operato con gli stessi principi di trattamento dei STM degli arti, ma lo spazio retroperitoneale non consente una Chirurgia compartimentale e sono molto rari i casi in cui l’asportazione del tumore possa essere effettuata con margini ampi. Per definizione la Chirurgia dei STM del retroperitoneo è marginale. La Chirurgia di questi sarcomi non è recuperabile con un secondo intervento e non ci può essere una radicalizzazione. La Chirurgia multiviscerale di principio, per giungere ad una maggiore radicalità può essere una opzione proponibile. Ripetuti interventi sono la norma nella storia naturale di questa malattia a causa delle frequenti recidive, ma gli interventi successivi al primo non riescono mai a raggiungere la radicalità, ma solo a ridurre il volume di malattia. • La Chirurgia del retroperitoneo è per definizione marginale. L’estensione della resezione ai visceri circostanti è un’opzione da valutare. • La chirurgia del retroperitoneo deve essere pianificata opportunamente perché non è radicalizzabile dopo il primo intervento. 6.2 Trattamento radioterapico Normalmente i sarcomi del retroperitoneo in fase iniziale trovano nella chirurgia il trattamento primario, ma rispetto ai sarcomi degli arti presentano alcune caratteristiche particolari che interessano e coinvolgono il radioterapista anche nella condivisione delle decisioni terapeutiche. Nella maggior parte dei casi infatti vi è l’impossibilità anatomica di effettuare un intervento con margini ampi e radicale e di norma per definizione l’intervento su un sarcoma del retroperitoneo è marginale. Ne consegue un elevatissimo tasso di recidiva locale (=60-80%) con una prognosi a lungo termine piuttosto negativa (20% di sopravviventi a 15 anni). Gli studi di radioterapia ± chemioterapia neoadiuvante per ridurre il volume tumorale e consentire una radicalizzazione chirurgica, non hanno documentato risultati significativi ma unicamente una elevata tossicità e pertanto non vi è alcuna indicazione a tale trattamento al di fuori di studi clinici controllati (raccomandazione di grado B). La radioterapia post-operatoria finalizzata al controllo locale, potrebbe avere un importante effetto sulla sopravvivenza, ma presenta importanti problemi dovuti all’ampiezza dei volumi da irradiare e alla vicinanza di strutture critiche (raccomandazione di grado C). L’impiego di tecniche avanzate ad alto gradiente di dose come la IMRT (radioterapia ad intensità modulata) o la radioterapia intraoperatoria (IORT) rappresentano una possibile soluzione per il maggiore risparmio agli organi vicini (anse intestinali, reni, fegato, midollo spinale, vescica, retto). Pertanto nelle diverse situazioni cliniche si possono sintetizzare le seguenti indicazioni terapeutiche: Tumori resecabili • Resezione ampia (+ radioterapia postoperatoria se alto grado) • Resezione marginale + radioterapia post-operatoria • Associazioni chemioradioterapiche in studi clinici. 6.3 Malattia avanzata plurirecidiva e metastatica Tumori non resecabili - sarcomatosi peritoneali e recidive Per i pazienti con una lesione non resecabile possono essere prese in considerazione più opzioni terapeutiche in base all’età ed alle condizioni generali: chemioterapia e radioterapia da sole o associate, chirurgia palliativa e di “debulking”, terapie di supporto ed anche la semplice osservazione se il paziente è asintomatico. Nei sarcomi recidivi, solo in trials clinici controllati, si può eseguire la chemio ipertermia intraperitoneale. Pagina 6.4 Follow-up dei sarcomi delle parti molli di qualsiasi sede Follow up nei sarcomi dei tessuti molli di qualunque sede Non esistono dati conclusivi sull’efficacia del follow up nei sarcomi dei tessuti molli, follow up che va comunque individualizzato in base alla categoria di rischio e che deve essere volto anche alla diagnosi di eventuali effetti tardivi legati ai trattamenti antineoplastici effettuati. Il rischio di ricaduta è generalmente più alto nei primi 2-3 anni nei sarcomi dei tessuti molli di alto grado mentre sembra più prolungato nel tempo nelle forme di basso grado. Nei pazienti con neoplasie di basso grado vi è consenso nel raccomandare controlli ogni 4-6 mesi fino al 5° anno e successivamente ogni 12 mesi fino a 10 anni. Nei pazienti con neoplasie di alto grado vi è consenso nel raccomandare controlli ogni 3 mesi per 2 anni, ogni 4-6 mesi fino al 5° anno e successivamente annualmente. Per il controllo della sede primitiva si raccomanda di integrare alla visita clinica l’effettuazione di una ecografia e/o di una TC o RMN. Per diagnosticare eventuali metastasi polmonari, la radiografia del torace può essere appropriata ma da integrare con esame TC in caso di dubbio diagnostico. Nel caso del sito polmonare, alcune Istituzioni consigliano invece, soprattutto nelle forme di alto grado, una TC torace ogni 3 mesi allo scopo di evidenziare precocemente una eventuale ripresa di malattia eventualmente suscettibile di chirurgia. 