UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI SCIENZE M.F.N. Corso di Laurea in Fisica Laboratorio di Fisica V Anno Accademico 2004-2005 Mina Fabrizio Pedrazzo Francesco Ugliano Marcella ii Indice 1 Effetto Hall nei semiconduttori 1.1 Introduzione e fisica dell’esperienza . . . . . . . . . 1.1.1 Semiconduttori . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.2 Drogaggi P e N . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1.3 Effetto Hall nei semiconduttori . . . . . . . 1.1.4 Termocoppia . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Caratterizzazione del campo magnetico . . . . . . 1.2.1 Setup sperimentale . . . . . . . . . . . . . . 1.2.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro . 1.3.1 Setup sperimentale . . . . . . . . . . . . . . 1.3.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 1.4.1 Setup sperimentale . . . . . . . . . . . . . . 1.4.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo P 1.5.1 Setup sperimentale . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore . . . 1.6.1 Setup sperimentale . . . . . . . . . . . . . . 1.6.2 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . 1.6.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 1 3 4 7 10 10 12 13 15 15 16 16 21 21 23 25 35 35 35 35 43 44 46 47 2 Rivelazione di raggi cosmici 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza . . . . . . . . . . 2.1.1 Raggi cosmici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.2 Scintillatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.3 Fotomoltiplicatori . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.4 Logica NIM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Osservazione del rumore di fondo . . . . . . . . . . . 2.3 Determinazione della tensione di lavoro dei fototubi 2.3.1 Elaborazione dati . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Misura della curva di coincidenza . . . . . . . . . . . 2.4.1 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 55 55 58 64 69 72 75 78 81 83 iii iv INDICE 2.5 2.6 2.4.2 Risultati . . . . . . . . . . . . Misura di eventi accidentali . . . . . 2.5.1 Setup sperimentale . . . . . . 2.5.2 Acquisizione dati . . . . . . . 2.5.3 Risultati . . . . . . . . . . . . Misura dell’efficienza di un rivelatore 2.6.1 Setup sperimentale . . . . . . 2.6.2 Acquisizione dati . . . . . . . 2.6.3 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 86 86 86 87 89 90 91 91 Capitolo 1 Studio della resistenza di un semiconduttore in funzione della temperatura e misura dell’effetto Hall nei semiconduttori 1.1 Introduzione e fisica dell’esperienza Lo scopo dell’esperienza è la determinazione delle caratteristiche di conduzione dei semiconduttori, attraverso la misura di alcuni parametri fisici macroscopici e microscopici. Utilizzando un campione di materiale semiconduttore dapprima si studierà il variare della resistenza elettrica in funzione della temperatura, quindi si sfrutterà l’effetto Hall per determinare la concentrazione dei portatori di carica. 1.1.1 Semiconduttori Analizzando il moto dei portatori di carica in un materiale i cui capi sono sottoposti ad una determinata differenza di potenziale si può osservare che essi non procedono, come si potrebbe prevedere in base alla teoria classica, secondo traiettorie rettilinee parallele alle linee del campo elettrico generato dalla tensione applicata: il moto è influenzato dalla presenza di atomi o ioni contro i quali i portatori urtano. In assenza di campo elettrico, si può definire il libero cammino medio l ed il tempo medio tra un urto e il successivo τ , legati dalla relazione τ= l v dove v è la velocità media dei portatori di carica nel materiale considerato. 1 2 Effetto Hall nei semiconduttori Applicando una differenza di potenziale ai capi del materiale in esame si può pensare che le traiettorie rettilinee percorse dai portatori di carica, tra un urto e il successivo, vengano deflesse dalle linee del campo elettrico che fornisce al singolo portatore un’accelerazione pari al rapporto tra la forza di Coulomb corrispondente e la massa dello stesso. → − eE → − a = m La velocità acquisita da un portatore di carica dopo l’i-esimo urto diventa quindi pari a → − eE → − − τ v i+1 = → vi− m − Il valor medio delle velocità → v i è pari a zero, essendo la distribuzione delle velocità in seguito agli urti successivi casuale: si può quindi definire dopo una serie di N urti una velocità di deriva media, proporzionale al campo elettrico → − E: → − P → P → eE − − ( v − v eτ → i − i+1 m τ) → − vd= i = i =− E N N m Ne segue che la densità di corrente che consegue il moto ordinato delle cariche è pari a ne2 τ → − → − − j = −ne→ vd= E m dove n è la densità di portatori di carica nel materiale considerato. La costante di proporzionalità che lega la densità di carica e il campo elettrico è definita conduttività e si indica con la lettera σ. In generale, considerando portatori di carica di entrambi i segni presenti nello stesso materiale, σ assume il valore ne2 τ+ ne2 τ− σ= + m+ m− La conduttività σ è una proprietà che dipende dalla natura (massa) e dal numero dei portatori di carica presenti nel materiale. Inoltre è facile intuire che vi è una forte relazione con la temperatura: dallo stato di agitazione termica dipendono infatti sia il libero cammino medio (e quindi τ ) che il numero di portatori di carica. L’inverso della conduttività si definisce resistività del materiale ed è una grandezza misurata in [Ωm]. Tale grandezza può assumere valori in un ampio range di ordini di grandezza (ρ = 10−8 ∼ 1017 [Ωm]). In base al valore di resistività a temperatura ambiente, si possono classificare i diversi materiali in conduttori (ρ = 10−8 ∼ 10−5 [Ωm]), semiconduttori (ρ = 100 ∼ 106 [Ωm]) e isolanti (ρ = 108 ∼ 1017 [Ωm]). La dipendenza di ρ dalla temperatura si manifesta in modo diverso a seconda che il materiale sia un conduttore, un semiconduttore oppure un superconduttore. Nei metalli la dipendenza è pressochè lineare: all’aumentare della temperatura diminuisce la mobilità degli elettroni di conduzione e quindi aumenta ρ. Nei semiconduttori l’effetto della diminuzione di mobilità dei portatori di carica 1.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 3 viene compensato da un aumento degli stessi e conseguentemente la resistività decresce. Esistono infine particolari materiali (molti dei quali sono materiali di sintesi) che hanno un comportamento lineare sino a basse temperature, ma a temperature prossime allo zero assoluto (si parla di temperatura critica) la loro resistività crolla improvvisamente e tende ad un valore prossimo allo zero. In natura esistono semiconduttori intrinseci costituiti da cristalli monoatomici (C, Si, Ge, Sn), biatomici (SiC, GaAs) o poliatomici: campioni purissimi di tali materiali si comportano come semiconduttori. Solitamente si tratta di cristalli contenenti atomi con quattro elettroni di valenza: il reticolo cristallino è quindi abbastanza stabile e non contiene elettroni di conduzione liberi. Il campione è complessivamente neutro. Si definisce Egap la differenza di energia tra la banda di valenza e la banda di conduzione, ovvero l’energia necessaria per estrarre l’elettrone e renderlo disponibile come portatore di carica. 1.1.2 Drogaggi P e N Semiconduttore intrinseco E Semiconduttore P E Semiconduttore N E banda di conduzione gap gap banda di conduzione dell'accettore banda di valenza del donatore gap banda di valenza Figura 1.1: Semiconduttori intrinseci e drogati: configurazione elettronica Al fine di migliorare le caratteristiche di conducibilità dei semiconduttori intrinseci (i quali manifestano spesso caratteristiche analoghe agli isolanti) è possibile diffondere in essi piccole quantità di atomi di speci non appartenenti al reticolo (impurità), al fine di ridurre il gap tra le bande di valenza e conduzione aggiungendo bande permesse prossime a quelle tipiche del semiconduttore intrinseco. In particolare è possibile drogare il cristallo con atomi trivalenti (drogaggio P - aggiunta di una banda di valenza al di sotto della banda di conduzione del semiconduttore) o pentavalenti (drogaggio N - aggiunta di una banda di conduzione con energia di poco superiore a quella della banda di valenza del semiconduttore). 4 Effetto Hall nei semiconduttori Se si inseriscono atomi pentavalenti (quali N, P, As, Sb) nel reticolo cristallino si ottiene un drogaggio N: gli atomi droganti sostituiscono quelli del materiale originale, ma uno dei cinque elettroni di valenza del materiale drogante non è necessario per formare il reticolo cristallino e resta libero da legami. Questo elettrone, qualora venga applicata una differenza di poteziale al campione, diventerà un portatore di carica elettrica, potendosi spostare all’interno del reticolo. In modo analogo si può drogare il campione con atomi trivalenti (quali B, Al, Ga, In) i quali presentano tre elettroni nella banda di valenza e possono quindi formare solo tre legami con gli altri atomi del reticolo. Si forma quindi una lacuna, ovvero uno ione positivo. Anche la lacuna può spostarsi nel reticolo cristallino e fungere quindi da portatore di carica positivo: in presenza di campo elettrico infatti l’elettrone mancante viene acquisito da un atomo adiacente, che a sua volta si trova in deficit di un elettrone e diventa quindi una nuova lacuna. Con questo meccanismo si può verificare una traslazione di cariche positive virtuali (determinate dall’assenza di una carica negativa). È utile ricordare che il drogaggio deve essere molto debole per non alterare le caratteristiche del reticolo. Un campione drogato presenta quindi, a parità di temperatura, una resistività minore rispetto al campione di semiconduttore intrinseco. Inoltre si può verificare che il drogaggio determina il numero dei portatori di carica del tipo corrispondente al tipo di drogaggio, che per questo vengono detti portatori maggioritari; ma all’interno del reticolo si possono trovare anche portatori di carica di segno opposto ad essi. Il numero dei portatori di carica maggioritari è di parecchi ordini di grandezza superiore rispetto a quello dei portatori minoritari e si verifica che E gap 3 √ √ √ nN pN = nP pP = nintrinseco pintrinseco = AT 2 e− 2KT Si verifica quindi la dipendenza del numero di portatori di carica dalla temperatura, fenomeno evidente nel caso dei semiconduttori. Anche in un semiconduttore intrinseco (non ancora drogato) vi sono alcuni portatori di carica: si tratta di coppie elettrone-lacuna che si creano e si annichilano con vite medie dell’ordine di τ = 10−3 ∼ 10−8 [s]. La creazione di coppie può essere stimolata fornendo energia dall’esterno, ad esempio mediante un fascio di fotoni di frequenza opportuna (Efotone = hν = Egap ) oppure mediante il passaggio di una corrente elettrica elevata. 1.1.3 Effetto Hall nei semiconduttori Un conduttore a forma di nastro sottile di sezione Σ = ab è percorso da una corrente di intensità i con verso concorde all’asse x. → − Si definisce il vettore densità di corrente j come → − − j = ne→ vd 1.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 5 y z y B e<0 z e>0 a -------- a B x j ++++++++ Eel b EH ++++++++ x j Eel b EH -------Figura 1.2: Effetto Hall con portatori di carica ± dove n rappresenta i portatori di carica per unità di volume, e è la carica del− l’elettrone, pari a 1.6 ∗ 10−19 C, e → v d la velocità di deriva delle cariche. In → − − particolare se la superficie Σ è ortogonale a j , cioè a → v d , si può scrivere: i = jΣ j= i Σ cioè la densità di corrente è data dalla corrente che attraversa l’unità di superficie lungo la perpendicolare alla direzione del moto delle cariche. Nel caso in esame si scriverà i − → − − ux j = ne→ vd= → ab All’interno di un conduttore il vettore densità di corrente risulta sempre concorde all’asse x, indipendentemente dal segno dei portatori di carica. → − Si sottopone il nastro all’azione di un campo magnetico uniforme B , che si assume perpendicolare a j e concorde all’asse y. Allora su ciascun portatore di carica agisce la forza di Lorentz: → − → − − F = e→ vd×B La forza F , dovuta all’azione del campo magnetico su una carica in movimento, non è elettrostatica: si può quindi definire il campo elettromotore → − → − F j → − → − → − − =→ vd×B = ×B EH = e ne Esso è diretto lungo l’asse z e il suo verso dipende dal segno della carica: se → − e > 0, E H è concorde all’asse z, mentre è discorde all’asse z se e < 0. Il campo → − E H , anche chiamato campo di Hall dal nome del fisico che nel 1879 lo mise per la prima volta in evidenza, modifica la traiettoria del moto delle cariche, 6 Effetto Hall nei semiconduttori aggiungendo una componente trasversale alla velocità di deriva. L’effetto risultante è un accumulo di cariche di segno opposto sulle due facce del materiale che sono ortogonali al campo stesso, cioè all’asse z. → − Queste cariche danno origine ad un controcampo elettrostatico E el che si oppone ad un ulteriore accumulo; la condizione di equilibrio è → − → − E H + E el = 0 La differenza di potenziale generata ai capi del nastro lungo d dal campo → − E H vale: Z Q → − → − −−→ → − − V = E H · d→ z = E H · P Q = ±E Hb P con segno positivo se e > 0, negativo se e < 0. In modulo la tensione di Hall vale: iB Bb VA − VB jBb → − = = VH = E H b = ne nea neρ d Il fenomeno descritto, chiamato effetto Hall trasversale, si presta ad alcune interessanti applicazioni. Innanzitutto dal segno di VH si può determinare il segno dei portatori di carica del materiale, e noti i moduli di VH e B si può ricavare la densità di carica ne dei portatori. Utilizzando le relazioni i=( VA − V B ab(VA − VB ) )= R ρd con R= ρd ρd = Σ ab si ricava l’espressione approssimata: VH = RH I → − B d dove RH è il coefficiente di Hall, dato per un conduttore dall’espressione: RH = 1 ne e per un semiconduttore da: RH = (µ2+ p − µ2− n) e(µ+ p + µ− n)2 In queste formule si è indicato con n e p le concentrazioni volumetriche dei portatori di carica (rispettivamente negativi e positivi) e con µ− e µ+ le rispettive mobilità. Quindi RH è inversamente proporzionale alla densità dei portatori, dipende dal materiale (e specialmente dalla temperatura) ed è legato alla mobilità dalla relazione µ = RH σ 1.1 Introduzione e fisica dell’esperienza essendo σ la conduttività (ρ = 7 1 σ ). La proporzionalità a n1 è causata, per una data corrente, dal fatto che minore è la densità dei portatori e più rapidamente ciascuno di essi si muove e viene deflesso dal campo magnetico. Risulta perciò che il coefficiente di Hall dei semiconduttori è di molti ordini di grandezza maggiore di quello dei metalli, dato il numero molto minore dei portatori di carica liberi. Nell’esperimento si userà un campione di Germanio, data la semplicità nel fornire correnti di polarizzazione dell’ordine dei mA che danno tensioni di Hall già dell’ordine dei mV, eliminando la necessità di amplificarle. Gli effetti della temperatura sono rilevanti nei semiconduttori piuttosto che nei metalli poichè la densità di elettroni e lacune è normalmente sufficientemente bassa da poterli considerare un gas classico (non degenere). Dalla Tensione di Hall, fornendo una relazione di proporzionalità tra la tensione VH e il modulo B del campo magnetico, possiamo costruire misuratori di campo magnetico, detti sonde di Hall; la costante di proporzionalità α= i b(VA − VB ) VH = = B nea neρd può essere determinata sperimentalmente, grazie a queste formule, introducendo la sonda in un campo magnetico di valore noto e misurando il valore della tensione di Hall. 1.1.4 Termocoppia La termocoppia è uno strumento per la misura differenziale di temperatura. Il suo funzionamento è spiegabile teoricamente mediante l’effetto Peltier e l’effetto Thomson, entrambi fenomeni termoelettrici che vengono sfruttati contemporaneamente per creare il cosiddetto effetto Seeback. L’effetto Peltier si manifesta quando si applica una differenza di potenziale ai capi di una giunzione composta di materiali diversi: si osserva che un estremo della giunzione si riscalda, metre l’altro si raffredda cedendo energia alla prima. Invertendo il verso della corrente il fenomeno si inverte e quindi non si può attribuire l’evidenza sperimentale all’effetto Joule. Per mantenere costante la temperatura della giunzione è necessario fornire una potenza P = π1.2 i dove π è il coefficiente di Peltier e i è la corrente circolante nella giunzione. Se si inverte il verso della corrente la potenza resta uguale in modulo e il coefficiente di Peltier si inverte, π1.2 = −π2.1 . L’effetto Peltier è dunque reversibile. Per convenzione si assume positivo il segno di π1.2 quando la corrente, passando dal materiale 1 al materiale 2, produce un assorbimento di potenza, come se agisse una tensione tra i due punti della giunzione in verso concorde 8 Effetto Hall nei semiconduttori 2 1 1 Figura 1.3: Effetto Peltier con la corrente circolante nella stessa. Il coefficiente di Peltier è a tutti gli effetti una tensione, il cui valore dipende dalla natura dei due materiali di cui è composta la giunzione. Tale effetto è dovuto a differenze nelle distribuzioni delle energie elettroniche che a temperature superiori allo zero assoluto sono superiori nei metalli all’energia di Fermi e si differenziano a seconda del materiale considerato. Questo effetto può essere sfruttato per costruire serbatoi di calore. L’effetto Thomson prevede che se si mantiene su un conduttore (rettilineo) un gradiente di temperatura, sia possibile verificare uno scambio termico non spiegabile mediante il solo effetto Joule. Le verifiche sperimentali sono compatibili con un incremento virtuale del potenziale lungo il conduttore, proporzionale al gradiente di temperatura: ∂T ∂V =σ ∂s ∂s Il coefficiente di proporzionalità σ dipende dalla temperatura e dal materiale di cui è composto il conduttore. Si ha assorbimento di potenza se il gradiente del potenziale è parallelo alla corrente circolante nel conduttore, dissipazione in caso contrario. La rivelazione sperimentale di questo fenomeno è complicata, in quanto percentualmente la potenza dissipata è minore rispetto alla potenza prodotta per effetto Joule. Infatti i valori tipici del coeffieciente di Thomson σ sono dell’ordine di 10−6 [V K −1 ]. Inoltre è da notare che in un circuito chiuso composto da un unico materiale l’effetto Thomson non produce alcuna forza elettromotrice, tuttavia si possono misurare alterazioni delle distribuzioni energetiche locali degli 1.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 9 elettroni. Si consideri invece un circuito composto da due metalli diversi, privo di generatore e si mantengano le due giunzioni A e B a temperature diverse TA e TB : inserendo un amperometro all’interno del circuito si rivela in questo caso un passaggio di corrente, dovuto alla presenza di una forza elettromotrice. Tale fenomeno è conosciuto come effetto Seeback e la forza elettromotrice è di natura temolettrica. P Q 1 1 A 2 B Figura 1.4: Effetto Seeback Si può spiegare questo effetto considerando il fatto che nei diversi metalli si hanno diversi lavori di estrazione, ovvero l’energia necessaria per strappare un elettrone da uno stato legato ad una banda di conduzione è una grandazza dipendente dalla configurazione atomica dei due metalli. Tale grandezza è inoltre dipendente dalla temperatura alla quale si trovano le giunzioni, in quanto la temperatura è indice dell’energia interna posseduta dal metallo. A parità di condizioni un corpo ad una temperatura maggiore possiede un’energia interna maggiore rispetto ad un corpo più freddo e quindi un lavoro di estrazione minore. Si genera quindi una diffusione di cariche tra le giunzioni e un conseguente passaggio di corrente. Se si mantiene una giunzione ad una temperatura di riferimento TA e si varia la temperatura della seconda giunzione TB = T si osserva che la forza elettromotrice varia con andamento parabolico con un massimo in T = Tn = (TA + Ti )/2. Inoltre si verifica un punto di inversione della grandezza per T = Ti . La derivata della forza termoelettrica dE/dT , funzione della temperatura, è detta potere termoelettrico. Si verifica che nelle due giunzioni si hanno effetti Peltier, mentre nei conduttori effetti Thomson. Si indichi con T0 la temperatura dei punti P e Q tra i 10 Effetto Hall nei semiconduttori quali è posto lo strumento di misura, si ha VQ = V P + Z TA σ1 dT + π1.2 (TA ) + T0 Z TB σ2 dT + π2.1 (TB ) + TA Z T0 σ1 dT TB semplificando i termini opposti si ha E = VQ − VP = π1.2 (TA ) − π2.1 (TB ) + Z TB TA (σ2 − σ1 )dT In questa formula si evidenzia come la forza termoelettrica nasca dalla differenza tra le f.e.m. di Peltier alle due giunzioni e dalla differenza dei coefficienti di Thomson nei due metalli. Questo effetto viene sfruttato per eseguire misure differenziali di temperatura: una giunzione viene matenuta ad una temperatura fissa, immergendola ad esempio in un bagno di ghiaccio fondente, mentre la seconda giunzione costituisce la sonda per misurare la temperatura. Tali sonde forniscono risposte pronte e precise, inoltre possono essere applicate in range ampi di temperatura. Nell’esperienza verrà utilizzata una giunzione ferro-costantana, per la quale il potere termoelettrico è circa dE/dT = 5 · 10− 5 [V/K]. La taratura avviene fornendo una f.e.m. opposta a quella generata dalla termocoppia, regolata in modo tale da fornire una lettura nulla quando le due giunzioni siano alla stessa temperatura. 