TEMI – MONTAGNA E COMUNICAZIONE Enrico

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Intervista-Camanni
TEMI – MONTAGNA E COMUNICAZIONE
Enrico Camanni
Giornalista
Vice-Presidente Dislivelli
Quali filoni tematici hanno caratterizzato la sua attività di studio sulla montagna?
Per molti anni, sino al 1998, come giornalista e direttore di Alp mi sono concentrato soprattutto
sulla storia dell’alpinismo, certo, con qualche temporanea variazione. Dal 1998, il sodalizio con
la rivista francese l’Alpe e la fondazione de L’Alpe in Italia hanno portato una più ampia
diversificazione degli interessi, anche perché la rivista pubblicava semestralmente numeri
monografici di vario tema. Ho sviluppato un approccio più incentrato sulla storia e l’antropologia
alpina, ma con una grande attenzione all’attualità delle Alpi.
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Intervista-Camanni
Nel 2002, con “La nuova vita delle Alpi” (Bollati Boringhieri, Torino) ho aperto una riflessione a
tutto tondo sulle Alpi contemporanee, e da allora ho mantenuto questo approccio, lasciando la
pratica sportiva e alpinistica sullo sfondo. Rimanendo come formazione uno storico,
ultimamente mi sono avvicinato al tema della storia e antropologia dei ghiacciai alpini, che sono
anche una metafora del futuro. Ciò che mi interessa di più è il futuro: sul passato delle Alpi
abbiamo moltissime informazioni, sul presente si conosce poco, sul futuro manca qualsiasi tipo
di pensiero e riflessione.
Come si è evoluto lo sguardo sulle Alpi nel tempo?
C’è stata una frattura nel modo di guardare la montagna. Frattura che per l’alpinismo è
avvenuta prima, durante gli anni ’70. Si tratta di un cambiamento profondo nell’approccio e nella
comunicazione, spazzando via gli stereotipi e la retorica della montagna come mondo
marginale e della tradizione, oppure come visione romantica.
In seguito, lo stesso passaggio è stato fatto anche dall’antropologia, che ha messo in risalto la
forza degli stereotipi sulle Alpi: vent’anni fa era ancora una bestemmia dire che la montagna
potesse guardare oltre alle sue tradizioni, con una visione non romantica. Questa visione
disincantata si è poi diffusa e rafforzata alla fine degli anni ’90 grazie al contributo di altre
discipline, come la geografia e la sociologia.
E oggi, quali sono gli approcci nei confronti della montagna?
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Coesistono almeno tre approcci, o livelli.
Lo sguardo degli studiosi esperti, marcato da una certa consapevolezza del fatto che la
montagna non sia solo il mondo del folclore e delle tradizioni. Poi c’è lo sguardo della politica,
che è un po’ più ignorante in tal senso. Infine, quello dell’opinione pubblica, tesa tra i due
stereotipi veicolati dalla pratica del turismo: la montagna-tradizione da un lato e la visione
modernista-urbana della montagna palcoscenico dall’altro.
Se si porta questa riflessione sul territorio, si nota come questo sia estremamente frammentato.
Pensiamo alla Valle di Susa, ad esempio: la bassa valle è ormai emancipata, urbanizzata; la
media valle vive profondi processi di marginalizzazione; l’alta valle è invasa dal turismo ed è
rappresentata come un palcoscenico.
Quali sono i principali problemi vissuti dalla montagna in Piemonte?
Dal punto di vista culturale, il problema è evidente. Il Piemonte pre-unitario era del tutto
cosciente della sua componente sub-alpina: viveva una effettiva compenetrazione tra città e
montagna. L’industrialismo ha portato a una decisa frattura: la montagna era percepita ma solo
se sfruttata ai fini industriali. Gli unici legami alternativi che si sviluppano sono quelli legati alla
pratica dello sci, in particolare quando diviene sport di massa. Ma anche queste pratiche
riflettono uno sguardo parziale della città sulla montagna.