6.5 Percorso psicologico I sarcomi dei tessuti molli possono impattare la sfera psicologica, affettiva, familiare e sessuale del paziente che si confronta con una malattia che minaccia la vita e con gli esiti funzionali e sociali dei trattamenti oncologici. Gli aspetti psicologici sono da tenere maggiormente in considerazione dal momento che questa neoplasia colpisce in modo consistente la popolazione giovanile, in una fase del ciclo vitale in cui non è ancora completa la costruzione dell’identità personale. L’impatto della malattia e dei trattamenti su aree significative della fase del ciclo vitale quali la fertilità, la sessualità, l’immagine corporea, la qualità della vita, il ruolo nella famiglia e nella società, può rendere difficoltoso questo passaggio evolutivo e minacciare la costruzione della progettualità adulta. Gli studi sui lungo sopravviventi evidenziano, anche molti anni dopo la fine dei trattamenti attivi, livelli di distress psicologico (20%) legati al danneggiamento funzionale, al lavoro, alla vita di coppia, al funzionamento sessuale e riproduttivo, alla paura, sia nei pazienti che nei familiari, della ripresa di malattia. Si raccomanda, in particolare nei pazienti giovani, uno screening del distress psicologico fin dall’inizio della messa a punto del piano di trattamento al fine di offrire, in ambiente ospedaliero e a domicilio, un supporto psicologico al paziente ed ai familiari che ne abbisognano. Tale supporto deve essere fornito da uno psicologo inserito nel Gruppo interdisciplinare di cura, adeguatamente formato nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali del paziente con sarcoma. (Raccomandazione B) L’obiettivo del supporto psicologico è quello di favorire l’adattamento alla malattia e la compliance all’iter terapeutico, la progettualità a lungo termine nei giovani, la migliore qualità di vita. L’obiettivo del supporto psicologico al familiare è quello di facilitare la strutturazione di un contesto emozionale e comunicativo in grado di favorire l’adattamento del paziente ed il contenimento del distress psicologico nei familiari. 216 Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli In questi pazienti particolare attenzione va data alla comunicazione ed alla condivisione delle scelte terapeutiche. Una comunicazione adeguata e corretta deve essere modulata sul singolo paziente, in relazione alla sua cultura ed al suo stato psicologico, e deve fornire informazioni chiare, sollecite e complete sulla malattia, le procedure diagnostiche, le opzioni terapeutiche e le loro conseguenze ed un giudizio ponderato sulle aspettative e sulla qualità della vita. La presenza di abilità comunicative negli operatori permette ai pazienti una decisione informata specie quando la scelta riguarda strategie chirurgiche ad uguale impatto sulla qualità della vita e sugli outcome funzionali o strategie terapeutiche di non comprovata efficacia nelle forme avanzate. Il coinvolgimento del paziente nelle decisioni determina minori livelli di distress psicologico, maggiore compliance all’iter terapeutico e maggiore soddisfazione per la cura ricevuta. Si raccomandano training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari. (Raccomandazione B). 7. GIST (Gastrointestinal Stromal Tumor) 7.1 Caratteri generali, istologici e di biologia molecolare I tumori stromali gastrointestinali (GISTs) rappresentano neoplasie mesenchimali che interessano, prevalentemente (i tumori che non hanno alcun punto di contatto con il tratto gastrointestinale sono chiamati “tumori stromali extragastrointestinali” ed interessano, di solito, l’omento, il mesentere o il retroperitoneo), il tratto gastrointestinale e che presentano una differenziazione verso le cellule interstiziali di Cajal. La loro incidenza è di circa 15 casi/100,000/anno. Lo stomaco e il piccolo intestino sono le sede anatomiche più frequentemente interessate. I GIST rappresentano una distinta entità sia dal punto di vista morfologico ed immunoistochimico che dal punto di vista molecolare e il suo