1.2 1.2.1 Caratterizzazione del campo magnetico Setup sperimentale Per il principio di Ampére, quando una spira composta da materiale conduttore viene attraversata da una corrente elettrica (cariche elettriche in moto), essa diventa sorgente di un campo magnetico. Se si considera un solenoide, i campi prodotti dalle singole spire si sommano e danno origine ad un campo magnetico con intensità massima sull’asse del solenoide. Per punti prossimi all’asse del solenoide inoltre si può verificare teoricamente la presenza di linee di campo magnetico pressoché parallele allo stesso. Allontanandosi dall’asse le linee del campo si flettono e si chiudono all’esterno del solenoide. In tal modo è possibile costruire dei magneti, il cui campo può essere controllato in intensità variando la corrente circolante nelle spire. Nell’esperienza si utilizza un elettromagnete composto da due solenoidi avvolti ad un unico traferro di materiale ferromagnetico. Il campo prodotto dalle due bobine induce una magnetizzazione nel materiale ferromagnetico di cui è composto il traferro, quindi genera un secondo campo magnetico tra le espansioni del traferro. La prima parte dell’esperienza prevede la caratterizzazione del campo magnetico nei pressi delle espansioni del traferro. Per la misura del campo magnetico occorre utilizzare un teslametro digitale, dotato di sonda ad effetto Hall. Tale sonda è sensibile solo in una zona prossima 1.2 Caratterizzazione del campo magnetico 11 all’estremità, inoltre occorre prestare attenzione all’orientamento della sonda, in quanto essa misura il flusso del campo magnetico sulla superficie sensibile, quindi piccole inclinazioni della superficie possono variare i risultati. Si collega il generatore di tensione ai solenoidi, posti in serie, avendo cura di verificare che il campo prodotto dalla somma dei campi delle singole bobine sia non nullo (i campi devono avere versi concordi). Al fine di assicurare una corrente costante di circa 2 A durante tutta la misura, occorre misurare il valore Ib della corrente di eccitazione dei solenoidi, utilizzando un amperometro posto in serie nel circuito. Non è opportuno superare per lunghi periodi di tempo la soglia di 2 A, come corente nei solenoidi, al fine di prevenire il surriscaldamento degli stessi (in tal caso ci si aspetta un campo di circa 300 [T]). La misura del campo deve essere eseguita in una matrice di punti giacenti sul piano mediano delle espansioni dell’elettrocalamita. Per il posizionamento della sonda si ha a disposizione un supporto. La misura della posizione del sensore non può essere molto precisa a causa della difficoltà di lettura tra le espansioni e dell’impossibilità di localizzare sulla superficie della sonda un preciso punto di misura. Secondo il manuale allegato al teslametro utilizzato la sonda è sensibile infatti in un range di circa 1 cm, calcolato a partire da 1 mm dall’estremità. Appare quindi chiaro che la misura del campo, pur essendo molto precisa come valore di intensità, può fornire unicamente un andamento di massima dello stesso, utile per individuare il punto di massimo valore del campo tra le espansioni. Osservando la geometria delle linee di campo teoriche e le simmetrie di cui gode il problema si può ipotizzare infatti che il campo sia massimo nel punto centrale delle espansioni del magnete. + Figura 1.5: Elettromagnete 12 Effetto Hall nei semiconduttori 1.2.2 Acquisizione dati Le misure delle dimesioni fisiche delle espansioni del magnete sono state eseguite utilizzando un calibro con sensibilità pari a 1/20 mm. È stata verificata una leggera inclinazione relativa delle espansioni: si è scelto di considerare un errore più grande della sensibilità dello strumento, al fine di poter considerare le facce parallele. Si è indicato come asse x l’asse verticale, y l’asse orizzontale. Non sono state eseguite misure lungo la direzione ortogonale alle facce dell’elettromagnete, essendo lo spazio tra le stesse troppo esiguo. Inoltre dato il rapporto tra la distanza tra le espansioni e il lato delle stesse (si tratta di facce quadrate) si può supporre che le linee di campo siano ortogonali alle facce (almeno all’interno delle stesse) e che il modulo del campo lungo l’asse z sia costante. lx = ly = 40.10 ± 0.05[mm] d = 7.90 ± 0.05[mm] Nel manuale d’uso del teslametro sono indicate le sensibilità dello strumento e della sonda utilizzate. Prima di procedere con la misura occorre azzerare lo strumento, seguendo la procedura indicata nel manuale, accertandosi di aver tolto la sonda dalle espansioni del magnete al fine di evitare l’interazione con correnti parassite eventualmente presenti nel traferro. Lo strumento deve essere mantenuto acceso per un periodo di 15 minuti circa al fine di stabilizzare la temperatura del sensore (warm-up del sensore), il quale si scalda per effetto Joule ed è sensibile a variazioni di temperatura, secondo quanto riportato nella documentazione dello strumento. Risoluzione: • range: 30 mT - risoluzione: 0.01 mT • range: 300 mT - risoluzione: 0.1 mT • range: 3 T - risoluzione: 1 mT Tempo di warm-up: 15 minuti. Accuratezza della sonda per differenze di temperatura: -0.05 percento ogni grado centigrado. Dopo aver collegato i solenoidi in serie e acceso il generatore (si utilizzano le boccole + e -, non collegando il ground) si è impostata una corrente di eccitazione, misurata tramite un multimetro digitale. Tale corrente deve rimanere costante durante l’intero arco della misura, devono quindi essere compensate eventuali variazioni agendo sul potenziometro presente nell’alimentatore. La diminuzione della corrente è un fenomeno evidente soprattutto per alti valori di Ib : questo fatto è spiegabile considerando che le bobine generanti il campo sono costituite da conduttori ohmici, nei quali aumenta la resitività all’aumentare della temperatura per effetto Joule. Regolando quindi l’alimentazione in tensione si assiste ad una diminuzione della corrente circolante nel circuito all’aumentare 1.2 Caratterizzazione del campo magnetico 13 della temperatura dello stesso. Per controllare questo fenomeno occorre variare la tensione di alimentazione in modo opportuno. In alternativa è possibile utilizzare una generatore di corrente variabile, sostituendolo al generatore di tensione, tuttavia il regolatore di corrente presente nel laboratorio non permetteva di ottenere correnti e tensioni tali da ottenere un campo magnetico di entità sufficiente nella seconda parte dell’esperienza. Ib = 1.468 ± 0.001[A] Nell’eseguire la misura di posizione della sonda è stata considerata un’incertezza pari a 1 mm sulle misure, essendo stata utilizzata una normale squadretta. La posizione della sonda è stata valutata sul bordo inferiore della stessa per le misure lungo l’asse y e a una distanza di 1 mm dall’estremità della stessa. x [mm] ±0.1 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 0.0 y [mm] ±0.1 -1.6 -0.8 0.0 0.8 1.6 2.4 3.2 4.0 4.8 5.6 B [mT] ±0.1 33.6 0.1 69.5 231.2 258.2 257.4 258.7 250.6 248.9 98.4 37.9 x [mm] ±0.1 2.0 2.0 2.0 2.0 2.0 2.0 2.0 2.0 2.0 2.0 y [mm] ±0.1 -1.6 -0.8 0.0 0.8 1.6 2.4 3.2 4.0 4.8 5.6 B [mT] ±0.1 48.7 97.0 260.2 291.8 292.4 292.1 291.8 260.9 95.3 38.7 x [mm] ±0.1 4.0 4.0 4.0 4.0 4.0 4.0 4.0 4.0 4.0 4.0 y [mm] ±0.1 -1.6 -0.8 0.0 0.8 1.6 2.4 3.2 4.0 4.8 5.6 B [mT] ±0.1 45.4 89.5 278.9 301.1 301.1 301.1 299.1 201.2 67.0 35.8 Tabella 1.1: Uniformità del campo tra le espansioni del magnete 1.2.3 Risultati Graficando i dati ottenuti di campo in funzione della coordinata spaziale, (vedere le figure 1.6 e 1.7) è possibile osservare un massimo di intensità del campo nei pressi dell’asse comune alle espansioni dell’elettromagnete. Un campo particolarmente intenso nel bordo inferiore può essere infatti attribuito al campo magnetico generato dai solenoidi, ma tuttavia non imputabile all’azione del traferro. Nella regione centrale si notano variazioni di intensità del campo maggiori della sensibilità dello strumento utilizzato. Si calcola quindi la deviazione standard dei dati che fornisce una stima dell’incertezza associata alle misure di campo magnetico effettuate attraverso la sonda di Hall. Un’ulteriore fonte di incertezza è dovuta all’impossibilità di determinare con precisione la posizione spaziale della sonda di Hall e all’impossibilità di garantire che tale posizione non vari durante l’esecuzione dell’esperienza. Per valutare un valore medio sono stati selezionati solamente i valori di campo nella regione centrale (dove si è osservata una distribuzione pressoché costante). I valori ottenuti sono i seguenti: Pn Bi < B >= i=1 = 0.283[T ] n 14 Effetto Hall nei semiconduttori -1.6 -0.80. x @cmD 0.8 1.6 2.4 3.2 4. 4.8 5.6 300 200 100 B @mTD 0 4. 2. y @cmD 0. Figura 1.6: Andamento del campo magnetico tra le espansioni del magnete y @cmD 4. 2. 0. 300 B @mTD 200 100 0 -1.6 -0.8 0. 0.8 1.6 2.4 x @cmD 3.2 4. 4.8 5.6 Figura 1.7: Andamento del campo magnetico tra le espansioni del magnete σB = Pn < B >)2 = 0.020[T ] n−1 σB = √ = 0.006[T ] n i=1 (Bi − σ<B> Si è scelto di posizionare la sonda ed i semiconduttori nella seconda parte dell’esperienza all’incirca al centro dei poli del magnete anche considerando che, per ragioni di simmetria del traferro, in tale punto le linee di campo sono rettilinee e ortogonali alle facce dell’elettromagnete. Il campo infatti ha linee di campo rettilinee nello spazio compreso tra le espansioni, mentre al di fuori di esso gli effetti di bordo implicano l’esistenza di linee di campo incurvate. All’esterno di tale spazio tuttavia abbiamo verificato un rapido calo dell’intensità 1.3 Misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro 15 del campo, come si può apprezzare osservando il grafico. 1.3 Misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro Il fenomeno dell’isteresi magnetica in materiali ferromagnetici prevede che immergendo in un campo magnetico variabile un oggetto con tali caratteristiche la magnetizzazione e quindi il campo magnetico indotto nello stesso segua una dipendenza lineare dal campo variabile. Il campo indotto nel materiale ferromagnetico, quale è il traferro dell’elettromagnete, arriva ad una soglia di saturazione aumentando oltre un certo limite il campo sorgente, che corrisponde ad un comportamento non più lineare della magnetizzazione, funzione del campo magnetico variabile. Riducendo quest’ultima grandezza tuttavia si verifica la presenza di una magnetizzazione residua che può essere azzerata invertendo il segno della sorgente del campo. Tale processo può essere ripetuto per valori di campo di segno opposto e si possono eseguire dei cicli di isteresi completi. Lo scopo di questa parte dell’esperienza consiste nel determinare una corrispondenza, all’interno della zona di comportamento lineare, tra la corrente circolante nei solenoidi Ib , responsabile del campo magnetico variabile e il modulo del campo magnetico indotto tra le espansioni dell’elettromagnete. 1.3.1 Setup sperimentale A + al teslametro Area sensibile Hall Figura 1.8: Setup sperimentale: misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro Per eseguire questa prova occorre tarare opportunamente il teslametro e porre la sonda tra le espansioni del magnete, fissandola in posizione mediante 16 Effetto Hall nei semiconduttori un supporto stabile. Il magnete deve essere alimentato con una corrente variabile mediante un potenziometro: a tale scopo è stato utilizzato un alimentatore regolabile. In serie ai solenoidi è stato collegato un multimetro digitale, al fine di monitorare la corrente circolante nelle bobine Ib . La corrente massima di alimentazione delle bobine non deve superare i 2 A per lunghi periodi di tempo. 1.3.2 Acquisizione dati Sono state utilizzate le uscite duali dell’alimentatore (contrassegnate dalle boccole ± 15V). La misura è stata eseguita da un valore di tensione (quindi di corrente) prossimo allo zero, aumentando la corrente a step fissi sino a 2 A, quindi è stata eseguita una rampa discendente. Per invertire il campo magnetico è stata invertita l’alimentazione sui solenoidi. Il ciclo è stato ripetuto per tre volte, misurando ad ogni step di corrente il corrispondente valore del campo magnetico indotto. Tratto iniziale Ib [mA] B [mT] ± 0.001 0.029 0.198 0.399 0.603 0.810 1.003 1.201 1.405 1.609 1.806 2.017 12.02 42.6 81.5 120.9 164.4 205.7 242.1 280.0 319.0 355.0 396.0 Discesa Ib [mA] B [mT] ± 0.001 2.017 1.796 1.598 1.392 1.180 0.990 0.805 0.596 0.399 0.198 0.030 396 367 329 292.8 251.3 213.2 175.6 132.5 91.8 49.3 15.37 Discesa Ib [mA] B [mT] ± 0.001 -0.031 -0.205 -0.415 -0.603 -0.816 -1.017 -1.212 -1.409 -1.612 -1.823 -2.010 2.71 -35.2 -76.6 -115.5 -160.6 -200.4 -240.9 -279.5 -321 -360 -395 Salita Ib [mA] B [mT] ± 0.001 -2.010 -1.822 -1.595 -1.389 -1.196 -0.992 -0.792 -0.601 -0.398 -0.198 -0.030 -395 -371 -331 -292.4 -254.2 -212.6 -172.2 -132.3 -90.8 -47.6 -14.47 Salita Ib [mA] B [mT] ± 0.001 0.029 0.205 0.404 0.613 0.795 0.995 1.205 1.415 1.615 1.809 2.004 -2.10 34.1 76.3 118.7 157.5 199.6 239.3 281.4 319.0 361.0 393 Tabella 1.2: Ciclo di isteresi 1 Discesa Ib [mA] B [mT] ± 0.001 2.004 393 1.800 362 1.590 330 1.400 292.7 1.195 254.1 0.990 212.8 0.785 171.0 0.595 132.0 0.393 89.7 0.206 48.6 0.029 14.76 Discesa Ib [mA] B [mT] ± 0.001 -0.030 2.36 -0.204 -35.5 -0.404 -75.0 -0.602 -115.9 -0.806 -159.4 -1.020 -201.9 -1.201 -239.9 -1.399 -278.1 -1.606 -321 -1.793 -357 -1.998 -394 Salita Ib [mA] B [mT] ± 0.001 -1.998 -394 -1.793 -367 -1.601 -335 -1.394 -295.6 -1.186 -254.0 -0.994 -214.9 -0.802 -174.0 -0.590 -131.5 -0.402 -92.5 -0.201 -48.0 -0.030 -15.38 Salita Ib [mA] B [mT] ± 0.001 0.029 -2.9 0.207 33.7 0.413 76.5 0.614 117.7 0.809 159.6 1.002 196.8 1.206 238.5 1.401 277.5 1.600 316 1.809 357 2.014 394 Tabella 1.3: Ciclo d’isteresi 2 1.3.3 Risultati Dalle singole curve è stata estratta una zona di linearità per il tratto discendente e una per quello ascendente. In queste zone sono stati valutati, con il metodo 1.3 Misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro Discesa Ib [mA] B [mT] ± 0.001 2.014 394 1.797 367 1.596 329 1.398 292.0 1.199 254.6 1.011 216.7 0.796 172.8 0.597 130.0 0.400 88.7 0.189 47.9 0.029 14.69 Discesa Ib [mA] B [mT] ± 0.001 -0.029 2.21 -0.218 -36.6 -0.410 -76.2 -0.605 -116.5 -0.803 -160.1 -1.015 -200.8 -1.203 -239.7 -1.412 -280.9 -1.598 -318.0 -1.816 -359 -2.007 -395 Salita Ib [mA] B [mT] ± 0.001 -2.007 -395 -1.799 -369 -1.604 -331 -1.400 -294.9 -1.200 -255.3 -0.995 -214.0 -0.798 -173.2 -0.602 -133.3 -0.395 -90.5 -0.193 -48.7 -0.031 -14.78 17 Salita Ib [mA] B [mT] ± 0.001 0.029 -2.10 0.206 33.0 0.405 76.2 0.610 117.5 0.815 158.2 0.998 195.9 1.202 238.2 1.405 278.1 1.602 316 1.808 355 2.002 393 Tabella 1.4: Ciclo d’isteresi 3 dei minimi quadrati, fit lineari di B=f(Ib ). I coefficienti di ciascun fit, risultati compatibili mediante tests normali, sono stati mediati tra loro per ottenere una curva di taratura del campo magnetico indotto in ciascun ciclo. Infine tutti i risultati sono stati mediati per ottenere un’unica curva di taratura del campo. Il tratto iniziale del primo ciclo non è stato considerato nell’esecuzione delle interpolazioni. Come già riportato in precedenza, l’errore associato alle misure di campo non è la sensibilità dello strumento (una unità sull’ultima cifra significativa) ma la deviazione standard calcolata nella prima parte dell’esperienza. Primo ciclo di isteresi Per selezionare i dati nella zona di linearità sono stati disegnati in un grafico (vedi figura 1.9) i risultati delle misure eseguite; in seguito il range dei valori è stato ridefinito dopo aver disegnato le curve interpolanti. B @TD 0.4 0.2 -2 -1 1 2 IB @AD -0.2 -0.4 Figura 1.9: Primo ciclo di isteresi: dati raccolti nelle misure sperimentali 18 Effetto Hall nei semiconduttori Al fine di selezionare correttamente il set di dati da utilizzare è stato eseguito il calcolo del coefficiente di correlazione lineare nel tratto di discesa del primo ciclo: Pn (xi − < x >)(yi − < y >) ρ = pPn i=1 = 0.999 Pn 2 2 i=1 (xi − < x >) i=1 (yi − < y >) Da questa analisi emerge che il set di dati considerato è fortemente correlato ed è quindi corretto procedere con un’interpolazione lineare dei dati sperimentali. Nel seguito verranno richiamate brevemente le formule utilizzate per il calcolo della retta di interpolazione: y = a + bx è la retta di interpolazione della quale saranno calcolati i coefficienti a e b. a A= b P n 1 P n xi ! D= i=1 σi2 xi i=1 σi2 Pn B= i=1 σi2 x2i i=1 σi2 Pn P n yi ! 2 Pni=1 xσi yi i i=1 σi2 E = D−1 DA = B → A = D−1 B ! Pn x2i Pn − i=1 σx2i 1 i=1 σi2 Pn Pn 1 i = ∆ − i=1 σx2i i=1 σi2 i √ σa = √ E1.1 σb = E2.2 Nel caso preso in esame si ottengono i seguenti valori: a = (0.0084 ± 0.0014)[T ] b = (0.2047 ± 0.0014)[T A−1] Per valutare l’attendibilità del fit lineare appena eseguito un test del χ2 , calcolandone il valore ridotto: Pn yi −a−bxi 2 ) i=1 ( σi 2 χ = = 0.13 DF I gradi di libertà del sistema sono 16. Per DF = 16 e al livello di confidenza del 5% il test si considera riuscito: la probabilità di ottenere il valore di χ2 ridotto 0.13 è superiore al 90%. Con procedimento analago è stata interpolata la fase con corrente crescente del ciclo, ottenendo i seguenti risultati: ρ = 0.999 a = (−0.0078 ± 0.0014)[T ] b = (0.2048 ± 0.0014)[T A−1] χ2 = 0.12 DF = 16 → χ2critico = 1.6 1.3 Misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro 19 Anche in questo caso il test del χ2 conferma la validità dell’interpolazione lineare calcolata. Al fine di determinare per questo ciclo di isteresi un’unica retta di calibrazione sono stati confrontati i coefficienti delle due rette trovate, per verificarne il parallelismo. Poichè si tratta di valori sperimentali e non teorici sarebbe opportuno utilizzare un test di Student. Ma i gradi di libertà complessivi del sistema sono 32 (16+16): per DF > 30, ovvero grandi popolazioni, il test di Student fornisce gli stessi risultati del test normale: per il parametro b quindi è stata costruita la variabile normale centrata e ridotta |b1 − b2 | z=p = 0.092 σ12 + σ22 Il valore limite per z, al limite di confidenza del 5%, è 1.96: il test dà esito positivo e quindi i due coefficienti angolari sono tra loro confrontabili. Non ha senso invece effettuare un test simile per i valori del termine noto: le due rette infatti intersecano l’asse y rispettivamente una sopra l’origine e l’altra sotto, quindi è logico aspettarsi che i termini noti siano due numeri diversi non confrontabili tra loro. Il loro valore medio, però, deve essere un numero prossimo allo zero. Si procede mediando i valori ottenuti nei due tratti attraverso una media pesata e si ottiene < a >= (0.0003 ± 0.0009)[T ] < b >= (0.2048 ± 0.0010)[T A−1] Secondo ciclo di isteresi In questo ciclo di isteresi è stato ripetuto il calcolo dei parametri relativi alle rette di interpolazione con modalità analoghe a quanto descritto in precedenza. La validità dei risultati trovati è confermata dall’esito dei test statistici utilizzati (test del χ2 ridotto, test normale). Tratto a corrente decrescente: ρ = 0.999 a = (0.0075 ± 0.0014)[T ] b = (0.2049 ± 0.0014)[T A−1] χ2 = 0.10 DF = 16 → χ2critico = 1.6 Tratto a corrente crescente: ρ = 0.999 a = (−0.0091 ± 0.0014)[T ] b = (0.2051 ± 0.0014)[T A−1] χ2 = 0.08 DF = 16 → χ2critico = 1.6 Calcolo della retta di calibrazione media: z = 0.08 < a >= (−0.0008 ± 0.0009)[T ] < b >= (0.2050 ± 0.0010)[T A−1] 20 Effetto Hall nei semiconduttori B @TD 0.4 0.2 -2 -1 1 2 IB @AD -0.2 -0.4 Figura 1.10: Secondo ciclo di isteresi: dati raccolti nelle misure sperimentali Terzo ciclo di isteresi In questo ciclo di isteresi è stato ripetuto il calcolo dei parametri relativi alle rette di interpolazione con modalità analoghe a quanto descritto in precedenza. La validità dei risultati trovati è confermata dall’esito dei test statistici utilizzati (test del χ2 ridotto, test normale). B @TD 0.4 0.2 -2 -1 1 2 IB @AD -0.2 -0.4 Figura 1.11: Terzo ciclo di isteresi: dati raccolti nelle misure sperimentali 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 21 Tratto a corrente decrescente: ρ = 0.999 a = (0.0075 ± 0.0014)[T ] b = (0.2045 ± 0.0014)[T A−1] χ2 = 0.12 DF = 16 → χ2critico = 1.6 Tratto a corrente crescente: ρ = 0.999 a = (−0.0087 ± 0.0014)[T ] b = (0.2042 ± 0.0014)[T A−1] χ2 = 0.11 DF = 16 → χ2critico = 1.6 Calcolo della retta di calibrazione media: z = 0.15 < a >= (−0.0006 ± 0.0009)[T ] < b >= (0.2043 ± 0.0010)[T A−1] Retta di calibrazione finale Al fine di determinare un’unica retta di calibrazione dell’intensità del campo magnetico B = B(IB ) è stata eseguita una media pesata dei valori dei parametri medi stimati in ciascun ciclo, ottenendo (dopo aver verificato la consistenza di tali stime) i seguenti parametri (vedi figura 1.12): < a >= (−0.350 ± 0.003)[mT ] < b >= (0.2047 ± 0.0006)[T A−1] Poichè l’errore calcolato attraverso la propagazione è troppo piccolo per essere una reale stima dell’escursione delle misure si associa al coefficiente a come errore l’escursione tra il valore medio e quello calcolato: ∆a = 0.008 B = (−0.000 ± 0.008) + (0.2047 ± 0.0006)IB [T ] Ulteriore documentazione riguardo i calcoli svolti può essere reperita nell’appendice contenente l’intero notebook utilizzato per l’analisi statistica. 1.4 1.4.1 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N Setup sperimentale Per la misura dell’effetto Hall si utilizza un campione di germanio drogato N, a forma di parallelepipedo. Su due facce opposte sono saldati, mediante una lega di Sn-Pb, i contatti per fornire corrente al campione, mentre su altre due facce sono saldati tre contatti per la lettura della tensione di Hall. Sui contatti presenti sulla stessa faccia è collegato un ponte resistivo regolabile mediante un 22 Effetto Hall nei semiconduttori B @TD 0.3 0.2 0.1 -1.5 -1 -0.5 0.5 1 1.5 IB @AD -0.1 -0.2 -0.3 Figura 1.12: Retta di calibrazione finale B = B(IB ) Alimentazione del magnete A + Misura di R Norma + + 18,0V out generatore di corrente costante - Metex VH A campione di germanio Figura 1.13: Setup sperimentale: misura dell’effetto Hall potenziometro che permette di eliminare errori sistematici dovuti alla presenza di differenza di potenziale tra i due punti di misura non perfettamente allineati su un asse ortogonale alla direzione della corrente. I cinque cavi del campione sono collegati ad una basetta su cui è montato il ponte resistivo e le boccole di alimentazione. Al campione deve essere garantita un’alimentazione con corrente costante, per questo scopo è necessario utilizzare il generatore di corrente costante, collegato al generatore di tensione a 12 V. 