Sintesi riunione Rete uffici legali CES giugno2015

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AREA POLITICHE EUROPEE E INTERNAZIONALI
UFFICIO GIURIDICO E VERTENZE LEGALI
Roma, 3 luglio 2015
OGGETTO: RIUNIONE DELLA RETE DEGLI UFFICI VERTENZE DELLA CES
(GIUGNO 2015)
Nel mese di giugno si è svolta a Bruxelles la riunione semestrale della Rete degli uffici vertenze
della Confederazione europea dei sindacati. Presente per la CGIL Andrea Allamprese.
Questi i punti all’ordine del giorno:
1. L’adesione dell’Unione alla Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU). Costruire una
strategia emendativa dopo il parere 2/13 della Corte di Giustizia
2. La causa Ryanair avanti alla Corte del Lavoro danese: stato dell’arte
3. Il caso Sähköalojen ammattiliitto (causa C-396/13) sul distacco transnazionale dei lavoratori
4. Il caso AKT (causa C-533/13) sul lavoro tramite agenzia
5. Incontro con il Mediatore europeo
Quella che segue è una breve analisi dei singoli punti trattati nel corso della riunione.
1. L’adesione dell’Unione alla CEDU. Costruire una strategia emendativa dopo il parere
2/13 della Corte di Giustizia
Klaus Lörcher (esperto giuridico della CES) ha focalizzato il suo intervento su un’analisi critica
del parere n. 2/13 del 18 dicembre 2014 della Corte di Giustizia sul progetto di accordo
sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU.
La Corte di Lussemburgo ha espresso un parere nettamente negativo basato su vari motivi, tutti
in qualche modo connessi alla mancanza di adeguata salvaguardia delle peculiarità
dell’ordinamento dell’Ue e, in particolare, del ruolo della Corte di Giustizia.
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Secondo la Corte l’approccio adottato dal progetto di accordo di adesione non terrebbe conto
della natura intrinseca dell’Unione europea quale entità autonoma.
Secondo i giudici, la stessa esistenza della Corte di Giustizia è un elemento peculiare e tale da
rendere l’Unione un ordinamento di nuovo tipo rispetto a tutte le altre organizzazioni internazionali.
D’altra parte nel Protocollo n. 16 addizionale alla CEDU si dà, per la prima volta, la possibilità
alle Corti Supreme nazionali di chiedere un parere alla Corte EDU ove ci sia un dubbio
sull’interpretazione della CEDU. La Corte di Giustizia sostiene che questa possibilità di rinvio
“anomalo” ai giudici di Strasburgo potrebbe interferire con il rinvio pregiudiziale disciplinato in
ambito Ue all’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (TfUe), che dovrebbe, quindi, essere
adeguatamente salvaguardato.
Queste le possibili conseguenze del parere della Corte di Giustizia:
1. Rinegoziazione dell’accordo di adesione;
2. Nessuna adesione alla CEDU;
3. Emendamenti ai Trattati Ue.
1. La Corte ritiene che bisogna tornare al tavolo del negoziato per risolvere alcune questioni
procedurali e sostanziali aperte. Quanto alle prime: ad es., si tratterebbe di modificare il Protocollo
n. 16 in modo da renderlo conforme alle disposizioni dell’art. 267 TfUe. Quanto alle seconde: l’art.
53 della Carta dei diritti – ove si definisce la relazione tra la Carta stessa e gli altri strumenti
internazionali di protezione dei diritti umani – dovrebbe essere coordinato con l’articolo della
CEDU che tratta la medesima questione.
2. La seconda conseguenza nascerebbe dal fallimento della rinegoziazione. È l’ipotesi meno probabile
perché l’art. 6.2 del Trattato sull’Unione europea (TUe) obbliga l’Unione ad aderire alla CEDU.
3. Secondo K. Lörcher il sindacato europeo dovrebbe piuttosto puntare alla terza conseguenza. Si
tratterebbe di approntare una vera e propria strategia emendativa ai Trattati (TUe e TfUe) per
aggirare l’ostacolo presentato dalla Corte. Criticare duramente il parere della Corte, ma senza
ritenerlo insormontabile.
2. La causa Ryanair avanti alla Corte del Lavoro danese: stato dell’arte
Il caso - presentato dall’esperto giuridico del sindacato LO ricorrente, Jørgen Rønnow Brunn riguarda le azioni messe in atto dalla Federazione danese dei lavoratori dei servizi a seguito del
rifiuto di Ryanair di negoziare un contratto collettivo per i lavoratori con base di servizio in
Danimarca (la base di servizio è “il luogo designato dall’operatore per ogni membro d’equipaggio
dal quale il membro d’equipaggio solitamente inizia e dove conclude un periodo di servizio o una
serie di periodi di servizio”; art. 1.7, OPS 1.1095, Reg. 849/2008). Al fine di fare dichiarare la
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legittimità dello sciopero e delle altre misure poste in essere contro il rifiuto di Ryanair,
l’organizzazione centrale dei sindacati danesi (LO) adiva la Corte del Lavoro danese, competente a
risolvere il caso in virtù dell’art. 5, n. 3) del Regolamento 44/2001/Ce (in materia di illeciti civili
dolosi o colposi, una persona domiciliata in un altro Stato può essere convenuta davanti al giudice
del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire).