riconoscimento ha importanti implicazioni terapeutiche. La diagnosi si basa sulla morfologia associata alla positività immunoistochimca per KIT e/o DOG1. In presenza di casi KIT negativi l’analisi molecolare dei geni di KIT/PDGRFA può essere utile per confermare la diagnosi. L’analisi molecolare di entrambi i geni è, in ogni caso, raccomandata dato che lo stato molecolare fornisce importanti informazioni prognostiche e predittive di risposta alla terapia. I patologi svolgono, inoltre, un ruolo chiave nella valutazione del rischio biologico di aggressività della neoplasia che è, attualmente, basato sulla sede anatomica, sulla dimensione del tumore e sull’attività mitotica. Dal punto di vista macroscopico, i GIST si presentano, di solito come masse ben circoscritte, riccamente vascolarizzate, aderenti alla parete dello stomaco o dell’intestino. Al taglio, appaiono di colorito biancastro e possono mostrare aree di emorragia, di degenerazione cistica e/o di necrosi. Al microscopio ottico si riconoscono tre sottotipi principali di GIST. GIST a cellule fusate, che costituiscono circa il 70% dei casi, costituiti da cellule con citoplasma debolmente eosinofilo, nuclei ovoidali e bordi cellulari indistinti organizzate in strutture sinciziali o in fasci. GIST con morfologia epitelioide, che costituiscono circa il 20% dei casi, composti da cellule rotondeggianti con citoplasma eosinofilo o chiaro organizzate in nidi o cordoni solidi. Infine, circa il 10% dei GIST, presentano una morfologia di tipo misto presentando sia una componente a cellule fusate che epitelioide. Dal punto di vista immunoistochimico KIT si è dimostrato un “marker” specifico e sensibile dei GIST essendo espresso da circa il 95% di tali neoplasie. La maggior parte dei GIST mostrano una colorazione intensa e diffusa del citoplasma spesso associata ad una colorazione puntiforme (dot-like) il cosiddetto “Golgi pattern”. Pagina L’estensione e il tipo di colorazione per KIT non è correlata con il tipo di mutazione di KIT e non ha impatto sulla risposta all’imatinib, tuttavia, i GIST che presentano una debole, focale positività a KIT e quelli totalmente negativi risultano, più frequentemente, essere di tipo “wild type” o con mutazioni di PDGRFA. Circa il 4-5% dei GIST sono negativi per KIT. Questi, di solito, interessano lo stomaco e presentano una morfologia di tipo epitelioide o mista. Vi sono altri anticorpi monoclonali comunemente espressi dai GIST che, tuttavia risultano meno sensibili e specifici. Il CD34, ad esempio, è espresso in circa l’80% dei GIST gastrici, nel 50% di quelli del piccolo intestine e, nel 95% of GISTs dell’esofago e del retto. Recentemente sono emersi anticorpi alternativi per la diagnosi dei GIST . Un “marker” molto promettente sembra essere il DOG1 che, in base ai più recenti studi, appare mostrare maggiore sensibilità e specificità rispetto a KIT e CD34 risultando positivo anche nei GIST che non presentano mutazioni di KIT e/o PDGRFA. A dispetto della disponibilità di questi “markers” immunoistochimici una parte dei GIST restano sempre una difficile sfida diagnostica. In tutti questi casi è opportuna l’analisi molecolare dei geni di KIT/PDGRFA che oltre ad avere, in certi casi, un valore diagnostico hanno anche un valore prognostico e predittivo della risposta alla terapia. Le mutazioni di KIT possono interessare l’esone 11 (65% dei casi), l’esone 9 (9% dei casi) e gli esoni 13 e 17 (2% circa dei casi). Le mutazioni di PDGRFA sono identificate in circa l’8% dei GIST e possono interessare l’esone 18 o l’esone 14 (circa 6-7% dei casi) o l’esone 12 (- 1% dei casi). Recentemente, nel 7-13% dei GIST “wild type”, sono state identificate mutazioni dell’esone 15 V600E di BRAF. Le principali diagnosi differenziali dei GIST a cellule fusate sono I leiomiomi/leiomiosarcomi, la fibromatosi desmoide, i tumori miofibroblastici infiammatori, gli schwannomi, i polipi fibroidi infiammatori e i tumori fibrosi solitari. Le diagnosi differenziali dei GIST a cellule epitetelioidi includono i carcinomi neuroendocrini, i tumori gnomici, i melanomi, i leiomiosarcomi epitelioidi, i tumori maligni delle guaine nervose periferiche epitelioidi e i sarcomi a cellule chiare. Per quanto riguarda la stratificazione del rischio nei GIST sono usate quella di Fletcher e colleghi del 2002 che è basata sulla dimensione del tumore e sull’attività mitotica (per 50 HPF) essendo i “cut-offs” una dimensione di 5 cm e un numero di mitosi di 5 per 50HPF. Nel 2006 