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 23 La corrente circolante nel campione deve essere misurata con precisione mediante uno strumento digitale, mentre per la misura della tensione di Hall occorre un millivoltmetro ad alta impedenza di ingresso, in modo da ridurre l’errore di misura sistematico. Dopo aver azzerato il ponte e aver posizionato il campione all’interno delle espansioni del magnete (in modo tale che i contatti per la misura dell’effetto Hall siano ortogonali alle linee del campo) si possono alimentare i solenoidi variando la corrente a step fissi e misurando Ib . Per ciascun valore di corrente circolante nei solenoidi si eseguono alcune misure variando la corrente circolante nel campione (da 0 a 10 mA), quindi si può invertire il campo magnetico, invertendo la polarità dell’alimentazione del solenoide. Le misure devono quindi essere ripetute anche con il campo magnetico orientato in verso opposto. Per alti valori (in modulo) di corrente nei solenoidi è importante verificare che la misura di questa grandezza rimanga costante durante l’esecuzione dell’intero set di misure. Effetti di riscaldamento delle bobine possono infatti portare variazioni di questa grandezza che devono essere corretti agendo sul potenziometro che regola il voltaggio di alimentazione. È importante non superare per tempi lunghi il valore di 10 mA come corrente di alimentazione del campione (Ic ), al fine di prevenire surriscaldamenti e danneggiamenti. Per poter valutare il coefficiente RH servono inoltre le dimensioni fisiche del campione utilizzato e una misura di resistività dello stesso, eseguita valutando tensione e corrente circolante in esso. 1.4.2 Acquisizione dati In primo luogo sono state reperite le caratteristiche fisiche del campione nelle apposite tabelle: spessore: d = (2.00 ± 0.01)[mm] larghezza: A = (4 ± 1)[mm] lunghezza: L = (28 ± 1)[mm] La valutazione della resistenza del campione al fine di valutare la resistività è stata ripetuta più volte per ridurre l’incertezza su tale misura, quindi è stata eseguita una media del valore ottenuto ed è stato valutato l’errore corrispondente. R = (68.61 ± 0.14)[Ω] ρ = (0.020 ± 0.005)[Ωm] Il campione è stato posizionato nel centro delle espansioni del magnete ed è stato fissato in posizione mediante un supporto rigido. Il ponte è stato azzerato mentre il campione si trovava al di fuori delle espansioni dei magneti. Dopo aver eseguito i collegamenti necessari è iniziata la fase di misura, procedendo a step fissi di Ib e variando ad ogni step la corrente nel campione Ic . 24 Effetto Hall nei semiconduttori Quindi è stato invertito il campo magnetico e le misure sono state ripetute. Ic [mA] ± 0.01 3.26 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 1.61 1.73 1.97 2.20 2.45 2.69 2.94 3.17 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 3.42 3.66 3.91 4.14 4.39 4.64 4.88 Ic [mA] ± 0.01 -3.28 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 -1.57 -1.68 -1.94 -2.15 -2.40 -2.65 -2.88 -3.13 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 -3.38 -3.62 -3.86 -4.09 -4.34 -4.58 -4.82 Tabella 1.5: Germanio tipo N: Ib 1.600 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.26 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 1.38 1.48 1.70 1.90 2.12 2.33 2.53 2.75 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 2.96 3.16 3.38 3.59 3.81 4.01 4.22 Ic [mA] ± 0.01 -3.24 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 -1.36 -1.47 -1.68 -1.89 -2.10 -2.31 -2.50 -2.72 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 -2.92 -3.15 -3.34 -3.56 -3.77 -4.00 -4.20 Tabella 1.6: Germanio tipo N: Ib 1.300 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.26 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 1.09 1.18 1.35 1.51 1.68 1.85 2.00 2.19 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 2.35 2.52 2.69 2.85 3.02 3.19 3.35 Ic [mA] ± 0.01 -3.27 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 -1.08 -1.16 -1.33 -1.49 -1.66 -1.83 -1.99 -2.16 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 -2.33 -2.50 -2.65 -2.83 -3.00 -3.16 -3.33 Tabella 1.7: Germanio tipo N: Ib 1.000 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.28 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 0.81 0.86 0.99 1.12 1.24 1.36 1.49 1.60 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 1.73 1.85 1.97 2.10 2.22 2.33 2.46 Ic [mA] ± 0.01 -3.28 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 -0.79 -0.83 -0.96 -1.09 -1.20 -1.33 -1.46 -1.58 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 Tabella 1.8: Germanio tipo N: Ib 0.700 ± 0.001 A VH [mV] ± 0.02 -1.71 -1.82 -1.94 -2.07 -2.19 -2.30 -2.43 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N Ic [mA] ± 0.01 3.28 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 0.49 0.53 0.60 0.67 0.75 0.82 0.90 0.97 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 1.04 1.11 1.20 1.26 1.33 1.42 1.49 Ic [mA] ± 0.01 -3.28 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 -0.46 -0.50 -0.57 -0.64 -0.72 -0.80 -0.87 -0.93 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 25 VH [mV] ± 0.02 -1.01 -1.09 -1.15 -1.23 -1.30 -1.38 -1.46 Tabella 1.9: Germanio tipo N: Ib 0.393 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.29 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 0.18 0.19 0.23 0.24 0.27 0.30 0.33 0.34 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 0.38 0.40 0.42 0.46 0.48 0.50 0.53 Ic [mA] ± 0.01 -3.28 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 -0.15 -0.16 -0.18 -0.21 -0.24 -0.27 -0.30 -0.32 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 -0.34 -0.37 -0.39 -0.40 -0.44 -0.46 -0.48 Tabella 1.10: Germanio tipo N: Ib 0.097 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 -0.42 -0.45 -0.51 -0.57 -0.63 -0.70 -0.76 -0.82 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 -0.88 -0.94 -1.00 -1.07 -1.12 -1.20 -1.25 Ic [mA] ± 0.01 -3.28 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 0.38 0.41 0.47 0.54 0.59 0.65 0.71 0.78 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 0.84 0.91 0.96 1.02 1.09 1.15 1.20 Tabella 1.11: Germanio tipo N: Ib -0.405 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 0.74 -0.78 -0.90 -1.00 -1.11 -1.22 -1.33 -1.44 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 -1.56 -1.66 -1.77 -1.88 -1.99 -2.10 -2.21 Ic [mA] ± 0.01 -3.30 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 0.70 0.74 0.85 0.96 1.07 1.18 1.29 1.40 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 1.51 1.62 1.74 1.84 1.95 2.06 2.17 Tabella 1.12: Germanio tipo N: Ib -0.700 ± 0.001 A 1.4.3 Risultati Per ogni serie di dati si è eseguito un fit lineare per ricavare la costante di Hall RH dalla relazione RH IB VH = d Il procedimento seguito per l’interpolazione lineare è analogo a quello utilizzato nella prima parte dell’esperienza, quindi verranno riportati solamente i 26 Effetto Hall nei semiconduttori Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 -1.07 -1.12 -1.28 -1.44 -1.71 -1.76 -1.92 -2.07 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 -2.23 -2.40 -2.55 -2.71 -2.87 -3.04 -3.20 Ic [mA] ± 0.01 -3.30 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 1.02 1.09 1.25 1.40 1.57 1.72 1.88 2.04 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 2.19 2.35 2.51 2.66 2.83 2.98 3.14 Tabella 1.13: Germanio tipo N: Ib -1.000 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 -1.38 -1.46 -1.68 -1.87 -2.08 -2.28 -2.49 -2.70 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 -2.90 -3.10 -3.32 -3.52 -3.72 -3.93 -4.14 Ic [mA] ± 0.01 -3.30 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 1.33 1.41 1.62 1.83 2.02 2.23 2.44 2.64 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 VH [mV] ± 0.02 2.85 3.06 3.26 3.46 3.66 3.87 4.07 Tabella 1.14: Germanio tipo N: Ib -1.299 ± 0.001 A Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 VH [mV] ± 0.02 -1.69 -1.79 -2.05 -2.30 -2.56 -2.81 -3.05 -3.32 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.02 -3.56 -3.82 -4.08 -4.32 -4.57 -4.83 -5.08 Ic [mA] ± 0.01 -3.30 -3.50 -4.00 -4.50 -5.00 -5.50 -6.00 -6.50 VH [mV] ± 0.02 1.66 1.76 2.01 2.27 2.52 2.78 3.02 3.28 Ic [mA] ± 0.01 -7.00 -7.50 -8.00 -8.50 -9.00 -9.50 -10.00 Tabella 1.15: Germanio tipo N: Ib -1.602 ± 0.001 A risultati ottenuti. Prima serie di dati, Ib = (1.600 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (0.024 ± 0.004)[mV ] b = (0.4852 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.13 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH = bd B B = (0.327 ± 0.008)[T ] = (0.00296 ± 0.00008)[m3C −1 ] VH [mV] ± 0.02 3.53 3.79 4.04 4.29 4.54 4.80 5.05 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 27 VH @mVD 4 2 -10 -5 5 10 IC @mAD -2 -4 Figura 1.14: Germanio tipo N: prima serie di dati, Ib 1.600 A VH @mVD 4 2 -10 -5 5 10 IC @mAD -2 -4 Figura 1.15: Germanio tipo N: seconda serie di dati, Ib 1.300 A Seconda serie di dati, Ib = (1.300 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (0.011 ± 0.004)[mV ] b = (0.4209 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.15 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH = bd B B = (0.266 ± 0.008)[T ] = (0.00316 ± 0.00010)[m3C −1 ] 28 Effetto Hall nei semiconduttori Terza serie di dati, Ib = (1.000 ± 0.001)[A] VH @mVD 3 2 1 -10 -5 5 10 IC @mAD -1 -2 -3 Figura 1.16: Germanio tipo N: terza serie di dati, Ib 1.000 A ρ = 0.999 a = (0.011 ± 0.004)[mV ] b = (0.3341 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.07 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH = bd B B = (0.204 ± 0.008)[T ] = (0.00327 ± 0.00014)[m3C −1 ] Quarta serie di dati, Ib = (0.701 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (0.014 ± 0.004)[mV ] b = (0.2446 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.09 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH = B = (0.143 ± 0.008)[T ] = (0.0034 ± 0.0002)[m3C −1 ] bd B 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 29 VH @mVD 2 1 -10 -5 5 10 IC @mAD -1 -2 Figura 1.17: Germanio tipo N: quarta serie di dati, Ib 0.701 A Quinta serie di dati, Ib = (0.393 ± 0.001)[A] VH @mVD 1.5 1 0.5 -10 -5 5 10 IC @mAD -0.5 -1 -1.5 Figura 1.18: Germanio tipo N: quinta serie di dati, Ib 0.393 A ρ = 0.999 a = (0.016 ± 0.004)[mV ] b = (0.1468 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.08 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH B = (0.080 ± 0.008)[T ] = = (0.0036 ± 0.0004)[m3C −1 ] bd B 30 Effetto Hall nei semiconduttori Sesta serie di dati, Ib = (0.097 ± 0.001)[A] VH @mVD 0.4 0.2 -10 -5 5 10 IC @mAD -0.2 -0.4 Figura 1.19: Germanio tipo N: sesta serie di dati, Ib 0.097 A ρ = 0.999 a = (0.018 ± 0.004)[mV ] b = (0.0509 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.11 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH B = (0.020 ± 0.008)[T ] 3 −1 ] = bd B = (0.005 ± 0.002)[m C Settima serie di dati, Ib = (−0.405 ± 0.001)[A] ρ = −0.999 a = (−0.021 ± 0.004)[mV ] b = (−0.1229 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.06 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH = B = (−0.083 ± 0.008)[T ] bd 3 −1 ] B = (0.0030 ± 0.0003)[m C 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 31 VH @mVD 1 0.5 -10 -5 5 10 IC @mAD -0.5 -1 Figura 1.20: Germanio tipo N: settima serie di dati, Ib -0.405 A Ottava serie di dati, Ib = (−0.700 ± 0.001)[A] VH @mVD 2 1 -10 -5 5 10 IC @mAD -1 -2 Figura 1.21: Germanio tipo N: ottava serie di dati, Ib -0.700 A ρ = −0.999 a = (−0.020 ± 0.004)[mV ] b = (−0.2188 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.04 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH B = (−0.144 ± 0.008)[T ] 3 −1 = bd ] B = (0.0030 ± 0.0002)[m C 32 Effetto Hall nei semiconduttori Nona serie di dati, Ib = (−1.000 ± 0.001)[A] VH @mVD 3 2 1 -10 -5 5 10 IC @mAD -1 -2 -3 Figura 1.22: Germanio tipo N: nona serie di dati, Ib -1.000 A ρ = −0.999 a = (−0.021 ± 0.004)[mV ] b = (−0.3165 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.09 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH B = (−0.205 ± 0.008)[T ] = (0.00309 ± 0.00013)[m3C −1 ] = bd B Decima serie di dati, Ib = (−1.299 ± 0.001)[A] ρ = −0.999 a = (−0.027 ± 0.004)[mV ] b = (−0.4106 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.07 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH = B = (−0.266 ± 0.008)[T ] = (0.00308 ± 0.00010)[m3C −1 ] bd B 1.4 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo N 33 VH @mVD 4 2 -10 -5 5 10 IC @mAD -2 -4 Figura 1.23: Germanio tipo N: decima serie di dati, Ib -1.299 A Undicesima serie di dati, Ib = (−1.602 ± 0.001)[A] VH @mVD 4 2 -10 -5 5 10 IC @mAD -2 -4 Figura 1.24: Germanio tipo N: undicesima serie di dati, Ib -1.602 A ρ = −0.999 a = (−0.016 ± 0.004)[mV ] b = (−0.5069 ± 0.0005)[V A−1 ] χ2 = 0.07 DF = 28 → χ2critico = 1.5 RH B = (−0.328 ± 0.008)[T ] = = (0.00309 ± 0.00008)[m3C −1 ] bd B 34 Effetto Hall nei semiconduttori Riepilogo e conclusioni Dopo aver verificato la consistenza dei diversi valori trovati per R H , divisi in base al segno del campo magnetico, si procede al calcolo di due valori medi attraverso media pesata: R+ [m3 C −1 ] H 0.005 0.0036 0.0034 0.00327 0.00316 0.00296 ± ± ± ± ± ± 0.002 0.0004 0.0002 0.00014 0.00010 0.00008 R− [m3 C −1 ] H 0.0030 0.0030 0.00309 0.00308 0.00309 ± ± ± ± ± 0.0003 0.0002 0.00013 0.00010 0.00008 Tabella 1.16: Germanio tipo N: RH calcolati dai fit lineari + < RH >= 0.00312[m3C −1 ] − < RH >= 0.00308[m3C −1 ] < RH >= 0.0031[m3C −1 ] RH @VmTAD 0.02 0.01 -0.3 -0.2 -0.1 0.1 0.2 0.3 B @TD -0.01 -0.02 Figura 1.25: Germanio tipo N: valori del coefficiente di Hall in funzione del campo L’errore calcolato attraverso la propagazione risulta insignificante rispetto al valore del coefficiente (si ottiene un errore relativo dello 0.0001%) e quindi non viene indicato. Il coefficiente di Hall RH ha segno positivo: questo significa che, come è noto dalla teoria, i portatori di carica maggioritari nel germanio (semiconduttore) sono cariche positive. A questo punto si possono ricavare, per il campione di germanio drogato N, la concentrazione dei portatori di carica e la loro mobilità: 1.5 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo P p= µ= 1.5 1.5.1 RH ρ 35 1 RH e = 2 ∗ 1021 [m−3 ] = 0.16 ± 0.04[m2 (V s)−1 ] Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo P Setup sperimentale La fase di setup sperimentale è analoga a quanto già visto per il germanio di tipo N: occorre sostituire il campione e rieseguire i cablaggi necessari. 1.5.2 Acquisizione dati Anche l’acquisizione dei dati avviene con modalità analoghe alla precedente, tuttavia non sono state eseguite le misure invertendo la corrente circolante nel campione, in quanto dati considerati superflui. spessore: d = (2.00 ± 0.01)[mm] larghezza: A = (8.8 ± 0.1)[mm] lunghezza: L = (22 ± 1)[mm] R = (422.9 ± 1.3)[Ω] ρ = (0.338 ± 0.016)[Ωm] Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib 1.599 VH [mV] ± 0.03 27.53 29.19 33.36 37.56 41.65 45.74 49.95 54.05 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 58.12 62.18 66.27 70.37 74.35 78.39 82.42 Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib 1.300 VH [mV] ± 0.03 24.05 25.53 29.13 32.75 36.38 40.10 43.63 47.33 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 50.90 54.50 58.10 61.67 65.19 68.78 72.37 Tabella 1.17: Germanio tipo P 1.5.3 Risultati Analogamente a quanto fatto con il campione di tipo N si è eseguita un’analisi dei dati per ricavare il valore del coefficiente di Hall e da esso il numero dei portatori di carica del materiale e la loro mobilità. In questo caso, poichè non è possibile supporre l’errore sui dati in ascissa trascurabile rispetto all’errore su quelli in ordinata (supposizione peraltro necessaria per poter applicare correttamente il 36 Effetto Hall nei semiconduttori Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib 1.000 VH [mV] ± 0.03 19.35 20.55 23.52 26.39 29.32 32.25 35.18 38.11 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 41.03 43.71 46.54 49.48 52.38 55.21 58.10 Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib 0.501 VH [mV] ± 0.03 10.65 11.29 12.89 14.51 16.10 17.71 19.31 21.00 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 22.57 24.16 25.75 27.33 28.91 30.52 32.10 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 -38.72 -41.38 -44.09 -46.83 -49.46 -52.10 -54.76 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 -57.23 -61.21 -65.19 -69.20 -73.20 -77.10 -81.03 Tabella 1.18: Germanio tipo P Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib -0.501 VH [mV] ± 0.03 -9.39 -9.92 -11.34 -12.80 -14.20 -15.61 -17.01 -18.42 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 -19.85 -21.23 -22.61 -24.00 -25.39 -26.73 -28.11 Ic [mA] ± 0.01 3.30 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib -1.000 VH [mV] ± 0.03 -18.32 -19.38 -22.17 -24.96 -27.65 -30.48 -33.21 -35.93 Tabella 1.19: Germanio tipo P Ic [mA] ± 0.01 3.32 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib -1.300 VH [mV] ± 0.03 -22.99 -24.34 -27.75 -31.18 -34.79 -38.18 -41.55 -44.98 ± 0.001 Ic [mA] ± 0.01 7.00 7.50 8.00 8.50 9.00 9.50 10.00 VH [mV] ± 0.03 -48.36 -51.81 -55.23 -58.61 -61.93 -65.30 -68.65 Ic [mA] ± 0.01 3.32 3.50 4.00 4.50 5.00 5.50 6.00 6.50 Ib -1.600 VH [mV] ± 0.03 -27.12 -28.65 -32.76 -36.96 -41.04 -45.11 -49.17 -53.23 Tabella 1.20: Germanio tipo P metodo dei minimi quadrati) è stato necessario ricalcolare l’errore sulle tensioni VH attraverso il metodo detto dell’errore indotto: si effettua un primo fit dei dati considerati senza incertezze, per ricavare un valore approssimato b 0 del coefficiente angolare della retta interpolatrice. Quindi si ricalcola l’errore sulle y con la formula σy = p σi 2 + (b0 σx )2 1.5 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo P 37 VH @mVD 80 70 60 50 40 30 4 5 6 7 8 9 10 IC @mAD Figura 1.26: Germanio tipo P: prima serie di dati, Ib 1.599 A Prima serie di dati, Ib = (1.599 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (0.63 ± 0.07)[mV ] b = (8.20 ± 0.01)[V A−1 ] χ2 = 1.6 DF = 13 → χ2critico = 1.7 RH = B = (0.327 ± 0.008)[T ] bd 3 −1 ] B = (0.050 ± 0.001)[m C Seconda serie di dati, Ib = (1.300 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (0.32 ± 0.06)[mV ] b = (7.215 ± 0.009)[V A−1 ] χ2 = 0.88 DF = 13 → χ2critico = 1.7 RH = B = (0.266 ± 0.008)[T ] bd 3 −1 ] B = (0.054 ± 0.002)[m C 38 Effetto Hall nei semiconduttori VH @mVD 70 60 50 40 30 4 5 6 7 8 9 10 IC @mAD Figura 1.27: Germanio tipo P: seconda serie di dati, Ib 1.300 A VH @mVD 50 40 30 20 4 5 6 7 8 9 10 IC @mAD Figura 1.28: Germanio tipo P: terza serie di dati, Ib 1.000 A Terza serie di dati, Ib = (1.000 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (0.43 ± 0.05)[mV ] b = (5.774 ± 0.008)[V A−1 ] χ2 = 2.11 DF = 13 → χ2critico = 2.13 (per questo test si considera un livello di significatività dell’1%) RH B = (0.204 ± 0.008)[T ] 3 −1 = bd ] B = (0.056 ± 0.002)[m C 1.5 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo P 39 Quarta serie di dati, Ib = (0.501 ± 0.001)[A] VH @mVD 30 25 20 15 4 5 6 7 8 9 10 IC @mAD Figura 1.29: Germanio tipo P: quarta serie di dati, Ib 0.501 A ρ = 0.999 a = (0.09 ± 0.04)[mV ] b = (3.205 ± 0.005)[V A−1 ] χ2 = 0.53 DF = 13 → χ2critico = 1.7 RH B = (0.102 ± 0.008)[T ] 3 −1 ] = bd B = (0.063 ± 0.002)[m C Quinta serie di dati, Ib = (−0.501 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (−0.18 ± 0.03)[mV ] b = (−2.801 ± 0.005)[V A−1 ] χ2 = 1.2 DF = 13 → χ2critico = 1.7 B = (−0.103 ± 0.008)[T ] 3 −1 RH = bd ] B = (0.054 ± 0.004)[m C 40 Effetto Hall nei semiconduttori VH @mVD 4 -10 5 6 7 8 9 10 IC @mAD -12.5 -15 -17.5 -20 -22.5 -25 -27.5 Figura 1.30: Germanio tipo P: quinta serie di dati, Ib -0.501 A Sesta serie di dati, Ib = (−1.000 ± 0.001)[A] VH @mVD -20 4 5 6 7 8 9 10 IC @mAD -25 -30 -35 -40 -45 -50 -55 Figura 1.31: Germanio tipo P: sesta serie di dati, Ib -1.000 A ρ = 0.999 a = (−0.41 ± 0.05)[mV ] b = (−5.453 ± 0.008)[V A−1 ] χ2 = 2.04 DF = 13 → χ2critico = 2.13 (per questo test si considera un livello di significatività dell’1%) RH B = (−0.205 ± 0.008)[T ] 3 −1 = bd ] B = (0.053 ± 0.002)[m C 1.5 Misura dell’effetto Hall - semiconduttore di tipo P 41 Settima serie di dati, Ib = (−1.300 ± 0.001)[A] VH @mVD 4 5 6 7 8 9 10 IC @mAD -30 -40 -50 -60 Figura 1.32: Germanio tipo P: settima serie di dati, Ib -1.300 A ρ = 0.999 a = (−0.54 ± 0.06)[mV ] b = (−6.826 ± 0.009)[V A−1 ] χ2 = 1.6 DF = 13 → χ2critico = 1.7 B = (−0.266 ± 0.008)[T ] 3 −1 RH = bd ] B = (0.051 ± 0.002)[m C Ottava serie di dati, Ib = (−1.600 ± 0.001)[A] ρ = 0.999 a = (−0.64 ± 0.07)[mV ] b = (−8.06 ± 0.01)[V A−1 ] χ2 = 2.08 DF = 13 → χ2critico = 2.13 (per questo test si considera un livello di significatività dell’1%) B = (−0.328 ± 0.008)[T ] 3 −1 RH = bd ] B = (0.049 ± 0.001)[m C 42 Effetto Hall nei semiconduttori VH @mVD 4 5 7 6 8 9 10 IC @mAD -30 -40 -50 -60 -70 -80 Figura 1.33: Germanio tipo P: ottava serie di dati, Ib -1.600 A Riepilogo e conclusioni Una prima differenza che si può osservare tra questo campione e il precedente è che in questo caso, siccome le correnti misurate sono più elevate che nel germanio drogato N mentre l’errore associato resta lo stesso, i test di consistenza e i tests del χ2 sono meno precisi: in alcuni casi è stato necessario scegliere un livello di significatività dell’1% per poter asserire che la curva calcolata è quella che interpola la distribuzione dei dati. In nessun caso, comunque, si è dovuto scartare dei dati o i tests hanno dato esito negativo, quindi si ritiene che l’errore utilizzato sia corretto e che non ci sia stata una sottostima dell’incertezza delle misure. Anche in questo caso, come era prevedibile, il segno di RH è positivo e quindi i portatori sono cariche positive. Dopo aver verificato la consistenza dei diversi valori trovati per RH , divisi in base al segno del campo magnetico, si procede al calcolo del valore medio attraverso media pesata: R+ [m3 C −1 ] H 0.063 0.056 0.054 0.050 ± ± ± ± 0.002 0.002 0.002 0.001 R− [m3 C −1 ] H 0.054 0.053 0.051 0.049 ± ± ± ± 0.004 0.002 0.002 0.001 Tabella 1.21: Germanio tipo P: RH calcolati dai fit lineari + < RH >= 0.0529[m3C −1 ] − < RH >= 0.0507[m3C −1 ] < RH >= 0.0517[m3C −1 ] L’errore calcolato attraverso la propagazione risulta insignificante rispetto al valore del coefficiente (si ottiene un errore relativo dello 0.0001%) e quindi non 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore 43 RH @VmTAD 0.2 0.15 0.1 0.05 -0.3 -0.2 -0.1 0.1 0.2 0.3 B @TD Figura 1.34: Germanio tipo N: valori del coefficiente di Hall in funzione del campo viene indicato. A questo punto si possono ricavare, per il campione di germanio drogato P, la concentrazione dei portatori di carica e la loro mobilità, esattamente come per il campione di germanio drogato N: p = 1.2 ∗ 1020 [m−3 ] µ = 0.153 ± 0.007[m2(V s)−1 ] Si può notare che il numero dei portatori nel campione con drogaggio N è superiore di circa 20 volte al numero dei portatori nel campione drogato P, mentre la mobilità degli stessi è confrontabile nei due campioni. 