La questione centrale su cui sono chiamati a pronunciarsi i giudici danesi riguarda la scelta della
legge applicabile al caso: secondo il diritto del lavoro danese, lo sciopero proclamato contro il
rifiuto del datore di lavoro di aprire il negoziato per la stipulazione di un contratto collettivo
applicabile ai lavoratori impiegati in Danimarca è legittimo; Ryanair ritiene tuttavia che il caso di
specie sia regolato dalla legge irlandese in quanto i lavoratori sono impiegati, per la maggior parte
del tempo, su aerei registrati in Irlanda e sono assunti (direttamente da Ryanair o da Crewlink
Ireland Ltd che poi li somministra a Ryanair) con contratto di lavoro disciplinato dalla legge
irlandese.
L’art. 9 del Regolamento 864/20/Ce (c.d. regolamento Roma II) stabilisce che “la legge
applicabile all’obbligazione extracontrattuale per quanto concerne la responsabilità di una
persona in qualità di lavoratore, datore di lavoro o organizzazione che rappresenta i loro interessi
professionali per danni causati da un’attività sindacale, prevista o conclusa, è quella del paese in
cui tale attività è destinata a svolgersi o si è svolta”. Seppur il Reg. 849/2008/Ce non si applica alla
Danimarca (v. protocollo n. 22 del TUe), esso è applicabile all’Irlanda. Pertanto, il giudice irlandese
- se adito - dovrebbe decidere il caso secondo la legge danese. Per questo la Corte del Lavoro
danese ha risolto il caso in base alla legge danese.
A parere dei giudici danesi, un sindacato ha diritto a svolgere un’azione collettiva contro un
datore di lavoro che si rifiuta di negoziare, pur se il sindacato non ha, in tale impresa, alcun iscritto.
Anche in tal caso, infatti, il sindacato ha interesse a negoziare per evitare i fenomeni di concorrenza
sleale che potrebbero derivare dalla condotta di un datore che applica condizioni di lavoro inferiori
a quelle che altri datori sono tenuti a rispettare in virtù dei contratti collettivi stipulati. La Corte
danese afferma, inoltre, che il sindacato danese ha interesse a negoziare per i lavoratori con base di
servizio in Danimarca, ciò che si verifica per i lavoratori impiegati da Ryanair. I giudici hanno
infine ritenuto che l’azione collettiva non configuri un ostacolo illegittimo alla libera prestazione di
servizi, in quanto essa costituisce un mezzo idoneo e proporzionato per perseguire l’obiettivo di
assicurare, ai lavoratori iscritti, condizioni di lavoro dignitose e di evitare il dumping sociale.
Pertanto, l’azione collettiva posta in essere dal sindacato danese a seguito del rifiuto di Ryanair di
negoziare un contratto collettivo per i lavoratori aventi base di servizio in Danimarca è legittima.
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3. Il caso Sähköalojen ammattiliitto (causa C-396/13) sul distacco transnazionale dei
lavoratori
Il caso - presentato dall’esperto giuridico del sindacato SEK ricorrente principale, Jari Hellsten riguarda il distacco in Finlandia di lavoratori polacchi per i quali i sindacati finlandesi
rivendicavano l’applicazione di una serie di voci ed indennità retributive considerate parte del
salario minimo dal contratto collettivo di settore (energia elettrica), ivi compreso il livello salariale
e le tariffe di cottimo dipendenti dall’inquadramento dei singoli lavoratori.
Il giudice finlandese pone due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia:
-
i lavoratori polacchi potevano essere rappresentati dal sindacato finlandese davanti a un tribunale
-
finlandese?
come interpretare la nozione di “tariffa minima salariale” ex art. 3 della Direttiva 96/71 sul distacco
transnazionale?
L’Avv. generale adotta una posizione politica. La Direttiva 96/71 fornisce un livello minimo di
protezione del salario. Le indennità quotidiane fanno parte della retribuzione, ma devono essere
sottoposte a un test di proporzionalità.
La Corte di Giustizia, nella decisione del 12 febbraio 2015, ha accolto una nozione ampia di
“tariffa minima salariale”, riconoscendo che quanto previsto dai contratti collettivi finlandesi (ossia
dello Stato ospitante) sia legittimamente riconducibile alla nozione di cui all’art. 3, par. 1, lett. c)
della Direttiva 96/71; ciò, in ragione del fatto che le indennità corrisposte (in specie, indennità
specifica di distacco, indennità di tragitto) risultano funzionali a garantire “la tutela sociale dei
lavoratori” stranieri, o sono espressione di un diritto fondamentale del lavoratore (gratifica per
ferie).