Miettinen e colleghi hanno dimostrato che anche la sede anatomica 217 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO del tumore è importante per poter predire il comportamento biologico della neoplasia e da allora la sede è inclusa come un parametro addizionale nelle classi di rischio dei GIST. Malattia localizzata Trattamento adiuvante La chirurgia non sempre rappresenta un trattamento curativo nei tumori stromali gastrointestinali (GIST) ed approssimativamente il 50% dei pazienti resecati svilupperà successivamente una recidiva locale o metastasi a distanza, con un rischio massimo nei primi due anni dall’intervento. Nel 2002 l’American College of Surgeons Oncology Group (ACOSOG) ha avviato un trial randomizzato e controllato (ACOSOG Z9001), in cui 713 pazienti con GIST operati di almeno 3 cm, postivi alla determinazione immunoistochimica di KIT venivano randomizzati a riceve Imatinib 400 mg/die o placebo per un anno. I risultati di tale studio hanno evidenziato come il trattamento adiuvante con imatinib si associ ad un incremento statisticamente significativo della sopravvivenza libera da malattia rispetto al placebo (98% vs 83% ad 1 anno; P<0.0001). Inoltre, benché lo studio non fosse stato disegnato per studiare il subset di pazienti che potessero beneficiare del trattamento, un analisi per sottogruppi ha dimostrato come l’incremento della sopravvivenza libera da malattia fosse particolarmente significativo per i GIST ad alto rischio, con diametro massimo > 6 cm (96% vs 67-86%). Attualmente, tuttavia, sono disponibili esclusivamente i risultati a breve termine mentre non si dispone dei dati relativi ad un follow-up più prolungato ed all’eventuale impatto sulla sopravvivenza globale. Inoltre, i risultati dello studio presentato non sono dirimenti per quanto riguarda la durata ottimale del trattamento con imatinib adiuvante, che necessita pertanto di essere definita. Sono attualmente in corso due studi, il cui arruolamento è già concluso, volti a determinare la durata ottimale del trattamento adiuvante con imatinib. Il primo studio, condotto dall’EORTC (EORTC 62024), è uno studio randomizzato multicentrico di fase III dove pazienti affetti da GIST localizzati, resecati, a rischio intermedio ed elevato sono stati randomizzati a ricevere imatinib 400 mg/die per 2 anni dopo la chirurgia oppure avviati a solo follow-up. L’end-point primario è la determinazione dell’impatto sulla sopravvivenza globale. Il secondo, condotto dallo Scandinavian Sarcoma Group (SSG/AIO trial), prevede una randomizzazione ad 1 o 3 anni di trattamento post-operatorio con imtinib 400 mg/die. I risultati di tali studi saranno essenziale nella definizione della durata del trattamento. L’indicazione ad un trattamento adiuvante con imatinib deve essere posta in seguito alla predizione del rischio di ripresa di malattia, ottenuta sulla base di dimensione, indice mitotico e sede di insorgenza della malattia. I GIST ad insorgenza dallo stomaco presentano una prognosi generalmente più favorevole rispetto a quelli ad insorgenza intestinale. GIST gastrici con un diametro inferiore o uguale a 10 cm e con meno di 5 mitosi/50 HPF presentano un basso rischio di sviluppare metastasi a distanza, mentre quelli con più di 5 mitosi/50 HPF e con un diametro maggiore di 5 cm devono essere considerati ad alto rischio. Al contrario, i GIST ad insorgenza dal piccolo intestino con un diametro maggiore di 5 cm, indipendentemente dall’indice mitotico, presentano un rischio almeno moderato per lo sviluppo di metastasi mentre i GIST intestinali con più di 5 mitosi/50 HPF devono essere considerati ad alto rischio. I GIST intestinali con un diametro inferiore o uguale a 5 cm e con meno di 5 mitosi/50 HPF sono da considerarsi a basso rischio. Infine, nel porre indicazione ad un trattamento adiuvante è necessario tenere in considerazione lo stato mutazionale della malattia. L’identificazione all’analisi mutazionale di mutazioni non sensibili all’imatinib (quale, ad esempio, la mutazione D842V a carico dell’esone 18 del gene PDGFRA) rappresenta un criterio di esclusione dal trattamento adiuvante, in quanto determinerebbe la sola esposizione del paziente agli effetti collaterali secondari all’utilizzo dell’imatinib. In conclusione, il trattamento adiuvante con imatinib può oggi essere proposto, previa adeguata informazione del paziente, nei casi di GIST radicalmente operati, con un rischio di ripresa di malattia moderato o alto, portatori di mutazioni sensibili (LIVELLO DI EVIDENZA A). Tale trattamento, ad oggi, andrebbe proposto per la durata di almeno un anno. Un eventualmente proseguimento del trattamento adiuvante in situazioni a rischio di ripresa particolarmente elevato non è attualmente supportato da evidenze e dovrebbe essere estesamente discusso e condiviso con il paziente. Trattamento neoadiuvante Una resezione radicale al momento della diagnosi è possibile in circa 85% dei GIST, benché in alcuni casi richieda il ricorso ad interventi ampiamenti demolitivi. Inoltre, specifiche localizzazioni di malattia, quali quelle a livello dell’esofago, del duodeno o del retto, possono rendere l’approccio chirurgico diffi- Tabella 1. Predizione del rischio per dimensione, indice mitotico e sede Parametri tumorali Indice mitotico ≤ 5/50 HPF > 5/50 HPF Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici Rischio di ripresa di malattia (%) Dimensioni Stomaco Duodeno Digiuno/Ileo Retto ≤ 2 cm Nessuno (0%) Nessuno (0%) Nessuno (0%) Nessuno (0%) > 2 ≤ 5 cm Molto basso (1.9%) Basso (4.3%) Basso (8.3%) Basso (8.5%) > 5 ≤ 10 cm Basso (3.6%) Moderato (24%) Dati insufficienti Dati insufficienti > 10 cm Moderato (10%) Alto (52%) Alto (34%) Alto (57%) ≤ 2 cm Nessuno Alto Dati insufficienti Alto (54%) > 2 ≤ 5 cm Moderato (16%) Alto (73%) Alto (50%) Alto (52%) > 5 ≤ 10 cm Alto (55%) Alto (75%) Dati insufficienti Dati insufficienti > 10 cm Alto (86%) Alto (90%) Alto (86%) Alto (71%) Pagina 218 coltoso, aumentando il rischio di una rottura intraoperatoria della massa con conseguente disseminazione peritoneale: in questi casi, un trattamento sistemico pre-operatorio potrebbe contribuire a rendere l’intervento più agevole e meno rischioso. L’efficacia ed il profilo di tollerabilità dell’imatinib nel setting neoadiuvante è stato valutato in due studi randomizzati di fase II. Nel RTOG 0132/ACRIN 6665 trial sono stati arruolati 52 pazienti affetti da GIST localizzati (30) o metastatici operabili (22). Ad entrambi in gruppi è stato somministrato imatinib 600 mg/die per 8-12 settimane prima della chirurgia. Nel primo gruppo, al termine del trattamento, è stato ottenuto un 7% di risposte parziale e un 83% di stabilità; nel secondo gruppo, 4.5% risposte parziali e 91% stabilità. L’incidenza di complicanze post-operatorie non è risultata significativamente maggiore. Un secondo studio di fase II, condotto da McAuliff et al nel 2009, ha randomizzato 19 pazienti affetti da GIST localizzato a ricevere 3,5 o 7 giorni imatinib preoperatorio (600 mg/die). Il tasso di risposte, valutato con (18)FDG-PET e TC, è risultato del 69% e del 71% rispettivamente ed il trattamento pre-operatorio è apparso ben tollerato. I risultati di tali trial hanno contribuito a definire la fattibilità del trattamento neoadiuvante con imatinib, provando la buona tollerabilità e l’assenza di un incremento significativo di complicanze post operatorie. Tuttavia, il beneficio in termini di sopravvivenza non può essere definito, in quanto tutti i pazienti in entrambi gli studi hanno successivamente ricevuto 2 anni di trattamento post-operatorio con imatinib. Pertanto, sulla base delle evidenze ad oggi disponibili in letteratura, anche in assenza di dati diretti di efficacia, il trattamento neoadiuvante con imatinib può essere proposto a quei pazienti affetti da GIST localizzati nei quali una significativa risposta della neoplasia al trattamento pre-operatorio possa consentire una chirurgia radicale meno demolitiva e possa ridurre il rischio di una rottura intraoperatoria della massa con successiva disseminazione peritoneale (LIVELLO DI EVIDENZA A). E’ tuttavia necessario concordare la scelta insieme al paziente, informandolo dell’assenza di risultati attualmente disponibili circa l’impatto del trattamento neoadiuvante sulla sopravvivenza libera da malattia e globale. 7.2 Terapia della malattia operabile Sono rari < 40 anni, rarissimi in età pediatrica con una mediana di età alla diagnosi di 55 anni e una leggera predominanza per il sesso maschile. Il sintomo più frequente è il sanguinamento dal tratto gastrointestinale tuttavia una cospicua percentuale di pazienti affetti da GIST è asintomatica o paucisintomatica. Sintomi Incidenza Dolori addominali 20-50% Sanguinamento 50% Ostruzione 10-30% Asintomatici 20% La maggior parte dei GIST accumula fortemente FDG e pertanto la PET è uno strumento molto sensibile sia dal punto di vista di stadi azione (malattia metastatica occulta) che da quello clinico (risposta al trattamento) più