Vi è poi il problema delle città intermedie (come Susa, ad esempio) che dovrebbero svolgere un
ruolo di cerniera, ma non lo fanno. Lungo l’arco alpino ci sono invece molti esempi di città come
veri e propri luoghi di organizzazione interna alle Alpi: Aosta, Trento, Vipiteno, Bolzano,
Bressanone, hanno una forte propulsione verso la montagna, coordinando le politiche
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provinciali/regionali e dando luogo a città vitali, che creano un clima di scambio con la
montagna interna.
Anche la comunicazione sulla montagna presenta dei problemi, che non sono tipici del
Piemonte ma che in questa regione si colgono perfettamente. La rappresentazione è di tipo
urbano e ricalca due stereotipi: da un lato, la nostalgia del passato, di tipo folcloristico (a parte
alcune evoluzioni interessanti come nel caso della cultura occitana, che si è un po’ emancipata
da questo sguardo); dall’altro lato, lo sport di massa, e quindi un’immagine delle Alpi vista
attraverso gli stessi strumenti e paradigmi di consumismo della città.
Proprio il turismo rappresenta, in particolare in Piemonte, un’ulteriore criticità. A inizio secolo le
valli piemontesi erano mete molto ambite. Oggi si frequenta la montagna estiva solo ad agosto,
e per poche settimane. In Alto Adige, invece, c’è gente anche a settembre e nelle stagioni
intermedie. Questa chiusura della montagna durante i restanti mesi dell’anno è molto grave dal
punto di vista culturale, della conoscenza e del contatto con la montagna abitata.
Quale contributo sente di aver dato all’evoluzione dell’approccio verso la montagna?
Mi sembra di aver accompagnato una trasformazione nello sport dell’alpinismo e
dell’escursionismo più in generale, affermando una visione più consapevole e creativa della
montagna.
Questa trasformazione si è rivelata un completo fallimento sotto il profilo delle politiche. C’è
poca reattività da parte delle politiche piemontesi. La montagna è vista come marginale,
innanzitutto dai giornali e dalle televisioni. In Piemonte corrisponde a circa la metà del territorio,
ma la sua visibilità è minimale, irrisoria. Il problema è che non si vedono grandi miglioramenti:
nemmeno con le Olimpiadi si è riusciti a creare lo sperato collegamento tra città e montagna.
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Di quale tipo di ricerca sulla montagna c’è bisogno in Piemonte? Su quali temi?
A livello organizzativo, ci vorrebbe un polo di ricerca regionale sostenuto e riconosciuto dalle
istituzioni, che non operi in modo isolato. Non è sufficiente, in questa prospettiva, l’Università.
La ricerca va tradotta in politiche e azioni.
Dal punto di vista dei temi, ve ne sono diversi, ma due in particolare mi sembrano più urgenti.
- il primo è quello del ripopolamento alpino. Oggi avviene il contrario di quanto raccontava
Revelli: si scappa dalla città per trovare lavoro in montagna, che offre nuove possibilità.
Tuttavia, questo ripopolamento deve essere accompagnato non solo dalla ricerca, ma anche da
piani strategici di supporto.
- Il secondo è il rilancio del turismo estivo: se le valli piemontesi fossero conosciute veramente,
anche dai piemontesi stessi, offrirebbero grandi possibilità dal punto di vista naturalistico ed
escursionistico. Il problema di fondo è culturale, nell’atteggiamento verso la montagna: il
fallimento di alcune iniziative come la Grande Traversata delle Alpi è emblematico in tal senso.
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Suggerimenti di lettura
Bätzing W. (2004), Le Alpi, una regione unica al centro dell’Europa, Bollati Boringhieri, Torino:
rimane forse il libro più completo sulle Alpi, anche se dopo la ricerca dell’autore le cose sono
ancora cambiate.
Camanni E. (a cura, 1998), Nuovi mattini. Il singolare sessantotto degli alpinisti, Vivalda, Torino:
l’antologia racconta e illustra la trasformazione culturale avvenuta in seno all’alpinismo, che ha
saputo mettersi in discussione e reinventarsi.
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