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore A differenza di quanto accade nei conduttori metallici, nei semiconduttori la resistività ρ non è funzione lineare della temperatura. Infatti nei semiconduttori si verifica un aumento della resistività come conseguenza dell’aumento della temperatura fino ad una temperatura di inversione: per temperature superiori si ha una ripida diminuzione della resistività del semiconduttore. Per teorizzare questo fatto occorre valutare gli effetti della mobilità dei portatori di carica e del numero degli stessi. All’aumentare della temperatura consegue un aumento dell’agitazione termica degli atomi che compongono il reticolo del conduttore. Aumentando l’energia cinetica degli atomi, i portatori di carica hanno una maggiore probabilità 44 Effetto Hall nei semiconduttori di urtare contro il reticolo cristallino, quindi la loro sezione d’urto aumenta e aumenta quindi la resistività. Questo fenomeno è preponderante nei conduttori e determina l’andamento lineare della resistività in questo tipo di materiali. La diminuzione della mobilità segue una legge del tipo µ = µ0 T −α con α = 2 Nei semiconduttori intrinseci occorre considerare un altro tipo di fenomeno. I semiconduttori intrinseci presentano caratteristiche elettroniche tipiche degli isolanti, ovvero allo stato fondamentale non hanno alcun elettrone in banda di conduzione, mentre i conduttori hanno bande di valenza e conduzione entrambe popolate. A differenza degli isolanti, i semiconduttori presentano un gap energetico che separa le bande di conduzione e valenza più piccolo. A conseguenza di questo fatto fornendo energie minori alcuni elettroni di valenza possono andare a popolare la banda di conduzione, permettendo il passaggio di una piccola corrente di cariche. Per portare alcuni elettroni in banda di conduzione è sufficiente un aumento di temperatura. Si verifica infatti che aumentando la temperatura aumenta il numero dei portatori di carica nei semiconduttori (quindi una diminuzione della resistività), mentre questo effetto è trascurabile nei conduttori ohmici. Si può ragionevolmente supporre che il numero dei portatori di carica segua una legge esponenziale di temperatura, sfruttando la statistica di Stefan Boltzman. Quando il termine kT diventa confrontabile con l’energia di attivazione EA questo fenomeno assume importanza misurabile. EA n = Ae− kT Questi due fenomeni si manifestano contemporaneamente: ne segue che a basse temperature la resistività cresce all’aumento della temperatura per diminuzione della mobilità dei portatori di carica, mentre ad alte temperature la resistività diminuisce, in quanto il termine più importante diventa l’aumento dei carriers. Il punto di inversione avviene normalmente a temperatura ambiente ed è un parametro dipendente dal semiconduttore considerato (per il Ge è a circa 30◦ C). 1.6.1 Setup sperimentale In questa fase dell’esperienza occorre valutare la resistività di un campione di Ge, semiconduttore intrinseco (non drogato), per diversi valori di temperatura. La resistenza del campione è misurata facendo circolare all’interno dello stesso una corrente costante e misurando la caduta di tensione ai capi del semiconduttore. La temperatura è misurata mediante una termocoppia con giunzione ferro-costantana e la misura avviene in un dewar quasi adiabatico al fine di limitare gli scambi termici con l’ambiente e quindi rendere più lente le variazioni di temperatura. La misura avviene in un ambiente isolato termicamente dal laboratorio, all’interno di un dewar coibentato, di forma cilindrica, all’interno del quale è posto 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore Alimentazione del riscaldatore 45 Circuito della termocoppia Norma A V + Misura di R + + 18,0V out generatore di corrente costante - bagno di ghiaccio giunzione nei pressi del sensore Metex voltmetro ad alta impedenza A V campione di germanio Figura 1.35: Setup sperimentale: misura della resistività di un semiconduttore il campione. Il campione è posto a contatto con una delle estremità della termocoppia ed è provvisto di una calza di rame per facilitare gli scambi termici con l’azoto liquido che servirà per il raffreddamento. Nei pressi del campione è posta una resistenza per il riscaldamento dell’ambiente all’interno del dewar tramite effetto Joule. Tutti i collegamenti avvengono tramite boccole poste sul tappo di sughero che chiude il dewar. Due boccole controllano il riscaldatore che deve essere alimentato con una tensione massima di 25V e una corrente regolabile per fornire potenze variabili durante la fase di riscaldamento del campione. A causa di scambi termici con l’esterno, infatti, a energia fissata si raggiunge una temperatura di equilibrio: per superare tale valore occorre aumentare la potenza per il riscaldamento. Le boccole devono essere collegate ad un regolatore dotato di potenziometro per la regolazione della potenza in uscita; quest’ultimo deve essere alimentato con una tensione di 25V ed è provvisto di due terminali per inserire un amperometro e misurare la potenza immessa nel dewar. Altre due boccole sono collegate internamente con le estremità della termocoppia ferro-costantana e possono essere collegate direttamente ad un voltmetro molto sensibile (0.01 mV di sensibilità) per il monitoraggio della temperatura. La lettura avviene confrontando la misura fornita dal voltmetro con le apposite tabelle di calibrazione fornite dal costruttore della giunzione. L’altra estremità della termocoppia che fuoriesce dal tappo di sughero deve essere mantenuta ad una temperatura costante di 0◦ C. Questa condizione può essere realizzata inserendo la giunzione in un bagno di ghiaccio fondente creato versando azoto liquido in un bagno di acqua. Al fine di mantenere costante la temperatura all’interno del bagno occorre mescolare di tanto in tanto il ghiaccio in fusione. Le altre quattro boccole sono collegate, mediante normali cavi di rame e 46 Effetto Hall nei semiconduttori saldature a Sn-Pb, alle estremità del semiconduttore. Due servono per fornire corrente al campione, mentre le altre due per misurare la caduta di tensione ai capi dello stesso. La corrente di alimentazione deve essere mantenuta costantemente ad un valore di circa 5 mA per tutta la durata dell’esperimento, quindi è opportuno utilizzare un regolatore di corrente e collegare in serie al campione un milliamperometro preciso. La caduta di tensione ai capi del campione di Germanio deve essere misurata con un millivoltmetro ad alta impedenza al fine di rendere trascurabile l’errore sistematico sulla grandezza valutata introdotto dallo strumento. 1.6.2 Acquisizione dati La prima procedura da eseguire è la preparazione di una quantità di ghiaccio sufficiente per tutta la durata della misura (circa 3 ore). È consigliabile procedere con piccole quantità di acqua, versando di volta in volta l’azoto liquido e verificando che l’intera massa di acqua sia transita allo stato solido prima di aggiungerene altra. In questo modo si evita la creazione di uno strato di ghiaccio solo superficiale che impedirebbe all’acqua sottostante di ghiacciare. Una volta ottenuta la massa di ghiaccio occorre praticarvi un piccolo foro con l’ausilio di un cacciavite per introdurvi l’estremità della termocoppia. Quindi si procede all’inserimento dell’azoto liquido per eseguire la misura a partire da basse temperature. Quando la temperatura all’interno del dewar si è stabilizzata è possibile rimuovere l’azoto e misurare le cadute di tensione ai capi del campione, a corrente costante, e a step di temperatura costanti (di 5◦ C), annotando le coppie T, V corrispondenti. Dopo aver rimosso l’azoto è necessario richiudere il campione nel dewar in un tempo rapido, infatti la temperatura dello stesso raggiunge in un breve periodo la temperatura ambiente se viene lasciato all’esterno del recipiente, rendendo illeggibili i corrispondenti valori di tensione. Si può quindi procedere con un riscaldamento del campione fornendo tensione alla resistenza. Raggiunta una temperatura di circa 150 ◦ C è possibile spegnere il riscaldatore e procedere all’esecuzione del ciclo inverso. Raggiunta nuovamente la temperatura ambiente si può inserire altro azoto liquido per riportare il campione a basse temperature, misurando contestualmente le tensioni corrispondenti. Occorre sempre verificare e correggere eventuali variazioni della corrente circolante nel campione agendo sulla manopola posta sul regolatore di corrente. Si è verificato che sbalzi di temperatura troppo rapidi portano a misure poco precise, in quanto pur essendo la termocoppia posta a contatto con il campione, a causa delle diverse dimensioni geometriche e composizone presenta una capacità termica molto diversa. Ne consegue che variazioni troppo rapide di temperatura portano a variazioni rapide della temperatura della giunzione della termocoppia, mentre il campione cambia temperatura in modo più graduale. Ne segue che la temperatura misurata in caso di sbalzi rapidi non corrisponde effettivamente a quella del campione che determina la variazione di resistività di quest’ultimo. È quindi sconsigliato aprire il dewar per velocizzare l’acquisizione dei dati o accendere improvvisamente il riscaldatore a elevata potenza. Ovviamente inserendo l’azoto nel dewar la transizione sarà molto rapida, quindi 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore 47 meno precisa rispetto a quella ottenuta nella fase di riscaldamento nello stesso range di temperature. Si fornisce al generatore di corrente una tensione costante di 12 V e si fissa la corrente circolante nel campione a 5 mA. T [◦ C] -75 -70 -65 -60 -55 -50 -45 -40 -35 -30 -25 -20 -15 -10 -5 0 VT [mV] ± 0.01 -3.56 -3.34 -3.12 -2.89 -2.66 -2.43 -2.20 -1.96 -1.72 -1.48 -1.24 -0.99 -0.75 -0.50 -0.25 0.00 VGe [mV] ± 0.1 77.0 80.7 84.8 89.1 94.2 99.4 104.6 109.6 116.9 123.5 130.8 138.0 145.6 153.3 161.3 169.3 T [◦ C] 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 Salita VT [mV] ± 0.01 0.25 0.51 0.76 1.02 1.28 1.54 1.80 2.06 2.32 2.59 2.85 3.12 3.38 3.65 3.92 4.19 VGe [mV] ± 0.1 177.4 185.0 191.5 197.9 203.9 208.1 211.6 212.4 211.6 206.8 192.9 172.9 155.9 132.4 109.4 96.4 T [◦ C] VT [mV] ± 0.01 VGe [mV] ± 0.1 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150 4.46 4.73 4.99 5.27 5.54 5.81 6.09 6.36 6.63 6.91 7.18 7.46 7.73 8.00 83.9 69.1 56.8 48.9 42.8 36.2 29.9 24.6 20.6 18.7 16.1 14.5 12.4 10.6 T [◦ C] VT [mV] ± 0.01 VGe [mV] ± 0.1 Tabella 1.22: Salita T [◦ C] 150 145 140 135 130 125 120 115 110 105 100 95 90 85 80 75 70 VT [mV] ± 0.01 8.00 7.73 7.46 7.18 6.91 6.63 6.36 6.09 5.81 5.54 5.27 4.99 4.73 4.46 4.19 3.92 3.65 VGe [mV] ± 0.1 10.6 10.9 11.3 12.1 13.3 14.9 16.8 19.4 22.7 26.7 32 38.6 46.6 57.5 70.8 86.6 106.2 T [◦ C] 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 -5 -10 -15 Discesa VT [mV] ± 0.01 3.38 3.12 2.85 2.59 2.32 2.06 1.80 1.54 1.28 1.02 0.76 0.51 0.25 0.00 -0.25 -0.50 -0.75 VGe [mV] ± 0.1 129.3 152.3 174.5 191.2 203.9 211.7 213.8 211.7 207.4 206.5 206.2 205.8 204.9 203 200.8 198.4 194.6 -20 -25 -30 -35 -40 -45 -50 -55 -60 -65 -70 -75 -80 -85 -90 -95 -0.99 -1.24 -1.48 -1.72 -1.96 -2.20 -2.43 -2.66 -2.89 -3.12 -3.34 -3.56 -3.78 -4.00 -4.21 -4.42 192.9 186.9 180.8 173.2 155.4 146.5 138.4 131.2 123.0 113.2 104.5 95.4 86.5 78.7 71.8 64.8 Tabella 1.23: Discesa T [◦ C] -70 -65 -60 -55 -50 -45 -40 VT [mV] ± 0.01 -3.34 -3.12 -2.89 -2.66 -2.43 -2.20 -1.96 VGe [mV] ± 0.1 81.5 85.3 89.9 94.9 100.2 105.5 111.3 T [◦ C] -35 -30 -25 -20 -15 -10 -5 Discesa VT [mV] ± 0.01 -1.72 -1.48 -1.24 -0.99 -0.75 -0.50 -0.25 VGe [mV] ± 0.1 117.6 123.9 130.6 137.6 145.4 153.2 159 T [◦ C] 0 5 10 15 20 VT [mV] ± 0.01 0.00 0.25 0.51 0.76 1.02 VGe [mV] ± 0.1 164.8 168.4 173.9 179.4 188.2 Tabella 1.24: riSalita 1.6.3 Risultati Le incertezze riportate nelle tabelle rappresentano la sensibilità degli strumenti utilizzati. In realtà l’errore da associare alle misure è maggiore della semplice sensibilità dello strumento ed è dovuto alle modalità di acquisizione dei dati: è 48 Effetto Hall nei semiconduttori necessario leggere contemporaneamente più tester che non forniscono un risultato preciso ma una cifra che oscilla. Si stima quindi, considerando il tempo di reazione e l’intervallo entro cui oscillano i valori misurati dal tester, di associare ai dati i seguenti errori: errore su VT 0.1 mV, errore su VGe 0.5 mV. Per associare un’incertezza ai valori della temperatura, ricavati da una tabella di conversione T(VT ) fornita in laboratorio, è necessario propagare l’errore su VT . Poichè la relazione tra T e VT non è nota la si calcola attraverso un’interpolazione con polinomi di grado sempre maggiore. Il test del χ2 permette quindi di scegliere la migliore approssimazione che è il fit cubico. T @°CD 150 100 50 -2 2 4 6 8 VT @mVD -50 Figura 1.36: Relazione T (V ) per la termocoppia T = (0.028 + 19.9x − 0.24x2 + 0.012x3 ) I dati raccolti vengono dapprima messi in un unico grafico, separando con colori diversi la salita e la discesa: in grigio scuro è indicata la salita, in grigio chiaro la discesa. Si può notare che per quanto riguarda i dati ad alte temperature le due curve, in salita e in discesa, sono distanziate di una quantità fissa: questo perchè la termocoppia si riscalda (e si raffredda) prima del campione e questo introduce un certo errore sistematico nella misura. Invece per quanto riguarda i dati a basse temperature l’andamento della curva di discesa è molto diverso rispetto alle due di salita: si suppone che ciò sia dovuto al fatto che per tornare indietro è necessario aggiungere azoto liquido per raffreddare il campione e quindi si introduce un errore dovuto alla brusca variazione delle condizioni ambientali in cui si trova il campione. Si calcola la resistenza dividendo le tensioni misurate per la corrente (costante, 5 mA). 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore 49 VGe @mVD 200 150 100 50 -100 -50 50 100 150 T @°CD Figura 1.37: Dati raccolti: prima salita, discesa e risalita R @WD 40 30 20 10 250 300 350 400 T @°KD Figura 1.38: Prima serie di dati: salita, R(T ) Si studia diversamente l’andamento di R in funzione di T alle basse temperature (regione intrinseca) e alle alte temperature (regione estrinseca). Regione intrinseca Ci si attende un andamento del tipo R = R0 T −α , con α = 2, quindi si studia l’andamento del logaritmo di R in funzione del logaritmo di T. Si dovrà trovare una retta di coefficiente angolare b eguale ad α. Anche in questo caso l’errore sulle x non è trascurabile e quindi se ne tiene conto attraverso il metodo dell’er- 50 Effetto Hall nei semiconduttori R @WD 40 30 20 10 250 300 350 400 T @°KD Figura 1.39: Seconda serie di dati: discesa, R(T ) R @WD 35 30 25 220 240 260 280 Figura 1.40: Terza serie di dati: risalita, R(T ) rore indotto già illustrato in precedenza. Prima serie: salita ρ = 0.998 a = (−8.54 ± 0.18) b = (2.43 ± 0.03) χ2 = 1.2 DF = 21 → χ2critico = 1.56 T @°KD 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore 51 Log@RD 5.4 5.2 5 4.8 4.6 4.4 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 Log@TD Figura 1.41: Prima serie: Log(R) in funzione di Log(T ), punti sperimentali e retta interpolatrice Seconda serie: discesa ρ = 0.997 a = (−12.6 ± 0.5) b = (3.2 ± 0.1) χ2 = 0.57 DF = 10 → χ2critico = 1.8 Terza serie: risalita ρ = 0.999 a = (−8.5 ± 0.3) b = (2.42 ± 0.06) χ2 = 0.28 DF = 14 → χ2critico = 1.7 Conclusioni Si confrontano i coefficienti angolari ottenuti con il valore di α atteso, 2. Mentre per i due tratti in salita la pendenza non è esattamente 2 ma un valore vicino, il terzo valore, corrispondente al tratto in discesa, è molto più grande (3.2): questo conferma l’impressione iniziale che i dati nel tratto di discesa fossero meno attendibili. 52 Effetto Hall nei semiconduttori Log@RD 5 4.8 4.6 4.4 5.25 5.3 5.4 5.35 5.45 Log@TD 4.2 Figura 1.42: Seconda serie: Log(R) in funzione di Log(T ), punti sperimentali e retta interpolatrice Log@RD 5.2 5 4.8 4.6 5.3 5.35 5.4 5.45 5.5 5.55 5.6 5.65 Log@TD Figura 1.43: Terza serie: Log(R) in funzione di Log(T ), punti sperimentali e retta interpolatrice Regione estrinseca EA In questo caso l’andamento atteso è del tipo R = R0 e kT quindi si studia l’andamento di Log(R) in funzione di T1 . 1.6 Misura della resistività di un semiconduttore 53 Log@RD 5 4.5 4 3.5 3 0.0023 0.0024 0.0025 0.0026 0.0027 0.0028 0.0029 0.003 1T Figura 1.44: Prima serie: Log(R) in funzione di 1/T , punti sperimentali e retta interpolatrice Prima serie: salita ρ = 0.999 a = (−8.5 ± 0.2) b = (4600 ± 90)[K] χ2 = 0.4 DF = 16 → χ2critico = 1.6 Seconda serie: discesa ρ = 0.999 a = (−9.2 ± 0.3) b = (4700 ± 90)[K] χ2 = 0.5 DF = 15 → χ2critico = 1.7 Conclusioni Con i risultati dei fit sulle alte temperature si può calcolare la costante EA , energia di attivazione, per le due serie di dati (salita e discesa). EA1 = bkB = (6.38 ± 0.12) ∗ 10−20 [J] = (0.398 ± 0.008)[eV ] EA2 = bkB = (6.55 ± 0.13) ∗ 10−20 [J] = (0.409 ± 0.008)[eV ] 54 Effetto Hall nei semiconduttori Log@RD 5.5 5 4.5 4 3.5 3 2.5 0.0024 0.0025 0.0026 0.0027 0.0028 0.0029 0.003 0.0031 1T Figura 1.45: Seconda serie: Log(R) in funzione di 1/T , punti sperimentali e retta interpolatrice Capitolo 2 Rivelazione di raggi cosmici 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza I raggi cosmici sono costituiti da particelle, quali nuclei ionizzati (90% protoni, 9% particelle alpha), che raggiungono in buona percentuale la superficie terrestre dopo aver attraversato l’atmosfera perdendo parte della loro energia. I raggi cosmici vengono classificati in base alla loro energia: si tratta di particelle relativistiche o ultrarelativistiche, con energia comparabile alla loro massa. Al livello del mare la maggior parte dei raggi cosmici è costituita da muoni (µ± ), particelle cariche con una bassa sezione d’urto. Una parte dei raggi cosmici primari, urtando con particelle presenti nell’atmosfera, produce raggi secondari. La provenienza dei raggi cosmici non è ben nota, tuttavia si sa che essi provengono dall’esterno del nostro sistema solare, ma dall’interno della galassia. Lo scopo dell’esperienza è di prendere familiarità con le tecniche di misura nella fisica delle alte energie, utilizzando rivelatori e contatori per il monitoraggio della quantità di raggi cosmici che giungono sulla superficie terrestre. Inoltre verrà misurato un parametro importante del rivelatore: l’efficienza. 