precoce Pagina di quella dimostrabile alla TC (C IV). La chirurgia è il trattamento di scelta per i GIST e la valutazione della resecabilità di un GIST deve essere compiuta da un chirurgo esperto in questo campo (B III). Valutazione preoperatoria Tutti i tumori devono essere valutati prima dell’intervento da un gruppo multidisciplinare (C IV). Deve essere considerata l’inclusione in studi clinici di trattamento neoadiuvante o adiuvante in tutti i casi. Una TC torace addome e pelvi deve esere eseguita in tutti i pazienti prima dell’intervento (B III). L’esame eco endoscopico (EUS) può essere utile e deve quindi venire considerato per i tumori di piccole dimensioni <2cm (B III). Questi tumori hanno spesso una larga componente necrotica e eseguire di routine biopsie percutanee anche nei casi considerati operabili corre il rischio di provocare una disseminazione intraperitoneale del tumore rendendo così una situazione potenzialmente curabile col solo atto chirurgico in una ben più grave dal punto di vista prognostico (C IV). Qualora il tumore sia considerato non resecabile ovvero qualora la mortalità e/o morbidità dell’atto chirurgico previsto sia troppo elevata il trattamento con Imatinib è appropriato (B III)con dose di attacco a 400 mg/die (A Ib). Principi chirurgici Una ampia resezione monoblocco con margini micro e macroscopicamente indenni (R0) deve essere eseguita (BIII)La preservazione della funzione d’organo deve essere rispettata ma non a discapito di una resezione R0. La linfectomia estesa non è generalmente indicata in quanto questi tumori raramente metastatizzano ai linfonodi mentre possono dare metastasi al fegato e ai polmoni (B III). Alcuni GIST possono esere rimossi per via laparoscopica. Qualora organi adiacenti siano compromessi la resezione deve essere monoblocco e l’input preoperatorio di altre specialità chirurgiche può essere vantaggioso prima di iniziare una tale resezione. La resezione endoscopica non è al momento raccomandata (BIII). Tutti i pazienti dopo la resezione devono essere discussi alla riunione multidisciplinare e una strategia di trattamento e di follow-up deve essere delineata a secondo del rischio del singolo paziente. L’intervento chirurgico deve essere condotto da un chirurgo oncologo esperto nella chirurgia dell’organo dal quale il tumore sembra trarre origine. Il fine primario dell’intervento chirurgico è la resezione R0 evitando la rottura dello stesso (resezione monoblocco). E importante che durante le manovre di isolamento le manipolazioni della neoplasia siano ridotte al minimo in quanto questi tumori sono fragili e la rottura del tumore significa l’insemenzamento di cellule tumorali sia nella cavità peritoneale che successivamente al fegato. Un margine di resezione di 2 cm è considerato adeguato. La preservazione della funzione dell’organo affetto deve essere sempre tentata ma non a discapito della resezione R0. Qualora vi sia la necessità di asportare altri organi (rene, fegato ecc) e il chirurgo non sia esperto in questo tipo di chirurgia è consigliabile chiedere la consulenza di un chirurgo esperto in queste aree. Le biopsie percutanee radiologicamente guidate sono da evitare per la possibile rottura della capsula e la quindi sicura fuoriuscita di materiale dal sito in quanto spesso questi tumori sono ampiamente necrotici. Un approccio laparoscopico a piccole lesioni (<5 cm) può essere fattibile mentre la resezione endoscopica non è appropriata anche per GIST di piccole dimensioni. 219 RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici 7.3 Terapia localmente avanzata o sedi complesse Chirurgia dopo trattamento neoadiuvante di tumori inizialmente non resecabili L’intervento chirurgico deve essere considerato in quei pazienti inizialmente valutati come inoperabili e quindi inviati al trattamento con imatinib qualora il trattamento farmacologico abbia ridotto la massa e/o le metastasi al punto di resecabilità chirurgica. Occasionalmente questi tumori si possono presentare con un occlusione intestinale o con un sanguinamento massivo in questi casi lo scopo principale dell’atto chirurgico è quello di salvare la vita del paziente. In questi casi e si può eseguire una resezione in due tempi il cui primo tempo con il compito di fermare l’emorragia o risolvere l’ostruzione e il secondo tempo asportare la malattia eventualemente rimasta al primo intervento (R2) dopo un adeguato recupero da parte del paziente. Nei casi di m malattia inizialmente considerata inoperabile