Tale conclusione positiva è però condizionata dall’essere il contratto collettivo applicabile
vincolante anche per le imprese nazionali (cioè dotato di efficacia generale) e le sue disposizioni
chiare ed accessibili per le imprese straniere.
4. Il caso AKT (causa C-533/13) sul lavoro tramite agenzia
Anche il caso AKT - sempre presentato da Jari Hellsten - è stato deciso su rinvio pregiudiziale
sollevato da un giudice finlandese nell’ambito di un ricordo promosso dal sindacato finlandese dei
dipendenti del settore delle autocisterne e dei prodotti petroliferi (AKT) contro l’associazione
finlandese dei datori di lavoro del settore dei combustibili (l’Öljytuote ry) e la Shell Aviation
Finland Oy (SAF). Il sindacato contestava alla SAF la violazione di una clausola del contratto
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collettivo settoriale con cui si limitava il ricorso al lavoro interinale “ai periodi di maggiore carico
di lavoro o alla realizzazione di altre mansioni, circoscritte sotto il profilo temporale o
contenutistico, che, per motivi legati all’urgenza, alla durata limitata, alle competenze
professionali, all’utilizzo di attrezzature speciali o per altre ragioni analoghe”, non possono essere
svolte dal personale dell’impresa utilizzatrice.
Nella loro difesa, le associazioni imprenditoriali sostengono che la clausola del contratto
collettivo con cui si limita il ricorso al lavoro interinale non è conforme all’art. 4, par. 1, Direttiva
2008/104 per cui “I divieti o le restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie
interinale sono giustificati solo da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la
tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul
lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di
abusi”.
Il giudice finlandese pone due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia: da un lato, si
domanda alla Corte di chiarire il contenuto precettivo dell’art. 4, par. 1 della Direttiva 2008/104;
dall’altro, si chiede di precisare se la medesima disposizione abbia o meno efficacia diretta
orizzontale.
La Corte di Giustizia si è pronunciata, il 17 marzo 2015, solo sulla prima questione, affermando
che l’art. 4, par. 1 della Direttiva “si rivolge unicamente alle autorità competenti degli Stati
membri, imponendo loro un obbligo di riesame al fine di garantire che eventuali divieti o restrizioni
imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale siano giustificati”. Di
conseguenza, l’art. 4 par. 1 “non impone alle autorità giudiziarie nazionali l’obbligo di
disapplicare qualsiasi disposizione di diritto nazionale che preveda divieti o restrizioni imposti
quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale che non siano giustificati da ragioni
di interesse generale” (par. 32).
In tal modo, la Corte di Giustizia esclude la possibilità, per i giudizi nazionali e per sé stessa, di
pronunciarsi sulla legittimità dei divieti e delle restrizioni al ricorso al lavoro interinale.
Un risultato positivo molto atteso dal sindacato europeo.
5. Incontro con il Mediatore europeo
L’ultima parte della riunione della Rete è stata dedicata ad un incontro informale con Fergal
O’Regan (consigliere giuridico presso il Mediatore Europeo).
E’ stata rinviata ad altra riunione la discussione sulla decisione della Corte di Giustizia del 14
aprile u.s. (causa 409/13) in una controversia, avente carattere costituzionale, che oppone il
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Consiglio dell’Ue alla Commissione in merito all’esistenza del potere eventualmente attribuito alla
Commissione di ritirare una proposta di regolamento e in merito alla portata e ai limiti dello stesso.
Il Mediatore europeo (European Ombudsman) rappresenta un sistema stragiudiziale che permette
di trattare casi di cattiva amministrazione in seno all’Unione.
A differenza del tribunale dell’Ue, il Mediatore non può annullare una decisione (ad es., un atto
di assunzione).
Il Mediatore ha, tuttavia, competenze molto più vaste di quelle del Tribunale Ue. Le sue aree di
intervento sono, in particolare:
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Le questioni di trasparenza: in primis l’accesso agli atti (esistono in materia un Regolamento
nonché gli artt. 154 e 152 TfUe), ma anche la trasparenza dei gruppi di esperti; la valutazione di
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impatto;
Ipotesi di ricorso contro una procedura di lavori pubblici (casi di esclusione, ecc.);
Le questioni etiche.
Il Mediatore europeo viene talvolta chiamato in causa in occasione di procedure di infrazione
contro gli Stati. La Commissione ha potere discrezionale in materia e non è possibile, dal punto di
vista giuridico, obbligare la Commissione ad aprire una procedura di infrazione contro uno Stato. Ci
si può rivolgere al Mediatore europeo per invitarlo ad intervenire sulla Commissione, affinché
agisca velocemente (è la via seguita con successo di recente dal cittadino Pierpaolo Volpe nella
denuncia contro l’Italia sui contratti a termine arbitrari nella pubblica amministrazione).
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