2.1.1 Raggi cosmici I raggi cosmici sono particelle che colpiscono la Terra con una frequenza di 180 particelle per cm2 al secondo. Esse sono nuclei ionizzati, circa il 90% di protoni, 9% di particelle α ed il resto di nuclei pesanti e sono distinguibili per le loro alte energie. Molti raggi cosmici sono relativistici, hanno energie comparabili alla propria massa o anche maggiori. Pochi di questi hanno energie ultra relativistiche che si estendono sopra i 1020 eV (circa 20 J), undici ordini di grandezza di differenza con l’energia di massa del protone. Le domande ancora attuali per quanto riguarda gli studi della fisica dei raggi cosmici sono la loro provenienza e come possano essere accelerati fino a cosı̀ alte energie. Sicuro è che provengano dall’esterno dal sistema solare ma dall’interno della nostra galassia. La piccola parte di particelle relativistiche che ha origine 55 56 Rivelazione di raggi cosmici nella nostra stella corrisponde a periodi di grande attività solare ed è caratterizzata da una rapida variabilità. Infatti la rivelazione dei raggi cosmici dimostra una anti correlazione con l’attività solare. Fino all’avvento degli acceleratori, i raggi cosmici e le loro interazioni erano l’unico sistema per indagare il mondo delle particelle elementari. Ci sono quindi molte importanti aree da studiare per meglio comprendere le leggi che governano le interazioni dei raggi cosmici: • la produzione di seconda radiazione cosmica, come gli antiprotoni, generata dallo scontro di particelle della radiazione cosmica primaria con nuclei atomici nel mezzo interstellare, dal cui ammontare si può studiare come un raggio cosmico si propaga nel mezzo interstellare e come la materia e i campi di quest’ultimo sono strutturati; • la produzione di fotoni, neutrini ed altre particelle nelle collisioni dei raggi cosmici con materia vicina alle sorgenti di accelerazione, per capire l’origine dei raggi e studiare come interagiscono; • la rivelazione di muoni e neutrini in rivelatori posti in profondità nel sottosuolo per restringere lo studio alla sola radiazione secondaria; • la ricerca di particelle esotiche e di nuove interazioni nella radiazione cosmica. Questi punti hanno un grande obiettivo in comune: le stesse leggi che governano la cascata di particelle nell’atmosfera terrestre descrivono anche la produzione di particelle dovuta ai raggi cosmici accelerati da collassi stellari. Il dato principale sui raggi cosmici, dal quale si spera di ottenere qualche informazione riguardo la loro origine, è la relativa abbondanza di differenti nuclei atomici e la distribuzione di energia di ogni componente. Comparazioni con vari oggetti come il Sole, il mezzo interstellare, le supernovae o le stelle di neutroni, possono dare informazioni sul luogo dove i raggi cosmici sono stati accelerati. Inoltre lo studio delle proprietà dei raggi cosmici (composizione chimica, spettro energetico, distribuzione delle direzioni d’arrivo) è di importanza fondamentale per comprendere i meccanismi della loro formazione e propagazione nello spazio interstellare e intergalattico. La radiazione cosmica è costituita da nuclei di diversi elementi, con una piccola frazione di elettroni, di raggi gamma e di neutrini. I nuclei formano la cosiddetta radiazione cosmica primaria. Dal punto di vista energetico i raggi cosmici rappresentano una componente fondamentale dell’universo: difatti la loro densità di energia è approssimativamente di 1 eV /cm3 , confrontabile per esempio con la densità di energia della luce stellare, 0.6 eV /cm3 , o con quella del campo magnetico galattico, 0.2 eV /cm3 . La potenza emessa nella galassia sotto forma di raggi cosmici viene confrontata con quella emessa mediante radiazioni elettromagnetiche. Attualmente si ritiene che i raggi cosmici siano creati ed accelerati da oggetti attivi. Possibili sorgenti all’interno della nostra Galassia sono le esplosioni di supernovae, le pulsar e il nucleo galattico stesso. Sorgenti extragalattiche possono 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 57 essere radio-galassie e quasar, i cui nuclei manifestano un’elevata potenza di emissione sotto forma di radiazione e di particelle di alta energia, nonché stelle a neutroni e buchi neri. Devono poi esistere meccanismi che accelerano i raggi cosmici fino a far loro raggiungere le altissime energie a cui vengono osservati. Il primo meccanismo fu proposto da Fermi, secondo il quale essi vengono accelerati dagli urti con nuvole di polvere magnetizzata presenti nella Galassia. Un modello di accelerazione diretta suppone invece che tali particelle siano accelerate da campi magnetici rotanti molto intensi (come quelli intorno alle stelle a neutroni o ai dischi di accrescimento dei buchi neri). Altri modelli infine suppongono che i raggi cosmici di piu’ alta energia siano il prodotto del decadimento di particelle esotiche supermassive (come uno stato legato monopolo-antimonopolo o stringhe cosmiche superconduttrici). I raggi cosmici si propagano nello spazio interstellare e intergalattico, interagendo con la polvere, il gas interstellare, i campi magnetici galattici e, sopra una certa energia, con la radiazione fossile a 2.7 K. Queste interazioni possono modificarne la composizione chimica, per esempio frammentando i nuclei più pesanti in altri più leggeri. La presenza del ginocchio potrebbe avere più cause: potrebbe essere dovuto ad un taglio in energia nei meccanismi di produzione e di accelerazione, oppure potrebbe essere legato alla propagazione della radiazione cosmica nello spazio. Alle basse energie (da uno a pochi GeV per nucleone) l’abbondanza relativa degli elementi chimici nei raggi cosmici è globalmente molto simile a quella nella materia del Sistema solare, tuttavia alcune differenze sono significative. Nella radiazione cosmica da un lato vi è una certa scarsità di idrogeno ed elio, dall’altro vi è un netto eccesso di litio, berillio e boro. La concentrazione di ferro poi si accorda bene con quella del Sistema solare, ma c’è una sovrabbondanza degli elementi immediatamente precedenti nella tavola periodica. Per spiegare questo comportamento si pensa che taluni nuclei, detti primordiali (quali H, He, C, O, Mg, Si, Fe), abbiano alla sorgente la stessa abbondanza riscontrata nell’universo. Propagandosi nello spazio interstellare, nel quale possono rimanere anche 106 ÷ 108 anni, essi interagirebbero con la materia ivi presente e darebbero luogo, con un processo detto di spallazione, agli elementi più leggeri e quindi più abbondanti (nuclei detti secondari): Li, Be e B proverrebbero dalla frammentazione di C e O, i nuclei piu’ pesanti (Z > 20) da quella del ferro. Una misura diretta dei raggi cosmici è possibile solo per energie fino a 1013 ÷ 1014 eV (10 ÷ 100 TeV), in quanto ad energie superiori il flusso di particelle è troppo basso e non consente di raccogliere una statistica sufficiente. Pertanto al di sopra di 1014 eV sono possibili solo misure indirette, ovviamente meno precise e soprattutto fortemente dipendenti dai modelli di interazione scelti. Generalmente la misura diretta è effettuata con palloni-sonda che raggiungono gli strati più alti dell’atmosfera; essi possono contenere sia rivelatori passivi (di solito emulsioni fotografiche, ma anche film per raggi X e plastiche) sia rivelatori attivi (come calorimetri e contatori Cherenkov). Queste sonde però possono rimanere in atmosfera per poco tempo (dell’ordine di un giorno), e possono trasportare solo rivelatori di volume ridotto. Estrapolando i dati delle misure dirette si possono ottenere dei modelli di composizione. Un flusso continuo di raggi cosmici raggiunge la nostra atmosfera da tutte le direzioni dello spazio: qui le particelle si moltiplicano in una cascata di interazioni successive, creando un’invisibile e innocua pioggia cosmica che 58 Rivelazione di raggi cosmici colpisce continuamente ciascuno di noi alla frequenza di circa 4000 particelle cariche al minuto. Queste, urtando le particelle dell’atmosfera, le spezzano in altre piu’ piccole, dette muoni e pioni, che possono essere rivelati sulla superficie terrestre. Lo studio dei raggi cosmici ci permette di indagare il cosmo attraverso segnali di alta energia, di studiare la fisica fondamentale ad energie irraggiungibili negli acceleratori qui sulla Terra, e di ottenere preziose indicazioni sulle prime fasi di evoluzione dell’Universo. P collisioni nucleari n P Π+ Π0 anti materia Π− decadimenti γ collisioni nucleari P Π0 Π+ γ produzione di coppie e+ eΠ− µ+ ν µ− ν Figura 2.1: Possibili decadimenti di un raggio cosmico 2.1.2 Scintillatori Gli scinitillatori sono uno dei device più utilizzati per il rilevamento di particelle e nuclei nella fisica moderna. Il loro funzionamento si basa sulla proprietà di alcuni materiali di emettere un piccolo flash di luce (una scintilla) quando vengono colpiti da particelle nucleari o da radiazione. Se vengono accoppiati a fotomoltiplicatori, i quali convertono il segnale luminoso in segnale elettrico e lo amplificano, è possibile eseguire un preciso conteggio della radiazione incidente la superficie dello scintillatore. Il primo esempio di rivelatore di particelle a scintillazione fu costruito da Crookes nel 1903: esso era composto da uno schermo di ZnS che produceva piccole scintille quando colpito da particelle α. Le scintille potevano essere viste con l’ausilio di un microscopio ottico in una camera oscura. Questo strumento fu molto utile anche nell’esperienza di Geiger e Marsden, tuttavia non fu di utilizzo comune sino al 1944, quando Curran e Baker lo impiegarono collegato otticamente ad un fotomoltiplicatore. L’efficienza e la facilità di eseguire misure con gli scintillatori erano ora paragonabili a quelle dei rivelatori a gas ionizzanti. Lo sviluppo successivo ha riguardato la ricerca di nuovi materiali e soluzioni 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 59 tecniche per aumentare l’efficienza dell’apparato rivelatore (scintillatore e fototubo). Lo schema generale di un rivelatore consiste in uno scintillatore accoppiato con un fotomoltiplicatore, direttamente o mediante una guida d’onda, entrambi racchiusi da un guscio metallico al fine di eliminare possibili campi magnetici esterni. Le particelle, attraversando il rivelatore, ne eccitano gli atomi o le molecole; gli atomi eccitati si diseccitano spontaneamente in istanti successivi emettendo in questa fase il flash di luce. Un sottile strato di Mylar esterno allo scintillatore che funge da specchio permette ai raggi luminosi emessi in qualunque direzione di venire riflessi all’ingresso del fotomoltiplicatore con una buona efficienza. Il fotomoltiplicatore ha il compito di convertire questi flash in segnali elettrici e di amplificarne l’ampiezza in modo tale che possano essere misurati e conteggiati. Gli scintillatori funzionano in base al meccanismo della luminescenza: quando HighVoltage Scintillatore Fotomoltiplicatore Area sensibile Mylar riflettente e strato µ-shield Guida d'onda out Figura 2.2: Schema di uno scintillatore un oggetto assorbe energia, gli atomi che lo compongono si eccitano (se l’energia è sufficiente). Dopo un tempo di decadimento, dipendente dalla composizione chimica del materiale, essi si diseccitano emettendo fotoni di frequenza proporzionale alla differenza di energia tra lo stato eccitato e lo stato diseccitato (spesso lo stato fondamentale). ∆E = hν Se la differenza di energia è tale per cui l’emissione avviene nelle frequenze del visibile si può parlare di fluorescenza (se il tempo di decadimento è dell’ordine delle velocità di transizione atomica - 10−8 s) o di fosforescenza (se il tempo di decadimento è più lungo - da pochi µs a ore). In generale si può pensare di descrivere il numero di fotoni N emessi al tempo t, data un emissione totale N0 e un tempo di transizione τd con la seguente 60 Rivelazione di raggi cosmici equazione: N (t) = N0 e−f ractτd τd N (t) = Ae − τt f sistema ad un solo componente t + BAe− τs sistema a due componenti Se il sistema ha più componenti uno dei due ha un decadimento più rapido (fast indice f ) e l’altro decade con un certo ritardo (slow indice s). Questa caratteristica è sfruttata nella pulse-shape discrimination. Un buon scintillatore deve presentare un valore elevato di efficienza di conversione, definita come il rapporto tra le particelle che giungono sulla superficie e quelle che vengono effettivamente rivelate (a causa delle quali viene emessa la scintilla). A seconda dello scopo per cui è costruito lo scintillatore avrà efficienza massima nella rivelazione di particelle dotate di una ben precisa energia. Tale parametro è dipendente dal materiale utilizzato nella costruzione. L’efficienza viene spesso valutata considendo l’intero sistema scintillatore e fotomoltiplicatore, ovvero definendola come il rapporto tra particelle che urtano il rivelatore e il numero di impulsi misurato. Altre caratteristiche tipiche di uno scintillatore sono: • sensibilità in funzione dell’energia delle particelle incidenti. Al di sopra di un valore di energia minimo lo scintillatore opera in modo lineare, ovvero l’intensità del flash generato è proporzionale all’energia della particella che lo ha colpito. Si verifica che in condizioni normali di lavoro anche il fotomoltiplicatore opera in modo lineare, quindi l’ampiezza del segnale di uscita è proporzionale all’energia delle particelle incidenti. Tuttavia i due device del rivelatore devono essere il più possibile accoppiati, ovvero lo scintillatore deve emettere radiazione elettromagnetica con lunghezza d’onda λ interna alla finestra di sensibilità del fototubo; • tempo di risposta (τ deve essere molto piccolo). Una caratteristica degli scintillatori è il tempo molto rapido di risposta, cosı̀ come è breve il tempo necessario affinché il rivelatore ritorni sensibile dopo aver misurato un evento. Questo fa si che gli scintillatori possano essere utilizzati anche valutando il numero di particelle in funzione del tempo di esposizione e che sia possibile discriminare con una risoluzione migliore la separazione temporale di più eventi distinti. Il rate misurabile con gli scintillatori è maggiore rispetto a quello misurabile con altri tipi di rivelatori; • discriminazione della forma degli impulsi. Con alcuni scintillatori è possibile, analizzando la forma dell’impulso in uscita in funzione della frequenza, risalire al tipo di particella rilevata. Questa tecnica è nota come pulseshape discrimination ed è dovuta a differenti meccanismi di fluorescenza legati a differenti energie ionizzanti; • trasparenza. La particella deve poter attraversare il rivelatore per poter eseguire verifiche con altri scintillatori posti in cascata. In questo modo si hanno misure più precise e il sistema presenta una migliore efficienza; 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 61 • potenza in uscita. La potenza emessa è un parametro che determina in modo drammatico l’efficienza complessiva, in quanto emissioni deboli spesso non sono sufficienti per essere rilevate dal fototubo, quindi vengono perduti i conteggi di tali particelle; • linearità. Spesso si verifica una relazione di linearità tra energia della particella incidente e intensità del flash prodotto solo in una piccola sezione della curva di energia. È quindi importante selezionare correttamente il tipo di scintillatore in funzione delle particelle che si volgliono studiare. In generale è utile studiare la curva di risposta del sistema composto da rivelatore e fototubo al fine di costruire una corretta curva di calibrazione dell’apparato; • attenuazione del fascio luminoso. Il fascio emesso dallo scintillatore compie percorsi diversi e spesso viene riflesso più volte dallo specchio di Mylar prima che giunga al fotomoltiplicatore. Per garantire una buona linearità dell’apparato è necessario che il coefficiente di estinzione del materiale di cui è composto lo scintillatore sia basso e ottimizzato per la frequenza di emissione dello stesso (in genere questo valore è circa σ = 0.25m−1 ). Scintillatori organici Gli scintillatori organici sono costituiti da molecole di idrocarburi aromatici contenenti anelli di benzene. La loro caratteristica principale è la risposta molto rapida, dell’ordine di pochi nanosecondi o meno. La scintilla ha origine in questo caso dagli elettroni di valenza liberi delle molecole: si tratta di elettroni delocalizzati che occupano gli orbitali molecolari π. Osservando il diagramma dei livelli energetici si nota che le transizioni possono avvenire tra livelli diversi e tra livelli vibrazionali diversi. Le differenze di energia tra i diversi livelli sono dell’ordine delle decine di eV, mentre l’ampiezza di ciascuna banda che contiene più livelli vibrazionali è dell’ordine degli eV. La fluorescenza avviene solo per particolari transizioni energetiche, in altre transizioni il decadimento avviene senza emissione di fotoni. In particolare se il sistema si trova in uno stato metastabile, prima di poter eseguire una transizione che dia origine a fotoni deve decadere in un livello stabile. Transizioni tra diversi stati vibrazionali del medesimo livello energetico danno origine a fotoni (responsabili della vibrazione della particella). A causa della loro struttura molecolare, gli scintillatori organici possono essere realizzati in diverse forme (cristalli puri, miscele di uno o più componenti solide o liquide). • Cristalli organici: i più comuni sono l’antracene (C14 H10 ), il trans-stilbene (C14 H12 ) e il naftalene (C10 H8 ). Sono caratterizzati da tempi di risposta molto brevi, dell’ordine di pochi nanosecondi (ad eccezione dell’antracene - 30 ns). La loro risposta tuttavia non è lineare: a causa della loro costituzione hanno assi di simmetria intrinseci, dovuti alla conformazione del solido cristallino, quindi sono maggiormente sensibili a particolari direzioni del fascio incidente. Ne segue che un utilizzo appropriato deve prevedere un collimatore del fascio di particelle incidenti. L’antracene ha la migliore 62 Rivelazione di raggi cosmici T2 S2 decadimento T1 interno S1 assorbimento fluorescenza T0 S0 Stati di tripletto Stati di singoletto Figura 2.3: Decadimento di elettroni e fluorescenza in una molecola organica risposta in potenza rispetto a tutti gli altri scintillatori organici: è quindi utilizzato come unità di confronto, e la potenza emessa da uno scintillatore viene espressa come percentuale della luce dell’antracene. • Liquidi organici: sono soluzione di uno o più composti organici (P BD 2 , P P O3 o P OP OP 4 ) in solvente organico (xilene, toluene, benzene). In questo caso sebbene l’emissione di luce venga svolta dal soluto, l’energia derivante dal passaggio di particelle viene assorbita dal solvente e poi trasferita al soluto con tempi di risposta molto rapidi e buona efficienza. L’efficienza di conversione varia con la concentrazione, tuttavia si giunge ad un punto di saturazione oltre il quale non è conveniente aggiungere altro soluto. Normalmente la concentrazione è di qualche grammo di soluto per litro di solvente. La risposta di questi devices è dell’ordine di 3, 4 ns ed essi hanno una buona trasparenza, quindi possono essere sovrapposti al fine di aumentare l’efficienza complessiva dell’apparato di misura. Inoltre possono essere disciolti nella soluzione altri composti che hanno il compito di eseguire uno shift in frequenza della luce emessa dal soluto scintillatore. In questo modo è possibile accordare in frequenza scintillatore e fotomoltiplicatore. Questi scintillatori sono tuttavia molto sensibili alle impurità, in particolare è stato evidenziato come la presenza di ossigeno in soluzione porti a un decadimento dell’efficienza della conversione importante. • Plastici: si tratta di sostanze scintillanti organiche (PBD, PBO) disciolte in solventi plastici quali poliviniltoluene, polifenilbenzene o polistirene. Spesso anche in questo caso si aggiungono sostanze per variare la composizione spettrale della risposta all’attraversamento di particelle. I rivelatori plastici hanno una risposta molto rapida ed emettono una buona potenza. A causa del tempo di decadimento molto rapido il tempo di eccitazione non può essere trascurato, quindi la risposta dello scintillatore plastico sarà allargata (di forma gaussiana). Uno dei maggiori vantaggi di questo 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 63 tipo di device è la flessibilità, la possibilità di costruire forme diverse, dai film ai blocchi. Inoltre è possibile ottimizzare il solvente al fine di controllare la velocità della luce nel mezzo e quindi i ritardi di misura. I rivelatori plastici sono materiali sensibili agli attacchi di solventi organici e vanno maneggiati con guanti al fine di evitare che gli acidi contenuti nella pelle possano intaccarne la struttura. Scintillatori inorganici Gli scintillatori inorganici sono per la maggior parte cristalli di alcali contenenti impurità che svolgono azione catalitica. Il materiale più comunemente impiegato è N aI(T l) dove il Tallio costituisce l’attivatore. In generale la risposta di questi rivelatori è di due o tre ordini di grandezza inferiore in potenza rispetto alla risposta degli scintillatori organici a causa di fenomeni di fosforescenza. L’eccezione è rappresentata da scintillatori a base di CsF , con tempi di risposta di 5 ns. Un problema che limita l’applicazione degli scintillatori inorganici è causato dalla sensibilità all’umidità, in quanto molti di questi sono cristalli igroscopici che devono essere protetti e mantenuti in ambiente privo di umidità. Una delle caratteristiche di questo tipo di scintillatori è l’elevato potere di fermare le particelle incidenti, dovuto alla elevata densità e alla dimensione degli atomi che compongono il reticolo. Sono quindi adatti per la rilevazione di raggi γ e di elettroni o positroni ad alta energia. Tuttavia nel caso si vogliano sovrapporre più rivelatori di tipo diverso è necessario che gli scintillatori inorganici siano posti per ultimi, in quanto potrebbero fungere da schermo per particelle di minore energia. Il meccanismo di eccitazione e diseccitazione avviene a livello atomico, mentre negli scintillatori organici avviene a livello molecolare. Quando una particella nucleare collide sul cristallo uno o più elettroni passano dalla banda di valenza alla banda di conduzione creando uno ione (buca) e un elettrone libero. Un processo alternativo è la creazione di un eccitone, ovvero l’elettrone viene eccitato in una banda appena al di sotto della banda di conduzione: in tal caso buca ed elettrone restano uniti, ma possono muoversi all’interno del cristallo. Se all’interno di quest’ultimo sono presenti impurità queste possono essere ionizzate da una coppia elettrone-lacuna. Un elettrone, che raggiunga una lacuna, si può diseccitare raggiugendo cosı̀ lo stato fondamentale, emettendo nello spettro esteso del visibile (comprese le regioni dell’ultravioletto e dell’infrarosso). La transizione può tuttavia avvenire anche senza che venga riemessa radiazione, con perdita di energia tramite altri tipi di processo. Scintillatori a gas ionizzazione Sono costituiti principalmente da gas nobili (Xeno, Krypton, Argo, Elio) o da miscele di essi ad alta pressione (200 atm circa): in questi sistemi l’eccitazione avviene a livello del singolo atomo, quindi le transizioni sono molto rapide (entro 1 ns), tuttavia l’emissione avviene generalmente nella regione dell’ultravioletto, dove i fotomoltiplicatori sono poco efficienti. Al fine di migliorare l’efficienza 64 Rivelazione di raggi cosmici complessiva dell’apparato si fodera la superficie dello scintillatore con uno strato di difenistilbene che assorbe la luce nella regione dell’ultravioletto e riemette nella regione del blu-verde, dove i fototubi sono pis̆ensibili. 