che dopo trattamento medico viene rivalutata come operabile può avere un razionale l’opzione chirurgica di salvataggio anche se questi dati sono scarsi e provengono da studi retrospettivi quindi scientificamente poco attendibili. Per questo l?EORTC ha aperto uno studio nel 2008 (EORTC 62063) per valutare il ruolo della chirurgia nei pazienti responders al trattamento medico preoperatorio Dopo che erano stati giudicati non operabili alla prima valutazione. La sopravvivenza dei pazienti in progressione sotto terapia con Imatinib e sottoposti comunque a resezione chirurgica è scarsissima e la chirurgia va pertanto evitata in questi pazienti a meno che non si tratti di quei casi di cui sopra in cui l’intervento (palliativo) viene eseguito per fermare una grave emorragia o per risolvere una occlusione intestinale. 7.4 Malattia localmente avanzata inoperabile/malattia mestastatica Prima linea di trattamento I tumori gastrointestinali stromali (GIST) sono neoplasie altamente refrattarie ai trattamenti chemioterapici Il farmaco di riferimento per il trattamento di prima linea dei GISTs in fase avanzata inoperabile o metastatica è imatinib mesilato che permette di ottenere un beneficio clinico in circa l’85% dei pazienti con sopravvivenze mediane di oltre 5 anni rispetto ai 12-24 mesi dei controlli storici trattati con sola chirurgia (LIVELLO DI EVIDENZA: A). Imatinib è un inibitore multichinasico i cui target nei GIST sono c-Kit e PDGFR. La potenzialità di risposta a imatinib è correlata allo stato mutazionale di KIT. Pazienti con GIST che presentato la mutazione dell’esone 11 rispondono meglio rispetto a quelli con la forma wild-type o con la mutazione D842V di PDGFRA. Quest’ultima mutazione si è dimostrata responsabile di una particolare resistenza alla target therapy in genere. I principali studi randomizzati (USA-Canada e EuroAustraliano) e le recentissime metanalisi hanno portato alle seguenti evidenze: • La dose convenzionale di Imatinib è di 400 mg/die ma in presenza della mutazione dell’esone 9 di KIT il trattamento dovrebbe prevedere un dosaggio giornaliero di 800 mg. LIVELLO DI EVIDENZA: A • Imatinib induce raramente delle risposte complete (0-4%) mentre molto più frequentemente sono osservate risposte parziali o risposte senza componente dimensionale (risposte complete+risposte parziali+stazionarietà di malattia: 83,7%) • Una PET effettuata precocemente rispetto all’inizio del trattamento con Imatinib permette di predire la sensibilità all’inibitore tirosinchinasico • Il trattamento va protratto indefinitivamente fino a progressione di ma- Pagina lattia e salvo tossicità non accettabile (particolare cura viene consigliata riguardo la gestione degli effetti collaterali, la verifica della compliance al trattamento e la presenza di fattori che possano alterare l’assorbimento ottimale del farmaco). La sospensione del trattamento è generalmente associata a progressione di malattia. LIVELLO DI EVIDENZA: A • Circa il 15% dei pazienti presentano una resistenza primaria a imatinib. La resistenza primaria è in genere associata all’assenza di mutazioni a carico di KIT o a presenza di mutazioni a carico dell’esone 9 • Una resistenza secondaria, cosiddetta se insorge oltre i 6 mesi di trattamento con imatinib, può interessare tutte le sedi di malattia o solo singole sedi (o singoli punti della stessa sede) e colpisce oltre il 40% dei pazienti responsivi ad un FU mediano di circa 2 anni. Questo tipo di resistenza si verifica in seguito all’acquisizione di mutazioni addizionali nel dominio chinasico di KIT o a selezione di mutazioni imatinib-resistenti già presenti in una piccola percentuale di cellule di GIST non trattati. anche in caso di progressione di malattia (eterogeneità delle mutazioni insorgenti nella malattia avanzata e diverse da metastasi a metastasi con presenza contemporanea di cloni resistenti e sensibili). Qualora il paziente non possa essere inserito in trial clinici con nuovi farmaci, anche la reintroduzione di imatinib è stata associata ad evidenze di attività. Nei casi di progressione limitata (una singola lesione o parte di una lesione), la chirurgia (come altre metodiche ablative) può essere presa in considerazione e proposta al paziente in quanto può associarsi ad un aumento dell’intervallo libero da progressione. Altro ruolo in via di definizione è quello della chirurgia su residuo in pazienti in risposta o stazionari dopo 6-12 mesi di trattamento con IM, allo scopo di prevenire la resistenza