2.1.3 Fotomoltiplicatori I fotomoltiplicatori sono tubi elettronici per convertire segnali luminosi in segnali elettrici. Vengono utilizzati nella fisica delle alte energie in associazione con scintillatori per convertire il segnale proveniente dal sensore di particelle in segnale elettrico più maneggevole e facilmente acquisibile da hardware per computer. In questa applicazione il fotomoltiplicatore o fototubo è direttamente applicato allo scintillatore. Un fotomoltiplicatore è costituito da un catodo di materiale fotosensibile, un sistema per la raccolta e la focalizzazione degli elettroni, una stringa di moltiplicatori (dinodi) e un anodo da cui può essere estratto il segnale. Tutti i componenti sono inseriti in un tubo a vuoto e l’intero sistema è isolato dalla luce proveniente dall’esterno, ad eccezione della parte adiacente al catodo che deve raccogliere i fotoni da convertire. out HV Figura 2.4: Sezione di un fotomoltiplicatore Il funzionamento del fotomoltiplicatore si basa sull’effetto fotoelettrico. I materiali metallici, quando investiti da una radiazione elettromagnetica di frequenza opportuna, possono emettere seguendo una legge di probabilità nota uno o più elettroni. La luce incidente fornisce al metallo un’energia E = hν: se tale energia è maggiore del lavoro di estrazione del metallo, un elettrone passerà dalla banda di valenza alla banda di conduzione, diventando elettrone libero (slegato dal nucleo) e con energia cinetica Ek = hν − Westrazione Se tuttavia la frequenza incidente non è sufficiente a far eccitare l’elettrone e a fare raggiungere allo stesso uno stato slegato il materiale non emetterà elettroni. L’elettrone che è stato estratto per effetto fotoelettrico dal catodo, viene collimato da un apposito sistema nella cavità del fototubo e accelerato dalla differenza di potenziale applicata tra anodo e catodo dello stesso. 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 65 All’interno del fototubo è presente una serie di dinodi in cascata, anch’essi di materiale metallico. Essi svolgono la funzione di aumentare il numero di elettroni che si sviluppano in seguito all’arrivo di un treno di fotoni al catodo. Il loro funzionamento si basa sul fatto che l’urto di un elettrone accelerato contro una struttura metallica può strappare dalla stessa più elettroni e quindi si ha un effetto cascata e il numero di elettroni aumenta ad ogni interazione con il dinodo successivo. In questo modo all’anodo giunge un segnale amplificato che può essere acquisito mediante contatori dotati di sufficiente sensibilità. Si assume che il comportamento del fotomoltiplicatore sia di tipo lineare, ovvero che il segnale presente all’anodo sia proporzionale al numero di fotoni che eccitano il catodo. Al fine di ridurre l’assorbimento della radiazione incidente da parte delle pareti del tubo, la finestra in corrispondenza del catodo è costituita da un cristallo di quarzo opportunamente orientato. Si definisce l’efficienza del fototubo come η(λ) = # di fotoelettroni raccolti all’anodo # di fotoni incidenti sul catodo Tale efficienza stima la capacità del rivelatore di rivelare tutti i fotoni incidenti e la dipendenza dalla lunghezza d’onda incidente è legata al fatto che il materiale fotosensibile ha un determinato lavoro di estrazione e che tale valore varia a seconda del materiale scelto per la costruzione del rivelatore. È quindi importante accordare la curva di sensibilità del fotomoltiplicatore con la curva di emissione dello scintillatore cui verrà collegato otticamente al fine di ottimizzare la catena di rilevamento ed ottenere un’efficienza complessiva ottimale. Una definizione di efficienza alternativa considera l’intensità luminosa incidente e la potenza emessa dall’anodo I e E(λ) = catodo = η(λ)λ P (λ) hc La maggior parte dei fotocatodi oggi è costituita da materiali semiconduttori (antimonio drogato con uno o più metalli alcalini) che raggiungono efficienze dell’ordine del 10-30%, mentre i fotocatodi di tipo metallico hanno efficienze dell’ordine dello 0.1%, in quanto all’interno di questi ultimi gli elettroni liberi hanno una sezione d’urto pi`ù elevata (vi sono numerosi elettroni di conduzione con cui urtare, mentre ve ne sono meno nel reticolo cristallino di un semiconduttore). Dopo che l’elettrone viene emesso dal fotocatodo viene collimato da un sistema ottico-elettronico mediante uno o più stadi impieganti magneti o elettromagneti in modo tale che l’elettrone venga deflesso. Le caratteristiche principali che deve avere un buon collimatore sono l’efficienza (il maggior numero di elettroni emessi deve raggiungere il primo dinodo), la coerenza temporale (due elettroni emessi da porzioni diverse del catodo devono raggiungere in tempi confrontabili il primo dinodo) e velocità di collimazione (utile nel caso debbano essere svolte misure di tempo su eventi diversi). 66 Rivelazione di raggi cosmici La sezione di moltiplicatori è caratterizzata dal numero dei dinodi e dal fattore di emissione secondaria δ. L’emissione di elettroni avviene con modalità anloghe all’effetto fotoelettrico, tuttavia il treno di fotoni è sostituito da uno o più elettroni. Inoltre deve essere mantenuta una differenza di potenziale tra i diversi dinodi per accelerare e giudare gli elettoni, quindi deve essere depositato uno strato conduttore su ciascuno di essi. I dinodi possono essere quindi costituiti da materiali diversi, conduttori, semiconduttori o isolanti, tuttavia si deposita su ciascuno di essi uno stato di terre rare o metalli alcalini mescolati con metalli nobili per assicurare la conduzione. Questo stadio deve assicurare un buon coefficiente di emissione secondaria, una buona stabilità termica e un debole effetto termoionico al fine di ridurre il rumore di fondo del convertitore. In genere il fototubo è costituito da una serie di 10-14 dinodi e può offire un guadagno di circa 107 volte. La forma e la disposizione dei dinodi può essere ottimizzata al fine di migliorare le caratteristiche di linearità, guadagno o di prontezza del fototubo. Teoricamente un fototubo dovrebbe fornire una risposta costante per elettroni aventi la stessa energia, tuttavia si può osservare un allargamento della curva di uscita duvuto a fluttuazioni statistiche. Tale allargamento segue una legge statistica binomiale di Poisson. Occorre ricordare che nonostante l’isolamento da fonti di luce, al di fuori della finestra in corrispondenza del catodo si ha un rumore di fondo tipico del convertitore dovuto a effetti termoionici e fotoelettrici (non attribuibili ai fotoni incidenti) sul catodo o sui dinodi. Tale rumore comporta errori sistematici sulla risposta in uscita e questa componente deve essere tenuta in considerazione durante il post-processing dei dati sperimentali. Si verifica che il coefficiente di emissione secondaria è legato con legge di proporzionalità diretta alla differenza di potenziale applicata al fototubo δ = KVd Considerando n dinodi il guadagno del fotomoltiplicatore può quindi essere espresso come G = δ n = (KVd )n È quindi importante fornire al fotomoltiplicatore la maggiore tensione possibile. Tuttavia oltre un certo limite di tensione applicata il guadagno si stabilizza a un valore massimo (fotomoltiplicatore saturo) e non aumenta, mentre aumenta considerevolmente il rumore di fondo (a causa del riscaldamento del fototubo). La configurazione ottimale prevede una tensione di alimentazione molto stabile, e regolata ad un valore leggermente inferiore al valore di soglia. Per fornire a ciascun dinodo la tensione ottimale si impiegano catene di resistenze collegate in serie a ciascun fotodinodo. Lavorando in regime impulsato sono necessari anche condensatori per compensare i picchi di tensione derivanti dall’urto di elettroni sul dinodo. In alternativa è possibile sostituire le resistenze 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 67 con opportuni diodi Zener che mantengono la tensione di poco superiore alla soglia, ai capi di ciascun dinodo. I migliori risultati si ottengono combinando le diverse soluzioni, ovvero utilizzando resistenze per i primi stadi e condensatori e diodi Zener per gli ultimi dinodi. out +HV gnd out -HV gnd Figura 2.5: Schema elettrico del voltage divider L’uscita di un fotomoltiplicatore può essere considerata un generatore di corrente impulsata per costruzione. La capacità e l’impedenza intrinseca del convertitore devono essere quindi prese in esame per capire come il segnale si presenta. Possiamo considerare l’intero fotomoltiplicatore come un generatore di corrente con una resistenza e un condensatore collegati in parallelo. La costante τ = RC è la costante di tempo del sensore ed è legata alla catena di resistenze e condensatori, oltre che all’impedenza caratteristica di cavi e dinodi. In uscita la corrente misurata sarà del tipo I(t) = V dV GN −t e τs = +C τs R dt dove N è il numero di elettroni emessi dal fotocatodo e τs il tempo di diseccitazione dello stesso. Integrando si ottiene il seguente valore di tensione i h − GN eR e− τts − e− τt τ= 6 τs τ −τs V (t) = − GN2eR te− τts τ = τs τ s Per τ τs il segnale in uscita è piccolo, tuttavia riproduce fedelmente la curva del segnale prodotto dal fotocatodo. In questo caso si parla di operazione in corrente e il tempo di risposta è rapido e determinato in buona approssimazione da τ . Viceversa per τ τs si parla di operazioni in voltaggio e la corrente 68 Rivelazione di raggi cosmici è integrata dal condensatore. In generale è preferibile lavorare in tensione, in quanto il segnale è più largo e le fluttuazioni sono soppresse dall’integrazione, tuttavia il rate dei conteggi deve essere minore dell’inverso di τ per evitare la sovrapposizione di più segnali. Operando in corrente all’opposto la sensibilità diminuisce, ma aumenta il rate di conteggi misurabile (aumentano anche le fluttuazioni). Principali fonti di rumore possono essere derivanti da fluttuazioni statistiche dei tempi di transito degli elettroni nel fotomoltiplicatore. Tali differenze di tempi di transito sono dovute principlamente alla geometria asimmetrica del fototubo: elettroni emessi in punti diversi del fotocatodo giungono all’anodo (moltiplicati in numero) in tempi diversi. In media il tempo di transito degli elettroni nel fotomoltiplicatore può essere valutato come r 2me Ek ∆t = e2 E 2 dove il termine Ek è la porzione di energia cinetica dovuta alla velocità ortogonale alla superficie del catodo dell’elettrone emesso. Quando la finestra del fotomoltiplicatore viene chiusa, al catodo si può rilevare una corrente di fondo residua. Questo dark-noise o dark-current può essere attribuito a diversi fattori: • emissione termoionica da parte del catodo o dei dinodi (fattore principale); • perdite di corrente; • contaminazioni radioattive; • fenomeni di ionizzazione e conseguente creazione di portatori di carica accelerati dal campo E; • perdita di isolamento dalla radiazione elettromagnetica dell’involucro del fototubo. Essendo il fattore termoionico predominante rispetto alle altre fonti di rumore, si può ridurre la temperatura di funzionamento del fototubo per ridurre in modo consistente il rumore di fondo. I fotomoltiplicatori sono dispositivi sensibili alla luce: è quindi importante assicurarsi che non ricevano una illuminazione diretta. Quando sono scollegati la luce incidente nel fototubo (se non è di minima intensità come quella proveniente dagli scintillatori) potrebbe portare ad un aumento della corrente di buio, fenomeno destinato ad annullarsi in un tempo dipendente dall’energia cui è stato sottoposto il trasduttore. Se invece un fotomoltiplicatore alimentato viene esposto alla luce dell’ambiente si genera una extracorrente e un conseguente stress del componente che potrebbe anche danneggiarsi irrimediabilmente. L’efficienza del fototubo può essere ridotta a causa della presenza di campi magnetici esterni che deviano il normale flusso degli elettroni accelerati. A tal 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza 69 fine spesso si ricopre il fototubo con uno strato metallico per schermare un eventuale campo magnetico esterno. La stabilità del guadagno del fotomoltiplicatore può essere alterata da fenomeni di drift (di guadagno) o shift (nel tempo): entrambi alterano il guadagno di circa 1%, quindi sono difficilmente rilevabili. 2.1.4 Logica NIM I segnali elettrici possono essere classificati in segnali veloci e lenti. Mentre i primi sono più adatti per operazioni di conteggio di eventi in tempi brevi i secondi sono meno affetti da disturbi e da rumore di fondo. In generale debbono essere trattati con circuiti differenti, in quanto il tempo di tansito di un segnale veloce all’interno di un circuito (quale ad esempio un amplificatore) deve essere controllato ed inoltre i segnali veloci possono essere alterati dalla presenza di induttanze e condensatori all’interno della catena che causano correnti parassite, fonti di errori sistematici nella misura. In caso di segnali veloci come quelli provenienti da rivelatori di particelle è importante la lunghezza dei collegamenti elettrici, che deve essere la minima compatibile con la disposizione dell’apparato strumentale, e la loro impedenza. Un altro fattore importante sono le riflessioni (fenomeni di eco) di segali all’interno dei collegamenti: tali riflessioni possono essere controllate terminando con opportune impedenze i terminali liberi (non collegati ad altri devices). Nella fisica dei rivelatori si utilizza lo standard NIM che prevede tutte le possibili cause di rumore ed è studiato per il trasporto e l’analisi di segnali veloci o lenti. I moduli sono compatibili con entrambi i tipi di segnale, tuttavia è necessario adattare le impedenze in modo opportuno qualora sia necessario mescolare i due tipi di segnale elettrico nella stessa catena. Tutto l’apparato in standard NIM deve avere tempi di risposta molto rapidi e deve poter operare ad elevate frequenze per evitare la perdita o la sovrapposizione di eventi successivi. Lo standard NIM accetta moduli di elaborazione del segnale analogico e digitale o convertitori ADC-DAC. La logica NIM prevede uno standard positivo per segnali lenti e negativo per segnali veloci. Per questi ultimi sono previsti cavi coassiali con impedenza 50 Ω e tempi di salita dei circuiti non superiori a 1ns. Discriminatori Sono devices in logica NIM che trasformano un segnale analogico (quale quello proveniente da un fotomoltiplicatore) in un segnale digitale (adatto al conteggio di eventi). Ogni qual volta la tensione supera un certo valore di soglia (threshold) il discriminatore fornisce un segnale logico 1, mentre in caso opposto il segnale logico è 0. Ottimizzando opportunamente il valore di threshold è pos- 70 Rivelazione di raggi cosmici sibile selezionare alcuni eventi che forniscano un segnale analogico di una certa entità. Discriminatori differenziali Operano come i discriminatori, ma forniscono un valore logico 1 solo se la tensione analogica è compresa all’interno di un determinato range. Solitamente sono presenti più discriminatori differenziali in un unico modulo, in modo tale da poter eseguire conteggi di eventi diversi discriminabili da diversi range di tensione. Ad esempio è possibile (ammettendo di lavorare nella zona di linearità del rivelatore) contare il numero di particelle di data energia che impattano lo scintillatore in un certo intervallo di tempo e misurare sperimentalmente una curva di conteggi in funzione dell’energia. Shaper Questi devices accettano impulsi di diversa ampiezza e durata nel tempo e li trasformano in segnali logici di ampiezza determinata e di predefinita durata di tempo. Delayer Una volta che il segnale analogico è stato convertito con metodi diversi in un segnale logico è possibile eseguire operazioni logiche di addizione o confronto di più segnali. Ad esempio qualora si voglia verificare che un evento A sia avvenuto in corrispondenza di un evento B occorre sommare logicamente i due segnali. Tuttavia è possibile che i due segnali, provenienti da catene di elaborazione diverse (diversi sensori e diversi stadi di elaborazione del segnale), siano affetti da ritardi non confrontabili. In questo caso il modulo NIM incaricato di verificare la coincidenza potrebbe non eseguire in modo corretto l’operazione. È quindi necessario procedere a inserire in una catena o in entrambe un ritardo opportuno. Questo ritardo viene inserito mediante delayer digitali. Occorre ricordare che i moduli di delay inseriscono un offset temporale standard, come indicato sul modulo stesso. Tale ritardo sistematico è dovuto essenzialmente ai tempi di transito del segnale nel modulo. Moduli di coincidenza e porte logiche Vi sono spesso all’interno della catena NIM dei moduli che svolgono operazioni logiche sui segnali. Generalmente si tratta di porte logiche che operano in standard di tempo di risposta e di logica NIM. In particolare possiamo trovare porte AND e OR che accettano due dati in ingresso e forniscono in uscita un valore logico secondo le seguenti tabelle di verità: 2.1 Introduzione e fisica dell’esperienza A B 0 0 0 1 1 0 1 1 AND 0 0 0 1 71 OR 0 1 1 1 Le porte OR possono essere assimilate al prodotto dei due ingressi, mentre le porte AND alla somma degli ingressi (normalizzata all’unità). Inoltre si possono avere porte NOT che accettano un unico valore in ingresso e danno in uscita il valore negato: A NOT 0 1 1 0 Applicare al segnale una porta NOT equivale a moltiplicarlo per -1. I moduli di coincidenza comparano due o più segnali logici e verificano se essi sono nello stesso istante nello stato 1. I segnali possono essere anche non perfettamente coincidenti, ovvero possono avere un breve ritardo tra loro, tuttavia devono essere tali per cui la coincidenza è verificata per un tempo pari al tempo di risoluzione del modulo (nel caso della logica NIM tale tempo è di circa 3ns). All’uscita delle porte logiche il segnale viene conformato in modo che abbia lunghezza e ampiezza standard per essere conteggiato mediante uno scaler. Solitamente si trova su ciascun modulo una vite di regolazione della larghezza del segnale. 25ns 0 1 Segnali non coincidenti 0 1 0 1 Segnali coincidenti 0 1 0 1 Segnali parzialmente coincidenti 0 1 3ns (max) Figura 2.6: Schema delle coincidenze 72 2.2 Rivelazione di raggi cosmici Osservazione del rumore di fondo Somando gli effetti della corrente di buio dello scintillatore e del rumore di fondo del fotomoltiplicatore è possibile rilevare in uscita picchi di segnale non associabili ad alcun evento fisico. L’entità di questa componente del segnale è un parametro da stimare in modo accurato, in quanto permette di stabilire le soglie di misura. Ovviamente occorre procedere ad una misura per ciascun elemento rivelatore, in quanto in generale ci si può attendere rumori di fondo non confrontabili su catene di misura diverse, sebbene composte da elementi dello stesso tipo (ad esempio due scintillatori organici plastici possono comportarsi in maniera differente). Rivelatore organico plastico Fotomoltiplicatore -2200V out -2000V out Fotomoltiplicatore Rivelatore organico liquido Figura 2.7: Rivelatori di particelle: scintillatori e fotomoltiplicatori Si hanno a disposizione tre rivelatori organici: due di tipo plastico e uno di tipo liquido. Il setup sperimentale consta nella disposizione dei rivelatori con i fotomoltiplicatori annessi e dell’esecuzione dei collegamenti. Per ciascun fototubo è disponibile nel cradle apposito un alimentatore in grado di fornire tensioni accoppiate negative di intensità variabile. Occorre collegare le uscite di tali dispositivi ai fotomoltiplicatori corrispondenti. Prima di accendere gli alimentatori occorre accertarsi che la tensione in uscita sia piccola. Dopo l’accensione è possibile aumentare la tensione a piccoli passi, sino al raggiungimento della tensione di lavoro standard (-2200 V per i fototubi accoppiati a scintillatori plastici e -2000 V per il fotomoltiplicatore dello scintillatore a liquido). In modo analogo prima di spegnere l’alimentazione è consigliato ridurre a valori prossimi allo zero la tensione di alimentazione dei fototubi al fine di evitare possibili sbalzi. Una volta raggiunte le tensioni opportune si procede alla misura della tensione di rumore collegando di volta in volta l’uscita di un fototubo ad un oscilloscopio molto rapido (100 MHz di fondoscala sull’asse dei tempi). Si imposta un valore di persistenza dell’immagine di qualche secondo e si verifica che l’uscita dei picchi più alti sia dell’ordine dei 100 mV. Si nota che in questa configurazione tutti i segnali sono negativi, quindi il trigger dovrà essere impostato 2.2 Osservazione del rumore di fondo 73 per agire su rampe con derivata negativa (discese). Se si imposta un livello di trigger più basso emerge una componente del segnale costante nel tempo che si infittisce agendo opportunamente anche sulla persistenza dell’immagine. Il trigger correttamente impostato si è rivelato un buon metodo per selezionare il rumore di fondo dell’apparato. È da ricordarsi che i cavi da utilizzare sono di tipo NIM, quindi è consigliato scegliere cavi con tempi di percorrenza simili su tutti i rivelatori, al fine di evitare delay troppo elevati, non controllabili nelle fasi successive. Inoltre tutti i terminali liberi, compresi quelli presenti sui moduli, devono essere terminati con un’impedenza da 50 Ω. Una volta raggiunta una regolazione opportuna si può bloccare l’acquisizione dello strumento e salvare i dati grafici oltre che misurare l’altezza del picco mediante cursori orizzontali. Analizzando la forma della risposta di ciascuno scintillatore si nota che lo scintillatore liquido ha un tempo di salita maggiore rispetto agli scintillatori plastici che presentano riposte simili. Figura 2.8: Risposta del rivelatore A per un cosmico incidente Abbiamo alimentato i fotomoltiplicatori con le seguenti tensioni: VhA = −2200[V ] scintillatore plastico - A VhB = −2200[V ] scintillatore plastico - B VhC = −2000[V ] scintillatore liquido - C I valori di soglia sono stati selezionati dal segnale tenendo conto di due fattori: il valore di soglia è un valore pressochè costante nel tempo e attorno a questo valore si addensa un gran numero di valori; inoltre abbiamo considerato che i raggi cosmici hanno una coda molto allargata e di forma costante. Il rumore di fondo ha forme diverse e in particolare si possono osservare curve anche distanti dal picco centrale di ampezza confrontabile con il picco di rumore. 