secondaria. Alla luce delle evidenze del diverso outcome clinico dei pazienti in relazione Seconda linea di trattamento ed oltre In caso di progressione di malattia, primitiva o secondaria, se il paziente era stato trattato con un dosaggio di 400 mg/die vi è consenso ad aumentare la dose a 800 mg/die. La modulazione della dose di imatinib mesilato da 400 a 800 mg/die, in caso di progressione di malattia, permette un recupero del 30-40% dei pazienti come dimostrato dallo studio europeo EORTC 62005 e dallo studio US Intergroup S0033 con una sopravvivenza mediana libera da progressione di circa 4 mesi. Se il paziente era già in trattamento con imatinib 800 mg/die per presenza della mutazione a carico dell’esone 9, vi è indicazione ad effettuare un crossover a sunitinib. LIVELLO DI EVIDENZA: A In caso di ulteriore progressione di malattia in corso di Imatinib, vi è indicazione a passare al trattamento con Sunitinib. Sunitinib è attualmente approvato per l’uso in seconda linea di trattamento in pazienti resistenti o intolleranti ad imatinib ed è anch’esso un inibitore delle tirosin-chinasi recettoriali tra le quali KIT, PDGFR-α e –β, VEGFR-1,-2 e-3, FLT3, CSF-1R e RET. Sunitinib ha dimostrato in studi preclinici attività antitumorale e antiangiogenetica diretta e in uno studio clinico randomizzato di fase III ha indotto un beneficio clinico in termini di controllo di malattia e superiore sopravvivenza rispetto al placebo. Il genotipo del tumore ha una influenza significativa sulla possibilità di risposta a sunitinib in pazienti imatinib-resistenti essendo stata osservata, oltre che in pazienti con mutazione dell’esone 11 di KIT, soprattutto in pazienti con mutazione dell’esone 9 e nei pazienti con KIT wild-type. Sunitinib risulta, inoltre, efficace in pazienti con mutazioni secondarie negli esoni 13 e 14 di KIT mentre non sembra altrettanto efficace sui pazienti con mutazioni secondarie degli esoni 17 e 18. La schedula di trattamento prevede un dosaggio di 50 mg/die per 4 settimane ogni 6 settimane. Esistono evidenze pubblicate di efficacia ma miglior tollerabilità con una schedula alternativa che prevede la somministrazione continuativa di sunitinib alla dose di 37,5 mg/die. LIVELLO DI EVIDENZA: C In assenza di studi clinici con nuovi farmaci viene, comunque, ribadita dai maggiori esperti l’importanza della non interruzione del trattamento con TKIs Tutti i pazienti con diagnosi confermata di sarcoma delle parti molli dovrebbero essere trattati da un Team Multidisciplinare dedicato ai sarcomi delle parti molli. Il Team Multidisciplinare, per essere accreditato, dovrebbe prendersi cura di 100 nuovi pazienti/anno. Ciascun Team Multidisciplinare dovrebbe risiedere in un singolo ospedale o essere costituito da una serie di ospedali geograficamente vicini che, insieme, costituiscono il centro di trattamento dei sarcomi. Il Team Multidisciplinare dovrebbe essere coordinato da un clinico. L’expertise del Team dovrebbe comprendere i seguenti sarcomi: • sarcomi ginecologici • sarcomi del testa - collo • sarcomi della parete toracica • sarcomi del retroperitoneo e pelvi • sarcomi del sistema nervoso centrale • GIST • sarcomi dell’età infantile • sarcomi degli arti • utilizzo della perfusione isolata di arto con TNF Ogni Team multidisciplinare dovrebbe essere composto come riportato nella 220 alla presenza di determinate mutazioni (primarie e secondarie) che corrispondono ad una differente potenzialità di risposta agli inibitori tirosinchinasici attualmente approvati per l’uso, è fortemente raccomandata l’esecuzione dell’analisi mutazionale allo scopo di individualizzare il trattamento e poterne trarre il miglior beneficio. Follow up Non vi è consenso sul tipo di follow up da condurre dopo un intervento chirurgico per asportazione di un GIST. E’ consigliabile effettuare un esame TC o RMN dell’addome ogni 3 mesi per i primi 2-3 anni, ogni 6 fino al 5° anno e quindi su base annuale dopo i 5 anni. La frequenza dei controlli va comunque definita sulla base del livello di rischio. LIVELLO DI EVIDENZA: C 8. Criteri di appropriatezza e requisiti minimi tabella 2, 3. Ruolo del Team multidisciplinare dei sarcomi Il Team multidisciplinare dovrebbe: • avere dei meeting settimanali con tutti i membri • assicurare che ogni piano di trattamento sia condiviso da tutti i membri del team per i seguenti casi: a) Pazienti con nuove diagnosi b) Pazienti dopo resezione del tumore c) Pazienti alla prima recidiva e/o metastasi • assicurare c