74 Rivelazione di raggi cosmici Figura 2.9: Risposta del rivelatore B per un cosmico incidente Figura 2.10: Risposta del rivelatore C per un cosmico incidente Questi sono i risultati delle misure eseguite. VnoiseA = −37.1[mV ] scintillatore plastico - A VnoiseB = −41.2[mV ] scintillatore plastico - B VnoiseC = −55.2[mV ] scintillatore liquido - C La determinazione del rumore di fondo con queste modalità fornisce un parametro non molto oggettivo, infatti abbiamo verificato che le curve sono sovrapposte e il picco centrale del rumore, rappresentato da una traccia più intensa e quindi indice della sovrapposizione di più segnali simili registrati in tempi successivi, presenta una coda abbastanza importante che sfuma verso il basso. Per scegliere un valore coerente in tutte le misure abbiamo deciso di tagliare la coda del picco. Nello scintillatore liquido è stato tuttavia più difficile identificare la netta divisione tra il picco e la coda. 2.3 Determinazione della tensione di lavoro dei fototubi 75 La determinazione del rumore di fondo della catena di misura serve per impostare il discriminatore in modo opportuno. In generale si sceglie un valore di soglia superiore al valore di noise, in modo tale da selezionare gli eventi. Abbiamo potuto verificare nel caso dello scintillatore liquido che, se il rumore di fondo è dell’ordine di -40 mV, i raggi cosmici producono segnali dell’ordine di circa -80 mV, quindi la soglia può essere impostata anche a valori superiori (in modulo) rispetto al Vnoise . La scelta della soglia opportuna in relazione con la tensione di lavoro dei fototubi deve essere verificata con altri metodi ed eventualmente corretta in seguito. 2.3 Determinazione della tensione di lavoro dei fototubi Le tensioni di soglia si regolano mediante l’apposita vite posta sul fronte del modulo; la tensione di soglia può essere letta mediante un voltmetro collegato alla boccola di test (i valori letti in mV devono essere poi divisi per 10). È stato scelto di impostare una soglia pari a 1.2 volte l’ampiezza del rumore, per eliminare la tensione di buio e contemporanamente non tagliare troppo le informazioni relative ai cosmici meno energetici. Sono state selezionate le seguenti tensioni di soglia per ciascun canale del discriminatore. HighVoltage A Discriminatore Scaler A HighVoltage B Discriminatore Scaler C HighVoltage C Scaler B Discriminatore Figura 2.11: Setup sperimentale: misura della HV VnoiseA = −44.5[mV ] scintillatore plastico - A VnoiseB = −49.5[mV ] scintillatore plastico - B VnoiseC = −62.2[mV ] scintillatore liquido - C Gli ingressi del discriminatore devono essere collegati ai tre fotomoltiplicatori e terminare con resistenze da 50 Ω; le uscite dello stesso vanno inviate agli ingressi dello scaler (dopo il discriminatore i segnali sono NIM digitali). 76 Rivelazione di raggi cosmici Al fine di poter confrontare i valori di scintillatori di dimensioni diverse occorre misurare la superficie sensibile di ciascuno di essi e calcore il rate (il numero di eventi contati dallo scaler ingloba la dipendenza dalla superficie del sensore). A → (73.0x16.0 ± 0.1)[cm] B → (73.0x16.0 ± 0.1)[cm] C → (80.0x80.0 ± 0.1)[cm] Le misure geometriche dei rivelatori sono state eseguite con un metro, considerando solo la parte sensibile di ciascuno scintillatore. Tuttavia sono state considerate le misure esterne del rivelatore, trascurandone lo spessore delle pareti. A causa di questo fatto, tali misure possono essere affette da errori sistematici. Aumentando la tensione di alimentazione dei fotomoltiplicatori si può massimizzare l’efficienza del rivelatore, tuttavia oltre un certo limite di tensione l’efficienza non migliora, mentre il rumore di fondo aumenta in modo sensibile. La situazione ideale è porsi nelle condizioni in cui l’efficienza è massima, pur non superando di molto il valore di saturazione del device al fine di mantenere un rapporto segnale/rumore favorevole. Al fine di determinare sperimentalmente la tensione di lavoro ottimale è possibile eseguire più misure di rate a tensioni diverse per ciacun device. Si osserva una crescita dei conteggi proporzionale all’aumento della tensione sino ad un valore limite, oltre il quale il numero di conteggi rimane costante. La tensione di lavoro non deve superare la tensione massima di alimentazione dichiarata dal costruttore del device e non deve essere inferiore al minimo di lavoro, altrimenti il rivelatore non funziona in modo corretto. Al fine di misurare l’errore sulla determinazione del numero√ di eventi occorre ricordare che una misura di eventi x è affetta da un errore δx = x. Per ottenere un errore inferiore al 3% della misura occorre considerare tempi di acquisizione che permettano conteggi superiori a 1000 eventi. Selezionando la tensione di lavoro al limite inferiore del plateau si nota un incremento sensibile dei conteggi di alcuni ordini di grandezza superiori al valore atteso. Questo fatto può essere spiegato analizzando il segnale mediante l’oscilloscopio: si nota che il rumore è aumentato in modo sensibile. Si è quindi scelto di abbassare le tensioni di alimentazione dei fotomoltiplicatori (diminuendone quindi il guadagno) rispetto al valore di limite del plateau al fine di ottenere conteggi confrontabili con il valore atteso o leggermente superiori. VhA = −2220[V ] scintillatore plastico - A VhB = −2220[V ] scintillatore plastico - B VhC = −2050[V ] scintillatore liquido - C Si può quindi impostare un tempo di acquisizione dell’ordine di 100s e provare il rate di ciascuna catena, ripetendo le misure alcune volte. Lo scopo è di determinare se i cosmici rivelati da A e B, scintillatori plastici con la stessa superficie sensibile, appartengano alla stessa popolazione. 2.3 Determinazione della tensione di lavoro dei fototubi HV -1700[V] -1750 -1800 -1850 -1900 -1950 -2000 -2050 -2100 -2150 -2200 -2250 -2275 -2300 -2325 -2350 -2400 -2450 -2500 -2550 -2600 δHV 1[V] A δA B δB 9 39 110 269 574 943 1896 8526 13553 17620 22085 25190 32763 41643 54089 71060 99048 3 6 10 16 24 31 44 92 116 133 149 159 181 204 233 267 315 18 35 115 347 679 1183 2175 10426 16144 21744 31913 35517 46438 55667 64505 82662 101575 4 6 11 19 26 34 47 102 127 147 179 188 215 236 254 287 319 C 2616 3355 4118 5004 5776 6784 8368 10989 11182 19367 77 δC 51 58 64 71 76 82 91 105 106 139 Tabella 2.1: Misura di eventi al variare di HV - ∆T = 100.000s A 2275 2234 2091 2468 2383 2229 2011 2392 2141 2077 2270 2163 2257 2462 2186 B 2320 2299 2013 2114 2092 2402 2271 2038 2495 2175 2085 2302 2135 2270 2028 C 12027 12200 12462 12402 12020 12344 11812 12148 12197 12108 11917 12353 11968 12317 11786 Tabella 2.2: Misura di eventi sui singoli rivelatori - ∆T = 100.000s Il rumore di fondo può essere eliminato osservando le coincidenze tra i diversi segnali. Il rumore di fondo di ciascun fotomoltiplicatore è infatti scorrelato da quello generato dagli altri due, non essendo generato dal passaggio di raggi cosmici. Eseguendo le misure in coincidenza il rumore di fondo viene eliminato dal conteggio, sebbene alcuni errori statistici possono essere dovuti a coincidenze casuali. Se al contrario la soglia è troppo bassa (in modulo e ad una fissata tensione di alimentazione del fototubo) alcuni eventi non vengono conteggiati e vengono persi anche nelle coincidenze. 78 Rivelazione di raggi cosmici 2.3.1 Elaborazione dati Sono stati calcolati i rates per ciascuna misura di eventi sui singoli scintillatori al variare della tensione di alimentazione dei fotomoltiplicatori, tenendo conto di un tempo di acquisizione di 100000 ± 1[ns]. L’informazione molto precisa sul tempo di acquisizione permette di valutare come poco apprezzabile la prozione di incertezza addotta da questa grnadezza nel calcolo dell’incertezza dei rates. HV [V] -1700±1 -1750 -1800 -1850 -1900 -1950 -2000 -2500 -2100 -2150 -2200 -2250 -2275 -2300 -2325 -2350 -2400 -2450 -2500 -2550 -2600 (A + B) ∗ C [Hz] δ(A+B)∗C [Hz] 0.09 0.39 1.1 2.7 5.7 9.4 19.0 85.3 136 176 221 252 328 416 541 711 990 0.03 0.06 0.1 0.2 0.2 0.3 0.4 0.9 1 1 1 2 2 2 2 3 3 A + B [Hz] 0.18 0.35 1.2 3.5 6.8 11.8 21.8 104 161 217 319 355 464 557 645 827 1016 δA+B [Hz] 0.04 0.06 0.1 0.2 0.3 0.3 0.5 1 1 1 2 2 2 2 3 3 3 C [Hz] δC [Hz] 26.2 33.6 41.2 50.0 57.8 67.8 83.7 110 112 194 0.5 0.6 0.6 0.7 0.8 0.8 0.9 1 1 1 Tabella 2.3: Misura della curva di coincidenza sperimentale - rates I rates sono quindi stati plottati in scala logaritmica per verificarne l’andamento. Le discontinuità presenti in maniera più o meno accentuata su tutte e tre le curve evidenziano che in questi punti il rumore dei fotomoltplicatori aumenta in modo sensibile e in particolare supera la soglia impostata sui rispettivi discriminatori. I dati ottenuti dalla√misura di popolazioni sono stati elaborati calcolandone l’errore, stimato come n, essendo i dati distribuiti secondo una distribuzione poissoniana con probabilità pari a 12 . I rate è stato calcolato dividendo il numero di conteggi per il tempo di acquisizione, fissato a 100.000 ± 0.001[s]. A 2275 2234 2091 2468 2383 2229 2011 2392 2141 2077 2270 2163 2257 2462 2186 σA 48 47 46 50 49 47 45 49 46 46 48 47 48 50 47 RA [Hz] 22.75 22.34 20.91 24.68 23.83 22.29 20.11 23.92 21.41 20.77 22.70 21.63 22.57 24.62 21.86 σRA [Hz] 0.48 0.47 0.46 0.50 0.49 0.47 0.45 0.49 0.46 0.46 0.48 0.47 0.48 0.50 0.47 B 2320 2299 2013 2114 2092 2402 2271 2038 2495 2175 2085 2302 2135 2270 2028 σB 48 48 45 46 46 49 48 45 50 47 46 48 46 48 45 RB [Hz] 23.2 22.99 20.13 21.14 20.92 24.02 22.71 20.38 24.95 21.75 20.85 23.02 21.35 22.70 20.28 σRB [Hz] 0.48 0.48 0.45 0.46 0.46 0.49 0.48 0.45 0.50 0.47 0.46 0.48 0.46 0.48 0.45 C 12027 12200 12462 12402 12020 12344 11812 12148 12197 12108 11917 12353 11968 12317 11786 σC 110 110 112 111 110 111 109 110 110 110 109 111 109 111 109 Tabella 2.4: Rate di eventi singoli - ∆T = 100.000s RC [Hz] 120.27 122.00 124.62 124.02 120.20 123.44 118.12 121.48 121.97 121.08 119.17 123.53 119.68 123.17 117.86 σRC [Hz] 0.48 0.47 0.46 0.50 0.49 0.47 0.45 0.49 0.46 0.46 0.48 0.47 0.48 0.50 0.47 2.3 Determinazione della tensione di lavoro dei fototubi 79 Log@rateD 6 4 2 0 -2 2000 2100 2200 2300 2400 2500 2600 -HV @VD Figura 2.12: Rates misurati da A in funzione di HV Log@rateD 6 4 2 0 2000 2100 2200 2300 2400 2500 2600 -HV @VD Figura 2.13: Rates misurati da B in funzione di HV Per ogni set di dati provenienti da ciascuno scintillatore sono stati calcolati il valor medio e la deviazione standard del valor medio A = 2243[Hz] σA = 36[Hz] σA = 1.6% B = 2203[Hz] σB = 38[Hz] σB = 1.7% 80 Rivelazione di raggi cosmici Log@rateD 6 5.5 5 4.5 4 3.5 1800 1900 2000 2100 -HV @VD Figura 2.14: Rates misurati da C in funzione di HV C = 12137[Hz] σC = 55[Hz] σC = 0.5% Mediante un test di Student è stata verificata con un margine di errore del 5% l’appartenenza alla stessa popolazione dei raggi cosmici incidenti sui rivelatori A e B (aventi la stessa superficie sensibile): t= q |xA − xB | 2 2 (N −1)σXA +(N −1)σXA 2N −2 = 1.088 < tc = 1.7 Il risultato positivo del test permette di asserire con un margine di errore del 5% che i raggi cosmici incidenti sulle due superfici sensibili di A e B appartengono alla stessa popolazione come intuitivamente è prevedibile. Proseguendo nell’analisi sono stati calcolati i valori dei rates normalizzati per unità di superficie sensibile. RA = 192.0 ± 3.3[Hzm−2] RB = 188.6 ± 3.5[Hzm−2] RC = 189.6 ± 0.9[Hzm−2] Si può notare che la determinazione del tempo di acquisizione è molto precisa e l’incertezza associata a questa grandezza influisce nella propagazione degli errori per qualche decimo di parte su mille. Si può quindi considerare il tempo di acquisizione come una costante esatta, trascurandone l’incertezza. Si può notare che i rates medi sono confronatbili tra loro, tuttavia approssimano per ecesso il rate atteso R = 180[s−1 m−2 ]. Questo è dovuto al fatto che 2.4 Misura della curva di coincidenza 81 sono state impostate tensioni di soglia troppo basse (in modulo). Questa scelta è stata fatta per avere una certa sicurezza di conteggiare tutti i cosmici, ma in questo caso il rate evidenzia che vengono conteggiati come cosmici anche alcuni segnali di rumore. Questo errore sistematico verrà corretto mediante il conteggio dei cosmici in coincidenza di più rivelatori. È possibile confrontare questi valori tra loro, mediante tests di Student, per valutare se anche i cosmici che incidono il rivelatore C siano appartenenti alla stessa popolazione di quelli rivelati dagli scintillatori A e B. I tests sono stati eseguiti con le stesse modalità del test precedente. tAB = 1.01 tAC = 0.97 tBC = 0.42 DF = 28 → tc = 1.7 Tutti i tests eseguiti hanno confermato, con una probabilità di errore del 5%, che i cosmici incidenti sulle tre superfici appartengono alla stessa popolazione. 2.4 Misura della curva di coincidenza Essendo i segnali inviati allo scaler di tipo logico è possibile eseguire operazioni logiche su di essi quali AND e OR. In particolare si vuole determinare il numero di coincidenze, ovvero il numero di eventi rivelati contemporaneamente dallo scintillatore liquido e dai due scinitillatori plastici, considerati un unico rivelatore: occorre in altre parole misurare il numero di eventi di [(A or B) and C]. A tal fine occorre verificare che i segnali forniti in uscita dai discriminatori siano confrontabili in termini di larghezza. Si può visualizzare il segnale prodotto dal device mediante un oscilloscopio. Il segnale è composto da una serie di onde quadre di altezza -800mV in corrispondenza della rivelazione di un probabile evento. La larghezza di ciascun segnale è regolata mediante un potenziometro posto sul modulo discriminatore. È stata scelta una larghezza a mezza altezza (FWHM) di ciascun segnale pari a 25ns. I segnali logici sono quindi inviati ai moduli di addizione e coincidenza, secondo quanto riportato nel diagramma a blocchi. La larghezza del segnale dopo il modulo di addizione deve essere impostata a 25ns, in modo analogo a quanto già eseguito in precedenza. Il valore scelto per la larghezza del segnale determina il tempo di risoluzione dell’apparato. È quindi importante che sia un tempo piccolo; tuttavia si deve tenere conto della capacità dello scaler di discriminare due eventi consecutivi, quindi non può essere un tempo troppo breve. Inoltre una larghezza maggiore rende il modulo di coincidenza meno sensibile a eventuali ritardi non sistematici del segnale. I moduli di delay inseriti nella catena servono a compensare eventuali differenze di tempo presenti. I ritardi, che sono pressoché costanti (e distribuiti 82 Rivelazione di raggi cosmici A: scintillatore organico plastico B: scintillatore organico plastico C: scintillatore organico liquido B A C Figura 2.15: Disposizione dei rivelatori per la determinazione della curva di coincidenza in modo normale), possono essere causati da diversi tempi di salita dello scintillatore e del relativo fototubo, da cavi di lunghezza diversa (e quindi tempi di transito del segnale diversi) o da tempi di risposta dei vari apparati non confrontabili tra loro. Al fine di determinare il ritardo che permette di sincronizzare i segnali che giungono al modulo di coincidenza occorre procedere ad un analisi sistematica: si contano gli eventi [A or B], [C] e [(A or B) and C], con tempi di acquisizione dell’ordine della decina di minuti impostando ad ogni misura tempi di ritardo diversi a step fissi, sia su un canale che sull’altro. Graficando la curva di coincidenza in funzione del ritardo si prevede di ottenere un grafico simmetrico attorino al valore ottimale di ritardo. Le misure sono state eseguite su tempi di 600 s. Il ritardo è stato impostato a step di 4ns. Si considerano positivi i ritardi impostati sulla catena dei conteggi dei rivelatori plastici. Le misure sono state eseguite impostando diversi ritardi, al fine di determinare la risoluzione temporale dell’apparato di misura e il ritardo ottimale da impostare al fine di verificare le corrette coincidenze. Tale tempo di ritardo può essere previsto teoricamente, seppur con una certa imprecisione, considerando le lunghezze dei cavi inseriti in ciascun canale e i tempi di percorrenza del segnale in ciascun modulo che costituisce la catena NIM; tuttavia una determinazione sperimentale è necessaria per ridurre possibili cause di errori sistematici. Il setup sperimentale, come rappresentato in figura 2.16, consiste nella costruzione di due catene di segnali logici che dovrebbero conteggiare gli stessi eventi. Gli scintillatori plastici (A e B), posti al di sopra dello scintillatore a liquido (C), sono adiacenti, in modo tale da costituire una superficie sensibile di dimensioni prossime a quella del rivelatore a liquido. Si vuole determinare la coincidenza della rivelazione di un raggio cosmico da parte di uno dei due scintillatori plastici e dello scintillatore liquido. I tre scintillatori sono alimentati con le tensioni ricavate nella precedente 2.4 Misura della curva di coincidenza 83 HighVoltage A Discriminatore OR HighVoltage B A+B Discriminatore Scaler A+B ch1 ch2 Discriminatore AND (A+B)*C Scaler C Scaler (A+B)*C HighVoltage C Delay C Delay Figura 2.16: Setup sperimentale: misura della curva di coincidenza parte dell’esperienza e sono collegati ai tre discriminatori (le tensioni di soglia sono rimaste invariate rispetto al setup precedente). I segnali logici provenienti dai due scintillatori sono addizionati mediante un modulo OR. I segnali nei due circuiti transitano in due delayer, quindi vengono analizzati mediante un modulo di coincidenza logica. Allo scaler sono inviati i segnali provenienti dal modulo di coincidenza, dal modulo OR e dal discriminatore collegato al rivelatore C, su canali separati. È possibile inserire un oscilloscopio (dotato di impedenza corretta) nella catena logica dei segnali, in modo da verificare nel corso della misura le impostazioni e le variazioni del segnale in base alle scelte fatte. 2.4.1 Acquisizione dati È stato scelto un tempo di acquisizione di 600.000 s per ciascuna misura. La larghezza dei segnali logici è stata impostata per un tempo di 25 ns su entrambe le linee ed è stato verificato questo valore collegando l’oscilloscopio digitale all’uscita di ciascun rivelatore (è stata considerata la larghezza a mezza altezza del segnale) e a valle dei moduli logici. La misura è iniziata impostando ritardi sulla linea dei rivelatori plastici (ritardi positivi), quindi sono state azzerate le impostazioni e si sono inseriti ritardi sulla linea dello scintillatore liquido. Inizialmente è stato scelto uno step di ritardo di 4ns, poi, dopo aver messo in grafico i dati ottenuti, sono state prese delle misure aggiuntive in alcuni punti intermedi. 2.4.2 Risultati Dai dati acquisiti sono stati calcolati i rates di cosmici, considerando tempi di acquisizione pari 600.000 ± 0.001[s]. 84 Rivelazione di raggi cosmici DeltaT [ns] -48±1 -44 -40 -38 -36 -34 -32 -30 -28 -24 -20 -16 -12 -8 -4 0 4 8 10 12 14 16 20 24 28 32 (A + B) ∗ C 13 68 292 496 763 1136 1421 1576 1663 1697 1652 1680 1707 1626 1637 1655 1737 1573 1321 1133 822 486 297 136 95 66 δ(A+B)∗C A+B δA+B C δC 4 8 17 22 28 34 38 40 41 41 41 41 41 40 40 41 42 40 36 34 29 22 17 12 10 8 26156 26024 26066 26322 25486 25820 25858 26119 26438 26320 26093 26264 26372 25942 25875 25151 25553 25860 26472 25615 26462 25339 25675 26067 26081 26019 162 161 161 162 160 161 161 162 162 162 162 162 162 161 161 159 160 161 163 160 163 159 160 161 161 161 78306 77959 78192 76734 77417 77544 77569 77879 77769 78141 77969 77847 77815 76983 77457 74919 74955 74805 77455 74715 77739 75002 74605 74635 74900 74779 280 279 280 277 278 278 279 279 279 280 279 279 279 277 278 274 274 274 278 273 279 274 273 273 274 273 Tabella 2.5: Misura della curva di coincidenza sperimentale DeltaT [ns] -48±1 -44 -40 -38 -36 -34 -32 -30 -28 -24 -20 -16 -12 -8 -4 0 4 8 10 12 14 16 20 24 28 32 (A + B) ∗ C 0.022 0.113 0.49 0.83 1.27 1.89 2.37 2.63 2.77 2.83 2.75 2.80 2.85 2.71 2.73 2.76 2.89 2.62 2.20 1.89 1.37 0.81 0.49 0.23 0.16 0.110 δ(A+B)∗C A+B δA+B C δC 0.006 0.014 0.03 0.04 0.05 0.06 0.06 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.07 0.06 0.06 0.05 0.04 0.03 0.02 0.02 0.014 43.6 43.4 43.4 43.9 42.5 43.0 43.1 43.5 44.1 43.9 43.5 43.8 43.9 43.2 43.1 41.9 42.6 43.1 44.1 42.7 44.1 42.2 42.8 43.4 43.5 43.4 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 0.3 130.5 129.9 130.3 127.9 129.0 129.2 129.3 129.8 129.6 130.2 129.9 129.7 129.7 128.3 129.1 124.9 124.9 124.7 129.1 124.5 129.6 125.0 124.3 124.4 124.8 124.6 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 0.5 Tabella 2.6: Misura della curva di coincidenza sperimentale - rates I rates della coincidenza sono stati rappresentati in un grafico, in funzione del ritardo impostato. Il grafico ha un andamento simmetrico rispetto ad un valore di tensione intorno a -10 [ns] (ritardo positivo impostato sui segnali provenienti dal rivelatore C). 2.4 Misura della curva di coincidenza 85 rate @HzD 3 2.5 2 1.5 1 0.5 -40 -20 20 ritardo @nsD Figura 2.17: Coincidenze in funzione del ritardo I dati vengono interpolati mediante una serie di tre fit lineari, uno per il tratto a derivata positiva, uno per il tratto a derivata negativa e uno sulla regione di plateau costante. Sono stati eliminati dai fit i punti iniziali e finali, costituenti le code esterne del grafico. La bontà dei tre fit è stata valutata con tests del χ 2 (abbiamo ottenuto fit corretti con una probabilità massima di errore del 1%) (y=a+bx). Tratto a derivata positiva ρ = 0.994 a = 9.5 ± 0.2[Hz] b = 0.225 ± 0.005[Hz ns−1 ] χ2 = 3.29 DF = 4 → χ2critico = 3.32 Plateau ρ = 0.11 a = 2.79 ± 0.03[Hz] b = 0.000 ± 0.002[Hz ns−1 ] χ2 = 1.6 DF = 7 → χ2critico = 2.6 Tratto a derivata negativa ρ = −0.994 a = 4.5 ± 0.1[Hz] b = −0.223 ± 0.008[Hz ns−1 ] χ2 = 2.96 DF = 3 → χ2critico = 3.78 Per il tratto costante si confronta il coefficiente angolare della retta con il valore atteso (0) attraverso test normale: 86 Rivelazione di raggi cosmici rate @HzD 3 2 1 -40 -20 20 ritardo @nsD -1 Figura 2.18: Coincidenze in funzione del ritardo - rette z= 0.0006 = 0.37 < zc = 1.96 0.0016 Per ottenere la FWHM, rappresentante il tempo di risoluzione dell’apparato, occorre intersecare le tre rette e valutare l’altezza del punto medio del plateau. Considerandone la metà si costruisce una retta orizzontale e si verficano le intersezioni di quest’ultima con i tratti di salita e discesa. La distanza tra questi due punti è la larghezza a metà altezza della curva, con la relativa incertezza (ottenuta mediante propagazione). F W HM = 49.5 ± 1.4[ns] 2.5 2.5.1 Misura di eventi accidentali Setup sperimentale Il setup sperimentale è analogo a quello realizzato nella parte precedente dell’esperienza, salvo che si imposta su un canale il ritardo massimo (nel corso dell’esperineza è stato scelto un ritardo di 63 ns). 2.5.2 Acquisizione dati La quantificazione di eventi accidentali (o meglio la determinazione del loro rate) costituisce un valido modo per eliminare parte degli errori statistici cui sono affette le misure di eventi. I rivelatori forniscono un segnale in uscita che è composto da una parte di segnale realmente prodotto dall’impatto di raggi cosmici sulla superficie sensibile del fototubo e da una parte di rumore a basso 2.5 Misura di eventi accidentali 87 voltaggio non imputabile all’azione di cosmici. Parte di questo rumore viene eliminato impostando correttamente le soglie di lavoro dei discriminatori, tuttavia è possibile che una porzione dei conteggi misurati sia causata da rumore avente componenti a tensione superiore alla soglia. In generale operando in coincidenza con più rivelatori gli effetti del rumore di fondo si possono ulteriormente ridurre: il rumore di fondo produce infatti tensioni variabili nel tempo, tuttavia non essendo legato ad alcun agente esterno al fotomoltiplicatore, i falsi conteggi di un rivelatore difficilmente avvengono in coincidenza con quelli di un altro, quindi questa informazione viene persa. Non è tuttavia da escludere che una parte del rumore di fondo venga causata da eventi accidentali che giungono al rivelatore in coincidenza. Al fine di quantificare statisticamente il rate di accidentali occorre impostare il delay in zone dove la curva di coincidenza è pressoché nulla, quindi procedere a lunghe acquisizioni misurando tutti i rates (di entrambi i circuiti e della coincidenza), come nella parte precedente dell’esperienza (il setup è il medesimo). Gli eventi accidentali sono pochi, se confrontati con gli eventi realmente provocati da raggi cosmici, quindi per avere dati significativi l’acquisizione deve durare parecchie ore. Il rate di accidentali può essere stimato teoricamente analizzando i dati delle due misure sui singoli ingressi del modulo di coincidenza: in tal caso il rate può essere espresso come Racc = #accidentali = RC RA+B τ ∆T dove ∆T è il tempo di acquisizione, Rx è il rate della variabile x e τ è il tempo di risoluzione dell’apparato, precedentemente determinato. Nel calcolo del rate di questi eventi non occorre tener conto delle superfici dei sensori, in quanto il rumore di fondo è prodotto non da un evento manifestatosi sulla superficie degli scintillatori, ma bensı̀ da fluttuazioni statistiche della tensione di buio. Al limite si potrebbe pensare di valutare gli eventi accidentali sostituendo idealmente i rivelatori con generatori di funzioni random sia in ampiezza che in frequenza. Prima di iniziare con l’acquisizione è stato visualizzato sull’oscillosopio l’effettivo ritardo tra i due segnali all’ingresso del modulo di coincidenza. Il ritardo previsto era di 63 ns, tuttavia si è osservato un ritardo superiore, dovuto a diversi offsets dei due segnali, dovuti principalmente a lunghezze di cavi diverse, tempi di risposta dei rivelatori diversi e tempi di transito non uguali nei diversi moduli (è stato utilizzato un unico delayer nel circuito di C e due moduli in serie nell’altro circuito, già affetto da un offset derivante dal modulo di addizione logica). 2.5.3 Risultati Al fine di ottenere dati confrontabili tra loro, è stata eliminata la dipendenza dal tempo, calcolando i rates in ogni set di dati. Gli errori su ciascuna misura di 88 Rivelazione di raggi cosmici (A + B) ∗ C Tacq [s] 72210.990±0.009 68374.890±0.008 158374.880±0.017 387 364 879 δ(A+B)∗C A+B δA+B C δC 20 20 30 3055150 2964900 8842250 1748 1722 2974 9273436 6993787 20608339 3045 26645 4540 Tabella 2.7: Misura di eventi accidentali Figura 2.19: Visualizzazione del delay massimo eventi sono stati determinati mendiante la radice quadrata del numero di eventi stesso, in quanto si suppongono appartenenti ad una distribuzione Poissoniana. (A + B) ∗ C [Hz] 0.0054 0.0053 0.0056 δ(A+B)∗C [Hz] A + B [Hz] δA+B [Hz] C δC [Hz] 0.0003 0.0003 0.0002 42.31 43.36 55.83 0.02 0.02 0.02 128.42 102.29 130.12 0.04 0.04 0.03 Tabella 2.8: Rates di eventi accidentali È possibile determinare il valore medio dei tre rates e stimarne l’errore eseguendo medie pesate sulle incertezze: R(A+B)C = 0.0054 ± 0.0001[Hz] RA+B = 46.42 ± 0.01[Hz] RC = 119.64 ± 0.02[Hz] Il rate di accidentali può essere previsto in modo teorico osservando la sovrapposizione massima dei segnali, ovvero Racc = RA+B RC τ = R(A+B)C 2.6 Misura dell’efficienza di un rivelatore 89 Dove τ rappresenta il tempo di risoluzione dell’apparato strumentale stimato come τ = 49.5 ± 1.4[ns]. Provando a calcolare questa grandezza in modo teorico si ottiene un risultato circa 20 volte inferiore a quello misurato sperimentalmente. Questo può essere legato al fatto che la differenza tra il tempo di risoluzione e la separazione dei segnali impostata è insufficiente a prevenire che i segnali jitterando si sovrappongano e vengano quindi conteggiati dallo scaler. I conteggi eseguiti dall’apparato strumentale degli accidentali comprendono oltre agli accidentali anche rumore in fase dati dai tre rivelatori. Racc = 0.275 ± 0.008[mHz] Il ritardo di tempo impostato risulta essere insufficiente per ottenere una misura attendibile del numero di coincidenze accidentali: la misura ottenuta sperimentalmente risulta infatti essere Racc = 5.4 ± 0.1[mHz] 2.6 Misura dell’efficienza di un rivelatore L’efficienza di un rivelatore è un parametro molto importante. Nelle misure di fisica delle alte energie gli scintillatori sono spesso utilizzate come trigger per misure successive: al fine di evitare perdite di dati su eventi spesso rari occorre che l’efficienza di questi device sia molto prossima al 100%. Si raggiungono efficienze del 99% per scintillatori nuovi e perfettamente accoppiati a fotomoltiplicatori correttamente tarati (HV e Vtr opportunamente settati). A: scintillatore organico plastico B: scintillatore organico plastico C: scintillatore organico liquido A B C Figura 2.20: Disposizione dei rivelatori per la misura di efficienza Al fine di determinare l’efficienza occorre sovrapporre più rivelatori verticalmente. I rivelatori divrebbero avere la stessa superficie sensibile, tuttavia nel nostro caso il rivelatore a liquido C, avente una superficie maggiore, è posto come ultimo rivelatore (il rivelatore in test di efficienza è il B), quindi questo fatto non influisce sulla misura finale. 90 Rivelazione di raggi cosmici Un raggio cosmico che attraversa i rivelatori B e C, per considerazioni geometriche deve necessariamente attravarsare anche il rivelatore A. Tuttavia è possibile che il rivelatore B non riveli questo evento a causa di perdite dovute all’efficienza del device. Per quantificare l’efficienza si confrontano i rates di raggi cosmici giunti e rivelati in coincidenza sui tre scintillatori e dei cosmici rivelati unicamente da B e C. L’efficienza in questo caso può essere calcolata come η= # eventi A*B*C # eventi B*C Affinché un evento appaia in coincidenza su B e C esso dovrà accadere nella regione sensibile di B e quindi la parte di C colpita dal raggio è unicamente quella sottostante il rivelatore B (la superficie di A e B è la medesima). L’efficienza viene misurata in funzione della tensione HV applicata all fotomoltiplicatore in esame. Tale parametro determina infatti il guadagno del fotomoltiplicatore e quindi la capacità di risolvere raggi cosmici poco energetici. 2.6.1 Setup sperimentale HighVoltage A Discriminatore HighVoltage B Discriminatore HighVoltage C Discriminatore Delay AND A*B*C AND A*C Scaler A*B*C Scaler A*C Figura 2.21: Setup sperimentale: misura di efficienza L’apparato sperimentale deve essere configurato in modo tale che i due rivelatori plastici siano posti uno sopra l’altro e si debbono utilizzare due moduli di coincidenza per conteggiare A*B*C e B*C. Il ritardo indicato nella figura relativa al setup sperimentale è puramente indicativo: nella pratica occorre inserire i ritardi in modo opportuno affinché i segnali, osservati tramite un oscilloscopio, giungano al modulo di coincidenza in contemporanea. 2.6 Misura dell’efficienza di un rivelatore 91 Le misure vengono eseguite impostando i valori di threshold come nell’esperienza precedente e lasciando invariate le tensioni di alimentazione dei fotomoltiplicatori. Per quanto riguarda il rivelatore in esame (A), si inizia con una tensione di alimentazione al minimo di lavoro (-1900 [V]), quindi si procede aumentandola a step fissi, sino alla tensione massima applicabile al device. Per ogni valore di tensione si eseguono misure con tempi di acquisizione di 10 minuti circa, al fine di aver sufficienti conteggi e quindi un errore percentuale non troppo elevato. Si verifica tuttavia che a bassa tensione il numero di conteggi è notevolmente inferiore, quindi l’errore relativo aumenta. 2.6.2 Acquisizione dati La tensione minima scelta è stata di -1900 [V], i tempi di acquisizione per ogni misura sono stati pari a 600.000 [s], anche se sarebbe stato meglio aumentare i tempi per misure a bassa tensione, in quanto il numero di coincidenze su tutti e tre i rivelatori è decisamente basso a causa dell’insensibilità del rivelatore in test sottoalimentato. VH 2050±1 2100 2150 2200 2225 2250 2275 2300 2350 2400 2450 2500 2550 2600 ABC 21 63 150 252 272 321 395 453 466 545 540 508 511 525 σABC 5 8 12 16 16 18 20 21 22 23 23 23 23 23 BC 801 755 796 792 751 772 795 804 749 835 806 773 743 772 σBC 28 27 28 28 27 28 28 28 27 29 29 28 27 28 η 0.03 0.08 0.19 0.32 0.36 0.42 0.50 0.56 0.62 0.66 0.67 0.66 0.69 0.68 ση 0.01 0.01 0.02 0.02 0.03 0.03 0.03 0.03 0.04 0.04 0.04 0.04 0.04 0.04 Tabella 2.9: Misura dell’efficienza di A 2.6.3 Risultati I calcoli statistici sono stati eseguiti direttamente sui conteggi, senza calcolare i rates, in quanto l’efficienza è data dal rapporto di grandezze che presentano entrambe dipendenza inversamente proporzionale al tempo di acquisizione (Tacq = 600.000 ± 0.001[s]). η= ABC BC Sono stati plottati i valori delle efficienze in funzione della tensione di alimentazione del fotomoltiplicatore in esame (HVA ). Dal grafico si ipotizza che possa esistere una relazione di diretta proporzionalità tra le due grandezze, almeno per una regione con valori di tensione minori 92 Rivelazione di raggi cosmici Η 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 2100 2200 2300 2400 2500 2600 HV @VD Figura 2.22: Rendimento di A (in modulo) della tensione di saturazione del fotomoltiplicatore. Aumentando la tensione oltre il punto di saturazione l’efficienza del device cresce meno rapidamente e può ritenersi costante. In questa zona, tuttavia aumenta il rumore del fotomoltiplicatore e quindi può accadere che vengano conteggiati più eventi (dovuti alla corrente di buio). Sono stati eseguiti due fit lineari al fine di parametrizzare le due situazioni rappresentate nel grafico (prima e dopo il punto di saturazione). Tratto a derivata positiva ρ = 0.996 a = 4.7 ± 0.2 b = 0.0023 ± 0.0001[V −1 ] χ2 = 0.33 DF = 6 → χ2critico = 2 Punti dopo la saturazione ρ = 0.87 a = 0.1 ± 0.4 b = 0.002 ± 0.002[V −1 ] χ2 = 0.12 DF = 4 → χ2critico = 2.4 Per il tratto oltre il punto di saturazione è stato verificato che l’efficienza è pressoché costante (si confronta il coefficiente angolare della retta con 0, tramite test normale): è quindi stata calcolata un’efficienza media, mediante una media pesata. b = 1.2 < zc = 1.96η = (66 ± 2)% z= σb 2.6 Misura dell’efficienza di un rivelatore 93 Η 0.6 0.4 0.2 2000 2100 2200 2300 2400 2500 2600 HV @VD Figura 2.23: Rendimento di A - interpolazione È da notare che oltre il punto di staurazione l’efficienza è costante, mentre osservando il rumore di fondo tramite un oscilloscopio, questa grandezza aumenta all’aumentare del guadagno del fotomoltiplicatore. È quindi conveniente operare in condizioni di massima efficienza, ma minimo rumore: tali condizioni si hanno in un intorno del primo punto della retta orizzontale. 94 Rivelazione di raggi cosmici Elenco delle tabelle 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12 1.13 1.14 1.15 1.16 1.17 1.18 1.19 1.20 1.21 1.22 1.23 1.24 Uniformità del campo tra le espansioni del magnete Ciclo di isteresi 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ciclo d’isteresi 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ciclo d’isteresi 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib 1.600 ± 0.001 A . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib 1.300 ± 0.001 A . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib 1.000 ± 0.001 A . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib 0.700 ± 0.001 A . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib 0.393 ± 0.001 A . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib 0.097 ± 0.001 A . . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib -0.405 ± 0.001 A . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib -0.700 ± 0.001 A . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib -1.000 ± 0.001 A . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib -1.299 ± 0.001 A . . . . . . . . Germanio tipo N: Ib -1.602 ± 0.001 A . . . . . . . . Germanio tipo N: RH calcolati dai fit lineari . . . . . Germanio tipo P . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germanio tipo P . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germanio tipo P . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germanio tipo P . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germanio tipo P: RH calcolati dai fit lineari . . . . . Salita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Discesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . riSalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 16 16 17 24 24 24 24 25 25 25 25 26 26 26 34 35 36 36 36 42 47 47 47 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 Misura di eventi al variare di HV - ∆T = 100.000s . . Misura di eventi sui singoli rivelatori - ∆T = 100.000s Misura della curva di coincidenza sperimentale - rates Rate di eventi singoli - ∆T = 100.000s . . . . . . . . . Misura della curva di coincidenza sperimentale . . . . Misura della curva di coincidenza sperimentale - rates Misura di eventi accidentali . . . . . . . . . . . . . . . Rates di eventi accidentali . . . . . . . . . . . . . . . . Misura dell’efficienza di A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 77 78 78 84 84 88 88 91 95 96 ELENCO DELLE TABELLE Elenco delle figure 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12 1.13 1.14 1.15 1.16 1.17 1.18 1.19 1.20 1.21 1.22 1.23 1.24 1.25 1.26 1.27 1.28 1.29 1.30 1.31 1.32 1.33 1.34 1.35 1.36 1.37 1.38 Semiconduttori intrinseci e drogati: configurazione elettronica . . 3 Effetto Hall con portatori di carica ± . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Effetto Peltier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Effetto Seeback . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Elettromagnete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Andamento del campo magnetico tra le espansioni del magnete . 14 Andamento del campo magnetico tra le espansioni del magnete . 14 Setup sperimentale: misura del ciclo di isteresi magnetica del traferro 15 Primo ciclo di isteresi: dati raccolti nelle misure sperimentali . . 17 Secondo ciclo di isteresi: dati raccolti nelle misure sperimentali . 20 Terzo ciclo di isteresi: dati raccolti nelle misure sperimentali . . . 20 Retta di calibrazione finale B = B(IB ) . . . . . . . . . . . . . . . 22 Setup sperimentale: misura dell’effetto Hall . . . . . . . . . . . . 22 Germanio tipo N: prima serie di dati, Ib 1.600 A . . . . . . . . . 27 Germanio tipo N: seconda serie di dati, Ib 1.300 A . . . . . . . . 27 Germanio tipo N: terza serie di dati, Ib 1.000 A . . . . . . . . . . 28 Germanio tipo N: quarta serie di dati, Ib 0.701 A . . . . . . . . . 29 Germanio tipo N: quinta serie di dati, Ib 0.393 A . . . . . . . . . 29 Germanio tipo N: sesta serie di dati, Ib 0.097 A . . . . . . . . . . 30 Germanio tipo N: settima serie di dati, Ib -0.405 A . . . . . . . . 31 Germanio tipo N: ottava serie di dati, Ib -0.700 A . . . . . . . . . 31 Germanio tipo N: nona serie di dati, Ib -1.000 A . . . . . . . . . 32 Germanio tipo N: decima serie di dati, Ib -1.299 A . . . . . . . . 33 Germanio tipo N: undicesima serie di dati, Ib -1.602 A . . . . . . 33 Germanio tipo N: valori del coefficiente di Hall in funzione del campo 34 Germanio tipo P: prima serie di dati, Ib 1.599 A . . . . . . . . . 37 Germanio tipo P: seconda serie di dati, Ib 1.300 A . . . . . . . . 38 Germanio tipo P: terza serie di dati, Ib 1.000 A . . . . . . . . . . 38 Germanio tipo P: quarta serie di dati, Ib 0.501 A . . . . . . . . . 39 Germanio tipo P: quinta serie di dati, Ib -0.501 A . . . . . . . . . 40 Germanio tipo P: sesta serie di dati, Ib -1.000 A . . . . . . . . . 40 Germanio tipo P: settima serie di dati, Ib -1.300 A . . . . . . . . 41 Germanio tipo P: ottava serie di dati, Ib -1.600 A . . . . . . . . . 42 Germanio tipo N: valori del coefficiente di Hall in funzione del campo 43 Setup sperimentale: misura della resistività di un semiconduttore 45 Relazione T (V ) per la termocoppia . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Dati raccolti: prima salita, discesa e risalita . . . . . . . . . . . . 49 Prima serie di dati: salita, R(T ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 97 98 ELENCO DELLE FIGURE 1.39 1.40 1.41 1.42 1.43 1.44 1.45 Seconda serie di dati: discesa, R(T ) . . . . . . . . . . . . . . . . 50 Terza serie di dati: risalita, R(T ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 Prima serie: Log(R) in funzione di Log(T ), punti sperimentali e retta interpolatrice 51 Seconda serie: Log(R) in funzione di Log(T ), punti sperimentali e retta interpolatrice 52 Terza serie: Log(R) in funzione di Log(T ), punti sperimentali e retta interpolatrice 52 Prima serie: Log(R) in funzione di 1/T , punti sperimentali e retta interpolatrice 53 Seconda serie: Log(R) in funzione di 1/T , punti sperimentali e retta interpolatrice 54 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 2.10 2.11 2.12 2.13 2.14 2.15 2.16 2.17 2.18 2.19 2.20 2.21 2.22 2.23 Possibili decadimenti di un raggio cosmico . . . . . . . . . . . . . 58 Schema di uno scintillatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Decadimento di elettroni e fluorescenza in una molecola organica 62 Sezione di un fotomoltiplicatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 Schema elettrico del voltage divider . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Schema delle coincidenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Rivelatori di particelle: scintillatori e fotomoltiplicatori . . . . . . 72 Risposta del rivelatore A per un cosmico incidente . . . . . . . . 73 Risposta del rivelatore B per un cosmico incidente . . . . . . . . 74 Risposta del rivelatore C per un cosmico incidente . . . . . . . . 74 Setup sperimentale: misura della HV . . . . . . . . . . . . . . . 75 Rates misurati da A in funzione di HV . . . . . . . . . . . . . . . 79 Rates misurati da B in funzione di HV . . . . . . . . . . . . . . . 79 Rates misurati da C in funzione di HV . . . . . . . . . . . . . . . 80 Disposizione dei rivelatori per la determinazione della curva di coincidenza 82 Setup sperimentale: misura della curva di coincidenza . . . . . . 83 Coincidenze in funzione del ritardo . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Coincidenze in funzione del ritardo - rette . . . . . . . . . . . . . 86 Visualizzazione del delay massimo . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 Disposizione dei rivelatori per la misura di efficienza . . . . . . . 89 Setup sperimentale: misura di efficienza . . . . . . . . . . . . . . 90 Rendimento di A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 Rendimento di A - interpolazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93